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Laura Boffo LA «LIBERTÀ» DELLE CITTÀ GRECHE SOTTO I ROMANI (IN EPOCA REPUBBLICANA) ™¦m m» ti =Rwma…oij Øpenant…on Ãi (CID IV 114, ll. 60-61, 134 o 130 a.C.) J.-L. Ferrary, Le statut des cités libres dans l’Empire Romain à la lu- mière des inscriptions de Claros, «CRAI» (1991), pp. 557-577; R.M. Kallet- Marx, Hegemony to Empire. The Development of the Roman Impe- rium in the East from 148 to 62 B.C., Berkeley - Los Angeles - Oxford 1995; É. Guerber, Considérations récentes sur les cités libres de la partie hellénophone de l’Empire romain, «DHA» 23 (1997), 1, pp. 301- 306; G.A. Lehmann, „Römischer Tod“ in Kolophon / Klaros. Neue Quellen zum Status der „freien“ Polisstaaten an der Westküste Klein- asiens im späten zweiten Jahrhundert v.Chr., «Nach. Akad. Wiss. Gött. - Phil.-Hist. Kl.» 3 (1998), pp. 125-194 (= pp. 1-70); J.-L. Ferrary, La liberté des cités et ses limites à l’époque républicaine, in Atti del Con- vegno TÕ p£ntwn mšgiston fil£nqrwpon. Città e popoli liberi nel- l’imperium Romanum (Roma, Università degli Studi «La Sapienza», 14-15 gennaio 1999), «MedAnt» 2 (1999), 1, pp. 69-84; R. Bernhardt, Entstehung, immunitas und munera der Freistädte. Ein kritischer Überblick, «Ibidem», pp. 49-68; D. Musti, Città ellenistiche e impe- rium, «Ibidem» 2 (1999), 2, pp. 449-462; J. Thornton, Una città e due regine. Eleutheria e lotta politica a Cizico fra gli Attalidi e i Giulio- Claudi, «Ibidem», pp. 497-538; G.A. Lehmann, Polis-Autonomie und römische Herrschaft an der Westküste Kleinasiens: Kolophon / Klaros nach der Aufrichtung der Provincia Asia, in L. Mooren (ed.), Politics, Administration and Society in the Hellenistic and Roman World, Proceedings of the International Colloquium (Bertinoro, 19-24 July 1997), «Studia Hellenistica» 36 (2000), Leuven, pp. 215-238; J.-L. Fer-

LA «LIBERTÀ» DELLE CITTÀ GRECHE SOTTO I ROMANI (IN … · ll. 18, 20; Pol. col. II, l. 12). Menippo nell’elenco delle sue legazioni a Roma ricordava le diverse questioni sorte

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Laura Boffo

LA «LIBERTÀ» DELLE CITTÀ GRECHESOTTO I ROMANI(IN EPOCA REPUBBLICANA)

…™¦m m» ti =Rwma…oij Øpenant…on Ãi

(CID IV 114, ll. 60-61, 134 o 130 a.C.)

J.-L. Ferrary, Le statut des cités libres dans l’Empire Romain à la lu-mière des inscriptions de Claros, «CRAI» (1991), pp. 557-577; R.M. Kallet-Marx, Hegemony to Empire. The Development of the Roman Impe-rium in the East from 148 to 62 B.C., Berkeley - Los Angeles - Oxford1995; É. Guerber, Considérations récentes sur les cités libres de lapartie hellénophone de l’Empire romain, «DHA» 23 (1997), 1, pp. 301-306; G.A. Lehmann, „Römischer Tod“ in Kolophon / Klaros. NeueQuellen zum Status der „freien“ Polisstaaten an der Westküste Klein-asiens im späten zweiten Jahrhundert v.Chr., «Nach. Akad. Wiss. Gött.- Phil.-Hist. Kl.» 3 (1998), pp. 125-194 (= pp. 1-70); J.-L. Ferrary, Laliberté des cités et ses limites à l’époque républicaine, in Atti del Con-vegno TÕ p£ntwn mšgiston fil£nqrwpon. Città e popoli liberi nel-l’imperium Romanum (Roma, Università degli Studi «La Sapienza»,14-15 gennaio 1999), «MedAnt» 2 (1999), 1, pp. 69-84; R. Bernhardt,Entstehung, immunitas und munera der Freistädte. Ein kritischerÜberblick, «Ibidem», pp. 49-68; D. Musti, Città ellenistiche e impe-rium, «Ibidem» 2 (1999), 2, pp. 449-462; J. Thornton, Una città e dueregine. Eleutheria e lotta politica a Cizico fra gli Attalidi e i Giulio-Claudi, «Ibidem», pp. 497-538; G.A. Lehmann, Polis-Autonomie undrömische Herrschaft an der Westküste Kleinasiens: Kolophon / Klarosnach der Aufrichtung der Provincia Asia, in L. Mooren (ed.), Politics,Administration and Society in the Hellenistic and Roman World,Proceedings of the International Colloquium (Bertinoro, 19-24 July1997), «Studia Hellenistica» 36 (2000), Leuven, pp. 215-238; J.-L. Fer-

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rary, Rome et les cités grecques d’Asie Mineure au IIe siècle, in A. Bres-son - R. Descat (éds.), Les cités d’Asie Mineure occidentale aux IIe

siècle a.C., Bordeaux 2001, pp. 93-106.

1. La pubblicazione nel 1989 a nome di Louis e Jeanne Robert didue decreti onorari emanati nella bassa epoca ellenistica dalla cittàdi Colofone – Claros I. Décrets hellénistiques, Paris; cfr. SEG XXXIX(1989), nrr. 1243, 1244 – ha rivitalizzato il non mai sopito dibattitosulla natura dello status detenuto da quella che si configura nei do-cumenti ufficiali come la categoria delle «città libere» e sui termini deldiscorso politico nel quale il riconoscimento di esso si trovò ingloba-to nell’epoca di transizione fra la basileia ellenistica e l’imperiumromano (un’utile rassegna critica delle principali posizioni al riguar-do dagli anni ’60 del secolo scorso sino alle prime battute dell’attualediscussione è stata curata da uno dei protagonisti di essa, RainerBernhardt: Rom und die Städte des hellenistischen Ostens (3.-1.Jahrhundert v.Chr.). Literaturbericht 1965-1995, München 1998, inpart. pp. 31-35, 62-73, 99-105; non è senza importanza per la naturadel dibattito il fatto che esso abbia visto e veda come protagonistipiuttosto studiosi del mondo romano che di quello ellenistico; con-seguenze ha pure il fatto – non certo limitato alla problematica inoggetto – del poco o nullo dialogo fra studiosi delle istituzioni egiuristi).

I due documenti, caratteristici «Karriere-dekrete» riassumenti ilcomplesso dell’attività pubblica dei benefattori cittadini secondo iparametri formali e istituzionali codificati dall’esperienza ellenisticadella vita di relazione intra- ed extrapoleica, apportano al dibattito inquestione almeno due ordini di fattori di grande utilità.

In primo luogo, essi coprono una considerevole e significativatranche cronologica di quel periodo che in dottrina è stato ritenutocome determinante per il definirsi generale (in senso progressivo oinvolutivo, o in entrambi contemporaneamente, a seconda delle in-terpretazioni) dello statuto delle città eleutherai in rapporto al proce-dere dell’affermazione di Roma nel Mediterraneo orientale e unabuona parte della vita di Colofone «libera» (essa sembra essersi pro-tratta ben oltre l’organizzazione della provincia Asia, sino almenoall’intervento sillano dell’85 a.C. contro i sostenitori di Mitradate).L’attività di Menippo e Polemeo illustrata risulta infatti essersi svoltaper qualche decennio, dagli ultimi tempi del governo attalide – non

