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La Finanza DeLLe regioni sommario 1 L’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario. 2 Il pao di stabi- lità interno e il suo superamento. 3 Le principali entrate tributarie delle Regio- ni a statuto ordinario. 4 I contribu speciali, i finanziamen dell’Unione euro- pea e il ricorso all’indebitamento 5 L’autonomia finanziaria delle Regioni a sta- tuto speciale. 6 L’autonomia tributaria delle Regioni a statuto speciale. 1 L’autonomia Finanziaria DeLLe regioni a statuto orDinario a Le modifiche al titolo v della costuzione L’approvazione della L. cost. 18 oobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costuzione) ha rappresentato un fondamentale punto di svolta nella definizione dei principi dell’ordinamento finanziario e contabile delle Regioni. Prima di tale legge, infa, l’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario trovava riconoscimento (anche se limitato) nel disposto degli ar. 117-119 della Costuzione e nelle successive leggi e decre delega di at- tuazione, mentre quella delle Regioni a statuto speciale è stata da subito garanta dagli stessi statu regionali, approva con leggi costuzionali. In parcolare, l’art. 119, nella sua versione originale, stabiliva che le Regio- ni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limi stabili da leggi del- la Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Questa forma di autonomia finanziaria, tuavia, si traduce- va, secondo la dorina prevalente, in una semplice autonomia di spesa e di bilancio (VIRGA), in virtù della quale le Regioni a statuto ordinario pote- vano amministrare direamente le entrate stabilite da leggi statali. Nell’am- bito dell’autonomia finanziaria così intesa, si era soli disnguere: — la finanza ordinaria, che trovava riconoscimento nel secondo comma dell’art. 119 Cost. secondo il quale alle Regioni sono aribui tribu propri e quote di tribu erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. In tale acce- zione i tribu propri non sono tribu impos dalle Regioni con proprie Capitolo 1

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La Finanza DeLLe regioni

sommario 1  L’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario.  2  Il patto di stabi-lità interno e il suo superamento.  3  Le principali entrate tributarie delle Regio-ni a statuto ordinario.  4  I contributi speciali, i finanziamenti dell’Unione euro-pea e il ricorso all’indebitamento  5  L’autonomia finanziaria delle Regioni a sta-tuto speciale.  6  L’autonomia tributaria delle Regioni a statuto speciale.

1  L’autonomia Finanziaria DeLLe regioni a statuto orDinario

a Le modifiche al titolo v della costituzione

L’approvazione della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) ha rappresentato un fondamentale punto di svolta nella definizione dei principi dell’ordinamento finanziario e contabile delle Regioni.Prima di tale legge, infatti, l’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario trovava riconoscimento (anche se limitato) nel disposto degli artt. 117-119 della Costituzione e nelle successive leggi e decreti delegati di at-tuazione, mentre quella delle Regioni a statuto speciale è stata da subito garantita dagli stessi statuti regionali, approvati con leggi costituzionali.

In particolare, l’art. 119, nella sua versione originale, stabiliva che le Regio-ni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi del-la Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Questa forma di autonomia finanziaria, tuttavia, si traduce-va, secondo la dottrina prevalente, in una semplice autonomia di spesa e di bilancio (VIRGA), in virtù della quale le Regioni a statuto ordinario pote-vano amministrare direttamente le entrate stabilite da leggi statali. Nell’am-bito dell’autonomia finanziaria così intesa, si era soliti distinguere:

— la finanza ordinaria, che trovava riconoscimento nel secondo comma dell’art. 119 Cost. secondo il quale alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. In tale acce-zione i tributi propri non sono tributi imposti dalle Regioni con proprie

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leggi, ma tributi stabiliti da leggi dello Stato ed il cui gettito viene attri-buito alle Regioni;

— la finanza straordinaria, prevista dal terzo comma dell’art. 119 Cost., secondo cui per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le isole, lo Stato assegna per legge, a sin-gole Regioni, contributi speciali.

L’art. 119 stabiliva, inoltre, che la Regione ha un proprio demanio e patri-monio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica, riferendo-si (come precisa la L. 281/1970) ai beni del demanio regionale e a quelli del demanio statale trasferiti alle Regioni, nonché ai beni del patrimonio regio-nale quali foreste, cave, torbiere etc.Nell’ambito della riforma federalista della Carta costituzionale, il nuovo art. 119, interamente modificato dalla L. cost. 3/2001, evidenzia la differente impostazione sin dal primo comma, laddove riconosce alle Regioni (oltre che ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane) autonomia finan-ziaria di entrata e di spesa.La novità fondamentale risiede, quindi, nel riconoscimento di un’effettiva autonomia finanziaria di entrata, la cui portata è precisata dal secondo comma del medesimo articolo, in cui si afferma che le Regioni, oltre a di-sporre di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al proprio territorio, hanno risorse autonome e possono stabilire e applicare tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e con i principi di coordi-namento della finanza pubblica e del sistema tributario.L’autonomia finanziaria degli enti territoriali, dunque, non è illimitata ma deve rispettare le norme costituzionali e i principi fondamentali di coordi-namento della finanza pubblica.Per quanto riguarda il primo aspetto, un limite importante è contenuto nel-la L. cost. 1/2012 che, nell’introdurre il vincolo del pareggio di bilancio per lo Stato (cfr. Parte II. Cap. 2), ha esteso tale vincolo, attraverso la modifica dell’art. 119, anche alle Regioni e agli enti locali, disponendo che, a decor-rere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014, l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa debba essere esercitata da tali enti nel rispetto dell’equi-librio dei relativi bilanci e concorrendo ad assicurare l’osservanza dei vinco-li economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

