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La razza maledetta

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di Alessio Banini - Fantasy

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Alessio Banini

LA RAZZA MALEDETTA

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LA RAZZA MALEDETTA Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2010 Alessio Banini ISBN: 978-88-6307-313-3

In copertina: immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Settembre 2010 da Digital Print

Segrate – Milano

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INDICE

UN'ANIMA SOFFERENTE................................................. 5

I VERSETTI DEMONIACI................................................ 25

SPIGHE DORATE ............................................................. 73

GLOSSARIO .................................................................... 101

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UN'ANIMA SOFFERENTE

I Per lungo tempo, Walter Walls aveva creduto di possedere un talento speciale. Un talento di cui non era mai riuscito a vantarsi, che lo accompagnava fin dalla nascita. Un talento che sembrava più una fattura lanciata da qualche stregone incartapecorito, da un fantasma iracondo o da un demone beffardo. Walter non aveva mai chiesto quel talento. Lo considerava una maledizione, e non pensava di aver fatto nulla di sbagliato per meritarselo. Eppure, aveva paura a parlarne con gli altri: preferiva tenerlo nascosto, cercando la forza di conviverci nonostante le difficoltà. Molti lo avrebbero trovato interessante: chierici, scienziati, alchimisti, bardi, soldati e principesse, ognuno con le proprie aspirazioni e le proprie curiosità. Molti gli avrebbero chiesto lumi a proposito, ma solamente lo scemo del villaggio avrebbe desiderato possederlo a sua volta. Nonostante Walter fosse un giovane ragazzino di dodici anni, aveva già imparato a nascondere quel talento e a rinnegarlo al pari di una sciagurata maledizione, incapace di trovare un modo di sfuggire a un destino così crudele. Ogni volta che Walter cercava di fare del bene, puntualmente otteneva l'effetto opposto. Più si impegnava a fare del bene, più le cose andavano male. Non era un portatore di sfortuna, né uno spirito malefico: se la sua sola presenza avesse provocato sventure e disgrazie, i suoi concittadini l'avrebbero scacciato fin dalla tenera età o sottoposto a qualche tentativo di esorcismo nella chiesa del paese. No, sfortuna era un concetto inesatto. Walter rifletteva attentamente sulla situazione, e giungeva alla conclusione che non ci fosse nulla di

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sbagliato in lui. La maledizione entrava in azione solo quando cercava di fare qualcosa di buono, solo quando si impegnava attivamente nel conseguimento della bontà e della virtù, come insegnavano i precetti clericali. Non era un portasfortuna, né un demone malvagio. Era un ragazzino dotato di un talento speciale, che, per quanto si impegnasse, non riusciva proprio a fare del bene. Agli occhi dei suoi concittadini, Walter era un ragazzaccio come tanti; un monello vivace e spensierato, ancora troppo piccolo per capire pienamente i dogmi del Dio dei Cieli e le leggi dell'Impero. Ma nessuno comprendeva il dolore che Walter nascondeva dentro di sé.

II Panareel era un piccolo borgo di un migliaio scarso di anime, situato nei rigogliosi colli del Karum. Walter l'aveva sempre considerata la migliore cittadina della Regione, sebbene non avesse mai viaggiato oltre le sue mura. Mercanti, viandanti e cavalieri di passaggio ripetevano spesso che Panareel era la migliore cittadina di tutto il territorio Imperiale, e Walter aveva finito per crederci. La provincia del Karum era rinomata per i suoi campi rigogliosi, per i suoi abitanti pacifici e per la sua calda accoglienza; nonostante la lontananza dalla capitale Valmut, era ammirata da tutti i cittadini imperiali. Walter apprezzava l'atmosfera serena e pacifica di Panareel, anche se la sua maledizione gli impediva di godere appieno delle sue bellezze. Amava fare lunghe passeggiate attraverso i campi fioriti, osservare le guardie che pattugliavano le mura e aiutare i contadini a trasportare i prodotti dei loro terreni nella piazza del mercato. Per quanto il suo sciagurato talento gli permettesse, apprezzava Panareel e partecipava alla vita della comunità, godendosi la serenità infantile e i giochi giovanili. Una volta si fermò ad aiutare un contadino che si era bloccato col suo carro nei pressi di un incrocio. Walter era stato con gli amici a

