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La pretesa “analogia federale” nella Carta delle Nazioni Unite e le sue implicazioni Gaetano Arangio-Ruiz

La pretesa 'analogia federale' nella Carta delle Nazioni Unite e ...la pretesa analogia della Carta delle Nazioni Unite con le costitu-zioni federali, sulla quale certi governi e un

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La pretesa “analogia federale” nella Carta delle Nazioni Unite

e le sue implicazioni

Gaetano Arangio-Ruiz

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€ 7,00 (IVA inclusa)

In copertina:

Mappamondo del Remondini, emisfero terreste.

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G. Giappichelli Editore – Torino

Gaetano Arangio-Ruiz

La pretesa “analogia federale” nella Carta delle Nazioni Unite

e le sue implicazioni

Postfazione tratta da

Le Nazioni Unitea cura di Laura Picchio Forlati

Il diritto della civiltà internazionaleTesti e documenti raccolti da Alberto Miele

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© Copyright 2000 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINOVIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-9304-3

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Sommario

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I. Premessa. La concezione federalistica delle Nazioni Uni-te e la dottrina dei “poteri impliciti” 5

II. Prime approssimazioni sull’analogia: argomenti indizia-ri a sostegno e indicazioni contrarie della Carta e dellaprassi. Necessità di approfondimento 7

III. Teorie a confronto:(a) Le dottrine “costituzionalistiche” del diritto e dell’or-

ganizzazione internazionale: il postulato del diritto in-ternazionale come diritto pubblico dell’umanità e i suoi corollari 11

(b) L’infondatezza delle teorie “costituzionalistiche”, la nozione del diritto internazionale come diritto delle re-lazioni fra Stati, e la teoria dell’organizzazione inter-nazionale 15

IV. Una prova più diretta: il relationnel e l’institutionnel nel-le Nazioni Unite. Distinzione dei due elementi e loro rap-porto 19

V. Infondatezza della nozione delle Nazioni Unite come“comunità internazionale particolare” o “comunità in-ternazionale organizzata” 24

VI. Reale fondamento e natura non funzionale della perso-nalità internazionale delle Nazioni Unite. Il vero sen-so del generale rigetto, da parte degli Stati e degli studio-si, della nozione delle Nazioni Unite come “super Stato” 29

VII. Distinzione fra l’elemento “contrattuale-interstatale” el’elemento “istituzionale-interindividuale” nelle NazioniUnite 34

VIII. Prove ulteriori emergenti dal confronto delle Nazioni Uni-te con lo Stato federale 35

IX. Egemonia, diritto internazionale e organizzazione in-ternazionale 39

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pag.

X. Riflessi politici indesiderabili delle dottrine criticate.Qualche esempio 41

XI. Considerazioni teorico-pratiche conclusive 44

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Gaetano Arangio-Ruiz

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I. PREMESSA. LA CONCEZIONE FEDERALISTICA DELLE NAZIONI UNITE

E LA DOTTRINA DEI “POTERI IMPLICITI”

La ricca letteratura internazionalistica stimolata dalla c.d. rivita-lizzazione del Consiglio di Sicurezza seguita alla fine della guerrafredda è segno di un salutare interesse degli studiosi per il problemadella legalità degli atti dell’organizzazione. Tale tendenza trova unostimolo ulteriore nelle recenti celebrazioni del cinquantesimo anni-versario dell’ONU.

Sul difficile tema della legalità dell’azione delle Nazioni Unitemolto è stato scritto e qualcosa abbiamo scritto o detto anche noi: esperiamo di riprendere presto il tema. Le note presenti si sofferma-no invece soltanto su di un aspetto della questione. Si tratta di quel-la pretesa analogia della Carta delle Nazioni Unite con le costitu-zioni federali, sulla quale certi governi e un numero crescente distudiosi ritengono di poter fondare giuridicamente l’ampliamentodella sfera oggettiva di azione del Consiglio di Sicurezza (per il be-ne o per il male), al quale stiamo assistendo da un po’ di anni. È in-fatti la detta analogia che legittimerebbe l’estensione, all’interpreta-zione della Carta, di quella dottrina dei “poteri impliciti” sulla qua-le poggerebbe l’allargamento dell’area di competenza degli organidell’ONU, e specialmente, oggi, del Consiglio di Sicurezza.

Benché largamente proclamata o sottintesa, l’analogia federale nel-le Nazioni Unite appare a noi, da tempo, priva di fondamento. La dot-trina dei “poteri impliciti” è quindi inapplicabile come strumento inter-pretativo, non solo riguardo ai poteri del Consiglio, ma anche riguardoai poteri dell’Assemblea Generale o di qualunque altro organo delleNazioni Unite. Per il Consiglio di Sicurezza l’analogia è, a nostro avvi-so, ancora meno giustificata e ben più pericolosa per lo sviluppo dellarule of law nella cosiddetta “comunità internazionale organizzata”.

Scopo delle presenti note, suggerite anche dalla nostra recentissi-ma esperienza di Relatore speciale sulla responsabilità degli Stati nel-la Commissione dell’ONU per il diritto internazionale, è non già ditrarre conclusioni definitive su di un tema che richiederebbe più am-pi sviluppi, bensì di stimolarne la seria discussione.

Come tutti sanno, la dottrina dei “poteri impliciti” si è affermata spe-cialmente nella prassi costituzionale degli Stati Uniti d’America. È sul-la base di quella dottrina che il Congresso e il Presidente sono venuti

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ampliando a tale punto i loro poteri, a scapito di quelli riservati agli Sta-ti membri dell’unione dalla costituzione del 1789, da far dire a un giudi-ce della Corte Suprema di quel Paese che l’idea che i poteri del Con-gresso e del Presidente derivino dalla costituzione è ormai una finzione.

Orbene, stando alle concezioni dell’ONU alle quali ci riferiamo –concezioni alle quali diamo il nome di teorie “costituzionalistiche” –la Carta presenterebbe sufficienti somiglianze con le costituzioni fe-derali, e specie con quella degli Stati Uniti, da giustificare – e da giu-stificare in diritto – l’applicazione agli organi dell’ONU di quellastessa dottrina dei “poteri impliciti”, sulla quale si è venuto fondandonegli Stati Uniti l’ampliamento dei poteri dei due più importanti or-gani del governo federale.

Come per la Costituzione degli Stati Uniti, anche per la Carta del-l’ONU varrebbe il famoso detto del giudice Holmes, secondo il qua-le: “when we are dealing with words that are also a constituent act,the Constitution of the United States, we must realise that they havecalled into life a being the development of which could not have beenforeseen completely by the most gifted of its begetters. It was enoughfor them to realise or to hope that they had created an organism; it hadtaken a century and has cost their successors much sweat and blood toprove that they created a Nation” 1. Anche la Carta dell’ONU ha crea-to un “essere”, un “organismo”: questo lo vediamo tutti. Conseguen-temente, anche per gli organi dalla Carta istituiti varrebbe, secondo i“costituzionalisti”, la dottrina dei “poteri impliciti”: e la prassi indicache gli Stati i quali nell’uno o nell’altro organo, prevalgono in fatto oin diritto – ci riferiamo all’Assemblea come al Consiglio, ma special-mente al secondo – non mancano di ricorrere alla dottrina dei “poteriimpliciti”, ogniqualvolta lo trovino conveniente per i loro interessi,senza preoccuparsi più di tanto di giustificarne l’applicazione. A giu-stificarla pensano per l’appunto i professori di diritto internazionale,in grande maggioranza felici di potere usare anche loro i più raffinatistrumenti tecnico-giuridici elaborati dalla giuspubblicistica e dallaprassi degli ordinamenti statali, per poter dimostrare la legalità del-

1 Missouri v. Holland, US Supreme Court, 252 U.S. 416, p. 433. Lo SKUBISZEWKI

K., Implied Powers of International Organizations, in DINSTEIN (ed.), InternationalLaw at a Time of Perplexity, Essays in honour of Shabtai Rosenne, pp. 885-856, ri-corda, in proposito, anche il caso Mc. Culloch v. The State of Maryland et al.

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Gaetano Arangio-Ruiz

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2 L. GROSS, The International Court of Justice and the United Nations, in RCADI,vol. 120, (1967-I), p. 403.

l’operato degli organi dell’ONU (e degli Stati in essi prevalenti pernumero o potenza).

II. PRIME APPROSSIMAZIONI SULL’ANALOGIA: ARGOMENTI INDIZIARI A

SOSTEGNO E INDICAZIONI CONTRARIE DELLA CARTA E DELLA PRAS-SI. NECESSITÀ DI APPROFONDIMENTO

I sostenitori della natura costituzionale della Carta delle NazioniUnite non mancano di argomenti, diciamo così, indiziari.

Anzitutto – si deve ricordare – la Carta istituisce una unione isti-tuzionale di Stati. Ciò colloca l’ONU in una categoria generale nellaquale cadono, benché con gradi diversi d’integrazione, sia la Confe-derazione che lo Stato federale. Secondo: poiché la Confederazione siconcreta, ancor più della sottospecie Stato federale, in esemplari ca-ratterizzati da diversi gradi di accentramento o decentramento, non sipuò negare a priori la possibilità di generici accostamenti. Ne conse-gue che, per quanto infinitesimale fosse il grado di somiglianza dellaCarta con una costituzione federale nel 1946, e per quanto infinitesi-male la somiglianza possa essere al giorno d’oggi (dopo la reale opresunta evoluzione impressa alla Carta dalle vicende internazionalidi mezzo secolo), non si può accantonare facilmente la considerazio-ne che soltanto la storia potrà dire in seguito se, in quale senso e inquale misura l’accostamento della Carta a una costituzione sia giusti-ficato. Solo la storia del prossimo secolo potrà dire in particolare se, algran discorrere che si fa di una “organized international community”(per non parlare della stessa “community”), corrisponda veramenteuna realtà giuridica apprezzabile. Da una parte, non si può non condi-videre l’osservazione di Leo Gross che “the United Nations is not likethe United States even in its infancy”. Bisogna d’altra parte aggiunge-re, con lui, che “the possibility, of course, cannot be excluded that af-ter a century, and as Mr. Justice Holmes said, much sweat and blood –not to mention Sir Winston Churchill’s tears – the United Nations willacquire the degree of integration which will make the comparisonwith the federalism of the United States more tenable” 2.

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La pretesa “analogia federale”

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Né si può non essere indotti alla prudenza nel leggere, per esempio,che un acuto studioso della Società delle Nazioni quale lo Zimmern,nel constatare che il diritto internazionale non aveva avuto, sino alla(prima) guerra mondiale, una “costituzione”, sembrava implicitamen-te suggerire che il Patto istitutivo di quella Lega avesse forse segnatoun primo, timido passo verso la riduzione della c.d. lacuna “costitu-zionale” 3. A fortiori si può pensare che quel passo sarebbe stato forsecompiuto, dopo la seconda guerra, a S. Francisco, con la creazione delnuovo “organismo”, del quale si è da poco celebrato il cinquantenario.

Che dire dunque? Sono nel giusto i più, ossia i “costituzionalisti”?E se lo sono, quanto lo sono?

All’asserzione che l’organismo creato dalla Carta presenti i caratte-ri di una struttura costituzionale (affermazione che implica manifesta-mente, nella mente di coloro che invocano il detto di Holmes, l’analo-gia federalistica) ci si potrebbe accontentare di opporre, continuando ildiscorso, diciamo così, “indiziario”, una serie di considerazioni tantoovvie da sembrare banali:

i) al pari della Società delle Nazioni, l’organismo ONU non è un“super-Stato”. Lo constatava la Corte internazionale di Giustizia nel1949 e ne aveva già dato assicurazione al Presidente degli Stati Unitiil capo della delegazione americana alla Conferenza di S. Francisco(infra);

ii) il grado di accentramento dell’ONU è tanto lontano da quellodi uno Stato federale da non avvicinarsi neppure a quello di una Con-federazione. Per fermarsi al confronto con l’Unione dell’America delNord, esso non raggiunge neppure il grado d’integrazione realizzatodagli “Articles of Confederation”, dei quali si è incominciato a parla-re come di una “costituzione” soltanto dopo che quel documento erastato ormai superato dagli eventi e gli uomini politici più autorevolidelle tredici ex-colonie (ormai Stati) avevano già sposato l’idea cheesso dovesse essere interamente sostituito da una vera costituzionefederale4;

3 A. ZIMMERN, The League of Nations and the Rule of Law, 1936, p. 277 ss.4 Ciò richiede una precisazione. Benché generalmente indicati a ragione come l’at-

to costitutivo di una “confederazione” gli Articles of Confederation contenevano ele-menti che andavano al di là di un mero patto internazionale fra Stati. Tale era il caso di

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iii) la Carta stessa si squalifica come costituzione, là dove essa ri-serva espressamente la sovrana uguaglianza (art. 2.1), ma specie lasovranità e l’indipendenza, ovvero la domestic jurisdiction (art. 2.7)degli Stati membri: cosa ben sottolineata a S. Francisco da Dulles,quando osservava (a difesa della formulazione dell’art. 2.7 da lui pre-ferita) che l’ONU era destinata a trattare soltanto con i governi;

iv) il solo punto ove la Carta sembrerebbe meno lontana da un pat-to confederale (ma sempre lontanissima, comunque, da una costitu-zione federale) è la previsione di quella disponibilità diretta di forzearmate da parte dell’Organizzazione, che qualcuno potrebbe esseretentato di accostare a quanto realizzato dall’Unione del Nord Ameri-ca durante la guerra di indipendenza. Mi riferisco alla disponibilitàdiretta di forze armate da parte del Congresso sotto il comando di

alcuni dei poteri attribuiti al Congresso. Più importante ancora era il fatto che quel pat-to confederale era venuto in essere per opera di uomini legittimati dai popoli delle sin-gole colonie meno indirettamente di come di regola lo sono i delegati di Stati ad organiinternazionali. Comunque stessero le cose dal punto di vista formale, quel che più con-ta dal punto di vista comparativo è che una struttura giuspubblicistica interindividuale siera incominciata a sviluppare fra i popoli delle tredici colonie-stato (insieme con l’ideadi una “nazione” americana) a partire almeno dall’epoca del primo “Continental Con-gress” dal 1774 e della “Association” da esso costituita. Tale processo continuò, nono-stante qualche crisi, sino alla convenzione costituzionale di Filadelfia del 1787, dallaquale emerse la costituzione tuttora vigente. È perciò chiaro che nella società americanadi quel periodo si presentavano due fenomeni normativi concorrenti. Da una parte vierano le relazioni di tipo “internazionalistico” e ugualitario fra le tredici unità politichecoinvolte: relazioni formalmente regolate, prima dalla “Association” e poi dagli “Arti-cles of Confederation”; da un’altra parte vi era la struttura giuspubblicistica interindivi-duale abbracciante le tredici comunità e coinvolgente in un primo tempo solo le élitesoperanti nel Congresso e intorno ad esso, ma estendentesi ben presto alle intere basi so-ciali di quelli che ormai costituivano in fatto gli Stati membri di una federazione. Svol-tasi sotto l’ombrello del patto “internazionalistico” ma a ben guardare scalzandolo e su-perandolo, tale processo si era ormai compiuto nel 1791, all’entrata in vigore della co-stituzione adottata a Filadelfia. Rinvio ai recenti lavori di J.N. RAKOVE, The Beginningsof National Politics: An Interpretative History of the Continental Congress (1979); ID.,The Collapse of the Articles of Confederation, in J.J. BARLOW, L.W. LEVY, K. MASUGI

(a cura di), The American Founding, 1988, e E.S. MORGAN, The Birth of the Republic,1763-1789 (3a ed., 1992). Nel nostro vecchio lavoro dal titolo Rapporti contrattuali fraStati e organizzazione internazionale (Archivio giuridico Filippo Serafini, Sesta Serie,1-2, 1950, pp. 105-114, par. 29) rinviavamo alle meno recenti opere precedenti di J. FI-SKE, A.W. SMALL, e M. HOCKETT. Si veda inoltre JENSEN, The Articles of Confederation,in B. OLLMAN-J. BIRNBAUM (a cura di), The United States Constitution, 1990.

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George Washington, nominato dalla dieta confederale. È ben notoperò che le disposizioni rilevanti della Carta (art. 43) sono rimaste let-tera morta, e tali sembrano destinate a rimanere per un pezzo.

