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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 7 ottobre 2018 www.ilgibbo.it CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO (A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 ) Cap. 12 Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE (1914-1958) TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI) Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso. Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”, Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50 XXVII domenica del tempo ordinario 07.10.2018 Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 6 ottobre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30 PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO 14.1.4 In tempo di guerra: la sporca guerra di Libia Col primo Trattato di Losanna (1912) avrebbe dovuto finire la contesa fra la Turchia e l‘Italia a proposito della collocazione internazionale della Libia: la Turchia conservava la sovranità formale sulla Libia, ma all'Italia toccava il controllo, anche militare, della fascia costiera tra Zuara e Tobruk.

La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci · 2018-10-03 · ai famosi (o famigerati) ... una delle tribù forzate a marciare raggiunse il campo di concentramento cui era ... potessero

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ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO

La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci 7 ottobre 2018 www.ilgibbo.it

CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO

(A. M. FANUCCI, PRO MANUSCRIPTO. LEZIONI ALLA LUMSA-GUBBIO, ANNO 1999 )

Cap. 12

Nella chiesa della prima parte del SECOLO BREVE

(1914-1958)

TRE PAPI VENUTI DAL PASSATO (VI)

Don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al

Corso.

Comunità di Capodarco dell’Umbria. Residenza per disabili “Pierfrancesco”,

Via Elba 47, 06024 Gubbio (Pg) 075 922 11 50

XXVII domenica del tempo ordinario 07.10.2018

Gubbio Chiesa S. Maria dei Servi – Sabato 6 ottobre 2018 Lectio Divina alle ore 15.30

PIO XI: IL FUTURO È TUTTO NEL PASSATO

14.1.4 In tempo di guerra: la sporca guerra di Libia

Col primo Trattato di Losanna (1912) avrebbe dovuto finire la

contesa fra la Turchia e l‘Italia a proposito della collocazione

internazionale della Libia: la Turchia conservava la sovranità

formale sulla Libia, ma all'Italia toccava il controllo, anche militare,

della fascia costiera tra Zuara e Tobruk.

Ma, già prima che fosse firmato, il trattato era stato violato: il 28 settembre 1911 infatti il

nostro ambasciatore a Istanbul aveva consegnato di persona alla Sublime Porta un

ultimatum con il quale s’imponeva agli Ottomani di “dare gli ordini che occorrevano a

che l'occupazione militare della Tripolitania e della Cirenaica non incontrasse, da parte

loro, alcuna opposizione". Inizialmente il Gran Visir si rifiutò di leggerlo, ma il governo

turco fu estremamente accomodante, anche se rispose ad ultimatum scaduto.

***

La conquista italiana della Libia prese il via tra il 4 e il 5 ottobre 1911 con gli sbarchi delle

truppe italiane, rispettivamente a Tobruk e Tripoli: 35.000 uomini, saliti poi a 100.000 nei

mesi successivi.

Dura la resistenza dell'esercito turco prima e di diverse formazioni libiche irregolari poi.

Tra il 1913 e il 1914 occupammo la Tripolitania settentrionale, ma le sconfitte che

subimmo durante l'inverno successivo e lo scoppio della prima guerra mondiale ci

costrinsero a ripiegare sulla costa; mantenemmo il controllo di Tripoli, Zuara e Homs in

Tripolitania, di Bengasi, Derna e Tobruk in Cirenaica.

Anche per questo in Cirenaica il potere concretamente fu esercitato dalla Senussìa, una

confraternita musulmana, che mirava a riportare l'islamismo all'antico splendore e si

opponeva duramente ad ogni forma di penetrazione della civiltà occidentale in quel

mondo.

***

Terminato la guerra, nel 1919, alle due colonie fu concesso un proprio statuto, che

prevedeva di poter eleggere ognuna il suo parlamento. Ma a Tripoli il parlamento non

venne mai eletto mentre quello che nacque in Cirenaica ebbe vita breve e non combinò

nulla: in Cirenaica era il controllo dei senussiti che garantiva l'ordine, cosa che non

accadde in Tripolitania, dove causarono grandissima incertezza e confusione le lotte tra i

capi locali e il contrasto tra arabi e berberi. Anche in Cirenaica ci si affidò ai senussiti, il

capo dei quali, Mohammed Idris, riconobbe sia la sovranità italiana sulla Cirenaica, sia il

possesso della costa; a titolo di gratitudine il governo italiano gli riconobbe il titolo di

"emiro" e gli affidò l'amministrazione delle zone interne.

Nel 1921 fu istituito il Governatorato della Tripolitania e nominato governatore

Giuseppe Volpe, industriale e futuro Ministro delle Finanze, che occupò tra gennaio e

febbraio 1922, il porto di Misurata Marina. Tra aprile e maggio, grazie anche all'azione

decisa dell'allora colonnello Rodolfo Graziani, le forze arabe vennero respinte. Mentre in

Italia, si svolgeva la marcia su Roma, le truppe italiane in Africa continuavano ad

avanzare, occupando altro territorio.

***

Con l'arrivo di Mussolini al potere i suoi sgargianti sogni di conquista coloniale

acutizzarono i problemi che si erano creati fra Italia e i senussiti; al punto che l'emiro

Mohammed Idris, non sentendosi più sicuro della propria sopravvivenza, nel 1923 fuggì

in Egitto; lo sostituì il fratello Mohammed er-Ridà.