La L. 24 dicembre 2012, n. 243, nel dare attuazione al nuovo dettato costituzionale, ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, i bilanci di Regioni ed enti locali si consi-dereranno in equilibrio quando registreranno, sia nella fase di previsione che di rendi-

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conto, un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa (art. 9):

— tra le entrate finali e le spese finali;— tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di

ammortamento dei prestiti.

Qualora, in sede di rendiconto, si dovesse registrare un saldo negativo, l’ente sarà tenu-to ad adottare misure correttive tali da assicurarne il recupero entro il triennio succes-sivo. L’eventuale saldo positivo dovrà essere destinato all’estinzione del debito matura-to o al finanziamento di spese di investimenti.

Per quanto riguarda, invece, i principi fondamentali di coordinamento del-la finanza pubblica, fino al 2014 essi si sono concretizzati in una serie di vin-coli all’attività finanziaria di Regioni ed enti locali finalizzati alla riduzione del disavanzo finanziario dei singoli enti e al contenimento del debito pub-blico (il cd. patto di stabilità interno). La L. 190/2014 ha tuttavia disposto il superamento del patto di stabilità interno per le Regioni (cfr. § 2).Un apposito fondo di perequazione (comma 3), istituito con legge dello Stato e senza vincolo di destinazione, è chiamato a integrare le risorse fi-nanziarie dei territori con minore capacità fiscale per abitante.Si tratta di uno strumento che dovrebbe compensare gli squilibri fra le en-trate tributarie delle regioni, consentendo a tali enti di erogare i servizi di loro competenza a livello uniforme su tutto il territorio nazionale (in par-ticolare quelli concernenti i diritti sociali), a prescindere dalla loro capaci-tà di ricavare risorse fiscali dal proprio territorio.Tali risorse devono consentire a questi enti di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (comma 4).

In tale passaggio è affermato il principio del parallelismo tra le funzioni esercitate dall’ente territoriale e le risorse di cui dispone per esercitare tali compiti; fondamen-talmente costituisce un vincolo a carico dello Stato ed è volto ad evitare che, come spes-so accadeva in passato, agli enti decentrati fossero attribuiti, con legge dello Stato, ul-teriori compiti rispetto a quelli già di competenza, senza tuttavia prevedere come con-tropartita l’assegnazione di risorse adeguate per poter svolgere tali attività. Nello stes-so tempo, tale principio intende responsabilizzare le Regioni nell’utilizzo delle risorse, coinvolgendole, insieme agli enti locali, nel raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Inoltre, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarie-tà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’ef-fettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiunti-

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ve ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Provin-ce, Città metropolitane e Regioni (comma 5, cfr. §4, lett. A).L’ultimo comma, infine, riconosce che Comuni, Province, Città metropoli-tane e Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Gli enti territoriali possono al-tresì ricorrere all’indebitamento ma solo per finanziare spese di investimen-to e senza alcuna garanzia dello Stato sui prestiti contratti.

La citata L. cost. 1/2012, modificando anche l’ultimo comma dell’art. 119, dispone che, a decorrere dal 2014, il ricorso all’indebitamento debba avvenire con la contestuale de-finizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di cia-scuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. A tale disposizione ha dato seguito la citata L. 243/2012, il cui Capo IV, applicabile dal 1° gennaio 2016, riporta le norme atte ad assicurare l’equilibrio dei bilanci degli enti territoriali e a regolare il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico. Per quanto riguarda, in particolare, il ricorso all’indebitamento, viene stabilita una procedura di intesa a livello regionale per consentire che l’accesso al debito dei singoli enti avvenga nei limiti consentiti dalla necessità di assicurare, per l’anno di riferimento, l’equilibrio complessivo a livello di com-parto regionale (art. 10).

b La L. 5 maggio 2009, n. 42

Come risulta evidente, l’art. 119, nella nuova formulazione introdotta dal-la L. cost. 3/2001, dispone una riorganizzazione in senso federalista della finanza locale, partendo dal presupposto che, in un sistema pubblico arti-colato, ogni livello di governo deve poter disporre di risorse finanziarie sot-toposte al proprio autonomo controllo e necessarie allo svolgimento delle funzioni che sono di sua esclusiva competenza (cosiddetto principio del pa-rallelismo tra le funzioni esercitate dall’ente e le risorse di cui dispone per esercitare tali funzioni).Al fine di favorire la piena attuazione dell’art. 119 della Costituzione, e cioè l’effettiva autonomia finanziaria di Regioni, Province, Comuni e Città metro-politane, con L. 5 maggio 2009, n. 42, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di federalismo fiscale, indican-do nel contempo i principi fondamentali a cui tali decreti dovranno attenersi.Uno dei temi principali affrontati dalla L. 42/2009 riguarda la regolamenta-zione dei rapporti finanziari tra stato e regioni (artt. 7-10); in particolare, viene affermato il principio secondo il quale le Regioni a statuto ordinario devono disporre di tributi e di compartecipazioni al gettito dei tributi era-

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riali, al fine di finanziare le spese che relative all’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente.