Per parte nostra, siamo persuasi che l’analogia federale sia del tut-to ingiustificata, per l’ONU come per le organizzazioni internaziona-li in genere. Ciò in considerazione dei caratteri essenziali del sistema,e specie della natura dei rapporti degli Stati membri fra loro e conl’Organizzazione.

Analogie federali – marginali e occasionali – sono certamente ri-levabili, nel sistema ONU come in altre organizzazioni internaziona-li, riguardo a specifiche attività in situazioni eccezionali o speciali.Per quanto riguarda l’ONU si tratta, come già si accennava, delle ope-rative activities, nelle quali le Nazioni Unite svolgono funzioni di go-verno nel territorio e nei riguardi di sudditi e organi di Stati. A parteperò la considerazione che a operazioni del genere si dà luogo solocon il consenso ad hoc degli Stati interessati e controinteressati, trat-tasi sempre di fenomeni marginali al confronto con i problemi cen-trali di struttura.

Il vero banco di prova dell’esistenza o meno di fenomeni di ordi-ne costituzionalistico e di possibili analogie federali, è l’incidenza omeno della Carta (e degli organi cui ha dato vita) nelle relazioni degliStati membri, fra loro e nei riguardi dell’Organizzazione. Si tratta disapere se le norme della Carta – e gli organi operanti in attuazione didette norme – modifichino in una qualche misura quel tipo di relazioniparitarie e meramente orizzontali che fra gli Stati membri sussistono invirtù del diritto internazionale generale e delle norme pattizie più co-muni. Si tratta di sapere, in altri termini, se si diano, per effetto dellaCarta, fenomeni di c.d. “verticalizzazione” nei rapporti degli Statimembri fra loro o con l’ONU, nei quali si possano ravvisare quelleanalogie federali che le dottrine costituzionalistiche sembrano dareper scontate. Questo sembra il dato da verificare: e per ciò fare è in-dispensabile spingere l’analisi del fenomeno ONU al di là dei dati ge-nerici sin qui considerati, collocandolo nel quadro più ampio di queldiritto internazionale generale rispetto al quale la Carta avrebbe in-trodotto, se non addirittura aggiunto (stando alle teorie costituziona-listiche), elementi strutturali di natura organico-costituzionale. Si de-ve perciò dare uno sguardo, prima di tutto, alle concezioni del dirittointernazionale generale dalle quali consciamente o inconsciamente

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Gaetano Arangio-Ruiz

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muovono, per l’appunto, le teorie costituzionalistiche dell’organizza-zione internazionale. Non essendo questa l’occasione per il lungo di-scorso che sarebbe necessario, ci limitiamo qui a indicare – sia purecon qualche spunto ulteriore – i passaggi essenziali dell’analisi dedi-cata al tema sin dal lontano 1950.

III. TEORIE A CONFRONTO:

A. Le dottrine “costituzionalistiche” del diritto e dell’organizza-zione internazionale: il postulato del diritto internazionale co-me diritto pubblico dell’umanità e i suoi corollari

Alla base delle concezioni costituzionalistiche della Carta del-l’ONU e dell’analogia federale si trovano le varie teorie che concepi-scono il diritto internazionale tutto intero come una specie di “dirittopubblico decentrato” della comunità giuridica del genere umano 5. Ri-levano in particolare, per quanto attiene alla natura dell’ONU, tre co-rollari di tali teorie.

Il primo corollario è che – in quanto comunità giuridica – la so-cietà umana universale non sarebbe, di per sé, inorganica. Essa sareb-be invece, a suo modo, organizzata, in quanto giuridicamente struttu-

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La pretesa “analogia federale”

5 Se si eccettuano le organiche elaborazioni teoriche moderne, che si trovanoprincipalmente nelle opere di autori quali H. KELSEN, A. VERDROSS, G. SCELLE e J.KUNZ – opere ben note a tutti gli internazionalisti – le concezioni giuspubblicistichee interindividualistiche del diritto internazionale si presentano, negli scritti dei sem-pre più numerosi studiosi che le professano, in forma per lo più frammentaria, inor-ganica e spesso implicita. Mi limito pertanto a rinviare il lettore alle opere dei quat-tro autori summenzionati, e specialmente alla General Theory of Law and State(1946, spec. pp. 325 ss.) ed ai Principles of International Law (2a ed., 1966, spec. p.177 ss. e 523 ss.) di KELSEN; e, di VERDROSS, alla Die Verfassung der Völkerrecht-sgemeinschaft, 1926; Règles générales du droit de la paix, in RCADI, vol. 30, 1929-V); Völkerrecht, 5a ed., 1964, spec. pp. 507 ss.; e (con B. SIMMA) UniversellesVölkerrecht: Theorie u. Praxis, 1976, spec. pp. 71 ss. e 200 ss. Per una recensione diquest’ultima opera vedasi G. ARANGIO-RUIZ e A. DAVI, Österreichische Zeitschriftfür Aussenpolitik, Heft 3/1979, pp. 186-192; e nella stessa rivista (Heft 4/1979, pp.263-269) l’interessante replica dello stesso VERDROSS. Sull’opera di questi, da ulti-mo, B. SIMMA, The Contribution of Alfred Verdross to the Theory of InternationalLaw, Eur. Journal of IL, 6 (1995), pp. 33-54.

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rata in un numero più o meno grande di Stati indipendenti. Nel qua-dro di tale concezione gli Stati appaiono come altrettante suddivisio-ni di una comunità giuridica universale, legittimati come tali al go-verno delle singole società nazionali, un po’ come i comuni, le pro-vincie, le regioni, i départements di uno Stato unitario e i cantoni, iLänder o gli Stati membri di uno Stato federale sono legittimati al go-verno dalle rispettive comunità dall’ordinamento nazionale entro ilquale operano come enti più o meno autonomi. Gli Stati sono vistiquindi, implicitamente o esplicitamente, come organi del diritto in-ternazionale, inteso per l’appunto – più che come diritto delle rela-zioni fra Stati – come la porzione più elevata del diritto pubblico diuna comunità giuridica del genere umano. Al confronto con le varieforme di associazione di tipo statale o interstatale (Stato unitario, Sta-to federale, Confederazione) la comunità giuridica internazionale sidistinguerebbe per il grado molto elevato di decentramento delle fun-zioni di governo, funzioni che sarebbero attribuite, dal diritto interna-zionale, esclusivamente agli Stati, da esso diritto elevati, per l’appun-to, a propri organi.

Ricordiamo per tutte la teoria di Georges Scelle, detta del dédou-blement fonctionnel: un dédoublement in virtù del quale ciascunoStato svolgerebbe giuridicamente, per un verso le funzioni di gover-no della relativa comunità nazionale, per altro verso le funzioni di ge-store giuridicamente autorizzato degli interessi della comunità mede-sima nei confronti delle altre. Nel concludere un trattato, per esem-pio, lo Stato opererebbe ad un tempo come legislatore interno e legi-slatore internazionale ma, in entrambi i ruoli, nella qualità giuridicadi organo decentrato del diritto internazionale, inteso come diritto“costituzionale” della comunità mondiale. Ciascuno Stato è visto in-somma come istituzione e persona morale del diritto internazionale,da questo preposto al governo della parte dell’umanità sulla qualeesercita il suo potere. L’organizzazione, dunque, esisterebbe già, siapure in forma rudimentale, non solo all’interno delle società naziona-li ma anche al di fuori, ossia nelle relazioni inter- o trans-nazionali.

Il secondo corollario, legato come tutti i corollari agli altri e allaidea di base, è che ogni accordo fra Stati costituisca un atto interisti-tuzionale, partecipe della natura giuspubblicistica degli Stati con-traenti, nella loro qualità di organi decentrati (corollario precedente)di una comunità giuridica universale. Ne consegue che i trattati sa-rebbero strumenti normativi idonei a far sì che gli Stati-organi possa-

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Gaetano Arangio-Ruiz

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no costituire ulteriori organi e dotarli di una parte delle loro funzioni,onde ridurre il grado di decentramento del sistema. La Carta delle Na-zioni Unite avrebbe avuto precisamente un effetto del genere.

Terzo corollario – legato anch’esso, s’intende, agli altri due comeall’idea madre – è che il diritto internazionale, quale diritto della co-munità giuridica del genere umano, sarebbe essenzialmente un dirit-to interindividuale. Ne consegue che i popoli stessi, anziché i soli Sta-ti, sarebbero la vera constituency del diritto internazionale 6. Riba-dendo la natura istituzional-pubblicistica degli accordi istitutivi di or-gani internazionali, quest’ultimo dato completa il discorso sulla po-tenzialità di tali accordi, facendone automaticamente partecipi, per iltramite degli Stati-organi o trustees, i popoli stessi e gli individui cheli compongono.

Quale comunità giuridica del genere umano, la società internazio-nale sarebbe dotata dunque, al pari di ogni società politicamente egiuridicamente integrata: a) di un contesto organico originario, vale adire dell’organizzazione giuridica in Stati e quindi di un “principio”di organizzazione; b) dello strumento idoneo per ridurre, aggiungen-do organi a quelli esistenti, il grado di decentramento del sistema ov-vero di realizzare un grado più elevato di accentramento, vale a diredell’accordo fra Stati; c) di una constituency interindividuale, desti-nataria più o meno immediata dell’azione degli organi internazionalioltre che fornitrice, per così dire, del materiale umano necessario perguarnire fisicamente gli apparati organici internazionali.

Sarebbero così presenti nella società internazionale, sia pure inesigua misura, quelle condizioni giuridico-sociologiche essenziali,che nelle comunità giuridiche nazionali consentono di realizzare ognimodifica o sviluppo di qualsiasi parte dell’organizzazione centrale operiferica dello Stato e delle sue suddivisioni 7.

6 Uso qui la elementare distinzione fra constituency di Stati e constituency di in-dividui alla quale si riferiva, ad esempio, il P.E. CORBETT, Social Basis of the UnitedNations, in RCADI, vol. 85 (1954-I), p. 479.

7 Mi permetto di spiegare quanto dico riprendendo un brano del discorso fattotempo fa al XII congresso della AAA (“Association des Auditeurs et Anciens Audi-teurs”) dell’Accademia di diritto internazionale dell’Aja, pubblicata nella Rivista didiritto internazionale, 1961, pp. 588-589, sotto il titolo Reflections on the Problem ofOrganization in Integrated and non Integrated Societies: “The significance of these

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La pretesa “analogia federale”

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È da esplicite o implicite premesse del genere che la maggior partedei commentatori deduce, se bene li comprendiamo, che la Cartadell’ONU abbia creato una associazione fra gli Stati e/o i popoli, com-parabile alle forme associative proprie delle società nazionali. Ed è sutale generica analogia che gli stessi autori innestano, esplicitamente omeno, due ulteriori e più specifici corollari. Primo corollario specificoè che gli Stati membri dell’ONU siano costituiti, in virtù della Carta, inuna comunità giuridica che li abbraccia tutti, insieme con i loro popoli,in un senso qualitativamente simile a quello in cui ogni persona giuri-dica ed ogni comunità parziale entro una società nazionale abbracciagl’individui suoi membri. Secondo corollario specifico è che la dettacomunità sarebbe dotata di una personalità giuridica internazionale,che la colloca al di sopra degli Stati membri nel senso in cui gli enti mo-rali pubblici e privati di diritto interno, dotati di personalità, sono so-vraordinati agli individui loro membri o amministrati.

features is that in integrated societies we are confronted with a legal order “of thewhole”, embracing the individual members regardless of affiliation to partial groups“naturally provided” with organization, and able and willing, so to speak, to dispen-se the “gift of organization” lower down, either by authoritative enactment or by em-powering willing individuals to set up companies and associations. The directly hu-man basis of the legal order (the social basis) is qualitatively such as to be an ade-quate support, so to speak, for a complex, hierarchical system of rules, highly deve-loped in the vertical and not only in the horizontal sense, and continuous from the ba-se to the top and viceversa. The vertical development of the legal order ensures espe-cially to the system the possibility of developing within itself virtually any kind of se-condary organization situated at any level between the original organization and thehuman basis. An analogy may perhaps make the matter clear. The integrated societyis like a great building outfit. It is provided with a large building structure: the humanelement it directly controls; it is largely developed in width: the rules of law exten-ding over the whole human basis; it is highly developed in depth: the vertical dispo-sition of rules. Just as a builder can meet any building exigency by inserting new sto-reys and rooms between cellar and roof, according to the directions of architect andclient, the community can meet any exigency of organization by inserting new bodiesbetween the social basis and the summit of the legal system. In addition to all theother elements, the integrated community is provided with two essential pieces ofequipment corresponding to the cement and the crane of the builder: I mean the prin-ciple of organization inherent in the system, and the legal procedures necessary to“transmit” organization to lower levels, lifting up new structures”.

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B. L’infondatezza delle teorie “costituzionalistiche”, la nozionedel diritto internazionale come diritto delle relazioni fra Stati,e la teoria dell’organizzazione internazionale

Dell’analogia federale nella Carta delle Nazioni Unite nonché nel-l’organizzazione internazionale in genere, ci siamo occupati critica-mente sin dall’inizio del nostro cammino di studioso 8. Avendo tentatoa più riprese di dimostrare l’infondatezza delle teorie costituzionalisti-che del diritto internazionale e dei loro corollari, ci guardiamo bene dalriprendere quel discorso nella sede presente. Ci limitiamo a ricordarequi che detti corollari cadono tutti insieme con l’indimostrata nozionedel diritto internazionale come “diritto pubblico dell’umanità”.

In contrasto con tale nozione stanno gli innumerevoli dati che di-mostrano come il diritto internazionale sia invece un sistema normati-vo sui generis delle relazioni fra Stati, come enti di fatto indipendentio – come si dice – sovrani. Non è dato rinvenire pertanto, nel diritto in-ternazionale, né quella organizzazione “originaria”, che le dottrine co-stituzionalistiche ritengono di scorgere nella coesistenza di Stati con-cepiti come organi di una comunità giuridica del genere umano, né icorollari ulteriori: né cioè la “naturale” idoneità dell’accordo fra Sta-ti a modificare la struttura decentrata del sistema mediante la creazio-ne di nuovi organi sovraordinati agli Stati stessi, né quella natura in-terindividuale della constituency del diritto internazionale grazie allaquale gli individui ed i popoli sarebbero “naturalmente” disponibilicome elementi costitutivi dei creandi organi e come destinatari del-l’azione di questi.

La constituency del diritto internazionale è invece la coesistenzadegli Stati come enti di fatto indipendenti; e non già meramente auto-

8 Per sviluppi meno inadeguati alla difficoltà del tema rinviamo a nostri scritti piùo meno recenti, e principalmente: The Normative Role of the General Assembly of theUnited Nations ecc. with an Appendix on the Concept of International Law and theTheory of International Organization, in RCADI, vol. 137 (1972-III), p. 629 ss., rist.in The UN Declaration on Friendly Relations and the System of the Sources of Inter-national Law, Sijhoff, 1979, con la stessa Appendix, p. 199 ss.; Le Domaine réservé,l’organisation internationale et le rapport entre droit international et droit interne.Cours général, in RCADI, vol. 225 (1990-VI), pp. 402, ma spec. 435-479. Parzial-mente ancora valido (benché da riscrivere) è il lavoro Rapporti contrattuali fra Statie organizzazione internazionale, cit. supra.

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nomi nel senso tecnico nel quale i giuristi parlano di autonomia a pro-posito delle suddivisioni delle comunità giuridiche integrate. Gli Sta-ti del diritto internazionale non posseggono nessuno dei caratteri es-senziali dell’autonomia delle comunità parziali di diritto interno 9.Quanto all’accordo, esso è il mero contratto ugualitario e “privatisti-co” fra gli Stati così intesi, idoneo a creare rapporti di diritto/obbligofra gli Stati contraenti ma inidoneo a modificare di per sé la strutturadella convivenza fra Stati collocando organi al di sopra degli Stati.Gl’individui restano soggetti al potere esclusivo dei rispettivi Stati dinazionalità o residenza; e sono internazionalmente disponibili, per unverso o per l’altro, soltanto con il beneplacito o il concorso degli Sta-ti ai quali sono legati come cittadini o funzionari.