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raccogliere le pesche da un frutteto poco distante, e aveva visto l'uomo in difficoltà sul ciglio della strada. “Sia maledetto il Dio dei Cieli! Maledetto lui e tutta la sua stirpe!” inveiva il contadino, radunando a fatica i sacchi di farina sparpagliati sulla strada. Walter si avvicinò ad aiutarlo, finendo di mangiare la sua pesca; proprio in quei giorni Padre Morris aveva sottolineato, durante i suoi consueti sermoni, l'importanza di aiutare i più sfortunati per garantirsi l'accesso al Paradiso Celeste. Il contadino era diretto a Panareel, per vendere il suo raccolto al mercato, ma una ruota del vecchio carro aveva ceduto e parte del carico si era rovesciata sulla strada. “Ah, Dio dei Cieli... – continuava a borbottare l'uomo – Dovresti essere tu a spaccarti la schiena sui campi, e io a godere delle tue disgrazie!” Fortunatamente, il contadino aveva con sé degli attrezzi da lavoro e dei pezzi di ricambio. Walter lo aiutò a riparare la ruota, e venne ricompensato con due grosse mele. Il carro ripartì alla volta di Panareel, ma dopo qualche metro le altre tre ruote cedettero di colpo e il carro si schiantò a terra. Walter ignorò le imprecazioni del contadino e si allontanò lungo i frutteti. Evitò di aiutarlo nuovamente, convinto che avrebbe solamente peggiorato la situazione.

III La famiglia di Walter non era molto numerosa. Spesso invidiava i contadini, con le loro famiglie formate da decine di parenti che abitavano nello stesso casolare, o i grandi signori dell'aristocrazia panarhim, con le loro lussuose ville e gli interminabili alberi genealogici. La famiglia di Walter, invece, abitava in una piccola casa del centro cittadino, sopra il negozio che veniva tramandato da generazioni. Il

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nonno del nonno era stato un fabbro, e il mestiere continuava a essere trasmesso ai figli più capaci, al pari delle altre botteghe artigiane di Panareel. Seamus, il padre di Walter, passava l'intera giornata nella fornace assieme al cugino Philip. Dora, la madre di Walter, si occupava del negozio e delle vendite ai clienti, oltre a curare la casa e i figli. Il nonno Teanus, invece, se ne stava tutto il giorno seduto vicino alla fontana della driade a maledire le guerre, le carestie e i demoni; aveva perso una mano nella fornace, durante l'apprendistato di Seamus, e non si era più ripreso dal dolore. Walter aveva provato ad apprendere il mestiere di fabbro, qualche tempo prima. Affascinato da fornaci, incudini e metalli incandescenti, aveva aiutato per qualche giorno Philip a modellare il ferro e la madre a occuparsi dei clienti. Tuttavia, aveva capito subito che la sua maledizione gli avrebbe impedito di svolgere serenamente quel mestiere, e che doveva trovarsi un altro modo per guadagnarsi da vivere. Un giorno, la madre l'aveva lasciato da solo nel negozio. Si era affacciata la vecchia Nalden, una panarhim sdentata e ingobbita che era solita elemosinare tra le bancarelle di frutta e di ortaggi. Cosciente delle lezioni di Padre Morris e dell'importanza della misericordia, le regalò un bollitore di ghisa. Voleva solamente fare una buona azione, nonostante i rimproveri dei genitori. Tuttavia, quando la nipotina di Nalden morì ustionata dall'acqua bollente, Walter rinunciò all'idea di ereditare il mestiere di famiglia. Suo fratello minore Alkar, invece, sembrava apprendere con rapidità i segreti del mestiere. Anche se aveva solo dieci anni, già assisteva Seamus e Philip alla forgia, ed era un aiuto affidabile per tutta la famiglia. Alto e robusto, era un ragazzone serio e taciturno, l'esatto contrario di Walter. Sembrava lui il fratello maggiore, tra i due. “Non sei capace. – lo apostrofava, con disprezzo – Sei un buono a nulla.” Walter non sapeva cosa rispondere, e provava a far parlare le mani; tuttavia, Alkar era già più forte e grosso di lui, e riusciva sempre ad atterrarlo e a schernirlo. “Trovati un'altra bottega.” gli diceva, con tono serio e perentorio.

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Walter non aveva particolari remore a lasciargli il negozio di famiglia, ma non sopportava l'idea di essere considerato uno scansafatiche e un buono a nulla. Persino i suoi genitori non nutrivano particolari aspettative su di lui: Walter non sembrava aver alcuna qualità degna di nota. Era solamente un ragazzino che creava fastidi e problemi.

IV Il mercante Yeomir portava le sue spezie in giro per la Regione. Era originario di Tharmaar, ma era solito fermarsi a Panareel durante la Festa del Raccolto. La sua bancarella era una delle più affollate, e Yeomir aveva sempre un sorriso smagliante sul volto; ogni volta che concludeva un buon affare, il suo sorriso si allargava. Walter adorava osservare gli scaffali e le vetrinette della sua bancarella. C'erano centinaia di piccoli flaconi di vetro, vasi e recipienti di terracotta dai colori più disparati. All'interno, erano contenute spezie da ogni parte della Regione: polveri sottili, bacche, foglie sminuzzate, granelli friabili, radici profumate e quant'altro. Ogni spezia portava con sé colori e odori di una città lontana, ogni boccetta racchiudeva l'essenza di un viaggio attraverso l'Impero. “E questo a cosa serve?” chiese Walter, rigirandosi tra le mani un flacone di vetro contenente dei granelli azzurri e verdi. “Serve a migliorare le prestazioni. – ridacchiò Yeomir, strappandogliela velocemente di mano – Ma tu sei troppo giovane per farne buon uso. Torna tra qualche anno!” “E quella?” continuò Walter, indicando con il dito. Sul retro della bancarella c'era un vaso finemente decorato, protetto da una vetrina e da tre lucchetti di ferro. “Oh, l'ixazim? Non te la puoi permettere.” tagliò corto il mercante, esibendo un sorriso raggiante. Il volto dell'uomo era perfettamente curato e liscio, i corti capelli impomatati e pettinati all'indietro; usava più profumi e cosmetici di una nobildonna panarhim, e la sua

