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Parrocchia Angeli Custodi Milano 50° Anniversario di Fondazione LA NOSTRA STORIA

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Parrocchia Angeli Custodi ‐ Milano  

50° Anniversario di Fondazione 

LA NOSTRA STORIA 

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PIANO DELL’OPERA 

 

LA NOSTRA STORIA 

I SACERDOTI 

VOCAZIONI 

LA MUSICA DEL MAESTRO 

IL VESCOVO TRA NOI 

I PARROCI DALLA NASCITA AD OGGI 

ORATORIO: CASA CHE ACCOGLIE E SCUOLA DI VITA 

LA PARROCCHIA, LA CHIESA, IL MONDO 

50 ANNI DI CATECHESI FRA GLI ANGELI CUSTODI 

DOVE DUE O TRE SONO RIUNITI…  

 

 

 

 

 

 

 

In copertina acquarello di Giulia Traverso - 2006

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LA NOSTRA STORIA (1962-2012)

Ventidue chiese.

Si fa presto a dirlo. Una cifra, ristretta appena un paio di decine e poco più. Non occorrono grossi tomi per stenderne una documentazione. Che cosa sono per una città ventidue chiese?

Quanto può costare una chiesa? Chiediamo a dieci persone per la strada, ne avremo risposte differenti, che testimoniano quanto si può essere lontani dalla realtà semplicemente perché il problema non è chiaramente sentito.

Qualche decina di milioni, si pensa che bastino. I progetti, i terreni, le opere parrocchiali. Allora diventa facile commisurare lo sforzo. Acquistano dimensioni reali le frasi più consuete; disegni e imprese dal sapore quasi temerario, fatiche e impegni faticosi, difficili, spesso ingrati.

Dove prendere i soldi, reperire le aree, trovare bravi architetti, dare misure e canoni per un’arte sana, attuale, coerente al compito specifico?

Occorre fiducia, una fiducia immensa come è la provvidenza: quali gesti generosi, quali miracoli impensabili essa produce, suscita?

Ed eccole, le ventidue chiese. Cifre di miliardi: anche a Milano non sono all’ordine del giorno. Tuttavia -a Milano- divengono possibili. A Milano anche ventidue chiese nel giro di pochi anni diventano una realtà.

Il merito va fatto risalire, indubbiamente, all’allora Cardinale Giovanni Battista Montini, l’artefice -se così possiamo dire- del boom delle chiese a Milano.

Si trattava -alla fine del 1961- di osare uno sforzo eccezionale, intensificando a tal punto la provvista e il programma edilizio di chiese così da raggiungere, nel giro di pochi anni, il traguardo di ventidue chiese.

Esse avrebbero ricordato ai posteri non soltanto la nomenclatura idiomatica di altrettanti Concili Ecumenici, ventidue appunto come son trascritti nella storia; ma anche la particolare accoglienza che Milano seppe riservare allo spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II, indetto da Papa Giovanni.

Iniziativa solitaria, non solo in Italia, ma nel mondo. Opportuna senza dubbio: basta dare un’occhiata alle mappe pastorali della periferia milanese, ai vuoti da colmare, allo spirito di carità genuina che ne fu il più autentico sottofondo.

Oggi esse sono una realtà consolante per il valore religioso, pregevole per il capitale artistico, preziosa per le cifre, in denaro, impiegate.

Cantieri smobilitati, resistenze vinte, divergenze appianate, permessi finalmente accordati, mutui estinti gente che entra, sosta e se ne va. Che puntualmente ritorna, torna alla casa di Dio nelle ore qualsiasi d’ogni domenica, in quelle solenni -grigie, tristi, o gaie- della vita.

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Merito della provvidenza, che ha visto, compreso, prevenuto a volte; ha aiutato, assistito sempre. Benedicendo i buoni, i generosi: troppi per citarne il nome, come sarebbe doveroso, per inserirli nell’albo d’oro di ogni chiesa del Concilio.

Così le ventidue chiese sono sorte.

Facciate, interni, dimensioni, decorazioni, soluzioni volumetriche, espedienti tecnici, ricerca di un’atmosfera realmente sacrale.

Belle chiese, in definitiva, proprie del nostro tempo, del costume e della mentalità odierna. Chiese progettate ed iniziate negli anni in cui Papa Giovanni XXIII indisse la Grande Assise (1959), che hanno anticipato il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Ne sono testimonianza le stesse nuove strutture architettoniche e gli altari maggiori ad unica mensa rivolti verso l’assemblea dei fedeli, con il tabernacolo al centro oppure separato dalla mensa sacrificale e collocato nell’ambito spaziale del presbiterio.

Le ventidue chiese sono un documento vivo, stanno lì ad aspettare, ospiti graditi, anche noi.

Anche noi degli ANGELI CUSTODI.

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DAL DIARIO DELLA PARROCCHIA

4 gennaio 1962 <In via Colletta n. 21 c’è uno stabilimento in demolizione: 3500 metri quadrati. Stiamo per ultimare l’acquisto. Accetta di trasformarlo in un centro parrocchiale?>.

<Se è la volontà di Dio sì Eminenza!>

25 gennaio La ditta consegna le chiavi.

Entro: sono con Mons. Milani del comitato Nuove Chiese e con il Comm. Ercole Carini, insigne benefattore della ancora non nata parrocchia. Assomigliamo a Giuseppe e Maria che cercano il posto dove far nascere Gesù….

11 febbraio Domenica.

La prima messa della parrocchia dei SS. Angeli Custodi… Gesù è nato.

Il piccolo locale che lo ospita, per la devozione e l’emozione dei presenti, compete con la grotta di Betlemme.

Il seme è gettato!

18 febbraio Gesù trasloca in un capannone venti per dieci.

Muratori, imbianchini, elettricisti, falegnami l’hanno trasformato a tempo di record in una cappella a regola d’arte; con altare, sagrestia, panche e confessionali. Non manca neppure il riscaldamento!.

In poche settimane i fedeli aumentano a millecinquecento e le messe alla domenica diventano sei. Ogni sera un centinaio di persone si raduna a pregare. Come pregano bene: vogliono con la preghiera sviluppare il seme!.

Nella cappella troneggia una statua di Maria Addolorata. L’hanno portata le brave suore Mantellate che dirigono in via Vasari un vasto complesso di scuole e, di domenica un ben avviato Oratorio femminile.

5 marzo Sua Eminenza, il Cardinale Arcivescovo erige ufficialmente la Parrocchia e ne determina i confini: viale Umbria, via Sigieri, Vasari e Corio, corso Lodi.

Siamo in diecimila anime: a chi non tremerebbero le vene e i polsi? Si chiama aiuto; ci si raduna; nascono e cominciano ad agire i primi gruppi: Azione Cattolica, Stampa e San Vincenzo.

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Di propria iniziativa, i giovani compiono autentiche meraviglie. Sorgono le ACLI, le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani: il cattolico deve volere il lavoro anche in funzione della propria santificazione e della elevazione degli altri.

19 marzo Il primo funerale; 25 aprile il primo battesimo; 28 aprile il primo matrimonio.

1 Aprile Sulla piccola cappellina si aprono i cieli: Sua Eccellenza Mons. Oldani fa discendere su trenta innocenti lo Spirito Santo col sacramento della Cresima.

