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4 CRITICAsociale 1-2 / 2011 Intervento del Presidente Napolitano alla Seduta comune del Parlamento in occasione dell’apertura delle celebrazioni del 150° an- niversario dell’Unità d’Italia Montecitorio, 17/03/2011 S ento di dover rivolgere un rico- noscente saluto ai tanti che han- no raccolto l’appello a festeg- giare e a celebrare i 150 anni dell’Italia unita : ai tanti cittadini che ho incontrato o che mi hanno indirizzato messaggi, esprimendo sen- timenti e pensieri sinceri, e a tutti i soggetti pubblici e privati che hanno promosso inizia- tive sempre più numerose in tutto il Paese. Isti- tuzioni rappresentative e Amministrazioni pubbliche : Regioni e Provincie, e innanzitutto municipalità, Sindaci anche e in particolare di piccoli Comuni, a conferma che quella è la no- stra istituzione di più antica e radicata tradi- zione storica, il fulcro dell’autogoverno demo- cratico e di ogni assetto autonomistico. Scuole, i cui insegnanti e dirigenti hanno espresso la loro sensibilità per i valori dell’unità naziona- le, stimolando e raccogliendo un’attenzione e disponibilità diffusa tra gli studenti. Istituzioni culturali di alto prestigio nazionale, Universi- tà, Associazioni locali legate alla memoria del- la nostra storia nei mille luoghi in cui essa si è svolta. E ancora, case editrici, giornali, radio- televisioni, in primo luogo quella pubblica. Grazie a tutti. Grazie a quanti hanno dato il lo- ro apporto nel Comitato interministeriale e nel Comitato dei garanti, a cominciare dal suo Presidente. Comune può essere la soddisfazio- ne per questo dispiegamento di iniziative e contributi, che continuerà ben oltre la ricorren- za di oggi. E anche, aggiungo, per un rilancio, mai così vasto e diffuso, dei nostri simboli, della bandiera tricolore, dell’Inno di Mameli, delle melodie risorgimentali. Si è dunque largamente compresa e condi- visa la convinzione che ci muoveva e che così formulerò : la memoria degli eventi che con- dussero alla nascita dello Stato nazionale uni- tario e la riflessione sul lungo percorso succes- sivamente compiuto, possono risultare prezio- se nella difficile fase che l’Italia sta attraver- sando, in un’epoca di profondo e incessante cambiamento della realtà mondiale. Possono risultare preziose per suscitare le risposte col- lettive di cui c’è più bisogno : orgoglio e fidu- cia ; coscienza critica dei problemi rimasti ir- risolti e delle nuove sfide da affrontare ; senso della missione e dell’unità nazionale. E’ in questo spirito che abbiamo concepito le cele- brazioni del Centocinquantenario. Orgoglio e fiducia, innanzitutto. Non temia- mo di trarre questa lezione dalle vicende risor- gimentali! Non lasciamoci paralizzare dall’or- rore della retorica : per evitarla è sufficiente affidarsi alla luminosa evidenza dei fatti. L’unificazione italiana ha rappresentato un’impresa storica straordinaria, per le condi- zioni in cui si svolse, per i caratteri e la portata che assunse, per il successo che la coronò su- perando le previsioni di molti e premiando le speranze più audaci. Come si presentò agli occhi del mondo quel risultato? Rileggiamo la lettera che quello stes- so giorno, il 17 marzo 1861, il Presidente del Consiglio indirizzò a Emanuele Tapparelli D’Azeglio, che reggeva la Legazione d’Italia a Londra : “Il Parlamento Nazionale ha appena votato e il Re ha sanzionato la legge in virtù della quale Sua Maestà Vittorio Emanuele II assu- me, per sé e per i suoi successori, il titolo di Re d’Italia. La legalità costituzionale ha così consacrato l’opera di giustizia e di riparazione che ha restituito l’Italia a se stessa. A partire da questo giorno, l’Italia afferma a voce alta di fronte al mondo la propria esi- stenza. Il diritto che le apparteneva di essere indipendente e libera, e che essa ha sostenuto sui campi di battaglia e nei Consigli, l’Italia lo proclama solennemente oggi”. Così Cavour, con parole che rispecchiavano l’emozione e la fierezza per il traguardo rag- giunto : sentimenti, questi, con cui possiamo ancor oggi identificarci. Il plurisecolare cam- mino dell’idea d’Italia si era concluso : quel- l’idea-guida, per lungo tempo irradiatasi gra- zie all’impulso di altissimi messaggi di lingua, letteratura e cultura, si era fatta strada sempre più largamente, nell’età della rivoluzione fran- cese e napoleonica e nei decenni successivi, raccogliendo adesioni e forze combattenti, ispirando rivendicazioni di libertà e moti rivo- luzionari, e infine imponendosi negli anni de- cisivi per lo sviluppo del movimento unitario, fino al suo compimento nel 1861. Non c’è di- scussione, pur lecita e feconda, sulle ombre, sulle contraddizioni e tensioni di quel movi- mento che possa oscurare il dato fondamentale dello storico balzo in avanti che la nascita del nostro Stato nazionale rappresentò per l’insie- me degli italiani, per le popolazioni di ogni parte, Nord e Sud, che in esso si unirono. En- trammo, così, insieme, nella modernità, ri- muovendo le barriere che ci precludevano quell’ingresso. Occorre ricordare qual era la condizione de- gli italiani prima dell’unificazione? Facciamo- lo con le parole di Giuseppe Mazzini - 1845 : “Noi non abbiamo bandiera nostra, non nome politico, non voce tra le nazioni d’Europa ; non abbiamo centro comune, né patto comune, né comune mercato. Siamo smembrati in otto Stati, indipendenti l’uno dall’altro...Otto linee doganali....dividono i nostri interessi materiali, inceppano il nostro progresso....otto sistemi di- versi di monetazione, di pesi e di misure, di le- gislazione civile, commerciale e penale, di or- dinamento amministrativo, ci fanno come stra- nieri gli uni agli altri”. E ancora, proseguiva Mazzini, Stati governati dispoticamente, “uno dei quali - contenente quasi il quarto della po- polazione italiana - appartiene allo straniero, all’Austria”. Eppure, per Mazzini era indubi- tabile che una nazione italiana esistesse, e che non vi fossero “cinque, quattro, tre Italie” ma “una Italia”. Fu dunque la consapevolezza di basilari in- teressi e pressanti esigenze comuni, e fu, in- sieme, una possente aspirazione alla libertà e all’indipendenza, che condussero all’impegno di schiere di patrioti - aristocratici, borghesi, operai e popolani, persone colte e incolte, mo- narchici e repubblicani - nelle battaglie per l’unificazione nazionale. Battaglie dure, san- guinose, affrontate con magnifico slancio ideale ed eroica predisposizione al sacrificio da giovani e giovanissimi, protagonisti talvolta delle imprese più audaci anche condannate al- la sconfitta. E’ giusto che oggi si torni ad ono- rarne la memoria, rievocando episodi e figure come stiamo facendo a partire, nel maggio scorso, dall’anniversario della Spedizione dei Mille, fino all’omaggio, questa mattina, ai luo- ghi e ai prodigiosi protagonisti della gloriosa Repubblica romana del 1849. Sono fonte di orgoglio vivo e attuale per l’Italia e per gli italiani le vicende risorgimen- tali da molteplici punti di vista, ed è sufficiente sottolinearne alcuni. In primo luogo, la supre- ma sapienza della guida politica cavouriana, che rese possibile la convergenza verso un uni- LA MEMORIA E IL FUTURO IL DISCORSO ALLE CAMERE DEL PRESIDENTE NAPOLITANO PER I 150 ANNI DELL ’UNITÀ D’ITALIA “ORGOGLIO, COSCIENZA CRITICA SENSO DELLA MISSIONE, UNITÀ NAZIONALE120 anni di Critica Sociale in 150 anni di Unità d’Italia

