40
S.I.S. PIEMONTE La musica nella Divina Commedia Specializzata: CLAUDIA REGIS Superviore: Prof. MARZIA FRENI Anno accademico 2008/2009

La musica nella Divina Commedia - Provincia di Torino · rendere in un istituto tecnico la lettura del Purgatorio e del Paradiso meno ostica. Anziché procedere con la ... Divina

  • Upload
    dangbao

  • View
    241

  • Download
    1

Embed Size (px)

Citation preview

S.I.S. PIEMONTE

La musica nella Divina Commedia

Specializzata: CLAUDIA REGIS

Superviore: Prof. MARZIA FRENI

Anno accademico 2008/2009

1

IL CONTESTO

La scuola e l’indirizzo

Questa UD è stata sperimentata, durante il mio tirocinio attivo, in una classe III del corso IGEA di

un Istituto d’Istruzione Superiore della provincia di Cuneo.

La classe e il livello

La classe, nonostante il profitto medio poco più che sufficiente, nel complesso mi è sembrata

operativa e partecipe, interessata soprattutto se sollecitata su problematiche ed aspetti che esulano

dalla trattazione del programma in senso stretto, per aprirsi, ad esempio, a parentesi sulla storia

dell’arte.

FINALITA’ DEL MIO INTERVENTO DIDATTICO

Nel momento in cui ci si accinge ad affrontare la Divina Commedia, sorge il problema del criterio

con cui selezionare i canti da analizzare.

Visto che nell’ Istituto che ha “ospitato” il mio tirocinio la trattazione della Divina Commedia si

esaurisce in terza, con una panoramica generale delle tre Cantiche e una selezione di canti del solo

Inferno, ho pensato che potesse essere interessante approfondire le altre due Cantiche. Per questo ho

pensato ad un percorso alternativo, fondato su aspetti per un certo verso inusuali, certamente poco

affrontati nell’analisi scolastica del poema dantesco, vale a dire la musica nella Divina Commedia,

concentrandomi in particolare sull’analisi del II Canto del Purgatorio.

Rifacendomi alla nota del Ministero della Pubblica Istruzione del 25 settembre 2007, in cui si

ribadisce l’importanza dell’opera di Dante e l’opportunità di integrare, in modo non improvvisato,

lo studio scolastico dei testi danteschi attraverso gli opportuni collegamenti pluridisciplinari, ho

proposto una lettura della Commedia che seguisse come filo conduttore la presenza della musica nel

testo dantesco. Nelle pagine della Commedia, infatti, i frequenti richiami alle altre discipline del

trivium e del quadrivium medievale fanno sì che il testo possa aprirsi ad opportuni collegamenti

con la storia del pensiero filosofico e scientifico, dell’arte e della musica del Trecento. Dante infatti

può essere affrontato da diverse angolazioni e ho deciso di scegliere proprio la musica, presente in

diversi luoghi del testo dantesco, come coordinata di riferimento per la mia analisi, con lo scopo di

dimostrare come anche essa abbia valenze allegoriche, filosofiche e teologiche. Soprattutto mi

preme dimostrare come la diversa presenza della musica nelle tre cantiche, con la particolare

connotazione che questa assume, rispecchi la descrizione dell’ambiente e la condizione delle

anime.

2

In altri termini, il percorso di purificazione di Dante nei tre regni può essere “riletto”come un

itinerario acustico, dal rumore infernale all’armonia delle sfere celesti.

Ovviamente la trattazione della musica nella Divina Commedia non deve essere a se stante: non

avrebbe avuto senso, in un contesto scolastico, isolare questo aspetto per affrontare un discorso

puramente musicale. Il mio obiettivo è invece quello di ricondurre questo tema specifico all’interno

di una visione unitaria del poema: la mia analisi vuole infatti spiegare perché Dante abbia inserito

dei riferimenti alla musica in diversi passi del poema, quale connotazione assuma questa presenza,

come sia in consonanza con l’ambiente, e soprattutto quale funzione assolva all’interno

dell’universo dantesco, in cui nulla è casuale, e quale effetto possa avere sull’animo umano.

D’altra parte nel corso degli ultimi anni insegnanti, studiosi e legislatori hanno avanzato numerose

proposte per rinnovare l’insegnamento letterario, consapevoli che l’impianto enciclopedico non è

più adeguato alla scuola di oggi, che non è più elitaria, e alle esigenze dei giovani, immersi nella

cultura di massa, grandi fruitori di immagini e aperti alle nuove tecnologie.

Per questo, sempre più spesso, l’idea di uno studio organico ed enciclopedico della letteratura viene

abbandonata e sostituita con percorsi tematici secondo una prospettiva sincronica o diacronica, che

implicano, da parte dell’insegnante, un’attenta e precisa programmazione, basata sulla selezione di

letture testuali, sull’ipotesi di un percorso che sia dotato di una certa autonomia, di coerenza

interna, di propri obiettivi e verifiche. Non a caso la didattica per percorsi tematici trova oggi una

frequente applicazione soprattutto negli istituti tecnici, in cui l’educazione letteraria vuole essere

meno specialistica, permettendo di superare la prospettiva strettamente cronologica, per coniugare,

all’interno di un medesimo tema, autori del passato e del presente, incentivando negli studenti un

approccio aperto al confronto.

Così, individuare un tema specifico all’interno della Divina Commedia vuole essere un tentativo per

rendere in un istituto tecnico la lettura del Purgatorio e del Paradiso meno ostica. Anziché

procedere con la consueta analisi di un certo numero di canti, penso infatti che per gli studenti sia

più agevole seguire il dipanarsi di una determinata tematica, che ovviamente deve essere

significativa e illuminante per comprendere l’intera opera. Nello specifico, la scelta di un

argomento che permetta di intrecciare letteratura e, seppure a livello solo teorico, la musica, si

fonda sulla convinzione che, anche in un istituto tecnico, l’educazione letteraria debba cercare di

aprire l’orizzonte culturale degli studenti, attraverso una formazione a tutti i codici espressivi:

letteratura, musica, teatro e cinema.

Ovviamente, per affrontare una lettura “monografica” della Commedia è necessario che gli studenti

possiedano già una conoscenza generale del poema dantesco, che ne conoscano la struttura, il

problema dell’appartenenza ad un genere letterario, la lingua.

3

TEMPI, REQUISITI DI BASE E OBIETTIVI

Il mio intervento si articola in 12 ore di lezione da 50 minuti, di cui 9 dedicate alle spiegazioni in

classe, 2 alla verifica e una alla consegna e correzione delle stessa.

I prerequisiti necessari per svolgere questo intervento sulla Divina Commedia, sono:

conoscenze

- del contesto storico, politico e culturale della società comunale, con particolare riferimento alla

situazione di Firenze

- delle caratteristiche della cultura medievale: la concezione simbolica della realtà

- delle teorie politiche, filosofiche e teologiche del Medioevo che stanno a fondamento

dell’universo dantesco

- della biografia e del pensiero politico di Dante

- della struttura dell’Inferno dantesco

- delle principali figure retoriche

competenze:

- saper comprendere il lessico specifico del testo poetico

- saper prendere appunti durante le spiegazioni e la lettura dei testi

- saper riconoscere concretamente sul testo le figure retoriche

- saper riconoscere i caratteri specifici del testo letterario e la sua fondamentale polisemia, che lo

rende oggetto di molteplici ipotesi interpretative e di continue riproposte nel tempo

Gli obiettivi di questo mio intervento sono:

obiettivi formativi:

- sviluppare nei ragazzi l’interesse per l’opera degli autori del canone della letteratura italiana

- stimolare un atteggiamento mentale aperto che faccia cogliere i legami tra le arti e i loro rapporti

con la realtà

- rendere gli studenti consapevoli della specificità e complessità del fenomeno letterario, come

espressione della civiltà e in connessione con le altre manifestazioni artistiche, come forma di

conoscenza del reale anche attraverso le vie del simbolico e dell’immaginario

obiettivi disciplinari in termini di conoscenze:

- conoscere la struttura e l’ordinamento morale del Purgatorio e del Paradiso

- conoscere il contenuto del II Canto del Purgatorio

- conoscere la teoria musicale presente nella Commedia e le sue valenze allegoriche

obiettivi disciplinari in termini di competenze:

- saper comprendere il testo dantesco

4

- saper riconoscere le figure retoriche presenti

- saper porre il testo dantesco in relazione al contesto storico – culturale dell’epoca

- saper riconoscere gli aspetti significativi della lingua dantesca

- saper cogliere la dimensione interdisciplinare della Commedia

- saper riconoscere nella teoria della musica presente nella Commedia i riflessi filosofici e teologici

dell’età medievale

- saper ricondurre il tema della musica nella Commedia in una visione più ampia ed unitaria del

poema

METODI E STRUMENTI

Innanzi tutto il percorso da me proposto privilegia alcuni criteri quali:

la centralità dello studente che si pone di fronte al testo, con la sua cultura, la sua

sensibilità, il suo immaginario

l’educazione letteraria intesa come un rapporto diretto tra studente – testo, quindi il ruolo

dell’insegnante è quello di trasmettere tecniche di lettura e di analisi che l’allievo fa proprie

ed è poi in grado di applicare autonomamente

l’apprendimento inteso non come una trasmissione enciclopedica di nozioni, ma come

l’acquisizioni di abilità e competenze

il confronto e la collaborazione con altre discipline, con un atteggiamento mentale aperto,

volto a comprendere un evento nella sua complessità, superando il rischio di parcellizzare il

sapere

la realizzazione di lezioni partecipate, che vedano il coinvolgimento attivo degli studenti.

Per questo sarà necessario usare spesso la lavagna, per creare mappe concettuali con la viva

partecipazione della classe.

Essendo il mio un percorso interdisciplinare, gli aspetti musicali su cui ci soffermeremo non sono

presenti nel libro di testo in adozione. Per questo è opportuno che l’insegnante predisponga delle

dispense, da fornire in fotocopia agli studenti, utili per integrare i loro appunti, arricchite

ulteriormente con delle immagini degli strumenti musicali proiettate in classe tramite un PC . Può

essere inoltre utile e interessante far ascoltare dei brani musicali, appositamente selezionati, per

far comprendere il timbro dei diversi strumenti.

Per quanto riguarda la parte più tradizionale, cioè l’analisi del Canto prescelto del Purgatorio (Canto

II), ritengo necessario rendere il più possibile attivi gli studenti, facendoli lavorare concretamente

5

sul testo, guidandoli con richieste ben precise, con l’utilizzo dell’edizione del Purgatorio in

adozione.

PROCEDURA

1° lezione: 1 ora

L’insegnante che si accinge a trattare i grandi “classici” si sente spesso chiedere dagli allievi quale

senso abbia ancora studiare, a distanza di tanto tempo, autori così lontani. Noiosi, inutili, difficili:

questi sono gli aggettivi più ricorrenti nelle aule per qualificare i capolavori della nostra letteratura,

che all’improvviso sembrano non comunicare più nulla. Non resta quindi che cercare di raccogliere

la sfida e passare, con una certa dose di improvvisazione, alla motivazione, intesa nei due

significati del termine, peraltro complementari, di giustificare una scelta e di stimolare negli

studenti un certo interesse.