Aprile Pasqua.

Si salvi chi può con un prete solo!

Don Basilio ha capito al volo: per prestare con continuità la sua preziosa opera, d’ora in poi, fisserà in canonica la sua residenza. In compenso lui, l’amico degli ammalati è regalato da Dio da una seconda giovinezza!

Aprile Inatteso e splendido dono della provvidenza: Sua Eminenza Card. Montini viene a Comunicare i piccoli del pane degli Angeli.

All’indomani scriverà: <Ringrazio della bella e devota accoglienza riservatami in questa nuova parrocchia per la prima Santa Comunione. Sono rimasto edificato e commosso>.

Maggio La gente ogni sera fa ressa attorno all’altare di Maria e la cappella non può più contenerla tutta. Per fortuna al primo piano c’è un capannone trentacinque per dieci che, rattoppato, pulito ed agghindato sembra una… cattedrale. Gli han perfino costruito uno scalone d’ingresso e l’hanno dotato d’un battistero ultimo grido. La gente è subito contenta.

Son sempre contenti gli Angeli Custodi!

Maggio Una suggestiva processione aux flambeaux accompagna la statua della Madonna per i capannoni. È l’addio ufficiale della Parrocchia al vecchio stabilimento.

Mons. Milani difficilmente -ha detto- dimenticherà quella sera e quella folla!

Giugno Don Peppino nominato Parroco in data 29 maggio, prende ufficialmente possesso della parrocchia. All’intima cerimonia sono presenti i suoi due

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fratelli sacerdoti don Carlo e don Ezio e i sigg. prevosti di Sant’Andrea, S. Martino e Silvestro, S. Pio V; le tre parrocchie che hanno ceduto parte del loro vasto territorio.

Luglio Due più fa… finalmente! Ne sono contenti soprattutto i ragazzi che in don Egidio trovano il loro maestro e il loro amico.

Quanto bisogno ha la gioventù di un prete giovane, convinto e dinamico!

Ottobre Festa degli Angeli Custodi.

La chiesina s’è vestita a festa. Oggi infatti ricordiamo gli Spiriti che il Creatore ha voluto al nostro fianco per illuminare, custodire, reggere il nostro cammino verso la salvezza. Per meglio propiziarceli abbiamo composto una < preghiera agli Angeli Custodi> che l’Arcivescovo ha approvata e indulgenziata.

Nel pomeriggio tante mamme hanno portato agli Angeli i loro angioletti; per tutti una benedizione, il rinnovo delle promesse battesimali e una medaglietta.

Novembre La consulta parrocchiale formata dai presidenti dei quattro rami di Azione Cattolica, delle conferenze S. Vincenzo, della stampa cattolica, delle missioni, degli oratori, delle ACLI, ha deciso, per oggi, e per tutte le domeniche del mese, una raccolta straordinaria di fondi per erigere le opere parrocchiali.

A lavori ultimati ognuno possa dire: nella casa della nostra salvezza ci sono pietre che ho donato io, con sacrificio e con gioia.

Dicembre Natale di Gesù.

In chiesa si moltiplicano le presenze, a mezzanotte soprattutto. Nel Natale della Messa continua a nascere Uno che non è venuto a lasciare le cose come prima… chissà dunque se per effetto di questo affollarsi attorno all’altare, il clima diventerà più cristiano; in famiglia, nello stato, sul lavoro, a scuola, nel divertimento, nelle relazioni private e sociali! Per questo abbiamo portato la benedizione di Dio casa per casa. Ci fossero più sacramenti, più preghiera, più riflessione, più impegno…

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IL PROGETTO DELLA CHIESA SS ANGELI CUSTODI

Uno dei riferimenti fondamentali nella storia dell’architettura moderna è stata la costruzione a Ronchamp, negli alti Vosgi, della chiesa dedicata alla Madonna, su progetto del più famoso e discusso architetto moderno: Le Corbusier.

Quell’edificio, posto in cima a un monte aperto ai quattro venti, mete di un pellegrinaggio ininterrotto di fedeli, oltre a costituire un fatto di grande valore nella storia dell’arte, ha avuto la funzione di dimostrare la capacità dell’architettura moderna di creare spazi e ambienti sacri dove ci si possa raccogliere e pregare come nei santuari.

Dal giorno in cui a Ronchamp la chiesa di Notre Dame du Haut è stata consacrata non vi fu più dubbio: anche noi, anche la nostra civiltà materialista e dissacrata, era ancora capace, ricominciava a sentire la necessità di edificare la chiesa; anche la nostra architettura dunque, riusciva ancora ad esprimere e a tradurre in spazi il profondo dramma religioso del mondo contemporaneo.

Questa premessa serve a chiarire come ci siamo accostati al tema che la Provvidenza ci aveva sottoposto.

Quando ci fu chiesto il progetto per la Chiesa dei SS. Angeli Custodi (e ringraziamo chi ebbe tanta fiducia in noi) la questione martellante, drammatica che sovrastava il nostro lavoro era questa: immaginare uno spazio dove ogni attimo della giornata si potesse realizzare l’incontro con il Cristo, uno spazio degno, sensibile, adatto, fatto per quest’incontro.

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Nell’esercizio della professione, nel quotidiano rapporto con i temi più disparati legati all’edilizia corrente o a particolari esigenze di carattere tecnico o funzionale, un problema e un desiderio era il più lontano e il più sognato: realizzare una chiesa.

In esso vedevamo riassunto tutto quello che potevamo dire come architetti e come uomini, in esso sentivamo la possibilità di esprimere la parte più importante di noi; per esso avremmo rischiato tutta la nostra storia di uomini e di architetti.

Come l’abbiamo immaginata?

Essenzialmente come un ambiente articolato che, con il suo interno ed esterno e con il progressivo modellarsi delle sue dimensioni e delle sue luci, accompagni l’uomo davanti alla Croce.

Entrare in chiesa infatti, dopo aver attraversato il breve sagrato e salita la scala, sarà un progressivo scoprire lo spazio che ci circonda: esso è basso e bloccato all’ingresso per alzarsi in un volume luminoso da superare prima di arrivare davanti a quell’altare che è fuoco, baricentro, perno della composizione dell’edificio.

L’altare è centrale: tutt’intorno i fedeli celebreranno con il sacerdote il Sacrificio.

Sull’altare cadrà tutta la luce del cielo in modo che all’interno esso sia anche fondamentale fonte di luce.

La luce sarà uno dei principali elementi nella resa dell’ambiente che abbiamo immaginato.

L’altare, come abbiamo detto, sarà il luogo luminoso per eccellenza ma varie saranno le fonti luminose: le alte vetrate sugli spigoli dei volumi alti e del basso portico che li circonda e la luminosità riflessa che toglierà peso in alto alle coperture, rendendo il senso proprio della “copertura”.

Queste penetrazioni della luce e le sue direzioni dovrebbero rendere uno spazio levitante, non chiuso, non opaco, modellato da alti setti di muro ma legato all’esterno all’atmosfera, al cielo che lo coinvolgerà.

All’esterno la forma dell’edificio è proprio la forma di questo spazio che verrà delimitato dal rosso delle pareti di mattone e dal vigore delle strutture cementizie.