LA MEMORIA E IL FUTURO I D C P N ’U ’I “ORGOGLIO … · affidarsi alla luminosa evidenza dei fatti. L’unificazione italiana ha rappresentato ... dall’anniversario della

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4 ■ CRITICAsociale1-2 / 2011

Intervento del Presidente Napolitano allaSeduta comune del Parlamento in occasionedell’apertura delle celebrazioni del 150° an-niversario dell’Unità d’Italia

Montecitorio, 17/03/2011

S ento di dover rivolgere un rico-noscente saluto ai tanti che han-no raccolto l’appello a festeg-

giare e a celebrare i 150 anni dell’Italia unita :ai tanti cittadini che ho incontrato o che mihanno indirizzato messaggi, esprimendo sen-timenti e pensieri sinceri, e a tutti i soggettipubblici e privati che hanno promosso inizia-tive sempre più numerose in tutto il Paese. Isti-tuzioni rappresentative e Amministrazionipubbliche : Regioni e Provincie, e innanzituttomunicipalità, Sindaci anche e in particolare dipiccoli Comuni, a conferma che quella è la no-stra istituzione di più antica e radicata tradi-zione storica, il fulcro dell’autogoverno demo-cratico e di ogni assetto autonomistico. Scuole,i cui insegnanti e dirigenti hanno espresso laloro sensibilità per i valori dell’unità naziona-le, stimolando e raccogliendo un’attenzione edisponibilità diffusa tra gli studenti. Istituzioniculturali di alto prestigio nazionale, Universi-tà, Associazioni locali legate alla memoria del-la nostra storia nei mille luoghi in cui essa si èsvolta. E ancora, case editrici, giornali, radio-televisioni, in primo luogo quella pubblica.Grazie a tutti. Grazie a quanti hanno dato il lo-ro apporto nel Comitato interministeriale e nelComitato dei garanti, a cominciare dal suoPresidente. Comune può essere la soddisfazio-ne per questo dispiegamento di iniziative econtributi, che continuerà ben oltre la ricorren-za di oggi. E anche, aggiungo, per un rilancio,mai così vasto e diffuso, dei nostri simboli,

della bandiera tricolore, dell’Inno di Mameli,delle melodie risorgimentali.

Si è dunque largamente compresa e condi-visa la convinzione che ci muoveva e che cosìformulerò : la memoria degli eventi che con-dussero alla nascita dello Stato nazionale uni-tario e la riflessione sul lungo percorso succes-sivamente compiuto, possono risultare prezio-se nella difficile fase che l’Italia sta attraver-sando, in un’epoca di profondo e incessantecambiamento della realtà mondiale. Possonorisultare preziose per suscitare le risposte col-lettive di cui c’è più bisogno : orgoglio e fidu-cia ; coscienza critica dei problemi rimasti ir-risolti e delle nuove sfide da affrontare ; sensodella missione e dell’unità nazionale. E’ inquesto spirito che abbiamo concepito le cele-brazioni del Centocinquantenario.

