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La finanza regionale nella Costituzione: opportunità della riforma del 2001 Enrico Buglione* ISSiRFA - CNR Roma Le modifiche del 2001 al Titolo V della Costituzione e, in par- ticolare, all’art. 119, possono avere un impatto positivo sull’auto- nomia finanziaria delle regioni ordinarie? Per rispondere a questa domanda si considerano tre aspetti: l’evoluzione dell’autonomia fi- nanziaria nel periodo di vigenza del testo del 1948; l’interpretazio- ne di alcune disposizioni specifiche del vigente art. 119, data dal- la Corte costituzionale con le sue sentenze; i principi in materia di federalismo fiscale che, con la riforma del 2001, diventano punti di riferimento essenziali per la concreta definizione del sistema di finanziamento delle regioni e degli enti locali. Understanding how the 2001 amendment of Title V of the Constitution, in particular Article 119, will impact on the fiscal autonomy of the ordinary statute regions requires looking at: the dynamics of regional fiscal autonomy over the period up until when the 1948 Constitution was revised; the interpretation given by the Constitutional Court to a number of provisions contained in Article 119, as amended; some basic principles of fiscal federalism which with the 2001 constitutional reform become key reference points when choosing the arrangements to be used for financing the regions and local government. [JEL Classification: H77] 1. - Premessa La verifica della capacità delle norme scritte in Costituzione 261 * <[email protected]>. L’Autore desidera ringraziare Mauro Marè per gli utili suggerimenti e commenti. L’Autore resta, naturalmente, l’unico re- sponsabile del testo.

La finanza regionale nella Costituzione: opportunità della ... · Le modifiche del 2001 al Titolo V della Costituzione e, in par-ticolare, all’art. 119, possono avere un impatto

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La finanza regionale nella Costituzione:

opportunità della riforma del 2001

Enrico Buglione*ISSiRFA - CNR Roma

Le modifiche del 2001 al Titolo V della Costituzione e, in par-ticolare, all’art. 119, possono avere un impatto positivo sull’auto-nomia finanziaria delle regioni ordinarie? Per rispondere a questadomanda si considerano tre aspetti: l’evoluzione dell’autonomia fi-nanziaria nel periodo di vigenza del testo del 1948; l’interpretazio-ne di alcune disposizioni specifiche del vigente art. 119, data dal-la Corte costituzionale con le sue sentenze; i principi in materia difederalismo fiscale che, con la riforma del 2001, diventano puntidi riferimento essenziali per la concreta definizione del sistema difinanziamento delle regioni e degli enti locali.

Understanding how the 2001 amendment of Title V of theConstitution, in particular Article 119, will impact on the fiscalautonomy of the ordinary statute regions requires looking at: thedynamics of regional fiscal autonomy over the period up until whenthe 1948 Constitution was revised; the interpretation given by theConstitutional Court to a number of provisions contained in Article119, as amended; some basic principles of fiscal federalism whichwith the 2001 constitutional reform become key reference pointswhen choosing the arrangements to be used for financing theregions and local government. [JEL Classification: H77]

1. - Premessa

La verifica della capacità delle norme scritte in Costituzione

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* <[email protected]>. L’Autore desidera ringraziare Mauro Marèper gli utili suggerimenti e commenti. L’Autore resta, naturalmente, l’unico re-sponsabile del testo.

di condizionare i contenuti della legislazione ordinaria in materiadi finanziamento degli enti territoriali è lo scopo principale di que-sto lavoro.

L’idea di affrontare l’argomento trae spunto dalla profonda tra-sformazione del testo dell’articolo 119 della Costituzione del 1948,operata con l’articolo 5 della legge costituzionale n. 3 del 18 otto-bre 2001. Il testo originario era decisamente conciso (526 caratte-ri contro i 1.306 di quello vigente), ma ciò non dipende dal fattoche la versione del 1948 riguardava solo le regioni a statuto ordi-nario mentre quello vigente si riferisce a tutti gli enti territoriali.Piuttosto influisce la diversità di approccio per quanto riguarda ladefinizione delle caratteristiche essenziali del modello di federali-smo fiscale. La versione del 1948, relativamente alle regioni, la-sciava al legislatore ordinario una libertà di scelta quasi totale1. Laversione vigente cerca, invece, di porre dei vincoli, soprattutto atutela dell’autonomia finanziaria introducendo, tra l’altro, principiuniformi per tutti i livelli di governo, province, comuni, città me-tropolitane e regioni. Approccio di per sé criticabile e in effetti cri-ticato dalla Commissione Finanze in occasione del dibattito sul di-segno di legge approvato successivamente dal Parlamento2.

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1 Per comodità del lettore, si riporta il testo dell’articolo 119 nella versione del1948:

Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti daleggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincedei Comuni.

Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in rela-zione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro fun-zioni normali.

Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mez-zogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi spe-ciali.

La Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabi-lite con legge della Repubblica.

2 Secondo la Commissione, trattare la finanza delle regioni in modo separatoda quella degli enti locali avrebbe consentito di attribuire alle prime un ruolo si-gnificativo in materia di perequazione, «sia per quanto concerne la delimitazioneentro i relativi confini degli ambiti territoriali da assumere per la valutazione del-le diverse capacità fiscali, sia per quanto riguarda la distribuzione del fondo pe-requativo» rendendo così più agevole la gestione delle politiche in materia. La stes-sa Commissione osserva, tuttavia, che «la inclusione del coordinamento del siste-ma tributario tra le materie oggetto della legislazione concorrente dello Stato edelle regioni lascerebbe supporre che una sorta di priorità verrebbe comunque ri-conosciuta alle regioni» (CAMERA DEI DEPUTATI, 2000, vol. I, pag. 181).