Sogni? E sarà cristiano questo spazio sognato?

Chiediamo la preghiera di tutti perché il miracolo si compia e questa immagine che noi abbiamo della nostra chiesa sia veramente quella che tutti insieme scopriremo il giorno della sua consacrazione, quando essa diventerà finalmente la casa di Dio e di quegli uomini che vogliono incontrarsi con Lui.

Architetti

Carlo Bassi e Goffredo Boschetti

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(tratto dall’informatore parrocchiale aprile 1964)

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IL NOSTRO BATTISTERO

Intervista con Padre Costantino Ruggeri, noto artista in campo sacro

Corre voce che a Pasqua gli architetti Bassi, Boschetti e lei, Padre, in qualità di artista, ci consegnerete ultimato il Battistero. Ce ne può dare conferma?

Penso che davvero il termine dei lavori e l’uso del nuovo battistero coincideranno con la data della benedizione solenne del Fonte battesimale, ossia con la notte di Pasqua.

Vuol descriverci il nuovo Battistero?

Anzitutto è all’esterno della chiesa. Il Battesimo è la “porta” che ci introduce nella Chiesa e il sacramento che abilita il cristiano a partecipare all’Eucaristia. Per arrivare all’acqua del fonte si dovrà scendere qualche gradino. Il Battesimo è presentato, infatti, dalla Santa Scrittura come un “discendere nella morte di Cristo” onde risorgere con Lui a nuova vita.

A filo di terra uno specchio di qualche metro quadrato di acqua che gocciola da un sasso. L’acqua viva è infatti l’elemento caratteristico del Battesimo

Tutto attorno le pareti dovrebbero filtrare, attraverso qualche cristallo colorato, una luce tenue, speriamo un po’ mistica, che apra l’animo al sacro.

Perché, Padre, ha concepito così il nostro Battistero?

Nell’arte sacra bisogna dare al segno verità e trasparenza. Nella Chiesa non voglio tanti segni: pochi, gli indispensabili. Il primo che amo trovare è il fonte battesimale. La liturgia Pasquale non parla mai di vasca battesimale, ma sempre di “sorgente viva, acqua rigenerante, onda salutare, bagno purificante“. Trasformare la sorgente viva in recipiente di acqua stagnante è togliere al segno la sua trasparenza, la sua forza espressiva, rendendolo equivoco e indecifrabile. Nella chiesa amerei scendere alla fonte, al Giordano, dove un giorno, lontano ormai, sono nato a vita eterna. E lì, trovarci veramente l’incanto della sorgente viva con freschezza, luci e suoni d’acque correnti. Penso che l’uomo oggi non solo accetti, ma anche valori così vivi, spontanei e umani.

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Perché uno specchio che gocciola?

A mio giudizio, più che l’antica iconografia Battesimale (Battesimo di Gesù, Arca di Noè, Ebrei che attraversano il Mar Rosso, cervo che si abbevera al fonte, il candido gregge, figura dei rinati, la potente mano di Dio che guarisce e resuscita i morti, San Giovanni che battezza Gesù) è la forza, la poesia dell’acqua purificatrice da mettere in evidenza. Così, anche la suppellettile della liturgia battesimale (la veste candida, il sole, l’olio, il cero, ecc..) dovrebbero avere il loro risalto.

(tratto dall’informatore parrocchiale gennaio 1968)

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A PROPOSITO DEL CORTILE DELL’ORATORIO

Buona parte del complesso parrocchiale è ultimata. Non ancora l’oratorio dei ragazzi, che ha in dotazione sale da riunioni, palestra e portico, ma manca ancora del cortile. A proposito del quale sarà utile qualche precisazione.

Perché il cortile è piccolo?

Purtroppo perché in un appezzamento di 70 metri per 50 abbiamo dovuto sistemare tutto: chiesa, sagrato (e molto si è lottato con le commissioni edilizie per ridurre al minimo questo spazio), oratorio, varie sale per riunioni parrocchiali e canonica (il terzo piano fu richiesto dalla commissione edilizia per ragioni architettoniche: noi vi abbiamo ricavato quattro appartamenti il cui ricavo d’affitto serve a coprire alcune spese generali: l’ultima spesa capitataci in questi giorni è l’“imposta comunale sul materiale da costruzione” ammontante a ben quattro milioni e mezzo!).

Perché il cortile, pur così piccolo, non è ancora sistemato ?

Una premessa: al fine di ricavare un portico per giochi al coperto a specialmente per riportare il vasto sotto chiesa filo terra, si è pensato di abbassare il cortile a quota meno 3,5 metri.

Di conseguenza, tutte le costruzioni limitrofe dovevano essere sottomurate fino a quota meno 3,5 metri con un preventivo di spesa di una decina di milioni: soldi sciupati perché spesi su case in procinto di smantellamento.

Un primo periodo di attesa ci ha permesso di evitare la grossa cifra della sottomurazione a est, perché la ditta Gentile, avendo demolito il suo vecchio ambiente, vi ha sostituito un muro sul nostro confine.

In seguito stavamo per mettere mano alla sottomurazione nord (catapecchie che a toccarle ti crollano addosso!), quando il consiglio di parrocchia volle tentare con i proprietari Sartorio, non potendo pensare a un acquisto che richiedeva 200 milioni, la permuta di qualche centinaio di metri da aggiungere al cortile, con la cessione di altrettanta cubatura non usufruita dalla nostra costruzione.

Le trattative durarono a lungo ma purtroppo non riuscirono a nulla, colpa anche di una legge urbanistica, uscita nel frattempo, che diminuiva nella nostra zona la cubatura edificabile.

Comunque il tratto a nord del cortile non sarebbe ancora prudente sottomurarlo, perché si può ancora sperare di trattare qualcosa nel futuro (chissà che un benefattore di eccezione non salti fuori ad acquistarla e a regalarcela tutta la proprietà di via Muratori 28: allora sì che i ragazzi avrebbero il loro bel campo da gioco!).

L’anno scorso, vicini a far scendere ruspe e carri per lo sterramento del cortile e per la sottomurazione del lato ovest ci venne all’orecchio che 23 metri lineari di proprietà Petrella, sarebbero stati demoliti di lì a poco, risparmiandoci la costosa sottomurazione. Abbiamo atteso. I

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fatti ci hanno dato ragione. Entro la fine di agosto l’Ing. Petrella, avendo già demolito, costruirà il divisorio e noi, attraverso uno scivolo si potrà scendere con i macchinari e sottomurare i restanti 12 metri lato ovest, appartenenti a un’altra proprietà, e finalmente spianare il cortile così necessario per la ricreazione dei ragazzi. Lavoro che a noi richiederà ancora diversi milioni di spesa e speriamo vengano coperti dalla generosità delle famiglie cui sta a cuore questa opera a favore dei ragazzi.

Fra tre o quattro mesi sarà tutto ultimato?

Sì, secondo le previsioni umane.

Se non che, nelle sottomurazioni non si può mai prevedere tutto. Ad esempio, sottomurando il garage Nelli, la ditta incaricata dai Putrella, è malauguratamente incappata in un rilevante crollo di casa, per fortuna senza vittime. E così i lavori, che ai ragazzi giustamente sembrano andare a rilento, ritarderanno di qualche settimana ancora.