Orgoglio e fiducia, innanzitutto. Non temia-mo di trarre questa lezione dalle vicende risor-gimentali! Non lasciamoci paralizzare dall’or-rore della retorica : per evitarla è sufficienteaffidarsi alla luminosa evidenza dei fatti.L’unificazione italiana ha rappresentatoun’impresa storica straordinaria, per le condi-zioni in cui si svolse, per i caratteri e la portatache assunse, per il successo che la coronò su-perando le previsioni di molti e premiando lesperanze più audaci.

Come si presentò agli occhi del mondo quelrisultato? Rileggiamo la lettera che quello stes-so giorno, il 17 marzo 1861, il Presidente delConsiglio indirizzò a Emanuele TapparelliD’Azeglio, che reggeva la Legazione d’Italiaa Londra :

“Il Parlamento Nazionale ha appena votatoe il Re ha sanzionato la legge in virtù dellaquale Sua Maestà Vittorio Emanuele II assu-me, per sé e per i suoi successori, il titolo diRe d’Italia. La legalità costituzionale ha così

consacrato l’opera di giustizia e di riparazioneche ha restituito l’Italia a se stessa.

A partire da questo giorno, l’Italia affermaa voce alta di fronte al mondo la propria esi-stenza. Il diritto che le apparteneva di essereindipendente e libera, e che essa ha sostenutosui campi di battaglia e nei Consigli, l’Italia loproclama solennemente oggi”.

Così Cavour, con parole che rispecchiavanol’emozione e la fierezza per il traguardo rag-giunto : sentimenti, questi, con cui possiamoancor oggi identificarci. Il plurisecolare cam-mino dell’idea d’Italia si era concluso : quel-l’idea-guida, per lungo tempo irradiatasi gra-zie all’impulso di altissimi messaggi di lingua,letteratura e cultura, si era fatta strada semprepiù largamente, nell’età della rivoluzione fran-cese e napoleonica e nei decenni successivi,raccogliendo adesioni e forze combattenti,ispirando rivendicazioni di libertà e moti rivo-luzionari, e infine imponendosi negli anni de-cisivi per lo sviluppo del movimento unitario,fino al suo compimento nel 1861. Non c’è di-scussione, pur lecita e feconda, sulle ombre,sulle contraddizioni e tensioni di quel movi-mento che possa oscurare il dato fondamentaledello storico balzo in avanti che la nascita delnostro Stato nazionale rappresentò per l’insie-me degli italiani, per le popolazioni di ogniparte, Nord e Sud, che in esso si unirono. En-trammo, così, insieme, nella modernità, ri-muovendo le barriere che ci precludevanoquell’ingresso.

Occorre ricordare qual era la condizione de-gli italiani prima dell’unificazione? Facciamo-lo con le parole di Giuseppe Mazzini - 1845 :“Noi non abbiamo bandiera nostra, non nomepolitico, non voce tra le nazioni d’Europa ;non abbiamo centro comune, né patto comune,

né comune mercato. Siamo smembrati in ottoStati, indipendenti l’uno dall’altro...Otto lineedoganali....dividono i nostri interessi materiali,inceppano il nostro progresso....otto sistemi di-versi di monetazione, di pesi e di misure, di le-gislazione civile, commerciale e penale, di or-dinamento amministrativo, ci fanno come stra-nieri gli uni agli altri”. E ancora, proseguivaMazzini, Stati governati dispoticamente, “unodei quali - contenente quasi il quarto della po-polazione italiana - appartiene allo straniero,all’Austria”. Eppure, per Mazzini era indubi-tabile che una nazione italiana esistesse, e chenon vi fossero “cinque, quattro, tre Italie” ma“una Italia”.

Fu dunque la consapevolezza di basilari in-teressi e pressanti esigenze comuni, e fu, in-sieme, una possente aspirazione alla libertà eall’indipendenza, che condussero all’impegnodi schiere di patrioti - aristocratici, borghesi,operai e popolani, persone colte e incolte, mo-narchici e repubblicani - nelle battaglie perl’unificazione nazionale. Battaglie dure, san-guinose, affrontate con magnifico slancioideale ed eroica predisposizione al sacrificioda giovani e giovanissimi, protagonisti talvoltadelle imprese più audaci anche condannate al-la sconfitta. E’ giusto che oggi si torni ad ono-rarne la memoria, rievocando episodi e figurecome stiamo facendo a partire, nel maggioscorso, dall’anniversario della Spedizione deiMille, fino all’omaggio, questa mattina, ai luo-ghi e ai prodigiosi protagonisti della gloriosaRepubblica romana del 1849.