Il tema dell’autonomia finanziaria risulta particolarmenteadatto per verificare se l’introduzione in Costituzione di normepiù precise e vincolanti, come è avvenuto con la riscrittura del-l’articolo 119, sia effettivamente in grado di condizionare i con-tenuti delle norme di legge che concretamente disciplinano il si-stema di finanziamento degli enti territoriali e, in particolare, sesi fa riferimento, come qui si intende fare, a quello delle regio-ni ordinarie, oggetto di entrambe le versioni dell’articolo3. Il fat-to che non ci sia ancora una legge organica di attuazione all’ar-ticolo 119 vigente, non costituisce, da questo punto di vista, unostacolo. Dal 2001, infatti, il Titolo V — e, quindi, anche l’arti-colo 119 — è il punto di riferimento della Corte costituzionaleper le sue sentenze in merito ai già numerosi ricorsi sulla co-stituzionalità delle norme di legge emanate dallo Stato e dalleregioni.

Il testo si articola come segue:— nel paragrafo 2 si mettono in evidenza le innovazioni in

materia di autonomia finanziaria contenute nell’articolo 119 vi-gente, in base al contenuto letterale delle sue disposizioni;

— nel paragrafo 3, utilizzando alcuni indicatori ormai con-solidati, si valuta l’evoluzione dell’autonomia finanziaria delle re-gioni ordinarie a partire dall’anno della loro istituzione, metten-do in evidenza i risultati indubbiamente positivi ottenuti a parti-re dagli anni ’90;

— nel paragrafo 4 si richiamano alcuni problemi ancora aper-ti e sui quali, immediatamente dopo l’entrata in vigore del nuovoTitolo V, si era ritenuto che le modifiche dell’articolo 119 avreb-bero potuto dare un contributo decisivo alla loro soluzione;

— nel paragrafo 5, che conclude il testo, l’attenzione si spo-sta sui contenuti sostanziali dell’articolo 119. In questo modo èpossibile individuare alcuni principi di fondo del modello di fe-deralismo fiscale che, in effetti, sembrano molto ragionevoli e datenere nella massima considerazione.

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3 Il riferimento alle regioni ordinarie è necessario, in quanto per il sistema difinanziamento di quelle a statuto speciale valgono tuttora le norme dei rispettivistatuti.

2. - Perché è stato riscritto l’articolo 119

Scorrendo il testo del vigente articolo 119 della Costituzionela prima impressione è che la versione del 1948 sia stata novella-ta soprattutto al fine di valorizzare l’autonomia finanziaria deglienti territoriali e, in particolare, quella delle regioni a statuto or-dinario, per un lungo periodo mortificata dal legislatore naziona-le al punto da renderla praticamente inesistente. Proprio questo,del resto, potrebbe essere stato uno dei motivi per cui la legge co-stituzionale di riforma della riforma4 non conteneva modifiche al-l’art. 119 Cost.5.

Che la tutela dell’autonomia finanziaria sia uno degli obietti-vi prioritari del vigente articolo 119 è confermato dal livello didettaglio, quasi da manuale, utilizzato per la definizione del con-cetto, a partire dal comma 1 dove, a differenza di quanto avveni-va nel testo originario, si precisa che essa deve essere “di entra-ta” e “di spesa”.

A sostegno dell’autonomia di entrata il comma 2 afferma chele regioni e gli enti locali, oltre a beneficiare «di compartecipa-zioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio», «Sta-biliscono e applicano tributi ed entrate propri in armonia con laCostituzione e secondo i principi di coordinamento della finanzapubblica e del gettito tributario».

A sostegno dell’autonomia di spesa, nel comma 3 si prevedeche, con legge dello Stato, venga istituito «un fondo perequativo,senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacitàfiscale per abitante» e, nel comma 4, si afferma che le entrate dicui ai commi precedenti — cioè i tributi propri e le entrate pro-prie, le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali e le asse-gnazioni del fondo perequativo senza vincoli di destinazione, «con-

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4 Ci si riferisce alla legge costituzionale di ulteriore riforma del Titolo V, defi-nitivamente approvata dal Parlamento alla fine del 2005, ma non entrata in vigo-re non avendo superato il referendum confermativo del 6 giugno 2006.

5 Tra gli studi sull’art. 119 del vigente Titolo V della Costituzione cfr.: BASSA-NINI F. (2006); BASSANINI F. - MACCIOTTA G. (2004); BORDIGNON M. - CERNIGLIA F.(2003); BRANCASI A. (2002); BURATTI C. (2003); DE GRAZIA D. (2002); GIARDA P. (2001;2003; 2004); LIBERATI P. (2002); PICA F. - STAMMATI S. (2002); PITRUZZELLA G. (2002);ZANARDI A. (2006).

sentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alleRegioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro at-tribuite». Il concetto che le spese degli enti territoriali per le fun-zioni attribuite siano coperte da entrate “libere” è ulteriormenterafforzato dal comma 5 nel quale si prevedono interventi aggiun-tivi dello Stato — cioè l’assegnazione di trasferimenti vincolati —ma solo a favore di determinati enti territoriali e solo per un ven-taglio dettagliato di finalità: «Per promuovere lo sviluppo econo-mico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squi-libri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei di-ritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normaleesercizio delle loro funzioni».

Rispetto al testo originario, i passi in avanti a sostegno del-l’autonomia finanziaria sono indubbiamente significativi. In par-ticolare, rileva al riguardo:

— il fatto che essa debba essere garantita a tutti i livelli digoverno subcentrali e non solo alle regioni;

— il richiamo esplicito a tributi istituiti e gestiti dagli entiterritoriali;

— l’affermazione del fatto che le entrate “libere” consentonoil finanziamento integrale delle funzioni attribuite;

— il restringimento delle ipotesi in cui è possibile ricorrere atrasferimenti aggiuntivi, soprattutto per la specificazione delle fi-nalità ammissibili, visto che anche nella versione originaria eraprevisto che tali trasferimenti potessero essere assegnati solo asingole regioni.