Servirebbe a poco sostenere che se i classici trovano ancora posto nei programmi ministeriali, e la

Divina Commedia è il classico per antonomasia, un motivo ci sarà e quindi vanno affrontati, anche

se suscitano ritrosia e se, è inutile negarlo, spesso sono considerati noiosi dagli studenti, nonostante

gli sforzi degli insegnanti.

Anziché leggere meccanicamente le motivazioni che Calvino ha addotto in favore dei classici,

sarebbe forse più utile cercare di indurre ciascuno a dare, in modo più o meno inconsapevole, la

propria definizione di classico; chiedere agli studenti quali caratteristiche dovrebbe avere secondo

loro un testo che valga la pena di leggere, e magari rileggere, nonostante la lontananza cronologica

che ci separa da esso. Le risposte, pur disparate, solitamente convergono verso un comune

denominatore: attuale. A questo punto si tratta di precisare meglio che cosa intendano gli studenti

per attuale: un’opera è considerata attuale quando è vicina a chi legge, ma di quale vicinanza si

tratta? E’ una vicinanza cronologica, e quindi attualità è sinonimo di contemporaneità? O forse una

vicinanza spaziale, per cui sentiamo vicine le opere che provengono dalla nostra stessa cultura

geografica e linguistica? La risposta, pressoché unanime, è che tra chi scrive e chi legge ci debba

essere una vicinanza spirituale, emotiva, che permetta al lettore di riconoscersi nelle cose che

legge. Sorprendentemente, non ci si discosta molto dalle ragioni addotte da Calvino sul Perché

leggere i classici: “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.

Un’opera letteraria non è una costruzione astratta, dogmatica, abbellita da artifici retorici, ma è una

delle tante soluzioni che l’uomo si dà, una delle prospettive con cui l’individuo guarda se stesso e il

proprio tempo, cercando di darsi delle risposte. Ed è questa l’essenza dell’attualità di Dante: la

Divina Commedia, spesso percepita con ritrosia dagli allievi per la forte implicazione teologica e

6

filosofica del poema, parla di noi, delle nostre domande più profonde. Il viaggio di Dante è il

nostro, un viaggio che è dentro di noi. Ed allora mai come ora si disvela tutta la modernità di Dante:

in un mondo che ci stordisce con la sua frenesia e in cui appare sempre più difficile dare voce alla

propria coscienza, è sempre più urgente la necessità di guardare dentro a noi stessi e affrontare i

nostri demoni, per non correre il rischio di venire risucchiati dal nostro personale inferno. Ed ecco

allora dimostrata l’attualità della Divina Commedia: per quanto l’ideologia e i fondamenti dottrinali

siano cambiati, resta eterna l’energia che la anima, la volontà di risalire fino alle “stelle”, che le si

voglia intendere in senso religioso o laico poco importa: è l’eterna ricerca della felicità, del senso

di sé.

Dante racconta l’aldilà per dare voce all’al di qua. Nel poema dantesco risuonano con forza gli

ideali in cui tutti si possono riconoscere, e che tanto affascinano i ragazzi: libertà, amore, amicizia,

giustizia, speranza, tenacia. Dante diventa quindi un nostro compagno di viaggio, un classico per

ciascuno di noi, perché ognuno trova qualcosa di famigliare in lui, un classico che “non può esserti

indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui”, per citare

nuovamente Calvino (Calvino 1991). I classici ci parlano, ma siamo noi a doverli interrogare e

porci nella condizione di volerli ascoltare, riconoscendo noi stessi nell’esperienza dell’altro.

Ovviamente la Divina Commedia appartiene ad un mondo lontano, ma compito, certo non facile,

dell’insegnante è proprio quello di dimostrare che, nonostante la diversità, c’è ancora qualcosa che

può interessare i ragazzi. La scuola non deve rimarcarne ancora di più la lontananza insistendo

troppo sugli aspetti tecnici e linguistici; al contrario dovrebbe accorciare le distanze dai classici

cogliendo quelle valenze che possono risultare valide in ogni età.

Per affrontare il mio percorso poco “canonico”, che si focalizza sul tema della musica nella

Commedia e sugli effetti psicologici che essa ha sulle anime, è sufficiente concentrarsi sul

Purgatorio, il regno più simile a quello terreno. L’obiettivo è dimostrare come anche la musica

diventi una delle tante “pedine” dell’universo dantesco: la sua presenza o meno, le sue

caratteristiche, il suo valore positivo o negativo, è speculare alle tipologie di anime che Dante

incontra e alla descrizione del paesaggio. Anche la musica quindi risente della concezione filosofica

e morale del Medioevo.

Ho scelto la musica come elemento di riferimento perché permette di porsi nei confronti della

Divina Commedia da un punto di vista insolito, che certo non vuole sostituire le tradizionali letture

del testo, ma semmai vuole arricchirle, offrire un tassello in più, complementare alle teorie

filosofiche e morali. In sostanza l’obiettivo di queste mie lezioni è dimostrare come luce,

movimento e musica vadano ricondotti, unitariamente, alla creazione divina. Il movimento è

guidato dal desiderio e dall’amore per Dio, infatti il movimento di Dante è ascensionale, il suo

7

percorso segue la direzione giù – su perché l’amore per Dio lo sospinge in alto. E più sale, più il

paesaggio diventa immerso nella luce e nella musica: amore e musica sono quindi due immagini

fondanti la struttura cosmologica del poema e la musica, come la luce, diventa manifestazione della

gioia dell’anima che si avvicina a Dio.

Sono molti i punti della Commedia in cui la musica assolve un ruolo rilevante nella costruzione

ideologica del poema: è un elemento intrinseco alla cosmologia dantesca, che già nella sua

struttura ricorda la ripartizione medievale in tre categorie musicali. Come si vede, il numero tre, che

diventa l’elemento su cui si costruirà l’universo dantesco, è centrale anche nella cultura musicale

medievale.

2° lezione: 2 ore

La prima parte di questa lezione è dedicata all’analisi della struttura del Purgatorio e del Paradiso,

perché il mio primo obiettivo è dimostrare che la presenza della musica e le sue caratteristiche sono

speculari all’ambiente.

Innanzi tutto quindi occorre soffermarsi sull’ordinamento morale che sta alla base di ciascuna

delle tre Cantiche. Dante costruisce le tre parti dell’oltremondo appoggiandosi a una struttura

morale di base razionale: l’Inferno si fonda sulla classificazione del comportamento peccaminoso,

mentre il Purgatorio è organizzato intorno ai 7 peccati capitali e il Paradiso ha un ordinamento più

propriamente morale. Gli abitanti dei primi 2 regni soffrono tormenti correlati con le cattive azioni

compiute durante la vita terrena, secondo il principio punitivo del contrappasso che rovescia sui

dannati i mali che hanno compiuto o secondo un criterio per analogia, che li condanna all’eterna

ripetizione del loro atteggiamento peccaminoso.

Più nello specifico, il Purgatorio è un luogo intermedio tra terra e paradiso, diviso, come già

l’Inferno, in tre sezioni principali: l’antipurgatorio, il purgatorio vero e proprio e il paradiso

terrestre. Nell’antipurgatorio si puniscono gli scomunicati, coloro che tardarono a pentirsi, quelli

che si pentirono solo al momento della morte violenta, i principi negligenti. Il purgatorio vero e

proprio è diviso in 7 cornici che corrispondono ai 7 peccati capitali (superbia, invidia, ira, accidia,

avarizia e prodigalità, gola, lussuria), che ancora una volta Dante colloca in una gerarchia,

considerando più gravi i peccati che coinvolgono la volontà razionale, peccato che consiste in una

deviazione dell’amore, configurandosi quindi come amore diretto al male, amore poco vigoroso

verso il bene o amore eccessivo dei beni terreni.

Le anime che qui Dante incontra si sono pentite prima di morire e perciò sono state perdonate da

Dio e ora devono subire un periodo più o meno lungo di purgazione. Solo in questo modo potranno

diventare degne di entrare in paradiso. La loro condizione psicologica è particolare: da una parte

8

esse sono ancora profondamente legate alla terra, ne provano nostalgia, come testimonia la musica

di Casella (Canto II), dall’altra anelano al Paradiso. Ciò che differenzia questo secondo regno dagli

altri è la sua dimensione transitoria, in quanto scomparirà il giorno del Giudizio: il Purgatorio non è

eterno né fisso, è una sede temporanea e le anime lo attraversano, fino ad arrivare al Paradiso.

L’anima purgante, inoltre, non è vincolata ad un’area specifica, come era nell’inferno, ma deve

subire una pena in tutte le cornici in cui si purificano le passioni colpevoli che l’hanno dominata in

vita. Questo è anche l’unico regno in cui ci sia la successione di giorno e notte, e questo lo rende

simile alla terra.

Il Paradiso, invece, si colloca nell’Empireo, al di là dei nove cieli del sistema tolemaico. Dante per

arrivarci deve appunto superare questi nove cieli concentrici che, mossi dalle rispettive gerarchie

angeliche, ruotano a velocità sempre crescente intorno al punto fisso della terra. Ancora una volta la

disposizione è gerarchica: ogni anima è disposta nel cielo la cui influenza ne ha condizionato la

condotta in vita. Di questi nove cieli sette sono abitati e simbolizzano le tre virtù teleologali e le

quattro virtù cardinali: nel cielo della Luna ci sono i contemplativi incostanti nei voti (virtù della

fede), nel cielo di Mercurio le anime macchiate dall’ambizione (virtù della speranza), in quello di

Venere le anime il cui amore fu macchiato da lussuria (virtù della carità). Il cielo del Sole ospita i

saggi (prudenza), quello di Marte i difensori della fede (coraggio), quello di Giove i giusti

(giustizia) e, infine, quello di Saturno i contemplativi (temperanza). Attraversando questi Dante

giunge nel cielo delle stelle fisse, in cui viene sottoposto ad un esame sulla fede, speranza e carità,

ed arriva infine al primo mobile. Qui riceve la rivelazione di alcuni grandi punti della creazione e

può finalmente giungere nell’Empireo, cielo di pura luce, eternamente immobile e infinito,

descritto dal poeta come un anfiteatro a forma di rosa, sede dei beati e degli angeli. Nell’Empireo

Beatrice consegna Dante a San Bernardo, il quale intercederà presso la Madonna affinché faccia da

tramite con Dio.

Del Paradiso Dante mette in evidenza soprattutto tre aspetti: la luce, la musica e il movimento,

tre elementi correlati, che vanno ricondotti alla creazione divina: il movimento è guidato dal

desiderio e dall’amore per Dio, mentre la luce e la musica sono entrambe diretta emanazione, l’una

visiva e l’altra sonora, di Dio. Il Paradiso è un mondo fatto essenzialmente di luce e di suono,

talmente intensi che Dante viator ne resta sopraffatto: è un’esperienza talmente straordinaria che fa

fatica a ricordare e soprattutto ad esprimere a parole ciò che ha visto.