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espressione era sempre allegra e rassicurante. Walter si fermava sempre alla bancarella di Yeomir, incuriosito. Tuttavia, non comprava mai nulla. Tutti gli anni chiedeva informazioni su qualche nuova spezia, prima di venir spintonato e allontanato da una folla di concittadini ansiosi di fare acquisti. Cercava di immaginarsi i paesaggi della Regione da cui provenivano quelle spezie, incantato dai racconti e dall'eloquenza del mercante tharmhim. Tuttavia, tutti gli anni tornava a casa con le tasche vuote, poiché le monetine che racimolava con i suoi lavoretti non bastavano mai ad allargare il sorriso di Yeomir. La Festa del Raccolto si svolgeva tutti gli anni, all'inizio della stagione estiva. Le bancarelle dei mercanti riempivano la via principale di Panareel, accogliendo venditori e viaggiatori da tutte le province dell'Impero. Le strade si riempivano di cavalieri, indovini, bardi e truffatori. I panarhim si affollavano tra le bancarelle di frutta e verdura, di tessuti, ceramiche e armi. Proprio a una bancarella di armi, una volta, Walter incontrò un valhim dal mantello verde, alto e massiccio, con il volto inespressivo circondato da una rada barba rossiccia. L'uomo stava osservando dei pugnali di pregevole fattura, trattando sul prezzo con il venditore, quando un ragazzino gli sfilò dalla cintura il portamonete. Walter, che era a pochi passi di distanza e che conosceva bene le abilità di quel piccolo ladruncolo, vide con chiarezza il momento del furto. Notò il ragazzino che infilava la mano nella cintura dell'ignaro valhim e che sfilava il portamonete, per poi allontanarsi tra la folla del mercato con qualche spintone. Walter sapeva bene che né il Dio dei Cieli né le leggi imperiali consentivano il furto, perciò avvertì il valhim prima che il ladruncolo potesse dileguarsi. Grazie all'aiuto delle solerti guardie cittadine e di alcuni passanti, il valhim recuperò il suo portamonete e perdonò il ladruncolo, dopo un paio di severi rimproveri e un sonoro schiaffone. Quindi, tornò alla bancarella per comprare un pugnale ben affilato. Walter gongolò sorridente, sapendo di aver fatto la cosa giusta. Quella sera, però, il cadavere del ciambellano Golding venne trovato riverso nella sua lussuosa vasca da bagno, con un pugnale conficcato nella schiena. Il Governatore di Panareel rispose con una giustizia

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rapida e brutale, poiché Golding era uno dei suoi più fidati consiglieri di corte, dal sangue nobile e dalle amicizie importanti. Il valhim dal mantello verde venne affidato alla forca imperiale e pagò per il suo crimine, sotto lo sguardo allibito di Walter.

V I sermoni di Padre Morris erano lunghi e noiosi. Si dilettava in prediche infinite dal pulpito decorato della chiesa, ammonendo i concittadini sulle lusinghe peccaminose del male e sulla necessità delle buone azioni per conquistarsi il Paradiso Celeste. I panarhim ascoltavano in silenzio, disposti ordinatamente sulle panche di legno: i nobili e i Governanti in prima fila, i contadini e gli umili nelle ultime. Walter si limitava a partecipare alle lezioni assieme agli altri ragazzini. Padre Morris si occupava personalmente dell'educazione dei figli dei panarhim, insegnando loro le leggi dell'Impero e del Dio dei Cieli, utilizzando tanto i libri sacri quanto i testi di storia, geografia e letteratura delle biblioteche imperiali. I figli dei nobili e dei commercianti più ricchi potevamo permettersi un'educazione privata, con i migliori maestri della Regione, ma il resto della popolazione doveva accontentarsi dei precetti clericali. “Dovete comportarvi bene! – li ammoniva Padre Morris, lisciandosi i folti baffi – Dovete portare rispetto ai vostri genitori. Dovete chinare il capo e ascoltare l'autorità, poiché è fonte di saggezza e di ordine. I sacerdoti, i nobili, i funzionari dell'Impero, le guardie cittadine. Abbiate rispetto per ogni figura autorevole.” Walter si sforzava di comportarsi bene, e di mostrare rispetto e deferenza per l'altrui virtù. Ascoltava le lezioni di Padre Morris nella piccola cappella laterale, assieme a una decina di bambini più piccoli e tre ragazzi più grandi. Quelli che dovevano lavorare saltavano spesso le lezioni, e quelli più grandi preferivano passare il loro tempo libero in qualche taverna.