Perché tutta questa chiacchierata?

Non per pubblicare i tanti mali di testa che l’impresa cortile è costata ai responsabili, ma perché i ragazzi sappiano che si è fatto tutto il possibile, e ben volentieri, per dare uno spazio così indispensabile alla loro simpatica esuberanza.

(tratto dall’informatore parrocchiale luglio 1969)

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IL NUOVO TABERNACOLO

All’offertorio della Messa natalizia di mezzanotte, il Parroco ha benedetto il nuovo Tabernacolo e dopo la comunione vi ha deposto l’Eucaristia.

Per la realizzazione dell’opera i nostri architetti Bassi e Boschetti si sono avvalsi di P. Costantino Ruggeri, il noto frate artista che nella nostra chiesa ha già firmato la vetrata di sfondo, il grande portale d’ingresso e il Battistero.

Il nuovo Tabernacolo, in un riquadro di pietra Vicenza (lo stesso materiale della mensa e del pulpito), ha inserita una cornice di bronzo argentato che richiama il motivo del portale con in centro una cassaforte di ottone dorato la cui porticina di cristallo infrangibile rende visibile il cestello (di metallo e vimini) che contiene il pane consacrato.

Esperti, competenti e popolo semplice l’hanno giudicato un’opera pregevole.

Le espressioni ricorrenti sulla bocca dei numerosi visitatori sono, per lo più, le seguenti; “consono allo stile della chiesa, specialmente con i due elementi preesistenti”; “sobrio come conviene ad una architettura essenziale come la nostra”; “caldo, devoto e quindi invitante alla sosta e alla adorazione”.

Le numerose offerte che già pervengono lo stanno facendo ora diventare proprietà della comunità.

E la comunità che già lo usa per le adorazioni private, lo passa in consegna ai posteri, perché il Cristo, vivo in mezzo agli uomini, resti sempre il punto d’incontro per ogni generazione.

(tratto dall’informatore parrocchiale gennaio 1971)

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INAUGURATO IL NUOVO ORGANO

Con il primo dei tre concerti previsti, lunedì 7 maggio è stato inaugurato il nostro nuovo organo.

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todi.

Di fronte ad un pubblico attentissimo e numeroso (circa 700 persone) il maestro Francesco Catena ha saputo far apprezzare tutte le capacità sonore del bellissimo strumento, oltre naturalmente al suo non comune talento di esecutore.

Riportiamo qui il saluto che don Peppino ha rivolto ai presenti a nome di tutta la comunità.

“È dall’ormai lontano 11 febbraio 1962 che trovo continui motivi per ringraziare il Signore a nome di questa devo dire benedetta Chiesa degli Angeli Cus

Da periferia di quattro parrocchie che eravamo, diciassette anni or sono abbiamo incominciato ad essere un germe di comunità.

In seguito, pur con ritmi lenti a volte difettosi e incostanti siamo andati crescendo.

Per poter crescere di più, ci siamo costruiti con immane sacrificio, un centro Parrocchiale.

Ultima impresa in ordine di tempo l’installazione in questa nostra chiesa di un organo. L’ha voluto il nostro Consiglio Pastorale perché la nostra elevazione a Dio fosse aiutata anche da questa ancella della fede che è la musica.

Anche per questo strumento dunque, il mio grazie al Signore a nome di tutta la Comunità.

A proposito di questo organo, che non pochi competenti hanno definito un gioiello e che tra pochi istanti inaugureremo, devo esprimere riconoscenza anche ad alcune persone in particolare: a tanti appassionati e generosi impegnati e responsabili della nostra pastorale parrocchiale.

Un grazie a Mons. Luciano Migliavacca e al prof. Luigi Benedetti ai quali è stato richiesto consiglio sulle caratteristiche di questo organo.

Ai nostri architetti Bassi e Boschetti che ne hanno curato il lato estetico.

Soprattutto ringrazio la ditta Mascioni di Cuvio che l’ha progettato con competenza e amore e che, con questa 1022° opera e i nostri tre concerti intende celebrare il suo 150° anno di fondazione.

Non ultimi, i tre valenti maestri concertisti (Francesco Catena, Enzo Corti, Luigi Benedetti) che in tre serate ci aiuteranno, grazie al loro talento, ad apprezzare le caratteristiche sonore del nuovo organo.

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Né posso dimenticare quanti si sono limitati ad ammirare il lato estetico, artistico e funzionale, ma hanno saputo vedere anche il tanto prosaico ma reale e non lieve impegno finanziario.

Il loro ringraziamento anticipato va naturalmente anche a tutti coloro che vorranno allargare questa schiera di amici generosi.

E ora auguriamoci di saper gustare fino in fondo tanta bella musica, a lode del Signore!”

(tratto dall’informatore parrocchiale maggio 1979)

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NON SOLO UN SIMBOLO

Finalmente abbiamo eretto una croce!

Un simbolo che servirà a molto a qualificare il nostro Centro cristiano anche davanti al viandante più distratto, ma soprattutto ad invitare noi, e chi verrà dopo di noi, a mantenere la Croce negli occhi e nel cuore. Da quando Cristo l’accettò come strumento del suo totale donarsi, la Croce da simbolo di umiliazione e di sofferenza è diventata simbolo e strumento di glorificazione di Gesù e di quanti portano la loro Croce dietro di lui e per lui.

Per questo l’abbiamo voluta in evidenza proprio nel bel mezzo del nostro centro parrocchiale, per questo ancora abbiamo chiesto a quattro valenti esperti, l’arista frate Costantino Ruggeri e i tre architetti Bassi, Boschetti e Leoni, di realizzarcela nel modo più espressivo possibile: alta cinque metri, per inserirsi adeguatamente nella grande volumetria del centro.

Di materiale moderno, acciaio inox, per essere in sintonia con lo stile di tutte le costruzioni circostanti.

Svettante da un complesso di quattro grandi fioriere, per coinvolgere anche la natura nell’esaltazione della Croce.

Volutamente larga, molto larga di braccia, per essere visibile invito a lasciarci abbracciare dalla misericordia di quel Dio che, per amore, ci ha sacrificato e donato il Figlio.

Insieme a tanta altra gente, l’ha capita ed apprezzata il nostro Arcivescovo che, prima di benedirla la sera della festa Patronale, l’ha definita “una bella croce che sa parlare di resurrezione”

Ora, e specialmente quando l’avremo riscattata dai creditori che l’hanno realizzata la Croce è nostra.

Nostra anche e soprattutto per guardarla e farla diventare una “parola di Dio” che ad esempio troviamo scritta nella lettera pastorale dell’Arcivescovo: “Io ti attiro dalla mia croce dalla mia gloria. Lasciati attirare e plasmare da me!”.

Una parola che ci capiterà di sentire più calda e suadente quando passeremo accanto alla nostra Croce per entrare a contatto con quel roveto ardente che è il mistero dell’Eucarestia.

(tratto dall’informatore parrocchiale ottobre 1982)

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UNA GRANDE OPERA

Conosco padre Costantino Ruggeri, frate francescano e artista, da oltre vent’anni e mi è particolarmente gradito trovare le sue opere nella mia attuale parrocchia: quella degli Angeli Custodi, retta da don Peppino Orsini, appassionato e sensibile conoscitore dell’arte contemporanea.