Viene, inoltre, precisato che nella categoria tributi delle regioni rientrano (art. 7):

— i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali e il cui gettito è attribuito alle Regioni;

— le addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;— i tributi propri istituiti dalle Regioni con proprie leggi in relazione ai pre-

supposti non già assoggettati ad imposizione erariale.

Per una parte rilevante dei tributi e delle aliquote disciplinati da leggi sta-tali, le Regioni possono modificare, con propria legge, le aliquote e le mo-dalità di calcolo della base imponibile, entro i limiti stabiliti dalla legislazio-ne statale. Esse possono, inoltre, stabilire esenzioni, detrazioni e deduzio-ni, nonché introdurre particolari agevolazioni.

Un altro elemento di grande rilevanza riguarda, poi, la territorialità dei cri-teri di attribuzione alle Regioni del gettito dei tributi propri derivati (cioè, istituiti da leggi statali) e della compartecipazione ai tributi erariali; l’art. 7 del provvedimento dispone, infatti, che si debba considerare:

— il luogo di consumo, per i tributi aventi quale presupposto i consumi;— la localizzazione dei cespiti, per i tributi basati sul patrimonio;— il luogo di prestazione del lavoro, per i tributi basati sulla produzione;— la residenza del percettore o il luogo di produzione del reddito, per i tri-

buti riferiti ai redditi.

L’art. 9 chiarisce, inoltre, che il fondo perequativo statale a favore delle Regioni con minore capacità fiscale per abitante sarà assegnato senza vincolo di destinazione e tenendo conto della dimensione demografica e dello sforzo fiscale autonomamente realizzato. Il fondo sarà finanziato dal gettito prodotto nelle singole Regioni da una compartecipazione al gettito IVA e dall’addizionale regionale IRPEF.

Quanti e quali decreti attuativi della L. 42/2009 sono stati approvati fino ad ora?Finora sono stati approvati i seguenti decreti legislativi attuativi della L. 42/2009:— il D.Lgs. 28 maggio 2010, n. 85 (Attribuzione a Comuni, Province, Città me-

tropolitane e Regioni di un proprio patrimonio);— il D.Lgs. 17 settembre 2010, n. 156 (Disposizioni in materia di ordinamento

transitorio di Roma capitale);

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— il D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province);

— il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale);

— il D. Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle Regioni a Statuto ordinario e delle Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario);

— il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozioni di squilibri economici e sociali);

— il D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi);

— il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni);

— il D.Lgs. 18 aprile 2012, n. 61 (Ulteriori disposizioni in materia di ordinamento di Roma capitale);

— il D.Lgs. 26 aprile 2013, n. 51 (Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 61/2012).

2  iL patto Di stabiLità interno e iL suo superamento

L’art. 28 della L. 448/1998 ha introdotto il cd. patto di stabilità interno: con esso le Regioni e gli enti locali sono chiamati a concorrere al risanamento delle finanze pubbliche richiesto dagli impegni assunti dallo Stato in sede europea (cd. patto di stabilità e crescita).In sostanza, il patto di stabilità interno (le cui disposizioni, fino alla legge di sta-bilità 2015, hanno costituito i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica) impegna gli enti territoriali, nel quadro del federalismo fisca-le, a ridurre progressivamente il finanziamento in disavanzo delle spese non-ché il rapporto fra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordo.

Fino al 2010 alle Regioni è stato chiesto di diminuire di una determinata percentuale, in ciascun esercizio finanziario, il complesso delle spese finali (art. 77ter, D.L. 112/2008, conv. in L. 133/2008) rispetto al valore registrato nell’anno precedente.a partire dal 2011, il legislatore (art. 1, commi 125-150, L. 225/2010, e art. 32, L. 183/2011) ha posto obiettivi differenziati per le spese in termini di competenza e per quelle in termini di cassa, utilizzando come base di riferimento non più un singolo anno ma la media delle spese finali registrate nel triennio 2007-2009, corrette con alcuni co-efficienti e al netto di determinate categorie di spesa (come, ad esempio, spese in cam-po sanitario, cofinanziamento di interventi finanziati dall’Unione europea, spese legate al trasferimento di beni nell’ambito del federalismo demaniale).

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La L. 228/2012 (art. 1, commi 448-472) ha quindi provveduto a ridefinire la disciplina del patto di stabilità interno a partire dal 2013, inserendo una nuova modalità di calcolo delle spese finali denominata competenza euro-compatibile.