Così stando le cose, è difficile immaginare che un semplice accor-do fra Stati quale la Carta, elaborato e vigente senza il minimo con-corso dei popoli degli Stati fondatori e di quelli ammessi, posseggaquella natura costituzionale, in assenza della quale non si danno nésovraordinazione degli organi dell’ONU agli Stati membri né modifi-che significative della composizione e della struttura della conviven-za nell’ambito della quale la Carta è venuta a giuridica esistenza. Glistessi dati che dimostrano l’infondatezza delle teorie del diritto inter-nazionale come diritto pubblico (o costituzionale) di una comunitàgiuridica del genere umano dimostrano ad abundantiam l’essenzialecorrettezza della nozione del diritto internazionale come sistema nor-mativo sui generis dei rapporti fra Stati sostenuta da studiosi insigni

9 Né la delega di poteri agli agenti delle entità autonome, né la soggezione diret-ta degli agenti medesimi al diritto della comunità totale. Alcuni fra i sostenitori delleteorie costituzionalistiche asseriscono invero che gli Stati non sarebbero più al gior-no d’oggi, dal punto di vista del diritto internazionale, gli enti di fatto nei quali noi liidentifichiamo nel testo. Secondo detti autori, “l’Etat au sens du droit des gens” ten-derebbe oggi a diventare “l’Etat des Nations Unies”, giacché la qualità di Stato sa-rebbe ormai la conseguenza o l’effetto piuttosto che la condizione dell’ammissioneall’ONU. Ma questo ragionamento somiglia un po’ troppo alla storia di quel baronedi Münchhausen, il quale sarebbe miseramente annegato nella palude se l’immaneforza delle sue braccia non gli avesse permesso di uscirne (insieme con il cavallo) ti-randosi su per i capelli. La verità è che perché l’ONU avesse la forza necessaria pererigere Stati, essa avrebbe dovuto essere costituita con procedimenti o mezzi ben di-versi e comunque più idonei del mero accordo fra “Etats au sens du droit des gens” –vale a dire mediante un patto fra Stati quali enti di fatto indipendenti – mediante ilquale è stata costituita a S. Francisco.

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quali l’Oppenheim, il Triepel e l’Anzilotti. Essendoci da tempo ado-perati a sostegno di tale concezione del diritto internazionale – nonsenza fare del nostro meglio per correggere qualche punto debole del-le teorie di quei Maestri – ci limitiamo qui a ripetere, sulla scorta diHolland che “(t)he Law of Nations is but private law writ large. It isan application to political communities of those legal ideas which we-re originally applied to the relations of individuals. Its leading di-stinctions are therefore naturally those with which private law haslong ago rendered us familiar” 10.

Ai fini presenti ci sembra necessario ribadire, oltre al dato fonda-mentale costituito dalla natura meramente fattuale degli Stati qualisoggetti del diritto internazionale, soltanto un punto. Alludiamo allacircostanza – ovvia ma generalmente ignorata dai “costituzionalisti” –che a differenza del diritto privato delle comunità nazionali (il qualetrova fondamento, sostegno e garanzia nel diritto pubblico) il dirittointernazionale – e pensiamo al più comune diritto internazionale con-suetudinario e pattizio, lasciando da parte per un momento i proble-matici trattati istitutivi di organizzazioni internazionali tra i quali laCarta – lungi dal trovare sostegno in un diritto pubblico universalepoggia soltanto su se stesso.

Non vi è bisogno di sottolineare che la migliore dottrina è rimastaancorata alla nozione testé indicata del diritto internazionale, ivi com-presa la definizione di Holland, non soltanto nel periodo fra le dueguerre mondiali (malgrado la presenza del Patto della Società delleNazioni) ma anche nel corso dei primi decenni di vita dell’ONU. Èsolo negli ultimi decenni che le concezioni costituzionalistiche, le cuiiniziali formulazioni moderne risalgono ai primi decenni del secolo,sono venute assumendo un netto predominio nella teoria dell’orga-nizzazione internazionale.

In quanto sistema giuridico delle relazioni fra Stati – dice giusto ilCombacau quando afferma che è qualcosa di più di un bric-à-brac –il diritto internazionale ha, sì, una costituzione. Ma è una costituzio-ne tanto inorganica che né lo Zimmern (1938) né il Lauterpacht (1927e 1947) né il Fitzmaurice (1971) sembrano averne riconosciuto lapresenza prima del Patto della Società delle Nazioni e della Carta del-

10 T.E. HOLLAND, Studies in International Law, 1898, p. 152.

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l’ONU 11. La costituzione del diritto internazionale consiste verosi-milmente di quella che Hart chiama “the rule of recognition” (versio-ne anglosassone della ipotetica norma fondamentale consuetudo etpacta inter gentes servanda sunt) nonché del principio dell’ugua-glianza giuridica degli Stati. Vi si potrebbe aggiungere forse il princi-pio, meramente negativo, regna et civitates superiorem non recogno-scentes.

Entro un quadro siffatto sembra veramente arduo immaginare cheun semplice patto fra Stati sovrani quale la Carta, elaborata e ratifica-ta senza la minima partecipazione dei popoli, possa aver esplicato laforza costitutiva indispensabile per determinare, vuoi la sovraordina-zione degli organi dell’ONU agli Stati membri e ai loro popoli, vuoiuna qualsiasi altra modifica di altrettanto peso nella composizione enella struttura del sistema.

Ne concludiamo che benché l’ONU sia senza dubbio una organiz-zazione, avente nella Carta di S. Francisco il suo statuto giuridico (ein tal senso una sua costituzione), la Carta non è affatto, come tantisembrano credere, “la costituzione” o “una costituzione”, né della co-munità degli Stati membri, né della comunità di tutti gli Stati esisten-ti e ancora meno della comunità dei popoli o del genere umano.L’ONU è essenzialmente, come si spiega più avanti, l’organizzazionedi una parte delle relazioni fra Stati e della loro cooperazione. Essanon è, invece, l’organizzazione degli Stati membri, quasi che questi vifossero ricompresi o dissolti e nemmeno – malgrado la grossa bugiacon la quale si apre il testo della Carta: “We the Peoples” – l’organiz-zazione dei popoli degli Stati membri, quasi che fossero un solo po-polo.

Gli Stati restano pienamente sovrani rispetto alla Carta, oltre chegli uni rispetto agli altri, e sarebbero rimasti tali, dato il modo nel qua-le l’organizzazione è stata creata, anche se la Carta non lo dicesse o lo

11 Vedansi ZIMMERN, op. cit.; LAUTERPACHT, Private Law Sources and Analogiesof International Law, 1927, passim e p. 82, in nota; e, dello stesso autore, l’edizione1947 dell’Oppenheim, International Law, I (Peace), parr. 7 ss. e 166 ss., spec. 168;FITZMAURICE, Opinione dissidente sull’Ordinanza della CIG 26 gennaio 1971 (LegalConsequences for States of the Continued Presence of South Africa in Namibia) ICJReports, 1971, pp. 220 ss.

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dicesse meno chiaramente di quanto faccia12. Quanto ai popoli, essirestano sotto il controllo esclusivo e comunque preponderante degliStati membri, malgrado i sempre più numerosi obblighi giuridici emorali dei quali gli Stati sono destinatari per effetto, vuoi di racco-mandazioni o decisioni dell’ONU, vuoi di trattati da essa ONU“sponsorizzati”, vuoi di norme di diritto internazionale generale con-cernenti il trattamento dei rispettivi sudditi o residenti.

IV. UNA PROVA PIU DIRETTA: IL RELATIONNEL E L’INSTITUTIONNEL NELLE

NAZIONI UNITE. DISTINZIONE DEI DUE ELEMENTI E LORO RAPPORTO

Per spiegare in breve il modo di vedere sin qui esposto useremouna distinzione sicuramente familiare a tutti i giuristi. Ci riferiamo al-la distinzione, nel mondo del diritto, fra il relationnel e l’institution-nel: distinzione che suona in francese meglio che in italiano. Orbene,la Carta delle Nazioni Unite resta essenzialmente, per quanto riguar-da le relazioni degli Stati fra loro e di questi con l’organizzazione,nell’ambito del relationnel.

Beninteso, non è che manchi del tutto, in quello che chiamiamo ilsistema ONU, l’institutionnel; ma l’institutionnel è quello che si tro-

12 Ci riferiamo, beninteso, alla sovranità – nel senso di indipendenza e “fattualità”– degli Stati in quanto soggetti del diritto internazionale; non nel senso nel quale a no-stro avviso impropriamente si parla di sovranità come esenzione da, o non soggezionea, obblighi da diritto internazionale (Le Domaine réservé ecc., cit., pp. 439-448). Ladistinzione fra sovranità-libertà e sovranità-indipendenza non sembra essere stata te-nuta nel debito conto nel corso dell’88° Meeting della “American Society of Interna-tional Law” dedicato alla “Transformation of Sovereignty” (ASIL, Proceedings,1994, passim). I “buchi” nella sovranità determinati dall’estensione dell’“area of in-ternational obligation”, i quali riducono soltanto la sovranità-libertà degli Stati, sonouna cosa; i “buchi” alla sovranità-indipendenza sono tutt’altra. I secondi sono non sol-tanto molto meno cospicui dei primi ma, là dove si verificano, non colpiscono in pra-tica la sovranità-indipendenza di tutti gli Stati nella stessa maniera o misura. Certi Sta-ti appaiono, in effetti, più colpiti di altri, e spesso a vantaggio degli Stati che, in effet-ti, ne sono colpiti meno, quando non ne sono del tutto immuni. Penso alla differenzafra Stati deboli, da una parte, e Stati forti, dall’altra. La sovranità-indipendenza dei se-condi sembra in certi casi, al giorno d’oggi, addirittura più solida e impenetrabile chenel passato.

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va dentro le strutture interindividuali delle quali le Nazioni Unite so-no dotate per poter funzionare. Parliamo dell’apparato dell’ONU, ilquale comprende, da una parte, il Segretariato; dall’altra parte, i col-legi di individui che, come delegati degli Stati membri oppure a tito-lo personale, compongono i vari organi. Insieme, i membri del Se-gretariato e i componenti degli organi formano senza dubbio un am-biente sociale interindividuale entro il quale si manifestano fenome-ni di organizzazione che presentano un grado notevole di analogiacon quelli propri di un’assemblea parlamentare nazionale. Entrol’ambito di siffatto apparato si danno certamente rapporti di sovra- esub-ordinazione di natura istituzionale.

Tutto il resto rimane però, a nostro avviso, nell’ordine del rela-tionnel puro e semplice, ossia di quello che il compianto CollegaSperduti – che non la pensava però come noi sulle Nazioni Unite –chiamava “diritto delle relazioni intersoggettive”. Restano nel rela-tionnel, per essere esatti, sia i rapporti degli Stati membri fra di loro,sia, e specialmente, i rapporti fra l’ONU (come unità ovvero nei sin-goli suoi organi) e gli Stati membri individualmente o collettivamen-te considerati. Si distinguono insomma nettamente, entro il sistemaONU, i rapporti meramente contrattuali fra gli Stati da un lato, e l’or-ganizzazione interna dell’apparato, dall’altro lato.

Quanto ai rapporti dell’ONU con gli Stati membri, non si vede laprima investita di poteri nei riguardi dei secondi. L’ONU opera, neiconfronti degli Stati, in maniera non diversa da come opera, nel deci-dere una controversia fra due Stati, un tribunale arbitrale. Così comeil tribunale arbitrale non esercita un potere o una supremazia nei con-fronti degli Stati-parti (e lo stesso vale, mutatis mutandis, per la Cor-te internazionale di Giustizia), l’ONU non esercita una supremaziasugli Stati membri. Così come la obbligatorietà della sentenza arbi-trale o giudiziaria internazionale riposa soltanto sull’accordo fra leparti (o su di una norma consuetudinaria di contenuto conforme),l’obbligatorietà delle decisioni ONU riposa sul “contratto” fra gliStati membri. Ciò non sembra contraddetto né dal fatto che la Cartapreveda la costituzione e il funzionamento di organi permanenti, nédal fatto che alcune decisioni degli organi siano prese a maggioranzaanziché all’unanimità; e neppure dal fatto – del quale si fa sempremaggior caso – che il Consiglio di Sicurezza, per l’appunto, abbianon solo il potere di prendere decisioni vincolanti e misure della por-

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tata di quelle di cui al Capo VII e agli artt. 24 e 25 della Carta, ma siacomposto di un gruppo ristretto di Stati, alcuni dei quali sono dotati,oltre che di maggiore potenza, di un grado elevato di privilegio giuri-dico attivo e passivo.

Queste caratteristiche dell’ONU sembrano spiegabili giuridica-mente nel modo piano e realistico testé indicato. Sia l’obbligo di atte-nersi alle decisioni dell’Assemblea Generale in tema di contributi al-le spese, sia gli obblighi degli Stati di attenersi a certe decisioni delConsiglio di Sicurezza, si spiegano agevolmente, dal punto di vistadel diritto internazionale, come situazioni giuridiche degli Stati interse nonostante il fatto che il contenuto concreto di certi obblighi sia, adate condizioni, determinato dalle delibere dell’uno o dell’altro orga-no. Beninteso, l’osservanza da parte di ciascuno Stato dei propri ob-blighi pattizi verso ciascuno degli altri (e di tutti gli altri insieme) sipuò anche esprimere, per comodità di linguaggio, in termini di sog-gezione all’organo e, per esso all’ONU come persona. Ma trattasi diun comodo di linguaggio che non altera la sostanza giuridico-socio-logica delle cose.

Per esempio, le decisioni con le quali l’Assemblea Generale deter-mina, in forza dell’art. 17 della Carta, i contributi dovuti dagli Statimembri per le spese dell’organizzazione obbligano – a ben guardare –ciascuno Stato nei riguardi di tutti gli altri piuttosto che verso l’ONU.È vero che l’art. 19 della Carta stabilisce che il membro moroso (perpiù di due anni di contributi) “non ha voto” nell’Assemblea. A parteperò il fatto che tale apparentemente automatica sanzione non è maistata applicata a Stati morosissimi – e a parte il fatto che per attuarlaoccorrerebbe, a quanto sembra, che uno o più Stati prendessero l’ini-ziativa di esigerne l’applicazione e la maggioranza dell’Assemblea vo-tasse in tal senso – non si vede che cosa l’ONU possa fare nell’ipotesiverosimile che il debito restasse insoluto malgrado la sanzione: san-zione non applicata, per esempio, agli Stati Uniti d’America che sonoin evasione da vari anni per somme molto cospicue 13.

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13 Sulla gravità del debito accumulato da alcuni Stati vedasi S.M. SCHWEBEL (oraPresidente della Corte internazionale di Giustizia), Fifty years of the World Court: aCritical Appraisal, intervento del 28 maggio 1996 alla “American Society of Inter-national Law” (in ASIL, Proceedings, 1996).

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Che cosa potrebbe fare l’ONU? Una domanda di pagamento, sì,ma che altro? Non vediamo l’ONU, che non avrebbe titolo per adireal riguardo la Corte internazionale di Giustizia in sede contenziosa,ottenere il deferimento della questione a un tribunale arbitrale. Menoancora si vede la possibilità per l’ONU di ricorrere a contromisure –vale a dire alla rappresaglia – contro l’evasore. Soltanto gli altri Statimembri avrebbero titolo, secondo il diritto internazionale generale,per adottare contromisure onde ottenere l’adempimento. Creditori insenso proprio, in grado di esigere, sembrano dunque gli Stati membripiuttosto che l’ONU. Questa non risulta dunque giuridicamente so-vraordinata agli Stati agli effetti finanziari. Semmai è agli Stati su-bordinata.

La situazione non sembra diversa riguardo all’obbligo degli Stati diconformarsi alle decisioni del Consiglio di Sicurezza in merito alle mi-sure non militari di cui all’art. 41 della Carta, misure da prendersi inconcreto dagli Stati. Vale lo stesso discorso appena fatto riguardo alledecisioni dell’Assemblea basate sull’art. 17.