Naturalmente a favore di tale interpretazione gioca anche —ed, anzi, in primo luogo — il fatto che la legge costituzionale n.3 del 2001, oltre a riformare l’art. 119, ha profondamente no-vellato tutto il Titolo V della Costituzione, valorizzando e am-pliando il ruolo che le autonomie territoriali possono svolgerenella definizione e attuazione delle politiche pubbliche. Basticonsiderare, al riguardo, la nuova distribuzione tra centro e pe-riferia della potestà legislativa e di quella amministrativa. Per laprima «il nuovo articolo 117 ha attribuito allo Stato la compe-tenza esclusiva nelle materie elencate dal secondo comma, alloStato e alle Regioni la competenza concorrente nelle materie enu-

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merate al terzo comma, alle regioni la competenza residuale (art.117, comma 4) avente ad oggetto tutti gli ambiti non compresinegli elenchi precedenti»6. Per la seconda, l’art. 118, comma 1,cancella il principio del parallelismo (rispetto alla potestà legi-slativa) e stabilisce che «Le funzioni amministrative sono attri-buite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario,siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato,sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed ade-guatezza».

È dunque logico che l’autonomia finanziaria — un corollarioessenziale dell’autonomia tout court degli enti territoriali — do-vesse essere modificata nel senso di un suo adeguato rafforza-mento. Ciò nonostante è lecito sostenere che la riscrittura dell’ar-ticolo 119 sia stata effettuata soprattutto per tutelare meglio l’au-tonomia finanziaria?

Per chiarire questo aspetto sembra opportuno considerare, dalpunto di vista quantitativo ma soprattutto da quello qualitativo,la positiva evoluzione dell’autonomia finanziaria nel periodo du-rante il quale l’articolo 119 nella versione originaria è stato il pun-to di riferimento per il legislatore ordinario ai fini della defini-zione delle regole del finanziamento delle regioni.

3. - Evoluzione del sistema di finanziamento nel periodo divigenza dell’art. 119 Cost. originario

Per l’aspetto quantitativo basti considerare che nel 1975 le re-gioni ordinarie gestivano 3.519 miliardi di lire. Nel 2005, in euro,si tratterebbe di 15,8 miliardi, pari a poco più dell’1% del Pil at-tuale. Le entrate delle stesse regioni sono invece pari, ora, a cir-ca 112 miliardi e a più dell’8% del Pil. Le funzioni e quindi la fi-nanza di questo livello di governo, nel periodo considerato, si so-no dunque ampliate in modo significativo, certamente a causa deldecentramento di funzioni di cui al D.p.r. n. 616 del 1977 e allalegge n. 59 del 1997, ma soprattutto in seguito all’istituzione del

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6 D’ATENA A. (2006, p. 512).

Servizio sanitario nazionale e alla contemporanea regionalizza-zione della gestione delle spese in materia: allo scopo, nel 1980,sono stati trasferiti alle regioni (comprese quelle a statuto spe-ciale) 18 mila miliardi di lire, pari a circa 5 punti del Pil dellostesso anno7.

Ancora più significativa è l’evoluzione del sistema di finan-ziamento delle regioni ordinarie letta dal punto di vista qualita-tivo.

A questo scopo si concentrerà l’attenzione sull’autonomia dientrata e di spesa, cioè sui due aspetti fondamentali dell’autono-mia finanziaria ai quali fa esplicito riferimento il vigente articolo119 Cost.8

Per quanto riguarda l’autonomia di entrata, un indicatore tra-dizionalmente usato per valutarne il livello è il rapporto tra le en-trate proprie di un ente territoriale (o di un dato livello di gover-no) e il totale delle sue entrate correnti. Con l’espressione “entra-te proprie” normalmente ci si riferisce alle fonti di finanziamen-to ordinario degli enti territoriali, il cui gettito può essere da es-si adeguato ai rispettivi bisogni di spesa. Rientrano in questa ca-tegoria, quindi, i proventi della vendita di beni e servizi, le tarif-fe, i canoni e, ovviamente i tributi propri. Nel caso delle regioniconviene concentrare l’attenzione su quest’ultima voce, dato chele altre entrate proprie hanno comunque una importanza moltoridotta (ancora adesso non più del 3% del totale delle entrate cor-renti).

Dal punto di vista economico, un tributo di un ente territo-riale può essere definito “proprio” solo quando agli enti che nepercepiscono il gettito è attribuito almeno il potere di modificarel’aliquota con cui viene applicato, sia pure entro limiti minimi e

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7 In un recente studio sul decentramento fiscale in 25 paesi OCSE relativo alperiodo 1970-2001, nel gruppo di quelli nei quali la quota del totale della spesapubblica consolidata gestita dai governi subcentrali è aumentata di più, l’Italia,con un +12%, è il quarto paese, dopo Belgio, Spagna, e Islanda (STEGARESCU D.,2006, p. 33).

8 Per maggiori approfondimenti sull’evoluzione del sistema di finanziamentodelle regioni si rimanda a: ARACHI G. - ZANARDI F. (2000); BATTISTON F. - STRUSI A.(1999); BOSCO B. (1996); BOSI P. - TABELLINI G. (1996); BUGLIONE E. (2001); COVI-NO F. (2001); GIARDA P. (2000); STRUSI A. (1999).

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massimi fissati dal governo centrale9. Se gli enti territoriali nonpossono intervenire nemmeno su questo aspetto — come avvienenel caso delle compartecipazioni a tributi erariali — si tratta, in-vece, di un trasferimento di entrate tributarie.

Nel 1975 il gettito dei tributi propri delle regioni ordinarie erapari a 194 miliardi di lire e rappresentava il 6,2% del totale del-le entrate correnti. Il livello di autonomia di entrata — o, per me-glio dire, di autonomia tributaria, visto che non sono state consi-derate le altre entrate proprie — era, quindi, molto basso. Nel1990 la situazione, da questo punto di vista, era ancora peggiore.Nonostante un aumento del gettito da tributi propri pari al 45%in termini reali, a causa della forte crescita dei trasferimenti sta-tali per i finanziamento della sanità e delle altre materie di com-petenza delle regioni il livello di autonomia tributaria scendeva al2,3%. Nel corso del decennio successivo, tuttavia, vengono intro-dotte importanti riforme volte a rafforzare le entrate tributarie del-le regioni — come anche degli enti locali — in sostituzione di tra-sferimenti ordinari dallo Stato. Rispetto al 1990, nel 1999 il get-tito dei tributi propri delle regioni aumenta del 3.038% a prezzireali e la sua incidenza sul totale delle entrate correnti sale a piùdel 55%, per poi stabilizzarsi, nel corso degli esercizi successivi,intorno al 45%. Nel 2005, il gettito dei tributi propri delle regio-ni ordinarie è stato di 40 miliardi di euro, pari al 46,2% delle en-trate correnti. Livelli di autonomia tributaria come quelli attualisono oggettivamente significativi, soprattutto se si tiene conto deivalori relativi ad altri paesi, compresi quelli federali10.