Sono fonte di orgoglio vivo e attuale perl’Italia e per gli italiani le vicende risorgimen-tali da molteplici punti di vista, ed è sufficientesottolinearne alcuni. In primo luogo, la supre-ma sapienza della guida politica cavouriana,che rese possibile la convergenza verso un uni-

LA MEMORIA E IL FUTURO ■ IL DISCORSO ALLE CAMERE DEL PRESIDENTE NAPOLITANO PER I 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA

“ORGOGLIO, COSCIENZA CRITICASENSO DELLA MISSIONE, UNITÀ NAZIONALE”

120 anni di Critica Sociale in 150 anni di Unità d’Italia

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co, concreto e decisivo traguardo, di compo-nenti soggettive e oggettive diverse, non facil-mente componibili e anche apertamente con-fliggenti. In secondo luogo, l’emergere, in senoalla società e nettamente tra i ceti urbani, nellecittà italiane, di ricche, forse imprevedibili ri-serve - sensibilità ideali e politiche, e risorseumane - che si espressero nello slancio dei vo-lontari come componente attiva essenziale alsuccesso del moto unitario, e in un’adesionecrescente a tale moto da parte non solo di ri-strette élite intellettuali ma di strati sociali nonmarginali, anche grazie al diffondersi di nuovistrumenti comunicativi e narrativi.

E in terzo luogo vorrei sottolineare l’ecce-zionale levatura dei protagonisti del Risorgi-mento, degli ispiratori e degli attori del motounitario. Una formidabile galleria di ingegni edi personalità - quelle femminili fino a ieri nonabbastanza studiate e ricordate - di uomini dipensiero e d’azione. A cominciare, s’intende,dai maggiori : si pensi, non solo a quale im-pronta fissata nella storia, ma a quale lascitocui attingere ancora con rinnovato fervore distudi e generale interesse, rappresentino il mi-to mondiale, senza eguali - che non era artifi-ciosa leggenda - di Giuseppe Garibaldi, e lediverse, egualmente grandi eredità di Cavour,di Mazzini e di Cattaneo. Quei maggiori, losappiamo, tra loro dissentirono e si combatte-rono : ma ciascuno di essi sapeva quanto l’ap-porto degli altri concorresse al raggiungimentodell’obbiettivo considerato comune, anche seciò non valse a cancellare contrasti di fondo epoi tenaci risentimenti. Ho detto dei principaliprotagonisti, ma molti altri nomi - del campomoderato, dell’area cattolico-liberale, e delcampo democratico - potrebbero essere richia-mati a testimonianza di una straordinaria fio-ritura di personalità di spicco nell’azione po-litica, nella società civile, nell’amministrazio-ne pubblica.

Questi fortificanti motivi di orgoglio italianotrovano d’altronde riscontro nei riconoscimen-ti che vennero in quello stesso periodo e suc-cessivamente, dall’esterno del nostro paese, daesponenti della politica e della cultura storicad’altre nazioni ; riconoscimenti della portataeuropea della nascita dell’Italia unita, dell’im-patto che essa ebbe su altre vicende di nazio-nalità in movimento nell’Europa degli ultimidecenni dell’Ottocento e oltre. Né si può di-menticare l’orizzonte europeo della visione edell’azione politica di Cavour, e la significati-va presenza, nel bagaglio ideale risorgimenta-le, della generosa utopia degli Stati Unitid’Europa. Nell’avvicinarsi del Centocinquan-tenario si è riacceso in Italia il dibattito sia at-torno ai limiti e ai condizionamenti che pesa-rono sul processo unitario sia attorno alle piùcontroverse scelte successive al conseguimen-to dell’Unità. Sorvolare su tali questioni, ri-muovere le criticità e negatività del percorsoseguito prima e dopo al 1860-61, sarebbe dav-vero un cedere alla tentazione di racconti sto-rici edulcorati e alle insidie della retorica.

Sono però fuorvianti certi clamorosi sempli-cismi: come quello dell’immaginare un possi-bile arrestarsi del movimento per l’Unità pocooltre il limite di un Regno dell’Alta Italia : dicontro a quella visione più ampiamente inclu-siva dell’Italia unita, che rispondeva all’idealedel movimento nazionale (come Cavour bencomprese, ci ha insegnato Rosario Romeo) -visione e scelta che l’impresa garibaldina, laSpedizione dei Mille rese irresistibile.

L’Unità non poté compiersi che scontandolimiti di fondo come l’assenza delle masse con-tadine, cioè della grande maggioranza, allora,della popolazione, dalla vita pubblica, e dun-que scontando il peso di una questione socialepotenzialmente esplosiva. L’Unità non poté

compiersi che sotto l’egida dello Stato piùavanzato, già caratterizzato in senso liberale,più aperto e accogliente verso la causa italianae i suoi combattenti che vi fosse nella penisola,e cioè sotto l’egida della dinastia sabauda e del-la classe politica moderata del Piemonte, im-personata da Cavour. Fu quella la condizioneobbiettiva riconosciuta con generoso realismoda Garibaldi, pur democratico e repubblicano,col suo “Italia e Vittorio Emanuele”. E se loscontro tra garibaldini ed Esercito Regio sul-l’Aspromonte è rimasto traccia dolorosa del-l’aspra dialettica di posizioni che s’intrecciòcol percorso unitario, appare singolare ognitendenza a “scoprire” oggi con scandalo comele battaglie sul campo per l’Unità furono ov-viamente anche battaglie tra italiani, similmen-te a quanto accadde dovunque vi furono movi-menti nazionali per la libertà e l’indipendenza.