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necessariamente dal 133 a.C., come propone Kallet-Marx, Hegemonycit., p. 103, e probabilmente non in completa coincidenza, come, adifferenza dei più, sembra ritenere lo studioso (ibid.), sulla scortadei Robert, Claros cit., p. 104 – ad oltre il governo asiano del Q. Mu-cius Scaevola ospitato da Menippo, che si conviene di identificarecon l’Augure, nel 120 a.C. ca. (Men. col. II, ll. 42-43; a differenza diquel che si può ritenere, questa identificazione non preclude unadatazione molto più tarda per il decreto, giusta la sua natura). Fra ledate dei decreti conclusivi delle due carriere via via proposte, oscil-lanti dall’ultimo quarto del II secolo a.C. al primo decennio del I, èpreferibile orientarsi dunque verso il periodo più avanzato (la pro-posta di F. Canali de Rossi, di recente ribadita in Iscrizioni storicheellenistiche, III, Roma 2002, pp. 138, 145, 150, 158, ad nrr. 178 e 179,di riconoscere nello Scaevola in questione il pontifex, proconsoled’Asia nel 99/97 ca. e di collocare nell’età sillana il decreto per Me-nippo e in epoca pompeiana quello per Polemeo, ponendo nel perio-do mitradatico le vicende d’ordine militare e i fatti di crisi economicacui si fa in essi rimando, poggia, inter alia, su di una non giustifica-bile interpretazione del riferimento alla ’Attalik¾ basile…a in Men.col. I, ll. 16-17, come alla reggia pergamena, «nostalgicamente»evocata: vd. Ph. Gauthier, Bulletin Epigraphique, «REG» 115 [2002], 7,p. 625; la dovuta attenzione alla contestualità generale dei documentimostra C. Eilers, Roman Patrons of Greek Cities, Oxford 2002, pp. 126-131, 138, che è però incline a istituire un rapporto cronologico diret-to fra il decreto per Menippo, come Polemeo distintosi nel recluta-mento di illustri patroni, e le basi di statua per i governatori d’Asiadegli anni ’90 e patroni di Colofone C. e L. Valerii Flacci, collocatenella medesima area del santuario di Claro; più cauto circa la con-nessione diretta governo provinciale - richiesta di patronato si mo-stra J.-L. Ferrary, che ha studiato il complesso dei monumenti onora-ri per Romani ivi collocati e ne ha pubblicato i testi: Idem - St. Ver-ger, Contribution à l’histoire du sanctuaire de Claros à la fin du IIe etau Ier siècle av. J.-C.: l’apport des inscriptions en l’honneur des Ro-mains et des fouilles de 1994-1997, «CRAI» [1999], pp. 842-843; J.-L. Fer-rary, Les inscriptions du sanctuaire de Claros en l’honneur de Ro-mains, «BCH» [2000], pp. 334-338).

In secondo luogo, i decreti, fornendo una serie di informazionidal campo – istituzionale e giuridico – circa la posizione della cittàlibera nei confronti di Roma e del governatore d’Asia e soprattutto

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circa l’operatività delle garanzie di tutela offerte da un tale status,costituiscono un prezioso riscontro tecnico alle già note testimonian-ze al riguardo di ordine prescrittivo: trattati, senatoconsulti, leggi. Ilfatto che si tratti di documenti scaturenti da una situazione comples-sa e disomogenea, largamente condizionata dagli eventi militari epolitici e legata al progressivo e articolato definirsi dell’organizzazio-ne territoriale e amministrativa romana (ma vd. in fine), e che in essisi rilevi in negativo e desultoriamente una sequela di pregiudizi acondizioni di cui ci manca il quadro in positivo nella sua interezza,non autorizza infatti a limitare ancora una volta l’approccio a questeultime esclusivamente secondo la prospettiva fattuale dei rapporti diforza (per quanto, come vedremo, determinante nella configurazio-ne di principi giuridici), o a quella, speculare, della ideologia del-l’impero romano repubblicano, operante in una disinvolta «propa-ganda» di valori privi di realtà giuridica, dei quali avrebbero fattouso, in misura e con intenzioni diverse, governanti e governati (an-che indiretti, come i «liberi»). Le contraddizioni di forma e sostanzacui porta una tale prospettiva d’indagine si colgono ad esempio nellavoro di W. Dahlheim, Gewalt und Herrschaft. Das provinzialeHerrschaftssystem der römischen Republik, Berlin - New York 1977,sempre pronto a risolvere il problema della difficoltà di definizionegiuridica mediante l’intervento delle dinamiche politiche, e nel di-scorso di quanti, partendo dai medesimi presupposti e impiegandoindifferentemente terminologia e concettualità di epoche diverse, ri-corrono di volta in volta all’immagine dell’«ambiguità» nelle condizio-ni riconosciute dai Romani, o alle (pseudo-)definizioni di «“libertà” insenso tecnico», «“libertas” speciale delle civitates liberae in senso tec-nico», «libertà speciale», «libertà piena e intera», «libertà non in sensopieno», «libertà (almeno) formale», «concetto più ridotto di libertà»,prefigurando processi di «“ridefinizione” del concetto di libertà», di«degradazione dello statuto», di definizione progressiva per accumu-lo di «precisazioni» di carattere giurisprudenziale, di «cristallizzazionegraduale dei diritti di una civitas libera» e così via (all’immagine delle«straordinarie ambiguità e complessità» del quadro di relazioni in og-getto ricorre anche per il periodo successivo F. Millar, Civitates libe-rae, coloniae and provincial governors under the Empire, in TÕ mšg.fil£nqrwpon cit., pp. 95-96).

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2. Entrambi i benefattori colofoni si erano distinti per una serie diambascerie a favore della propria città presso «le autorità [romane](oƒ ¹goÚmenoi [=Rwma‹oi])» – senato, generali, governatori, questori,«Romani che erano presenti in Asia» – relativamente ad «affari dellamassima necessità (¢nagkaiÒtata)» e «per la città stessa», giustamen-te intesi da tutti come le condizioni di base dell’esistenza della polis,quei fil£nqrwpa che costituivano il suo status giuridico (Men. col. I,ll. 18, 20; Pol. col. II, l. 12). Menippo nell’elenco delle sue legazionia Roma ricordava le diverse questioni sorte successivamente allaconferma dello statuto di Colofone (ottenuta nelle prime due, comeritiene giustamente Lehmann, «Römischer Tod» cit., p. 159 [= p. 35]:«autonomia e ordinamento costituzionale di base») e risolte con l’ot-tenimento di «decisioni (dÒgmata)» da parte dei «signori (kratoàn-

tej)». Di fronte al tentativo di qualcuno di sottrarre alla città partedella chora, il personaggio era riuscito a far potenziare dal punto divista giuridico il grado di titolarità di essa sul territorio contestato,salvaguardando quei confini patri che, dato lo status di Colofone,era fondamentale precisare (Men. col. I, ll. 22-23 e 34-37: tÁj mþn

paral…ou cèraj t¾n pankths…an bebaiotšran pepo…hke tîi d»mwi;per l’interpretazione proposta vd. L. Boffo, Lo statuto di terre, inse-diamenti e persone nell’Anatolia ellenistica. Documenti recenti eproblemi antichi, «Dike» 4 [2001], in part. p. 240; troppo generica è laresa «pleine possession» dei Robert, Claros cit., p. 71, ripresa da Ca-nali de Rossi, Iscrizioni cit., p. 142). Di fronte poi all’abuso di «quantierano giunti in Asia e trasferivano dall’ambito di competenza delleleggi [civiche] al proprio i giudizi» e al fatto che «i cittadini in statod’accusa erano costretti ogni volta a sottoporsi all’obbligo di cauzio-ne proporzionalmente», egli riuscì a «liberare» (l’impiego di ™leuqe-

rÒw non è casuale) la città, rappresentata da tutti quanti vi risiedeva-no, da quei vincoli e dall’arbitrio di governatori che non tenevanoconto che «la provincia è distaccata dall’autonomia» (Men. col. I, ll. 23-27: tîn paraginomšnwn e„j t¾n ’As…an t¦ krit»ria metagÒntwn ¢pÕ

tîn nÒmwn ™pˆ t¾n „d…an ™xous…an kaˆ prÕj mšroj ¢eˆ tîn ™nka-

loumšnwn politîn ™ggÚaj ¢nankazomšnwn Øpomšnein …; ll. 37-40:toÝj dþ katoikoàntaj t¾n pÒlin ™leuqšrwse kateggu»sewn kaˆ

strathgikÁj ™xous…aj, tÁj ™parce…aj ¢pÕ tÁj aÙtonom…aj cwri-

sqe…shj; su questa dichiarazione vd. infra, ad Men. col. II, ll. 4-7).Benché non si possa escludere una casistica riconducibile all’istitutodegli xenokr…tai / peregrini iudices (come propone Kallet-Marx, He-

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gemony cit., pp. 132-134), sembra da condividere l’ipotesi ricostrutti-va di Ferrary, secondo la quale si sarebbe trattato di contenziosi fraRhomaioi, o altri stranieri stabilitisi nella polis, in veste di accusatoriprotetti e favoriti dal governatore (che sarebbe sistematicamente in-tervenuto nella scelta del tribunale e nell’imposizione delle garan-zie), e Colofoni, o Greci ivi residenti, per i quali la devoluzione dellecause presso un tribunale imposto risultava di grave pregiudizio(Statut cit., pp. 566-567; Idem, La création de la province d’Asie et lapresence italienne en Asie Mineure, in Chr. Müller - C. Hasenohr[éds.], Les Italiens dans le monde grec, IIe siècle av. J.-C.-Ier siècle ap.J.-C. Circulation, Activités, Intégration, Actes de la table ronde, Éco-le Normale Supérieure [Paris, 14-16 mai 1998], «BCH», Suppl. 41[2002], Paris, p. 139).