Per quanto riguarda l’autonomia di spesa, come indicatoreverrà usato il rapporto tra le entrate delle regioni senza vincoli di

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9 Sono invece da considerare elementi aggiuntivi, sia pure di grande rilevan-za: il fatto che il tributo sia istituito dall’ente territoriale beneficiario del gettito,anche se in attuazione di norme di principio fissate dal governo centrale; il fattoche la gestione del tributo — accertamento, riscossione, contenzioso, applicazio-ne delle sanzioni — spetti in tutto o in parte all’ente territoriale; il fatto che nonsiano previsti vincoli di destinazione sul gettito del tributo, in quanto ciò com-porterebbe delle limitazioni alla discrezionalità dell’ente territoriale nell’allocazio-ne funzionale delle risorse.

10 In base a dati OECD per il 2002, l’incidenza dei tributi propri sulle entra-te dei livelli intermedi è pari al 32,7% in Spagna, al 41,1% in Australia, al 2% inGermania, al 3,7% in Austria (OECD, 2005).

destinazione imposti da livelli superiori di governo e il totale delleentrate al netto di quelle provenienti da mutui. I cambiamenti ve-rificatisi nel corso del periodo in esame anche in questo caso sonoevidenti. Nel 1975 le entrate libere rappresentavano, al massimo,circa il 30% del totale delle entrate delle regioni ordinarie. Nel 1990,tuttavia, l’incidenza delle entrate libere era scesa all’11,4% e ciò inquanto, come si è già osservato, la maggior parte delle nuove fun-zioni attribuite nel corso del tempo alle regioni — tra le quali, inprimo luogo, la sanità — è stata finanziata con trasferimenti vin-colati. È solo a partire da questa data che il livello di autonomiadi spesa comincia ad aumentare e in modo significativo. A causadella sostituzione del fondo nazionale trasporti con entrate di na-tura tributaria, avvenuta nel 1995, e della prima riforma del finan-ziamento del servizio sanitario nazionale — consistente nell’attri-buzione alle regioni di nuovi importanti tributi propri (addiziona-le Irpef e Irap) in sostituzione dei contributi sanitari (una entratadi natura tributaria ma necessariamente di scopo) — nel 1999 leentrate formalmente libere da vincoli di destinazione salgono al60% del totale. L’ulteriore riforma del sistema di finanziamento del-la sanità di cui al D.lgs. n. 56 del 2000 — consistente nell’aboli-zione del Fondo sanitario nazionale come trasferimento alle regio-ni ordinarie e nella sua sostituzione sia con maggiori entrate di na-tura tributaria (aumento della compartecipazione all’accisa sullabenzina e aumento dell’addizionale Irpef di base) sia con le asse-gnazioni libere del fondo perequativo istituito con lo stesso decre-to — ha portato il valore del rapporto in questione all’81% nel 2001e intorno all’84% negli esercizi successivi fino al 200511.

4. - Limiti dell’attuale autonomia finanziaria e prospettivedi soluzione con il vigente art. 119 Cost.

I dati a cui sopra si è fatto riferimento indicano che, in defi-nitiva, i contenuti dell’articolo 119 Cost. nella versione originaria

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11 Sul sistema di perequazione di cui al D.lgs. 56 del 2000, può farsi riferi-mento a: ZANARDI A. (1999); GIARDA P. (2000); LIBERATI P. (2001); BARBERO M. (2004);MERCURI M.C. - FONTANA A. (2005); STRUSI A. - SABBADINI A. (2005).

hanno consentito al legislatore ordinario di attuare un sistema difinanziamento delle regioni all’inizio molto derivato e vincolato e,successivamente, un sistema che riconosce spazi di autonomia dientrata e di spesa simili a quelli che si riscontrano nella maggiorparte dei paesi con un sistema di governo fortemente decentratoo propriamente federale.

Tuttavia, se dalla semplice analisi dei dati si passa a consi-derare gli aspetti sostanziali del sistema di finanziamento delleregioni, si osserva che una serie di problemi continuano a sus-sistere.

Per quanto riguarda gli attuali tributi propri delle regioni, ilproblema non è tanto quello della ristrettezza dei margini di ma-novrabilità consentiti dalla normativa statale12, ma il fatto che lamaggior parte del gettito deriva dalle aliquote minime e obbliga-torie previste dalla normativa statale13. È sicuramente vero, inol-tre, che l’autonomia tributaria di cui attualmente godono le re-gioni ordinarie è sempre e comunque, per così dire, derivata dal-lo Stato, sia perché gli attuali tributi propri sono stati introdotticon legge nazionale, sia perché, in quasi tutti i casi, essi devonocomunque essere applicati anche a prescindere da qualsiasi nor-mativa regionale di attuazione, sia perché lo Stato può sempremodificare la disciplina di queste imposte o, addirittura, soppri-merle.

Nel periodo immediatamente successivo alla entrata in vigo-

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12 È stato calcolato, ad esempio, che se le regioni ordinarie sfruttassero inte-ramente i margini di manovrabilità originariamente previsti nella normativa sta-tale per l’Irap, l’addizionale Irpef, la tassa sulla benzina e la tassa automobilisti-ca, sarebbe possibile ottenere, come media nazionale, un incremento delle entra-te (da imposte e da trasferimenti, correnti e in conto capitale) pari al 7% (ACOFF,2005, Allegato 2 «Documentazione di base elaborata in materia di riforma del de-creto legislativo 56/2000»). In valori assoluti si tratta di circa 8 miliardi, pari al20% del gettito standard dei principali tributi delle regioni.