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“Non rubate, non uccidete. Non agite con violenza, ma abbiate sempre rispetto per gli altri. Se vi comportate bene, il Dio dei Cieli vi ricompenserà.” I bambini annuivano, svogliati. I ragazzi più grandi sembravano avere la testa persa in altri pensieri. Padre Morris si faceva aiutare da due accoliti, Zurh e Mallik, che avevano completato il loro apprendistato nel monastero di Cluster. “Le anime delle persone buone finiscono nel Paradiso Celeste. – spiegava il sacerdote, facendo ondeggiare l'indice moralizzatore – Chi si comporta male, invece, si merita solamente l'eterna sofferenza nell'Abisso.” Zurh aveva barba e baffetti neri, e la sua fronte cominciava già a mostrare i segni della calvizie; Mallik, invece, aveva lunghi capelli biondi e degli affascinanti occhi azzurri. Walter li trattava con il massimo rispetto, anche se erano poco più grandi di lui: presto sarebbero diventati dei chierici del Dio dei Cieli a tutti gli effetti, e avrebbero predicato in qualche chiesa dell'Impero. “Il male è sempre in agguato. Scegliete il bene, e sarete ricompensati.” Walter aveva sempre avuto paura a raccontare al saggio sacerdote della sua maledizione. Non voleva finire nell'Abisso. Se le sue azioni provocavano del male, forse si stava comportando male; tuttavia, non voleva essere giudicato negativamente da una figura così autorevole come quella di Padre Morris, poiché le sue intenzioni erano sempre state buone. Persino gli accoliti avevano una scarsa reputazione di lui, e lo consideravano un ragazzaccio monello. Non un ladruncolo, né un futuro criminale: solamente un ragazzino che non riusciva proprio a comportarsi bene, che doveva impegnarsi di più nel rispettare le leggi del Dio dei Cieli e che si meritava qualche bel ceffone da parte dei genitori. Walter cercava di far capire loro che, in realtà, il suo impegno era massimo. Anche se i risultati parlavano a suo sfavore, faceva il possibile per comportarsi bene. Una volta era stato sgridato da un venditore di frutta per aver rovesciato in strada un cesto di mele, e si era sorbito una bella ramanzina da Seamus e da Padre Morris, oltre che un'occhiataccia minacciosa da parte del Capitano delle guardie

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cittadine. Tuttavia, non aveva desiderato fare nessuna marachella. Aveva semplicemente raccolto una mela da terra, fatta cadere da un altro bambino; l'aveva rimessa al suo posto, ma l'intero cesto era caduto. Né Padre Morris né gli accoliti credevano alle sue buone intenzioni, e spesso lo rimproveravano aspramente. Walter non aveva mai parlato della sua maledizione, perché già sapeva che non l'avrebbero mai capito. Zurh si limitava a evitarlo, guardandolo dall'alto verso il basso e apostrofandolo con poche parole severe, al pari del fratello Alkar. Mallik, invece, gli dava spesso lezioni supplementari di buona educazione, di retto comportamento e di saggia virtù. Walter si impegnava, e sapeva che Mallik agiva per il suo bene. Aveva talmente tanto rispetto di quel giovane accolito, che non si capacitava del fatto che gli altri bambini non volessero starlo a sentire. Per esempio la piccola Emily, la bionda e gracile figlia del fioraio: non si presentava mai alle lezioni, e si nascondeva ogni volta che vedeva arrivare Mallik. Walter non capiva perché se ne stesse in quel cortile isolato a giocare a palla e si rifiutasse di vedere i sacerdoti panarhim; sapeva che l'educazione religiosa era importante per ogni bambino, e che mentire era un'azione cattiva. Emily faceva credere ai genitori di frequentare le lezioni in chiesa, ma in realtà faceva lunghe passeggiate per i campi o si nascondeva in qualche cortile appartato. Quando Walter lo scoprì, non volle tacere: fece la cosa giusta, e impedì alla menzogna di continuare. Emily fu costretta a riprendere le lezioni con Padre Morris e i suoi accoliti, nonostante la riluttanza. Tuttavia, pochi giorni dopo, Mallik fu trasferito urgentemente in un piccolo paese del Selvaggio Nord, ed Emily non uscì di casa per un intero anno. Walter scoprì la verità solo durante la pubertà, quando cominciò a interessarsi alle grazie femminili, e maledì ancora una volta il suo sciagurato talento.

