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LA MONTAGNA DELLOCCIDENTE, LUOGO DEL DIVINO NOTE PER UNA RICERCA EGITTOLOGICA ALLINTERNO DEL PROGETTO «CONVENTO ROSSO» DI GIUSEPPINA CAPRIOTTI VITTOZZI In Alto Egitto, la Valle del Nilo è segnata a Occidente dal contrafforte roccioso della catena libica, una falesia calcarea che corre più o meno parallelamente al fiume. Questo ambiente rupestre, fin dai tempi più antichi del periodo faraonico, fu utilizzato per scavare tombe, luogo di morte e rinascita; alle tombe, spesso, si accompagnavano templi, perché nella Montagna dell’Occidente abitavano divinità. Infine, i cristiani d’Egitto riconobbero questo ambiente aspro e assolato, il deserto occidentale, come luogo di incontro con il Divino e lo privilegiarono per stabilire comunità monastiche. Nell’immaginario egiziano del sacro, dunque, la Montagna dell’Occidente ha un ruolo per importanza e continuità: per tentare di comprenderne il significato, prima di rivolgerci all’area del «Convento Bianco» e del «Rosso», possiamo prendere in considerazione l’Occidente di Tebe, meglio conosciuto per ricchezza di testimonianze e di studi (figg. 1-4). 1. LA MONTAGNA NELL’OCCIDENTE TEBANO: GEOGRAFIA DEL DIVINO Nell’antica Tebe, la sponda occidentale del Nilo ospita necropoli famose e straordinari complessi templari: nel ventre della montagna furono scavate le tombe della Valle dei Re e della Valle delle Regine, come pure i sepolcri dei dignitari, ma la falesia rocciosa ospitò pure importanti luoghi di culto mentre in basso, verso il limitare delle coltivazioni, sorsero magnifici templi “di milioni di anni”, dedicati al culto funerario dei sovrani. 1.1 Deir el-Bahari: l’antro della Vacca dell’Occidente Deir el-Bahari, in arabo Convento del Nord, deve il suo nome attuale all’insediamento cristiano che vi si stabilì. In questo punto la falesia forma una magnifica esedra rocciosa i cui contrafforti accolgono il visitatore in un abbraccio (fig. 5). Il tempio di Hatshepsut, addossato alla Fig. 1 - La zona a Ovest di Tebe durante la XX dinastia con i templi di culto regale in evidenza (da SILIOTTI 1996, pp. 94-95)

LA MONTAGNA DELL’OCCIDENTE, LUOGO DEL DIVINOhost.uniroma3.it/progetti/egitto/doc/02_Capriotti_1.pdf · Fig. 7 – Papiro del Libro dei Morti di Ani, cap. 186 (Londra, British Museum,

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LA MONTAGNA DELL’OCCIDENTE, LUOGO DEL DIVINO NOTE PER UNA RICERCA EGITTOLOGICA ALL’INTERNO DEL PROGETTO

«CONVENTO ROSSO»

DI GIUSEPPINA CAPRIOTTI VITTOZZI

In Alto Egitto, la Valle del Nilo è segnata a Occidente dal contrafforte roccioso della catena libica, una falesia calcarea che corre più o meno parallelamente al fiume. Questo ambiente rupestre, fin dai tempi più antichi del periodo faraonico, fu utilizzato per scavare tombe, luogo di morte e rinascita; alle tombe, spesso, si accompagnavano templi, perché nella Montagna dell’Occidente abitavano divinità. Infine, i cristiani d’Egitto riconobbero questo ambiente aspro e assolato, il deserto occidentale, come luogo di incontro con il Divino e lo privilegiarono per stabilire comunità monastiche. Nell’immaginario egiziano del sacro, dunque, la Montagna dell’Occidente ha un ruolo per importanza e continuità: per tentare di comprenderne il significato, prima di rivolgerci all’area del «Convento Bianco» e del «Rosso», possiamo prendere in considerazione l’Occidente di Tebe, meglio conosciuto per ricchezza di testimonianze e di studi (figg. 1-4).