Le cose starebbero a prima vista diversamente riguardo alle misu-re militari di cui all’art. 42, giacché il Consiglio per la sicurezza do-vrebbe poter ricorrere a tali misure direttamente, qualora le misure dicui all’art. 41 risultassero inadeguate. L’art. 42 dice infatti che in talcaso il Consiglio “può intraprendere, con forze aeree, navali o terre-stri, ogni azione necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la si-curezza internazionale”. Ma questa disposizione – la più rilevantedella Carta ai fini della valutazione della capacità di azione propriadell’ONU – è rimasta lettera morta, e sembra destinata a restare tale,come si accennava, nonostante la fine della guerra fredda, a causadella mancata attuazione delle disposizioni dell’art. 43 ss., le qualiprevedono l’obbligo degli Stati membri di mettere delle forze armatea disposizione del Consiglio, nonché il compito di un “Comitato diStato Maggiore” di “consigliare e coadiuvare il Consiglio… in tuttele questioni” riguardanti le sue esigenze militari e l’impiego e il co-mando delle forze disponibili. La mancata attuazione di tali normenon solo induce a dubitare seriamente dell’esistenza di un minimo diistituzionalizzazione della sicurezza collettiva nelle mani del Consi-glio di Sicurezza ma ha già determinato situazioni che denuncianol’inesistenza di ogni parvenza di tale fenomeno.

Tutte le volte che il Consiglio ha applicato l’art. 42 esso è ricorsoal metodo di “autorizzare” gli Stati membri disponibili (e il più delle

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volte notoriamente interessati) a usare la loro forza militare – sotto illoro proprio controllo e comando – nei riguardi dello Stato o del ter-ritorio de quo. Non si è dunque ancora visto un caso di effettivo eser-cizio diretto di coercizione militare da parte del Consiglio nei con-fronti di uno Stato: e solo un caso del genere proverebbe l’esistenzaeffettiva, nelle mani dell’ONU, di un potere di coercizione militare.

Si legge frequentemente, nei commenti degli internazionalisti, checon la rinuncia all’uso della forza di cui al par. 4 dell’art. 2 della Car-ta e con l’attribuzione al Consiglio di Sicurezza dei compiti di cuiall’art. 24, al Capo VII e ad altre disposizioni, gli Stati membri del-l’ONU avrebbero delegato a quell’organo la funzione già loro spet-tante di mantenere, se necessario con la forza militare, la pace e la si-curezza. A parte il fatto che non sembra proprio che il diritto interna-zionale generale attribuisse (o attribuisca) agli Stati una funzione delgenere (vale a dire una funzione di sicurezza collettiva in senso tecni-co come qualcosa di diverso da una semplice libertà o diritto di auto-tutela individuale o collettiva) – il che induce a dubitare del “trasferi-mento” della stessa funzione al Consiglio – non si vede bene comeuna “funzione” possa ritenersi comunque acquisita dal Consiglio sinoa quando quell’organo non venga in possesso dei mezzi indispensabi-li per svolgerla. Non vediamo insomma, per dirla tutta, come sia sta-ta creata, mediante la Carta, una “funzione di sicurezza collettiva” nelsenso con cui si parla di funzione o potere di diritto pubblico entro unordinamento giuridico nazionale.

La ricordata prassi consistente nell’autorizzare azioni militari daparte degli Stati, e degli Stati disponibili – prassi caratterizzata dal-l’assenza di ogni adeguato controllo da parte dell’ONU in merito al“se”, al “quando” e al “quanto” dell’azione militare, nonché in meri-to ai seguiti da dare all’azione una volta conclusa – indica che si è or-ganizzato ben poco.

La forza resta nelle mani degli Stati, e specie di alcuni di essi; e ilsistema non va molto al di là dell’attribuzione ad alcuni Stati di diritti,facoltà o poteri non dissimili, in buona sostanza giuridica, da quelliche si rinvenivano o si rinvengono in accordi di alleanza ineguale. Ilsolo elemento istituzionale sembra costituito, entro il sistema dellaCarta, dal ruolo del Consiglio di Sicurezza nell’accertamento degliestremi del casus foederis. Anche tale elemento, tuttavia, troverebbeperfettamente posto, mutatis mutandis, entro il quadro meramente

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contrattual-privatistico di una alleanza ineguale. Anche entro un’al-leanza ineguale è perfettamente concepibile che la determinazione delverificarsi del casus foederis venga affidata, anziché ai vari alleati o adalcuni di essi, a un organo collettivo più o meno rappresentativo, occa-sionale o permanente: organo le cui decisioni potrebbero ben esserenon del tutto esenti da un qualche controllo da parte dei vari alleati,operanti collegialmente o singolarmente.

Anche qui dunque, nel settore nel quale a detta dei “costituziona-listi” la Carta avrebbe maggiormente innovato, si resta, nonostante laCarta – eccezion fatta per l’ordinamento interno dell’apparato –nell’ordine del puro relationnel, proprio come nell’alleanza ineguale.A meno di non scambiare, s’intende, il maggior potere di fatto di ta-luni Stati-membri “forti” del Consiglio di Sicurezza, e dei loro appa-rati politico-militari, con un potere di supremazia giuridica dell’appa-rato dell’ONU: il che non si manca di fare, come vedremo, da qual-che parte.

V. INFONDATEZZA DELLA NOZIONE DELLE NAZIONI UNITE COME “CO-MUNITÀ INTERNAZIONALE PARTICOLARE” O “COMUNITÀ INTERNA-ZIONALE ORGANIZZATA”

Le valutazioni esposte sin qui sembrerebbero messe in questione, aprima vista, da quei due corollari più specifici delle teorie costituzio-nalistiche che sono, come notato sopra, il concetto della comunità in-ternazionale “speciale” o “particolare” (o “comunità internazionaleorganizzata”) degli Stati membri, e la pretesa analogia dell’ONU conle forme associative personificate di diritto interno.

Secondo la formulazione più diffusa del primo concetto, l’entratain vigore della Carta avrebbe segnato la creazione, fra gli Stati mem-bri dell’ONU (se non addirittura fra tutti gli Stati), di una comunitàparticolare o speciale caratterizzata, rispetto alla comunità generaleretta dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio ordinario, daun grado più elevato di accentramento: il quale ne farebbe, per l’ap-punto, una “comunità internazionale organizzata”.

Stando al secondo concetto, strettamente legato al primo, la co-munità ONU così concepita sarebbe dotata, per volontà dei suoi fon-datori o per effetto di sviluppi ulteriori, di una specie di personalità

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giuridica idonea a collocarla, in un senso non precisato, al di sopradegli Stati membri – “over and above”, per dirla con le parole delFitzmaurice più avanti ricordate – se non addirittura al di sopra degliStati tutti.

Della nozione di comunità abusano un po’ tutti gli studiosi e nonsoltanto quelli che professano teorie decisamente costituzionalistiche.Alcuni autori sostengono, per esempio, che ogni trattato bilaterale omultilaterale (e non soltanto i trattati istitutivi di organi internazionali)crei una comunità fra gli Stati contraenti. Vi è anche chi parla del-l’Unione Postale Universale come di una “comunità postale universa-le” operante su un “territorio postale” altrettanto universale; e vi è chiparla dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia come di unatto istitutivo di una “comunità giudiziaria” internazionale. Nel campodell’organizzazione internazionale (la Società delle Nazioni, le Nazio-ni Unite e le varie Agenzie specializzate) il concetto di più comunitàinternazionali particolari – differenziate rispetto alla comunità corri-spondente al diritto internazionale generale – appare enfatizzato, sor-prendentemente, anche da Roberto Ago, che pure non sembrava pro-fessare teorie costituzionalistiche 14.

Limitando il discorso alle Nazioni Unite, la presenza di una co-munità particolare o speciale (ovvero di una “comunità internaziona-le organizzata”) sembra superflua e implausibile ad un tempo.

La futilità della nozione di una comunità sottostante alla Carta oda questa creata è palese se solo si confronta la situazione creata dal-la Carta con i già ricordati fenomeni costituiti dalle varie specie di ar-bitrato fra Stati e dal regolamento giudiziario davanti alla Corte inter-nazionale di Giustizia. Sia che il giudizio arbitrale provenga, comeaccade quasi sempre, da un tribunale ad hoc composto di privati, siache esso sia affidato a uno Stato terzo, la forza giuridica della senten-za non riposerà, né sull’autorità di una supposta “comunità arbitrale”creata dal compromesso fra i due Stati in lite, né, del resto, sul-l’autorità del tribunale stesso o dello Stato terzo-arbitro quale organodi una tale comunità. Come notavamo sopra, la forza obbligatoria del-la sentenza deriva, puramente e semplicemente, dall’obbligo recipro-co degli Stati-parte, quale esso deriva a sua volta dal compromesso o

14 AGO, Comunità internazionale universale e comunità internazionali particola-ri, La comunità internazionale, vol. V, 1950.

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tutt’al più da una norma non scritta. Lo stesso dicasi, mutatis mutan-dis, per le sentenze della CIG.

Così stando le cose, non si vede in qual senso la situazione sareb-be diversa nell’ipotesi che, ceteris paribus, al posto del tribunale ar-bitrale, dello Stato terzo-arbitro o della CIG si trovi un certo numerodi organi creati o chiamati in causa da un trattato fra Stati quale laCarta. A nostro avviso la situazione non cambia affatto. La questionedi sapere se un trattato del genere crei una comunità (eventualmentedotata di autorità) attiene alle relazioni degli Stati partecipanti fra diloro e alle relazioni fra questi e gli organi internazionali costituiti.Non è una questione di relazioni fra gli organi. Il fatto che l’organi-smo creato sia mono-organico (come nell’arbitrato e nel regolamentogiudiziario) o pluriorganico potrà avere rilievo dal punto di vista del-la distinzione dei ruoli degli organi e dell’efficienza dall’ente nel suoinsieme; non rileva agli effetti della esistenza di una comunità giuri-dica speciale fra gli Stati partecipanti. Ugualmente ininfluente è il ca-rattere multilaterale del trattato costitutivo o la natura permanente de-gli organi. Benché lo Statuto della CIG sia un trattato multilaterale eistituisca un organo permanente, nessuno pensa seriamente che fra gliStati ad esso partecipanti esista, come fondamento o effetto dellostrumento stesso, una comunità.

Orbene, così come non vi è necessità né prova dell’esistenza diuna comunità arbitrale o giudiziaria come presupposto dell’ob-bligatorietà delle sentenze dei tribunali arbitrali o della CIG, non sivede né la necessità né la prova dell’esistenza di una “comunitàONU” per fondare l’obbligatorietà di una delibera dell’Assembleafondata sull’art. 17.2 della Carta o di una delibera del Consiglio di Si-curezza in base agli artt. 39, 41 o 42. Ciò vale a maggior ragione perle raccomandazioni.

Venendo all’inverosimiglianza della comunità speciale, il puntoessenziale è che il trattato istitutivo – la Carta – non è uno strumentogiuridico idoneo a realizzare un tale prodigio. Nell’ambito di un di-ritto internazionale concepito realisticamente quale insieme dellenorme che regolano le relazioni fra gli Stati come enti fattuali indi-pendenti, coesistenti come uguali entro la società umana universale,ma non già nel quadro di una comunità giuridica interindividuale delgenere umano, qualsiasi organizzazione istituita mediante accordofra Stati porta in se stessa, quali che ne siano i pregi e le manchevo-lezze, un difetto originario insito nella natura dell’atto mediante il

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quale essa venne creata: l’accordo, il patto fra Stati. E l’accordo fraStati è uno strumento giuridico molto meno portentoso di quanto leteorie costituzionalistiche della Carta sembrano ritenere. Esso è soloun nudo contratto privatistico fra enti indipendenti.

Il rilievo dell’inesistenza – agli effetti della determinazione dellanatura dell’ONU – di una comunità giuridica del genere umano sem-bra inadeguatamente apprezzato dal giudice Fitzmaurice, che pure siè avvicinato, in una pregevole opinione dissidente, al problema chenoi ci poniamo 15. Come è noto, gli Stati che negli anni 1960-1966agivano dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia per affermarel’obbligo del Sudafrica di sottoporre la Namibia (ad esso affidata co-me Mandato internazionale dopo la prima guerra mondiale) al regimedei territori dipendenti instaurato dalla Carta delle Nazioni Unite, so-stenevano che l’ONU fosse succeduta ope legis alla Società delle Na-zioni nelle funzioni e nei poteri di controllo (sui Mandati) ad essa So-cietà già spettanti. Essi affermavano in particolare che una successio-ne legale fosse derivata automaticamente dal fatto che i due enti tro-vavano entrambi il loro fondamento nel diritto di una “comunità mon-diale (o internazionale) organizzata”, della quale entrambi costituiva-no “la realizzazione o l’espressione istituzionale”. Secondo il Fitz-maurice tale argomento – da lui denominato “Organized World (orInternational) Community Argument” – era privo di fondamento: eciò, egli spiegava, “because the so-called organized world communityis not a separate juridical entity with a personality over and above,and distinct from, the particular international organizations in whichthe idea of it may from time to time find actual expression. In the daysof the League (of Nations) there was not (a) the organized worldcommunity, (b) the League. There was simply the League, apart fromwhich no organized world community would have existed. The no-tion therefore of such a community as a sort of permanent separateresidual source or repository of powers and functions, which are re-absorbed on the extinction of one international organization, and thenautomatically and without special arrangement, given out to, or takenover by a new one, is quite illusory” (corsivo nostro).

Orbene, noi riteniamo che se una comunità mondiale concepitacome “a sort of permanent separate residual source or repository of

15 Mi riferisco all’opinione dissidente citata supra, nota 11, pp. 220 ss., spec. 241.

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powers and functions” non esisteva all’epoca della fondazione del-l’ONU nel 1946 (come Sir Gerald giustamente sosteneva nella citataopinione) a giuridico fondamento di una continuità, in capo all’ONU,dei poteri e delle funzioni della cessata Società delle Nazioni, essanon esisteva neppure – a causa della natura inorganica e puramenteinterstatale della “comunità internazionale” – agli effetti della crea-zione della Società delle Nazioni o dell’ONU come “organismo” do-tato di funzioni e poteri costituzionali di supremazia nei confronti de-gli Stati. Perché un tale risultato fosse realizzabile, la “comunità in-ternazionale” avrebbe dovuto costituire già di per sé, per dirla con ilFitzmaurice, “a separate juridical entity with a personality over andabove (States)”: cosa che essa non era né secondo il Fitzmaurice stes-so né secondo noi. Nessun ente poteva essere pertanto collocato “overand above States”, né dal trattato istitutivo della Società delle Nazio-ni nel primo dopoguerra, né dal trattato istitutivo dell’ONU nel 1946:e ciò, principalmente, a causa dell’inidoneità del mero accordo fraStati a realizzare un siffatto risultato.

L’inesistenza di una “(world) community as a sort of permanentresidual source or repository of powers and functions, which are re-absorbed on the extinction of one international organization, and thenautomatically and without special arrangement, given out to, or takenover by a new one” non è altro, a ben guardare, che la lacuna che so-pra denunciavamo nel constatare l’inesistenza di una vera comunitàgiuridica del genere umano, quale preteso fondamento delle teorie“costituzionalistiche” del diritto e dell’organizzazione internazionale.Trattasi precisamente dell’inesistenza, nella società umana universa-le, di quelle idee (e sentimenti) di “nazione”, “comunità” e/o quan-t’altro, che sono invece normalmente presenti in ogni società nazio-nale, ove costituiscono il fondamento primo e ultimo della continuitàdello Stato (nel diritto nazionale) in caso di rivoluzione, colpo di Sta-to o altra rottura della continuità costituzionale16.

16 Ciò che a nostro avviso non è accaduto, allorché l’ONU è stata costituita (do-po che la Società delle Nazioni era venuta meno) è quanto invece accade (di norma)allorquando un nuovo governo subentra (anche se per via rivoluzionaria) ad un altro.In tal caso la “successione” è automatica giacché nella società umana de qua – ossiain quella che gli studiosi di diritto costituzionale chiamano Stato-comunità – esisteva

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Del resto, anche nell’ipotesi che un tale risultato fosse teorica-mente realizzabile mediante il mero patto fra Stati, esso in pratica nonfu realizzato a S. Francisco. Lo dimostrano le riserve – sovrana ugua-glianza, indipendenza e competenza nazionale – che ricordavamo so-pra. Tali riserve indicano che gli Stati fondatori non intendevano as-sumere, una volta che la Carta fosse entrata in vigore, la condizionesubordinata che è tipica degli Stati membri di uno Stato federale e diogni altra specie di comunità parziale entro una comunità nazionale.