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VI A volte, Walter dubitava di poter combinare qualcosa di buono nella sua vita. Più si impegnava nel comportarsi bene, più le cose andavano peggio. Non osava confidarsi con nessuno, poiché nessuno avrebbe preso sul serio la sua maledizione. I suoi compagni di giochi erano i ragazzini di Panareel: figli di commercianti, artigiani, servi o guardie cittadine. Ragazzini vivaci, cittadini di domani, più o meno coetanei. I figli dei nobili non uscivano mai dalle loro ville lussuose, e i figli dei contadini erano confinati nei loro poderi. Anche se i ragazzini del paese erano spesso occupati ad aiutare i loro familiari nei rispettivi mestieri, Walter li incontrava di frequente alle lezioni di Padre Morris. Più spesso, si incontravano in qualche vicolo di Panareel a inventare nuovi giochi o a sognare i paesaggi della Regione. Akeel era il suo migliore amico: piccolo e magrolino, talmente magro da sembrare malato. Suo padre faceva il conciatore vicino alle mura cittadine, ma lo vestiva solamente di stracci. Aveva il piede sinistro deforme, rachitico e senza due dita: per questo motivo gli altri ragazzini lo chiamavano Storpino. Lo Storpio, invece, era un anziano panarhim senza famiglia, gobbo e con le mani palmate, che viveva di elemosina davanti alla chiesa e che veniva preso a sassate dai ragazzacci durante le giornate più noiose. “Bisogna risparmiare. Più soldi hai, meglio vivi.” diceva Storpino, ripetendo con convinzione le parole del padre. A Walter non sembrava che Akeel facesse una bella vita. Non aveva mai una moneta in tasca, neppure per un dolcetto al mercato, e doveva affidarsi alla gentilezza dei passanti. Tuttavia, Akeel sembrava convinto di avere un futuro radioso davanti a sé, e parlava di ville sontuose e di palazzi lussuosi. Walter lo stava ad ascoltare con pazienza mentre elencava i suoi futuri possedimenti, dai destrieri nelle stalle alle opere d'arte. Aveva già deciso i nomi dei suoi servitori, e il taglio di capelli della sua sposa. “Però devono essere biondi. – diceva, con una smorfia seriosa – Biondi, e lunghi.”

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“E come si chiama?” “Sono suo marito, non suo padre. Non sta a me deciderne il nome.” lo scherniva l'amico, ridendo. Walter apprezzava la compagnia di Akeel, soprattutto quando non parlava delle sue future ricchezze. A volte si incontravano in un vicolo appartato con altri ragazzini della loro età, e si divertivano a inseguire i gatti randagi. Altre volte esploravano le mura cittadine, cercando gli anfratti più remoti in cui nascondersi; altre volte ancora si fermavano a osservare le corazze delle guardie cittadine, sognando tornei cavallereschi e battaglie campali. “Un giorno mi comprerò anche un'armatura come quella!” diceva Akeel, annuendo convinto. “Dovresti entrare nelle guardie cittadine...” protestava Walter. “No, preferisco comprarla. Voglio combattere per conto mio, non voglio stare ai loro ordini.” Walter era dubbioso. L'amico era talmente piccolo e gracile da rischiare di scomparire dentro una corazza del genere; inoltre, non aveva mai un soldo in tasca. Walter poteva aggiungervi giusto un paio di monetine, appena sufficienti per un grappolo d'uva al mercato. “Potrei vendere l'anima! – gli disse una volta Akeel, colto da un'illuminazione improvvisa – Varrà pur qualcosa, no?” Walter era titubante. Non gli sembrava una buona idea. Padre Morris diceva sempre che l'anima era il dono più prezioso del Dio dei Cieli, che non poteva essere perso; che l'anima virtuosa, frutto di un comportamento corretto, si conquistava l'accesso al Paradiso Celeste dopo la morte. “Ti do l'anima per la corazza.” proponeva Akeel alle guardie cittadine, ottenendo solamente una risata beffarda. Walter cercò di dissuaderlo, dicendogli che l'anima era il suo bene più prezioso. “E cosa ci faccio, se non posso comprarci niente? Allora non vale niente.” “Ci puoi comprare il Paradiso Celeste.” Gli sembrava uno scambio valido. D'altronde, Storpino parlava sempre di un futuro ricco e felice, proprio come Padre Morris.