Le vetrate che vi ha eseguito si dividono in tre cicli di lavoro: il primo, che interessa la zona absidale, propone l’opera del creatore.

Vi sono evidenti i simboli del sole, della terra, della natura vivente e di altre meraviglie; i colori sono forti e creano un’intensa atmosfera che tinge tutta la parte dietro all’altare di riflessi colorati che fanno pensare a fondali marini e ad ampi spazi celesti.

Dove però padre Costantini supera sé stesso è nel secondo e terzo ciclo di vetri che denotano una sempre maggiore libertà interpretativa ed una più ricca concezione spaziale. Vi sono infatti nelle vetrate che chiudono il quadrilatero sovrastante la navata centrale della chiesa, linee compositive che riescono a dare l’impressione di una dilatazione dello spazio ove le forme rigorose della chiesa si vanno a sfumare nella luce. I rigidi quadrati di mattoni e cemento si aprono sui lati e tendono a fare intravedere un più ampio spazio che, felicemente tracciato dall’artista, si espande lasciando intuire le grandezza dell’universo.

Il terzo ciclo, quello appena terminato, chiude e risolve tutto il racconto biblico che questa grande opera si prefiggeva.

Sulla parete destra della navata, possiamo vedere i simboli evocati dalla Genesi e dall’Apocalisse: il drago, il pane, il sangue, che rappresentano il male, la lotta fra la stirpe umana e quella del maligno, il sacrificio del figlio dell’uomo, la vittoria su satana, la redenzione.

Il racconto della redenzione viene continuato sulla vetrata di sinistra, ove una colomba, simbolo dello spirito, conduce l’umanità dalle tenebre alla luce della salvezza.

Queste due opere ultime le ritengo molto importanti dal punto di vista estetico, perché nate su degli spazi piuttosto infelici formati da una serie di finestrelle verticali intervallate da altrettante strisce in muratura che padre Costantino ha saputo sfruttare nella composizione in modo ampliativi e tale da aumentare la dinamicità e la spazialità dell’opera.

Queste opere volute da don Peppino dimostrano come un edificio, quale la nostra chiesa che indubbiamente è di buona fattura architettonica, con le nuove vetrate riesca ad acquistare una spiritualità pregnante che aiuta e predispone l’animo a capire il grande disegno di Dio creatore e redentore.

Voglio concludere affermando che padre Costantino, come i suoi maestri S. Francesco e Beato Angelico, ha saputo essere qualcosa di più di un buon artista, ha saputo imprimere all’opera una carica spirituale fortissima che fa vibrare tutta la chiesa e, attraverso le mutazioni della luce, sa evocare infinite sensazioni spirituali.

Giancarlo Marchese - Titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Brera

(tratto dall’informatore parrocchiale gennaio 1986)

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LODE E BELLEZZA

Con l’ultimo dei quattro blocchi i lavoro, l’opera iniziata vent’anni fa, finalmente, ha avuto il suo definitivo completamento.

Ora, con l’aggiunta della vetrata di fondo, la nostra bella chiesa è tutta racchiusa da stupendi e significativi vetri policromi.

L’insieme delle vetrate -autore l’affermato artista, padre Costantino Ruggeri dei frati minori di Pavia- voleva raggiungere tre scopi: artistico, pratico e religioso. Anzitutto c’era da offrire agli occhi, specialmente dei più giovani condizionati dalla scuola televisiva delle immagini, una grande festa di figure e di colori: una splendida tavolozza di luce che fosse in grado di allietare il luogo fin troppo austero dell’incontro con Dio e con i fratelli.

Un altro scopo si imponeva: quello di difendere l’ambiente dagli agenti esterni, primi fra tutti i rigori dell’inverno. Si è pensato perciò di installare dei serramenti atti a contenere, oltre al mosaico colorato, un vetro doppio all’interno e un cristallo antisfondamento all’esterno.

Grazie a Dio e anche a chi sta finanziando l’opera, già si può constatare il risultato di questa difesa dell’ambiente.

Terzo, ma certamente non ultimo scopo, era di tener presenti le vetrate delle antiche basiliche che, con raffigurazioni a forti tinte, offrivano al popolo credente un modo plastico di catechesi. Padre Costantino Ruggeri non si è dimenticato di questo. Con uno stile naturalmente consono ai nostri tempi ma pur sempre con la Bibbia in mano e l’intento di ricordare la storia della salvezza, ha tentato la stessa impresa e con risultati a dir poco eccellenti.

Fermiamoci ora a contemplare l’ultima fatica dell’artista, appunto la vetrata alle spalle dell’altare….

Con una grande croce, rossa come il sangue, posata su un grosso cerchio di colore ineffabile, il tutto immerso in larghe e lunghe falde di color terra, color mare e cielo, e due figure informali che puntano verso chi per amore ha scelto la croce e va riconosciuto e glorificato.

Ecco, con tutte queste forme e colori, l’artista ha inteso mettere in arte visiva il primo capitolo della lettera di San Paolo ai Colossesi dove viene rivelato che Dio tutto ha creato, il visibile e l’invisibile, per mezzo e in visita d Cristo, l’uomo perfetto che tutto ha voluto redimere e riconquistare per mezzo della sua morte in croce.

Quest’ultima ben si accorda dunque con le precedenti cinque grandi vetrate che da anni ormai sono negli occhi e nel cuore di tutti, e che tutti invitano a lodare Dio che ha creato i mondi e ha salvato l’uomo.

(tratto dall’informatore parrocchiale dicembre 1987)

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Vetrata di sinistra

 Vetrata alle spalle dell’altare

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LE VETRATE E OLTRE

Se entrando nella chiesa un elemento nuovo pone degli interrogativi, è certo occasione di riflessione. Se insieme agli interrogativi lascia un senso di appagamento, pur esigendo uno scavo che non si esaurisce ad un’occhiata, forse è arte. E l’arte può anche condurre alla soglia del mistero che intuisce ma non spiega.

Forse è anche per questo che le arti affondano spesso le loro radici nel sacro, nel religioso, non soltanto nella nostra tradizione cristiana.

Da quando si costruiscono edifici per il culto, credo si sia posta l’esigenza di decorarli, secondo i gusti delle epoche, ora per farli degni, o meno indegni, della presenza divina; ora per lasciare al fedele la soddisfazione di consacrare quanto più bello riesce a produrre con la fantasia e con i materiali preziosi; ora per far gustare al fedele, esperto della valle di lacrime, qualche goccia di paradiso; ora anche perché il fedele, nel tempo della sua permanenza nell’edificio di culto, riceva catechesi di immagini in successione.

E oggi? Troppe volte, anche in anni relativamente recenti, l’edilizia per il culto ha soltanto ricalcato forme espresse da altre generazioni: fino all’arte più recente che ha ripensato la forma e la decorazione di spazi per il culto. Certo: la luminosità, la funzionalità, la caduta delle barriere, e finalmente il colore.

Queste note, scontate forse, sono la premessa per cantare il colore delle vetrate nuove naturalmente.