A Bengasi giunse il gen. Bongiovanni, cui Mussolini aveva chiesto di «pestare sodo». Ma

non fu necessario “pestare sodo” in Tripolitania: partendo dalla sua parte meridionale e

sfruttando i dissidi tra le varie tribù, l’Italia la conquistò tutta agevolmente nel 1926.

Ma la Cirenaica, grazie soprattutto alla forte presenza dei Senussiti, resistette. Solo grazie

ai famosi (o famigerati) ascari (soldati indigeni inquadrati nelle truppe coloniali)

Bongiovanni in marzo entrò ad Al Akdar, nell’altipiano del Gebel, dove vivevano

100.000 seminomadi, che, guidati del grande vecchio Omar al-Mukhtar, si organizzarono,

dando notevole filo da torcere agli italiani.

La risposta italiana fu micidiale: la strategia della "terra bruciata". Prima i rastrellamenti a

tappeto e le esecuzioni capitali a catena, poi i bombardamenti massicci indussero migliaia

di famiglie indigene a fuggire verso la Tunisia, l'Algeria, il Ciad e l'Egitto.

Nel 1928 la piccola oasi di Gife fu distrutta da bombe italiane, alcune delle quali caricate

a gas. Una aperta violazione del diritto internazionale, anche l'Italia fascista aveva firmato

a Ginevra, nel 1925, il "Protocollo per la proibizione di gas asfissianti”.

La distruzione di Gife venne raccontata come una gloria nazionale nel volume scritto

da una mezza calzetta che vi prese parte: Italo Balbo che lo elogiò come la

narrazione di un’impresa epica.

Ma nonostante quei bombardamenti la guerriglia senussita continuava. Nominato

Governatore delle due province (1929), Badoglio dapprima emise un bando che

garantiva l'amnistia ai ribelli che si fossero arresi e condannava a morte i recidivi; alla

fine, quando ormai le tribù nomadi erano state decimate grazie soprattutto alle colonne

di Graziani, la Tripolitania fu conquistata per intero.

Diversa la situazione in Cirenaica: i senussiti, ben organizzati da Omar, dominano ancora

il Gebel, l'altopiano centrale della regione e, sfruttando ingegnosamente gli anfratti del

terreno, evitano quello scontro diretto con gli italiani che li avrebbe visti perdenti.

Nel 1930 Mussolini, insoddisfatto di come andavano le cose in Cirenaica, inviò Rodolfo

Graziani come vice governatore con sede a Bengasi. Grande rastrellamento, ma i

"mujaheddin" di Omar al-Mukhtar potevano contare sull'appoggio morale e materiale

delle popolazioni locali e soprattutto sulle zavie senussite, veri e propri centri spirituali ed

assistenziali: Graziani ne fece sequestrare 49 (centinaia di abitazioni, 70.000 ettari di

buona terra), arrestandone i capi, che spedì a Ustica.

Badoglio, nel giugno 1930, chiese al suo vice di creare un distacco territoriale largo e ben preciso

tra formazioni ribelli e popolazione sottomessa. Non mi nascondo la portata e la gravità di questo

provvedimento, che vorrà dire la rovina della popolazione cosiddetta sottomessa. Ma ormai la via ci è

stata tracciata… Da chi? Evidentemente da Mussolini.

Graziani non aspettava altro: solo cinque giorni dopo dette inizio adì un massiccio

spostamento di gente dall'altipiano verso la costa. E relaziona: Tutti i campi furono circondati

da doppio reticolato; i viveri razionati; i pascoli contratti e controllati; la circolazione esterna resa

soggetta a permessi speciali. Furono concentrati nel campo di el Agheila tutti i parenti dei ribelli, perché

più facilmente portati alla connivenza [...] I capi e le popolazioni refrattarie e sorde ad ogni voce di

persuasione e di richiamo ricevevano così il trattamento che si erano meritato. Il rigore estremo, senza

remore né tregua, cadeva inesorabile su di esse: erano anche omicidi di massa, lo ammette lo

stesso Graziani. E a Roma De Bono e Mussolini applaudono. Varie tribù, compresi

vecchi, donne e bambini furono obbligate a terribili marce forzate per centinaia di

chilometri: vere e proprie "marce di sterminio". Se uno si attarda nelle poche soste viene

immediatamente abbattuto. Numerosi gli episodi di crudeltà gratuita, come l'abbandono

di 35 indigeni, tra cui donne e bambini, in pieno deserto, senza acqua né viveri, a causa di

una rissa scoppiata tra loro. Maltrattamenti, fustigazioni. Molti i morti per sete. Ad

esempio, una delle tribù forzate a marciare raggiunse il campo di concentramento cui era

destinata percorrendo a piedi 350 km,a marce forzate. A 6.500 che avevano tentato di

ribellarsi fu riservata una marcia invernale di 1.100 chilometri. Perché 90.761 persone

potessero raggiungere i campi loro destinati, quasi 10.000 persone morirono durante la

marcia; morirono di stenti, di fame, di malattie, o abbattuti mentre tentavano la fuga.

