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LA MAGNA CHRASTA Aprile 2018 QUINTA EDIZIONE Edizione n°5 I ragazzi della redazione Tra quei pioppi filtranti perle luminescenti custodiscono i bei segreti della vita, il piacere virtuoso, l’inganno della morte. Nel nevicare aureo del roseo aprile i sapienti scoprono che tra i pollini lievi d’oro e verdi smeraldi non conoscono niente: il legame è profondo tra uomini e alte fronde; soffoca il respiro se la consapevolezza dell’unione segreta ci si para davanti. Camilla Viola, 5^H Indice 1) Operazione Compass. La Caporetto del deserto recensione. 2) Progenie di gnomi inventivi, come la società attuale influenza le nostre scelte e i nostri desideri. 3) L’atomo di J.J. Thomson poesia. 4) Noir, la notte dell’anima. 5) La Battaglia di Pavia. 6) Un’umanità da recuperare, la professione del medico. 7) I nostri dati su Facebook sono veramente sicuri? 8) Il femminismo è per tutti. 9) Cronaca di un muro e di un murales, Berlino. 10) Primavera Dintorno. 11) La Margherita incriminata 12) L’Eredità di Stephen Hawking

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LA MAGNA CHRASTA Aprile 2018

QUINTA EDIZIONE

Edizione n°5

I ragazzi della redazione

Tra quei pioppi filtranti

perle luminescenti custodiscono i bei segreti della vita,

il piacere virtuoso, l’inganno della morte. Nel nevicare aureo

del roseo aprile i sapienti scoprono che tra i pollini lievi

d’oro e verdi smeraldi non conoscono niente: il legame è profondo

tra uomini e alte fronde; soffoca il respiro se la consapevolezza dell’unione segreta ci si para davanti.

Camilla Viola, 5^H

Indice 1) Operazione Compass. La Caporetto del deserto –

recensione. 2) Progenie di gnomi inventivi, come la società

attuale influenza le nostre scelte e i nostri desideri.

3) L’atomo di J.J. Thomson – poesia.

4) Noir, la notte dell’anima.

5) La Battaglia di Pavia.

6) Un’umanità da recuperare, la professione del

medico. 7) I nostri dati su Facebook sono veramente sicuri?

8) Il femminismo è per tutti.

9) Cronaca di un muro e di un murales, Berlino.

10) Primavera Dintorno.

11) La Margherita incriminata

12) L’Eredità di Stephen Hawking

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Edizione n°5

La verità è che il Regio esercito era un esercito di carta: grande e potente solo sui manifesti della propaganda del regime. Il libro impiega ben 132 pagine ad elencare l’infinità di cause che portarono ad un tale tracollo: partendo dalla concezione di guerra coloniale di Graziani e dei suoi incapaci generali, passando ai pesantissimi errori strategici ed economici del fascismo, alla mancanza di mezzi, equipaggiamento, artiglieria e ufficiali specializzati, all’ignoranza dei singoli soldati, al ritardo tecnologico italiano (con carri armati più simili a scatolette di tonno che a veri mezzi corazzati), alla disorganizzazione e ai costosissimi dispetti fra Regia Marina e aviazione, a tattiche di combattimento decisamente obsolete e così via.

Il libro va con ordine e identifica con precisione il punto di partenza di tutto questo disastro: l’incapacità di comandante supremo di Mussolini, sia per non essersi minimamente reso conto delle condizioni tragiche del nostro esercito, sia per aver affidato il comando al personaggio meno adatto, ovvero sia Graziani, un fascistello fanatico e presuntuoso che concepiva guerre solo come quelle contro gli Etiopi o i ribelli libici. Del resto, Mussolini stava già confermando ampiamente la sua incompetenza con un’assurda aggressione alla Grecia.

Strategicamente, è una pessima mossa quella di aprire una guerra su due fronti distanti, ma è un suicidio militare farlo mentre già si sta perdendo e arretrando su un unico fronte, perché vengono tolte risorse fondamentali e le perdite potrebbero, oltre ad essere alte, risultare irrecuperabili. Questa fu la sorte dei nostri soldati nel dicembre del 1940 e questo libro è uno dei suoi migliori testimoni.