Catturano con la prepotenza delle misure e l’aggressività dei colori l’attenzione, ma fissandovi lo sguardo più a lungo si coglie che i colori sono già tutti presenti nella chiesa -battistero, croce, altare, vetrata principale- e l’osservazione te le fa sentire singolarmente al proprio posto.

Il vetro rappresenta sempre un elemento a un tempo di apertura e di chiusura, un elemento significativo all’interno e all’esterno: così il colore lascia l’impressione che dall’interno, nel compimento fraterno dell’atto liturgico, l’esterno è presente, non è separato dal muro ma deve essere guardato con la luce del colore. E viceversa. La chiesa, dall’esterno, perde sia la tetraggine dell’oscurità, sia lo scolorimento amorfo del semplice bianco e, mantenendo le trasparenze invitanti, richiama alla festa o al conforto.

Ma se può non essere giusto dettagliare interpretazioni che banalizzerebbero, resta che il colore prende forma: non è né il caos iniziale, né il realismo di un racconto cui ormai il nostro tempo è troppo abituato.

Colgo forme in cui scorgere allusioni simboliche sia culturali -ostie, vasi- sia astronomiche -cieli, soli- sia scientifiche -oggetti geometrici-: forme comunque in cui il mistero non si definisce, ma obbliga a guardarlo e nell’indagine coinvolge.

Dunque un rinvio all’oltre nell’interno di te, in un inarrestabile approfondimento; nel mondo che c’è fuori che forse attende: sempre in una trasparenza festosa che, come il mistero, appaga prima di essere capito.

(tratto dall’informatore parrocchiale luglio 1984)

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UNA NUOVA GRAZIA

Quando, nell’anno 1962, concertavo con gli architetti Bassi e Boschetti il mio progetto della nostra chiesa, mi ricordo di aver insistito su questi pochi ma precisi canoni.

Anzitutto l’altare, con la mensa il pulpito e la sedia del presidente al centro dell’assemblea: le norme conciliari dell’altare rivolto al popolo, a quella data non erano ancora state emanate…

Poi l’aula della chiesa; lunga ma anche molto larga. Con questo si voleva dar modo anche ai soliti ritardatari che hanno bisogno più degli altri di capire e vivere il valore della liturgia, di non trovarsi estraniati, lontani dall’altare….

La possibilità per chi sarebbe entrato in chiesa di vedere, attraverso un vetro, l’acqua del Battistero. È grazie al battesimo che possiamo accedere alla mensa del Signore….

Il Tabernacolo: in bella evidenza e in sommo onore a lato dell’altare…

Dentro nella chiesa, ma ancora molto vicino all’ingresso, una cappella che potesse ricordare

che Maria Santissima ci guida e ci accompagna nella strada che porta a Cristo.

Ebbene dopo 25 anni, anche quest’ultima e doverosa opera -la cappella della Madonna- finalmente è compiuta. E qui vada un bel grazie alle nostre carissime suore Mantellate che con cuore largo e per così tanti anni ci hanno prestato la loro piccola statua della Addolorata.

La nuova, in una cappella artisticamente adeguata, l’ha voluta il nostro Consiglio Pastorale, a ricordo di due significativi anniversari: l’anno mariano e il 25° della fondazione della Parrocchia.

L’adattamento della cappella è stato affidato al genio artistico dell’amico padre Costantino Ruggeri dei Frati Minori. La parete di fondo che tiene sospesa la nuova scultura della Madonna, è stata da lui concepita in pietra bianca di Vicenza e nella forma di un triangolo capovolto, quasi a rendere visibile l’idea di una discesa dall’alto: appunto il grande dono che è la madre del Salvatore.

Invece la scultura della Madonna in bronzo dorato e alta metri 2,60 è opera di un altro valentissimo artista, padre Nazareno Panzeri.

E perché abbiamo voluto una Madonna con Gesù in braccio e in atto di offrirlo a noi tutti?

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Certamente perché è Gesù che spiega il mistero e la grandezza di Maria. Maria, infatti, è creatura perfetta e beata fra le donne perché Dio l’ha voluta madre di Cristo e perché Gesù stesso l’ha sommamente onorata come madre e, prima, come su discepola.

A sua volta Maria si è tutta voluta e sentita in funzione del suo Figlio.

Il culto mariano perciò, non può non avere come suo primo scopo il culto a Cristo. Separare il culto di Maria da quello di Cristo, sarebbe deformarlo e vulnerarlo nella sua più intima ragione d’essere. Insomma bisogna che il culto a Maria conduca alla conoscenza di Cristo, alla sua adorazione, al riconoscimento della sua capacità salvatrice, al suo amore e al suo servizio.

Il grande Paolo VI, nei giorni che è passato tra noi, come Arcivescovo di Milano, ha scritto: “Rivolto il nostro culto a onore di Maria, ma prima ancora di Cristo e della Chiesa, allora sì che potremo fare di lei la figura ideale della nostra vita. Sarà giusto allora rimettere immagini belle e pie della Madonna nelle nostre case, nelle nostre contrade oltre che nelle nostre chiese; onoreremo le sue feste e i suoi santuari, metteremo nella sua intercessione la nostra fiducia e faremo nostre le belle invocazioni che la liturgia mette, per suo onore, sulle nostre labbra, come questa ad esempio: <Ave o regina del cielo, Ave o signora degli angeli, salve, o radice, salve o porta da cui è uscita la luce del mondo. Salve o vergine gloriosa, fra tutte la più bella. E tu, Maria , prega per noi>”.

Se poi la fatica che alcuni di noi hanno già fatto, e lo sforzo economico che tutti insieme dovremo fare per questa bella e riuscita immagine di Maria, contribuiranno a far rifiorire un autentico culto mariano, si potrà ben dire che un’altra grazia viene ad aggiungersi alle tante già elargite dalla Provvidenza alla nostra comunità in questo suo primo quarto di secolo di vita.

(tratto dall’informatore parrocchiale dicembre 1988)

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IL DONO DI MARIA

Il pensiero e le mani dell’artista trasformano la materia inerte in opera d’arte che egli consegna al mondo, agli uomini e alle donne che verranno, guarderanno la sua opera e la ricreeranno ogni volta con il loro pensiero e i loro sguardi.

L’opera d’arte è costruita così non soltanto da chi l’ha concepita e poi lavorata con la sua forza, le sue energie vitali, ma si costruisce ad ogni sguardo, ad ogni vibrazione profonda di chi l’ammira.

È sempre un’emozione grande veder cadere il drappeggio che nasconde un quadro o una statua, sentire per la prima volta le note di una musica che prima risuonava soltanto nel cervello del musicista. Come assistere ad un parto. L’artista è un po’ come una mamma, anche se è un maschio della specie umana.

Osserviamo il gesto di padre Nazareno Panzeri, il francescano autore della nuova immagine di Maria che possiamo ammirare dall’otto dicembre nella cappella a lei dedicata nella nostra parrocchia. Lo sguardo è tenero, avvolgente, la mano carezza con un lieve movimento circolare, quasi a proteggere, forse a tentare inconsciamente di voler richiudere quella creatura ancora dentro di sé; una emozione che si comunica a chi osserva, che coinvolge quasi nello sforzo creativo lo spettatore.