Dopo le deportazioni e la creazione dei campi di concentramento Omar al Mukhtàr si

trovò sempre più isolato. I gruppi ribelli furono costretti a dividersi per sfuggire agli

accerchiamenti, le sconfitte minarono il morale; l’unica postazione che parve reggere fu

quella dell’oasi di Taizerbo, 250 km a nordovest di Cufra. Il 31 luglio 1930 quattro aerei

volarono su Taizerbo e sganciarono, tra l’altro, 24 bombe caricate a iprite. Cufra, città

santa dei senussiti, subì un attacco dal cielo prima di essere presa nel gennaio del 1931 da

una colonna di mercenari libici (i "meharisti") dotati di cammelli e autocarri: i sinussiti

fuggirono con le proprie famiglie, i meharisti li inseguirono e ne fecero strage grazie ai

loro reparti cammellati e all'aviazione.

Cufra fu sottoposta a tre giorni di saccheggi e violenze: ben 17 capi senussiti furono

impiccati, 35 indigeni evirati e lasciati morire dissanguati, 50 donne stuprate; 50 le

fucilazioni e 40 le esecuzioni con ascia, baionette e sciabole. Le truppe vittoriose si

abbandonarono a ogni atrocità: alle donne incinte venne squartato il ventre e i feti

infilzati, le giovani furono violentate e sodomizzate con le candele, teste e testicoli

furono mozzati e portati in giro come trofei, tre bambini vennero immersi in calderoni

di acqua bollente, ad alcuni vecchi vennero estirpate le unghie per essere poi accecati.

Ma Omar al Mukhtàr continuò a resistere; allora Badoglio e Graziani decidono di isolare

del tutto i ribelli con una recinzione tra la Cirenaica e l'Egitto: una barriera di filo spinato

larga alcuni metri e lunga 270 chilometri! Mussolini dà il suo via libera. Il reticolato è

pronto a settembre.

E ai primi di settembre 1931 il settantatreenne capo della resistenza libica Omar al

Mukhtàr venne catturato. La condanna a morte fu pronunciata il 16 settembre. Ferito,

inutilmente tutelato dal diritto internazionale che avrebbe imposto un suo trattamento

come prigioniero di guerra, il vecchio leone fu impiccato e 20.000 beduini furono

costretti ad assistere all'esecuzione capitale.

In undici anni la popolazione della Libia diminuì di circa 83.000 persone: 20.000 rifugiate

in Egitto e ben 63.000 inghiottiti dalla guerra, la deportazione e la prigionia.

Anche il patrimonio zootecnico venne decimato: gli ovini da 800.000 (1926) si ridussero

a 98.000 (1933), i cammelli da 75.000 a 2.600, i cavalli da 14.000 a 1.000, gli asini da

9.000 a 5.000.

Una vera e propria carneficina, dunque, o, per meglio dire, un "genocidio" praticato a

cuor leggero dal "buon italiano". Gli italiani l’hanno rimosso, quell’obbrobrio,nonostante

gli sforzi di storici che l'additano all'attenzione di chi non ha paura della verità.

***

E LA CHIESA?

La Chiesa italiana, nel suo insieme, appoggiò la guerra; numerosi vescovi benedirono le

truppe in partenza per l’Africa: per loro quei giovanotti in divisa e col fucile a tracolla

erano missionari che andavano a portare la civiltà e (addirittura!) il vangelo a popoli

rozzi e bisognosi che qualcuno ne elevasse il livelli di vita umana e cristiana.

Gli stessi gesuiti, che in un primo momento avevano duramente avversato tutte quante le

campagne coloniali, comprese quelle italiane, in questa circostanza non si distinsero

nettamente dal resto del clero.

Fin dall’inizio la discesa in campo della Chiesa cattolica a favore dell'intervento ebbe un

effetto trascinante per una moltitudine di italiani. Fu anche con questa posizione assunta

dalla Chiesa che i cattolici, prima ancora del Patto Gentiloni, incominciarono a ritornare

alla politica italiana, dalla quale si erano volontariamente esclusi negli anni precedenti.

Gubbio, 2 settembre 2018

don Angelo M. Fanucci, Rettore della Chiesa di S. Maria de’ Servi

LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO, 14

LA DEBOLEZZA DI DIO PER L’UOMO

(AL: Amoris Laetitia; EG: Evangelii gaudium; EN: Evangelii nuntiandi; ES: Eserciti Spirituali;

GS: Gaudium et spes; LG: Lumen gentium; LS: Laudato si’; MeM: Misericordia et Misera;

RS:Ratio studiorum)

secondo

JÙRGEN WERBICK

CAPITOLO IX

IL MISTERO DELL’AMORE DI DIO

LA TRINITÀ

È la potenza di Dio che crea relazione; non solo, ma è nel creare relazioni che si

esprime la massima potenza di Dio1, che comunica a tutti gli esseri creati la forza di

vivere in relazione con Lui e la sua infinita potenza.

Si tratta di una potenza

che innanzitutto unisce le creature a Dio, in principio e dal principio:

che di conseguenza unisce irrevocabilmente gli uomini alla terra e agli

altri uomini e - contro le potenze dell’isolamento - li integra nella comunione

della signoria di Dio che salva e porta a perfezione.