Un esempio di tale condizione è lo status che i tredici Stati mem-bri originari della Federazione americana avevano implicitamente co-minciato ad assumere, in un certo grado, nell’ambito di quella societàsin da prima dell’entrata in vigore della costituzione del 1787-1791.Al contrario, gli Stati membri dell’ONU hanno chiaramente inteso, etuttora confermano, di non rinunciare allo status del quale godevanoprima dell’entrata in vigore della Carta. Non si vede dunque in qualesenso si possa parlare dell’ONU come di una comunità. Gli Stati e iloro popoli sono rimasti nella condizione nella quale si trovavano inprecedenza: il che, beninteso, non rende la fondazione dell’ONU me-no importante di quanto generalmente si pensa.

VI. REALE FONDAMENTO E NATURA NON FUNZIONALE DELLA PERSONA-LITÀ INTERNAZIONALE DELLE NAZIONI UNITE. IL VERO SENSO DEL

GENERALE RIGETTO, DA PARTE DEGLI STATI E DEGLI STUDIOSI, DEL-LA NOZIONE DELLE NAZIONI UNITE COME “SUPER STATO”

Più delicato è quell’aspetto ulteriore della pretesa analogia del-l’ONU con le forme associative tipiche delle comunità giuridiche na-zionali, che attiene alla natura della personalità dell’ONU, intesa co-me comunità degli Stati membri o dei loro popoli. Non essendo sem-pre chiaro in quale senso si parli di personalità internazionale del-l’ONU, la detta analogia si presta facilmente ad accreditare l’idea chela Carta abbia attribuito all’organizzazione una supremazia giuridica

e continua ad esistere lo Stato come “residual source and repository of powers andfunctions”. È grazie a ciò che le funzioni e i poteri dello Stato-persona (di diritto in-terno) “continuano” nelle mani delle nuove istituzioni dalle quali lo Stato-comunità ègestito.

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che a nostro avviso soltanto il diritto internazionale generale potreb-be attribuirle, ma non le attribuisce.

È evidente che l’ONU non solo esiste come unità in fatto capacedi volere e agire con un certo grado di indipendenza dai singoli Statima è anche idonea a intrattenere come tale relazioni internazionalicon gli Stati e gli enti assimilati. Ne consegue che l’ONU presenta,sempre che gli Stati membri ne salvaguardino, con i loro comporta-menti, l’effettiva indipendenza, i requisiti essenziali della personalitàinternazionale. Materie nelle quali l’idoneità in parola si manifestasono i privilegi e le immunità nel territorio degli Stati (e specie negliStati di sede), le relazioni diplomatiche, il trattamento dei dipendentidell’ONU da parte degli Stati, la conclusione di accordi della specie edei contenuti più vari.

La personalità internazionale dell’ONU va però qualificata perquanto riguarda la fonte e la natura.

i) Quanto alla fonte, abbiamo sottolineato da lungo tempo che lapersonalità internazionale dell’ONU non è un effetto della Carta (cheprevede solo l’attribuzione all’ONU della personalità da parte degliStati membri nei rispettivi ordinamenti). La personalità internaziona-le dell’ONU deriva, al pari di quella di ogni altro soggetto – Stato o“non-Stato” – dal diritto internazionale generale. Non condividiamo,a tale riguardo, quanto asserito dalla CIG nel suo parere del 1949 nelcaso Reparation for Injuries Suffered in the Service of the United Na-tions17. Beninteso, la Carta ha un ruolo essenziale, giacché è in attua-zione della Carta che l’ente si è fisicamente costituito e sussiste in fat-to come possibile titolare di diritti e obblighi internazionali. Tale ruo-lo non è però comparabile né al ruolo diretto dell’atto di fondazionerispetto alla personalità di un ente morale di diritto interno, né al ruo-lo – ancora più diretto – della legge istitutiva rispetto alla personalitàdi un comune, di una provincia o di una regione.

ii) Ancora più importante è la definizione della natura della perso-nalità internazionale dell’ONU. Dire che l’ONU è persona di dirittointernazionale non implica che l’Organizzazione sia dotata di unasoggettività funzionale: non funzionale, quantomeno, nel senso in cuiè tale la soggettività degli enti morali pubblici e privati di diritto in-

17 ICJ Reports, 1949, p. 179.

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terno. Anche qui dobbiamo reiterare il nostro disaccordo da quantoaffermato dalla CIG nel suo parere nel caso Reparation. Contraria-mente agli obiter dicta della Corte, la personalità dell’ONU è perso-nalità primaria, analoga a quella di ogni altra persona internazionaleprimaria, quale uno Stato o la Santa Sede. Come tale, detta persona-lità resta nell’ambito del relationnel. Essa non implica una sovraordi-nazione dell’ONU rispetto agli Stati, assimilabile a quella suprema-zia alla quale si pensa quando si nega, per l’appunto, che l’ONU siaun super-Stato18. L’idea che la Carta (ossia un mero accordo fra Sta-ti) abbia determinato da sola l’effetto composito, per così dire, dellapersonalità giuridica e della giuridica sovraordinazione, è un ulterio-re portato dell’arbitraria analogia che numerosi studiosi espressa-mente o implicitamente assumono (ma non dimostrano) con fenome-ni e concetti propri del diritto interno.

Se ne deve concludere, a nostro avviso, che anche riguardo allapersonalità come riguardo alla nozione di “comunità speciale”, lo sta-tus internazionale dell’ONU non differisca – mutatis mutandis – daquello di un tribunale arbitrale o di uno Stato terzo-arbitro. Se l’orga-no giudicante non è dotato di personalità, come sembra sia il caso deitribunali arbitrali e della CIG, il difetto della personalità non incideminimamente sulla forza giuridica vincolante della sentenza, forzache deriva, lo abbiamo notato sopra, solo dall’accordo degli Stati-par-

18 Al Presidente degli Stati Uniti fu spiegato nel 1945 che l’art. 104 della Cartanon contemplava la personalità internazionale dell’Organizzazione perché il Comita-to (della Conferenza di S. Francisco) che aveva discusso la questione (ossia la propo-sta belga che la Carta precisasse che l’Organizzazione possedeva una personalità in-ternazionale insieme con i diritti in essa impliciti) si era preoccupato di evitare qual-siasi “implication that the United Nations will be in any sense a super-State” (Reportto the President on the Results of the San Francisco Conference, 26 giugno 1945,State Department Publication 2349, Conference Series 71, pp. 157-158). Una qualcheconnessione fra la personalità dell’Organizzazione e l’idea del super-Stato emergeanche nel parere della CIG nel caso Reparation for Injuries Suffered in the Service ofthe United Nations, cit. Nel concludere che l’Organizzazione era dotata di personalitàinternazionale, la Corte ritenne opportuno precisare che ciò “was not the same thingas saying that it is a state, which it certainly is not ... Still less is it the same thing assaying that it is a “super-State”, whatever that expression may mean”. Benché questodictum indichi che la Corte non aveva le idee ben chiare sulla natura della personalitàdell’ONU, esso sembra confortare la nostra opinione che la personalità dell’ONU èdi natura primaria e non funzionale (nel senso spiegato nel testo).

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te. Se una personalità è invece presente, come nel caso (poco fre-quente) dello Stato terzo-arbitro, non ne consegue alcuna modificadella situazione giuridica: la forza vincolante della decisione non de-riverà certo dall’assunzione da parte dello Stato terzo, benché perso-na, di una qualsiasi supremazia nei confronti degli Stati in lite. La for-za giuridica della sentenza sarà, anche in tale ipotesi, soltanto quellache deriva dall’accordo fra questi.

Allo stesso modo, il possesso della personalità internazionale,benché utile ad altri fini, non influisce significativamente sullo status“funzionale” dell’ONU nei riguardi degli Stati (membri o non mem-bri). Certo, la personalità (primaria) dell’ente consente all’ONU diessere partecipe di relazioni e situazioni giuridiche internazionali es-senziali per la sua esistenza e la sua attività: e ciò ha indubbiamenteun peso – benché indiretto – sul funzionamento stesso dell’organiz-zazione. Ma quanto all’esercizio delle funzioni in sé e per sé conside-rate, l’Organizzazione non opera già come una persona giuridica-mente investita di veri e propri poteri nei confronti degli Stati: nonopera cioè, per essere esatti, “over and above” gli Stati più di quantonon lo faccia un tribunale arbitrale.

La personalità dell’ONU non è dunque funzionale nel senso in cuiè tale la personalità di un ente morale pubblico o privato di diritto in-terno. Dietro gli obblighi di ciascuno Stato membro sanciti dalla Car-ta, compresi quelli che vengono in essere (o si concretizzano) in se-guito a decisioni degli organi dalla Carta previsti, non troviamo l’or-ganizzazione come agente o trustee degli Stati o della comunità giu-ridica universale. Vi troviamo solo l’autorità del diritto internaziona-le e, al di sotto di questo, i diritti, i poteri, le facoltà degli altri Statimembri, cioè degli altri Stati partecipanti alla Carta.

Nel riconoscere che l’ONU è dotata di personalità internazionale –benché solo primaria e non funzionale – siamo meno guardinghi delnostro Maestro Gaetano Morelli, il quale spiegava il fenomeno in ba-se alla teoria degli “organi comuni” degli Stati19. Elemento per noidecisivo è il grado di effettiva indipendenza con la quale l’ONU rie-sce a operare nelle relazioni con gli Stati membri e non membri. Neconsegue che la personalità e la stessa vitalità dell’organizzazione di-

19 G. MORELLI, Nozioni di diritto internazionale, 1963, pp. 237-242.

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pendono in misura notevole dal rispetto che in qualunque momentogli Stati (e specialmente i maggiori fra gli Stati membri) portino ef-fettivamente alla organizzazione.

La personalità internazionale dell’ONU potrebbe essere seriamen-te pregiudicata qualora avessero successo i tentativi di determinati Sta-ti o gruppi di Stati di usare l’Organizzazione come strumento dellapropria politica estera. Così facendo, gli Stati farebbero dell’ONU unapropria longa manus, contraddicendo così pericolosamente l’ideastessa di una distinta personalità internazionale dell’ente.

Tutto ciò conferma che pur essendo l’ONU, come si diceva, unaOrganizzazione avente la sua costituzione nella Carta, la Carta stessanon è, a ben guardare, “la costituzione” o “una costituzione” della co-munità degli Stati ovvero di una comunità giuridica del genere umano.

Anziché organizzare gli Stati membri o i loro popoli, l’ONU or-ganizza, come si accennava, una parte delle relazioni fra gli Statimembri e della cooperazione fra questi. Al pari di altri enti interna-zionali, l’ONU svolge, vuoi attività internazionali in senso stretto,vuoi, sulla base di strumenti pattizi supplementari rispetto alla Carta,le attività c.d. operative più sopra menzionate.

i) Nel primo di questi due ruoli, gli organi dell’ONU operano, neiriguardi degli Stati, come una specie ulteriore di strumenti, aggiuntivirispetto agli organi diplomatici ordinari, per la gestione di rapportiugualitari essenzialmente inalterati fra gli Stati medesimi. Nel predi-sporre, mediante la Carta, quelle che chiamiamo attività internaziona-li in senso stretto – vale a dire le attività che consistono nell’indirizza-re decisioni e raccomandazioni agli Stati membri per gli scopi e aglieffetti indicati nella Carta – gli Stati conducono le loro relazioni inuna maniera diversa da come essi le conducono mediante l’ordinariadiplomazia. Essi restano però fra loro giustapposti come prima; e nonsoggetti ad alcuna supremazia.

ii) Nello svolgere le c.d. attività operative gli organi dell’ONU agi-scono (al pari delle istituzioni dette sovranazionali) nei riguardi deisudditi, dei residenti e dei funzionari degli Stati (e nei riguardi degliStati stessi quali persone di diritto interno) come organi degli Staticoinvolti. Gli organi ONU sono a tali fini legittimati in virtù del con-senso specificamente dato dagli Stati medesimi, nonché sulla base del-le norme degli ordinamenti interni di questi adattate agli accordi inter-corsi. Utilizzando occasionalmente organi dell’ONU in tali ipotesi, gliStati gestiscono in maniera diversa alcuni dei loro affari interni o ester-

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ni. Tali affari rimangono tuttavia, in ultima analisi, sotto il controllopolitico e giuridico degli Stati coinvolti, tranne che nella misura in cuigli accordi ad hoc intercorsi con l’ONU prevedano un ruolo diretto diorgani dell’ente: i quali vengono ad operare, in tal caso, come organivicari o sostitutivi degli organi degli Stati in questione.

In nessuno dei suddetti ruoli l’ONU figura in realtà come personadi diritto internazionale sovraordinata agli Stati.

VII. DISTINZIONE FRA L’ELEMENTO “CONTRATTUALE-INTERSTATALE” EL’ELEMENTO “ISTITUZIONALE-INTERINDIVIDUALE” NELLE NAZIONI

UNITE

Una volta messi da parte gli idola rappresentati dalla “comunitàinternazionale speciale” o “organizzata” e dalla personalità funziona-le, sembra ragionevole ritenere che l’entrata in vigore e l’attuazionedella Carta abbiano determinato due ordini di fenomeni.

Da una parte vi è un fenomeno giuridico imponente di natura con-trattuale, inorganica e, nel senso spiegato sopra, “privatistica”. Ci ri-feriamo alle norme della Carta come patto fra Stati e alle relazioni didiritto/obbligo fra Stati membri da esse norme derivanti. È questo unfenomeno grande e grosso per le dimensioni delle unità politichecoinvolte e degli interessi in giuoco ma non per la sua qualità o il suo“peso” normativo.

Da un’altra parte vi è un piccolo fenomeno – microscopicamentepiccolo al confronto con il primo e con il fenomeno che a certe con-dizioni sarebbe auspicabile trovare al suo posto – di natura giuspub-blicistica. Ci riferiamo all’apparato organico interindividuale del-l’ONU.

I seguaci delle teorie interindividualistiche e giuspubblicistichedel diritto internazionale sembrano non percepire affatto, purtroppo,la differenza e l’immenso hiatus che separa i due fenomeni. Nel qua-dro delle loro teorie, essi costruiscono invece un unico immaginarioedificio, nel quale la dimensione colossale del sistema delle relazioni“privatistiche” fra Stati sovrani e la natura pubblicistica delle relazio-ni interindividuali dentro l’apparato organico si trovano sommate omoltiplicate, l’una con l’altra. Di qui l’idea che la Carta sia la costitu-zione di una società internazionale ambiguamente intesa, non si sa

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bene, se come comunità mondiale organizzata degli Stati membri edei loro popoli, oppure come comunità giuridica universale degli uo-mini.

I sostenitori di teorie siffatte sembrano fra l’altro non considerareche qualora la Carta dell’ONU fosse realmente, anziché un trattato isti-tutivo di una mera associazione fra Stati (destinata, come disse a S.Francisco il Segretario di Stato Dulles, a operare soltanto nei riguardidei governi), la costituzione di una comunità giuridica universale de-gli uomini, si tratterebbe invero di una ben povera, pessima costituzio-ne. Certe caratteristiche della Carta, quali la regola “one country onevote” e gli intoccabili privilegi di alcune potenze, saranno pure tollera-bili, faute de mieux, in una associazione interstatale. Esse sarebbero in-tollerabili in una costituzione del genere umano. Se di una tale costitu-zione proprio si trattasse, la Carta così com’è non potrebbe sopravvi-vere. Una riforma radicale sarebbe improrogabile. Un esempio egregiodelle incongruenze di un sistema ONU che fosse concepito come la co-stituzione del genere umano è offerto dalle posizioni assunte dai mem-bri permanenti del Consiglio di Sicurezza nella recente Conferenza diRoma per l’istituzione di una Corte penale internazionale.

VIII. PROVE ULTERIORI EMERGENTI DAL CONFRONTO DELLE NAZIONI

UNITE CON LO STATO FEDERALE

Tornando alla analogia federale, le differenze fra uno Stato fede-rale e l’ONU, ben poche delle quali sembrano adeguatamente ap-prezzate dalla dottrina, sono così immani che il percepirle appieno èdifficile quasi quanto il percepire le distanze interplanetarie.

Tutti rileviamo, prima o poi, quella differenza che consiste nellamancanza, nelle Nazioni Unite, di quel potere “diretto” sui popoli de-gli Stati membri presi, per così dire, come un solo popolo o come ilpopolo dell’unione: che è poi uno dei tratti distintivi più importantidello Stato federale al confronto con la Confederazione. È questa pre-cisamente la situazione che consente al governo federale – per l’ap-punto – di espandere i propri poteri a spese di quelli degli Stati mem-bri, facendo leva direttamente sulle esigenze del popolo, cioè dellabase sociale degli Stati membri. Grazie alla possibilità di arrivare alpopolo, passando sopra le teste degli Stati, il governo federale può in-

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fatti più facilmente prendere la mano agli Stati membri, ampliando ipropri poteri.