Ma al di là di semplicismi e polemiche stru-mentali, vale piuttosto la pena di considerare itermini della riflessione e del dibattito più re-

cente sulle scelte che vennero adottate subitodopo l’unificazione dalle forze dirigenti delnuovo Stato. E a questo proposito si sono re-gistrati seri approfondimenti critici : che nonpossono tuttavia non collocarsi nel quadro diuna obbiettiva valutazione storica del quadrodell’Italia pre-unitaria quale era stato ereditatodal nuovo governo e Parlamento nazionale.Questi si trovarono dinanzi a ferree necessitàdi sopravvivenza e sviluppo dello Stato appe-na nato, che non potevano non prevalere su unpacato e lungimirante esame delle opzioni incampo, specie quella tra accentramento, nelsegno della continuità e dell’uniformità rispet-to allo Stato piemontese da un lato, e - se nonfederalismo - decentramento, con forme di au-tonomia e autogoverno anche al livello regio-nale, dall’altro lato.

E a questo proposito vale ancor oggi la vi-gorosa sintesi tracciata da un grande storico,che pure fu spirito eminentemente critico,Gaetano Salvemini.

“I governanti italiani, fra il 1860 e il 1870,si trovavano” - egli scrisse - “ alle prese conformidabili difficoltà”. Quello che s’imposeera allora - a giudizio di Salvemini - “il solo

ordinamento politico e amministrativo, con cuipotesse essere soddisfatto in Italia il bisognodi indipendenza e di coesione nazionale”. Ecosì, attraverso errori non meno gravi delledifficoltà da superare, “fu compiuta” - sonoancora parole dello storico - “un’opera ciclo-pica. Fu fatto di sette eserciti un esercito so-lo...Furono tracciate le prime linee della reteferroviaria nazionale. Fu creato un sistemaspietato di imposte per sostenere spese pubbli-che crescenti e per pagare l’interesse dei debi-ti... Furono rinnovati da cima a fondo i rappor-ti tra lo Stato e la Chiesa”.

E fu debellato il brigantaggio nell’Italia me-ridionale, anche se pagando la necessità vitaledi sconfiggere quel pericolo di reazione legit-timista e di disgregazione nazionale col prezzodi una repressione talvolta feroce in rispostaalla ferocia del brigantaggio e, nel lungo pe-riodo, col prezzo di una tendenziale estraneitàe ostilità allo Stato che si sarebbe ancor più ra-dicata nel Mezzogiorno.

Da un quadro storico così drammaticamentecondizionato, e da un’”opera ciclopica” di uni-ficazione, che gettò le basi di un mercato na-zionale e di un moderno sviluppo economicoe civile, possiamo trarre oggi motivi di com-prensione del nostro modo di costituirci comeStato, motivi di orgoglio per quel che 150 annifa nacque e si iniziò a costruire, motivi di fi-ducia nella tradizione di cui in quanto italianisiamo portatori ; e possiamo in pari tempo trar-re piena consapevolezza critica dei problemicon cui l’Italia dové fare e continua a fare iconti.

Problemi e debolezze di ordine istituzionalee politico, che - nei decenni successivi all’Uni-tà - hanno inciso in modo determinante sulletravagliate vicende dello Stato e della societànazionale, sfociate dopo la prima guerra mon-diale in una crisi radicale risolta con la violen-za in chiave autoritaria dal fascismo. Ed egual-mente problemi e debolezze di ordine struttu-rale, sociale e civile.

Sono i primi problemi quelli che oggi ci ap-paiono aver trovato - nello scorso secolo - piùvalide risposte. Mi riferisco a quel grande fatto

di rinnovamento dello Stato in senso democra-tico che ha coronato il riscatto dell’Italia dalladittatura totalitaria e dal nuovo servaggio incui la nazione venne ridotta dalla guerra fasci-sta e dalla disfatta che la concluse. Un riscattoreso possibile dall’emergere delle forze tem-pratesi nell’antifascismo, e dalla mobilitazionepartigiana, cui si affiancarono nella Resistenzale schiere dei militari rimasti fedeli al giura-mento. Un riscatto che culminò nella eccezio-nale temperie ideale e culturale e nel forte cli-ma unitario - più forte delle diversità storichee delle fratture ideologiche - dell’AssembleaCostituente.

Con la Costituzione approvata nel dicembre1947 prese finalmente corpo un nuovo disegnostatuale, fondato su un sistema di principi e digaranzie da cui l’ordinamento della Repubbli-ca, pur nella sua prevedibile e praticabile evo-luzione, non potesse prescindere. Come venneesplicitamente indicato nella relazione Ruinisul progetto di Costituzione, “l’innovazionepiù profonda” consisteva nel poggiare l’ordi-namento dello Stato su basi di autonomia, se-condo il principio fondamentale dell’articolo5 che legò l’unità e indivisibilità della Repub-blica al riconoscimento e alla promozione del-le autonomie locali, riferite, nella seconda par-te della Carta, a Regioni, Provincie e Comuni.E altrettanto esplicitamente, nella relazioneRuini, si presentò tale innovazione come cor-rettiva dell’accentramento prevalso all’attodell’unificazione nazionale.

La successiva pluridecennale esperienzadelle lentezze, insufficienze e distorsioni regi-stratesi nell’attuazione di quel principio e diquelle norme costituzionali, ha condotto diecianni fa alla revisione del Titolo V della Carta.E non è un caso che sia quella l’unica rilevanteriforma della Costituzione che finora il Parla-mento abbia approvato, il corpo elettorale ab-bia confermato e governi di diverso orienta-mento politico si siano impegnati ad applicareconcretamente.