La prospettiva teologica di fondo che abbiamo qui delineato, Papa Francesco la

esplicita in Laudato si’ (LS), là dove la vede radicata ed espressa nella fede trinitaria. Nel

capitolo intitolato «La Trinità e la relazione tra le creature», Francesco dice: Il Padre è la

fonte ultima di tutto, fondamento amoroso e comunicativo di quanto esiste. Il Figlio, che lo riflette, e per

mezzo del quale tutto è stato creato, si unì a questa terra quando prese forma nel seno di Maria. Lo

Spirito, vincolo infinito d’amore, è intimamente presente nel cuore dell’universo animando e suscitando

sempre nuovi cammini (LS, n. 238).

Si parla di Trinità, enunciano i tre modi con cui Dio

1. chiama il mondo all’esistenza,

2. si unisce a esso, redimendolo e liberandolo,

1 Questa idea è l’epicentro della pregevole opera della teologa CARTER HEYWARD, in Und sie riihrte

sein Kleid,Kreuz, Stuttgart 1986. Ma la teologa va molto oltre, e sbaglia, quando scrive: Credo che

Dio sia la nostra potenza in relazione tra noi, con l’intera umanità e la stessa creazione (n.49). In

un’ottica biblico-cristiana, definito così, Dio non sarebbe più trascendente

3. ispira gli uomini a farsi avviare sui cammini inaugurati per primo da Gesù

Cristo, nella vita in pienezza, nella signoria di Dio.

È l’economia della salvezza, che articola l’amore di Dio, che si propone di condurre gli

uomini alla pienezza della salvezza, accompagnandolo lungo ciascuna di queste tre

dimensioni tramite l’azione specifica di ognuna delle tre persone divine; un’opera che

ciascuna persona - in collaborazione con le altre - compie per portare a perfezione la

creazione e salvare gli uomini.

Nel linguaggio tecnico della teologia di oggi si parla di Trinità economico-salvifica; il

segreto dell’economia della salvezza è l’amore di Dio uno e trino che comunica se stesso.

Ma come comunica se stesso, Dio? Trascendendosi.

Questo autotrascendersi non è una delle tante attività possibili a Dio, ma è l’essenza del

suo agire: l’«atteggiamento di fondo» dell’amore consiste proprio in questo trascendersi (LS, n. 208).

Questo trascendersi di Dio ha il suo grande effetto nelle creature, perché

le rende aperte a tutto ciò che Dio ama,

investite dal suo amore, nessuna di loro può più voler isolarsi e far a meno

di qualcuno di loro.

È in questa chiave che si può e si deve parlare di Dio e del suo amore.

Oltre il Dio della Scolastica

Cosa che sarebbe impensabile se di Dio si conservasse l’idea metafisica che Aristotele ha

trasmesso a S. Tommaso, secondo la quale non ci può essere nulla «al di fuori» di Dio e

l’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto (LS, n. 233).

In questa impostazione ideale la capacità umana di rappresentarsi Dio incontra un limite,

un impoverimento della rappresentazione di Dio; questo impoverimento si può e si deve

superare.

La splendida metafisica, greco/cristiana, dell’Assoluto conosce solo l’interiorità, quella

vita ad intra in cui Dio è assolutamente perfetto, per sé e in sé, e non può trascendersi,

perché per autotrascendersi dovrebbe diventare un qualcosa di più di quello che è,

mentre Egli è sempre tutto quello che può essere. Per lui non esiste il «di più»

dell’autotrascendenza, un «al di fuori» in cui egli possa trascendersi. Un’operazione del

genere manifesterebbe una carenza che sarebbe costretto a superare trascendendo se

stesso. Contro questa concezione, l’esperienza dell’amore per il prossimo obietterà che

per la perfezione assoluta di Dio la vera carenza sarebbe il non essere in grado di

trascendere se stesso, facendolo non per una carenza, ma per la pienezza del suo essere,

che lui vuole condividere per conquistare altri co-amanti.

L’uscire da sé di Dio nell’economia della salvezza, però, non lo allontana da sé;

questo avviene perché, trascendendosi per autocomunicarsi, in realtà Dio riempie

di sé coloro che trascende, affinché possano essere suoi co-amati.

Nell’economia della salvezza Dio è Dio in quanto fa partecipare alla propria vita e a sua

volta partecipa alla vita di coloro che egli vuole riempire di sé, affinché in lui trovino la

loro piena salvezza.

Il fatto che Egli faccia partecipare alla sua vita le sue creature fa sì che ciascuna creatura

porti in sé un’impronta propriamente trinitaria, grazie alla quale essa può impegnarsi a

realizzare intorno a sé una rete di relazioni: ed è così che gli uomini possono partecipare

al dono in cui Dio dà se stesso.

Dio è il protagonista, ma le creature non possono essere ridotte a figure di mediazione,

secondarie, accidentali: se così fosse non potrebbero comunicare Dio stesso e vivere

l’essere di Dio con gli uomini.

Rimanendo pur sempre rigorosamente monoteisti

È qui che propriamente va posta la domanda che ognuno di noi, un po’ ingenuamente,

per conto suo,s’è posto: se il Figlio e lo Spirito Santo sono Dio tanto quanto lo è il

Padre, come possiamo parlare ancora di monoteismo?