È a tale possibilità che si pensa quando si lamenta la povertà deimezzi dei quali un organo internazionale dispone per il fatto di nonessere dotato di quella potestà diretta sugli ambienti sociali interni de-gli Stati che è (o sembra) propria degli organi c.d. “sovranazionali”20.Tutti denunciamo, nel rilevare tale difetto, una debolezza congenita diogni organizzazione internazionale e non “sovranazionale”. È lo stes-so difetto che Hamilton ed i suoi amici federalisti additavano ai loroconcittadini, durante il c.d. “periodo critico” della federazione norda-mericana, sostenendo che si dovesse passare dagli Articles of Confe-deration ad una vera e propria costituzione.

Ma non è solo né tanto per via di tale pur grossa lacuna che l’a-nalogia federale non regge. Ancora più pesante, a riprova della inesi-stenza di qualsiasi analogia federale, è il fatto che i popoli – e gl’indi-vidui che li compongono – non hanno, in quanto soggetti soltanto alpotere dei rispettivi Stati, una istituzionale influenza “diretta” sull’e-ventuale ampliamento, da parte dell’ONU, dei propri poteri a spesedegli Stati membri. In quanto emanazioni degli Stati e non dei popoli,gli organi dell’ONU sono soggetti ai soli “controlli” esercitati o eser-citabili dai governi degli Stati. Nel sistema ONU non si dà nulla di si-mile, per esempio, al controllo che l’intero popolo degli Stati Uniti –vera constituency dell’ordinamento della nazione americana – eserci-ta in tante forme (elezioni, stampa, TV, pubbliche manifestazioni equant’altro) sull’operato degli organi federali, compresa quella prassiche, in applicazione della dottrina dei poteri impliciti, segna un am-pliamento dei poteri del Presidente o del Congresso. Le garanzie chetali mezzi di controllo offrono alla nazione americana non trovano ilminimo riscontro – e non si vede come potrebbero trovarlo – entro unsistema strettamente interstatale come l’ONU. I popoli non hanno, intale sistema, un titolo giuridico internazionale al rispetto, né dei limitidelle competenze dell’ONU o dei suoi organi, né degli stessi “fini” e“principi” dell’ONU indicati dalla Carta.

20 La nostra posizione in tema di “sovranazionalità” (nozione impropriamenteusata anche riguardo alle istituzioni dell’Unione Europea) è spiegata, da ultimo, in LeDomaine réservé ecc., cit., pp. 402-410.

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Ma non è tutto qui. Agli effetti in parola vi sono, fra una costitu-zione federale e la Carta delle Nazioni Unite, differenze, se possibile,ben più astronomiche in un altro senso – e qui ci riferiamo più in par-ticolare al Consiglio di Sicurezza.

Entro il quadro di una costituzione federale – in una società di es-seri umani – le maggioranze politiche diventano minoranze, e vice-versa, in spazi temporali di pochi anni. Qualsiasi potere venga attri-buito allo Stato federale dalla costituzione sarà effettivamente o vir-tualmente esercitato da persone diverse nel tempo. Persino in una dit-tatura, ad un certo punto, qualche cosa cambia, perché anche la vitadel dittatore ha un limite naturale o innaturale. Ogni ampliamentodelle funzioni o dei poteri dello Stato federale – per effetto di inter-pretazione evolutiva o della dottrina dei poteri impliciti – andrà a pro-fitto, per così dire, di qualunque partito, fazione o persona che gover-nerà in futuro.

Le cose stanno ben diversamente nella società degli Stati. Nellasocietà internazionale le posizioni di potere se le contendono, in fattoprima che in diritto, gli Stati, non gli individui o gruppi di individui.Le differenze di mole e di peso fra le cinquanta, cento o duecentounità coesistenti sono qui tendenzialmente permanenti. Mutamenti dirilievo intervengono, tolta l’ipotesi di guerre mondiali che determini-no rivolgimenti catastrofici, con periodicità misurabile non già in an-ni, e nemmeno in decenni, bensì in secoli.

Ne consegue, ovviamente, che qualsiasi distribuzione delle fun-zioni e dei poteri normativi, giudiziari o esecutivi, concordata fra gliStati fondatori di una unione internazionale al momento della con-clusione del patto, presenta – a meno che non si diano idonei rime-di – un grado di permanenza incompatibile con qualsiasi idea di av-vicendamento nell’esercizio delle funzioni e dei poteri assegnati. Èquesta una delle ragioni principali della limitazione dei poteri degliorgani ristretti delle unioni di Stati, ossia la riserva della sovranauguaglianza e della competenza nazionale. Ed è per la stessa ragio-ne che nessuno degli Stati, diversi da quelli che vengono denomina-ti Stati “forti”, può accettare che nell’organo ristretto e più presti-gioso dell’unione, dove i più forti sono rappresentati in condizionedi privilegio, si applichi la dottrina dei poteri impliciti, allo scopo diattribuire un peso maggiore all’organo ristretto: e quindi, in sostan-za, agli Stati membri che all’interno dell’organo possono più deglialtri.

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L’insostenibilità dell’analogia federalistica è confermata da quel-l’altra differenza che è rappresentata dalla profonda diversità degli at-tori coinvolti nel patto di unione internazionale, da una parte, e in unacostituzione federale, dall’altra. Il governo federale che amplia i suoipoteri a scapito di quelli degli Stati membri è, innanzitutto, nominatoe controllato, in tutte le sue diramazioni, dalla nazione intera e non –o non soltanto – da Stati membri o gruppi di Stati membri o da lororappresentanti.

In secondo luogo, ogni ampliamento dei poteri federali si traducenon già nell’ampliamento dei poteri di dati Stati membri nei riguardidi altri Stati membri. Trattasi di un ampliamento dei poteri di deter-minate istituzioni o determinati funzionari federali nei riguardi dellanazione; non si tratta perciò di predominio o prevalenza di uno o piùStati su altri. Si tratta del rafforzamento del primato di una entità chenon è essa stessa uno Stato, bensì un insieme di istituzioni, imperso-nate da individui oltre che legittimate e controllate dall’intero eletto-rato nazionale.

Negli Stati Uniti, per esempio, l’ampliamento del potere federalea spese degli Stati membri non è un aumento del potere dei più gros-si, dei più popolosi, dei più ricchi, insomma dei più “forti” fra gli Sta-ti dell’Unione americana. Nessuno si sognerebbe in quel Paese di ac-cettare che California, New York, Pennsylvania, Illinois, Florida – sa-rebbero questi gli Stati che potrebbero essere prescelti come membripermanenti di un “consiglio di sicurezza” chiamato teoricamente aoperare nell’ambito dell’establishment degli Stati Uniti d’America –acquistino maggiore potere rispetto agli altri Stati membri del-l’Unione.

Va detto dunque che, se è comprensibile e ammissibile che all’attodella fondazione dell’unione si attribuiscano funzioni e poteri mag-giorati a Stati determinati, in considerazione di certe esigenze politi-che o di sicurezza, non è altrettanto comprensibile, e ancor meno am-missibile – in mancanza di adeguate possibilità di avvicendamento edi efficaci controlli di un organo giudiziario e dell’organo politicorappresentativo di tutti gli Stati membri – che i membri privilegiatitentino, e i membri non privilegiati debbano subire, ampliamenti diquelle funzioni e poteri che i secondi non hanno nessuna possibilità diesercitare mai.

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IX. EGEMONIA, DIRITTO INTERNAZIONALE E ORGANIZZAZIONE INTER-NAZIONALE

Non sembra che le concezioni costituzionalistiche dell’ONU e del-la sua Carta possano trovare argomenti a loro sostegno nella posizionedi egemonia occupata da certi Stati – gli Stati “forti” – dentro e fuorile mura della sede dell’ONU. Ci riferiamo di nuovo al fatto che le po-tenze uscite come le più forti dalla seconda guerra mondiale occupanoanche una posizione di privilegio nel Consiglio di Sicurezza e in altriorgani dell’ONU. Unita alle particolari mansioni affidate dalla Cartaal Consiglio e alla natura vincolante delle decisioni di quell’organo(nonché alla possibilità di ricorso alla forza armata prevista nell’art. 42ss.) la presenza di potenze egemoni entro l’apparato dell’ONU è vistada una parte della dottrina come un elemento decisivo a sostegno del-la sovraordinazione dell’ente agli Stati e della natura costituzionaledella Carta. Non crediamo che tale sia il caso per due ragioni.

La prima ragione è che l’egemonia non è un “istituto”, per così di-re, del diritto internazionale. Al pari della guerra – dal diritto interna-zionale tollerata o subita ma non legittimata come un mezzo giuridi-co di “ricambio” delle norme o delle situazioni – neppure l’egemoniaè legittimata dal diritto internazionale generale. L’egemonia riesceanzi ancora più ostica, per così dire, a un diritto internazionale la cuinorma costituzionale più importante è il principio dell’uguaglianzasovrana degli Stati.

Non diremmo pertanto che l’instaurazione o il mantenimento del-l’egemonia di uno o più Stati introduca nel diritto internazionale unelemento di gerarchia o “verticalizzazione” in senso giuridico. Le re-lazioni fra Stato egemone e “Stati-seguito” non assurgono a fenome-ni di gerarchia giuridicamente istituzionalizzata. L’egemonia opera difatto, sul terreno politico, sfuggendo ad ogni definizione giuridica elasciando intatta la struttura paritaria del sistema.

La essenziale paritarietà del sistema internazionalistico non è alte-rata, secondo la dottrina prevalente, nemmeno dai rapporti di supre-mazia consacrati in trattati di alleanza ineguale o di protettorato. Lun-gi dal costituire la sanzione formale di situazioni di supremazia e su-bordinazione giuridico-istituzionale, le situazioni del genere vengonoinfatti ricondotte pressoché unanimemente dagli internazionalisti asemplici restrizioni contrattuali della propria libertà da parte delloStato o degli Stati protetti (o altrimenti condizionati) piuttosto che a

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limitazioni di capacità giuridica che segnino la presenza d’un proces-so giuridico-istituzionale. Non appena si verificasse, poi, un tale ap-pesantimento della supremazia da giustificare una qualificazione di-versa del fenomeno, questo trascenderebbe il piano dei rapporti inter-nazionalistici per spostarsi su quello dei rapporti costituzionali inter-ni, entro una comunità interindividuale costituita dalla fusione più omeno ineguale fra i popoli e le strutture dei due o più Stati coinvolti.

Non è dunque azzardato ritenere che i rapporti giuridici d’ordineinternazionalistico in senso proprio restino in ultima analisi sempre esoltanto quelli paritari, malgrado ogni egemonia.

In secondo luogo, non si vede istituzionalizzata l’egemonia nem-meno entro gli organi nei quali gli Stati forti si trovano ad essere piùuguali degli altri. È improprio oltre che pericoloso confondere, vuoiil predominio esercitato da certi Stati sul piano storico-politico conla posizione che agli stessi Stati venga fatta in seno ad un apparatocome quello dell’ONU, vuoi il meccanismo del quale due o più Sta-ti preminenti si servano nell’esercitare in concerto l’egemonia conun preteso fenomeno di organizzazione giuridica derivante dalla lo-ro preminenza.

È diffusissima per esempio l’idea che il nocciolo organizzativo-istituzionale dell’ONU sia costituito dalla preminenza o dal “diretto-rio” delle cinque, quattro, tre o due, se non una sola, massima poten-za. E si legge non di rado che le organizzazioni internazionali del ti-po della Società delle Nazioni e delle Nazioni Unite trovano i loroprecedenti storici nel Concerto europeo o nella Santa Alleanza e nel-le conferenze internazionali nelle quali queste forme di “concerto” simanifestavano. Idee, queste, tanto più pericolose, in quanto creanol’impressione che il fenomeno egemonico e il sistema ONU venganoin qualche modo a integrarsi vicendevolmente, nel senso che il diret-torio delle potenze presti all’unione la consistenza istituzionale che ilmero patto fra Stati non è idoneo a conferirle, mentre la Carta e l’or-ganizzazione cui essa dà vita conferirebbero alla supremazia degliStati forti quella giuridicizzazione che il diritto internazionale gene-rale a nostro avviso le nega.

Ma sarebbe una deduzione infondata. Il fatto che certi Stati con-corrano più di altri, in seno all’apparato ONU, all’adozione di una de-libera non altera la natura della delibera nei riguardi dei destinatari.La delibera resta quello che è secondo la Carta, vale a dire un ele-mento integrativo di rapporti interstatali di diritto-obbligo creati con-

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trattualmente. Ché se gli Stati forti riescono meglio di altri a imporrea uno Stato membro recalcitrante l’osservanza della delibera, non perquesto la delibera in sé acquista la portata autoritaria che non possie-de. L’obbligatorietà della delibera resta, al pari, ripeto, della sentenzadell’arbitro o della CIG, un fenomeno meramente contrattuale, l’a-zione autoritaria degli Stati forti restando al di fuori del sistema dellaCarta. La contromisura (rappresaglia) degli Stati forti sarà certo infatto più efficace al fine di ottenere l’osservanza di una decisioneONU. Ma riposando sulle medesime norme del diritto internazionalegenerale che consentono il ricorso alla rappresaglia da parte di ogniStato, essa non sarà cosa giuridicamente diversa al confronto con larappresaglia di uno Stato debole.

Beninteso, non si nega l’utilità del fatto che gli Stati siano indottiod obbligati a trovarsi in sede ONU e a discutervi i loro problemi inun certo modo. Sembra chiaro però che non si debba confonderel’azione autoritaria posta in essere dal concerto delle potenze graziealla loro preminenza politica con il meccanismo in seno al quale lestesse potenze deliberano in merito all’azione da intraprendere.

X. RIFLESSI POLITICI INDESIDERABILI DELLE DOTTRINE CRITICATE.QUALCHE ESEMPIO

Ma è tempo di spiegare quale sia, in pratica, il significato del no-stro discorso.

Come tutti gli internazionalisti sanno, la fine della guerra fredda hasegnato un aumento considerevole dell’attività (indicata da alcuni os-servatori come una “rivitalizzazione”) del Consiglio di Sicurezza del-l’ONU. Gli episodi salienti sono stati, nell’ordine in cui vengono allamente, la crisi del Golfo, l’affare Lockerbie, la crisi iugoslava, la guer-ra civile in Somalia, la crisi haitiana e altri. Non vi è fra questi un so-lo caso nel quale non si sia posto o non si ponga tuttora il problemadella delimitazione dei poteri del Consiglio di Sicurezza, e dell’ONUnel suo insieme. Orbene, il Consiglio di Sicurezza ha operato ultra vi-res – ad avviso non solo nostro – in più di un momento o di una fasedi quasi tutti gli episodi indicati. Quanto all’opera dei commentatori,la quale dovrebbe servire, insieme con le reazioni degli Stati, a verifi-care la conformità o meno dell’azione dell’ONU con la Carta e con il

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diritto internazionale generale, essa lascia ancora molto a desiderare.E ciò accade specialmente a causa della prevalenza, nella letteraturadel diritto internazionale, della distorta, benché apparentemente “pro-gressistica”, visione della Carta che siamo venuti criticando.

Conseguenza principale di tale stato di cose è che da un lato si in-coraggiano gli Stati forti a perseverare in scelte e azioni giuridica-mente (e a volte politicamente o moralmente) discutibili. Da un altrolato si scoraggiano, invece di incitarli in senso opposto, i soli attoriche hanno voce in capitolo e che potrebbero resistere, vale a dire i go-verni degli Stati meno forti.

Non che ci si illuda troppo in merito all’influenza esercitata suigoverni dai cultori della nostra materia. Il peso dei loro commentisulle scelte di politica internazionale dei governi è, come tutti san-no, molto relativo. È tuttavia evidente che in tanto la voce degli in-ternazionalisti potrebbe avere un peso, nell’indurre i responsabilidell’azione o dell’inazione del Consiglio di Sicurezza al rispettodei limiti dei poteri ad esso Consiglio (ed a loro stessi) legalmentespettanti, in quanto un numero maggiore degli specialisti della no-stra materia esercitassero sino in fondo il loro spirito critico, resi-stendo alla tentazione alla quale alludevamo in principio: alla ten-tazione cioè di escogitare le migliori formule ed i più sottili argo-menti con i quali giustificare qualsiasi azione o inazione dell’ONU.Ciò vale in special modo, quanto al Consiglio di Sicurezza, per gliinternazionalisti del mondo occidentale, i quali sembrano più pro-pensi a riconoscere poteri impliciti al Consiglio che all’AssembleaGenerale.