Creatura di sole, creatura terrena Maria di Nazareth: così come l’ha vista e poi tradotta in bronzo padre Nazareno, francescano e scultore. Le due qualificazioni mi sembrano importanti. L’incarnazione è il fondamento della spiritualità di Francesco; Dio non è più il potente tra le nuvole, ma un bimbo, oggi, domani un uomo, Re del cosmo e della storia, che sconvolge le pallide storie degli uomini, sempre in caccia di trionfi che la morte cancellerà puntualmente, scegliendo la morte, usando le armi della debolezza.

Un Dio che viene tra gli uomini per farsi loro fratello scegliendo il modo indifeso, lento nel costruirsi giorno per giorno, cellula dopo cellula, nell’utero di una donna, come ogni uomo per generazioni e generazioni. Uscendo anche lui violentemente dalla calda protezione del grembo materno per affrontare la vita da neonato incapace di comunicare se non attraverso il pianto. Apparentemente tutto normale, come in miliardi di altre nascite, con un uomo accanto alla donna che partorisce, pronto a prendersi cura anche lui di quel caldo piccolo dolce insieme di carne e spirito che ancora non sa di essere.

Maria, la ragazzina di Nazareth non più intimorita dall’eco delle parole dell’annuncio, una ragazzina fatta donna dalla maternità, ha tra le sue braccia il creatore del mondo fattosi creatura. Maria è una ragazzina qualunque, sposata ad un onesto falegname di cui conosce la grande onestà.

Quel bambino fin tanto che è piccolo, che dipende da lei per nutrirsi, per essere pulito, per muoversi, per scaldarsi. Maria può illudersi che sia suo, chissà se l’ha pensato: in fondo si meraviglierebbe di un desiderio di vecchiaia protetta da un figlio forte e generoso, padre a sua volta di altri figli…

Probabilmente no, Maria ha sempre saputo che quei gesti di tenera cura erano per un figlio non destinato a lei ed a quel padre giusto. E ciò le verrà anche ricordato quando, dopo il pellegrinaggio a Gerusalemme, andrà a ricercare quel figlio assente dalla carovana.

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Per Maria non è un gesto indifferente offrire ad un mondo ostile, brutale, rozzo il frutto della sue viscere: è un gesto di forza, di vigore autentico, di speranza e di abbandono alla volontà dell’unico Signore. Maria non è una dea distaccata, dotata di poteri sovrumani; è una donna, una creatura che per amore del suo Creatore e delle creature dona il Figlio, che nel gesto del donare riconosce il suo unico Signore. Questa forza, questa grandezza si comunica a chi guarda la Madonna ed il Bimbo scolpiti da padre Nazareno. Maria ha il volto maturato di chi ha bruciato le tappe della giovinezza; e il bimbo che offre per la salvezza del mondo e all’adorazione sua e dei fratelli è un bimbo già grandino, consapevole si direbbe del destino che lo attende, delle “opere del Padre mio “ cui deve attendere. Un’emozione profonda pervade il cuore di una donna: quale altra donna saprebbe ripetere quel gesto d’amore totale?

Regalare un figlio perché sia la salvezza di chi “non è degno di legargli i calzari?”.

(tratto dall’informatore parrocchiale gennaio 1989)

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SALVE ANGELI CUSTODI: STORIA DEL NOSTRO INNO

Poteva apparire del tutto superflua la realizzazione di un inno, tra i numerosi pensieri che affollavano la mente di un giovane ed entusiasta sacerdote incaricato dalla curia di edificare una nuova parrocchia. Un impegno, quasi un’avventura, che a distanza di anni sembra scontato come qualunque cosa che esiste.

Guardandosi attorno don Peppino Orsini si rese conto che nel panorama parrocchiale milanese mancava una dedicazione agli Angeli Custodi e, proposta l’idea all’allora Cardinal Montini, venne approvata senza esitazione.

Stabilito ciò, si premurò di comporre una preghiera (Angeli che vedete il volto di Dio) autorizzata ai principi degli anni sessanta dalle autorità ecclesiali, affinché i nuovi parrocchiani potessero, tramite l’intercessione degli Angeli, rivolgere i loro pensieri a Dio.

Tuttavia don Peppino costantemente affannato dai molteplici impegni finalizzati all’edificazione della nuova chiesa, non perse di vista il proposito di conferire un’identità ben definita alla sua comunità e, come ogni nazione possiede un inno che ne caratterizza la storia, così volle che anche gli “angeli” potessero intonarne uno proprio.

Nell’immaginario collettivo da sempre gli spiriti alati sono stati concepiti come delle anime musicanti, autori di armonie celesti, che inneggiano alla grandezza del Signore accompagnati da trombe, flauti, cembali e ed arpe. Don Peppino colse pienamente questo aspetto e fece del suo inno un lode gratuita a Dio.

La semplicità del testo costituito da due strofe e un ritornello, fa pensare che sia una preghiera ingenua da impiegare solo quando tutto va a gonfie vele, è un cantico d’amore spontaneo, senza troppe elucubrazioni, è un modo sincero ed immediato con cui l’uomo può pregare cantando.

Per quanto riguarda la musica don Peppino, solito ad esercitarsi all’harmonium, scelse un brano la cui linea melodica, nella sua essenzialità, potesse ben adattarsi alle parole del suo inno.

Si tratta del canto mariano “salve dolce creatura” composto da Luigi Picchi (1899-1970) e pubblicato sul corallino di “cantica di Sion” edito dalle edizioni Carrara 1957.

La scorrevole cantabilità, l’accompagnamento armonico solido e ben costruito sono caratteristiche che aderiscono pienamente alle indicazioni espresse da Pio XII nell’enciclica “Musicae Sacrae disciplina” in cui il pontefice esorta gli animatori liturgici a promuovere e favorire il canto popolare religioso in lingua italiana, senza però perdere di vista il repertorio della tradizione gregoriana e ambrosiana.

Sarà una coincidenza fortuita che la fonte melodica del nostro inno sia un canto dedicato alla Madonna alla quale don Peppino era particolarmente devoto? La Provvidenza divina non si affida mai al caso!.

Dimenticato, dopo alcuni anni di silenzio, l’inno è stato ripristinato. In esso affondano le radici storiche della nostra parrocchia in cui la musica non è mai mancata e oggi, arricchiti di un mattoncino di storia in più, nell’intonarlo saremo consapevoli che il nostro canto, tramite gli Angeli

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Custodi, non solo giungerà “fino al trono del Signore”, ma anche alle orecchie e al cuore della sua dolce Madre.

(tratto dall’informatore parrocchiale ottobre 2007)

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LA VIA CRUCIS

La richiesta del parroco don Guido Nava di studiare la via Crucis per la chiesa degli Angeli Custodi fu per noi l’occasione meravigliosa di proseguire in una ricerca artistica che ebbe inizio negli anni ’60 del secolo scorso con l’incarico affidato a padre Costantino Ruggeri di intervenire all’interno della chiesa per la definizione dei vari luoghi liturgici.

Tale contributo vide l’esecuzione di opere scultoree come l’altare, elementi di arredo sacro come il tabernacolo, luoghi significativi come il battistero e la creazione di vetrate in vetro antico soffiato e legato in piombo che impreziosiscono l’aula ecclesiale donandole un’atmosfera mistica.