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“Vaffanculo.” era solito rispondergli l'amico, con schiettezza. Walter pensò che il modo migliore per risolvere la situazione fosse quello di regalargli degli abiti nuovi. Frugò nel suo baule e portò all'amico gli abiti che usava per le feste e le cerimonie religiose, incorrendo nelle ire dei genitori. Non li stette a sentire, perché era convinto di fare la cosa giusta. Akeel abbandonò finalmente quegli stracci puzzolenti, e per qualche tempo non pensò più alle corazze o al valore dell'anima. Tuttavia, cominciò a farsi vedere sempre più raramente tra i vicoli di Panareel. Walter andò a cercarlo a casa, qualche mese dopo, ricevendo solo dei gesti sconsolati da parte del padre. Pare che la corporatura di Storpino fosse troppo esile, e che faticasse a crescere. Il ragazzino aveva dei seri problemi respiratori, e la fragilità delle ossa degli arti lo costringeva a letto per gran parte della giornata. Walter aspettò invano l'intervento di qualche medico o di Padre Morris. Akeel passò il resto della sua breve vita a letto, e Walter fu costretto a cercare nuovi compagni di giochi. L'anima dell'amico era rimasta intatta, ma il fisico non aveva retto il suo peso.

VII Crescendo, Walter cominciava a pensare che non ci fosse possibilità di liberarsi dalla sua maledizione. Provava a comportarsi bene, ma il Dio dei Cieli non lo ricompensava. Per un certo periodo, provò ad aggirare la maledizione, e di agire in maniera opposta. Se fare del bene provocava del male, forse agire scorrettamente avrebbe provocato qualcosa di buono. Fece dei tentativi, ma non ottenne alcun risultato. Provò a rubare i pochi spiccioli dalla ciotola di un mendicante, sperando di attivare la sua maledizione al contrario. Tuttavia, nei giorni successivi il mendicante gli sembrava sempre più triste e misero. Tutto ciò che ottenne fu qualche moneta da spendere in un paio di scarpe nuove. L'unico vantaggio fu personale, nel comportarsi male. Ma non

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riusciva a gioirne: non c'era modo di liberarsi di quello sciagurato talento, non c'era modo di aggirare la maledizione. Trovò il coraggio di parlarne con qualcuno, ma ebbe risposte contrastanti. Le conversazioni lo lasciavano sempre con l'amara convinzione di non essere stato preso sul serio, o di non essere stato compreso fino in fondo. “Non è vero. Le azioni buone non possono provocare il male. – gli disse Padre Morris, che ormai era un vecchio sacerdote dal fiato corto e dalla schiena curva – Tu non hai causato alcun male. La malattia del tuo amico non è frutto della tua buona azione, Walter. Sarebbe accaduta comunque, o sarebbe accaduto di peggio.” “E la nipotina della vecchia Nalden?” “Tu non c'entri nulla. Era Nalden che rubava dal cesto delle offerte, in chiesa. È stata punita per i suoi peccati, non per le tue buone azioni.” Walter non era convinto. Anche se Zurh annuiva con decisione, sottolineando le parole dell'anziano chierico, Walter era dubbioso. Suo fratello Alkar, poi, aveva una visione completamente opposta: “Sono tutte cazzate. – diceva, senza distrarsi dal suo lavoro – Non è mica colpa tua.” “E di chi sarebbe?” “Loro. Io sono responsabile solo di ciò che faccio. Io forgio spade e ferri di cavallo. La gente può usare le spade per uccidere e i ferri sugli zoccoli dei cavalli, ma può anche uccidere con i ferri di cavallo e tenere le spade in bella mostra. Non sono responsabile dell'uso che ne viene fatto.” “Ma che c'entra? Cosa vorresti dire?” “Che è stato quello straniero a uccidere il ciambellano Golding, non tu. È stato Mallik a stuprare Emily, non tu. Sei sempre con la testa tra le nuvole. Dovresti essere più pratico, e usare di più il cervello.” Eppure, Walter continuava a essere dubbioso. Né le spiegazioni di Alkar né quelle di Padre Morris gli sembravano convincenti. Non poteva fingere di non vedere i collegamenti tra le sue azioni e le conseguenze, non poteva sottovalutare la sua maledizione. Le sue buone intenzioni venivano continuamente frustrate, come se il Dio dei Cieli si facesse beffe di lui.

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Non riusciva a vederla in modo diverso, non riusciva a scacciarsi dalla testa l'idea di essere vittima di una maledizione. Era lui la causa del male, ed era lui a provocarlo intenzionalmente ogni volta che provava a fare del bene. Quando la casa del calzolaio andò a fuoco, nell'estate del 3458 DV, Walter aiutò i suoi concittadini a spegnere le fiamme e a domare l'incendio; tuttavia, il calzolaio e sua moglie morirono asfissiati dal fumo, e nessuno riuscì a salvarli in tempo. L'anno successivo, quando simile sorte toccò alla caserma cittadina, Walter se ne stette chiuso in casa. Il fuoco venne spento con facilità, e tutti vennero salvati dalle fiamme.