I TEOLOGI DELLA CHIESA ANTICA hanno impiegato tutta la loro energia

speculativa per mantenere il monoteismo biblico nel discorso trinitario su Dio. Come

hanno fatto? Non di rado si è avuta l’impressione che abbiano potuto farlo per una loro

esperienza mistica che hanno vissuta – per così dire - all’interno di Dio.

Nel fare questo si è potuto avere talvolta l’impressione che essi avessero delle

conoscenze precise sull’«interno» di Dio e fossero in grado, per così dire, di ridescrivere

su questa base la Trinità del Dio immanente.

LA TEOLOGIA ATTUALE quasi unanimemente si è ritrovata nella formula che ha

proposto Kark Rahner: La Trinità “economica” è la Trinità “immanente” e

viceversa.

Scrive Marcelo Gonzalez su Città Nuova, nel 1912: «La Trinità "economica" è la

Trinità "immanente" e viceversa». Questa frase di K. Rahner, pregnante e densa di

significato anche se ermetica per i non addetti ai lavori, è stata chiamata l'assioma

fondamentale della teologia. Da più di tre decadi ha suscitato un serrato dibattito,

ancora in corso, tra molti dei più rappresentativi teologi cattolici ed evangelici. Tutti

comunque d'accordo che, nel modo di concepire la realtà che esprime questo assioma,

si gioca la novità, l'identità e la rilevanza del cristianesimo. L'articolo che presentiamo

ai nostri lettori affronta il tema, in un serrato dibattito con gli autori che più si sono

misurati con questo assioma. Offriamo la prima parte dello studio, la cui conclusione

sarà pubblicata in un numero successivo.

Trinità immanente e Trinità economica sono come due facce della stessa medaglia; si può

e si deve parlare di Trinità immanente solo se ci si permette di continuare a credere

che Dio partecipa alla vita umana nel Figlio, che è uguale a Lui,

che fa partecipare responsabilmente al suo amore divino nello Spirito Santo

che è uguale a Lui.

Che cioè allo stesso titolo per il quale Dio è Trinità Immanente, è anche Trinità

Economica.

Dio si apre nel suo intimo; e si comunica come egli è in modo da poter essere creduto

come colui che si è aperto e si è reso accessibile agli uomini nella creazione e nella storia.

In altre parole, “quanto Dio ha di «più interno” è al tempo stesso “quanto Dio ha di più

esterno”, cioè la sua debolezza per gli uomini, nella quale egli è molto più potente di tutte

le potenze di questo mondo.

Nel corso della storia della fede si è molto riflettuto su COME finalmente si possa

rendere umanamente comprensibile questo essere mosso nell’intimo di Dio. Sono stati

elaborati due modelli.

Nella tradizione agostiniana la concezione di Dio «monologica»: S. Agostino insegna

che Dio è Spirito Assoluto, e di per sé lo è solo in riferimento a se stesso; ma Egli si

riferisce a se stesso in un duplice modo: Dio si capacita perfettamente di se stessa e si

approva all’infinito

divenendo consapevole di sé conoscendo e approvando se stesso, prima di

fare riferimento agli uomini,

facendo riferimento agli uomini per essere riconosciuta da loro e avvolgerli

con la sua approvazione.

La teologia orientale, invece, vede Dio piuttosto come sorgente originaria e fine di ogni comunione

nell’amore, perché Egli stesso è comunione, in un senso a cui la comunione umana può

somigliare solo vagamente.

Le tre «persone» divine sono così intime tra di loro che di esse si può dire non solo che

sono unite, ma si deve affermare che sono una cosa sola, un solo Dio.

Dio è in sé autocomunicazione: del Padre al Figlio e attraverso il Figlio allo Spirito, dello

Spirito e del Figlio al Padre. Le tre persone si aprono una all’altra, in modo che ciascuna

sia perfettamente partecipe delle altre.

Nel suo riferimento al mistero della Trinità divina, papa Francesco si ricollega a

questo concetto della Chiesa orientale, che è stato recepito in occidente da

Bonaventura e da Riccardo di san Vittore. Egli mette in risalto che «il Dio Trinità è

comunione d’amore», «communio trinitaria» (Amoris laetitia, n. 11 e LS, n. 239). Dio è in

sé realtà di relazione eterna e originaria,

che si comunica già nella creazione alle creature e dà loro il loro essere-

relazione;

che con l’offerta di relazione e di perdono del suo Figlio vuole raggiungere

gli uomini caduti nella miseria e nel peccato per chiamarli di nuovo alla

comunione divina;

che, prima di tutto questo, nell’autorealizzazione ognuna delle tre persone

santissime è «realtà intrinseca» (in greco: hypòstasis), in relazione perfetta con le altre

ipostasi divine.

CONCRETAMENTE

Secondo papa Francesco, aprirsi all’offerta di relazione che Dio ci fa creandoci significa

impegnarsi a testimoniare che la relazione si avvererà proprio per quanti sono stati

esclusi e si escludono dalla vita: è a loro che in primo luogo lo deve testimoniare la

Parola, fondamento di una testimonianza fattiva che li aiuti a superare l’esclusione.

L’impegno missionario nel portare la gioia del Vangelo fino alle periferie, non vuole solo

guadagnare membri alla Chiesa, ma prima ancora, nel senso dell’apostolo Paolo (cfr.