E’ stata in definitiva recuperata l’ispirazionefederalista che si presentò in varie forme manon ebbe fortuna nello sviluppo e a conclusio-ne del moto unitario. All’indomani dell’unifi-cazione, anche i progetti moderatamente auto-nomistici che erano stati predisposti in seno algoverno, cedettero il passo ai timori e agli im-perativi dominanti, già nel breve tempo che aCavour fu ancora dato di vivere e nonostantela sua ribadita posizione di principio ostileall’accentramento benché non favorevole alfederalismo. E oggi dell’unificazione celebria-mo l’anniversario vedendo l’attenzione pub-blica rivolta a verificare le condizioni alle qua-li un’evoluzione in senso federalistico - e nonsolo nel campo finanziario - potrà garantiremaggiore autonomia e responsabilità alle isti-tuzioni regionali e locali rinnovando e raffor-zando le basi dell’unità nazionale. E’ tale raf-forzamento, e non il suo contrario, l’autenticofine da perseguire.

D’altronde, nella nostra storia e nella nostravisione, la parola unità si sposa con altre : plu-ralità, diversità, solidarietà, sussidiarietà.

In quanto ai problemi e alle debolezze di or-dine strutturale, sociale e civile cui ho poc’anzifatto cenno e che abbiamo ereditato tra le in-compiutezze dell’unificazione perpetuatesi fi-no ai nostri giorni, è il divario tra Nord e Sud,è la condizione del Mezzogiorno che si collocaal centro delle nostre preoccupazioni e respon-sabilità nazionali. Ed è rispetto a questa que-stione che più tardano a venire risposte adegua-te. Pesa certamente l’esperienza dei tentativi edegli sforzi portati avanti a più riprese nei de-cenni dell’Italia repubblicana e rimasti nonsenza frutti ma senza risultati risolutivi ; pesaaltresì l’oscurarsi della consapevolezza dellepotenzialità che il Mezzogiorno offre per un

120 anni di Critica Sociale in 150 anni di Unità d’Italia

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nuovo sviluppo complessivo del paese e chesarebbe fatale per tutti non saper valorizzare.

Proprio guardando a questa cruciale questio-ne, vale il richiamo a fare del Centocinquan-tenario dell’Unità d’Italia l’occasione per unaprofonda riflessione critica, per quello che hochiamato “un esame di coscienza collettivo”.Un esame cui in nessuna parte del paese ci sipuò sottrarre, e a cui è essenziale il contributodi una severa riflessione sui propri comporta-menti da parte delle classi dirigenti e dei citta-dini dello stesso Mezzogiorno.

E’ da riferire per molti aspetti e in non lievemisura al Mezzogiorno, ma va vista nella suacomplessiva caratterizzazione e valenza nazio-nale, la questione sociale, delle disuguaglian-ze, delle ingiustizie - delle pesanti penalizza-zioni per una parte della società - quale oggisi presenta in Italia. Anche qui ci sono ereditàstoriche, debolezze antiche con cui fare i conti,a cominciare da quella di una cronica insuffi-cienza di possibilità di occupazione, che nelpassato, e ancora dopo l’avvento della Repub-blica, fece dell’Italia un paese di massicciaemigrazione e oggi convive con il complessofenomeno del flusso immigratorio, del lavorodegli immigrati e della loro necessaria integra-zione. Senza temere di eccedere nella somma-rietà di questo mio riferimento alla questionesociale, dico che la si deve vedere innanzituttocome drammatica carenza di prospettive di oc-cupazione e di valorizzazione delle proprie po-tenzialità per una parte rilevante delle giovanigenerazioni.

E non c’è dubbio che la risposta vada in ge-nerale trovata in una nuova qualità e in un ac-cresciuto dinamismo del nostro sviluppo eco-nomico, facendo leva sul ruolo di protagonistiche in ogni fase di costruzione, ricostruzionee crescita dell’economia nazionale hanno as-solto e sono oggi egualmente chiamati ad as-solvere il mondo dell’impresa e il mondo dellavoro, passati entrambi, in oltre un secolo, at-traverso profonde, decisive trasformazioni.

Ma non è certo mia intenzione passare quiin rassegna l’insieme delle prove che ci atten-dono. Vorrei solo condividessimo la convin-zione che esse costituiscono delle autentichesfide, quanto mai impegnative e per moltiaspetti assai dure, tali da richiedere grande spi-rito di sacrificio e slancio innovativo, in unarinnovata e realistica visione dell’interesse ge-nerale. La carica di fiducia che ci è indispen-sabile dobbiamo ricavarla dalla esperienza delsuperamento di molte ardue prove nel corsodella nostra storia nazionale e dal consolida-mento di punti di riferimento fondamentali peril nostro futuro.

Una prova di straordinaria difficoltà e impor-tanza l’Italia unita ha superato affrontando evia via sciogliendo il conflitto con la Chiesacattolica. Dopo il 1861 l’obbiettivo della pienaunificazione nazionale fu perseguito e raggiun-to anche con la terza guerra d’indipendenza nel1866 e a conclusione della guerra 1915-18 : mairrinunciabile era l’obbiettivo di dare in tempinon lunghi al nascente Stato italiano Roma co-me capitale, la cui conquista per via militare -fallito ogni tentativo negoziale - fece precipi-tare inevitabilmente il conflitto con il Papato ela Chiesa. Ma esso fu avviato a soluzione conun’intelligenza, moderazione e capacità di me-diazione di cui già lo Stato liberale diede il se-gno con la Legge delle guarentigie nel 1871 eche - sottoscritti nel 1929 e infine recepiti inCostituzione i Patti Lateranensi - sfociò in tem-pi recenti nella revisione del Concordato. Si eb-be di mira, da parte italiana, il fine della laicitàdello Stato e della libertà religiosa e insieme ilgraduale superamento di ogni separazione econtrapposizione tra laici e cattolici nella vitasociale e nella vita pubblica.