Un altro aspetto rilevante è la struttura narrativa del poema. Essendo infatti la Divina Commedia

il racconto in prima persona del viaggio, voluto da Dio, intrapreso da Dante ancora in vita all’età di

35 anni, presenta una natura eminentemente narrativa. Come in tutti i racconti, dunque, la

dimensione temporale e spaziale assumono una funzione determinante. Lo spazio della Commedia

9

non è solo fisico, naturale, ma anche metafisico e simbolico. Nell’universo dantesco c’è una

opposizione continua tra basso e alto (che è anche una contrapposizione tra buio e luce), che non

sono solamente due coordinate spaziali ma diventano soprattutto due categorie morali. Il basso è il

luogo del peccato, racchiuso nell’Inferno, descritto come una voragine nelle viscere della terra, al

cui fondo c’è Lucifero; l’alto invece è il luogo della salvezza, il Paradiso, sede di Dio. Il viaggio di

Dante segue appunto una traiettoria verticale dal basso all’alto, dal buio alla luce, dal peccato alla

beatitudine, che è anche un viaggio acustico, dal frastuono infernale alla musica celestiale. E

proprio lungo la linea verticale, dall’alto al basso, sono collocate, in un ordine gerarchico, tutte le

anime, in conformità alla teoria aristotelica secondo la quale le cose pesanti tendono verso il basso

e quelle leggere verso l’alto. Dato che le creature tendono a realizzare il proprio fine assecondando

la propria natura, gli animali cercano la soddisfazione dei sensi, mentre l’uomo, essendo dotato sia

di corpo sia di anima, può seguire gli impulsi materiali e precipitare in basso nell’Inferno, oppure

può seguire la spinta dell’anima verso l’alto e ascendere quindi al Paradiso. Come si vede, quindi,

lo spazio della Commedia è uno spazio moralizzato: la terra, il purgatorio e il paradiso

rappresentano una gerarchia di valori morali perché corrispondono a diversi gradi di vicinanza a

Dio. Anche la dimensione temporale assume un significato simbolico: tutto il viaggio del

pellegrino dura 7 giorni, inizia la sera del venerdì santo e all’alba della domenica di Pasqua Dante e

Virgilio cominciano l’ascesa della montagna del Purgatorio. L’inferno e il Paradiso sono i regni

dell’eternità: nella prima cantica le anime sono dannate per l’eternità e nell’ultima sono beate in

eterno, mentre il Purgatorio è l’unico regno che ha una dimensione temporanea: qui le anime

vivono in una dimensione transitoria, combattuti tra la nostalgia per la loro vita terrena e l’attesa

della loro ascensione in Paradiso.

Queste sono le premesse essenziali perchè gli studenti possano guardare alla musica nella

Commedia attraverso la giusta prospettiva, riconducendola all’interno dell’universo dantesco e dei

suoi significati allegorici. Solo così la musica può essere interpretata non come un elemento a se

stante, svincolato dai presupposti morali e teologici, bensì come una caratterizzazione, al pari

dell’ambiente, delle anime e del loro percorso di ascesa verso Dio. Sono molti infatti i luoghi della

Commedia in cui la musica assolve un ruolo rilevante nella costruzione ideologica del poema, che

già nella sua struttura ricalca la ripartizione medievale in tre categorie musicali.

In sintesi l'Inferno può essere letto come una non-musica, in quanto regno del caos, della

dannazione, dell’assenza della luce divina e dell’ordine. Nell’Inferno, infatti, le leggi della musica

(ordine e armonia) sono sovvertite da suoni aspri, disperati, bestiali, osceni: in un contesto di

sofferenza, in cui le anime patiscono, per l’eternità, pene atroci, in cui risuonano grida lancinanti, in

10

cui tutto risente del dolore, in cui l’ambiente stesso è totalmente privo di armonia (vento, freddo,

bufere…), non può esserci musica.

D’altra parte, dato che secondo i principi fondamentali della fisica acustica, il suono è prodotto da

un corpo che vibra e che genera delle onde sonore regolari, mentre quando le vibrazioni sono

irregolari si produce un rumore, risulta abbastanza intuitivo che nell’Inferno, luogo in cui tutto è

irregolare e sproporzionato, ci siano rumori e non suoni.

Qui, se di musica si vuol parlare, troviamo delle danze dei dannati (che sono caotiche, delle ridde),

mentre l’unico strumento effettivamente risuonante è il corno di Nembrot. A tal proposito sono

significativi alcuni versi del Canto XXXI dell’Inferno:

12 ma io senti’ sonare un alto corno,

tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,

che, contra sé la sua via seguitando,

15 dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.

Dopo la dolorosa rotta, quando

Carlo Magno perdè la santa gesta,

non sonò sì terribilmente Orlando.

Dante e Virgilio hanno terminato il loro viaggio nelle Malebolge e stanno scendendo al nono

cerchio, quando sentono, all’improvviso, questo suono di corno: un suono così vibrante (alto) che

avrebbe fatto apparire debole (fioco) qualunque tuono. Neppure dopo la sconfitta dei paladini di

Carlo Magno a Roncisvalle nel 778, suonò in modo così orribile il corno di Orlando.

Questo richiamo, così forte, emergendo dal silenzio in cui tutta l’oscurità infernale è immersa, fa

presagire a Virgilio e Dante la presenza di non meglio precisate forze nemiche. Dunque il corno è

associato all’idea di una minaccia incombente. D’atra parte il corno nel Medioevo era lo strumento

della caccia e della guerra: non è casuale, quindi, il riferimento dantesco all’episodio di

Roncisvalle: il paladino, circondato dai nemici, suonava il suo olifante1 (antenato del corno) il cui

suono possente viene udito da Carlo Magno che accorre, inutilmente, in suo aiuto.

1 L’olifante è il modello di corno che si diffonde da Bisanzio (ma probabilmente fu l’Africa il suo luogo d’origine) verso l’Occidente a partire dal X sec.: corto e tozzo, era ricavato da una zanna d’elefante. Gli olifanti, spesso intarsiati d’oro, vere e proprie opere d’arte, erano strumenti regali, prerogativa preziosa di principi e cavalieri. Nel Medioevo venivano suonati in guerra, a caccia, per inviare segnali utili alla vita del castello, per annunciare l’arrivo di personalità importanti o dei nemici, e addirittura erano impiegati come tazze per brindare nelle grandi occasioni.

11

Per meglio comprendere questo riferimento occorre ricordare che nel Medioevo il corno è ancora

uno strumento armonico: esso poteva quindi eseguire solo i suoni armonici2, perciò il suo repertorio

era limitato agli squilli, sequenze di suoni, con un ritmo per lo più incalzante, particolarmente adatti

a segnalare l’inseguimento delle prede e l’inizio degli assalti guerreschi. Le sequenze di squilli

diventano una caratteristica distintiva dello strumento, tanto che nasce una vera e propria letteratura

a riguardo, che i compositori continueranno a impiegare, per molto tempo, anche nella cosiddetta

musica d’arte. Fino alle soglie del Romanticismo, infatti, il corno verrà impiegato dai compositori

con finalità descrittive, per evocare atmosfere venatorie: la sua funzione è quella di proporre trilli,

spesso prolungati, scandire sincopi, note staccate e marcate, ribattere le armonie, secondo una

concezione piuttosto convenzionale e monocorde dello strumento.

In virtù del suo timbro minaccioso e allo stesso tempo regale il corno è diventato nel tempo un

topos letterario nella tradizione cavalleresca, attributo costante dei cavalieri per sconfiggere, col suo

suono possente, mostri terribili e per spezzare incantesimi maligni. A distanza di secoli, nell’opera

wagneriana (siamo ormai a fine Ottocento) il corno si dimostrerà particolarmente indicato per

esprimere una natura primitiva, selvaggia, animata da eroi e passioni sconvolgenti. Per far

comprendere la particolarità del timbro di questo strumento, eroico e malinconico allo stesso tempo,

può essere utile far ascoltare alla classe lo Squillo di Sigfrido, tratto dal Sigfrido, appartenente

all’immane ciclo de l’Anello del Nibelungo. In questo brano il corno, prediletto per il suo timbro

puro e per la sua natura semplice, segna l’apparizione dell’eroe. Appena comparso in scena, infatti,

Sigfrido impugna sul palco il suo strumento per risvegliare con uno squillo autoritario il drago

addormentato. Nonostante l’abisso cronologico, per il ritmo incalzante e l’impiego dei soli suoni

armonici, sembra di risentire l’eco dei tanti richiami venatori medievali, ma questo richiamo non ha

più il sapore rustico delle cacce, bensì possiede un carattere solenne e nobile: racchiude in sé

l’essenza dell’eroe e dell’alta impresa di cui è investito.

Per ribadire la natura guerresca e minacciosa dello strumento è utile far notare che già nella Bibbia

il corno veniva citato proprio in virtù della sua portentosa voce: mentre Giosuè assedia Gerico il

settimo giorno, sette sacerdoti, dopo aver compiuto sette giri intorno alle mura, danno fiato ai loro

corni: le mura cadono e la città viene presa. E’ evidente il rovesciamento della mitologia classica:

là Anfione riusciva ad erigere le mura con il suono della sua lira, qui invece il suono del corno

distrugge la materia.

2 I suoni armonici sono quei suoni, sovrapposti a distanza sempre più ravvicinata (ottava, quinta, quarta, terza …) che risuonano simultaneamente ad ogni suono prodotto, arricchendone il timbro. Nel caso degli ottoni sono i soli suoni che possono essere prodotti senza l’impiego dei pistoni o dei cilindri, semplicemente mutando la velocità e la pressione dell’aria emessa.

12

Questo dimostra il nostro assunto di partenza: nell’Inferno non c’è musica, gli unici suoni sono

tremendi e minacciosi. Ben diversa la situazione nel Purgatorio.

Nella seconda Cantica, infatti, c’è una vera musica, grazie alla quale le anime a poco a poco tornano

al loro stato primigenio: finalmente trovano un accordo totale con se stesse e si accordano, come

uno strumento musicale, al suono della musica universale. I suoni piacevoli e gli inni fanno da

sfondo a tutta la cantica, allo scopo di guidare le anime sulla via dell’eterna salvezza. Nel Paradiso,

infine, la musica è del tutto ineffabile perché riflette l’armonia e l’ordine del cosmo. Il Paradiso è

infatti descritto in termini di luce e suono, ma la musica paradisiaca è inesprimibile, perché

trascende l’intelletto umano e quindi non è conoscibile. Nel Purgatorio e nel Paradiso, quindi, la

musica assume connotazioni diverse. Nel Purgatorio essa riflette una dimensione umana, è

essenzialmente una musica terrena, principalmente legata alla monodia liturgica, mentre nel

Paradiso le intonazioni melodiche dei cori angelici, che appartengono allo stile polifonico, dunque

con la sovrapposizione di più linee musicali intonate contemporaneamente, e quindi più elaborato,

sopraffanno i sensi del pellegrino, diventando delle metafore della visione celeste. Le immagini

musicali nel Paradiso si fanno quindi più complesse, sono spesso espresse dal movimento e dalla

luce, perché sono il prodotto di una beatitudine già raggiunta.

Dante sembra quindi servirsi della contrapposizione in voga nel Medioevo tra musica monodica e

musica polifonica per esprimere la comprensibilità della musica purgatoriale e l’incomprensibilità

delle melodie paradisiache.

Non essendo possibile in un contesto scolastico analizzare in toto la questione della musica nella

Commedia, ho selezionato alcuni passi particolarmente significativi del Purgatorio, su cui vale la

pena concentrarsi nel dettaglio.