Andrea Ceciliani, 2^A

Aprile 2018

Operazione Compass. La Caporetto del deserto – RECENSIONE

Secondo una vecchia battuta, i libri più brevi della storia sarebbero: “Raffinate ricette inglesi”, “Etica commerciale ebraica” e “Vittorie militari italiane”- così inizia “Operazione Compass. La Caporetto del deserto”, il capolavoro letterario del giovane storico e archeologo Andrea Santangelo. Il libro, pubblicato nel 2012 sotto il marchio Salerno Editrice, rappresenta uno dei più completi ed esaurienti saggi storiografici sulla guerra degli italiani nel deserto.

Le parti sono quattro: la composizione delle forze in campo, italiane e britanniche, la descrizione dei combattimenti, l’analisi della totale disfatta e una riflessione sulla storiografia italiana dell’ultimo secolo e sul mancato ricordo di questo evento. Quest’ultima credo sia la più interessante e ritengo valga da sola tutto il prezzo del libro.

Ad ogni modo, cosa fu l’Operazione Compass, come avvenne e quali furono le sue conseguenze? Fu un’offensiva militare britannica, in principio con obiettivi di schermaglia, che doveva portare alla riconquista di Sidi el Barrani e dell’Egitto Occidentale. Invece, successivamente, rivelò il sanguinoso e maldestro bluff di Mussolini e delle forze italiane che furono spazzate via in poco più di due mesi, nonostante una superiorità numerica di 10 a 1.

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Edizione n°5

Aprile 2018

Negli anni ’20 dell’Ottocento Comte teorizza il positivismo. Dall’Ottocento tutto è cambiato, senza cambiare nulla. Tutto è cambiato perché siamo passati attraverso i vari Einstein, Bohr, Heisenberg, Nietzshe, Freud, Goedel, Popper che dovrebbero aver polverizzato qualsiasi dogma e certezza. Nulla è cambiato perchè abbiamo scelto di ignorarli, dimostrando che la società è artefice del pensiero, non viceversa. Il positivismo, che si vanta di esaltare la scienza, è la negazione del pensiero scientifico e critico, dato che esso ha un dogma: il progresso. Questa ideologia, che è quella che caratterizza la società moderna, è molto simile a una religione, anche se i suoi credenti sono assolutamente convinti di non credere in niente (Rita Di Leo, professoressa di relazioni internazionali, la chiama, nel suo libro, 100 anni dopo, ”teologia della tecnica”). La società che la accetta, evidentemente, non sopporta di guardarsi nello specchio della logica e dell’autocriticismo. Tale fede si basa sulla convinzione che progresso tecnologico e felicità umana vadano di pari passo e, sebbene sia insostenibile razionalmente, potrebbe, apparentemente, funzionare, portando a una società in stile “Star Trek”, dove le macchine al servizio dell’uomo gli permettono di dedicarsi a ciò che lo rende felice.

Tuttavia su questa strada si pone un ostacolo, che ci fa deviare verso un mondo in stile “Matrix”, dove è l’uomo al servizio della tecnica. Esso è l’utilitarismo, ovvero quell’attaccamento malato, morboso verso ciò che è utile, ed è intrinsecamente legato all’ideale positivista, dato che è necessario sacrificare gran parte della vita di molte persone perchè ci sia effettivamente un progresso tecnologico. Così l’utile non è più un mezzo per arrivare a qualsivoglia scopo, ma diventa lo scopo stesso. Con questo fine in mente, progredire verso il meglio è impossibile per un semplice motivo: la vera felicità verrebbe definita oggi “completamente inutile”. Come in tutte le religioni, è successo che Dio, creato per alleviare l’infelicità della vita umana, è finito per diventare il suo tiranno. Così, ormai, proiettiamo i nostri desideri verso ciò che riteniamo utile e che pensiamo ci renderà felici, siamo finiti a sognare le pecore elettriche. Qui non si tratta di essere romantici fino alla noia. Qui si tratta di avere cognizione dell’infelicità e della solitudine che porta con sè questo tipo di pensiero e, dunque, questo tipo di società. Viviamo in un tempo in cui chi studia letteratura è definito parassita, l’artista pazzo, chi pensa per pensare idiota. Centonivanta anni fa Leopardi scriveva: ”umilmente mi domando se la felicità dei popoli si può dare senza la felicità degli individui(...) per conforto a questa infelicità inevitabile mi pare che valgano lo studio del bello, degli affetti, le immaginazioni, le illusioni. Così il dilettevole mi pare utile sopra gli utili,e la letteratura più veramente e certamente di tutte queste discipline secchissime. In ogni modo, il privare gli uomini del dilettevole negli studi, mi pare un sia un ver malefizio del genere umano.”