Valgano i due esempi seguenti. Negli anni Sessanta e primi Set-tanta, i governi dei Paesi del c.d. Terzo Mondo e dei Paesi comunistisostenevano (non senza un certo appoggio da parte di alcuni interna-zionalisti) che all’Assemblea Generale si dovesse riconoscere unafunzione normativa.

Mi riferisco alla questione del valore giuridico delle “dichiara-zioni di principi” dell’Assemblea Generale. Si sosteneva allora che,essendo lo sviluppo di certi settori del diritto internazionale di vitaleinteresse per la comunità internazionale – ed essendo l’Assembleal’organo “più rappresentativo” della comunità stessa – non si potes-se negare a quel consesso un implicito potere di adottare, a certe con-dizioni di voto o di consensus, norme vincolanti per gli Stati. Ebbe-ne, ci capitò di occuparci del tema (in un corso del 1972 all’Accade-

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mia dell’Aja) e di sostenere l’inconsistenza della tesi, proprio sullabase di una critica delle teorie costituzionalistiche del diritto e del-l’organizzazione internazionale: e ricordiamo bene l’approvazione –in un paio di casi entusiastica – con la quale la nostra dimostrazionefu accolta 21.

Tutt’altra esperienza ci è toccato di vivere quando ci siamo trova-ti a contestare, nel corso degli ultimi anni, l’applicazione della dottri-na dei poteri impliciti al Consiglio di Sicurezza. Come Relatore spe-ciale sulla responsabilità internazionale dello Stato per fatto illecitoattendevamo, in seno alla Commissione dell’ONU per il Diritto inter-nazionale (trattasi specialmente degli anni ’94-’96), alla elaborazionedel regime delle conseguenze dei crimini internazionali di Stati, ov-viamente i più gravi fra gli illeciti in ordine ai quali la Commissionepreparava il suo progetto di convenzione. Consci della necessità disottrarre almeno l’accertamento del crimine all’arbitrio dei singoliStati, proponevamo che tale operazione fosse affidata in una fase po-litica preliminare all’Assemblea Generale o al Consiglio di Sicurezza(l’uno o l’altro organo a scelta degli Stati accusatori) ma, in una suc-cessiva e decisiva fase e su iniziativa degli accusatori o dell’accusato,alla Corte internazionale di Giustizia. Tendevamo, ad un tempo, sia aevitare l’affidamento della questione al solo giudizio politico eall’esclusivo potere del Consiglio di Sicurezza, dove i membri per-manenti sarebbero coperti, grazie al “veto”, da una vera e propria im-munità da ogni accusa, sia a riservare la decisione ultima alla Corte.

Ebbene, ci siamo trovati di fronte l’amico e collega americano nel-la Commissione, a detta del quale non occorreva scomodare né laCorte né l’Assemblea Generale: giacché, costituendo la maggior par-te dei crimini – e non soltanto l’aggressione – “minacce alla pace” aisensi dell’art. 39 della Carta, non vi sarebbe stato nemmeno bisognoche il progetto di convenzione sulla responsabilità prevedesse alcun-ché: bastava la competenza del Consiglio di Sicurezza. All’obiezioneche il Consiglio ha solo il compito di mantenere la pace e non quello

21 Vedasi, ad es., J. STONE, Israel and Palestine, 1981, pp. 40-41, 126-127 e 186;ID., Conscience, Law, Force and the General Assembly, in G.M. WILNER (ed.), Just etSocietas, Essays in Tribute to Wolfgang Friedmann, 1979, pp. 335-337. Ci riferiamo,naturalmente, alle vedute di questo autore sul tema generale del valore giuridico del-le Dichiarazioni dell’Assemblea Generale.

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di giudice, il collega ribatteva, in sostanza, che la materia era copertadai poteri impliciti del Consiglio, al quale lui riconosceva poteri siagiudiziari che legislativi. A nulla è valso non solo l’argomento che laCarta non è una costituzione, ma nemmeno l’argomento che dei cri-mini diversi dall’aggressione – vale a dire quelli contro l’autodeter-minazione, contro i diritti umani e contro l’ambiente – sarebbe statopiù logico investire, ferma restando l’ultima parola alla Corte interna-zionale di giustizia, l’Assemblea Generale, o quantomeno anche l’As-semblea Generale.

Inutile aggiungere che il collega è riuscito ad avere partita vintaquasi del tutto, grazie anche all’assenza di vari membri della Com-missione e ad una certa inerzia di altri. La materia dei crimini è rima-sta, sì, nel progetto: ma negli articoli rilevanti non figura il minimoruolo né dell’Assemblea Generale né della Corte. Non si nomina, adire il vero, neppure il Consiglio di Sicurezza: ma non lo si nomina,appunto, perché sarebbe destinato – secondo la maggioranza che hafavorito la soluzione da noi avversata – ad occuparsi della materianell’esercizio dei poteri che implicitamente la Carta gli attribuirebbe,quale organo preposto al mantenimento della pace e della sicurezza22.

XI. CONSIDERAZIONI TEORICO-PRATICHE CONCLUSIVE

È il caso di aggiungere che le preoccupazioni da noi nutrite sul do-mani dell’ONU non sono dovute esclusivamente alla dottrina dei po-teri impliciti ed ai pericoli di abuso che ne derivano: pericoli contro iquali troppi fra i colleghi non avvertono l’opportunità di trovare, siapure nel “piccolo” delle sedi accademiche, qualche rimedio.

22 Il pericolo di incursioni abusive del Consiglio di Sicurezza in materia di illeci-ti internazionali è accentuato dalla inclusione nel progetto della CDI di un art. 39, se-condo il quale le conseguenze giuridiche di ogni illecito stabilite dal progetto “aresubject, as appropriate, to the provisions and procedures of the United Nations Char-ter relating to the maintenance of international peace and security”: disposizione in-vano da noi avversata per alcuni anni e invano respinta, nella votazione del 1996, daun numero considerevole dei membri della CDI. Il Consiglio sarebbe così incorag-giato a intervenire non già soltanto riguardo a reali o presunti crimini ma riguardo aqualsiasi fatto illecito internazionale (reale o presunto).

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Troviamo altrettanto, se non più pericolose, due tendenze, en-trambe ben presenti anche nell’augusto palazzo ove ha sede la Scuo-la italiana di Diritto internazionale. La prima è la tendenza a giustifi-care giuridicamente tutto quanto accade nell’ONU prospettando –ogniqualvolta ciò sembri utile a quel fine – la modifica o l’abrogazio-ne di norme della Carta mediante tacito accordo o, peggio, mediantela formazione di norme consuetudinarie; norme che eventualmentescomparirebbero allorquando il vento della prassi del Consiglio di Si-curezza (o dei suoi membri più influenti) girasse, per così dire, in sen-so diverso. Saremmo più fiduciosi in merito al futuro delle NazioniUnite se qualcuno trovasse, ogni tanto, che la modifica non vi è stata,che l’articolo della Carta non è scomparso e che la Carta è stata, pu-ramente e semplicemente, violata; e che nessuna norma consuetudi-naria si è formata o è scomparsa.

La seconda tendenza è quella che trova una delle sue più compiu-te espressioni in una recente, pregevole opera collettiva 23. In piùd’uno degli scritti in essa raccolti, quell’opera sembra aggiungere aiguasti ch’io temo possano venire dalla dottrina dei poteri implicitinella Carta (ma almeno impliciti in un documento scritto) i guasti an-cora più grossi che potrebbero venire dal coniugare la condizione diprivilegio (di presenza e di voto) di certe potenze nel Consiglio di Si-curezza con una specie di supremazia giuridica della quale le medesi-me potenze godrebbero, come Stati “forti”, nel quadro dello stesso di-ritto internazionale generale: potenze che opererebbero per esempio,a vari effetti, anche per conto delle Nazioni Unite o del Consiglio diSicurezza.

Il diritto internazionale tutto – quel diritto che non soltanto i nostriMaestri diretti ci descrivevano piatto, privo di vera organizzazione – sa-rebbe così avviato a un grado notevole di quella che alcuni degli autoridel libro chiamano “verticalizzazione”: verticalizzazione che consiste-rebbe, si badi, non già nel sovraordinare istituzioni rette da uomini pos-sibilmente sotto il controllo di un parlamento dell’umanità o quanto-meno della maggioranza degli Stati, bensì nel sovraordinare alcuni Sta-ti agli altri, affinché i primi esercitino il loro potere sui secondi al di

23 P. PICONE (a cura di), Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale,1996.

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fuori di ogni sicuro controllo 24. Tale idea ci fa ancora più paura delleteorie costituzionalistiche della Carta e della analogia federale.

In primo luogo, il processo si estenderebbe dalla Carta al dirittointernazionale generale, venendo meno così quel po’ di ancoraggioche la dottrina dei poteri impliciti mantiene, sia pure formalmente,nel documento scritto. In secondo luogo, mentre le teorie costituzio-nalistiche hanno almeno il merito di accostarsi o ispirarsi, sia pure aparole, a un modello di organizzazione sociale interindividuale su-scettibile in teoria di sviluppo verso forme più accettabili di convi-venza, la verticalizzazione prospettata tenderebbe a presentare l’inte-ro diritto internazionale, Carta ONU compresa, come una mostruosapiramide di Stati, collocati, entro quella figura geometrica, gli uni so-pra gli altri (se non uno solo sopra gli altri) a diversi livelli a secondadel grado di forza o di debolezza che caratterizza ciascuna unità. Chesarebbe poi la traduzione dell’egemonia in supremazia giuridicamen-te consacrata.

Posizioni come queste non mancano di influenzare il mondo deilaici. Pensiamo ai governi degli Stati e ai mezzi d’informazione.

24 Benché a prima vista vicini alle note posizioni di R. QUADRI sull’“autorità” o la“volontà dominante” del “corpo sociale” come fondamento del diritto internazionale(Diritto internazionale pubblico, 1968, pp. 25-31) gli autori che prospettano tale “ver-ticalizzazione” sembrano andare al di là di quelle posizioni. Il Quadri, infatti, pur am-mettendo che la sua tesi potesse implicare il riconoscimento di una “posizione di su-premazia delle Grandi Potenze come elementi maggiormente attivi della vita interna-zionale” (“in conformità, del resto, al pensiero di qualche scrittore”) attenuava la por-tata autoritaria della sua concezione osservando che, “senza poter escludere che una si-tuazione di supremazia delle Grandi Potenze possa verificarsi” …, “fino ad oggi leGrandi Potenze non riuscirono ad affermare una vera Autorità … Anzi può dirsi che lostesso prestigio delle Grandi Potenze rimase di fatto condizionato all’adesione volon-taria alla loro politica delle Potenze minori il cui atteggiamento rimase decisivonell’affermazione di principi fondamentali del moderno DI. Anche le piccole Potenzepartecipano quindi, ed in larghissima misura, alla formazione della “volontà dominan-te”, la quale, se non è necessario che sia unanime, è sempre frutto di un ampio contri-buto di determinazioni volitive”.

Orbene, i teorici della attuale “verticalizzazione” sembrano invece sostenere, sebene intendiamo, che quella “posizione di supremazia delle Grandi Potenze” la cuipossibilità il Quadri si limitava a non “escludere in modo assoluto”, sarebbe in atto algiorno d’oggi; ma non comprendiamo su che base, se non quella di uno stato di fattodel quale non si vede né la novità né, soprattutto, la legittimazione giuridica interna-zionale.

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Quanto ai primi, va soprattutto considerato che solo dai governi, edai governi degli Stati diversi da quelli “forti”, può venire un mini-mo di controllo della legalità dell’azione dell’ONU. Negli ambientiONU si dà ormai per scontato – a New York come a Ginevra – cheall’ONU non si fa nulla senza il consenso degli Stati Uniti; e tuttisanno che gli Stati Uniti tengono l’ONU al guinzaglio, rifiutandosidi versare all’Organizzazione le molto cospicue somme delle quali ilgoverno di Washington è debitore in virtù dell’art. 17 della Carta.Tutti sanno pure che gli Stati Uniti sono il solo paese membro cheorgogliosamente si rifiuta di porre i propri soldati alle dipendenzedell’ONU, allorché partecipano ad operazioni svolgentisi sotto l’egi-da dell’organizzazione. Se ne vantava recentemente il candidato allaPresidenza, Dole.

Ci domandiamo quale incoraggiamento possa mai venire, per gliStati meno forti, a resistere a tali atteggiamenti, da teorie secondo lequali i “forti” avrebbero acquisito i poteri di un direttorio mondialesenza essere soggetti, né a tutti gli obblighi ai quali sottostanno imembri comuni dell’ONU, né al minimo obbligo di rendere conto delloro operato agli Stati nei riguardi dei quali eserciterebbero, tramite ilConsiglio di Sicurezza, pretese funzioni legislative e giurisdizionalinon previste da alcuna disposizione della Carta.

Costruzioni giuridiche meno immaginose e più realistiche giove-rebbero anche a una migliore informazione del pubblico, troppo fre-quentemente esposto ad acritiche presentazioni dell’organo ristrettodell’ONU come “direttorio”, “organo del nuovo ordine internaziona-le” se non di “embrione del governo mondiale”.

Giustamente gli uomini di buona volontà ripongono molte speran-ze nelle Nazioni Unite. Ma molto resta da fare, anche in senso seve-ramente critico, se non si vuole che le speranze vengano deluse.

Chi scrive si rende ben conto che le teorie costituzionalistiche, in-sieme con l’analogia federale e la conseguente dottrina dei poteri im-pliciti, trovano un certo sostegno non soltanto negli atteggiamenti – especie nell’inerzia – di numerosi governi di fronte a certe applicazio-ni della dottrina in parola, ma anche in dicta non trascurabili, benchédi natura consultiva, della Corte internazionale di Giustizia. Nellostesso tempo, la maggior parte dei governi dai quali ci si potrebbe at-tendere una certa opposizione alla tendenza del Consiglio di Sicurez-za a oltrepassare i limiti dei poteri ad esso attribuiti dalla Carta, sem-brano portati per lo più all’acquiescenza.

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Le non numerose pronunce consultive della Corte dell’Aja – or-gano di elevato prestigio che gli studiosi non dovrebbero però consi-derare meno fallibile del Papa – non sembrano investire problemiconcreti d’interpretazione della Carta di dimensioni neppure lontana-mente comparabili con i cruciali problemi generali che si pongono achi si interroghi, come noi ci interroghiamo in queste pagine, sullafondatezza delle teorie costituzionalistiche e sull’analogia federalenella Carta delle Nazioni Unite 25. Tali interrogativi attengono, come

25 Lasciando da parte i pochi casi trattati dalla Corte permanente di Giustizia inter-nazionale (CPGI), ci riferiamo specialmente ai pareri consultivi della CIG nei casi: Re-paration ecc., cit., supra; International Status of South-West Africa (Namibia), ICJReports, 1950, pp. 128 ss.; Awards of Compensation made by the UN AdministrativeTribunal, ICJ Reports, 1954, pp. 47 ss., spec. 57; Certain Expenses of the United Na-tions (Article 17 paragraph 2, of the Charter), ibid., 1962; e Legal Consequences forStates of the Continued Presence of South Africa in Namibia (South-West Africa),Notwithstanding Security Council Resolution 276, ibid., 1970. Nel caso Reparation,l’evocazione della dottrina dei poteri impliciti era invero del tutto superflua. La facoltà(o potere) dell’ONU di agire nei riguardi di uno o più Stati a tutela del proprio dirittoleso dal danno inferto a suoi dipendenti discendeva, al pari della stessa personalitàdell’ente, dalle medesime norme di diritto internazionale generale che attribuisconouna facoltà (o potere) del genere ad ogni Stato per i danni inferti a suoi cittadini o fun-zionari. Il caso relativo alle decisioni del Tribunale Amministrativo è a sua volta pocosignificativo ai fini del discorso presente. Oltre a rientrare nella competenzadell’ONU, come notava la Corte, “by necessary intendment of the Charter” (cosa al-quanto diversa, diremmo, da veri e propri poteri impliciti) l’esercizio di funzioni daparte dell’Assemblea Generale riguardo a un organo strettamente interno quale il Tri-bunale Amministrativo non è destinato a creare, modificare o estinguere situazioni didiritto/obbligo degli Stati membri. Diversa cosa deve dirsi, ovviamente, dei pareri re-si dalla Corte nei citati casi Certain Expenses e Legal Consequences for States of theContinued Presence of South Africa in Namibia. In tali casi il problema dei limiti del-la competenza dell’ONU o di dati organi si poneva seriamente. In entrambe le occa-sioni la Corte è stata indotta da considerazioni d’ordine politico e morale a discostarsida una rigorosa interpretazione della Carta: scelta che per quanto comprensibile nonpuò non mettere in seria questione il peso dei due pareri come precedenti decisivi perl’affermazione dell’analogia federale e della dottrina dei poteri impliciti. Tale giudizioè confortato dalle opinioni dissidenti o individuali che accompagnano le non semprelineari motivazioni giuridiche svolte nei due casi dalla maggioranza della Corte. Con-siderazioni analoghe valgono, a nostro avviso, riguardo alla parte del parere del 1950sullo status dell’Africa del Sud-Ovest (ICJ Reports, 1950, pp. 128 ss.) nella quale laCorte affermava l’obbligo del Sudafrica di sottostare a certi controlli dell’ONU sul-l’esecuzione del mandato esercitato da quello Stato sulla Namibia.