3° lezione: 2 ore

Oggetto della mia attenzione è l’Antipurgatorio, luogo ad alta densità melodica, poiché le anime

che qui si trovano, non essendo ancora purificate, sono più sensibili agli effetti prodotti dall’ascolto

sonoro, tanto che De Sanctis le ha definite “esseri musicali”.

La seconda cantica denuncia la sua forte relazione con la musica fin dall’incipit:

13

O sante Muse, poi che vostro sono;

e qui Calliopè alquanto surga

seguitando il mio canto con quel suono

di cui le Piche misere sentiro

lo colpo tal, che disperar perdono

(Purg. I, 7-12)

Come in tutti i proemi, il poeta invoca le Muse, in particolare Calliope, musa della poesia epica,

affinché accompagnino il suo canto. In particolare Dante fa qui riferimento al mito ovidiano delle

figlie del re di Tessaglia (le Pieridi) che osarono con tracotanza sfidare nel canto le Muse e, vinte

da Calliope, per punizione furono trasformate in gazze (Piche). Attraverso questo mito si stabilisce

una distinzione tra due tipi di musica: quella positiva di Calliope e quella negativa delle Pieridi.

Questa distinzione tra una musica positiva e una negativa porta a una antitesi tra due tipi di

esecuzione che ritorna nel II Canto.

Per facilitare la comprensione del testo è necessario procedere per prima cosa alla parafrasi. In

questa fase di decodificazione linguistica, che è imprescindibile per accedere all’interpretazione

letteraria, il ruolo dell’insegnante è determinante, in funzione di “intermediario”, per consentire alla

classe di capire il significato di molti vocaboli altrimenti indecifrabili.

Una volta superato lo scoglio linguistico si può procedere attraverso una scomposizione analitica

del testo: gli studenti, sotto la guida dell’insegnante, possono suddividere il canto in blocchi e,

sezione per sezione, cogliere le figure retoriche più evidenti. Infine, attraverso una minuta

decostruzione, si riuscirà a “distillare” gli elementi essenziali e isolare quelle parti in cui il tema

musicale, nostro punto focale, è centrale e, attraverso alcuni termini chiave, individuare la valenza

che esso assume.

E’ necessario stimolare negli studenti un approccio induttivo che faccia emergere le nozioni

direttamente dai testi, per evitare il più possibile qualsiasi discorso astratto e meramente teorico. Di

volta in volta perciò, anziché fornire un elenco sterile di figure retoriche, una classificazione di

elementi stilistici, è più utile incentivare la classe, attraverso una serie di domande, ad un

atteggiamento ispettivo, così che possa costruirsi autonomamente le competenze di analisi.

Solo così gli studenti capiscono che il testo poetico va letto e compreso: occorre instaurare col

testo un dialogo, un rapporto estetico, che stimoli le capacità immaginative, percettive ed

evocative, ma questo approccio emotivo va integrato da uno razionale, che attivi le facoltà logiche

e analitiche. I due aspetti sono complementari.

Il canto si può così scomporre :

Valenza negativa

Valenza positiva

14

Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto

lo cui meridïan cerchio coverchia

3 Ierusalèm col suo più alto punto;

e la notte, che opposita a lui cerchia,

uscia di Gange fuor con le Bilance,

6 che le caggion di man quando soverchia;

sì che le bianche e le vermiglie guance,

là dov’ i’ era, de la bella Aurora

9 per troppa etate divenivan rance.

La prima sezione è descrittiva: questi versi iniziali altro non sono infatti che una lunga perifrasi

scientifica per indicare che il sole sorge all’orizzonte, tramontando a Gerusalemme e spuntando sul

Purgatorio, sulla cui spiaggia si trovano Dante e Virgilio.

A livello stilistico si può notare semplicemente la personificazione dell’ Aurora, che non a caso è

scritta con l’iniziale maiuscola, come già nella poesia classica (si pensi all’Aurora dalle rosee dita

dei poemi omerici), attraverso la quale Dante rappresenta la progressiva mutazione di colore del

cielo dall’alba al sorgere del sole: le guance dell’Aurora da bianche diventano rosse e poi arancioni.

Noi eravam lunghesso mare ancora,

come gente che pensa a suo cammino,

12 che va col cuore e col corpo dimora.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,

per li grossi vapor Marte rosseggia

15 giù nel ponente sovra ‘l suol marino,

cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,

un lume per lo mar venir sì ratto,

18 che ‘l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto

l’occhio per domandar lo duca mio,

21 rividil più lucente e maggior fatto.

Poi d’ogne lato ad esso m’appario

Personificazione

Similitudini

Chiasmo

L’angelo

Tensione tra anima e corpo

15

un non sapeva che bianco, e di sotto

24 a poco a poco un altro a lui uscìo.

Lo mio maestro ancor non facea motto,

mentre che i primi bianchi apparver ali;

27 allor che ben conobbe il galeotto,

gridò: <<Fa, fa che le ginocchia cali.

Ecco l’angel di Dio: piega le mani;

30 omai vedrai di sì fatti officiali.

Vedi che sdegna li argomenti umani,

sì che remo non vuol, né altro velo

33 che l’ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come l’ha dritte verso ‘l cielo,

trattando l’aere con l’etterne penne,

36 che non si mutan come mortal pelo>>.

Poi, come più e più verso noi venne

l’uccel divino, più chiaro appariva:

39 per che l’ occhio da presso nol sostenne,

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva

con un vasello snelletto e leggero,

42 tanto che l’acqua nulla ne ‘nghiottiva.

Da poppa stava il celestial nocchiero,

tal che faria beato pur descripto;

45 e più di cento spirti entro sediero.

“In exitu Israel de Aegypto”

cantavan tutti insieme ad una voce

48 con quanto di quel salmo è poscia scripto.

Poi fece il segno lor di santa croce;

ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:

51 ed el sen gì, come venne, veloce.

In questi versi Dante descrive la visione che gli è apparsa mentre si trova ancora sulla spiaggia del

Purgatorio: all’orizzonte scorge un punto luminoso che a mano a mano che si avvicina diventa

sempre più grande. E’ l’angelo che, a poppa di una veloce imbarcazione, porta spiriti che intonano

Primo riferimento alla

musica

16

tutti insieme il salmo “In exitu Israel de Aegypto”, e dopo averli lasciati sulla riva, riparte

velocissimo.

Con la similitudine iniziale Dante esprime il suo stato d’animo: lui e Virgilio sono nella condizione

spirituale dei viaggiatori che alla partenza pensano al cammino che devono fare, e quindi sono già

in viaggio col cuore, ma con il corpo sono ancora fermi. Sempre a livello retorico si può far notare

il chiasmo, con il verbo e il complemento che compaiono in posizione invertita.

E’ inoltre interessante riflettere sui verbi usati: l’opposizione va / dimora indica la tensione tra

anima e corpo, a indicare la scissione interna di Dante pellegrino.

A questo punto occorre concentrarsi sulla figura dell’angelo, che è volutamente contrapposto

all’infernale Caronte.

Rileggendo i versi del III Canto dell’Inferno, attraverso una tabella, si possono cogliere gli

elementi analoghi e quelli antitetici dei due traghettatori di anime:

III Inferno II Purgatorio ANTITESI

82 Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo gridando:<<Guai a voi, anime prave!85 Non ispirate mai veder lo cielo: i’ vengo per menarvi a l’altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo

107 Caron demonio, con occhi di bragia lor accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s’adagia

47 Cantavan tutti insieme ad una voce

37 Come più e più verso noi venne l’uccel divino, più chiaro appariva

43 Celestial nocchiero

32 sì che remo non vuol, né altro velo che l’ali sue

grida/ canto

buio / luce

demonio/creatura celeste

strumento umano/ ali divine

Per entrare più nel dettaglio si possono rintracciare tutti quegli elementi che connotano l’angelo: la

luce, il rossore del viso (paragonato a Marte), il colore bianco della veste e delle ali. Questa

descrizione particolareggiata dell’angelo, che Dante, quasi con una tecnica cinematografica, segue

nel suo progressivo avvicinarsi, è certamente debitrice all’arte figurativa: il viso è rosso come

quello degli angeli bizantini, le ali dritte verso il cielo sono frequenti nell’iconografia, così come la

veste bianca, colore prevalente delle vesti di tutti gli esseri paradisiaci. La luce inoltre è

manifestazione di Dio e l’angelo è chiaramente identificato da Dante come messaggero di Dio:

“ecco l’angel di Dio”, v. 29. Va puntualizzato, tra l’altro, che in greco il termine anghelos

(άγγελος) deriva dal verbo anghello (αγγέλλω) che vuol proprio dire annunciare, quindi l’angelo

assume chiaramente funzione di mediazione conoscitiva tra Dio e l’uomo. Per rimarcare la

connessione angelo – luce - Dio, si può inoltre ricordare che nel Testo Sacro sono numerose le

apparizioni dell’Angelo del Signore, si veda ad esempio Genesi 3,2, in cui l’angelo del Signore

17

apparve a Mosè in una fiamma di fuoco. Dinnanzi a questa luce, che diventa sempre più

abbagliante, Dante abbassa lo sguardo. Gli occhi umani non possono sostenere una luminosità così

intensa: questa condizione di sopraffazione sarà sempre più frequente a mano a mano che il viaggio

procede verso Dio.

Restano infine da analizzare i versi in cui compare, per la prima volta, la musica. Le anime

traghettate cantano, tutte insieme (ad una voce, v. 47) il salmo CXIII, il canto di liberazione degli

Ebrei dalla schiavitù egiziana. Il riferimento a questo salmo non è casuale: Dante stesso, nella

lettera a Cangrande, usa proprio questo esempio per spiegare i quattro sensi delle scritture.

Attenendosi ad un’interpretazione letterale, infatti, questo salmo è semplicemente il canto di

liberazione della Giudea, ma in un’interpretazione più profonda (Dante la chiama anagogica), vuole

invece significare la liberazione dello spirito dal corpo, al momento della morte: “l’uscita

dell’anima santa dalla servitù di questa corruzione alla libertà della gloria eterna”( Ep. XIII, 21).

Non a caso nella liturgia cattolica questo salmo si cantava nell’accompagnamento del defunto al

cimitero, a significare il simbolico distacco dell’anima dai legami terreni. Questo salmo, dunque, è

particolarmente adatto alla condizione spirituale delle anime che lo intonano, che sono uscite dal

peccato, ed è quindi il preludio più appropriato per l’intera cantica: il viaggio di Dante su per la

montagna del Purgatorio verso la conquista della visione divina è simile a quello degli Ebrei in

uscita dall’Egitto per raggiungere la terra promessa e la libertà. L’inno sottolinea la liberazione

dell’anima dalla schiavitù della corruttibilità e il suo procedere sempre più verso la beatitudine della

gloria eterna.

Una caratteristica costante del Purgatorio è la presenza della musica corale: non a caso Dante

sottolinea che le anime cantano tutte insieme. L’unisono del canto simboleggia l’unanimità del

sentire delle anime, in netto contrasto con le discordanze delle voci dell’Inferno. E’ lo stesso Dante,

in un altro canto del Purgatorio, a riconoscere questo aspetto: “Ahi quanto son diverse quelle foci, /

da l’infernali! chè quivi per canti / s’entra, e là giù per lamenti feroci” (Purg. XII, 112-114).

La turba che rimase lì, selvaggia

parea del loco, rimirando intorno

54 come colui che nove cose assaggia.