Il complesso delle spese considerate in termini di competenza eurocompatibile è costi-tuito dalla somma (comma 451):

— degli impegni di parte corrente al netto dei trasferimenti, delle spese per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;

— dei pagamenti per trasferimenti correnti, per imposte e tasse e per gli oneri straor-dinari della gestione corrente;

— dei pagamenti in conto capitale, escluse le spese per la concessione di crediti, per l’acquisto di titoli e di partecipazioni azionarie e per conferimenti.

Con la legge di stabilità 2015 (L. 190/2014), il patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario viene di fatto superato; infatti, a norma dell’art. 1, comma 460, di detta legge, tutte le norme concernenti la disciplina del patto di stabilità interno contenute nella L. 228/2012 cessano di avere ap-plicazione per le Regioni a statuto ordinario, con riferimento agli esercizi 2015 e successivi, ferma restando l’applicazione, nell’esercizio 2015, delle sanzioni nel caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nel 2014.Sono ora i commi da 460 a 483 della L. 190/2014 a contenere i princìpi fon-damentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.

Il contenimento dei saldi di finanza pubblica da parte delle Regioni a statu-to ordinario si basa sui meccanismi previsti dall’art. 9 della L. 243/2012 ci-tata, e riproposti dal comma 463 della L. 190/2014, secondo il quale i bi-lanci delle Regioni si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di pre-visione (a decorrere dal 2016) sia di rendiconto (a decorrere dal 2015), re-gistrano un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa:

— tra le entrate e le spese finali;— tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale

delle rate di ammortamento dei prestiti.

ai fini della determinazione dell’equilibrio di parte corrente sono esclusi l’uti-lizzo del risultato di amministrazione di parte corrente e del fondo cassa, il re-cupero del disavanzo di amministrazione e il rimborso anticipato dei prestiti.

Nel 2015, per le regioni che non hanno partecipato alla sperimentazione prevista dall’art. 78 del D.Lgs. 118/2011 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi

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contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), di cui si dirà approfondita-mente nei prossimi capitoli, l’equilibrio di parte corrente è costituito dalla differenza tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammorta-mento ed esclusi i rimborsi anticipati.

a decorrere dal 2016, le previsioni di entrata e di spesa dovranno essere iscritte nel bilancio di previsione in misura tale da garantire il rispetto del-le regole del pareggio di bilancio sin qui viste. Il conseguimento di detto pa-reggio dovrà risultare da un apposito prospetto (contenuto nel D.m. 31 lu-glio 2015), da allegare al bilancio, contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti a tal fine (comma 469).

In caso di mancato conseguimento del pareggio di uno dei saldi di bilancio, la Regio-ne, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza è tenuta a «riparare»:

— sia versando, entro un termine perentorio, all’entrata del bilancio dello Stato un dato importo stabilito secondo le modalità previste dal comma 474 della L. 190/2014;

— sia astenendosi dal compiere talune spese (ad esempio assunzioni di personale a qualsiasi titolo) e dall’impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sani-tà, in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio;

— sia, infine, astenendosi da altre attività quali il ricorso all’indebitamento per inve-stimenti.

La Regione inadempiente è tenuta, inoltre, a rideterminare le indennità di funzione e i gettoni di presenza del Presidente e dei componenti della Giunta, con una riduzione del 30 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2014. Tale riduzione è applicata ai soggetti in carica nell’esercizio nel quale è avvenuta la viola-zione delle regole stabilite dalla legge di stabilità 2015.

3  Le principaLi entrate tributarie DeLLe regioni a statuto orDinario

a La riforma del sistema impositivo delle regioni a statuto ordina-rio: il D.Lgs. 68/2011

Un passo importante per l’attuazione dei principi contenuti nella L. 42/2009 è stato compiuto con l’approvazione del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, in tema di autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario, che ridisegna in modo graduale ma sostanziale il sistema impositivo delle Regioni, al fine di attribuire loro un’effettiva autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

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In sostanza, il decreto prevede, da un lato, la soppressione, a decorrere dal 2013, di tutti i trasferimenti statali di parte corrente (e, ove non finanzia-ti tramite il ricorso all’indebitamento, in conto capitale) alle Regioni desti-nati all’esercizio delle competenze regionali, ad eccezione di quelli relativi al fondo perequativo, e, dall’altro lato, il rafforzamento della capacità im-positiva delle regioni, da realizzarsi principalmente attraverso l’addiziona-le regionale IRPEF (aumentando l’aliquota di base e concedendo maggiori margini di manovra alle Regioni), la compartecipazione regionale all’IVA e la possibilità di istituire nuovi tributi regionali e locali con legge regionale, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte del-lo Stato.