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cerchiamo di spiegare, alla fondamentale questione di sapere se l’“or-ganismo” creato a S. Francisco possegga i “geni” o il DNA del go-verno mondiale – ma, aggiungeremmo, del “buon governo” mondia-le – del futuro. E nemmeno nei due più impegnativi fra i pareri con-sultivi rilevanti (Certain Expenses e Namibia) la Corte ha toccatoaspetti cruciali di tale problema quali l’esistenza di poteri legislativi egiudiziari del Consiglio di Sicurezza nei confronti degli Stati.

Si danno pure comunque, per quanto riguarda i ricordati dictadella Corte internazionale di giustizia, significative prese di po-sizione contrarie da parte di giudici dissenzienti 26: segni che, som-

26 Mi riferisco in particolare alle opinioni dissidenti dei giudici FITZMAURICE e GROS

nel caso della Namibia citato nella nota precedente. Il FITZMAURICE, per esempio, rifiu-tava decisamente, fra l’altro, la tesi dei c.d. poteri “residuali” che l’art. 24 della Cartaattribuirebbe, secondo il parere sulla Namibia (ICJ Reports, 1971, par. 110), al Consi-glio di Sicurezza. Secondo il FITZMAURICE, i poteri del Consiglio contemplati dall’art.24 erano limitati, in base al par. 2 di quell’articolo, ai poteri “specifici” ad esso Consi-glio attribuiti dai capitoli VI, VII, VIII e XII. Ne conseguiva, secondo lo stesso giudi-ce, che “c’est seulement lorsque le Conseil agit en application du chapitre VII, et peut-être dans certains cas en application du chapitre VIII, que ses résolutions auront forceobligatoire pour les Etats membres. Dans les autres cas, elles n’auraient valeur que derecommandations ou d’exhortation” (ICJ Reports, 1971, pp. 279 ss., spec. parr. 112-116). Il giudice GROS, per parte sua, osservava: “Il ne suffit pas de dire qu’une affairea un ‘echo’ sur le maintien de la paix pour que le Conseil de sécurité se transforme engouvernement mondial” (ICJ Reports, 1971, pp. 340 s. (par. 34). Non mancano del re-sto dicta della Corte meno favorevoli all’idea che gli organi politici dell’ONU siano le-gibus soluti. Un esempio è l’affermazione della Corte, nel parere sulle condizioni diammissione all’ONU, che “the political character of an organ cannot release it from theobservance of the treaty provisions established by the Charter when they constitute li-mitations on its powers or criteria for its judgment” (Conditions of Admission of a Sta-te to Membership in the United Nations, ICJ Reports, 1948, p. 64). Tale è il caso, a no-stro avviso, dell’indicazione dei poteri “specifici” del Consiglio di Sicurezza contenu-ta nel par. 2 dell’art. 24. Va anche sottolineato che nessun’altro dei membri della Cor-te internazionale di Giustizia o della Corte permanente di Giustizia internazionale (CP-GI) – per non parlare della Corte stessa – si è mai lasciato andare a dichiarazioni di fe-de nell’analogia federale della forza di quella che figura nell’opinione individuale op-posta dal giudice ALVAREZ al parere della Corte del 1948 sulle condizioni di ammis-sione di uno Stato alle Nazioni Unite. Secondo il giudice ALVAREZ, il quale si presen-tava allora, notoriamente, come un quasi isolato precursore della idea di una specie di“nuovo ordine mondiale”, la Carta doveva essere interpretata tenendo presente che “aninstitution, once established, acquires a life of its own, independent of the elementswhich have given birth to it, and it must develop, not in accordance with the views ofthose who created it, but in accordance with the requirements of international life”

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mati ai coraggiosi rilievi critici di pochi Stati e di vari giuristi, do-vrebbero dare seri motivi di riflessione ai sostenitori dell’analogiafederale e incoraggiano l’autore di queste pagine a perseverarenell’analisi del tema.

Quanto ai governi, è possibile che la passività dimostrata sinorada quelli che più avrebbero motivo per opporsi agli abusi della dot-trina dei poteri impliciti sia dovuta a cause effimere: e una causa po-trebbe essere l’inadeguata percezione delle pesanti implicazioni ne-gative della dottrina e dei suoi sviluppi futuri per la preservazione ela promozione del rispetto del diritto nelle relazioni internazionali.Un’altra ragione potrebbe essere quella che chiameremmo la “sin-drome del governo mondiale”: ossia l’illusione che le persone ope-ranti come delegati o esperti negli organi dell’ONU possono essereinconsciamente portate a nutrire, di essere impegnate nell’attività diun governo mondiale; sindrome che può ben indurre ad acconciarsi,per il fine supremo dello sviluppo di quel governo, a letture abusivedella Carta.

Un fattore ulteriore da non trascurare è la credenza, diffusa franon pochi dei giuristi del c.d. Terzo Mondo partecipanti ai lavori deivari organi dell’ONU, che non si sia dato e non si dia, dal 1946, al-tro diritto internazionale che quello della Carta e del sistema ONU:come se un diritto internazionale generale (in gran parte non scrittobenché in via di codificazione) non esistesse più o non fosse maiesistito. Tale credenza, frutto un po’ di ingenuità e un po’ della na-turale tendenza dei nuovi Stati a preferire le norme venute in esserecon la loro partecipazione – o quantomeno al tempo dei primi passidella decolonizzazione – al confronto con le norme nate da proces-si anteriori al conseguimento della loro indipendenza, induce a vol-te quei giuristi ad affidarsi piuttosto esclusivamente alla Carta e al-le norme nate sotto auspici ONU. Essi mancano così di dare tutto ilpeso dovuto a quel diritto internazionale generale nel quale pure

(Conditions of Admission of a State to Membership in the United Nations, ICJ Reports,1948, p. 64): dove ognuno può riconoscere una buona parte dei concetti giustamenteevocati dal giudice Holmes a proposito della Costituzione degli Stati Uniti d’America.Secondo l’ALVAREZ, gli eventi succeduti alla seconda guerra mondiale avevano deter-minato tali novità da far sì che si dovesse parlare senz’altro di un “nuovo diritto inter-nazionale” (Opinione citata, passim, e spec. pp. 67-71).

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esistono norme e principi – primo fra tutti il principio dell’ugua-glianza – nei quali interessi e istanze degli Stati meno forti possonotrovare tutela e appagamento.

L’effetto negativo di questi tre fattori, i quali si aggiungono, be-ninteso, al maggior potere esercitato da Stati grandi e medi, sarebbeverosimilmente ridotto se un numero maggiore di studiosi del dirittointernazionale fosse più disposto ad approfondire ulteriormente il te-ma e a far sentire una ferma voce critica ogniqualvolta fosse neces-sario 27.

Va detto infine che anche ad ammettere che una certa analogia fe-derale nel sistema ONU fosse giustificata – il che sembra però pos-sibile, come dicevamo, in via del tutto marginale e per le sole attivitàoperative condotte dall’ONU previa richiesta o accettazione degliStati interessati – le considerazioni svolte in queste pagine dovreb-

27 Poiché il tema delle presenti note è non già la legalità dell’azione degli orga-ni dell’ONU bensì solo l’analogia federale come preteso fondamento della dottrinadei poteri impliciti, non è indispensabile richiamare qui né la letteratura relativa al-la legalità né quella concernente i poteri impliciti. Segnaliamo tuttavia, perché par-ticolarmente sensibili alla necessità di una rigorosa interpretazione/applicazionedelle disposizioni della Carta dell’ONU relative ai poteri degli organi politici, e delConsiglio in ispecie: T.M. FRANCK, The Security Council and “Threats to the Pea-ce”, ecc. in RENÉ JEAN DUPUY (ed.), Peace-keeping and Peace-building: the Deve-lopment of the Role of the Security Council, 1993; M. BOTHE, Les limites des pou-voirs du Conseil de Sécurité, ibid.; G. GAJA, Réflexions sur le rôle du Conseil deSécurité dans le nouvel ordre mondial, Rev. générale de Droit international public,1993, pp. 298-320; M. ARCARI, Le risoluzioni 731 e 748 e il potere del Consiglio diSicurezza in materia di mantenimento della pace, RDI, 1992, pp. 932-965; Le riso-luzioni 1044 e 1054 del Consiglio di Sicurezza relative al Sudan: un nuovo casoLockerbie?, ibid., 1996, pp. 725-730; V. GOWLLAND-DEBBAS, The Relationshipbetween the International Court of Justice and the Security Council in the Light ofthe Lockerbie Case, AJIL., 88 (1994), pp. 643-677; M. BEDJAOUI, Nouvel ordremondial et contrôle de la légalité des actes du Conseil de Sécurité, 1994; J. QUI-GLEY, The “privatization” of Security Council Enforcement Action: a Threat toMultilateralism, in J.E. ALVAREZ (ed.), A Symposium on Reenvisioning the SecurityCouncil, Michigan Journal of International Law, vol. 17, n. 2 (1996), pp. 249-283;M. KOSKENNIEMI, The Place of Law in Collective Security, ibid., pp. 455-490; F.R.TESON, Collective Humanitarian Intervention, ibid., pp. 323-371; M. HALBERSTAM,The Right to Self-Defence Once the Security Council Takes Action, ibid., pp. 229-248; J.G. GARDAM, Legal Restraints on Security Council Military Enforcement Ac-tion, ibid., pp. 285-322.

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bero servire, si spera, a suggerire almeno una certa moderazione 28.Una cosa è infatti adoperare la dottrina dei poteri impliciti (sulla ba-se, evidentemente, dell’analogia federale) ai fini dell’interpretazionelarga di poteri effettivamente attribuiti ad un organo dalla Carta en-tro l’ambito della funzione che l’organo stesso è dalla stessa Cartachiamato a svolgere; altra cosa è adoperare detta dottrina allo scopodi giustificare l’esercizio, da parte di un organo, di funzioni non at-tribuite dalla Carta a quell’organo o neppure all’ONU nel suo insie-me. A tale riguardo sembra esistere, nella dottrina come nella prassi,un grado notevole di imprecisione. Uno studio accurato della prassicostituzionale degli Stati Uniti d’America dovrebbe verosimilmenteapportare luce sia sulla differenza fra poteri impliciti e funzioni im-plicite sia sulla differenza tra le finalità dell’ONU e le sue funzioni,nonché tra le funzioni dell’ONU stessa e le funzioni (e i poteri) deisingoli organi.

È inoltre essenziale distinguere fra ciascun organo politico e l’al-tro e fra le attività da ciascuno esplicate. Un conto è applicare la dot-trina dei poteri impliciti all’attività di un organo nel quale sono rap-presentati tutti gli Stati membri e dove tutti possono vedere, ascoltaree giudicare; altro è applicare la stessa dottrina nell’ambito e a profit-to di un organo di composizione ristretta e nel quale alcuni membridispongono di diritti di voto “più uguali” di quelli di altri. Ancora:una cosa è allargare la sfera di un potere di raccomandazione; altracosa è l’allargare la sfera di poteri decisionali.

L’attuale tendenza in seno all’ONU, e specialmente nel Consigliodi Sicurezza, presenta, a nostro avviso, pericoli molto seri. Essa po-trebbe mettere a repentaglio la struttura legale di una organizzazioneche era destinata, secondo l’opinione largamente dominante all’epo-ca della fondazione, non già ad essere l’embrione di un super-Statobensì a servire da centro di dibattito e cooperazione fra Stati giuridi-camente uguali: uguali, si badi – nonostante la posizione speciale fat-ta ai cinque Grandi – anche nell’attuazione di quella che ci sembra

28 Si vedano, ad es., le prudenti considerazioni di K. SKUBISZEWSKI, Remarks onthe Interpretation of the United Nations Charter, Festschrift für H. Mosler, 1983, pp.892-894; e ID., Implied Powers of International Organizations, in DINSTEIN (ed.), In-ternational Law at a time of Perplexity, Essays in honour of Shabtai Rosenne, 1989,pp. 855-868, ed i riferimenti contenuti in tali scritti.

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costituire l’alleanza ineguale contemplata dalle disposizioni dellaCarta relative al mantenimento della pace e della sicurezza interna-zionale. La speciale posizione dei cinque Grandi fu infatti concepitaa S. Francisco e va sempre intesa non già come un privilegio da usa-re arbitrariamente nell’interesse proprio bensì come un onere (degliStati militarmente più idonei) da assolvere nell’interesse di tutti i par-tecipanti al sistema.

Il punto cruciale è la grande difficoltà di concepire come un nor-male sviluppo giuridico dell’organismo creato dalla Carta il fatto cheil Consiglio di Sicurezza (e poco importa che qualcosa di simile siastato già tentato, mutatis mutandis, per l’Assemblea Generale) si tra-sformi, proprio motu e senza un adeguato e organico controllo da par-te dell’insieme dei membri, dal “gendarme” che i padri fondatori ov-viamente ritenevano di aver creato, nell’organo esecutivo, legislativoe giudiziario di un super-Stato 29. Sembra ragionevole ritenere che sei fondatori dell’ONU avessero previsto la possibilità di sviluppi ditanto peso, essi avrebbero divisato e adottato garanzie adeguate perprevenirli ed eventualmente controllarli.

Se ora vi sono dei governi decisi a trasformare l’ONU in un super-Stato, essi dovrebbero invitare tutti gli Stati membri a partecipare aduna riforma costituzionale apertamente e accuratamente preparata.Non sembra invece accettabile, quali che possano essere gli occasio-nali benefici pratici realizzati grazie all’esercizio di attività giuridica-mente discutibili, che determinati Stati si servano delle pretese analo-

29 La dottrina sottovaluta, a nostro avviso, il proprio ruolo nell’interpretazionedella Carta e della prassi allorché osserva che la Carta non contiene restrizioni “te-stuali” alla “autorità” del Consiglio di Sicurezza. Così, se bene lo intendo, M. KO-SKENNIEMI, The Police in the Temple. Order, Justice and the UN: a Dialectical View,Eur. Journal of IL, 6 (1995), p. 325 ss. A noi non sembra che i “fini” e i “principi”enunciati negli artt. 1 e 2 della Carta e il concetto di “minaccia alla pace” dell’art. 39– per non parlare della disposizione contenuta nel par. 2 dell’art. 24 della Carta – sia-no così “indeterminati” da non assistere i giuristi nel segnare i limiti della “autorità”del Consiglio. Il fatto è che gli internazionalisti non spingono abbastanza a fondol’analisi di queste e altre disposizioni della Carta; e soprattutto non tengono contodei limiti all’“autorità” dell’ONU che sono insiti nella natura stessa della Carta sevista nel quadro e alla luce di quel diritto internazionale generale che è ben lontanodall’esserne esautorato.

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gie federalistiche e della dottrina dei poteri impliciti (da loro stessinegate allorquando opererebbero a loro svantaggio) al fine di megliousare l’ONU come strumento della loro politica internazionale. Ciònon potrebbe che nuocere al futuro dell’organismo creato a S. Franci-sco, quale che ne sia la vera natura.

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