Da tutte parti saettava il giorno

lo sol, ch’ avea con le saette conte

57 di mezzo ‘l ciel cacciato Capricorno,

quando la nova gente alzò la fronte

ver’ noi, dicendo a noi:<<Se voi sapete,

Similitudini

18

60 mostratene la via di gire al monte>>.

E Virgilio rispose:<<Voi credete

forse che siamo esperti d’ esto loco;

63 ma noi siam peregrini come voi siete.

Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,

per altra via, che fu sì aspra e forte,

66 che lo salire omai ne parrà gioco>>.

L’anime, che si fuor di me accorte,

per lo spirare, ch’ i’ era ancor vivo,

69 maravigliando diventaro smorte.

E come a messagger che porta ulivo

tragge la gente per udir novelle,

72 e di calcar nessun si mostra schivo,

così al viso mio s’ affisar quelle

anime fortunate tutte quante,

75 quasi oblïando d’ ire a farsi belle.

In questa sezione avviene l’incontro di Dante e Virgilio con le anime appena giunte, che sono

ignare del luogo e quindi chiedono loro la via per salire al monte.

Il sole sorge all’orizzonte cacciando Capricorno, quando le anime circondano i due pellegrini e

restano stupiti dal vedere che Dante è ancora vivo.

Io vidi una di lor trarresi avante

per abbracciarmi, con sì grande affetto,

78 che mosse me a far lo somigliante.

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!

Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

81 e tante mi tornai con esse al petto.

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

per che l’ombra sorrise e si ritrasse,

84 e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

Soavemente disse ch’io posasse;

allor conobbi chi era, e pregai

87 che, per parlarmi, un poco s’arretrasse.

19

Rispuosemi: <<Così com’ io t’amai

nel mortal corpo, così t’amo sciolta:

90 però m’arresto; ma tu perché vai?>>.

<<Casella mio, per tornar altra volta

là dov’ io son, fo io questo viaggio>>.

93 diss’io; <<ma a te com’ è tanta ora tolta?>>.

Ed elli a me: <<Nessun m’è fatto oltraggio,

se quei che leva quando e cui li piace,

96 più volte m’ha negato esto passaggio;

chè di giusto voler lo suo si face:

veramente da tre mesi elli ha tolto

99 chi ha voluto intrar, con tutta pace.

Ond’io, ch’era ora a la marina volto

dove l’acqua di Tevero s’insala,

102 benignamente fu’ da lui ricolto.

A quella foce ha elli or dritta l’ala,

però che sempre quivi si ricoglie

105 qual verso Acheronte non si cala>>.

E io: <<Se nuova legge non ti toglie

memoria o uso a l’amoroso canto

108 che mi solea quetar tutte mie doglie,

di ciò ti piaccia consolare alquanto

l’anima mia, che, con la sua persona

111 venendo qui, è affannata tanto!>>.

“Amor che ne la mente mi ragiona”

Cominciò elli allor sì dolcemente,

114 che la dolcezza ancor dentro mi risuona.

Lo mio maestro e io e quella gente

ch’eran con lui parevan sì contenti,

117 come a nessun toccasse altro la mente.

In questi versi fa la sua compara il musico Casella. Dante, riconoscendolo tra tutte le anime che si

erano strette attorno a lui, cerca per ben tre volte di abbracciare l’amico, ma il tentativo è vano,

perché essendo questi puro spirito, la sua figura è eterea. Questo slancio proteso ad abbracciare un

Il musico Casella

La musica umana e i suoi effetti

20

caro defunto, luogo comune della poesia classica (si pensi a Ulisse nell’Odissea o a Enea

nell’Eneide), è indice della dimensione per certi versi ancora terrena del Purgatorio, in cui Dante

ritrova una serie di amici.

Per analizzare meglio la valenza che la musica assume in questo contesto occorre evidenziare gli

elementi che connotano il canto di Casella: è un amoroso canto, che si diffonde con tanta dolcezza

da rapire l’attenzione di tutte le anime e addirittura di Virgilio, simbolo della ragione, al punto da

distogliere la loro mente da ogni altro pensiero. Un altro elemento interessante sono i diversi tempi

verbali utilizzati: Dante si sofferma prima a ricordare l’effetto che la musica dell’amico produceva

sui suoi sensi nella vita terrena, quindi nel passato (solea quetar le mie doglie) e in secondo luogo

indugia a descrivere l’effetto che il canto di Casella sortisce ora su tutti gli ascoltatori (ti piaccia

consolar l’anima mia). Un’attenzione particolare, tra l’altro, merita quell’avverbio “dolcemente” al

v.113 e, al verso successivo, il sostantivo “dolcezza”. Sicuramente è il canto di Casella, la sua voce

e la sua intonazione ad essere definito dolce e a produrre una pari dolcezza nell’animo di chi

ascolta. Ma non può non far pensare alla definizione, dantesca appunto, di dolce stil novo: questi

versi, quindi, vogliono alludere alla poesia stessa di Dante, e infatti Casella intona la canzone

dantesca “Amor che ne la mente mi ragiona”, contenuta nel Convivio. A tal proposito si può

cogliere un’incongruenza filologica: come detto il canto di Casella è definito amoroso, mentre la

canzone dantesca è di argomento filosofico; probabilmente però l’identificazione di questa musica

con il canto amoroso vuole semplicemente alludere al canto monodico, ossia di una sola voce.

Continuando con l’analisi testuale, alla musica viene riconosciuto il potere di “quietar le doglie”,

ossia di alleviare i dolori, come ampiamente documentato dalle teorie filosofiche e mediche del

Medioevo. La musica, come lo stesso Dante sostiene nel Convivio, “trae a sé li spiriti umani, che

quasi sono semplicemente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione” (Conv. II,

XIII,24): il suono ha cioè il potere di ridurre i sensi umani ad uno solo, cioè quello dell’udito, in

cui si concentrano, nel momento dell’ascolto, tutte le facoltà umane. Dunque la musica ha la

capacità di distrazione, può portare la mente altrove, può distoglierla da un pensiero ossessivo. Per

questo motivo nel Medioevo la musica veniva consigliata come terapia ai malati d’amore e ai

malinconici. Dante quindi analizza gli effetti della musica da un punto di vista psicologico,

diversificando, con l’uso dell’aggettivazione, le conseguenze positive o negative che essa poteva

avere sull’animo umano.

Noi eravam tutti fissi e attenti

a le sue note; ed ecco il veglio onesto

120 gridando:<< Che è ciò, spiriti lenti?

Catone

21

qual negligenza, quale stare è questo?

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio

123 ch’esser non lascia a voi Dio manifesto>>.

Come quando, cogliendo biado o loglio,

li colombi adunati a la pastura,

126 queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

se cosa appare ond’ elli abbian paura,

subitamente lasciano star l’esca,

129 perch’ assaliti son da maggior cura;

così vid’ io quella masnada fresca

lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,

com’ om che va, né sa dove riesca;

133 né la nostra partita fu men tosta.

In questa ultima sezione Catone, improvvisamente apparso, rimprovera severamente le anime che si

erano lasciate rapire dalla musica, e li esorta a correre verso la montagna e l’espiazione, accusandoli

di negligenza. Catone, simbolo della coscienza morale, interviene per orientare il pellegrino, e il suo

ammonimento è accostabile a quello di Virgilio nel primo Canto dell’ Inferno: là Virgilio esortava il

pellegrino Dante a non indugiare, a intraprendere la salita del dilettoso monte, che è “principio e

cagion di tutta gioia”.

Come si può giustificare questo rimprovero? Le anime del Purgatorio si sono lasciate incantare

dalla seduzione della musica intonata su un testo filosofico, considerata come ostacolo, sensoriale

ed intellettuale, che impedisce di eliminare lo “scoglio” che le separa da Dio. Questo potrebbe

sembrare in contraddizione con la dolcezza del canto di Casella, ma in realtà non lo è. La musica, e

allo stesso modo la filosofia (abbiamo detto che la canzone dantesca, intonata da Casella, è

filosofica), non va demonizzata, ma inserita in una dimensione ascensionale che deve conseguire la

gioia trascendente, l’unità con l’Assoluto. Essa diventa un vano allettamento, negativo e sterile,

quando resta finalizzata a se stessa, ad un autocompiacimento sganciato dalla Grazia. Musica e

filosofia, quindi, vanno sì coltivate, ma solo come strumento preparatorio alla catarsi, come viatico

per la salvezza.

Alla luce di questa conclusione, dunque, si comprende appieno il duplice aspetto della musica: da

un lato può placare gli affanni del cuore e vincere il dolore, concezione questa di matrice classica,

come è evidenziato nel mito di Orfeo, il quale con la sua musica non solo ammansisce le bestie ma

anche riesce a commuovere le divinità dell’oltretomba, ottenendo di riportare tra i vivi la sua amata

Similitudine

22

Euridice; d’altra parte la musica può anche svigorire l’animo, volgerlo ad un pericoloso languore.

Essa però non va intesa come un disvalore, tanto è vero che accompagna Dante tanto nel Purgatorio

quanto nel Paradiso, sotto forma di inni corali intonati dalle anime.

Per concludere, dunque, la prima tentazione che accarezza le anime è la melodia di una canzone

d’amore, che con nostalgia riporta ogni singola anima al tempo della sua vita sulla terra; e Dante

con loro, che in prima persona aveva scritto quei dolci versi. Allora irrompe sulla scena Catone a

troncare la canzone e ad avvertire le anime del rischio: nel Purgatorio non si ascolta musica per

restare ancorati alla propria dimensione terrena, non si volge lo sguardo, come aveva fatto Orfeo,

dietro di sé. La musica amorosa, legata ai valori terreni, va abbandonata, sublimata col coro delle

anime che intonano il salmo dell’esodo, proiettate verso il futuro dell’eternità. D’altra parte già nel

V Canto dell’Inferno l’arte legata ai valori terreni, in quel caso la letteratura amorosa, ha portato

Paolo e Francesca a essere schiavi del piacere dei sensi, condannandoli alle pene infernali.

Si arriva quindi all’antitesi tra due tipi di musica, con valenze diverse: da una parte la nostalgica

canzone Amor che ne la mente mi ragiona, dall’altra il salmo In exitu Israel de Aegypto, strumento

di distacco dalle passioni e di catarsi. E’ quindi un’opposizione tra canto sacro e profano, secondo i

principi della teoria musicale in voga nel Medioevo.

4° lezione: 2 ore

La lezione di oggi è una digressione sulla teoria musicale del Medioevo, con la gerarchia dei

generi e dei diversi tipi di musica, a cui Dante si rifà. Le coeve teorie distinguevano infatti tra un

tipo di musica positiva, concepita come strumento per avvicinare a Dio, e una negativa, ridotta a

puro allettamento dei sensi.

Per cercare di rendere la spiegazione il meno tecnica possibile, occorre utilizzare una terminologia

accessibile a tutti, e soprattutto, evitare ogni velleità di sterile erudizione. L’obiettivo è infatti

fornire quegli elementi che consentano di contestualizzare all’interno dell’orizzonte culturale della

sua epoca la concezione dantesca della musica che emerge nella Commedia. Ovviamente, però,

questa lezione dovrà avere carattere frontale, dal momento che i concetti espressi risulteranno del

tutto nuovi per gli studenti, i quali quindi dovranno prendere appunti, non potendo ritrovare queste

informazioni sui loro libri di testo.