1. LA MONTAGNA NELL’OCCIDENTE TEBANO: GEOGRAFIA DEL DIVINO

Nell’antica Tebe, la sponda occidentale del Nilo ospita necropoli famose e straordinari complessi templari: nel ventre della montagna furono scavate le tombe della Valle dei Re e della Valle delle Regine, come pure i sepolcri dei dignitari, ma la falesia rocciosa ospitò pure importanti luoghi di culto mentre in basso, verso il limitare delle coltivazioni, sorsero magnifici templi “di milioni di anni”, dedicati al culto funerario dei sovrani.

1.1 Deir el-Bahari: l’antro della Vacca dell’Occidente

Deir el-Bahari, in arabo Convento del Nord, deve il suo nome attuale all’insediamento cristiano che vi si stabilì. In questo punto la falesia forma una magnifica esedra rocciosa i cui contrafforti accolgono il visitatore in un abbraccio (fig. 5). Il tempio di Hatshepsut, addossato alla

Fig. 1 - La zona a Ovest di Tebe durante la XX dinastia con i templi di culto regale in evidenza

(da SILIOTTI 1996, pp. 94-95)

Fig. 2 - La montagna Tebana dalla zona delle coltivazioni (foto G. Lovera).

Fig. 3 – La Valle dei Re (foto G. Lovera).

Fig. 4 – Carta dell’area a Ovest di Tebe (da Artisti 2003, p. 29).

Fig. 5 - L’esedra rocciosa di Deir el-Bahari (foto dell’Autore).

montagna in scenografiche gradinate, si addentra nella roccia con il naos della terrazza superiore. Integrato nel complesso c’è, sul lato sud, un tempio di Hathor e, subito a sud-ovest di questo, al centro dell’esedra (fig. 6), esisteva da epoche precedenti un tempio rupestre dedicato alla Vacca dell’Occidente, dea nel cui ventre era possibile rigenerarsi1. La divinità, assimilata ad Hathor, dea preposta agli ambienti liminali e alla fertilità, era raffigurata come vacca che esce dalla montagna, il cui varco è segnato da un folto di papiri, ad evocare l’acqua e la rigenerazione stessa (fig. 7). Durante la XVIII dinastia, le fu dedicata una splendida scultura policroma, attualmente al Museo del Cairo, che la raffigura mentre allatta il re Amenhotep II. In prossimità del luogo di culto sono stati ritrovati significativi ex-voto in forma di fallo.

1.2 La Valle delle Regine: la Montagna e le Acque

La Valle delle Regine, che ospita tombe di regine e principi del Nuovo Regno, è un wadi che si apre dietro la fronte della falesia: il letto inaridito di un antico fiume si fa strada tra le rocce generato da una caverna nella quale, in alcuni casi, si riversava una cascata. Anche in questo luogo, segnato da antichi graffiti, sito eccellente della femminilità, sono state trovate testimonianze del culto di Hathor2.

1.3 La Valle dei Re e la Cima

Le tombe regali vennero scavate, dalla XVIII dinastia, in un wadi posto anch’esso dietro la fronte della falesia, un pò a nord della Valle delle Regine. Sulla valle, che si addentra tortuosa tra le rupi della montagna, incombe la Cima che, vista da questo lato, ha la forma di una piramide. Essa, dunque, accennando a monumenti regali più antichi, allude alla teologia solare e al ciclico rinnovamento dell’astro diurno cui si associa il destino regale. La montagna stessa è simulacro.

1.4 Deir el-Medina e il culto della Montagna

La sacralità della Montagna Tebana è evidente nella documentazione di Deir el-Medina, il villaggio degli operai e degli artisti della Valle dei Re e della Valle delle Regine, il cui nome attuale

1 NAVILLE 1907, p. 63-67; AUFRERE-GOLVIN-GOYON 1991, p. 152. 2 AUFRERE-GOLVIN-GOYON 1991, p. 198.

Fig. 6 – Pianta dei templi di Deir el-Bahari.

1)Tempio di Hashepsut; 2) tempio di Thutmosi III; 3)tempio di Montuhotep; 4) speos di Hathor (da AUFRÈRE-GOLVIN-GOYON 1991, p. 156)

Fig. 7 – Papiro del Libro dei Morti di Ani, cap. 186 (Londra, British Museum, BM 10470;

da Egyptian Book of the Death 1998, tav. 37)

significa Monastero della città, avendo anche questo sito ospitato una comunità cristiana.