Luca Cimino, 5^G

Progenie di gnomi inventivi

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Edizione n°5

L’ATOMO DI J.J. THOMSON

Vorrei dedicare questa poesia ad una grande celebrità: un uomo che con l’ideazione del “Modello a Panettone” ebbe un ruolo fondamentale nello studio della struttura atomica. Spero che la poesia sia di vostro gradimento e riesca a generare in voi un sentimento di stima nei suoi confronti almeno pari o superiore al mio. Buona lettura.

Dalla calda estate al dolce inverno lui fatica e si affaccenda

per creare qualcosa che lo renda eterno; qualcosa che sorprenda che delizi amici e parenti.

Egli desidera fama e successo (la solita tendenza delle giovani menti)

ma ecco adesso che mescola e rimescola il suo cervello; un colpo di genio (o una scelta banale):

cerca in più tomi il perfetto modello. Pensa a qualcosa di solido

ma morbido e leggero, qualcosa d’insolito

che s’apprezzi davvero. Un nucleo pieno e compatto che alla giusta temperatura

regga con gloria la sua copertura:

serve così la sua dolce vittoria. Ottenne macchie regolarmente disposte:

un piano più che azzardato che riuscì a conciliare due tendenze opposte,

un’idea innovativa che sarà sempre apprezzata. Ma ecco qui che da scienziato prodigo accetta di condividere la sua idea, ma

un processo meticoloso, lo dico, vi serve per cimentarvi nella sua sfida:

tanti sono i reagenti e lungo è il procedimento

affinché gli ingredienti si portino a compimento.

Il folle scienziato degno di lodi riuscì a trovarsi un solo rivale

infatti ci son due ricette che la Parodi serve al cenone di Natale.

Ok, stavo descrivendo un panettone, non so neanche chi sia

Thomson.

Samuele Pe, 5^B

Aprile 2018

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Edizione n°5

Noir, la notte dell’anima

“Ci sono solo due tipi di personaggi: i cattivi e i molto cattivi, ma siamo giunti ad un accordo: chiameremo buoni i primi e cattivi i secondi.” afferma Fritz Lang, uno dei maestri del cinema noir. Derivato dal cinema criminale, il noir nasce all’inizio degli anni Quaranta negli Stati Uniti come frutto tardivo della depressione economica degli anni ’30 e frutto ravvicinato della seconda guerra mondiale, ma trova la sua massima diffusione negli anni ‘50, riflettendo la tensione dell’opinione pubblica americana verso il comunismo e contestualmente la sua preoccupazione per il potenziale distruttivo delle armi atomiche. Lo sviluppo di questa forma cinematografica è legata all’immigrazione negli Stati Uniti di registi tedeschi, talvolta di origine ebraica, in grado di fondere le tendenze dell’espressionismo tedesco con alcuni elementi della cultura hollywoodiana e del filone letterario poliziesco noto come “la scuola dei duri”. Erano persone in grado di cogliere le tensioni del mondo e di trasferirle nell’arte cinematografica, mettendo in discussione elementi tipici del sogno americano, mostrandoci il punto di vista “dal basso” di criminali, falliti, perdenti. Anche la cinepresa offre punti di vista diversi, spesso dal basso, e gioca con il contrasto luce-ombra, metafora del conflitto tra bene e male, definendo atmosfere cupe e a tratti inquietanti,

con illuminazioni antinaturalistiche e tipicamente caravaggesche, dove i personaggi si muovono e agiscono in un universo deterministico, in cui ogni azione ha una diretta ripercussione sulla trama. Due film estremi, ai margini di quello che potremmo considerare il Noir in senso stretto, permettono di definire i confini del genere. In “The Night of the Hunter”, il nero dell’anima si proietta all’esterno, in un mondo notturno, dove il fiume, le ombre, le case e gli alberi diventano i protagonisti di un thriller che si trasforma in fiaba. Se questo film trasmette tutta la cattiveria del suo protagonista verso due bambini che vediamo in costante pericolo di morte, nel film “In a lonely place” viviamo il dramma di una donna che teme l’uomo che ama al punto di crederlo capace di ucciderla e al contempo pensiamo alla tragedia di quest’uomo che sembra confrontarsi con due tendenze opposte: onesto e di grande personalità, ma vittima della propria aggressività incontrollata, che lo condannerà a una vita di solitudine.