Un fine, e un traguardo, perseguiti e piena-

mente garantiti dalla Costituzione repubblicanae proiettatisi sempre di più in un rapporto alta-mente costruttivo e in una “collaborazione perla promozione dell’uomo e il bene del paese” -anche attraverso il riconoscimento del ruolo so-ciale e pubblico della Chiesa cattolica e, insie-me, nella garanzia del pluralismo religioso.Questo rapporto si manifesta oggi come unodei punti di forza su cui possiamo far leva peril consolidamento della coesione e unità nazio-nale. Ce ne ha dato la più alta testimonianza ilmessaggio augurale indirizzatomi per l’odiernoanniversario - e lo ringrazio - dal Papa Bene-detto XVI. Un messaggio che sapientementerichiama il contributo fondamentale del Cri-stianesimo alla formazione, nei secoli, del-l’identità italiana, così come il coinvolgimentodi esponenti del mondo cattolico nella costru-zione dello Stato unitario, fino all’incancella-bile apporto dei cattolici e della loro scuola dipensiero alla elaborazione della Costituzionerepubblicana, e al loro successivo affermarsinella vita politica, sociale e civile nazionale.

Ma quante prove superate e quanti momentialti vissuti nel corso della nostra storia potrem-mo richiamare a sostegno della fiducia che de-ve guidarci di fronte alle sfide di oggi e del fu-turo! Anche a voler solo considerare il periodosuccessivo alla sconfitta e al crollo del 1943 epoi alla Resistenza e alla nascita della Repub-blica, è ancora incancellabile nell’animo diquanti come me, giovanissimi, attraversaronoquel passaggio cruciale, la memoria di un abis-

so di distruzione e generale arretramento dacui potevamo temere di non riuscire a risolle-varci.Eppure l’Italia unita, dopo aver scongiuratocon sapienza politica rischi di separatismo e diamputazione del territorio nazionale, riuscì arimettersi in piedi. Il primo, e forse più auten-tico “miracolo”, fu la ricostruzione, e quindi -nonostante aspri conflitti ideologici, politici esociali - il balzo in avanti, oltre ogni previsio-ne, dell’economia italiana, le cui basi eranostate gettate nel primo cinquantennio di vitadello Stato nazionale. L’Italia entrò allora a farparte dell’area dei paesi più industrializzati eprogrediti, nella quale poté fare ingresso e og-gi resta collocata grazie alla più grande inven-zione storica di cui essa ha saputo farsi prota-gonista a partire dagli anni ‘50 dello scorso se-colo : l’integrazione europea. Quella divenneed è anche l’essenziale cerniera di una semprepiù attiva proiezione dell’Italia nella più vastacomunità transatlantica e internazionale. Lanostra collocazione convinta, senza riserve, as-sertiva e propulsiva nell’Europa unita, resta lachance più grande di cui disponiamo per por-tarci all’altezza delle sfide, delle opportunitàe delle problematicità della globalizzazione.

Prove egualmente rischiose e difficili abbia-mo dovuto superare, nell’Italia repubblicana,sul terreno della difesa e del consolidamentodelle istituzioni democratiche. Mi riferisco ainsidie subdole e penetranti, così come ad at-tacchi violenti e diffusi - stragismo e terrori-smo - che non fu facile sventare e che si riuscì

a debellare grazie al solido ancoraggio dellaCostituzione e grazie alla forza di moltepliciforme di partecipazione sociale e politica de-mocratica; risorse sulle quali sempre fa affida-mento la lotta contro l’ancora devastante fe-nomeno della criminalità organizzata.

In tutte quelle circostanze, ha operato, e hadeciso a favore del successo, un forte cementounitario, impensabile senza identità nazionalecondivisa. Fattori determinanti di questa no-stra identità italiana sono la lingua e la cultura,il patrimonio storico-artistico e storico-natu-rale: bisognerebbe non dimenticarsene mai, èlì forse il principale segreto dell’attrazione esimpatia che l’Italia suscita nel mondo. E parlodi espressioni della cultura e dell’arte italianaanche in tempi recenti : basti citare il rilancionei diversi continenti della nostra grande, pe-culiare tradizione musicale, o il contributo delmigliore cinema italiano nel rappresentare larealtà e trasmettere l’immagine, ovunque, delnostro paese. Ma dell’identità nazionale è in-nanzitutto componente primaria il senso di pa-tria, l’amor di patria emerso e riemerso tra gliitaliani attraverso vicende anche laceranti efuorvianti. Aver riscoperto - dopo il fascismo- quel valore e farsene banditori non può esserconfuso con qualsiasi cedimento al nazionali-smo. Abbiamo conosciuto i guasti e pagato icosti della boria nazionalistica, delle preteseaggressive verso altri popoli e delle degenera-zioni razzistiche. Ma ce ne siamo liberati, cosìcome se ne sono liberati tutti i paesi e i popoliunitisi in un’Europa senza frontiere, in un’Eu-ropa di pace e cooperazione. E dunque nessunimpaccio è giustificabile, nessun impaccio puòtrattenerci dal manifestare - lo dobbiamo an-che a quanti con la bandiera tricolore operanoe rischiano la vita nelle missioni internazionali- la nostra fierezza nazionale, il nostro attac-camento alla patria italiana, per tutto quel chedi nobile e vitale la nostra nazione ha espressonel corso della sua lunga storia. E potremo tan-to meglio manifestare la nostra fierezza nazio-nale, quanto più ciascuno di noi saprà mostrareumiltà nell’assolvere i propri doveri pubblici,nel servire ad ogni livello lo Stato e i cittadini.