Una divinità in particolare veniva venerata a Deir el-Medina: Mertseger, Colei che ama il silenzio, raffigurata solitamente in forma di cobra3, ma assimilata ad altre divinità femminili tra le quali in particolare Hathor o Iside4 (fig. 8). Queste dee dell’Occidente Tebano possono identificarsi con la Montagna; a Deir el-Medina, Mertseger è la Montagna stessa, oltre che “Signora dell’Occidente”; tra i suoi titoli si trova “la bella Dehenet (dhnt), la grande Dehenet dell’Occidente tebano, la Signora della Dehenet”. Il termine dhnt, lungamente tradotto come Cima, in riferimento alla sommità piramidale della montagna a ovest di Tebe, è stato rimesso in discussione recentemente da J. Yoyotte che ha proposto di tradurre il termine con “butte” francese: in italiano è possibile immaginare un’altura, dunque la parola egizia dovrebbe riferirsi ad un certo tipo di rilievo montuoso e non semplicemente alla sua cima5. In quanto Signora dell’Occidente e di quanti vi dimorano, i defunti, Mertseger porta anche il titolo tutto materno di “Signora delle nascite (msw) e delle trasformazioni (hprw)” perchè presiede ai cambiamenti che avvengono nella Dat/Duat (l’aldilà/ventre della Montagna/luogo di gestazione) ai fini della rinascita6. La dea aveva un luogo di culto rupestre lungo il sentiero della montagna percorso dai lavoratori per andare alle necropoli regali. In tale cappella, al culto di Mertseger si aggiungeva quello di Ptah, dio creatore di origine menfita, protettore degli artigiani7. In una stele al Museo Egizio di Torino, che ci conserva la religiosa meditazione dell’artigiano Neferabu, in un inno alla Dehenet dell’Occidente si legge: “... Commisi il peccato di disobbedienza contro la Montagna ed essa mi inflisse un castigo. Ero nella sua mano giorno e notte. (...) Mi umiliai alla Montagna d’Occidente, grande di potenza e ad ogni dio e dea. (...) guardatevi dalla Montagna perché dentro vi è un leone feroce. (...) Supplicai la mia Signora e la trovai che venne da me quale dolce vento...”8. Una iconografia della dea ce la mostra effettivamente col corpo leonino e la testa di cobra accovacciata

3 LÄGG 2002, s.v. Mr.s-gr, III, pp. 343-344; VALBELLE 1975-1992, pp. 79-80; Artisti 2003, p. 249. 4 ROCCATI-TOSI 1971, p. 96. 5 YOYOTTE 2003, pp. 289-294. 6 BRUYÈRE 1929-1930, pp. 134-138. 7 VALBELLE 1985, p. 315. 8 BRUYÈRE 1929-1930, pp. 205-277; ROCCATI-TOSI 1971, pp. 94-96.

Fig. 8 – Stele da Deir el-Medina (Torino, Museo Egizio, n. 50059; da Artisti 2003, p. 252).

su un naos9; in una stele ai Musei Vaticani10, all’interno del naos si vedono tre figure regali, forse citazione di quella pluralità di sovrani che abitavano la Montagna e che avevano un culto a Deir el-Medina, insieme alla regina Ahmose-Nefertari e a suo figlio Amenhotep I. Un’allusione a questi è letta da Bruyère anche nella stele di Neferabu, laddove si invoca ogni dio e dea: Mertseger è chiamata anche “Colei che nasconde i signori della Duat, Colei che nasconde i corpi dei giusti”11. La dea della Montagna dell’Occidente sarebbe, secondo J. Yoyotte, una Hathor cosmica, “l’Hathor du gébel thébain, celle qui accueille les corps des défunts en son sein et qu’elle est elle-même, matérialisée dans le relief, l’esprit de la montagne-cimitière à l’ouest de Thèbes”12. Lo studioso francese riflette sul fatto che questa divinità dalle caratteristiche celesti (Signora del cielo) è anche l’Occhio di Ra, e in tal senso assume l’aspetto del cobra e del leone, manifestandosi come Sekhmet o altre dee leontocefale, seguendo un processo ampiamente

9 BRUYÈRE 1929-1930, pp. 208, 233. 10 BOTTI-ROMANELLI 1950, n. 139, pp. 93-94. 11 VALBELLE 1975-1992, pp. 79-80. 12 YOYOTTE 2003, p. 287.

attestato dal Nuovo Regno, per il quale le divinità maggiori assumono aspetti comuni della dea pericolosa e materna insieme13.