13 Ciò vale, in particolare, per l’Irap. In primo luogo, in quanto circa il 20%del gettito prodotto deriva dalla cosiddetta Irap pubblica non modificabile in al-cun modo da parte delle regioni e, quindi, da considerare, dal punto di vista eco-nomico, un vero e proprio trasferimento. In secondo luogo, in quanto, del gettitorestante, una quota non inferiore all’80% deriva dall’aliquota minima prevista dal-lo Stato per l’Irap sul settore privato pari al 3,25% della base imponibile (l’aliquotastandard del 4,25% può infatti essere manovrata dalle regioni fino ad un massi-mo di un punto percentuale in aumento o in diminuzione).

re della l.c. n. 3 del 2001, dalle regioni e da una parte della dot-trina era stata avanzata l’ipotesi che il comma 2 del vigente art.119 Cost., potesse efficacemente contribuire a rafforzare l’auto-nomia finanziaria delle regioni sul versante delle entrate.

In primo luogo, perché si era ritenuto che le regioni potesse-ro procedere all’istituzione di nuovi tributi — che, come precisa-to nello stesso comma 2, fossero in armonia con la Costituzionee con i principi di coordinamento della finanza pubblica e del si-stema tributario — senza attendere che lo Stato definisse con ap-posita legge tali principi, come previsto al comma 3 dell’articolo117 per le materie di legislazione concorrente, tra le quali rien-tra, appunto, il coordinamento della finanza pubblica e del siste-ma tributario. In base a questo orientamento, i principi di riferi-mento si sarebbero potuti trarre dall’ordinamento vigente, cosaammessa dalla Corte costituzionale in altri settori al fine di evi-tare che i ritardi del governo impedissero l’operatività del vigen-te titolo V.

In secondo luogo, si era ritenuto che il comma 2 dell’artico-lo 119 Cost. e il riassetto della potestà legislativa di Stato e re-gioni ex art. 117 Cost. consentissero alle regioni di intervenire neiconfronti dei tributi propri esistenti, cioè quelli istituiti e disci-plinati in linea generale da leggi dello Stato, oltre i margini di ma-novra ammessi dalla normativa statale e rendesse altresì impos-sibile, allo Stato, la modifica unilaterale della disciplina di tali im-poste. Essendo l’istituzione ex novo di nuovi tributi oggettivamentedifficile, questo secondo versante era di particolare interesse perle regioni e, d’altra parte, molto problematico per il governo cen-trale che, proprio in quel periodo — cioè all’inizio della passatalegislatura — al fine di contenere la pressione tributaria com-plessiva era intenzionato a intervenire sui cosiddetti tributi regio-nali per ridurre la base imponibile (in particolare per l’Irpef e perl’Irap) e per bloccare, sia pure temporaneamente, le possibilità diinasprimento del prelievo da parte delle regioni ammesse dalla le-gislazione vigente.

Entrambe queste interpretazioni a favore di un rafforzamen-to dell’autonomia tributaria regionale si sono rivelate, tuttavia,infondate. La Corte costituzionale, con un orientamento giuri-

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sprudenziale ormai consolidato14 ha, infatti, escluso che nuovi tri-buti degli enti territoriali possano essere istituiti in assenza di unaspecifica legge statale di principio in materia — che, per altro, ilgoverno è stato sollecitato ad emanare al più presto — e ha al-tresì ribadito il diritto dello Stato ad intervenire sugli attuali tri-buti regionali (e locali) che traggono origine dalla normativa na-zionale.

Tale orientamento della Corte sembra, in effetti, in gran par-te da condividere, soprattutto se si tiene presente la delicatezzadella materia tributaria e la situazione di particolare difficoltà del-la finanza pubblica, per superare la quale un coordinamento delprelievo fiscale operato dai vari livelli di governo appare indi-spensabile15. La Corte, tuttavia, avrebbe potuto sostenere, con piùchiarezza di quanto non abbia fatto, l’esigenza dell’attribuzioneagli enti territoriali di entrate sostitutive in caso di interventi vol-ti a ridurre le potenzialità di gettito dei tributi propri e chiedere,anche, che tali entrate sostitutive fossero comunque di natura tri-butaria.

In definitiva, non sembra che la riscrittura dell’art. 119 Cost.,come interpretato dalla Corte, abbia fatto venir meno il caratterederivato (dallo Stato) dell’autonomia tributaria delle regioni e, piùin generale, degli enti territoriali. Ma è questo un vero problema?Se si prescinde da posizioni di principio e si guarda, piuttosto, al-la prassi, si deve osservare che in quasi tutti i paesi — anche quel-li a struttura federale — le imposte dei livelli subcentrali di go-verno traggono molto spesso origine dalla legislazione nazionalee sono manovrabili entro limiti prestabiliti da questa fissati. In al-tre parole, il fatto che l’autonomia tributaria delle regioni (e de-gli enti locali), in Italia, sia in gran parte derivata dallo Stato non

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14 Sulle sentenze della Corte costituzionale in materia, si veda, ad esempio,STANCATI Z. (2006).

15 Per un’analisi, con esempi concreti, dei possibili effetti negativi connessi adun ampio decentramento fiscale — inteso come attribuzione del potere di spesa edel potere tributario — soprattutto in paesi che, al loro interno, presentano fortidisparità di sviluppo economico, si veda TANZI V. (2002). Molto interessante, daquesto punto di vista è anche l’esperienza della Spagna, dove, a fronte dei rischiconnessi ad un ampliamento del potere impositivo delle Comunità autonome, laCorte Costituzionale è intervenuta per limitarlo (BEREIJO A.R., 2006).

è poi una situazione così anomala come potrebbe sembrare a pri-ma vista.

Passando all’autonomia di spesa, i dati a cui sopra si è fattoriferimento indicano che le innovazioni introdotte prima della ri-scrittura dell’articolo 119 avevano già ridotto il peso dei trasferi-menti vincolati, tanto da far salire ad oltre l’80% l’incidenza del-le entrate libere sul totale delle entrate.