Innanzi tutto va chiarito un concetto fondamentale, ossia il carattere bifronte della musica

medievale: da una parte considerata come ars teorica in senso scolastico, quindi una scienza delle

proporzioni, facente parte del quadrivio, dall’altra come techne, prassi musicale e dunque

strumentale, propria dei musici. Quindi una netta contrapposizione tra la teoria, nobile come ogni

23

altra forma di speculazione, anzi considerata mezzo privilegiato di ascesi mistica, e la pratica,

ritenuta indegna di uno spirito nobile a causa della sua manualità, e giudicata pericoloso strumento

di perdizione. Perché si incrini questa immagine bisognerà aspettare fino al XVIII secolo (come

aneddoto divertente e significativo basta ricordare che Mozart fu cacciato dall’arcivescovo di

Salisburgo, alla stregua di un qualunque servitore, con una pedata nel sedere).

Tornando all’aspetto che più ci riguarda, ossia l’influenza della musica sull’uomo, nel Medioevo è

fiorita una vasta letteratura sugli effetti che la musica produce sull’interiorità dell’uomo. Grande

influenza esercita il pensiero greco che per primo aveva messo in luce la rilevanza etica della

musica: così ognuno dei modi (dorico, ionio, frigio, eolio, corinzio…) possedeva un proprio

carattere etico in virtù del quale produceva nell’ascoltatore un determinato comportamento

suscitando un particolare effetto psicologico (così, ad esempio, una scala era adatta a produrre

calma, un’altra a sollecitare alla guerra e così via)3. Già Platone quindi, sottolineava il grande potere

della musica, un potere che però andava ben gestito per non rischiare di corrompere la gioventù

greca: in una prospettiva etica, perciò, il piacere prodotto dai suoni doveva essere un mezzo di

educazione e non un fine. Dovranno passare molti secoli prima che venga scoperto il valore estetico

della musica!

Ma come era giustificata questa influenza dei suoni sull’animo umano?

Dato che la musica, in quanto scientia è fondata su precisi rapporti matematici (gli intervalli

musicali altro non sono che frazioni numeriche) e l’uomo è anch’esso il risultato di un equilibrio tra

varie parti, tra anima e corpo, i suoni e gli strumenti musicali possono esercitare degli effetti sugli

ascoltatori, quindi l’anima può essere vista come una cassa di risonanza, continuamente esposta agli

eventi sonori. A tal proposito è interessante notare che il verbo temperare, che richiama alla

disposizione dell’animo, viene applicato anche all’ambito musicale con il significato di accordare:

si temperano animi e si temperano scale e strumenti.

Non deve stupire pertanto che nel Medioevo l’ascolto della musica venisse consigliato come vera e

propria terapia curativa. In virtù del principio secondo cui i disturbi vanno curati con cose simili

3 Presso i Greci la musica era considerata capace di incidere sul comportamento umano, di influire sui sentimenti e di esprimere emozioni. Quindi la musica era dotata di un potere educativo, con la sua capacità di trasmettere valori o disvalori, capacità che troverebbe la sua realizzazione più adeguata proprio in simbiosi con la poesia. Così nel teatro greco la musica poteva imitare la virtù e quindi cancellare il vizio dall’animo umano, provocando quella che il filosofo pitagorico Damone di Oa definiva catarsi allopatica. Secondo Aristotele, invece, la musica poteva correggere il vizio attraverso l’imitazione del vizio stesso, che in questo modo diventava inoffensivo, attraverso la catarsi omeopatica. I Greci, infatti, avevano una concezione filosofica della musica, e così come i diversi generi poetici potevano influire sull’animo umano (la tragedia aveva un ethos diastaltico, capace di incitare all’eroismo, la lirica monodica invece, col suo ethos sistaltico, agiva sulla volontà soggettiva ed infine la lirica corale, con l’ethos esicastico, si rivolgeva alle facoltà d’animo collettive), allo stesso modo i differenti modi musicali, a seconda della loro armonia e della combinazione dei suoni, potevano forgiare il carattere. Il modo dorico era considerato virile e severo, quello frigio appassionato e vibrante, infine quello lidio doloroso e languido.

24

(similia similibus curantur), la musica era impiegata per curare le sofferenze amorose poiché la

fenomenologia dell’ascolto e quella del desiderio amoroso condividono gli stessi meccanismi: sia il

desiderio erotico sia quello musicale nascono infatti dalla concentrazione delle facoltà umane in

un unico senso, quello della vista nel primo caso, in quello dell’udito nell’altro. Pertanto la musica

è l’unico rimedio in grado di provocare la distrazione dell’ammalato dall’ oggetto amato.

Secondo la classificazione di Boezio (De institutione musica), si possono distinguere tre tipi di

musica, in una rigida gerarchia: quella dell’universo (mondana), quella umana (humana) e quella

strumentale (instrumentalis). La musica strumentale è la musica concretamente prodotta dagli

strumenti, quindi quella meno nobile, quella umana è il prodotto dell’equilibrio interno al corpo

umano e la mondana è quella realizzata dall’universo. L’unica percepibile dalle orecchie umane è

la musica strumentale che riproduce, tramite precisi rapporti matematici, l’armonia cosmica e, in

base alla qualità e alla natura delle proporzioni matematiche su cui si fonda, può agire in modo

diverso sull’equilibrio psicofisico dell’uomo.

La musica umana invece è la garanzia dell’equilibrio interiore dell’uomo: nel momento in cui c’è

accordo (notare l’uso di un termine musicale!) tra anima e corpo si produce la musica umana, che

riproduce lo stesso equilibrio che regola l’universo, lo dice lo stesso Boezio nel suo trattato De

musica. Dato che nel Medioevo il male era considerato il risultato di uno squilibrio interno, questo

spiega perché la musica venisse impiegata come medicina. Infatti la musica prodotta dagli strumenti

o dalla voce può ristabilire l’equilibrio, proprio perché sia la musica umana sia quella strumentale

sono fondate su rapporti matematici, e a loro volta sono un riflesso della musica dell’universo.

Attraverso un corretto uso della musica strumentale l’uomo può quindi accordare la propria anima

con l’universo. Ma la musica strumentale non è tutta uguale: ce n’è un tipo che spinge il desiderio

verso Dio e uno che lo appaga con il piacere dei sensi e che quindi blocca il suo cammino

ascensionale. E’ l’opposizione tra musica positiva e negativa che abbiamo trovato nel II Canto del

Purgatorio.

Lo stesso Dante infatti insiste più volte sul potere esercitato dalla musica sugli ascoltatori: in un

passo del Convivio, II, ad esempio, sostiene che la Musica è assimilabile al cielo di Marte. Infatti il

cielo di Marte è il quinto dei nove cieli mobili, quindi centrale, allo stesso modo la musica è l’arte

delle proporzioni per eccellenza. In secondo luogo Marte ha la capacità di attrarre e aspirare i

vapori che lo circondano tanto che essi si consumano in fiamme, così come la musica attrae e

surriscalda gli spiriti. Quando però l’anima si concentra in un unico fenomeno, in questo caso il

suono, e quindi si esaurisce in un’unica facoltà sensoriale, resta come incatenata. A tal proposito si

possono leggere agli studenti i versi 7-12 del Canto IV del Purgatorio:

25

E però, quando s’ode cosa o vede

che tegna forte a sé l’anima volta,

vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede;

ch’altra potenza è quella che l’ascolta,

e altra è quella c’ha l’anima intera:

questa è quasi legata e quella è sciolta.

Come si evince da questi versi, un’esperienza dell’anima può essere tanto intensa da precluderne

qualunque altra: l’anima, assorbita dalla musica, resta come estraniata, annichilita. Allora la musica

produce uno squilibrio, perché l’anima, soggiogata dal desiderio, è come resa inferma e si allontana

dalla ragione. E’ lo stesso effetto che può produrre l’amore, quando la passione diventa totalizzante

e l’immagine della persona amata si fissa sempre più nella mente dell’innamorato. Esiste un amore

che aliena l’individuo dalle sue facoltà intellettive e lo conduce alla dannazione (vedi Paolo e

Francesca), e uno che lo guida verso la perfezione (vedi l’amore per Beatrice), così come esiste una

musica che annulla la volontà sopraffatta dal piacere dei sensi, e un’altra che stimola l’uomo

all’equilibrio.

Alla luce di questi elementi, se si ritorna al II Canto del Purgatorio, non sarà difficile cogliere le

caratteristiche contrapposte dei due tipi di musica, l’uno positivo e l’altro negativo, e metterne in

evidenza le conseguenze sulle anime, come sintetizzato in questo schema:

SALMO “ In exitu Israel de Aegypto” CANZONE “Amor che ne la mente mi ragiona”

corale

sacro

liturgico

solistica

profana

mondana

finché le anime cantano Quando si fermano ad

il salmo sono in equilibrio ascoltare il canto profano si produce

con se stesse e con le altre separazione tra intelletto e volontà

questo spiega il rimprovero di Catone che apostrofa le anime negligenti

d’ora in avanti, nel Purgatorioscomparirà questo tipo di musica,che lascerà il posto all’intonazione di inni e salmi e alle beatitudini cantate dagli angeli

Effetto negativo

26

Per concludere si possono leggere ancora pochi versi tratti dal Canto VIII del Purgatorio: nella

valletta dei principi negligenti Dante ascolta il Salve Regina e il Te lucis ante. Anche questo inno

produce un effetto disarmante sull’ascoltatore:

“Te lucis ante” sì devotamente

le uscio di bocca e con sì dolci note,

che fece me a me uscir di mente

(Purg. VIII, 13-15)

In questi versi si possono cogliere delle analogie con il II Canto analizzato. Intanto ritorna

l’aggettivo dolce, che già qualificava il canto di Casella, ma questa volta, occorre notare, è

accompagnato dall’avverbio “devotamente”, che circoscrive questo tipo di canto alla sfera liturgica.

In secondo luogo questa volta l’ascolto musicale produce un desiderio non più imbrigliato dal

piacere dei sensi, ma che trascende (fece a me uscir di mente) per andare fuori di sé, tanto è vero

che le anime, mentre intonano l’inno, alzano gli occhi al cielo (avendo li occhi a le superne rote,

v.18). In questo caso, quindi, l’ascoltatore non si concentra su se stesso, sul piacere sensoriale, ma

al contrario si dimentica di sé per trascendere a qualcosa di più elevato. In questo caso, dunque,

siamo in presenza del modello positivo di musica relativamente agli affetti che produce sulle anime.

5° lezione: 2 ore

Questa lezione ha un carattere più laboratoriale. Infatti, per integrare la teoria musicale e dare al

nostro discorso maggiore concretezza, può essere utile analizzare alcuni degli strumenti musicali

medievali più comuni, grazie ad alcune fotocopie4 distribuite agli studenti o, meglio ancora, con

delle slide proiettate in classe, grazie alle quali sarà possibile anche inserire, sotto a ciascuna

immagine, un breve commento musicale, in modo che gli studenti possano rendersi conto della

sonorità della musica medievale.

Per rimarcare il carattere simbolico degli strumenti, si può fare riferimento a racconti mitologici.