1.5 Medinet Habu, porta del Sacro Occidente

Nell’area di Medinet Habu si riteneva che esistessero le tombe degli dei primordiali e dimorasse il serpente primordiale Km-3tf nel quale Amon poteva identificarsi. Tale sito era considerato come accesso al tumulo di Osiride, come ingresso ad una esistenza diversa e divina, a una dimensione mitica: “Il grande ingresso nel pozzo di Nun, sulla riva occidentale del cielo”, essendo Nun l’oceano primordiale dove ha avuto origine la vita14. Il sito poteva essere identificato come Dsrt-imntt, “Luogo sacro dell’Occidente”.

2. LA MONTAGNA-TEMPIO COME INTERFACCIA

2.1 La montagna come tempio

La Montagna dell’Occidente tebano, dunque, appare come un ambiente sacro, cui si accede attraverso i riti connessi con la sepoltura. L’ingresso nell’Occidente, irto di difficoltà, permette di avventurarsi in un ambiente abitato da divinità (fig. 9). All’interno della Montagna, la divinità materna nel cui corpo avviene la rigenerazione, accoglie il sole che tramonta, al cui destino si associa il defunto (fig. 10). La Montagna è dunque un vero e proprio tempio. Tale considerazione della montagna non è esclusiva di quella a ovest di Tebe, e ne è testimonianza l’esistenza di templi rupestri15, scavati nella roccia, che si trovano in vari luoghi dell’Egitto fino in Sudan: si pensi ai famosi templi di Abu Simbel, a quello di Ellesiya, trasportato al Museo di Torino e, infine, ai templi della montagna sacra del Gebel Barkal16.

2.2 Il Tempio-Orizzonte

Il nesso Tempio-Montagna va compreso anche come Tempio-Montagna-Orizzonte: come le montagne dell’orizzonte lasciano apparire il sole, così il pilone del tempio inquadra il luogo dell’epifania divina (fig. 11). I due elementi monumentali del pilone di forma trapezoidale sono le montagne stesse dell’orizzonte e formano 13 Ibid., pp. 287-288. 14 CIAMPINI 1998, pp. 86-88. 15 WILDUNG 1975-1992a, pp. 161-169. 16 Sudan 1971, pp. 161-171.

Fig. 9 – Deir el-Medina, tomba di Sennedjem. Il defunto

davanti alla porta sotto la quale si intravede il segno dell’orizzonte (da STROUHAL 1992, p. 263 fig. 286).

Fig. 10 – La dea del cielo, della quale sono visibili solo le

braccia e i seni, accoglie il disco solare; l’immagine della dea si sovrappone a quella della Montagna dell’Occidente

(da RAMBOWVA 1957, P. 41, FIG. 25).

Fig. 11 – Edfu, pilone del tempio di Horo (da Egitto del crepuscolo 1985, p. 33).

Fig. 12 – Segno geroglifico 3ht (akhet), raffigurante l’orizzonte dal quale sorge il sole.

la grafia monumentale del segno 3ht, che scrive tale significato (figg. 12-14).

2.3 Il Tempio-Tomba

Uno degli aspetti del tempio, nella sua funzione di luogo di rigenerazione, è quello che lo assimila ad una tomba, luogo dove la divinità si rigenera e si rinnova la creazione17. Tale relazione si trova espressa, ad esempio, nei riti che periodi-

17 WILKINSON 2000, pp. 78-79.

Fig. 13 – Vignetta del Libro dei Morti, cap. 16: in un Avvallamento della Montagna dell’Occidente, il

pilastro dd (djed), immagine di Osiri, affiancato da Isi (a destra) e Nefti (a sinistra), sostiene il segno della vita

‘nh (ankh) il quale porge il disco solare alla dea del cielo, sintetizzata da braccia e seni, immagine stessa

della materna accoglienza (da HORNUNG 1990, pp. 58 e 422, fig. 7).