VIII Durante la giovinezza di Walter, Panareel era una piccola cittadina del sud della Regione, tranquilla e pacifica. Era abitata soltanto da panarhim, figli e nipoti di panarhim, che vivevano tra le sue mura da generazioni. A parte i mercanti, i bardi e gli altri viaggiatori occasionali, gli stranieri erano solamente di passaggio. Raramente si fermavano a Panareel in pianta stabile. Walter avrebbe voluto visitare il resto della Regione, viaggiando ai quattro angoli dell'Impero. Le storie dei viaggiatori non erano sufficienti a saziare la sua curiosità: avrebbe voluto visitare Thazhiur, Tenoch, Minah, e magari la capitale Valmut. Tra i pochi stranieri che si erano stabiliti a Panareel c'era Wilbur, un cavaliere disertore originario della capitale dell'Impero. Non rivelò mai il suo passato, ma venne accolto con rispetto e fiducia. Era un valhim dai capelli neri e dagli occhi sfuggenti, serio e pensieroso. Divenne ben presto amico di Alkar, che lo aiutò a trovarsi un posto tra i taglialegna che lavoravano giù al bosco. Nonostante i suoi tratti stranieri e il carattere poco espansivo, Wilbur si conquistò ben presto le simpatie dei panarhim; non venne mai etichettato con l'appellativo dispregiativo di nulkin, che marchiava l'impossibilità di integrazione. Diversa sorte toccò invece alla carovana di gitani che entrò a

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Panareel nella calda estate del 3460 DV, ma anche in quell'occasione Walter pensava di avere delle gravi responsabilità. I gitani occuparono per qualche giorno la piazza del paese, con il consenso delle guardie cittadine. Allietarono i panarhim con i loro spettacoli itineranti fatti di canti, balli, trucchi magici e combattimenti senz'armi. Walter li osservava estasiato, assieme agli altri ragazzini: c'erano tendoni colorati e carrozze dai mille profumi, e in un recinto c'erano strani animali provenienti dal nord della Regione. I gitani, poi, sembravano così diversi e così affascinanti: i tratti dei loro visi, le loro pettinature, il loro accento, i loro vestiti, le loro usanze e i loro odori... tutto sembrava diverso in loro, tutto sembrava così estraneo. C'era pure una strana donna che spergiurava di poter leggere il futuro nelle carte e di saper eliminare qualsiasi maledizione. Walter superò la titubanza iniziale ed entrò nella sua tenda, sperando di ricevere qualche buon consiglio. La donna disse di chiamarsi Mamma Owe, e di conoscere i segreti della magia divinatoria. Aveva dei veli pregiati attorno ai capelli neri e lunghi orecchini dorati; decine di collane di perle le incorniciavano un volto scuro e perfettamente liscio, dagli occhi grandi e profondi. “Vuoi conoscere il tuo futuro, bimbo?” gli chiese, invitandolo a sedersi con un cenno. Aveva le unghie rosse, fin troppo lunghe. Walter si mise a sedere su un cuscino, senza dire nulla. La donna cominciò a mischiare un mazzo di carte e a disporle ordinatamente davanti a lui, su un piccolo tavolino di legno intarsiato. “Nel tuo futuro c'è anche gioia, ma soprattutto sofferenza. Nel tuo futuro c'è molto dolore, e anche nel tuo presente.” Walter fissò le carte in silenzio. Alkar lo avrebbe rimproverato aspramente, poiché considerava gli indovini dei ciarlatani, capaci di deviare le menti dei più suggestionabili con un sapiente uso delle parole. Suo fratello non credeva neppure nella magia bianca dei chierici, sebbene Padre Morris avesse curato più volte le gravi malattie dei panarhim. “Perché tutto questo dolore, bimbo?” gli chiese Mamma Owe. Sembrava sinceramente preoccupata. Walter le parlò della sua maledizione. La donna scosse la testa

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sconsolata, sfoggiando un sorriso di circostanza. “Non ho mai sentito parlare di una cosa del genere.” Walter non osò chiederle della possibilità di una cura. “Se fosse veramente una maledizione – continuò la gitana – sarebbe troppo potente, anche per me. Non posso toglierla.” Walter annuì tristemente. “Credo che tu sia fin troppo suggestionabile. Non credo che tu sia capace di tanto... la tua maledizione è frutto di banali coincidenze. Non tutto ciò che accade, accade per una ragione. È solo frutto del caso.” Walter storse la bocca in una smorfia. Pensava di essere stato finalmente preso sul serio, invece anche quella gitana lo considerava uno stupido, al pari del fratello o dei sacerdoti. “Tuttavia, se fosse veramente una maledizione, non esisterebbe alcuna cura. Porteresti nel tuo sangue la maledizione della nostra Razza. Porteresti nel tuo sangue la maledizione di tutti gli esseri umani.” Walter se ne andò dalla tenda, più confuso e scoraggiato di prima. Nonostante le sincere preoccupazioni della donna, tuttavia, quella breve conversazione gli costò tutte le monetine che aveva in tasca. Il giorno successivo, Walter scoprì che Mamma Owe aveva una figlia: si chiamava Isabel, e aiutava i più grandi ad accudire gli animali. Aveva undici anni, e una lunghissima treccia di capelli castani; Walter si prese una cotta per lei, come spesso capitava ai ragazzini della sua età. Durante i giorni di permanenza dei gitani, Walter passò tutto il tempo nei pressi del recinto per parlare con Isabel. Lei era bellissima, anche se un po' triste e schiva. Non le parlò della sua maledizione, ma le portò in regalo fiori profumati e dolcetti panarhim. Lei lo ringraziava con affettuosi baci infantili e lo portava ad accarezzare i cavalli. Gli raccontò della sua vita nella carovana gitana, tra il Karum e il Roja; gli raccontò di quanto desiderasse vivere in una città imperiale, stanca dei continui viaggi e dei litigi con i familiari. Walter, dal canto suo, le invidiava la possibilità di viaggiare per la Regione. Tuttavia, avrebbe voluto aiutarla, poiché era convinto che gli uomini virtuosi dovessero sempre correre in soccorso delle ragazze in difficoltà.