In che modo il D.Lgs. 68/2011 ridisegna i rapporti tra Regioni ed enti locali?Il principio applicato ai rapporti tra Stato e Regioni, basato sulla soppressione dei trasferimenti statali e sul contestuale rafforzamento della capacità impositiva di queste ultime, viene utilizzato in modo speculare anche nei rapporti tra Regioni e Comuni, disponendosi in tal senso la soppressione, dal 2013, dei trasferimenti regionali di parte corrente (e, ove non finanziati tramite il ricorso all’indebitamento, in conto capitale) diretti al finanziamento delle spese comunali; nel contempo, ai Comuni dovrà essere riconosciuta una compartecipazione all’addizionale regionale IRPEF, calcolata in modo tale da compensare i trasferimenti soppressi e il cui gettito confluirà in parte in un fondo sperimentale di riequilibrio.

b L’irap

L’imposta regionale sulle attività produttive (irap), istituita con D.Lgs. 446/1997, è dovuta da tutti coloro che esercitano abitualmente, nel terri-torio della Regione, un’attività autonomamente organizzata diretta alla pro-duzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (compresi enti e amministrazioni pubbliche).L’imposta si calcola applicando un’aliquota del 3,9% (ma sono previste ali-quote diverse per taluni settori) al valore della produzione netta derivan-te dallo svolgimento di tale attività; questo valore viene calcolato secondo criteri specifici per ogni categoria di soggetti passivi. Le Regioni hanno fa-coltà di aumentare l’aliquota ordinaria fino ad un massimo di un punto per-centuale.

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Ai sensi del D.Lgs. 68/2011, a partire dal 2013 le Regioni possono ridurre l’aliquota IRAP fino ad azzerarla, purché la maggiorazione dell’aliquota IR-PEF (cfr. punto A) non superi lo 0,5%.

c altri tributi

Gli altri principali tributi delle Regioni a statuto ordinario sono:

a) la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), che le Regioni pos-sono trasformare in un canone;

b) l’imposta sulle concessioni statali, che si applica alla concessione per l’occupazio-ne e l’uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato che si tro-vano nel territorio regionale;

c) le tasse sulle concessioni regionali, che si applicano agli atti e ai provvedimenti (au-torizzazioni, licenze, abilitazioni) adottati dalle Regioni per consentire ai cittadini che ne fanno richiesta di esercitare alcune particolari attività (caccia, pesca in acque in-terne etc.). Le Regioni possono non applicarle;

d) l’addizionale regionale all’accisa sul gas naturale usato come combustibile per im-pieghi diversi da quelli delle imprese industriali e artigiane (artt. 9-16, D.Lgs. 398/1990);

e) l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (art. 17 D.Lgs. 398/1990) eroga-ta da impianti di distribuzione siti sul territorio regionale; inoltre alle Regioni è rico-nosciuta una quota, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 56/2000, dell’accisa sulla benzina ero-gata all’interno del proprio territorio. Infine, l’art. 1, comma 295, della L. 244/2007, al fine di promuovere lo sviluppo dei servizi del trasporto pubblico locale, ha rico-nosciuto alle Regioni a statuto ordinario una compartecipazione al gettito dell’ac-cisa sul gasolio per autotrazione;

f) le tasse automobilistiche regionali, che si applicano a veicoli e autoscafi già assog-gettati alla corrispondente tassa erariale di possesso, nonché ai veicoli e autoscafi per i quali non è previsto un documento di circolazione, di proprietà di soggetti re-sidenti nella Regione;

g) la tassa regionale per il diritto allo studio universitario, istituita dalla L. 549/1995 quale tributo proprio delle Regioni e Province autonome al fine di incrementare le disponibilità finanziarie per l’erogazione di borse di studio e di prestiti d’onore agli studenti universitari capaci e meritevoli ma privi di mezzi;

h) il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, istituito dalla L. 549/1995 al fine di favorire la minore produzione dei rifiuti e il recupero dagli stes-si di materia prima ed energia;

i) l’addizionale regionale all’irpeF, prevista dall’art. 50 del D.Lgs. 446/1997 titolare del tributo è la Regione, determinata in base al Comune di residenza del contribuente. L’aliquota di base è pari all’1,23% ma, a decorrere dal 2012, le Regioni sono libere di aumentare o diminuire tale aliquota, purché le maggiorazioni non siano superiori allo 0,5% per gli anni 2012 e 2013, all’1,1% per il 2014 e al 2,1% a partire dal 2015 (art. 6, D.Lgs. 68/2011, come modificato dal D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011).