Fig. 14 – Papiro di Khonsumes: Cerimonia dello zappare la terra all’inizio del giorno. Otto piccole figure lavorano con la zappa mentre due divinità femminili, rappresentanti il nord (a sinistra) e il sud (a destra) versano liquido; sull’asse est-ovest è segnato il

tragitto solare, a Oriente il segno 3hd (SATZIGER 1994, pp 50-51; PIANKOFF 1957, pp. 94-95 e 145; Vienna Kunsthistorische Museum, inv. 3859; da SILVERMAN 1997, p. 121).

camente mettevano in contatto la sponda orientale e quella occidentale di Tebe: Amon partiva da Karnak e si recava a Medinet Habu presso la dimora del Km-3tf e delle divinità primordiali per una liturgia di rigenerazione testimoniata nell’edificio costruito da Taharqa a Karnak18. L’assimilazione del tempio alla tomba è fisicamente percepibile in templi di epoca tarda, come ad esempio in quello di Dendera, nei quali esistono due scale che collegano l’interno del tempio con la terrazza superiore, dove avveniva il rito rigenerante dell’unione dell’immagine divina con il disco solare: una processione conduceva la divinità nel chiosco sulla terrazza per poi riaccompagnarla nell’oscurità del tempio.

2.4 La Montagna-Tempio-Tomba

Una vignetta del Libro dei Morti (cap. 92) sembra offrire un ottimo spunto di riflessione (fig. 15): l’ombra del defunto esce dalla tomba, rappresentata come il segno delle montagne dell’orizzonte, sulle quali sta il sole, a formare il segno 3ht: la relazione Montagna-Tempio-Tomba sembra così efficacemente espressa; essa,

18 PARKER-LECLANT-GOYON 1979, pp. 80-86.

richiamandosi all’orizzonte, sottolinea il concetto di interfaccia; la montagna, come il tempio e la tomba, è luogo di incontro e di passaggio. Il legame tra montagna e tempio sembra ribadito, oltre che dai templi rupestri, anche dall’esistenza di naoi monolitici: la divinità abita all’interno della pietra, modellata nella tipica forma trapezoidale, rastremata verso l’alto, che è quella del pilone ma anche del tempio stesso19.

3. DEDICARE LA VITA ALLA DIVINITÀ: LE ASSOCIAZIONI RELIGIOSE

Il peculiare fenomeno del monachesimo egiziano ha posto il problema di rintracciare nell’Egitto faraonico un modello che possa aver preparato nel tempo lo sviluppo di questa forma originale di vita cristiana. Il tema merita probabilmente un approfondimento maggiore di quanto si sia fatto finora con risultanti piuttosto discordanti. L’attenzione è stata posta soprattutto sui cosiddetti reclusi di Serapide, presenti in particolare nel Serapeo di Menfi, tuttavia F. Dunand fa presente che si tratta di una forma piuttosto diversa dal monachesimo cristiano; per la studiosa, appare ugualmente poco paragonabile

19 WILDUNG 1975-1992b, pp. 341-342; KEMP 1989, p. 87, fig. 30.

Fig. 15 – Papiro del Libro dei Morti di Neferubenef, cap. 92 (Parigi, Museo del Louvre, n. 3092; HORNUNG 1990, pp. 182-184, 471-472; da HERBIN 2000, p. 7).

l’esistenza nei templi egizi di persone che vi si erano rifugiate poiché le aree sacre godevano di diritto d’asilo20. Tuttavia, sembra utile, come preliminare di una ricerca, appuntare l’attenzione su alcuni fenomeni religiosi di ambiente egizio.