Un ulteriore attentato alla autonomia di Colofone era derivatodal fatto che la polis intera era stata chiamata in causa presso i con-soli, a motivo di un suo cittadino, il quale era stato evocatus a Romae sottoposto a giudizio con la città su accusa capitale, «per morteromana» (Men. col. I, ll. 27-31: da Roma era giunta una lettera perˆ

toà doqšntoj krithr…ou kat¦ tÁj pÒlewj ™pˆ tîn Øp£twn kaˆ toà

genomšnou metapšmptou pol…tou prÕj œgklhma kefalikÒn; la circo-stanza era maggiormente precisata poco oltre, ll. 44-47: … tÒn te

katVti£menon pol…thn ™pˆ =Rwma<kîi qan£twi kaˆ met£pempton ge-

nÒmenon prÕj œgklhma kefalikÕn kaˆ krithr…wi paradidÒmenon

¤ma tÁi pÒlei …). La colpa del Colofonio e la responsabilità dellapolis non appaiono chiare dalla formulazione (forse non volutamen-te, come pure si ritiene di fronte alla difficoltà di interpretazione). Agiudicare dal risultato ottenuto da Menippo, sembra più persuasivadi altre, benché non del tutto soddisfacente, una delle ricostruzioniproposte da Ferrary (Statut cit., p. 568 ss.): il polites in questionesarebbe stato il responsabile – come accusatore, piuttosto che comeappartenente al collegio dei giudici – della condanna a morte (q£na-

toj) pronunciata dalla città contro un cittadino romano colpevole didelitto capitale, piuttosto che l’assassino di un Romano, giudicato eassolto da un tribunale cittadino, come ritenevano i Robert (Claroscit., p. 87; cfr. ancora Kallet-Marx, Hegemony cit., p. 192 con nn. 12 e13) e in un primo tempo lo stesso Ferrary (a J. Robert, Claros cit., p.87 n. 161; Status cit., p. 568; l’ipotesi di Lehmann – «Römischer Tod»cit., pp. 162-164 [= pp. 38-39], e Polis-Autonomie cit., pp. 234-238 –che il Rhomaikos thanatos fosse l’«esecuzione di tipo romano», la

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decapitazione, comportata dalla eventuale condanna del Colofonio,non sembra grammaticalmente giustificata: vd. K. Buraselis, Colophonand the War of Aristonicus, in TIMAI IWANNOU TRIANTAFULLO-POULOU, Aq»nai - Komot»nh 2000, p. 181 n. 1, le cui obiezioni allalettura di Ferrary sopra indicata, fondate sull’apparente contraddizio-ne tra la responsabilità collettiva della polis che avrebbe condannatoil Romano e quella personale del Colofonio rilevata da Roma e sul-l’ipotesi che si fosse impiegato il termine thanatos anziché phonosper un caso di omicidio a motivo della «riluttanza della città a rappre-sentare questo come più che un accidente», non sembrano più con-vincenti). Come che fosse, Menippo era riuscito a «recuperare sano esalvo» il concittadino insieme con le leggi civiche e a «conservare» lakurie…a di esse per ogni tipo di giudizio, compreso quello che vede-va coinvolti con Colofoni dei cittadini romani; un senatoconsultosanciva che costoro, in qualunque veste, dovessero essere sottopostialla giurisdizione locale (Men. col. I, ll. 40-44: kur…ouj dþ toÝj nÒ-

mouj tet»rhken ™pˆ pantÕj ™gkl»matoj kaˆ prÕj aÙtoÝj =Rwma…ouj,tÁj sugkl»tou dedogmatike…aj kaˆ tÕn ¢dikoànta kaˆ tÕn ™nka-

loànta tinˆ tîn ¹metšrwn politîn =Rwma‹on kr…nesqai par’¹m‹n).Perciò quando i magistrati colofoni furono accusati dalla vicina cittàdi Metropolis di aver proceduto ad un «sequestro di persone» (¢n-

drol»yion, per i Robert, Claros cit., p. 91, un reclutamento forzoso)sul suo territorio e di stare avviando azioni legali false contro i suoi«primi cittadini», Roma concesse al benefattore una risoluzione favo-revole e la clausola aggiuntiva che «al governatore non spetta né digiudicare, né di impicciarsi al di fuori della provincia, un bellissimoresponso, perfettamente congruo con la demokratia» (Men., rispettiva-mente col. I, ll. 50-54 e, dopo una lacuna che non preclude la letturadel tradizionale thršw, riferito all’operato di Menippo, col. II, ll. 1-7:prosgegrammšnon ½negke tÁi ¢pokr…sei diÒti tÁj ™parce…aj ™ktÕj

oÜte kr…nein oÜte polupragmone‹n tîi strathgîi kaq»kei, „dièta-

ton tÁi dhmokrat…ai kaˆ k£lliston ™nšgkaj ¢pÒkrima; quanto aitermini qui traslitterati vd. infra; su natura e implicazioni del conten-zioso vd. Lehmann, ’Androl»yion – Rom und der „Menschenfang“ –Streit zwischen Kolophon und Metropolis, «ZPE» 144 [2003], pp. 79-86,e Id., Corrigendum, «Ibidem» 145 [2003], p. 30).

Non da meno era stato per Colofone l’altro benefattore, Polemeo.Traendo «il frutto (karpÒj)» dalle amicizie che si era procurato pres-so «le autorità romane» e dalla protezione dei potenti patroni che

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aveva guadagnato alla città, andato in missione a Roma in circostan-ze difficili aveva ottenuto un senatoconsulto che garantiva la chorada depredazioni e ordinava «ai governatori che arrivavano nella pro-vincia» di darsene cura e di tenere saldamente sotto controllo la si-tuazione (Pol. col. II, ll. 33-51; la citazione da ll. 48-51: front…zwsin

dþ perˆ toÚtwn kaˆ ™niscÚwsin oƒ diaba…nontej e„j t¾n ™parc»an

strathgo…; per l’indagine che qui si affronta non è rilevante appura-re se si trattasse di tutto il territorio, come ritiene Buraselis [Colophoncit., p. 184 ss.] o di parte di esso, come credono i più: la connessionecon le ultime fasi della rivolta di Aristonico proposta da Buraselisresta comunque ipotetica). Anche lui, mediante un incontro con ilproconsole, riuscì a far invalidare la sentenza emessa contro un con-cittadino che era stato condannato «da un tribunale romano nellaprovincia», in quel modo «conservando integre, oltre alle sentenze ealla persona, anche le leggi cittadine» (Pol. col. II, ll. 51-58: ˜nÕj

tîn politîn katakr…tou genomšnou =Rwm(a)<kù krithr…wi ™n tÁi

™parce…v … tÕ{n} genÒmenon ¥kuron ™po…hsen kaˆ t¦ kr…mata kaˆ

tÕn pole…thn kaˆ toÝj nÒmouj ¢blabe‹j ™t»rhsen; l’idea di Lehmann,Polis-Autonomie cit., pp. 233-234, che l’intervento di Polemeo rien-trasse nel contesto delle vicende legate ai contenziosi tra Colofoni eRhomaioi di cui si occupò Menippo non è naturalmente dimostrabi-le; per l’interpretazione qui proposta vd. anche infra). «Di nuovo», inun momento in cui «fu emessa un’ordinanza contraria alle leggi con-tro alcune persone», egli si presentò e riuscì a «persuadere» le autorità«come bisogna che i giudizi [- - -]» (Pol. col. II, ll. 58-62: p£lin te

prost£gmatoj ™necqšntoj ™nant…ou to‹j nÒmoij kat£ tinwn, ™pel-

qën œpeise toÝj ¹goumšnouj æj de‹ t¦ krit»ria [- - -]; il termineprostagma, che non figura altrove in riferimento a pronunciamenti dimagistrati romani, è mutuato dal lessico ellenistico, ove significa or-dinanza specifica con valore normativo; l’idea di Ferrary – Statutcit., p. 572 n. 48, con Robert, Claros cit., p. 39 – che si poté trattare diun altro caso di evocatio e di ulteriore missione a Roma del benefat-tore sembra troppo condizionata dall’idea di fondo della voluta «allu-sività» dei due documenti).