2Cor 1,24), vuole essere al servizio della gioia degli uomini in modo che sperimentino la

volontà divina di relazione nella sua sostanza viva e liberatoria.

Per papa Francesco la dottrina su Dio non è una meta teologica autoreferenziale, ma

trova il suo perché nella vita con Dio che prende al suo servizio coloro che vivono con

Lui perché nessuno vada perduto con la scomparsa della relazione con Dio e gli altri

uomini.

La realtà di Dio dischiude agli uomini la realtà del loro essere uomini e li stimola a

mettersi al servizio dell’essere umano perché possa trovare la sua pienezza in una vita

piena di Dio.

Dal punto di vista autenticamente cristiano, parlare di Dio significa parlare della realtà

divina che ci sfida: lo accettiamo sì o no, questo Vangelo che annuncia il Dio disponibile

e in grado di creare relazioni, il Padre di Gesù Cristo che nel suo Spirito ci incoraggia a

credere, vuole ispirarci a sperare e ad «ardere» nell’amore?

14.a continua

***

ALLA RICERCA DELLA TEOLOGIA

CHE MOTIVA E ARTICOLA LA RADICALITÀ

DELL’IMPEGNO CRISTIANO CONTRO L’EMARGINAZIONE

I - 11

di don Angelo M. Fanucci

(EMARGINAZINE E SOCIETÀ)

11 L’ambito specifico: il Volontariato e il Privato Sociale

11.1 Il Volontariato

Il VOLONTARIATO si articola in

volontariato del tempo libero: il volontario è colui che, una volta adempiuto ai

doveri del proprio stato, con continuità e competenza dedica una parte significativa

del proprio tempo libero ad un qualche impegno di rilievo umanitario o sociale;

volontariato della cittadinanza: è il volontario che nel suo impegno, magari a

tempo pieno e quindi anche con una retribuzione, esplica una convinzione

personale all'interno della quale l'asse complessivo dei diritti e dei doveri è stato

spostato in avanti; egli si sente titolare di diritti e di doveri che non sono recepiti

come tali dalla generalità dei suoi concittadini, d'istinto (ben al di là dei suoi

"compiti istituzionali") innesca al massimo livello possibile i processi decisionali e

partecipativi tipici delle democrazie vere, e questa tensione di fondo dà il timbro

caratteristico non solo al suo lavoro ma a tutta la sua vita;

volontariato della condivisione: quando la richiesta dell'emarginato che hai

davanti è quella di prenderlo in carico, sul piano esistenziale, totale: assumere il

bisogno concreto dell'altro che hai davanti a te come elemento definitorio della tua

stessa vita, un nuovo scopo vitale accanto agli altri scopi vitali.. Nell' "operatore di

condivisione" il privato sociale dà il meglio delle proprie potenzialità: la capacità di

motivare sul piano personale l'operatore, ben al di là della sua pur insostituibile

professionalità.

La presenza di preti e di laici cattolici è di gran lunga la più consistente all’interno sia del

volontariato che soprattutto all’interno del privato sociale, queste eccellenti forma della

solidarietà moderna.

C’è anche chi, in ambito cattolico, fa notare che il termine prete (o cristiano) solidale è

riduttivo, quasi… slavato rispetto alla densa ricchezza del termine prete (o cristiano)

comunionale; non c’è da meravigliarsene – dicono - data l’origine illuminista, laica e

programmaticamente anti-carità, del termine solidarietà; la solidarietà non è una virtù

cristiana; per i cristiani quella che conta è solo la carità.

Affronteremo questa questione nella seconda sezione di questo corso. Per ora basti

ricordare che lo stesso Giovanni Paolo II ha bruciato queste false preoccupazioni,

utilizzando migliaia di volte il termine solidarietà, mentre i suoi predecessori s’erano ben

guardati dal farlo.

Certo è che realtà come quella della Comunità di Capodarco di questo hanno sofferto;

sono realtà che assolvono anche ad una funzione di servizio pubblico, e pertanto anche se

volessero non potrebbero caratterizzarsi come confessionali; ma soprattutto sono realtà

il cui punto di debolezza equivale esattamente al loro punto di forza, ed è nel fatto che

ad esse ci si aggrega il più delle volte non in base ad una scelta ideologica, ma

unicamente sulla base del bisogno, magari estremo, con la speranza che da quella

frontiera estrema nasca tanta vita. Tanta solidarietà, tanta libertà. E in ordine al

conseguimento di questi fini non c’è nessuna maieutica paragonabile in efficacia, a quella

ispirata al Vangelo.

11.2 Il privato sociale

Nello stesso alveo è nato il privato sociale: soprattutto nel settore nuovo e difficile della

tossicodipendenza il cattolicesimo sociale italiano ha saputo splendidamente rilanciarsi,

non tanto nelle mega/comunità di migliaia di giovani, quanto nelle migliaia di comunità

che accolgono 10/15 soggetti ognuna.

Il PRIVATO SOCIALE ha conosciuto in tempi recenti una grande fortuna. Tutte le

società occidentali hanno maturato, negli ultimi decenni, la convinzione del bisogno di

una più intensa partecipazione del privato alla realizzazione del bene comune,

soprattutto nel settore dei servizi alla persona.