3.1 La confraternita dei calvi di Hathor

Da alcuni insoliti monumenti scultorei, conosciamo l’esistenza di una specie di confraternita religiosa post mortem che è quella dei “calvi di Hathor”: vi vengono rappresentati personaggi accovacciati che tengono davanti a sé l’immagine della dea Hathor, hanno una mano aperta davanti al mento, come in una richiesta di elemosina, ed esibiscono la calvizie oppure, come nel caso di Amenemhat, un segno di tonsura. Questi personaggi sono rappresentati come umili servitori della dea, capaci di intercedere presso di lei21.

20 DUNAND-ZIVIE-COCHE 1991, p. 262. 21 CLÈRE 1995; Artisti 2003, p. 221 cat. 186.

3.2 Le associazioni religiose templari

Un’ampia messe di documentazione scritta di epoca tarda ci attesta l’esistenza di associazione religiose di ambiente templare cui aderivano i sacerdoti. Tali associazioni svilupparono una forte autonomia rispetto all’organizzazione statale, al punto tale da avere una giustizia separata, situazione accettata in epoca tolemaica ma non tollerata dall’amministrazione imperiale romana22. Tale autonomia, che vive all’ombra della divinità e all’interno della struttura templare, potrebbe costituire un antecedente delle comunità monastiche, che costituivano un’alterità rispetto all’organizzazione civile23.

4. LA MONTAGNA DELL’OCCIDENTE NEI PRESSI DI SOHAG E DI AKHMIM

Anche nei pressi di Sohag, il contrafforte roccioso della catena libica mostra una continuità notevole come luogo sacro: già W.F. Petrie rilevò le numerose tombe dall’Antico Regno che forano

22 CENIVAL 1972, pp. 39, 212, passim. 23 S. CASARTELLI NOVELLI nell’Introduzione a questo stesso volume, par. V.

Fig. 16 – L’area dell’antica Athribis: la montagna del deserto occidentale con le tombe (da PETRIE 1908, tav.I).

la falesia24 (fig. 16). Ai piedi di questa, un notevole complesso templare sottolinea la sacralità del luogo fino all’epoca romana25 (figg. 17-18).

4.1 La dea dell’Occidente ad Athribis

La divinità principale del sito è la dea leonessa Repyt (rpyt), in greco Triphis, che ha dato il nome al sito stesso26 ed è paredra di Min-Pan, divinità di Panopoli (Akhmim), dio della fecondità e signore del deserto orientale e delle piste che lo solcavano verso giacimenti di beni preziosi. Nei testi, l’epiteto più ricorrente qualifica Repyt come dea all’Occidente. Repyt, è anche Signora del cielo, identificata con Isi, Hathor, Nut e la dea cobra Uadjit; in quanto dea leontocefala ha caratteristiche pericolose e materne: è Tefnet e l’Occhio di Ra27. Si può osservare, dunque, una

24 PETRIE 1908, p. 1 ss.; RIFAAT EL-FARAG et al. 1985. 25 PETRIE 1908, p. 1 ss.; YAHIA EL-MASRY 2001; infra. 26 Cfr. Deir el-Abiad: continuità monumentale ed espressione religiosa dall’Egitto faraonico a quello cristiano, in questo stesso volume, par. 2.1. 27 U. ROESSLER-KOHLER, s.v. Repit, LÄ 1975-1992, V, pp. 236-242; LÄGG 2002, s.v. Rpwt, 4, pp. 662-664; BAUM 1994; YAHIA EL-MASRY 2001.

certa affinità nella riflessione teologica riferibile alla Montagna dell’Occidente tra Tebe e l’area di Sohag.

4.2 Altri culti della Montagna nella zona di Akhmim-Sohag

Un luogo di culto rupestre è stato identificato nell’area delle tombe scavate nella montagna che sovrasta Athribis: si tratta di un Asclepieion, dove veniva praticata l’incubazione ai fini profilattici28.

Di notevole interesse è una stele del tempo dell’imperatore Adriano, dedicata da un sacerdote di Akhmim, che cita il culto di una divinità serpentesca che avrebbe abitato la montagna vicino Akhmim. La divinità, “Grande Serpente nella grotta segreta”, è invocata come “Serpent fabricateur du monde, Créateur des êtres, Seigneur de vie dont la vue fait vivre, qui animes toutes chose selon ta parole (?) (...) superbe au milieu de l’Ennéade” (traduz. di Ph. Derchain)29. La montagna di Akhmim, dunque, sulla sponda occidentale, era ritenuta anch’essa dimora di una divinità primordiale e creatrice.