Da altre benemerenze dei due evergeti risultano peraltro degliobblighi che la città aveva nei confronti di Roma. Essa doveva ospi-tare almeno lo stato maggiore degli eserciti in transito o un magistra-to e il suo seguito: meriti di Menippo erano stati in un caso l’aver«reso esenti dall’obbligo di alloggiamento – ¢nepistaqmeÚtouj – le

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case dei cittadini», ospitando egli i «Romani giunti in città», e in altri,ripetuti (oÙc ¤pax), l’aver accolto in casa sua «il governatore QuintoMucio, il questore e i tribuni militari», a sue spese (cfr. rispettivamen-te Men. col. II, ll. 10-14 e 42-46 e, per la normativa connessa conl’anepistathmeia, infra); fra quelli di Polemeo, l’aver ospitato, sem-pre a sue spese, «dei Romani» (Pol. col. IV, ll. 20-23). Ai tempi dellarivolta di Aristonico, inoltre, la città attraverso il suo stratego Menip-po dovette fornire agli hegoumenoi «le cose necessarie alla guerra»(Men. col. II, ll. 14-15, un significativo t£ te prÕj tÕn pÒlemon

™xuphršthse; per il riferimento alla guerra contro l’usurpatore vd.Buraselis, Colophon cit., p. 186 n. 12).

3. Dalla molteplicità e dal tenore dei riferimenti contenuti, per quan-to non sempre così perspicui come vorremmo, è facile comprenderequanto i due decreti colofoni possano apportare alla vexata quaestiodella natura dello statuto di «libertà» proprio di un certo numero dipoleis all’epoca dell’affermarsi di Roma nel Mediterraneo orientale.

In via preliminare occorre rilevare che la dichiarazione pubblicadei principi in questione effettuata da una polis nei suoi documentiufficiali può contribuire a rimuovere definitivamente ogni incertezzacirca l’eventualità di un’origine non greca del sistema e a dare ragio-ne all’idea ribadita da tempo da Ferrary (Philhellénisme et impérialisme.Aspects idéologiques de la conquête romaine du monde hellénistique,de la seconde guerre de Macédoine à la guerre contre Mithridate,Roma 1988, pp. 5 ss. e 83 ss.; Idem, Liberté cit., p. 69; del problemadella comparabilità della situazione siciliana discute la sintesi di A. Pin-zone, Civitates sine foedere immunes ac liberae: a proposito di Cic. IIVerr. III 6, 13, in TÕ mšg. fil£nqrwpon cit., p. 471 ss., sulla quale nonè possibile qui soffermarsi; per una definizione dei connotati della«libertà» delle città dell’Occidente romano vd. H. Galsterer, Die«Freiheit» der Städte im Westen des Reiches, ibid., pp. 539-555; per lecomunità dell’Africa vd. J. Peyras, Remarques sur les cités libres del’Afrique Mineure, «DHA» 23 [1997], 1, pp. 307-310; anche Bernhardt,Entstehung cit., p. 56, è convinto della ripresa romana del sistemagreco-ellenistico, salvo però ritenere che questo fosse costituito di«gradi» diversi di «libertà» e a rimandare ad origine romana il «concet-to di libertà» della libertas, perché derivato dalla «sfera della politicainterna»; vd. infra, passim).

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Allo stesso modo, e per l’evidente contesto di contenzioso che neè all’origine, la dichiarazione cittadina esplicita il quadro giuridicodel rapporto instaurato fra il potere «egemone» (nel caso di Roma, oƒ

¹goÚmenoi, ¹ ¹gemon…a) e «deliberante» e le entità istituzionali inseritenel suo ambito di intervento, precisamente attraverso l’enunciazionedello statuto specifico. Non è infatti difficile estendere all’ambito dicompetenza dell’autorità romana l’efficacia «performativa» del discor-so dell’autorità regale ellenistica, quello «speech-act» che, come haben colto John Ma, trovava precisamente espressione in un sistemadi statuti legali (con qualche contraddizione: vd. Antiochos III andthe Cities of the Western Asia Minor, Oxford 1999, p. 104 ss., e Idem,Dans les pas d’Antiochos III: l’Asie Mineure entre pouvoir et discours,in F. Prost [éd.], L’Orient méditerranéen, De la mort d’Alexandre auxcampagnes de Pompée. Cité et royaumes à l’époque hellénistique,Coll. Intern. SOPHAU [Rennes, avril 2003], «Pallas» 62 [2003], pp. 245-255; non insisteremo qui sul dossier epigrafico delle lettere con cuiEumene II perfezionava la concessione dello status di polis alla co-munità dei Toriaitai appunto mediante la «dichiarazione»: per… te toà

nom…zesqai pol…teuma … aÙtÕj ™n tÍ ˜tšrai ™pistolÍ katarx£me-

noj prospefènhka; vd. B. Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il ree la regalità ellenistica, Pisa - Roma 2003, pp. 295-298, nr. 30, ll. 34-35; per una puntuale analisi dell’operazione nei termini giuridico-istituzionali vd. A. Bencivenni, Progetti di riforme costituzionali nelleepigrafi greche dei secoli IV-II a.C., Bologna 2003, pp. 333-356, nr. 11).Tenere in adeguato conto il fondamento giuridico delle dichiarazioniperformative non significa cadere in quell’«astrazione legalistica» cheKallet-Marx imputa a Dahlheim (Hegemony cit., pp. 4-5): il modellodel governo romano come «passivo e reattivo» alle richieste e petizio-ni, indotto dal tipo di documentazione di cui disponiamo, nella suaapparente informalità può essere altrettanto rigido di quello «legali-stico», né si può assumere a principio interpretativo «il caos dellarealtà storica» (ibid., p. 18; le considerazioni dello studioso circa ilrapporto fra imperium romano e mondo greco meriterebbero unconfronto puntuale). Il processo di slittamento del sistema dall’ambi-to ellenistico a quello romano e i suoi connotati giuridici sono statiben colti da Domenico Musti (fin nel titolo del suo contributo: Cittàellenistiche e imperium): fu dalla relazione principio «assoluto» (per inostri studiosi, «la libertà ideale») / molteplicità delle situazioni speci-fiche generatesi dal rapporto con i sovrani che si determinò quella

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«formalizzazione giuridica della variante di fatto» sulla quale di voltain volta e nel tempo le poleis e l’autorità romana costruirono la loro(p. 450 ss.; giusta quanto appena detto e come si vedrà oltre, noisaremmo però inclini a porre già in epoca ellenistica quella «sdram-matizzazione» dell’idea greca di libertà «assoluta» che Musti pone nelcorso dell’età romana: da tempo i Greci avevano dovuto «ridurre leloro esigenze o pretese … alla conservazione dell’identità»; una chia-ra esposizione delle linee evolutive dell’applicazione del principiodella «libertà» alle relazioni internazionali fra potenze «egemoniche»,o «imperiali», e singole poleis nel mondo greco dall’età classica a quel-la romana aveva già dato M. Sordi, Dalla «Koinè eirene» alla «pax Ro-mana», in Eadem [a cura di], La pace nel mondo antico [CISA 11],Milano 1985, pp. 6-12, ora ripresa, nelle prospettive tradizionali, daM. Bertoli, Sviluppi del concetto di «autonomia» tra IV e III secolo a.C.,in C. Bearzot - F. Landucci - G. Zecchini [a cura di], Gli stati territo-riali nel mondo antico [CISA 1], Milano 2003, pp. 87-110).