Soprattutto dopo l’attivazione delle Regioni, che, sancite dalla Costituzione nel 1948,

entrarono effettivamente in azione nel 1970, in Italia si era verificato il monopolio dello

Stato (in questo caso le Regioni) nell’organizzazione dei servizi alla fasce deboli della

popolazione, parallelamente all’eccesso di intervento dello Stato che anni prima aveva

avuto luogo nei processi produttivi (le cosiddette Partecipazioni Statali, anche avevano anni

fa un proprio ministero nel governo italiano). Poi però una decina di anni dopo,

cominciarono a circolare slogans che andavano in senso contrario: Privato è bello.

Il privato speculativo chiede allo Stato di ritirarsi, com'è giusto, dai settori produttivi dei

quali i politici si sono impadroniti per mantenere a spese della collettività le legioni dei

loro clienti privati, ma vuol mettere le mani anche sulle "industrie infrastrutturali", quelle

che condizionano tutte le altre: su questo non siamo d’accordo, perché, quando

Lorsignori ci saranno riusciti, il potere politico si sarà svuotato del tutto, a vantaggio del

potere economico.

Il clima culturale di oggi enfatizza le privatizzazioni così come, nei primi anni ‘60,

venivano enfatizzate le nazionalizzazioni, e tutti erano convinti della loro "inderogabile"

necessità.

Era il rilancio del privato speculativo, che mescolava verità sacrosante a tentativi di abolire

alcune delle conquiste sociali più significative. Si diceva: solo chi è mosso da un interesse

concreto, solo che investe e guadagna deve prendere l’iniziativa, basta con

l'assistenzialismo, basta con la cassa integrazione che dura una vita, basta con le industrie

decotte tenute insieme come i busti delle attempate signore ottocentesche, con le stecche

di balena. Basta. Il liberismo ci salverà. E i Cristiani a questa richiesta si sono accodati in

maniera -a mio modo di vedere- troppo acritica.

Ma accanto a tutto questo si registrò il lancio del privato sociale Nel settore della lotta contro

l’emarginazione è certo che lo Stato moderno non può più presumere di gestire in

proprio tutta la gamma dei servizi alla persona che gli vengono richiesti, perché

o l'evoluzione storica gli ha scaricato addosso un quantità enorme e

complessa di compiti;

o le persone meno abbienti si sono ormai liberate dal ricatto dei bisogni

primari che hanno gravato per secoli su di loro, e reclamano equità nelle

prestazioni sociosanitarie;

o l'autocoscienza della società civile ha fatto passi da gigante;

o cresce la richiesta di personalizzazione dei servizi: le richieste che salgono

dalla gente verso lo Stato sono sempre più dettagliate ed esigenti.

"Lo Stato non ce la fa più": chi ne prenderà il posto?

E così da almeno una ventina di anni la speculazione punta come un cane da tartufo

impaziente più che al settore sociale, nel quale c'è poco da guadagnare, al settore

sanitario, dove razzolano galline dalle uova d'oro: in Umbria l’Assessore regionale alla

sanità è di gran lunga il più potente degli imprenditori, con i suoi 1.800 miliardi di

vecchie lire in bilancio. E, in coerenza piena con questo, il privato speculativo sta

spingendo con grande forza perché lo stato moderno tenga ben separati i due settori,

quello sanitario e quello sociale: il sociale è per poveracci ed è bene – dicono Lorsignori

– che lo gestiscano i poveracci; il sanitario è per tutti ed è bene che lo gestiscano coloro

che hanno fiato imprenditoriale per farlo nella maniera migliore, cioè favorendo chi può

pagare.

Su tutt'altro impianto ideale e morale è nato il privato sociale. Un fenomeno ricco e

complesso, a delineare il quale anche la dottrina sociale della Chiesa ha dato il suo

contributo con l’esaltazione del principio di sussidiarietà", grazie al quale dove possono

arrivare le aggregazioni minori, quelle più in presa diretta coi bisogni e le risorse della

gente non deve subentrare lo Stato, al quale peraltro competono sempre funzioni di

coordinamento, controllo, indirizzo generale. Soprattutto dove necessitano interventi

fortemente personalizzati s’impone la necessità del privato sociale; autorevoli studiosi di

sinistra hanno addirittura consigliato di chiamarlo Pubblico senza stato.

Sussidiarietà da subsidium = aiuto. Ma non è lo Stato che deve aiutare il privato

sociale, è il privato sociale che deve aiutare lo stato a mettere a punto e a

perseguire il bene comune. Lo Stato deve mettere in conto quest’aiuto prezioso e

sostenerne le realizzazioni.

A smantellare in Italia i servizi gestiti direttamente dal pubblico ha cominciato

l’Amministrazione di Bologna: Controllare di più e gestire di meno, fu il suo motto.

E in questa nuova temperie culturale il privato sociale s'è fatto avanti motivando la

propria candidatura con una duplice capacità:

capacità di mettere a fuoco, interpretare e animare i nuovi diritti di cittadinanza; il

progresso autentico muove sempre da un'accresciuta coscienza che nel tempo

l'uomo e il cittadino acquisiscono di se stessi, e conseguentemente anche dei

propri diritti e doveri.