Questi dati, tuttavia, non tengono conto del fatto che, pur es-sendo l’assistenza sanitaria attualmente finanziata dalle regionicon entrate che affluiscono al bilancio senza vincoli formali di de-stinazione — il gettito dell’Irap, dell’addizionale Irpef, dell’accisasulla benzina e le assegnazioni del fondo perequativo — esse so-no, comunque, tenute a destinare al settore le risorse necessariea garantire ai cittadini i livelli essenziali di assistenza. Escluden-do dalle entrate libere la quota di risorse necessaria a garantiretali livelli — come quantificata nei decreti con i quali ogni annoviene stimato il fabbisogno di spesa oggettivo per il servizio sani-tario nazionale — l’autonomia di spesa attuale delle regioni ordi-narie scende a circa l’11%, cioè ai valori che aveva prima dellariforma del sistema di finanziamento della sanità.

Da questo punto di vista la riscrittura dell’art. 119 Cost. nonsembra avere avuto alcuna efficacia. Le norme di cui al comma4 e al comma 5 rendono più difficile l’utilizzazione di trasferi-menti esplicitamente vincolati, ma non toccano la previsione diLivelli essenziali di prestazioni (Lep) da garantire su tutto il ter-ritorio nazionale sulle materie di competenza regionale, sia essaesclusiva o concorrente. Anzi, il fatto che alla lettera m) del com-ma 2 dell’art. 117 Cost., si attribuisca allo Stato una competenzaesclusiva in materia, garantisce che anche in futuro questa formaimplicita di limitazione dell’autonomia di spesa possa continuarea verificarsi e non solo in sanità ma anche in tutti gli altri setto-ri — ad esempio istruzione, assistenza pubblica, ambiente — incui si ritenga utile e necessario prevedere dei Lep.

Come per l’autonomia tributaria anche in questo caso è op-portuno chiedersi se ciò rappresenti un problema e non, piutto-sto, una conseguenza necessaria di fronte all’esigenza prioritariadi mantenere l’unità sostanziale del paese. Quando gli enti terri-

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toriali — come le regioni in Italia — sono chiamati a gestire fun-zioni ad alto costo, che rispondono a bisogni essenziali dei citta-dini e per le quali esiste un desiderio diffuso di prestazioni ade-guate ai bisogni su tutto il territorio, l’autonomia di spesa finiscesempre per essere molto contenuta, indipendentemente dal fattoche tali funzioni siano finanziate con trasferimenti vincolati o conentrate libere. In altre parole, bisognerebbe prendere atto che esi-ste un inevitabile trade-off tra rilevanza economica e sociale dellefunzioni decentrate e margini di discrezionalità, per gli enti ter-ritoriali, circa l’allocazione delle risorse tra le varie materie di lo-ro competenza.

L’autonomia di spesa, d’altra parte, può anche essere riferitaalla discrezionalità degli enti territoriali per quanto riguarda gliaspetti organizzativi e gestionali dell’erogazione dei servizi, com-presi quelli soggetti a livelli essenziali di prestazioni. Su questoversante esistono effettivamente ampi margini di intervento, a par-tire dal riconoscimento alle regioni di maggiori poteri per quan-to riguarda i livelli retributivi del personale. Sfruttare tali margi-ni può rivelarsi una scelta strategica al fine di permettere di rea-lizzare una delle principali opportunità offerte dall’attuazione diun modello federale: quella di migliorare, attraverso il decentra-mento, l’efficienza nella gestione delle risorse pubbliche. E pro-prio per questo, forse, la Corte costituzionale ha costantementedifeso l’autonomia di gestione degli enti territoriali da eccessiveingerenze del centro, anche se motivate dall’esigenza superiore delcontenimento e del controllo della spesa pubblica. In particolarela Corte, pur ritenendo perfettamente legittimi e necessari gli in-terventi del governo in questa materia, ha ribadito, ad esempiocon la sentenza n. 417 del 200516, che i vincoli posti dallo Statoagli enti territoriali «debbono avere ad oggetto o l’entità del disa-vanzo di parte corrente, oppure — ma solo in via transitoria edin vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pub-blica perseguiti dal legislatore statale — la crescita della spesa cor-rente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale può sta-bilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia

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16 In www.giurcost.org>decisioni.

libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettividi spesa».

Resta, tuttavia, la questione dei trasferimenti esplicitamentevincolati a determinati interventi. In effetti, nell’art. 119 Cost.,quanto affermato nel comma 4 (in base al quale le risorse libereconsentono l’esercizio delle funzioni attribuite) e nel comma 5 (inbase al quale trasferimenti vincolati potrebbero essere assegnatisolo per determinate finalità e solo a singoli enti) sembra impor-re vincoli stringenti all’uso di questa forma di finanziamento del-le regioni e degli enti territoriali da parte dello Stato. Bisogna tut-tavia osservare che essa è presente nei modelli di finanziamentodei governi subcentrali di tutti paesi, compresi quelli a strutturafederale. Ciò in quanto, di fronte all’esigenza di realizzare obiet-tivi di interesse nazionale in materie decentrate, si ritiene oppor-tuno e giusto, prima di tutto nei confronti degli stessi enti terri-toriali, che il centro intervenga mettendo a disposizione risorseaggiuntive tarate sul fabbisogno di spesa oggettivo posto a caricodei singoli enti dato l’obiettivo da raggiungere e che il centro pos-sa verificare l’utilizzazione che viene fatta di tali assegnazioni.

Un’interpretazione ragionevole delle disposizioni dei commi 4e 5 dovrebbe dunque portare a ritenere che esse siano soprattut-to finalizzate ad evitare un ricorso così massiccio a tale forma difinanziamento da ricreare una situazione simile a quella del pe-riodo nel quale i trasferimenti vincolati erano di gran lunga laprincipale entrata delle regioni.