116 Regioni, Enti locali, Enti pubblici istituzionali, Università, AUSL e Camere di Commercio

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Dal 2017 l’aliquota di base sarà rideterminata con decreto del Presidente del Consi-glio dei Ministri, su proposta del MEF (art. 2, D.Lgs. 68/2011, come modificato dal D.L. 78/2015, conv. in L. 125/2015);

l) la compartecipazione regionale all’iva (art. 2 D.Lgs. 56/2000). Fissata inizialmente al 25,7% del gettito complessivo del penultimo anno ed attribuita utilizzando come indicatore di base imponibile la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’ISTAT a livello regionale, tale aliquota è stata più volte rideterminata con D.P.C.M. Ai sensi del D.Lgs. 68/2011, come modificato dal D.L. 78/2015, conv. in L. 125/2015, a decorrere dal 2017 l’aliquota di compartecipazione sarà definita, sempre con D.P.C.M., in modo tale da assicurare la copertura delle spese relative ai livelli essen-ziali delle prestazioni (spese per la sanità, per l’assistenza sociale, per l’istruzione scolastica e per il trasporto pubblico locale). Sempre dallo stesso anno, le modalità di attribuzione del gettito alle Regioni saranno definite in base al criterio della ter-ritorialità, cioè tenendo conto del luogo di consumo;

m) l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (istituita dall’art. 90 L. 342/2000). Obbligato al pagamento è l’esercente dell’aeromobile e il gettito è desti-nato prioritariamente al disinquinamento acustico;

n) tassa sulla caccia. L’art. 66, comma 14, L. 388/2000 ha previsto che dal 2004 il 50% dell’introito derivante dalla tassa erariale sulla caccia sia attribuito alle Regioni;

o) tassa per l’abilitazione professionale (art. 190 R.D. 1592/1933) dovuta da quanti conseguono l’abilitazione all’esercizio professionale e hanno conseguito il titolo ac-cademico in una Università con sede legale nella Regione.

4  i contributi speciaLi, i Finanziamenti DeLL’unione euro-pea e iL ricorso aLL’inDebitamento

a i contributi speciali

L’art. 119, comma 5, Cost. prescrive che «per promuovere lo sviluppo eco-nomico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri eco-nomici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».I contributi speciali sono assegnati alle Regioni ordinarie con apposite leg-gi in relazione alle indicazioni del programma economico nazionale e degli eventuali programmi di sviluppo regionali.Il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, attuativo della L. 42/2009, ha provveduto a definire nel dettaglio le modalità per la destinazione e l’utilizzazione di ri-sorse aggiuntive, nonché per l’individuazione e l’effettuazione degli inter-

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venti speciali previsti dall’art 119 Cost., intervenendo, in particolare, sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenomina-to Fondo per lo sviluppo e la coesione, ed individuando nuovi strumenti vol-ti a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese.

b i finanziamenti dell’unione europea

Negli ultimi anni il peso relativo dei fondi europei sul totale delle entrate di Regioni ed enti locali è aumentato notevolmente, anche in relazione alla crescente attenzione che l’Unione europea ha dedicato ai problemi di in-tegrazione economica e sociale delle differenti aree che la compongono e all’intensificarsi dei divari esistenti tra tali aree conseguente all’adesione di nuovi Stati.

I fondi strutturali, in particolare, sono gli strumenti finanziari volti a pro-muovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni a sviluppo ritardato, riconvertire le aree in declino industriale, lottare contro la disoc-cupazione strutturale, facilitare l’inserimento professionale dei giovani e accelerare la riforma del sistema agrario. Gli attuali fondi strutturali sono:

— il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), che si propone di soste-nere lo sviluppo armonioso e la coesione economica delle diverse re-gioni dell’Unione attraverso la correzione dei principali squilibri e l’ade-guamento strutturale delle regioni in ritardo;

— il Fondo sociale europeo (Fse), che partecipa al finanziamento di corsi di formazione professionale e di aiuti ai disoccupati e che fu creato nel 1958 proprio per risolvere i problemi di occupazione provocati dalla stessa integrazione europea.

Quali altri strumenti finanziari vengono messi a disposizione dall’Unione europea?Gli altri strumenti finanziari (non rientranti nella categoria dei fondi strutturali) messi a disposizione dall’Unione europea sono:— il Fondo di coesione (FC), i cui finanziamenti sono principalmente volti al so-

stegno di progetti nei settori dell’ambiente e delle reti di trasporto transeuropee; — il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), finalizzato alla

promozione dello sviluppo rurale attraverso il miglioramento della competitività nei settori agricolo e forestale;

118 Regioni, Enti locali, Enti pubblici istituzionali, Università, AUSL e Camere di Commercio

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— il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP), che opera a sostegno dello sviluppo sostenibile del settore della pesca, delle zone di pesca e della pesca nelle acque interne.

— la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che, facendo appello al mercato dei capitali e alle proprie risorse, concede finanziamenti a lungo termine per la realizzazione di progetti concreti di cui sia garantita l’attuabilità sotto il profilo economico, tecnico, finanziario e della tutela ambientale. La BEI è azionista di maggioranza del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI), con cui costituisce il cd. Gruppo BEI.

c il ricorso all’indebitamento

Come abbiamo visto in precedenza, le Regioni possono ricorrere all’inde-bitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio (art. 119, comma 6, Cost., e art. 3, comma 16, L. 350/2003).

Qualora ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investi-mento, i relativi contratti sono nulli e le sezioni regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa delibera una sanzione pecu-naria che va da cinque a venti volte l’indennità di carica da essi percepita nel momento in cui la violazione è stata commessa (art. 30, comma 15, L. 289/2002).