Francesca Bandi, 4^B

Aprile 2018

Reminiscenze caravaggesche in “The night of the hunter”

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Edizione n°5

La Battaglia di Pavia

Nel 1521 Carlo V, Imperatore tedesco e Re di Spagna, decise di attaccare il Nord Italia, controllato in quel momento dai francesi, e conquistò alcune piazzeforti, tra cui Milano e Pavia. La reazione francese arrivò nell’ottobre del 1524, quando il re dei transalpini, Francesco I, scese in Italia alla guida di un esercito molto potente e riuscì a riconquistare la città di Milano, facendo rinculare i nemici dietro l’Adda. Tuttavia Carlo V mantenne il controllo di Pavia, che costituiva un punto strategico per l’Impero ed era difesa da una guarnigione di 6000 soldati. Questo ridotto contingente di uomini per 3 mesi resistette strenuamente, senza poter contare su aiuti esterni, all’assedio disposto da Francesco I; solo in un secondo momento giunse in soccorso degli assediati un imponente esercito, guidato dal vicerè di Napoli, Carlo di Lannoy, e dal marchese di Pescara, Fernando Francesco d’Avalos, che spinse le truppe francesi a spostarsi all’interno del Parco Visconteo. In seguito, nella notte tra il 23 e il 24 Febbraio 1525, l’esercito imperiale, anche per via dell’imminente scadenza dei contratti dei suoi mercenari, decise di aprire tre brecce nelle mura che delimitavano il parco e riuscì in questo modo a prendere il controllo del castello di Mirabello. Francesco I, avvisato dell’accaduto, si mise al comando della propria cavalleria e dispose l’esercito in vista dello scontro.

I primi ad attaccare furono i francesi, che, grazie alla cavalleria, riuscirono a disperdere l’artiglieria nemica e, grazie ai colpi dei loro cannoni, gettarono scompiglio lungo la linea nemica, in particolare tra i lanzichenecchi tedeschi. Dunque l’ago della bilancia sembrava pendere dalla parte di Francesco I, ma la successiva offensiva della gendarmeria francese si rivelò un fiasco totale, dal momento che i cavalieri d’Oltralpe furono decimati dal fuoco degli archibugieri imperiali, disposti da D’Avalos in un boschetto a ovest del campo di battaglia. Allora la cavalleria imperiale sferrò il contrattacco ed ebbe la meglio sui nemici, ben coadiuvata dai reparti di fanteria; lo stesso Francesco I fu fatto prigioniero da Carlo di Lannoy, che decise di salvare il re francese dalla morte. All’alba del 24 febbraio, perciò, la contesa era terminata e il monarca transalpino fu portato in Spagna, dove venne liberato in seguito alla rinuncia alle mire francesi sul Nord Italia. Dunque la battaglia di Pavia segnò una svolta epocale nell’arte della guerra, mettendo in evidenza l’acquisizione di un ruolo decisivo da parte delle armi da fuoco, a discapito della cavalleria; inoltre ci fa anche capire come la nostra città non sia stata teatro unicamente di derby col Novara e di doppiette dello “Squalo Bianco” Andrea Ferretti, ma anche di importanti eventi storici, che andrebbero valorizzati in una maniera migliore.

Giacomo Zatti, 5^G

Aprile 2018

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Un’umanità da recuperare

Non c’è alcun dubbio sul fatto che in questi ultimi anni la professione del medico è sempre più ambita. Diverse sono le motivazioni, dal classico ma essenziale “voglio aiutare il prossimo” al “la medicina è la mia passione”, che indirizzano migliaia di studenti italiani a prepararsi non solo per la tanto temuta maturità ma pure per il fatidico test di ammissione a inizio settembre. Tanti giovani che intraprendono questo cammino con grandi speranze e desideri conosceranno finalmente il loro destino, potranno realizzare il loro sogno?

Già, questi tanti giovani però chissà che idea hanno dell’essere medico. Probabilmente le numerose serie tv in corsia hanno creato in essi la figura del medico come un eroe del quotidiano che salva molte vite, ma pure come un semidio, onnipotente, capace di risolvere qualsiasi cosa con un bisturi o con un’iniezione. La domanda fondamentale che però dovrebbero porsi è “che tipo di medico vogliono essere?”