Infine, non ha nulla di riduttivo il legare pa-triottismo e Costituzione, come feci in que-st’Aula in occasione del 60° anniversario dellaCarta del 1948. Una Carta che rappresenta tut-tora la valida base del nostro vivere comune,offrendo - insieme con un ordinamento rifor-mabile attraverso sforzi condivisi - un corpodi principii e di valori in cui tutti possono ri-conoscersi perché essi rendono tangibile e fe-conda, aprendola al futuro, l’idea di patria esegnano il grande quadro regolatore delle li-bere battaglie e competizioni politiche, socialie civili. Valgano dunque le celebrazioni delCentocinquantenario a diffondere e approfon-dire tra gli italiani il senso della missione e del-l’unità nazionale: come appare tanto più neces-sario quanto più lucidamente guardiamo almondo che ci circonda, con le sue promesse difuturo migliore e più giusto e con le sue tanteincognite, anche quelle misteriose e terribiliche ci riserva la natura. Reggeremo - in questogran mare aperto - alle prove che ci attendono,come abbiamo fatto in momenti cruciali delpassato, perché disponiamo anche oggi di gran-di riserve di risorse umane e morali. Ma ci riu-sciremo ad una condizione: che operi nuova-mente un forte cemento nazionale unitario, noneroso e dissolto da cieche partigianerie, da per-dite diffuse del senso del limite e della respon-sabilità. Non so quando e come ciò accadrà ;confido che accada ; convinciamoci tutti, nelprofondo, che questa è ormai la condizione del-la salvezza comune, del comune progresso. s

Il presidente della RepubblicaGiorgio Napolitano

■ UNA VISITA CHE HA COINCISO CON LE CINQUE GIORNATE

MILANO E NAPOLITANO NEL 150°

Carlo Tognoli

L e manifestazioni per il 150° dell’unità d’Italia hanno toccato il capoluogo lom-bardo, ma hanno avuto l’epicentro a Roma e a Torino. Si ripete forse ciò cheaccadde nel 1861 e dopo l’unificazione, quando Milano, che era stata capitale

dell’impero romano e dell’Italia Cisalpina sotto Napoleone, vide prima Torino e poi Firenzee Roma assumere un ruolo politicamente più rilevante?

No: la presenza del Presidente Giorgio Napolitano per due giornate è il riconoscimento allacittà ambrosiana dell’importanza che ebbe nel Risorgimento, che ha avuto dopo la crisi difine ‘800 che sfociò nel decennio delle riforme giolittiane e dopo il 1945 quando fu alla testadella ricostruzione e del ‘miracolo economico’.

La partecipazione del capo dello stato al convegno su Carlo Cattaneo a Palazzo Marino eall’inaugurazione della nuova sede della Regione Lombardia ha un valore particolare in re-lazione alle recenti decisioni sul federalismo fiscale che ridanno spazio all’Italia delle auto-nomie e delle regioni.

La visita di Napolitano ha coinciso tra l’altro con l’anniversario delle ‘Cinque Giornate’,quando Milano si liberò da sola dal giogo austriaco (episodio unico nell’Impero asburgicosino al 1918!) aprendo di fatto la prima (sfortunata) guerra risorgimentale.

Gli storici (e quelli lombardi in particolare) tuttavia sostengono che la città lombarda, nellasua storia, ha privilegiato l’economia e la società, rispetto alla politica e allo stato.

Questa è una realtà che non ha impedito a Milano di primeggiare, ma la tolse dal noverodelle possibili capitali.

Scienza e tecnica erano al primo posto nella gerarchia dei valori del Cattaneo e della bor-ghesia che si formò con la prima industrializzazione da cui nasceva anche la ‘questione so-ciale’ relativa alle condizioni dei lavoratori.

“La Perseveranza”, giornale milanese, scriveva poco dopo l’unificazione: “Nuova Yorktiene di gran lunga il primato tra le città degli Stati Uniti, sebbene non sia né la capitale del-lUnione, né la capitale del suo Stato”. Commentava il professor Giorgio Rumi: “…La societàla vince allora sullo Stato, anzi lo eclissa… Ecco nascere un’illusione perniciosa…” perchélo stato e la politica non possono accantonati come fattori superflui.

Milano è legata a questa felice ambiguità: capitale senza esserlo, città di relazioni mondialisenza averne la totale consapevolezza, crocevia d’Europa, però con insufficienti infrastrutturedi comunicazione con il continente.

Il mito di Milano e della Lombardia come luoghi del lavoro, degli scambi, della finanza edell’innovazione (l’incivilimento di Cattaneo) malgrado le crisi e le difficoltà è ancora vivo.Sta ai milanesi, di nascita e non, rilanciarlo.

Questo è il significato, a mio avviso, della presenza di Napolitano a Milano. s

120 anni di Critica Sociale in 150 anni di Unità d’Italia