Valgono, inoltre, le seguenti limitazioni (art. 62, D.Lgs. 118/2011, inserito dal D.Lgs. 126/2014):

— non puo essere autorizzata la contrazione di nuovo indebitamento se non è stato approvato il rendiconto dell’esercizio di due anni preceden-ti a quello cui il nuovo indebitamento si riferisce;

— le Regioni possono autorizzare nuovo debito solo se l’importo comples-sivo delle annualità di ammortamento per capitale e interessi dei mu-tui e delle altre forme di debito in estinzione nell’esercizio considerato, al netto dei contributi erariali sulle rate di ammortamento dei mutui in essere al momento della sottoscrizione del finanziamento e delle rate riguardanti debiti espressamente esclusi dalla legge, non supera il 20 per cento dell’ammontare complessivo delle entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa, al netto dei tributi destinati al fi-nanziamento della sanità;

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— la legge regionale che autorizza il ricorso al debito deve specificare l’in-cidenza dell’operazione sui singoli esercizi finanziari futuri, nonché i mezzi necessari per la copertura degli oneri.

La L. 190/2014 ha inoltre stabilito che non possono indebitarsi le Regioni che non rispettano l’equilibrio anche di uno solo dei saldi di bilancio.

In virtù dell’art. 20 del D.L. 8/1993 (convertito con modifiche nella L. 68/1993), però, le Regioni sono autorizzate a contrarre mutui, anche in deroga alle limitazioni stabilite dal-la legislazione statale vigente, al fine di ripianare eventuali disavanzi di amministrazione.Possono avvalersi di tali disposizioni solo le Regioni che hanno espresso nella misura massi-ma la propria autonomia impositiva. L’ammortamento dei mutui è a carico delle Regioni; è, tuttavia, il Ministro dell’Economia e delle Finanze a provvedere materialmente al pagamento a favore degli istituti mutuanti, utilizzando quote dal fondo comune spettanti alle Regioni.

Le Regioni che ricorrano a tale forma di ripiano, per un triennio non potranno:

— coprire posti in organico rimasti vacanti;— iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, salvo quelle relative a finanzia-

mento per l’attuazione di politiche comunitarie;— impegnare somme superiori a quelle impegnate nell’anno precedente per l’acquisto

e la manutenzione di autoveicoli per il trasporto di persone, spese postali e telefo-niche, abbonamenti a pubblicazioni, partecipazioni a convegni, consulenze esterne.

Tra le forme di indebitamento più utilizzate dalla Regioni rientra l’emissio-ne di prestiti obbligazionari; l’art. 35 della L. 724/1994 ha tuttavia stabili-to che non possono emettere obbligazioni le Regioni che si trovano in dis-sesto o in deficit strutturale, nonché quelle che hanno ripianato i disavan-zi di amministrazione utilizzando i mutui di cui all’art. 20 del D.L. 8/1993. Per la contrazione di nuovi prestiti obbligazionari (e di nuovi mutui) è inol-tre necessario dimostrare, con apposita attestazione, il conseguimento del pareggio di bilancio nell’anno precedente (L. 190/2014).

5  L’autonomia Finanziaria DeLLe regioni a statuto speciaLe

a L’autonomia finanziaria

La possibilità di acquisire mezzi finanziari sufficienti per il raggiungimento dei propri fini istituzionali e per la realizzazione dei propri compiti trova, nelle Regioni ad autonomia speciale, la sua più alta espressione.Tale autonomia, sul versante delle entrate, giunge in alcuni casi fino al pun-to di riconoscere il potere di istituire tributi propri fissandone i caratteri, gli elementi e la configurazione.

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Prescrive infatti l’art. 36 dello Statuto della Regione Sicilia (L. cost. 26-2-1948 n. 2) che al fabbisogno della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione mede-sima a mezzo di tributi deliberati dalla stessa. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e delle lotterie nazionali.

Un aspetto importante dell’autonomia finanziaria delle Regioni attiene alla materia dei controlli: i loro bilanci, infatti, vengono sottratti dal controllo e dall’intervento del governo, per essere, invece, sottoposti al controllo di un organo diverso e neutrale (SANDULLI): la Corte dei conti. È questo un con-trollo di carattere tecnico-contabile al fine di una migliore e corretta gestio-ne del denaro pubblico.L’art. 3, comma 5, della L. 20/1994 stabilisce che il controllo della gestione nei confronti delle amministrazioni regionali è limitato all’esame relativo al perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e programma. L’art. 6 della medesima legge precisa che tale disposizione si applica anche alle Regioni a Statuto speciale, per le quali costituisce una norma fonda-mentale di riforma economico-sociale della Repubblica.Gli esiti dei controlli eseguiti sono riferiti — almeno una volta all’anno — al Parlamento ed ai Consigli regionali. Le relazioni della Corte sono, altresì, in-viate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula le proprie osservazioni.I provvedimenti adottati dalle amministrazioni, sulla scorta dei rilievi for-mulati dalla Corte, devono essere poi comunicati a quest’ultima nonché agli organi elettivi delle amministrazioni suddette.