Nella valutazione dello statuto della «libertà» delle poleis in epocaromana occorre dunque distinguere il piano della categoria giuridicada quello della ideologia politica (per una rassegna delle posizionidegli studiosi, giuridicamente orientati e non, vd. Bernhardt, Romcit., p. 15 ss.). Di fronte al fatto storico e politico della disparità di«potere» fra autorità dichiarante e città beneficata dello status di libe-ra, e dunque della revocabilità della concessione (in quanto tale),occorre recuperare la premessa e l’avviso di Dahlheim dell’opportu-nità di distinguere fra «precarietà» come espressione di un rapportodi forza e «precarietà» come principio giuridico, in quanto tale nonconnesso con lo status in questione, «inteso come irrevocabile»(Gewalt cit., pp. 251-252; per la «precarietà» dei philanthropa «nellostatus politico-giuridico» di una città greca che li otteneva con sforzoe, in caso di conflitto, se li doveva far confermare, vd. Lehmann,Polis-Autonomie cit., pp. 228-229; su questo aspetto vd. infra). Haragione Guerber a rilevare che «la libertà delle città greche (eleuthe-ria) è una realtà insieme ideologica e giuridica» e che «tuttavia, primadi essere un simbolo e un tema ideologico, l’eleutheria è una realtàgiuridica originale» (Considérations cit., pp. 302 e 304). Su questapremessa coglie dunque nel segno Thornton quando ravvisa il veronodo problematico relativo allo statuto e alle sue applicazioni nontanto «[nel]la precarietà dei diritti riconosciuti dal senato e [nel]la dif-ficoltà di tradurli in pratica» quanto «[nel] contrasto fra le garanzie dei

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cives Romani e le conseguenze giudiziarie della parità internazionaleformalmente riconosciuta da Roma alle città libere», con la conse-guenza che «ogni qual volta si presentava il caso di un conflitto fraun cittadino romano e una città libera, si doveva decidere se privile-giare le contrastanti prerogative degli uni o delle altre» (Città cit.,pp. 523-529; le citazioni sono da pp. 524 e 528). Il fatto che «leragioni di questa scelta furono, nella maggioranza dei casi, politiche»(ibid., p. 528) naturalmente non pregiudicava il carattere giuridicodelle componenti in gioco, come sospettava Bernhardt nella recen-sione al lavoro di L. Peppe, Sulla giurisdizione in populos liberos delgovernatore provinciale al tempo di Cicerone, Milano 1988, quandoribadiva la «frequente non chiarezza» se determinate misure prese daRoma fossero di natura «puramente (rein) politica o giuridica» («Gno-mon» [1990], pp. 749-750).

4a. Quanto sopra detto porta a rivedere il problema del rapporto fral’istituto della eleutheria riconosciuta a determinate città dall’autoritàmonarchica in epoca ellenistica e quello, o quelli, che rientrarono ingioco nel mondo greco a partire dalla nota dichiarazione di Flamini-no a Corinto nel 196 a.C., secondo cui «il senato romano e T. Quin-zio generale e proconsole, dopo aver vinto in guerra Filippo e i Ma-cedoni, rimandano (¢fi©sin) liberi, esenti da guarnigione (¢frou-

r»touj), esenti da tributo (¢forolog»touj), con uso delle leggi pa-trie (nÒmoij crwmšnouj to‹j patr…oij) Corinzi, Focesi, Locresi tutti,Eubei, Achei Ftioti, Magnesi, Tessali, Perrebi» (Polyb. 18,46,5; cfr.Liv. 33,32,5-6: liberos, immunes, suis legibus esse iubet; non sembra-no naturalmente accettabili le conclusioni di Ed. Will, Histoire politi-que du monde hellénistique (323-30 av. J.-C.), II, Nancy 19822, p. 173,che la dichiarazione non comportasse dei legami legalmente definiticon le poleis, per la ragione che il rapporto giuridico sarebbe statoesclusivamente con il vinto Filippo: proprio lo stato di «egemonialatente» instaurato allora da Roma a sostituzione delle «egemoniemonarchiche ellenistiche» recupera il quadro di interrelazione tra fi-gure e definizioni giuridiche che caratterizzava quelle egemonie; vd.anche infra).

La eleutheria ellenistica era lo stato privilegiato ufficialmente ri-conosciuto e dichiarato della condizione generale di non sottoposi-zione/sottoponibilità diretta ad un re con diverso fondamento giuri-

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dico detentore di un potere «eminente», attraverso leggi oppure ordi-nanze imposte da lui, suoi rappresentanti in loco, sue truppe di oc-cupazione. Ad esso si collegavano due «qualità» istituzionali distinte:il diritto di mantenere gli ‡dioi nÒmoi per la gestione amministrativa egiudiziaria interna (aÙtonom…a) e di governarsi secondo il regimescaturito dalle proprie storia ed esperienza istituzionali e non impo-sto dall’esterno (chiamato, non così impropriamente come si tende aritenere, dhmokrat…a, un regime ad assemblea più o meno ampiache governava la città ed esprimeva i suoi magistrati; è sufficientequi rimandare a Ph. Gauthier, Les cités hellénistiques: épigraphie ethistoire des institutions et des régimes politiques, in Actes du VIIIe

Congrès International d’Epigraphie Grecque et Latine, Athènes 1984,pp. 85, 100-102, che ha avuto il merito di sottolineare il fondamentoistituzionale e la relazione «la main dans la main» degli statuti definiticome eleutheria, autonomia, demokratia: «l’eleuthéria est aussi bienla condition que l’expression de la démocratie, avec laquelle elle nese confond pas»). Nelle pubbliche dichiarazioni naturalmente si sce-glieva di rilevare quel che più al momento era opportuno, da unaparte e dall’altra. Basti vedere, a proposito di Smirna, la lettura «ester-na» e quella della città del beneficio concesso da Seleuco II: la polisriconosciuta eleuthera kai aphorologetos si dichiarava dotata di auto-nomia e demokratia (OGIS 228, ll. 6-8; 229, ll. 10-11, 65-66).

L’esenzione fiscale diretta – ¢forologhs…a/¢neisfor…a – e l’eso-nero dall’obbligo di alloggiare truppe – ¢nepistaqme…a – erano dirittiulteriori, il cui riconoscimento andava specificato (altra cosa era evi-dentemente l’obbligo al pagamento di «contributi», sÚntaxij, e„sfo-

ra…: cfr. ad esempio I.v. Iasos 3, ll. 4-5, 7-9, 14-15; Ma, Antiochos cit.,p. 163 ss.). Perciò la dichiarazione di aphorologesia non implicavaeo ipso la eleutheria, come – nonostante Ma, Antiochos cit., p. 162nn. 194 e 283 – dimostra la formulazione della pace di Apamea pre-cisamente per Colofone, e lo status di «città libera» coesisteva conl’™pistaqme…a (ad esempio per Perge, Polyb. 21,41,1-5; vd. ancheMa, Antiochos cit., pp. 163-166). Si trattava ancora una volta di fattidi proclamazione performativa, la quale ben si adattava a un sistema«flessibile», con più livelli di gestione del potere.

4b. Roma rilevava, di diritto, un sistema «egemonico» impostato suuna rete di rapporti giuridici definiti e riconoscibili dai diversi sog-getti, da quelli che avevano la facoltà di determinarli dalla loro posi-

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zione di kratoàntej/¹goÚmenoi/par’oŒj ¢nagkaiÒtatai p©sin e„sˆn

¢nqrèpoij cre‹ai (vd. le iscrizioni colofonie e, per l’ultima definizio-ne, Men. col. III, ll. 12-13) a quelli che ne avvertivano la necessità,prima istituzionale che «pratica», per il mantenimento della propriaidentità storica e del proprio rango nella gerarchia delle poleis. Nonsono dunque casuali – e meritano un’attenzione senz’altro maggioredi quella limitata alla ricerca della autenticità degli episodi – i terminidella discussione su eleutheria e autonomia, precisamente in rappor-to al potere egemonico, attribuita in Polibio a Eumene e ai Rodi alcospetto del senato romano nel 189 a.C. (21,22,1 ss.). E se ha ragio-ne Ferrary a rilevare l’opportunità di non esagerare l’«opposizione»fra città «libere» e città provinciali, le quali pure detenevano una «au-tonomia» amministrativa e giudiziaria relativamente ampie (ad esem-pio per il diritto di appello al senato: cfr. Kallet-Marx, Hegemony cit.,p. 167 con n. 31), dal momento che tutte quante erano nella condi-zione di «far parte dell’impero» (Ferrary, Liberté cit., p. 71; Idem, Romecit., p. 103; Idem, Création cit., pp. 138-139; così anche, con nonpoche contraddizioni, come si vedrà, Bernhardt, Entstehung cit., pp. 59e 60), è precisamente sulle «regole» del sistema che bisogna riflettere.