“Bisogna essere freddi e distaccati”. “Siate sempre lucidi per valutare al meglio ogni azione”. “Non dovete farvi coinvolgere dai casi”. Vero, un medico deve sempre seguire questi tre consigli, che sono fondamentali per svolgere al meglio la propria professione, altrimenti è difficile affrontare situazioni particolarmente complicate. In fondo, però, quella del medico è solo una professione? Qual è realmente il compito del medico?

Beh, sinceramente credo che quella del medico sia più che una professione, una vocazione direi. Io penso che essere medico non voglia solamente dire che prendo in cura un paziente, cerco di curare la patologia, o risolvere il problema, e riconsegno la persona ai loro parenti come nuova: è impensabile che il medico si comporti come il meccanico. Un medico si rapporta con delle persone malate che possono essere spaventate o disorientate, ma anche con i loro parenti, che tante volte vivono altrettante sensazioni, non è giusto trovarsi distaccati di fronte a ciò, il medico ha il compito anche di accompagnare chi viene accolto in ospedale verso la guarigione e la possibilità di tornare alla vita quotidiana. Le conseguenze della mancanza di tali atteggiamenti si vedono oggi: molto spesso i pazienti sono lasciati soli, i parenti sono disinformati su quel che accade a un loro caro e frequentemente non viene data la giusta attenzione alla persona malata. I casi sono reali e frequenti, non si sta parlando di supposizioni. Ora, io non sono medico, e spero che tante mancanze abbiano cause maggiori e siano ricompensate con tanta competenza nella professione, ma penso che ci sia un’umanità da recuperare nelle piccole cose e nei piccoli gesti che fanno capire il reale spessore non tanto del medico, quanto dell’uomo o della donna che c’è dietro.

Giovanni Boriotti, 5^B

Edizione n°5 Aprile 2018

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Il noto fondatore di quello che è uno dei più popolari e importanti social network Mark Zuckerberg è stato richiamato dalla Commissione energia e commercio della Camera degli Stati Uniti d’America per testimoniare e spiegare come possa essere implicato nel caso Cambridge Analytica. L’11 Aprile dovrà dare chiarimenti su come i dati privati di oltre 50 milioni di utenti di Facebook siano stati manipolati per scopi politici come le elezioni politiche americane avvenute un anno fa e il referendum britannico per la Brexit. La società britannica di consulenza, finanziata dal miliardario Robert Mercer e con a vertice uno dei più importanti sostenitori dell’attuale presidente USA Steve Bannon, pare che abbia usato i profili privati degli utenti del social per creare campagne marketing “ad hoc”. Per riuscire nel loro intento la Cambridge Analytica ha tracciato dei profili psicologici tratti dai profili privati di Facebook per le proprie campagne e ciò è accaduto grazie ad Aleksandr Kogan, un ricercatore, che nel 2014 aveva ideato e creato un’applicazione apposta per creare profili psicologici e previsioni del proprio comportamento solo basandosi sui dati raccolti dai social.

Per questa sua ricerca Zuckerberg aveva donato ad Aleksandr dei dati aggregati su all’incirca 57 miliardi di “amicizie” intrecciate sulla piattaforma, un numero esorbitante. “Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati, e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio. Stiamo lavorando per capire cosa sia esattamente successo e per assicurarci che non accada mai più.” Con questa dichiarazione, il creatore di Facebook afferma la sua non complicità con la società britannica e l’innocenza della sua azienda. Nonostante ciò non si spiega come così tanti dati privati siano stati presi con così tanta facilità e ci mette in guardia su come non venga tutelata la nostra privacy sui social online… per adesso non si hanno certezze, l’11 Aprile il dibattito si aprirà al Congresso.

Stefano Bardinella, 5^H

Edizione n°5 Aprile 2018

I nostri dati su Facebook sono veramente sicuri?