Anche la montagna a est di Akhmim, tuttavia,

28 RIFAAT EL-FARAG et al. 1985, pp. 1-2. 29 DERCHAIN 1987, pp. 46-50.

Fig. 17 – L’area dell’antica Athribis: la ,ontagna del deserto occidentale e i templi (da PETRIE 1908, tav. XIV):

Fig. 18 – L’area dell’antica Athribis: sullo sfondo la montagna, in primo piano le rovine dei templi (foto dell’Autore).

Fig. 19 – La mole del «Convento Bianco» vista da nord-ovest (foto A. Ballardini).

Fig. 20 – Il «Convento Rosso», l’angolo sud-est (foto dell’Autore).

Fig. 22 – Il tempio di Hathor a Dendera, muro esterno,

lato sud (foto dell’Autore).

Il «Convento Rosso», lato ovest (foto dell’Autore).

era luogo di culto, come attesta ad esempio il tempio rupestre di Min scavato nel Nuovo Regno e attivo ancora in epoca tarda30.

5. IL «CONVENTO BIANCO» E IL «CONVENTO ROSSO»: LA STRUTTURA ARCHITETTONICA COME SEGNO DEL SACRO

Il «Convento Bianco» e il «Convento Rosso» colpiscono il visitatore per la loro struttura imponente e compatta, in calcare bianco l’una e in laterizio rossastro l’altra. Ambedue le costruzioni sono il realtà edifici di culto, mentre le strutture del monastero dovevano essere intorno31. L’orientamento degli edifici è lo stesso di quello usuale nei templi egizi: le due chiese si allungano da ovest a est e il luogo più sacro, segnato dal triconco, si trova a oriente. L’impianto interno, che contrappone un ampio spazio aperto, destinato ad accogliere i fedeli, a quello ristretto e chiuso del triconco dove si svolgevano i riti, sembra rimandare anch’esso alla struttura di fondo del tempio egizio. L’impatto visivo della mole delle

30 SMITH 2002, p. 239. 31 LEFÈBVRE 1924-1953, p. 460; PETRIE 1908, tav. XLIII; GROSSMANN-MOHAMED 1991.

due chiese è notevole: essa vuole evidentemente suggestionare e porsi come segnacolo (fig. 19). I muri sono rastremati verso l’alto e coronati da una gola egizia (fig. 20); dalla massa architettonica aggettano i doccioni, nel caso del «Convento Rosso» a protome leonina (fig. 21). Come già riconosciuto da Ugo Monneret de Villard, le due costruzioni dipendono direttamente, nella struttura esterna, dai templi egizi: il confronto con la visione esterna del tempio di Hathor a Dendera, soprattutto nelle parti laterali e posteriore, è illuminante; i doccioni sono collocati con lo stesso sistema32 e propongono anch’essi la protome leonina (fig. 22).

Il profilo di queste strutture compatte ripetono quello del naos egizio, del nucleo centrale del tempio dove abita la divinità, così come quello dei due elementi del pilone che sono le montagne

32 MONNERET DE VILLARD 1925, pp. 122-123.

dell’orizzonte33. I muri chiusi all’esterno isolano lo spazio sacro, e nel renderlo impenetrabile ne fanno un segno eloquente. La forma del naos, dunque, segue un linguaggio simbolico abbastanza chiaramente definibile: la mole compatta, che si innalza verso il cielo, è segno del sacro, indica il luogo dove abita e si manifesta la divinità.

I cristiani d’Egitto, e in particolare Apa Shenute, pur combattendo anche violentemente il paganesimo, ne utilizzarono con chiara sicurezza alcune espressioni, in quanto appartenenti ad un linguaggio del sacro ben radicato nella cultura e nelle strutture stesse del pensiero religioso. La stessa considerazione della montagna come luogo di incontro con la divinità resta uno degli elementi portanti del monachesimo egiziano.

33 Supra.

BIBLIOGRAFIA

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