Ad esempio è interessante un’antica leggenda araba secondo cui mastro Adamo, essendo morto suo

figlio e avendone appeso il corpo ad un albero, costruì un liuto5 con la forma degli arti del giovane,

dando al corpo dello strumento la forma della coscia, al manico la forma della gamba, al resto dello

4 Tutte le immagini qui riportate sono tratte dalle dispense del corso di Storia della Musica Medievale e Rinascimentale tenuto dalla Prof.ssa C. Santarelli presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Torino nell’a.a. 1999-20005 Vedi Figura n° 1

Valenza positiva della musica

27

strumento quella del piede. Per la legge del contrappasso, quindi, l’anima dannata del falsario

mastro Adamo nell’Inferno dantesco è fatto a guisa di leuto, più tardi secondo un’altra leggenda la

testa del moro infedele sarà costretta sul manico della viola d’amore, altro caratteristico strumento

medievale, che in alcuni esemplari termina infatti con la decorazione di una miniatura a forma di

testa di moro.

Figura 1: Pietro di Domenico da Montepulciano, XV sec, Angeli musicanti, New York, Metropolitan Museum

28

Per prima cosa va ricordato che durante il Medioevo gli strumenti erano divisi in tre categorie: a

corde, a fiato e a percussione. Questa tripartizione sottende a sua volta un significato allegorico:

rappresenta infatti la perfezione, che si ottiene attraverso la complementarietà di tre elementi: la

misura, il numero e il peso. La misura è rappresentata dall’arpa o dal salterio6, strumento che

nell’iconografia compare sempre a caratterizzare Davide Salmista, le cui corde presentano

lunghezze diverse, mentre il numero si ha nelle canne dell’organo7 e nella voce umana. Infine il

peso appartiene ai cymbala: coppia di piattini di piccole dimensioni di bronzo o rame, di diverse

dimensioni e spessore, che per il loro suono acuto erano raffigurati per esprimere un’atmosfera

giubilante. Dato che venivano percossi l’uno contro l’altro, dai padri della Chiesa i piatti sono

spesso paragonati alle labbra che si schiudono nel canto o nella preghiera; questo spiega perché

venivano usati nelle cerimonie religiose.

Queste tre categorie di strumenti possono leggersi a loro volta come altrettanti emblemi della

musica mondana, umana e strumentale di cui abbiamo già parlato.

La figura n° 2 è particolarmente istruttiva proprio perchè raffigura le tre sottocategorie di strumenti.

Al centro campeggia la Musica che suona il cosiddetto organo portativo. Chiamato così perché

veniva trasportato durante le processioni grazie a una carrucola, esso possedeva un numero variabile

di canne in legno, piombo o stagno, all’interno delle quali passava l’aria mediante un tirante. La sua

sonorità flebile ne faceva lo strumento più adatto ad accompagnare le funzioni religiose, per

intonare il canto gregoriano, e infatti nel Purgatorio dantesco lo troviamo per sostenere i cori

angelici.

In alto, dentro al medaglione, troviamo re Davide con il salterio. La tradizione vedeva nel re biblico

il poeta-musico, in grado di placare le ire di Saul con la sua musica, con la stessa funzione

esorcistica esercitata nella cultura pagana da Orfeo. Il salterio, di origine araba, giunto in Occidente

in seguito alla penetrazione islamica, aveva una forma a trapezio. Possedeva delle corde di budello

di diversa lunghezza che venivano pizzicate, ma ne esisteva anche un esemplare con corde

metalliche percosse. La figura in alto a destra invece suona il liuto, strumento di origine araba, a

doghe, con fondo bombato e quella a sinistra una viella, strumento con una piccola cassa di

risonanza, a fondo piatto, che aveva una sonorità moderata. La piccola figura al centro, a sinistra,

impugna un tamburo, mentre le due donne in basso a destra suonano due lunghe trombe diritte.

Esse in età medievale erano lunghe all’incirca 150 cm, composte da più sezioni giuntate tra loro,

venivano sorrette dal basso con una mano. Trovavano applicazione soprattutto nella musica di

corte, per accompagnare le danze insieme ad altri strumenti a fiato. Le due figure in basso a sinistra

6 Vedi Figura n°27 Vedi Figura n° 2

29

suonano una la cornamusa, dotata di una piccola sacca e di una canna melodica, e l’altra una

bombarda, strumento ad ancia doppia, adatto per le esecuzioni all’aperto grazie alla sonorità alta.

Infine l’uomo in basso al centro suona i naccheroni, piccoli timpani d’origine islamica.

Figura 2: Miniatura di un manoscritto riportante i trattati di Boezio, Isidoro da Siviglia e un anonimo.Napoli, Biblioteca Nazionale, Corte angioina, XIV sec.

30

Se passiamo in rassegna la Divina Commedia, vediamo che anche Dante cita gli strumenti a

seconda delle loro implicazioni simboliche. Infatti nell’Inferno troviamo strumenti di guerra dal

terribile suono, quindi evocativi di una minaccia, come il corno o l’ apocalittica tromba8 o ancora

i tamburi:

E ‘l duca disse a me:<<Più non si desta

di qua dal suon de l’angelica tromba,

quando verrà la nimica podesta…

Inferno, VI, 94-96

Figura 3: Libro delle Pericopi di Enrico II, Monaco, Bayerische StaatsbibliothekAngeli con gli olifanti

8 Vedi Figura n°3

La tromba è lo strumento del giudizio universale

31

Nella figura n° 3, proprio come raccontano i versi danteschi, è raffigurata la scena del Giorno del

Giudizio, in cui, al suono delle trombe degli angeli (nell’iconografia medievale per molto tempo

regna la confusione, a livello iconografico, tra tromba e olifante), le anime, tornate alle loro tombe

per riprendere il proprio corpo, si presenteranno al giudizio di Cristo per ricevere la sentenza eterna.

Nel Purgatorio, come sottofondo dei cori liturgici, troviamo invece l’organo9 (strumento polivoco,

cioè capace di generare più voci melodiche contemporaneamente, quindi un corrispettivo del coro a

più voci).

E “Te deum laudamus” mi parea

udire in voce mista al dolce suono.

Tale immagine a punto mi rendea

ciò ch’io udiva, qual prender si suole

quando a cantar con organi si stea;

ch’or sì or no s’intendon le parole.

Purgatorio IX, 140-145

Figura 4: Lorenzo Monaco, Angelo musicante, London, National Gallery, 1415 ca.Angelo con organo

9 Vedi Figura n° 4

Dante ode il Te deum, inno di lode alla Trinità, accompagnato dal suono dell’organo

32

Ovviamente non è possibile in questa UD affrontare nel dettaglio anche la presenza della musica nel

Paradiso, ma è necessario, seppure sinteticamente, fare alcuni riferimenti alla terza cantica. Il

Paradiso è il regno di Dio, che si manifesta a Dante pellegrino visivamente come luce e

sonoramente come musica. Le melodie del Paradiso sono ben diverse dal canto di Casella: è una

musica corale, angelica, che preannuncia la perfezione divina. Significativamente, la terza Cantica

si apre con un riferimento musicale di ascendenza mitologica, come d’altra parte era successo anche

nel Purgatorio: alla contesa vocale tra Psiche e Calliope si sostituisce ora quella strumentale tra

Apollo e Marsia:

Entra nel petto mio, e spira tue

sì come quando Marsïa traesti

de la vagina de le membra sue.

(Par. I, 19-21)

Il certamen tra Apollo e Marsia rappresentava, nell’antica Grecia, l’antinomia presente nella musica

tra una componente apollinea, sinonimo di euritmia, simmetria, decoro formale, e una componente

dionisiaca, che è sfrenatezza e istintualità. Apollo, che suona la lyra, è il simbolo appunto

dell’elemento apollineo, ossia rasserenante ed equilibrato, mentre Marsia, accompagnato dall’aulos,

antenato del flauto, è il satiro che rappresenta l’istinto, la sfrenatezza, l’irregolarità, la sensualità.

Tale leggenda, tra l’altro, sottende anche il conflitto plurisecolare tra i nobili strumenti cordofoni e i

lascivi aerofoni. Per i poeti greci l’aulos, suonato durante le feste orgiastiche, era simbolo dell’eros

e degli impulsi primigeni, quindi possedeva una connotazione morale dubbia, contrapposta al

carattere etico della lyra. Quest’ultima, tra l’altro, è lo strumento con cui il mitico cantore Orfeo

riesce a sconfiggere la morte e a riportare in vita l’amata Euridice.

Sulla scia di questo incipit, dunque, nel Paradiso compaiono strumenti dal timbro celestiale,

angelico come la lira10 (lo strumento che diede l’annuncio a Maria), la giga o l’arpa11:

Qualunque melodia più dolce suona

qua giù e più a sé l'anima tira,

parrebbe nube che squarciata tona,

comparata al sonar di quella lira

onde si coronava il bel zaffiro

del quale il ciel più chiaro s'inzaffira.

Paradiso. XXIII, 97-102.

10 Vedi Figura n° 511 Vedi Figura n° 6

33

E come giga e arpa, in tempra tesa

di molte corde, fa dolce tintinno

a tal da cui la nota non è intesa,

così da' lumi che lì m'apparinno

s'accogliea per la croce una melode

che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,

però ch'a me venìa «Resurgi» e «Vinci»

come a colui che non intende e ode.

Ïo m'innamorava tanto quinci,

che 'nfino a lì non fu alcuna cosa

che mi legasse con sì dolci vinci.

Paradiso . XIV, 118-129

Nella figura n° 5 è raffigurata la lira da braccio. E’ interessante notare una convergenza tra la

pittura e la poesia dantesca: così come secondo Dante la lira è uno strumento paradisiaco, molti

pittori ne fanno lo strumento degli angeli o addirittura, come avviene in questo dipinto del 1500,

della Madonna. Questo strumento, che sarebbe derivato direttamente dalla lira classica di Orfeo,

nell’età rinascimentale diventerà lo strumento prediletto dai circoli umanistici, tanto è vero che nella

pittura comparirà, oltre che nei soggetti religiosi, anche nelle rappresentazioni allegoriche della

Poesia, della Musica, dell’Armonia e delle Arti Liberali.

Notare come questa musica sia ineffabile, non comprensibile per l’intelletto umano

La musica paradisiaca rapisce la mente umana.Il suo effetto però è positivo: Dante infatti non si concentra in sé, al contrario si estranea da sé nella contemplazione divina

34

Figura 5: Bartolomeo Montagna, particolare da Madonna e santi, Milano, Pinacoteca di Brera

Infine, un altro strumento tipico del Paradiso, e spesso raffigurato come attributo di angeli

musicanti, è l’arpa. Come si vede nella figura n° 6, l’arpa, di origine celtica, ha una colonna e una

mensola arcuata e un numero variabile di corde. Se nel Trecento essa è diventata lo strumento tipico

degli angeli, come dimostrano i versi danteschi, all’inizio rappresentava la musica “secolare” in

contrapposizione all’organo, simbolo della musica “ecclesiastica”. Le prime attestazioni letterarie

risalgono al Tristan di Gottfried di Strasburgo (XII sec.), che fa del protagonista Tristano il più

celebrato arpista del suo tempo. I riferimenti che troviamo nella storia di Tristano sono preziosi per

le informazioni particolarmente dettagliate che ci danno sullo strumento, e per i riferimenti

all’Irlanda, terra che dell’arpa ha fatto il proprio simbolo e ne è stata la culla di sviluppo e

diffusione in tutto l’occidente medievale. Proprio in Irlanda, infatti, troviamo le prime

testimonianze iconografiche dello strumento, rappresentato già dal IX secolo nelle croci di pietra

35

che delimitavano le strade. Dall’Irlanda, attraverso l’Inghilterra, l’arpa si è diffusa oltremanica in

Francia e da lì in Spagna, in Germania in Italia e in tutta Europa.