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Edizione n°5

Il femminismo è per tutti

Aprile 2018

La prima volta che si parlò di femminismo fu in Francia, nel 1792, in piena rivoluzione francese, quando Olympe de Douges presentò al governo rivoluzionario una “Declaration des Droits des Femmes” nella quale si chiedevano tutti i diritti civili e politici per le donne; la prima leader in cui le femministe si sono riconosciute è la scrittrice Virginia Woolf, che ha concentrato la sua attenzione sugli svantaggi materiali delle donne rispetto ai loro compagni maschili. La storia del femminismo, poi, si sviluppò nell’Ottocento e, al giorno d’oggi, viene divisa in tre fasi, chiamate anche ondate, e ognuna di queste ha portato con sé nuove priorità e nuovi metodi: la prima ondata vede come protagonisti le suffragette e il diritto di voto; la seconda si risveglia negli anni Sessanta del Novecento e i temi delle femministe riguardano la sessualità, lo stupro e la violenza domestica, i diritti riproduttivi, il divorzio, ma anche la parità di genere sul posto di lavoro; la terza ondata registrata negli anni novanta vede le femministe lottare perché il divario tra uomini e donne venga riconosciuto e colmato. Oggi, purtroppo, femminismo è un termine che sembra essere diventato una “brutta parola”, sembra quasi essere diventato, erroneamente, l’etichetta per le donne che odiano il genere maschile.

Stereotipi di genere, conciliazione vita privata-lavoro, femminicidio sono alcuni dei temi che interessano le femministe moderne. Con lo sviluppo e diffusione dei social network è nato un tipo di femminismo nuovo, che combatte le sue battaglie in rete, che sostengono alcuni semplici concetti; concetti che dovrebbero essere naturali, banali, ma che in realtà non lo sono. Il movimento femminismo moderno è un movimento molto più pacato rispetto a quelli precedenti, più intelligente, e si batte per il riconoscimento di diritti basilari, quali la parità salariale, il rifiuto di adeguarsi a immagini e stereotipi e, in generale, contro ogni forma di sessismo e disuguaglianza. Essere femministi oggi è un valore che non dovrebbe appartenere all’uomo o alla donna, ma essere un valore condiviso: il valore per cui non giudichiamo una persona dal suo sesso, ma da come pensa e agisce, facendo in modo che le opportunità siano le stesse per tutti.

Aurora D’Auria, 3^I

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Edizione n°5

Cronaca di un muro e di un murales

Avevamo oramai capito che prendere il treno in quella città era la cosa più facile del mondo. Non ti potevi sbagliare: S7, prendi l’S7 e vai sul sicuro; d’altronde, quella linea ti porta un po’ ovunque. Fu così che ad Alexander Platz prendemmo quel treno, direzione East Side Gallery. Ci vollero una decina di fermate per giungere a destinazione: Warschauer Strasse. Si trattava di ben più di una fermata, era diversa dalle altre. Più che una stazione dei treni la definirei un luogo di passaggio. Certo, la più magica stazione dei treni resta quella in cui Harry Potter passa attraverso il muro col suo carrello; eppure a noi, senza carrello, sembrava una stazione a sé, magica appunto. Essa portava verso quanto di più gioioso e colorato io abbia mai visto. Era la stazione del quartiere più artistico, eccentrico, sregolato di Berlino. Quando scendemmo, subito udimmo l’hip hop di un’artista di strada; la sera, era possibile vedere piccoli concerti di percussioni.

Il tramonto era già prossimo quando percorremmo la strada che portava alla East Side Gallery, il lungo viale sul fiume Sprea percorso da centinaia di murales. Ci dirigemmo subito verso il primo di essi, e restammo colpiti da quell’oceano di colori che si agita in ognuna di quelle opere.

Mi è rimasto impresso il famoso bacio di riconciliazione, così come la macchina che sfonda il muro stesso.

In quel luogo, ogni artista è riuscito a dire che con l’arte tutto si poteva, che nessuno era escluso. In quel posto, dove prima c’era un vecchio e minaccioso Muro grigio, oggi c’è la gioiosa successione di infiniti colori che legano il passato con il presente in un abbraccio pacificatore.

A Berlino non si resta indifferenti a ciò che è stato. Ogni luogo, ogni piazza sembra parlare: dalla piazza di Babel, teatro del rogo di migliaia di libri a opera del nazismo, al Check Point Charlie, dove drammatici ed eclatanti furono i tentativi di fuga dall’Est all’ Ovest, all’immenso memoriale alla Shoa dietro la porta di Brandeburgo. Ed è proprio a questa porta che se bussate, come in tutte le case, vi risponderà il padrone. Qui il padrone, però, è una signora tutta particolare. E’ cortese, vi offre una buona pinta di birra e vi accoglie nella sua casa guidandovi dappertutto. Se chiedete il suo nome, ella risponderà “Storia”.