In effetti, le sentenze della Corte costituzionale sembranoorientate in questo senso. Dopo alcune pronunce nelle quali tra-sferimenti vincolati all’insieme delle regioni in materie di lorocompetenza sono stati ritenuti comunque incostituzionali in quan-to fortemente lesivi dell’autonomia di questo livello di governo, laCorte ha adottato un approccio più articolato. Al riguardo risul-tano di particolare interesse alcune sentenze del 2005, in base al-le quali si possono trarre le seguenti indicazioni:

— una volta attuate le previsioni costituzionali a tutela del-l’autonomia finanziaria, nelle materie di competenza degli enti ter-ritoriali i contributi speciali di cui al comma 5 dell’articolo 119potranno essere usati anche per assegnare all’insieme delle regio-

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ni (o degli enti locali) risorse “aggiuntive” ai normali finanzia-menti (sentenza n. 222 del 200517);

— allo stato attuale — cioè prima dell’attuazione dell’articolo119 Cost. — i finanziamenti vincolati in materie di competenza re-siduale o concorrente delle regioni sono illegittimi, rappresentandouno strumento di ingerenza nell’esercizio delle funzioni (sentenzan. 51 del 2005 in materia di addestramento professionale18). Tutta-via, se finanziamenti di settore erano previsti da leggi in vigore pri-ma della riforma della Costituzione, essi possono continuare ad es-sere erogati a patto che la ripartizione delle risorse venga appro-vata dalle regioni in sede di Conferenza unificata (sentenza n. 222del 2005 in materia di trasporto pubblico locale, già richiamata).

5. - Validità dei principi dell’art. 119 Cost. per un federalismo sostenibile

I dati sull’evoluzione della finanza regionale nel periodo dal1970 al 2001 indicano che l’art. 119 Cost. nella versione origina-ria non ha certamente impedito — quando è maturato un orien-tamento politico in tal senso — un forte decentramento della spe-sa pubblica a favore delle regioni e una positiva evoluzione dellaloro autonomia finanziaria. Il rapporto spese/Pil, per questo livel-lo di governo è, infatti, aumentato di circa 7 punti, l’autonomiadi entrata è passata dal 6% al 45% e l’autonomia di spesa, consi-derando le fonti di finanziamento libere da vincoli formali di de-stinazione, dal 30% iniziale all’attuale 84%.

Nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigoredella legge costituzionale n. 3 del 2001, le disposizioni del vigen-te articolo 119 avevano fatto ritenere possibile un ulteriore raffor-zamento dell’autonomia finanziaria, tra l’altro attuabile immedia-tamente, anche a prescindere da provvedimenti dello Stato volti ariordinare il sistema di finanziamento nel suo complesso e a det-tare i principi generali di riferimento in materia di autonomia im-positiva delle regioni e degli enti locali. Le sentenze della Corte

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17 In www.giurcost.org>decisioni.18 In www.giurcost.org>decisioni.

costituzionale hanno, tuttavia, sensibilmente ridimensionato taliaspettative. Esse, infatti, pur essendo spesso intervenute per evi-tare violazioni dell’autonomia finanziaria delle regioni e degli en-ti locali palesemente in contrasto con le disposizioni dell’articolo119, hanno anche assicurato al centro ampie possibilità di con-trollo e di coordinamento sul sistema impositivo e, più in gene-rale sulla finanza pubblica, garantendo altresì una continuità ri-spetto al modello di finanziamento attuale, in particolare perquanto riguarda l’autonomia tributaria e di spesa.

Ciò nonostante, la riscrittura dell’articolo 119 effettuata nel2001 appare un’operazione utile, soprattutto se si concentra l’at-tenzione, come del resto sembra aver fatto la Corte, non tanto sulsignificato letterale dei suoi commi, quanto sui principi generaliche esso introduce in materia di federalismo fiscale.

Tali principi possono essere riassunti come segue:— gli enti territoriali devono disporre di entrate il cui getti-

to possa essere da loro adattato al proprio fabbisogno di spesa; — gli enti territoriali possono istituire e gestire tributi a ca-

rico delle proprie collettività, nel rispetto dei principi della Costi-tuzione e di quelli fissati in apposite leggi dello Stato, nonché al-tre entrate proprie;

— il finanziamento ordinario degli enti territoriali deve pro-venire da entrate prodotte nel territorio amministrato, e, quindi,da tributi propri — autonomi, in quanto istituiti e gestiti daglistessi enti, o, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale,derivati, in quanto istituiti con legge dello Stato — da comparte-cipazioni a tributi erariali ripartite con il criterio geografico e daaltre entrate proprie;

— lo Stato deve intervenire a favore degli enti economica-mente svantaggiati con le assegnazioni libere del fondo perequa-tivo, al fine di garantire l’esercizio delle funzioni attribuite, non-ché con le assegnazioni aggiuntive di scopo di cui al comma 5.Queste ultime, inoltre, possono essere anche usate per consentireil raggiungimento di obiettivi di interesse generale in tutto il ter-ritorio nazionale, ma, come indicato dalle sentenze della Corte, ècomunque necessaria l’intesa con gli enti beneficiari, almeno perquanto riguarda il riparto e la gestione delle risorse.

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— gli interventi finanziari dello Stato devono essere orientatialla promozione dell’efficienza. Ciò vale, ovviamente, per i trasfe-rimenti aggiuntivi, per i quali è normale che vengano previsti ob-blighi di rendicontazione dell’uso che ne viene fatto nonché valu-tazioni preventive dei programmi di intervento. Ma vale anche perle assegnazioni del fondo perequativo, dovendo essere tarate sullacapacità fiscale per abitante. Il significato letterale del termine “ca-pacità fiscale” escluderebbe che si possa tenere conto dei costi og-gettivi necessari per l’esercizio delle funzioni, ma, se si guarda aicontenuti sostanziali — cioè al fatto che il fondo perequativo, in-sieme alle entrate del comma 2, garantisce l’esercizio delle funzioniattribuite — questi costi non possono essere tralasciati;

— ogni ente territoriale è responsabile delle proprie scelte difronte ai cittadini. A favore dell’accountability giocano, infatti, di-versi fattori: la garanzia dell’autonomia di entrata e di spesa, l’o-rientamento pro efficienza dei trasferimenti dallo Stato; l’utilizza-bilità di trasferimenti aggiuntivi e vincolati solo in determinate ipo-tesi; nonché le disposizioni di cui al comma 6 sempre dell’art. 119Cost., relative al divieto di indebitamento per spese correnti — perevitare che vengano scaricate sulle generazioni future spese che van-no a vantaggio delle generazioni presenti — e all’esclusione di ga-ranzie dello Stato sui prestiti contratti dagli enti territoriali.