Anche per la eleutheria di età romana occorre dunque riconosce-re la qualità di «grado di base» (ma giuridicamente perfezionato),rappresentato dal riconoscimento formale del diritto alla non sotto-ponibilità diretta all’autorità del potere eminente – quale che fosse almomento la sua area di controllo attraverso suoi magistrati – signifi-cata più da vicino da imperium e iurisdictio del promagistrato cheoperava in zona e in generale dalla figura giuridica che rappresenta-va quel potere, il senato prima, l’imperatore poi (un esame dei carat-teri dello status in età imperiale, condotto con parametri corretti, fi-gura in É. Guerber, Cité libre ou stipendiaire? A propos du statut juri-dique d’Éphèse à l’époque du Haut Empire Romain, «REG» 108 [1999],pp. 388-409, dove giustamente si giunge alla conclusione che «esisteuna definizione giuridica comune alle città libere» e che «sembra oggichiaro che bisogna considerare la nozione di libertas probabilmentein tutta la sua estensione e varietà», p. 408 con n. 57, un’affermazioneche va precisata nei termini che seguono). In questa prospettiva di-venta ingiustificato ritenere la dichiarazione di Corinto come un «attodi propaganda giuridicamente non obbligante per Roma» – «Diepompose Freiheitserklärung … war ja nur ein juristisch unverbindlicherAkt der Propaganda» –, come fa Bernhardt, a conseguenza dell’obbli-

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go per alcuni di aderire a confederazioni (Entstehung cit., p. 56). Nep-pure diventa necessario immaginare una differenziazione di qualitàgiuridiche tra diversi tipi di eleutheria, come fa ancora Bernhardt,che riconosce una «libertà in senso tecnico» solo in rapporto all’isti-tuzione del suo «opposto», la provincia (d’Asia; Rom cit., p. 17;Entstehung cit., p. 59, dove peraltro deve riconoscere il «paradosso»dell’«inglobamento [Einbindung]» delle comunità libere nell’imperiumRomanum), o un perfezionamento in itinere dell’istituto stesso, cheavrebbe trovato la sua «definizione» completa solo nel I secolo a.C.avanzato (vd. infra), oppure, ancora, la distinzione di status fraquanti conservavano una condizione precedentemente riconosciuta– «altfreie Städte», nel lessico moderno «stati indipendenti», inseriti inun ambito di diritto «internazionale» – e quanti lo acquistavano «peraffrancamento» da parte di Roma, «neufreie Städte», «sudditi privile-giati» in virtù di un beneficio amministrativo (come ritiene Bernhardt,Entstehung cit., pp. 51, 59-61, salvo poi ricredersi, quando la rifles-sione lo porta a considerare il rapporto con la Herrschaft diretta deiRomani, p. 67, e contraddirsi quando conclude che, quanto a inseri-mento nell’imperium Romanum e ad esclusione dalla provincia,«non c’è differenza» tra le due categorie, p. 61).

Quel riconoscimento comportava «naturalmente», come si è vistosopra, la dichiarazione degli altri, relativi ai diritti collegati. Esso im-plicava dunque il mantenimento della politeia locale, la costituzione,eo ipso «democratica» nel senso indicato sopra per l’età ellenistica egiusta l’evoluzione interna propria determinata dai caratteri delnuovo assetto egemonico, come hanno ben rilevato P.J. Rhodes eD.M. Lewis (The Decrees of Greek States, Oxford 1997, pp. 546-549);laddove quel tipo di costituzione mancava, veniva ricreata dai Roma-ni stessi: nel 167 a.C. Emilio Paolo dopo aver proclamato – formuladicta – che i Macedoni dovevano essere «liberi», habentis urbes eas-dem agrosque utentes legibus suis, annuos creantis magistratus,provvide ad avviare quello status dando egli stesso delle leggi: Liv.45,29,4; 31,1; 32,7; lo stesso legame fra libertas e suae leges ricono-sce Bernhardt, Entstehung cit., p. 62, che però, giusta la sua interpre-tazione, ne vede un fatto di «politica interna» sino a che la «libertà»non avrebbe assunto, con la creazione delle province, il «nuovo» si-gnificato di «non appartenenza a provincia». E ancora insieme venivariconosciuta la capacità di usare delle proprie leggi (nÒmoij crÁsqai

to‹j „d…oij / aÙtonom…a / suis legibus [et iudiciis] uti) in campo sia

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civile sia criminale con chiunque avesse a che fare con essa e con isuoi cittadini. Chiara è la definizione essenziale dell’istituto data da-gli Scipioni nella lettera con cui, nel tardo 190 a.C., cercavano diconvincere la città di Eraclea al Latmo a passare dalla parte di Roma(Ma, Antiochos cit., pp. 366-367, nr. 45, ll. 10-12): «vi concediamo(sugcwroàmen) la libertà (™leuqer…an) alle condizioni delle altre cit-tà che ci hanno rimesso il potere di decidere (¹m‹n t¾n ™pitrop¾n

œdwkan), con la facoltà di gestire il vostro governo secondo le vostreleggi (Ø[f’aÙtoÝj p£]nta t¦ aÙtîm politeÚesqai kat¦ toÝj Ømetš-

rouj nÒmouj)». Che cosa implicasse questo principio è specificato dalsenatoconsulto dell’80 a.C. riportato nella lettera del proconsole ri-chiesto di intervento in un contenzioso fra Chii e Rhomaioi agli inizidel I secolo d.C. (RDGE 70, ll. 15-18), il cui tenore non a caso trovariscontro preciso nei documenti colofoni. Il senato aveva riconosciu-to i meriti della polis durante la guerra mitradatica e «specificatamen-te (e„dikîj)» aveva garantito ad essa che si avvalesse di «leggi, con-suetudini e diritti (nÒmoij te kaˆ œqesin kaˆ dika…oij)» che avevaquando era entrata nell’amicizia con Roma, affinché non fosse «nep-pure sottoposta a un qualsiasi regolamento di magistrati o promagi-strati (ØpÕ m»q’ñtini[noàn] tÚpJ ðsin ¢rcÒntwn À ¢ntarcÒntwn)» e iRhomaioi che erano presso di essa fossero «soggetti (ØpakoÚwsin)alle leggi dei Chii» (per il senso di tÚpoj come formula [provinciae],il tÚpoj tÁj ™parce…aj da cui una città era ™xVrhmšnh nella espres-sione più tardi codificata, vd. Galsterer, «Freiheit» cit., p. 547; giusta-mente Kallet-Marx, Hegemony cit., p. 271, riconosce che «la confer-ma esplicita del primato della legge di Chio e il principio dell’auto-nomia legale non alterano lo status legale di Chio nei confronti diRoma», tranne poi condividere l’idea di A.J. Marshall, Romans underChian Law, «GRBS» 10 [1969], pp. 255-271, naturalmente allora privodi riscontri, che il diritto in questione non fosse quello criminale, mal’amministrativo, relativo ai titoli di proprietà immobiliare: per unadecisa critica a questa interpretazione vd. Thornton, Città cit., pp. 516-522, 524-525, dove non si fa peraltro cenno alla lettura di Kallet-Marxe, per la medesima interpretazione, A. Raggi, Senatus consultum deAsclepiade Clazomenio sociisque, «ZPE» 135 [2001], pp. 103-104; nep-pure, come vedremo, è automatico che tra i privilegi elencati figu-rasse anche la «immunitas nella sua forma più piena», come ritene-va R. Bernhardt, Die Immunitas der Freistädte, «Historia» 29 [1980],pp. 200-201).

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Nella prospettiva qui delineata, per usare il linguaggio dell’autoredel decreto per Menippo, «la eparcheia era distaccata dall’autono-mia» e lo stato di estraneità all’autorità del governatore romano era«assolutamente conforme alla demokratia». L’impiego dei terminiastratti è significativo: si trattava di principi generali – prima che diriferimento al caso specifico, o all’insieme delle città «autonome»come riteneva ad esempio H.W. Pleket, SEG 1244, ad loc. – e i limitiposti al magistrato romano erano di competenza, sia giudiziaria cheamministrativa, piuttosto che geografici, fra provincia e polis (cosìgiustamente Kallet-Marx, Hegemony cit., pp. 14 ss., 48-49, 115, 350-351; vd. anche infra). Come in epoca ellenistica, ™leuqer…a, aÙtono-

m…a, dhmokrat…a si configuravano come principi giuridico-istituzio-nali precisi, interrelati fra di loro e non identificantisi. L’idea di Fer-rary che nel decreto demokratia figurasse «nel senso di ™leuqer…a,aÙtonom…a, non caratterizzando il regime politico della città ma im-plicando che essa non è direttamente sottoposta a un potere esterno,che sia di un re o di un popolo» (Statut cit., pp. 564-565), risultasemplificare gli aspetti di embricazione dei concetti e dei principi ele diversità di prospettiva – la greca e la romana – da cui essi eranocolti e usati: non per caso Lehmann, che riprende la tesi di Ferrary epensa a uno «slittamento (Übertragung)» del concetto all’ambito dellerelazioni interstatali, è costretto a «tradurre» aÙtonom…a con «Bereichder Freiheit» e dhmokrat…a con «principio della libertà (Freiheit) edell’uguaglianza (Gleichberechtigung)» («Römischer Tod» cit., ad loc.,pp. 181 [= p. 58], 182 [= p. 59], con pp. 157-158 [= pp. 33-34]; Idem,Polis-Autonomie cit., p. 231 con n. 21). La medesima considerazionerichiede la doppia versione della dedica fatta a Roma nel 167, dopola «liberazione» dal controllo rodio, dal koinon dei Lici, in greco ko-

mis£menon t¾n p£trion dhmokrat…an e in latino [ab co]muni restitu-tei in maiorum leibert[atem Lucei], portata da Ferrary a riscontro del-la sua interpretazione (Statut cit., p. 564; sul monumento, sito sulCapitolium non casualmente presso il tempio di Fides, e recante ledediche di una quindicina di re e poleis anatolici, espresse «intera-mente nelle parole dei non-Romani», vd. Kallet-Marx, Hegemony cit.,pp. 287-289; l’epigrafe è ILLRP 174).