Marco Feroleto, 5^H

Aprile 2018

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Vi sono un’allusione genealogica alla famiglia committente; una celebrazione storica dell’epoca nel panorama italiano ricostruito dai personaggi, ciascuno corrispondente a una città comunale; una possibile lettura squisitamente mitologica, nutrita della letteratura classica ed una spiegazione filosofica fondata sul neoplatonismo di Ficino. Una recente lettura riconduce alla letteratura: Botticelli, appassionato studioso di Dante, sembra aver preso spunto dagli ultimi canti del Purgatorio. I riferimenti al dantesco Eden sono innumerevoli e suggestivo risulta il riconoscimento dei personaggi: Clori e Mercurio sono Eva ed Adamo, le Grazie diventano virtù teologali e Flora è Matelda-Giovanna che prima verrà ad annunciare la figura letteraria cristologica per eccellenza: non Venere, ma Beatrice. In Dante si fondono elementi che confermano il suo insuperabile sincretismo culturale e attraverso la rappresentazione di una figura puramente letteraria, è offerta la possibilità di ricostruire il giardino, palco della felice colpa che trova soluzione nella Pasqua. La riacquistata luce primaverile è luce pasquale così come appare in numerosissime altre opere che nulla hanno da invidiare a Botticelli: luce raccolta nell’ordine di Giotto e del Beato Angelico, luce nitida nei colori di Raffaello. Viviamo la quotidianità recando tra le mani “un ramo di mandorlo in fiore”, come ci suggeriva Ada Negri, per dire anche noi “qui primavera sempre”.

Anna Chiara Rovelli, 5^B

Se la strada per l’Inferno è lastricata di buone intenzioni, quella per il Copernico è costeggiata di piante. Il colorato profumo del calicanto segna l’inizio del secondo quadrimestre, le gemme appuntite della magnolia salutano il carnevale e la minuta armonia dei prunoli ricorda le gite, tanto che potremmo accantonare il calendario per farci guidare dalle fioriture. Oggi il sistema risulta impreciso a causa dell’irregolarità delle stagioni, ma in passato il ciclo di rinascita primaverile era molto attendibile. Nella tradizione popolare v’è il detto “Vegna Pasqua quand’ l’ha ga vöja, che la gaba l’ha ga la föja”: questo indica la forte attenzione ai ritmi della natura ed è testimonianza culturale del contesto in cui è nato, in quanto è implicito il nesso tra la Pasqua e l’omaggio della natura alla Resurrezione. Non ci stupisce dunque osservare i riferimenti a queste rinascite nella letteratura e nell’arte. Grazie alla sua carica vitale la primavera è metafora di giovinezza e freschezza ed elemento ricorrente nella poesia (si pensi al locus amoenus). Petrarca, riprendendo i suoi amati classici, richiama più volte l’incantevole stagione (Zefiro torna e bel tempo rimena) che alimenta però il suo dissidio nel ricordo dell’incontro con Laura in quel giorno sbagliato (Padre del ciel). La più bella e nota immagine della primavera è il dettagliato e delicato dipinto di Botticelli che, oltre ad essere opera di melodiosa armonia, offre numerosi livelli di lettura.

Aprile 2018 Edizione n°5

Primavera Dintorno

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Edizione n°5

La Margherita incriminata

Ha causato parecchie controversie la decisione del noto chef Carlo Cracco di proporre nel suo ristorante milanese in Galleria Vittorio Emanuele II una “Margherita alternativa” alla tradizionale pizza partenopea. Un impasto di cereali e una salsa più densa dell'originale vedono l'aggiunta di mozzarella di bufala a crudo ed origano. Il prezzo, 16 euro, è elevato, ma nemmeno troppo raro, se confrontato con quello di parecchie pizzerie milanesi gourmet. Il problema sta nel fatto che questo esperimento gourmet ha suscitato non poche critiche da parte di molti utenti dei social, in particolare da parte di napoletani indignati per quella che appare come una presa in giro del loro fiore all'occhiello. Qualcuno, facendo riferimento al recente declassamento di Cracco con la perdita di una stella, scrive: Dopo aver fatto la sua pizza gli hanno tolto non solo altre stelle ma la cittadinanza italiana.