Un elenco, sia pure non esaustivo, dei principi a cui dovreb-be ispirarsi un modello di federalismo fiscale, suggeriti dai con-tenuti sostanziali dell’art. 119 Cost. deve tuttavia tenere conto dialtri due aspetti fondamentali, indicati non nell’art. 119, ma neicommi 2 e 3 dell’art. 117 perché è qui che viene fornito l’elencodelle funzioni riservate, rispettivamente, alla competenza legisla-tiva esclusiva dello Stato e alla competenza legislativa concorren-te. Ci si riferisce: per il comma 2, alla lettera e) concernente lafunzione di perequazione e alla lettera m) relativa ai livelli es-senziali di prestazioni da garantire su tutto il territorio naziona-le; per il comma 3, all’attribuzione allo Stato del compito di fis-sare, con apposta legge, i principi fondamentali in materia di ar-monizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della fi-nanza pubblica e del sistema tributario.

Riservare in via esclusiva allo Stato la funzione di perequa-

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zione e la fissazione dei Lep è una condizione essenziale a tuteladell’unità nazionale. Ma altrettanto importante è attribuire alloStato l’individuazione di principi generali, validi per tutte le am-ministrazioni pubbliche, in materia di armonizzazione dei bilan-ci e per il controllo della finanza pubblica e del sistema tributa-rio. Da un lato, ciò è indispensabile per poter mettere in piedi unsistema di monitoraggio efficiente delle entrate e delle spese ditutti i livelli di governo e del livello di funzionalità con il qualeciascuna amministrazione gestisce il proprio bilancio. Dall’altro,questa è l’unica strada possibile per coinvolgere pienamente glienti territoriali nel risanamento della finanza pubblica, estenden-do l’ambito della loro responsabilità non solo nei confronti dellecollettività locali ma anche nei confronti di quella nazionale. Delresto, se si tiene presente l’entità della quota della spesa pubblicacomplessiva già ora gestita dagli enti territoriali (quasi il 50%, alnetto, per lo Stato, degli oneri previdenziali e per il debito pub-blico) appare evidente che, senza una fattiva e leale collaborazio-ne tra il governo nazionale e gli enti territoriali, sarebbe impos-sibile riprendere il cammino del risanamento della finanza pub-blica e, quindi, sarebbe ad elevato rischio il ravvicinamento ai pa-rametri previsti nel Patto di Stabilità e Crescita.

In definitiva, per avere un modello di federalismo fiscale coe-rente con le indicazioni dell’art. 119 Cost. e del Titolo V, dunquemoderno e sostenibile per il paese, non è necessario stravolgerel’assetto attuale ma intervenire opportunamente su alcuni aspetti.In particolare sembra essenziale:

— migliorare la capacità di autofinanziamento ordinario de-gli enti territoriali, al fine di consentire loro di far fronte al fab-bisogno di spesa senza incidere negativamente sul percorso dirientro nei parametri del Patto di Stabilità e Crescita;

— migliorare la programmabilità delle entrate, intesa noncome certezza, nel tempo, di un tasso predeterminato di crescita,ma come possibilità per gli enti territoriali, di prevedere in anti-cipo la dinamica delle principali fonti di finanziamento, compre-se eventuali fluttuazioni negative;

— rafforzare gli incentivi per un uso efficiente ed efficace del-le risorse negli interventi finanziari dello Stato a sostegno degli

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enti territoriali, in particolare per quanto riguarda i trasferimen-ti ordinari integrativi delle entrate tributarie;

— valorizzare l’autonomia di gestione del bilancio, per sfrut-tare al meglio i vantaggi della riforma in senso federale e per ot-tenere, dagli enti territoriali, un contributo più fattivo al risana-mento della finanza pubblica;

— più in generale, rafforzare l’accountability degli enti terri-toriali nei confronti non solo delle collettività amministrate, maanche del Paese nel suo insieme.

Su questi aspetti sono state avanzate proposte coerenti con icontenuti sostanziali del Titolo V nel documento finale dell’AltaCommissione per il federalismo fiscale19. Inoltre, nella finanziariaper il 2007, sono stati fatti alcuni passi concreti in avanti. Ad esem-pio per quanto riguarda:

— il rafforzamento della capacità di autofinanziamento in ter-mini di tributi propri e di tariffe per i servizi erogati;

— l’attribuzione alle regioni di maggiori responsabilità per lacopertura delle spese finali in sanità;

— la valorizzazione dell’autonomia di gestione del bilanciocon la proposta di avviare, in alcune regioni, la sperimentazionedi un controllo del rispetto del Patto di stabilità interno basatosui saldi di bilancio, invece che sulla dinamica di specifiche com-ponenti di spesa.

Molto, tuttavia, resta da fare e, in questo ambito, spicca l’in-troduzione di parametri pro efficienza nel riparto dei trasferimentiordinari. Si tratta di un tema oggettivamente complesso in quan-to, se ci si muove in questa direzione abbandonando il criteriodella spesa storica, inevitabilmente alcuni enti finiscono per otte-nere minori risorse a vantaggio di altri, il che, come dimostra l’e-sperienza del d.lgs. 56 del 2000, è difficile da far accettare. A me-no che, in questo e in altri campi, non si proceda valorizzando almassimo il principio di leale collaborazione tra livelli di governoe il raggiungimento di intese preventive con le regioni e gli entilocali, come del resto sembra indicare, ormai, anche la giuri-sprudenza della Corte costituzionale.

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19 ACOFF (2005) e, per una sintesi, BUGLIONE E. (2006).

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