Occorre sottolineare che, allo scopo di rafforzare il coordinamento della finanza pubbli-ca, in particolare fra i livelli di governo statale, regionale e locale, il sistema dei control-li sulle Regioni e sugli enti locali è stato recentemente modificato dal D.L. 174/2012, conv. in L. 213/2012, il cui art. 1 contiene una serie di misure volte a intensificare, in par-ticolare, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle Regioni di cui all’art. 3, comma 5, della L. 20/1994, disposizioni che, come abbiamo appena visto, si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale. Il suddetto decreto, al comma 16 dell’art. 1, dispone infatti che le Regioni a Statuto specia-le e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono adeguare il proprio ordinamento alle disposizioni dell’art. 1 entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto stesso.

b il patto di stabilità interno

Anche le Regioni a statuto speciale e le due Province autonome di Trento e di Bolzano sono chiamate a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica

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stabiliti dalla legge. A differenza di quelle a statuto ordinario, tuttavia, tali Regioni, in virtù della loro particolare autonomia, devono concordare ogni anno con il MEF la misura e le modalità del loro concorso agli obiettivi del patto di stabilità.Per tali Regioni restano valide, quindi, le disposizioni di cui ai commi 448-466 della L. 228/2012 (che, come abbiamo visto, dal 1° gennaio 2015 non sono più applicabili alle Regioni a statuto ordinario), che indicano nel det-taglio le modalità di calcolo degli obiettivi del patto di stabilità, preveden-do, tuttavia, una procedura particolare per il Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano.Fa eccezione la Regione Sardegna, alla quale si applicano, ai sensi del com-ma 478bis della L. 190/2014, le norme sul patto di stabilità, valide per le Regioni a statuto ordinario, di cui ai commi 460-478 della legge stessa.

6  L’autonomia tributaria DeLLe regioni a statuto speciaLe

a sicilia

Lo Statuto di tale Regione prevede come entrate tributarie:

— i tributi che la Regione stessa istituisce nei limiti del sistema tributario statale;— le entrate tributarie statali riscosse sul territorio regionale, sia di natura diretta che

indiretta ad eccezione, però, di quelle il cui gettito sia stato destinato a particolari finalità dello Stato espressamente previste dalle leggi istituitive;

— le entrate tributarie derivanti dalla riscossione dell’imposta sulla quota di reddito prodotta da quegli stabilimenti e impianti appartenenti ad imprese industriali e com-merciali la cui sede centrale è fuori dal territorio della Regione (art. 37 dello Statu-to della Regione Sicilia, cui il D.Lgs. 241/2005 ha dato attuazione);

— i redditi scaturenti dai suoi beni patrimoniali;— gli interessi di mora, le sopratasse, le sanzioni pecuniarie, amministrative e penali.

b sardegna

In base allo Statuto, approvato con L. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, le entrate tributarie a disposizione della Regione possono essere suddivise in cinque tipologie (art. 8):

— entrate costituite da quote di tributi statali riscossi nel territorio regionale: tali quo-te sono normalmente determinate in misura fissa (sette decimi del gettito delle im-poste sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone giuridiche riscos-se nel territorio della regione, dai cinque decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione etc.) e rappresentano la componente più rilevante per le casse regionali;

122 Regioni, Enti locali, Enti pubblici istituzionali, Università, AUSL e Camere di Commercio

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— canoni per le concessioni idroelettriche;— contributi straordinari dello Stato per finanziare piani di opere pubbliche e di tra-

sformazione fondiaria; — dai redditi derivanti dalla gestione dei beni patrimoniali e demaniali;— da altri tributi propri che la Regione ha facoltà di istituire con legge in armonia con

i princìpi del sistema tributario dello Stato.

c trentino-alto adige

Le entrate tributarie del Trentino-Alto Adige sono costituite da:

— entrate istituite con proprie leggi (la Regione ha, infatti, facoltà di istituire con legge tributi propri, in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato, nelle ma-terie di propria competenza);

— quote di tributi erariali riscossi nell’ambito regionale e riguardanti beni siti nel ter-ritorio regionale (Registro, successioni e donazioni etc.).

Per alcuni tributi l’intero gettito affluisce alla Regione. Si ricordi che anche le Province di Trento e Bolzano godono di autonomia finanziaria.

D Friuli-venezia giulia

Come per il Trentino, le entrate tributarie di tale Regione sono costituite da:

— tributi istituiti con legge regionale;— quote di tributi erariali riscossi nel territorio regionale.

e valle d’aosta

A differenza delle altre Regioni, il suo territorio viene considerato ai fini fiscali zona fran-ca, posta cioè al di fuori della linea doganale (principio approvato con L. cost. 4/1948 ed accolto nel T.U. delle leggi doganali, ma in realtà mai effettivamente applicato). Costitu-iscono entrate tributarie:

— tributi istituiti autonomamente nel rispetto del sistema fiscale nazionale;— sovrimposte sui tributi statali;— quote di alcuni tributi erariali riscossi nel suo territorio.

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1 La finanza delle Regioni 123