La richiesta di concepire la via Crucis a conclusione di un percorso che ha impegnato per decenni lo studio ricerche Arte Sacra di Pavia è stata accolta con il desiderio di onorare tutti i parrocchiani, ed in prima linea del parroco, che hanno creduto nell’importanza di affidare all’espressione artistica il canto e la celebrazione della vita nel Signore attraverso segni e simboli di un cammino che si dispiega nell’aula ecclesiale, a testimonianza della fede di una comunità viva che proclama Gesù Signore, morto e risorto per noi.

I pannelli da applicare alle pareti e ai pilastri dovevano essere pensati con materiali che sprigionassero la luce.

Si decise di condurre lo studio con l’elaborazione di composizioni da realizzare con la tecnica del mosaico formato da tessere vitree. Il mosaico ha il pregio di possedere i sé colori smaglianti dati dai minerali fusi nella pasta vetraria.

La ricerca e lo studio delle varie stazioni sono stati per noi una grazia che ci ha condotti a meditare giorno dopo giorno il mistero grande della Redenzione, attraverso i momenti della vita di Gesù rappresentanti dall’istituzione dell’Eucaristia sino alla deposizione nel sepolcro.

I disegni riproducono con pochi tratti le figure. Semplici contorni definiscono le immagini che fissano un momento della passione del Signore.

Per alcune stazioni furono predisposti vari cartoni con proposte diversificate, per valutare diversi gesti ed espressioni. Scelti definitivamente i disegni si operò una valutazione determinante per concepire la colorazione.

Si è privilegiato come linguaggio della bellezza, con la ricerca di nuove espressioni artistiche, la creatività di forme che si staccassero dal tentativo di riprodurre campiture di colore legate alle

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figurazioni proposte, ma oltre la figura, tentassero di esprimere in nuove spazialità e accostamenti tonali tutta la ricchezza del grande mistero della salvezza.

Le figure, rese astratte, fluttuano come in una atmosfera che si carica di spiritualità nei passaggi rapidi e densi di colore delle pietruzze vitree.

Ad ogni stazione è data una particolare intonazione con i suoi movimenti e variazioni, secondo quanto nel cuore sentivamo di esprimere, per entrare nel mistero. Per questo in alcune prevale il senso della serenità, che esprime la certezza dell’abbandono alla volontà dell’Altissimo, in altre il dramma che vi si svolge.

Nel cenacolo Gesù ha intorno tutti i suoi. Giovanni chinato sul suo petto. È il momento della rivelazione del tradimento. Riquadri di luce e di ombre dicono i sentimenti confusi che stanno vivendo gli apostoli. Sulla figura di Gesù scende un raggio azzurro che esprime l’intensità e la drammaticità del momento e pure la serenità del suo cuore tutto donato.

Ai Getzemani è tratteggiata la notte che ogni uomo attraversa, per questo l’atmosfera è buia e avvolta nelle tenebre. Gesù prega il Padre ed il suo cuore è stretto dall’angoscia. La notte rappresenta le sofferenze e i drammi dell’uomo che Gesù è venuto a redimere. L’angelo porge a Gesù il calice, il sì all’offerta della sua vita, salvezza per ogni uomo: qui si apre l’azzurro del cielo.

Ancora nella notte è la scena del bacio di Giuda. L’amico che lo tradisce è avvolto da fasci di oscurità, mentre Gesù riceve la luce dal cielo e nel suo gesto di accogliere un abbraccio che dice sino a che punto giunge la misericordia di Dio.

Con le luci dell’alba è il canto del gallo che risveglia in Pietro la coscienza della debolezza manifestata nell’aver rinnegato la verità. Colui che si era detto pronto ad offrire la propria vita per difendere Gesù si raggomitola in sé nel desiderio di nascondere il dolore del proprio orgoglio ferito.

Di fronte a Pilato seduto intorno per giudicare, Gesù si presenta ritto in piedi a rivelare quanto è potente la sua debolezza di uomo, vittima innocente della ferocia del male. Il grigiore tutto intorno dice l’ingiustizia perpetrata quando si accondiscende alla malvagità senza il coraggio di opporsi risolutamente alla violenza e alla brutalità.

Nella luce è il corpo di Gesù spogliato delle sue vesti, mentre rivela noi la forza nel lasciarsi spogliare di tutto per rivestire noi della grazia divina.

Con la croce sulle spalle Gesù inizia il suo cammino verso il Calvario. Insieme con lui siamo chiamati a prendere la nostra croce ogni giorno, fatta di prove e di sofferenze. In questo cammino c’è sempre un fratello che dona aiuto e sostegno, come Simone di Cirene ha sorretto la croce di Gesù.

Sulla via Gesù incontra le donne e a loro dona annunci di speranza in fasci di tenui bagliori fatti di tenerezza e comprensione nel partecipare alle loro sofferenze, che sono quelle dell’umanità intera per i continui peccati contro la dignità della persona umana.

Sulla cima del colle Gesù viene crocifisso e attraverso i chiodi conficcati nella carne accoglie su di sé lo strazio del dolore di ogni uomo piagato dal peccato che porta alla morte. L’atmosfera è rovente perché la carne brucia e la gola è arsa. Quanta sete di amore da parte nostra ha Gesù!

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Gesù è innalzato sulla croce. Nel momento dell’abbandono e del buio c’è però la presenza di Maria, che con la trafittura del suo cuore partecipa alle sofferenze del figlio, e c’è Giovanni, il discepolo amico. Con essi accanto il cuore di Gesù si apre alla dolcezza nell’affidare ad essi una grande missione, alla mamma il compito di divenire madre dei credenti, a Giovanni di accogliere Maria nella sua casa.

Nel fulgore del Paradiso è la voce del buon ladrone che con un gesto di umile abbandono riceve il perdono e la pace. È il trionfo della vita e la celebrazione della gioia che si canta in eterno nei cieli.

Dopo l’ultimo respiro che è dono del suo Spirito Santo all’umanità che rigenerata dall’acqua e dal sangue versati per amore, Gesù reclina il suo capo. Tutt’intorno è un turbine di venti impetuoso che sconfigge le tenebre e porta la speranza di un mondo nuovo.

Nel caldo abbraccio della terra è per un attimo disteso il corpo del nostro Signore. Già c’è l’annuncio della resurrezione. Non c’è l’immobilità della morte, ma la placida attesa del risveglio, che è tripudio dell’alleluia pasquale.

Chi mai può rappresentare la profondità e la grandezza del mistero inesauribile della vita del Signore?

Noi con gli strumenti dell’arte abbiamo tentato, balbettando, di rendere un poco percepibili ai nostri sensi il mondo dello spirito attraverso il disegno, il colore e la figurazione, come lo Spirito Santo ci ha dettato, cercando di rendere visibili le ispirazioni del cuore.

Luigi Leoni e Chiara Rovati (Studio Ricerca Arte Sacra di Pavia)

Maggio 2010

Realizzazione a cura di Marco Cremonesi

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Parrocchia ‐ Oratorio “Angeli Custodi” 

Via Pietro Colletta, 21 

20135 Milano