Alla «condizione di base» rappresentata dalla eleutheria, graziealle aperture che essa consentiva, si dovevano di volta in volta, o, alcaso, collettivamente, applicare gli svariati (o alcuni degli, o qualchegrado degli) altri diritti che potevano arricchire quello status: è que-

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sta la vecchia idea di A.H.M. Jones, Civitates liberae et immunes inthe East, in Anatolian Studies presented to W.H. Buckler, Manchester1939, pp. 103-117, ripresa da quanti ribadiscono il quadro della ge-rarchia fra città libere, fondata sulla diversa «gradazione» dei privilegi(vd. Ferrary, Liberté cit., p. 77; G.D. Merola, Autonomia locale - Go-verno imperiale. Fiscalità e amministrazione nelle province asiane,Bari 2001, pp. 140-141; giustamente Musti, Città cit., p. 452, rilevache «la immunitas concretizza la libertas»). Non sembra dunque con-divisibile l’idea ripetuta da Bernhardt che i benefici in questionecomprendessero lo status di eleutheria dell’epoca ellenistica «relati-vizzato, a tal punto che in ogni dichiarazione di libertà si dovevadefinire che cosa si intendeva con esso», con la conclusione che «lalibertà poteva significare la piena indipendenza, però anche la as-sunzione di una costituzione octroyée, l’obbligo fiscale e il ricevi-mento di una guarnigione» (Entstehung cit., pp. 56, 66, 67; i corsivisono naturalmente di chi scrive; alla medesima idea sembra inclinareMusti, Città cit., quando osserva che «la libertà politica era un con-cetto articolato in più pezzi, che … all’occorrenza … potrebbero es-sere combinati in maniera diversa»). Dello stesso Bernhardt è delresto la convinzione che la immunitas – l’esenzione almeno dalleimposte dirette – fosse «parte integrante (integrierter Bestandteil)» dellaeleutheria delle «città libere normali» (già in Immunitas cit., pp. 201-207 – con il rimando a fonti letterarie non così univoche comepotrebbe parere, App. b.c. 1,11,102; 5,6,27, e Strab. 17,3,24 – e inEntstehung cit., p. 57; un salutare richiamo alla prudenza è in Guerber,Considérations cit., p. 305).

Come in età ellenistica, la ¢neisfor…a/immunitas andava ricono-sciuta e dichiarata, con i suoi vari livelli relativi alla fiscalità diretta eindiretta, a scendere da quella plenissima (Dig. 27.1.17.1) a quella digrado inferiore, tanto più che, come sembra ormai riconosciuto, lafiscalità romana cominciò a operare in Asia «fin dalle origini» (Fer-rary, Statut cit., p. 565; Merola, Autonomia cit., pp. 13-40; Ferrary,Création cit., p. 143; vd. anche in fine; alla generalità del discorso èda ricondurre l’affermazione di Ferrary, Rome cit., p. 103, che le cittàlibere godevano anche dell’immunità e che di conseguenza «sfuggi-vano, in teoria, ai pubblicani e ai loro abusi»; più sfumato era lostudioso in Liberté cit., p. 71: «all’origine almeno, questo privilegioera generalmente indissociabile dalla immunità fiscale» – i corsivi so-no di chi scrive; per un esame della casistica dei conflitti tra publica-

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ni e città dichiarate libere vd. ora N. Ehrhardt, Strategien römischerPublicani gegenüber griechischen Städten in der Zeit der Republik, inN. Ehrhardt - L.-M. Günther [hrsgg.], Widerstand - Anpassung - Inte-gration. Die griechische Staatenwelt und Rom, Festschrift für JürgenDeininger zum 65. Geburtstag, Stuttgart 2002, pp. 135-153). Perciònelle disposizioni di Apamea i Colofoni, che erano liberi, vennerorilasciati ¢forolÒghtoi (Polyb. 22,27,4) e nel 167 gli Illiri vennerodichiarati non solum liberi, sed etiam immunes (Liv. 45,26,13 e 29,4),mentre i Macedoni, pur liberi, furono sottoposti al tributum nei con-fronti del popolo romano (Liv. 45,29,4; cfr. Ferrary, Liberté cit., p. 71n. 8; giusta la sua interpretazione di fondo, Bernhardt è naturalmentecostretto a ipotizzare che non ci fosse rapporto tra la libertà dellerepubbliche macedoniche e quella delle civitates liberae, che «nonpagavano nessuna imposta diretta» a Roma: Entstehung cit., pp. 56-57 e 67). Allo stesso modo al demos libero di Plarasa-Afrodisia nelnoto senatoconsulto del 39 a.C. si riconosceva nel dettaglio quel-l’ampia serie di concessioni che ne garantiva l’immunitas al massi-mo grado, dalla ¢tšleia p£ntwn tîn pragm£twn, alla cancellazionedall’iscrizione ai diversi «registri delle entrate (dšltoi prosodiko…)»,alla sottrazione dalle competenze dei dhmosiînai (all’epoca incaricatidelle imposte indirette), all’esonero dalle leitourg…ai (J. Reynolds,Aphrodisias and Rome, London 1982, nr. 8, passim; cfr. l’estratto nr. 9,l. 9: prosÒdouj, fÒrouj m» didÒtwsan; lo stesso Bernhardt da tempoconsiderava che l’esonero delle città libere dal pagamento del dazioromano non fosse «parte integrante [kein integrierter Bestandteil]» del-la eleutheria, Rom cit., pp. 34-35 n. 198, con osservazioni che quinon si condividono; vd. anche Merola, Autonomia cit., pp. 139-141;per l’esenzione «di principio» dal pagamento dei dazi delle poleis li-bere in Asia, per la ragione che il distretto fiscale coincideva con laprovincia da cui esse erano per statuto «distaccate», vd. M. Dreher, Dielex portorii Asiae und der Zollbezirk Asia, «EA» 26 [1996], pp. 120-127).

In questa prospettiva allora le disposizioni romane trasmesse daSpurio Postumio all’Anfizionia delfica nel 189 a.C. a proposito dellostatus della città di Delfi, riconosciuto come da essa espressamenterichiesto, non sono così «confuse» come è parso (vd. F. Lefèvre, Cor-pus des Inscriptions de Delphes (CID), 4. Documents Amphictioni-ques, Paris 2002, p. 248, ad nr. 104; che l’operazione fosse riconduci-bile all’opposizione fra città e Anfizionia e che gli argomenti di origi-narietà dei diritti potessero essere pretestuosi nulla toglie al valore