Penso alle famiglie degli handicappati mentali che si aggregano perché per i

propri figli non accettano più la pura e semplice sopravvivenza; penso agli

anziani che fondano un'associazione perché vogliono ancora contare e agli

ecologisti che non intendono lasciare carta bianca al Ministero dell'Ambiente;

penso all'associazione dei familiari dei morti delle stragi di Ustica e di Bologna

che non intendono delegare in toto alla magistratura...

capacità di offrire alla persona servizi fortemente personalizzati; qui si collocano

tutte quelle associazioni nelle quali il servizio viene prestato da persona a persona,

e non da struttura a malato/disagiato: non è "IL direttore" o "IL funzionario" che

svolge un determinato servizio, ma è le rete delle relazioni interpersonali a venire

in primo piano, in un contesto fortemente umanizzato, dentro il quale le persone

ora s'incontrano e ora si lasciano, avvicinandosi e allontanandosi per rispondere al

meglio a bisogni non riproducibili in serie.

11.2.1 L’articolazione del privato sociale

Il privato sociale si articola in

associazionismo sociale

cooperazione sociale

economia “no profit”.

L’ ASSOCIAZIONISMO SOCIALE si chiama così per distinguerlo

dall’associazionismo tout court, che può anche essere di tipo speculativo, almeno in una

delle sue tre grandi branche, quella del cosiddetto 'associazionismo professionale (le altre due

branche sono le associazioni sindacali e le associazioni sociali)2. Ed è una branca il cui potere

2 AA. VV, Rapporto sull'associazionismo sociale 1993. IREF Roma 1994, 23

sta oggi crescendo in maniera a volte preoccupante, nel quadro del radicale

ridimensionamento dei partiti. L’associazionismo sociale

opera per la crescita armonica della società;

di conseguenza, in maniera anche diversamente impegnativa, si fa carico delle

fasce deboli della popolazione.

I settori nei quali queste associazioni operano sono oggi molteplici e tutti di grande

interesse:

educazione e formazione,

tempo libero,

promozione sportiva,

ecologia, protezione civile,

promozione consumatori e utenti,

assistenza sociale e promozione della salute,

emigrazione e immigrazione3.

Al vertice di questo tipo di risposta, l'operatività delle comunità d'accoglienza, che sono

delle associazioni autogestite, al cui interno la stessa persona da una parte collabora alla

gestione del servizio, dall'altra ne fruisce: ottima la garanzia per la personalizzazione della

prestazione cui il disabile ha diritto: è un po' come l'uovo di Colombo.....

La COOPERAZIONE SOCIALE: associazioni di lavoro che al tradizionale modulo

tipico delle cooperative, l'identificazione tra proprietario e prestatore d’opera,

aggiungono un impegno specifico a vantaggio delle fasce deboli della popolazione. Lo

Stato interviene con diverse agevolazioni, ad esempio accollandosi i versamenti

contributivi, quando ne ricorrono le condizioni.

L’ECONOMIA NON PROFIT, o TERZO SETTORE PRODUTTIVO è un’economia

a tutto tondo, un’attività che produce realmente manufatti o servizi, solo che mutua il

suo scopo non dal profitto ma dalla solidarietà. Oggi occupa poco meno di 1.000.000 di

addetti, e attira da parte degli altri settori produttivi un'attenzione che fino a ieri era del

tutto inopinabile; impegnandosi a valorizzare non solo sul piano umano, ma anche sul

piano produttivo, le risorse residuali di chi non regge il passo, da una parte gratifica

(anche tramite un reddito congruo) soggetti che altrimenti sarebbero rimasti ai margini,

dall'altra ha rilevanti vantaggi economici per la collettività.

11.2.2 Nel settore dell’handicap

Nel settore dell'handicap le varie Comunità di Capodarco sparse in Italia hanno reso

particolarmente incisivo questo modello.

"Handicap" è un concetto tutto negativo: indica il "non normale", e cioè del soggetto

che ne è affetto connota non il "chi è", ma il "che cosa non è".

3. AA.VV. Rapporto .., o.c., 121-371

"Handicappato" è lo spastico intellettualmente superdotato che regge da

anni un'università in Gran Bretagna, "handicappato" è il ritardato mentale

grave che a mala pena reagisce agli stimoli

Come potrà mai l'elefante-Stato, con le sue doverose rigidità, burocratico/operative,

entrare nelle pieghe di bisogni così estremamente differenziati, anche se rubricati nello

stesso paragrafo?

Lo Stato dovrà allora limitarsi a curare l'impostazione generale d'una politica

dell'handicap, controllare la sua corretta gestione, reperire risorse ed esigere il loro

corretto impiego.

A smantellare i servizi gestiti direttamente dal pubblico ha cominciato in Italia la più

rossa delle amministrazioni rosse, il Comune di Bologna: "Controllare di più e gestire di

meno" fu il motto del Sindaco Zangheri. In questa nuova temperie della problematica

sociale il privato sociale s'è fatto avanti motivando la propria candidatura con un'inedita

capacità di penetrazione nelle pieghe del bisogno.

Al punto che autorevoli uomini di sinistra hanno addirittura consigliato di adottare la

dicitura Pubblico senza stato. (già detto, vedi sopra)

11,continua