Per tutto il Medioevo l’arpa è riconosciuta, alla pari con la viella e spesso ad essa associata in una

sorta di coppia ideale, come strumento idoneo all’accompagnamento nella narrazione della Chanson

de geste. Il suo timbro, definito in alcuni trattati del XIII secolo “ipnotico”, ne ha ispirato, durante il

Medioevo, una peculiare affinità col soprannaturale, tanto che le venivano attribuiti poteri magici,

come nel “Roman de Thebes” in cui l’arpista Amphyone, con la sola magia dei suoni, innalza i

bastioni intorno alla città. Dalla magia al diavolo il passo è breve e nel XIV secolo Robert

Grosseteste, vescovo di Lincoln, nel “Manuel de peches”, suggerisce l’uso dell’arpa nelle pratiche

di esorcismo; Geoffrey Chaucer, al contrario, conferisce allo strumento una particolare predilezione

da parte del Maligno.

A dispetto di questi demoniaci riferimenti, è però il paradiso il luogo d’elezione dei celestiali suoni

e Dante, nel XIV canto del Paradiso precedentemente citato, ne dà una dimostrazione.

Figura 6: Giovanni di Paolo, Angelo musicante (con l’arpa gotica), New York, Metropolitan Museum, XV sec.

36

Questo breve excursus iconografico meriterebbe di essere approfondito proiettandoci in età

Rinascimentale, in cui, abbandonato il campo della fede, gli stessi strumenti che in età medievale

accompagnavano i cori angelici per esprimere la musica mondana, incarneranno in chiave

allegorica i valori del Tempo, dell’Amore e dell’Armonia (così l’attributo tipico della Fama è la

tromba, mentre il liuto, forse perché andava accordato, diventa emblema della capacità di

temperare, cioè di unire e mescolare elementi diversi trovando, per così dire, il giusto tono).

In conclusione ritengo indispensabile dedicare l’ultima mezz’ora di tempo all’ascolto di brevi

composizioni musicali dell’età medievale. Per cercare di rendere percettibile in modo concreto

quella che era la musica ai tempi di Dante, in modo da dare un fondamento pratico ai presupposti

teorici a cui si è fatto riferimento, ho selezionato dei madrigali12 di Francesco Landino13, uno dei

musicisti più importanti dell’ars nova italiana: Questa fanciull’Amor, Ecco la Primavera, Per

allegrezza.

Questo ascolto dovrebbe dimostrare agli allievi quale fosse il genere musicale più in voga al tempo

di Dante: una musica prevalentemente su testi di carattere amoroso, nata per allietare le “allegre

brigate”, come testimoniano anche i più significativi luoghi musicali dei novellieri14.

6° lezione: 2 ore (verifica sommativa)

Al termine dell’UD è prevista una prova semistrutturata, volta a verificare:

la conoscenza della struttura, della trama e del contenuto del canto II del Purgatorio

la capacità di comprensione del testo

la capacità di collocare il canto analizzato all’interno del poema dantesco

la capacità di analisi del testo

La prima parte della prova (domande 1-7) è volta a verificare le conoscenze, mentre la seconda

parte (domande 8-11) vuole valutare le competenze di analisi. Per trasparenza, vicino ad ogni

domanda è indicato il relativo punteggio, in modo che gli studenti sappiano rendersi conto del

livello minimo per la sufficienza. I punti sono stati distribuiti in modo graduale, a seconda della

12 Il madrigale è una breve composizione poetica, di carattere profano, da otto a quattordici versi per lo più endecasillabi, divisa in stanze di terzine rimate secondo schemi variabili, ma accomunati da una coda a rima baciata, e composta per essere musicata. Il madrigale veniva intonato da due voci: quella inferiore procedeva per note tenute, mentre quella superiore procedeva con ampli melismi.13 Il musicista fiorentino più famoso del Trecento è Francesco Landino, esperto suonatore d’organo, tanto da essere soprannominato, per la sua cecità, “il cieco degli organi”.14 Nel Decameron, ad esempio, l’allegra brigata dà alla musica una collocazione ben precisa nell’arco delle loro giornate: sia a mezzogiorno che alla sera, o prima di sedersi a mensa o appena levatisi da tavola, essi intonano canti ed eseguono danze. Allo stesso modo, nelle Novelle di Sercambi o ne Il paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardi da Prato, le esecuzioni musicali hanno la funzione di dilettare le giornate dei protagonisti.

37

difficoltà dei quesiti, per arrivare ad un totale di 15 punti, da convertire in decimi, su una scala da 2

a 10.

Volutamente, non è stato posto un limite di spazio per le risposte, in modo da stimolare i ragazzi a

scrivere il più possibile, viste le difficoltà d’espressione e di articolazione del discorso che spesso si

riscontrano in un istituto tecnico.

VERIFICA SOMMATIVA

1) Catone, il custode del Purgatorio, è un personaggio storico. Quando è vissuto? [punti 0,5]

2) Casella intona la canzone dantesca Amor che ne la mente mi ragiona. Da quale opera dantesca è tratta questa canzone e chi rappresenta la donna gentile a cui è dedicata? [punti 1]

3) Chi è Casella, il personaggio che Dante incontra ai vv. 76-84? Quale rapporto intercorre tra i due? [punti 1]

4) Perché, dopo aver tanto atteso, Casella ha potuto finalmente approdare alla spiaggia dell’Antipurgatorio? [punti 0,5]

5) Dante rappresenta la reazione delle anime al rimprovero di Catone con una similitudine. Quale? [punti 1]

6) Da dove proviene l’angelo nocchiero che traghetta le anime alla spiaggia dell’Antipurgatorio? [punti 1]

7) Le anime nel II Canto del Purgatorio intonano il salmo In exitu Israel de Aegypto. Che cosa significa questo salmo? [punti 1]

8) L’immagine del triplice tentativo dell’ abbraccio di Dante a Casella a quali precedenti letterari allude? [punti 2]

9) L’immagine dell’angelo richiama per analogia ed antitesi la presentazione di Caronte nel III Canto dell’Inferno (v. 82-111). Individua le analogie e le differenze tra i due personaggi [punti 2]

10)Confronta la dimensione corale del canto delle anime penitenti e la dimensione soggettiva del canto di Casella, indicando quali diverse valenze assumono i due diversi tipi di musica [punti 2]

11) Come risulta evidente dalla lettura del II canto del Purgatorio, alla Musica nel Medioevo veniva affidata una precisa valenza morale, riscontrabile già nel significato simbolico dei diversi strumenti. Facendo riferimento ai versi danteschi letti in classe, spiega il significato etico della musica nella Commedia, e più in generale nel sistema delle arti del Trecento [punti 3]

TOT = ……………… / 15

7° lezione: 1 ora (consegna e correzione della verifica sommativa)

38

FATTIBILITA’

Nel momento della progettazione di questo mio intervento erano molte le mie perplessità: la Divina

Commedia risulta per lo più ostica negli istituti tecnici, e in aggiunta, l’argomento da me prescelto

non nasconde implicazioni filosofiche, tematiche di cui gli studenti di un corso IGEA sono digiuni.

Più volte mi sono quindi chiesta se fosse il caso di modificare il mio percorso, di semplificarlo per

renderlo più abbordabile al contesto scolastico, rinunciando, se necessario, ai vari collegamenti

interdisciplinari, per evitare digressioni dall’ambito più strettamente letterario.

La mia scelta di proporre in un Istituto Tecnico un argomento “alto” e complesso, penso invece sia

vincente: molto spesso gli insegnanti, forse senza neanche accorgersene, hanno dei pregiudizi nei

confronti dei loro allievi, non li considerano capaci di affrontare determinati argomenti, ma così

facendo sono loro, gli insegnanti, i primi a rinunciare a condurre una “battaglia” che, magari non

sempre, potrebbe dare buoni risultati.

Nello specifico, associare la musica e l’iconografia alla lettura del testo dantesco, non vuole essere

un ulteriore appesantimento di un discorso già di per sé impegnativo, ma deve servire come una

sorta di “legenda” per poter rendere più concreto, udibile e visibile, una dottrina etica e teologica

che potrebbe risultare troppo astratta. Gli studenti di oggi imparano dietro la spinta di stimoli

visivi, sonori e tecnici, il loro apprendimento si basa sull’ambito percettivo- semantico (sensoriale e

visivo) ed emozionale e sul coinvolgimento “totale” della persona. Per questo risulta ostica la

comprensione della pagina scritta, che richiede invece capacità di astrazione e di sequenzialità

logica. La forma mentis dominante nei giovani è analogica, associativa, aggregativa piuttosto che

analitica e riflessiva; il gesto ha preso il posto della parola e la pagina scritta, troppo spesso, rischia

di rimanere muta. L’obiettivo della mia UD è proprio quello di dimostrare come i testi del canone (e

Dante lo è per eccellenza), risuonino di parole e, in questo caso, anche di musica, e come la pagina

scritta possa suggerire immagini e “visioni”.

Ovviamente realizzare un percorso del genere a scuola comporta non poche difficoltà: richiede un

contesto scolastico adeguato, una classe “curiosa”, che abbia voglia di mettersi in gioco e di

sperimentare strategie didattiche alternative. Inoltre l’insegnante che si accinge ad intraprendere un

discorso pluridisciplinare deve possedere conoscenze nei diversi ambiti che andrà a toccare e deve

cercare di rendere tali saperi specialistici il più possibili accessibili agli studenti che di tali

discipline sono digiuni. Al docente è quindi richiesta una certa capacità organizzativa: deve tener

sempre presente la priorità del proprio intervento didattico, che resta sempre e comunque di

carattere letterario, e a seconda della reazione degli studenti deve saper “aggiustare il tiro” strada

facendo, capendo quando è il caso di approfondire determinati aspetti e quando invece è il caso di

39

tornare su “binari” più tradizionali. Non mancano poi difficoltà più concrete: muovendosi al di fuori

della programmazione scolastica tradizionale, l’insegnante deve fornire alla classe tutti gli strumenti

necessari per seguire l’argomento, quindi deve preparare dispense, distribuire fotocopie, e

adoperare, se è il caso, l’attrezzatura audio e video.

In conclusione, tenendo conto che ritagliare ben 12 ore dalla programmazione annuale per

affrontare questo percorso comporta necessariamente di “tagliare” su altri argomenti, l’ideale

sarebbe poterlo proporre come approfondimento extracurricolare: allora ci sarebbe anche il tempo e

il modo per sviscerare ulteriormente il discorso. Ovviamente, sarebbe più semplice poter affrontare

un tale percorso in un Istituto in cui la musica è materia curricolare: in questo modo sarebbe

possibile collaborare con l’insegnante di educazione musicale, il quale potrebbe approfondire la

teoria musicale medievale e gli ascolti, senza “gravare” troppo sul bilancio delle ore della letteratura

italiana