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giuridico dei titoli ™x ¢rcÁj e dei diritti «concessi dal popolo roma-no», l. 3; quanto all’asylia del santuario e della città, si trattava diriconoscimento giuridico che non interferiva con lo status della eleu-theria, ma vi si integrava, costituendo anch’esso base giuridica perl’assegnazione di aphorologesia e anepistathmeia). Quel che i Delfiavevano chiesto come ™leuqer…a e ¢neisfor…a diventava nella con-cessione, che andava precisata, la condizione di aÙtÒnomoi, ™leÚqe-

roi, ¢ne…sforoi, ovvero «viventi e amministrantisi (politeÚontej) dasé medesimi e dotati di titolarità (kurieÚontej) sulla chora e sul por-to sacri» (ll. 5-7). Ed è sulla base di considerazioni più generali e nonpregiudiziali che va interpretato il testo ritenuto a fondamento delnesso libertas-immunitas, la nota subscriptio con cui Augusto nel 31-19 a.C. rifiutava a Samo il philanthropon della libertà, perché «immo-tivato», e dichiarava non esser affar suo quanto essa versava per ilphoros (Reynolds, Aphrodisias cit., nr. 13, ll. 4-6: è di questo scritto,l. 4, la definizione della eleutheria come «il beneficio più grande ditutti», il titolo del convegno romano i cui atti qui si discutono, e restada dimostrare che l’espressione qui abbia, esclusivamente oprevalentemente, connotati ideologico-propagandistici: oÙ g£r ™stin

d…kaion tÕ p£ntwn mšgiston fil£nqrwpon e„kÍ kaˆ cwrˆj a„t…aj

car…zesqai).Anche la ¢nepistaqme…a doveva essere espressamente ricono-

sciuta come prerogativa accessoria. Così nel 68 a.C. la lex Antonia,che riconfermava agli abitanti di Termessus Maior di Pisidia lo statodi leiberi amicei socieique populi Romani, col diritto di usare omni-bus legibus sueis (nella misura in cui non fossero «contrarie alla pre-sente legge», che fissava nel dettaglio i titoli dei politai alla disponi-bilità delle componenti del territorio), aggiungeva la clausola chemagistrati, promagistrati o legati non dovevano introdurre nella cittàe nel suo territorio dei soldati per farli svernare, o consentire che altrilo facessero, salvo disposizione specifica del senato (M. Crawford,[ed.], Roman Statutes, II, «BICS», Suppl. 64 [1996], London, p. 334, nr. 19,ll. 6-13; la medesima disposizione – senza la clausola della possibili-tà di revoca da parte del senato – figurava nel già ricordato s.c. deAphrodisiensibus, ll. 32-34; cfr. la legge in Reynolds, Aphrodisias cit.,nr. 9, ll. 2-4, 6-8). Che spettasse alla decisione del senato la sottopo-sizione o meno di una città al di fuori della eparcheia all’obbligo dilasciar passare truppe, magistrati o promagistrati è attestato chiara-mente dalla disposizione di una lex Porcia ripresa nella lex de pro-

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vinciis praetoriis del 100 a.C., che in linea generale precludeva ap-punto quel tipo di operazioni ai governatori tranne che in caso di«transito» o «per ragioni di stato (dhmos…wn c£rin pragm£twn)»(Crawford, Statutes cit., II, p. 239, nr. 12, Cnid. III, ll. 13-15). Lostesso Ferrary nel 1985 nel suo importante contributo sulla lex Anto-nia le assegnava il valore di testimonianza «non tanto dei limiti dellostatuto di civitas libera nel 1° sec. a.C., quanto dell’importanza deiprivilegi che potevano restarvi connessi (attachés)» (La Lex Antoniade Termessibus, «Athenaeum» 63 [1985], pp. 456-457 con n. 129).

5. Stando a quanto sin qui considerato, non sembra dunque autoriz-zata l’idea che fossero stati i diversi pronunciamenti del senato ro-mano, di volta in volta emersi dalle fonti epigrafiche come risultatodi sollecitazioni all’intervento e alla dichiarazione da parte delle co-munità o per effetto dell’esigenza di organizzare una provincia, chedefinirono lo status delle comunità libere per sommatoria, confluen-do in testi normativi molto più tardi, come – giusta l’interpretazionedi Peppe, Giurisdizione cit. supra – la lex Iulia de repetundis del59 a.C. Non per caso Ferrary mostra sempre maggior cautela al riguar-do (Statut cit., p. 575 con n. 56; Idem, Liberté cit., pp. 66-67 – con laprecisazione che comunque una lex de repetundis non era finalizzataa includere una «carta» che fissasse lo statuto delle città libere – e 73;Idem, Création cit., p. 140; non così è naturalmente per Kallet-Marx,Hegemony cit., pp. 48-49 con nt. 25, 115: «i dettagli [della libertà] …furono lasciati all’emergere nel corso del tempo», e per Bernhardt,Rom cit., pp. 33-34, ed Entstehung cit., p. 53; vd. anche Buraselis,Colophon cit., p. 181; Raggi, Senatus cit., p. 104). Del resto, paceKallet-Marx, Hegemony cit., pp. 136-138, sembra ormai di dover con-cludere che, dalla parte dell’eparcheia, l’organizzazione spaziale delterritorio come unità «con confini che potrebbero essere precisamen-te definiti», anche in funzione fiscale, e quella giudiziaria attraverso iconventus, erano cosa fatta sin dalle prime fasi dell’istituzione dellaprovincia Asia (vd. rispettivamente S. Mitchell, Recent Archaeologyand the Development of Cities in Hellenistic and Roman Asia Minor,in E. Schwertheim - E. Winter [hrsgg.], Stadt und Stadtentwicklung inKleinasien, Bonn 2003, pp. 23-24, e M.D. Campanile, L’infanzia del-la provincia d’Asia: l’origine dei «conventus iuridici» nella provincia,in Bearzot - Landucci - Zecchini, Stati cit., pp. 277-286: «non dopo il

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123 a.C.», p. 284; ancora una volta, in conseguenza alle sue premesseKallet-Marx, Hegemony cit., pp. 115-116, 136-138, è costretto a con-cludere che l’organizzazione giudiziaria data da Roma non risalisse aM.’ Aquillius, ma che fosse effetto di uno sviluppo «graduale e natu-rale» tra II e I secolo a.C., con perfezionamento dopo la prima guerramitradatica).

Allo stesso modo, e all’inverso, non erano le «violazioni» e gli«abusi» di magistrati e publicani – naturalmente, in quanto tali, allabase della nostra documentazione – né l’uso dichiaratamente stru-mentale (in questo senso sì anche ideologico-propagandistico) delriconoscimento a determinare uno «scadimento» dell’istituto dal pun-to di vista giuridico (l’idea di un’evoluzione in senso negativo diesso – magari vista come concausa dell’adesione alla causa mitrada-tica – era suscitata in Ferrary, Statut cit., pp. 573-574, dal noto casoefesino degli anni ’90 del I sec. a.C., che vide coinvolto nel tentativodi recupero di un proprio schiavo rifugiatosi nell’Artemision asylon ilquestore M. Aurelio Scauro; ma lo studioso medesimo coglieva l’a-spetto del tutto «privato» della vicenda; per motivati dubbi circa laeleutheria di Efeso anche in età repubblicana vd. comunque Millar,Civitates cit., pp. 109-110). L’esame degli sviluppi storici dello statu-to condotto da Guerber ha avuto buon gioco a portare alla conclu-sione che la «degenerazione del privilegio di libertà» è un’idea origi-natasi in dottrina da una considerazione parziale e pregiudiziale del-le fonti antiche (Considérations cit., p. 301 ss.).

6. Dalla sua rassegna critica Bernhardt traeva l’impressione della«non chiarezza» del quadro delle «complicate» relazioni giuridiche fraautorità centrale romana, governatori, Romani nelle province e i cit-tadini delle poleis «privilegiate» e non (Rom cit., p. 67). Come si èvisto, ad essere «complicate» erano in realtà le relazioni politiche,nell’ambito di un processo di conquista e di acquisizione territoriale.Se è vero che tale processo storico ha presentato i caratteri di «fluidi-tà» e di adattamento nell’organizzazione istituzionale rilevati e sotto-lineati da Ferrary e Kallet-Marx, è pur anche documentato che l’auto-rità romana in esso avesse trovato utile rilevare lo strumentario per ladefinizione del rapporto fra «governanti» e «governati» già elaboratodal sistema ellenistico. Come si è visto, quel rapporto era fondatosulla dichiarazione e sulla applicazione di principi giuridici precisi e

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riconosciuti, che servivano a un regime di tipo egemonico a stabiliree gestire l’indispensabile gerarchia delle competenze. Il fatto chequei principi fossero da sempre oggetto di «trattativa» in relazione aeventi militari e politici, o di pregiudizio nella concretezza della casi-stica generata dalla convivenza, non toglieva certo loro significato epeso giuridico: altrimenti perché da un lato battersi così a lungo eostinatamente per essi e, dall’altro, dosarne e precisarne così punti-gliosamente la concessione e le applicazioni?

La posta in gioco, come rilevò giustamente Domenico Musti (Cit-tà cit., p. 452), era in verità di grande momento: si trattava di definireil ruolo della città come comunità locale e come centro amministrati-vo nell’ambito di uno Stato ormai unitario.