Nemmeno la critica ufficiale è stata clemente; nonostante ciò c'è stato chi ha voluto prendere le difese dell'originale opera culinaria: il celebre pizzaiolo Gino Sorbillo ha ribadito che la pizza di Cracco non sia affatto un insulto all'originale ricetta napoletana, dunque una sperimentazione legittima e ben riuscita. "Non è Pizza Napoletana e non viene venduta e presentata come tale, è la sua Pizza e basta. Noi partenopei dovremmo scandalizzarci di più quando troviamo in giro pizze che fraudolentemente vengono vendute e pubblicizzate come pizze della nostra tradizione addirittura con l’aggiunta di riconoscimenti Stg, Dop, Doc e roba del genere. Benvenuta Pizza Italiana di Carlo"

Yahia Al Mimi, 5^E

Aprile 2018

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Edizione n°5

L’Eredità di Stephen Hawking

Spesso accade che coloro che hanno riscosso un risonante successo nel loro campo lavorativo, in seguito ad apparizioni in seguitissimi programmi televisivi, o sulle copertine di riviste molto vendute, finiscano nel diventare celebri personaggi pubblici, spesso – purtroppo – conosciuti solo di nome e di vista.

Questo stesso fenomeno ha visto protagonista una delle menti più brillanti della nostra epoca, del quale è nota a tutti l’immagine di lui seduto sulla sedia a rotelle, mentre, attraverso il suo sintetizzatore vocale Intel, è intento a parlare con Sheldon Cooper (Jim Parsons), che sviene dall’imbarazzo per aver commesso un errore aritmetico di fronte al suo idolo, in una puntata di The Big Bang Theory, o a bere una birra al bar con Homer Simpsons.

Nato il trecentesimo anniversario della morte di Galileo Galilei, come amava ricordare, Stephen Hawking è stato uno degli astrofisici più autorevoli e conosciuti della nostra epoca, noto soprattutto per i suoi studi sui buchi neri e sull’origine del cosmo. A lui si devono alcune fra le teorie più importanti degli ultimi cinquant’anni nel settore della cosmologia, che ci hanno permesso di comprendere alcuni aspetti del funzionamento dell’universo, come la Radiazione di Hawking, secondo la quale “i buchi neri non sono poi così neri”, ma emettono una radiazione termica, e la teoria no-boundary proposal (stato senza confini) che elaborò insieme al suo collega James Hartle nel 1983.

Oltre ad essere un geniale scienziato, Hawking ha consentito a chiunque di comprendere le leggi che regolano l’universo attraverso una serie di libri di divulgazione scientifica - tra i quali il best seller Dal Big Bang ai Buchi Neri - affascinandoci con la sua prosa semplice, fluida, avvolta da una patina di humor, che ci regala una lettura leggera alla scoperta dei meandri più oscuri del cosmo, e che, probabilmente, ha reso lo scienziato una figura tanto amata dal grande pubblico. Come noi tutti sappiamo, dall’età di ventuno anni, soffriva di una malattia neuro-degenerativa che lo costringeva su una sedia a rotelle e, in seguito a una tracheotomia, a parlare attraverso un computer. La sua storia, e quella della sua prima moglie Jane, è raccontata nel film La Teoria del Tutto, in cui viene interpretato dall’attore premio oscar Eddie Redmayne.

La sua condizione fisica di certo non l’ha fermato: la sua mente è stata libera di esplorare l’universo, e di regalarci una visione più nitida del grande “guscio di noce” nelle quale viviamo, e fino alle ultime settimane della sua vita ha lavorato senza tregua per fornire il suo contributo al progresso dell’umanità. Ci ha lasciati il 14 Marzo scorso, il giorno del 139esimo anniversario dalla nascita del suo collega Albert Einstein. Come mi piace pensare, ora il suo genio è libero di fluttuare fra le stelle che tanto ha amato osservare in vita, e, fra gli applausi della folla che l’ha osservato andarsene in quella piccola bara, il giorno dei suoi funerali, egli esce dall’aula della sua ultima lezione, che è di vita, felice di averci insegnato di guardare le stelle, piuttosto che i nostri piedi.

Tommaso Brambilla, 4^G

Aprile 2018