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Promesse solennemente di farlo. Lei lo ringraziò con un tenero bacio, prima di arrossire e di scappare nella sua carrozza. Walter si preparò a parlare con Mamma Owe. Lo avrebbe fatto la mattina successiva, indossando gli abiti migliori. Le avrebbe detto che intendeva dare un futuro migliore a sua figlia, nonostante la maledizione. Le avrebbe detto che Isabel avrebbe potuto trovare posto nella casa dei suoi genitori, e che avrebbe potuto accudire gli animali di qualche panarhim. E poi, una volta cresciuti, avrebbe voluto anche sposarla. Aveva intenzioni serie: matrimonio, famiglia, responsabilità. Come ripeteva sempre Padre Morris. Voleva fare tutto il possibile per il bene di Isabel. Quella notte, però, ci fu una grossa lite alla taverna di fronte alla fontana della driade. Ci fu una rissa scatenata da un gitano e da un panarhim, entrambi ubriachi, che provocò molti feriti. Le carovane ripartirono in tutta fretta, e la mattina successiva la piazza cittadina era completamente vuota. Le guardie cittadine impedirono l'ingresso alle carrozze gitane per molti anni, e Walter fu costretto a dimenticarsi di Isabel.

IX Fin da quando aveva scoperto di possedere quello sciagurato talento, Walter aveva capito che non avrebbe avuto un futuro normale. Aveva cercato di curarsi, ma non era stato possibile. Aveva cercato di aggirare la maledizione, senza successo. Era stato costretto a conviverci, nonostante tutte le difficoltà. Fin da piccolo aveva capito che la sua vita sarebbe stata difficile. Crescendo, aveva maturato sempre di più l'idea di dover cercare altrove una cura, o perlomeno un sistema per riappacificarsi con sé stesso. Tra giochi con gli amici e cotte giovanili, gli anni a Panareel erano passati veloci. Aveva rinunciato al mestiere di fabbro e al negozio di famiglia, aveva rinunciato all'idea di diventare un comune panarhim e di passare una vita serena tra le mura della sua città.

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Aveva provato a essere una persona migliore. Ci aveva provato, fin quasi a impazzire per la rabbia. La sua maledizione l'aveva costretto a fallire, ogni volta. I suoi genitori lo consideravano un buono a nulla, e cercavano di trovargli un'occupazione per cacciarlo di casa. Padre Morris aveva smesso di dargli lezioni, come a tutti i bambini ormai troppo grandi, e non si aspettava nulla di buono dalla sua adolescenza. Per il resto, Panareel sembrava poter continuare a vivere serenamente, nonostante i dolori del giovane Walter. Fu Wilbur a parlargli di Valmut, e dell'Ordine dei paladini. La capitale dell'Impero offriva infinite possibilità, anche a ragazzacci come Walter; era la città più grande della Regione, la città dove tutto poteva succedere e dove chiunque poteva diventare qualcun altro. Valmut era la gloriosa e superba capitale dell'Impero, che ogni cittadino imperiale avrebbe dovuto visitare almeno una volta nella vita. Walter aveva sempre desiderato viaggiare per la Regione, e Valmut era sempre stata in cima ai suoi sogni infantili. L'Ordine dei paladini, poi, faceva parte della gloriosa storia militare dell'Impero ed era rispettato in ogni angolo della Regione. Nonostante ormai rimanessero pochi paladini tra le fila dell'esercito imperiale, come un fulgido retaggio di un eroico passato, nessuno avrebbe mai osato mancare rispetto a un paladino. I ragazzacci non diventavano paladini, i paladini non erano dei buoni a nulla. Fu così che Walter raggruppò i suoi pochi averi in un sacco, e si preparò alla partenza. Valmut sarebbe diventata la sua seconda casa, e l'Ordine dei paladini avrebbe alleviato le sue sofferenze. Nella capitale dell'Impero avrebbe potuto cominciare una nuova vita. Grazie all'Ordine dei paladini avrebbe potuto agire correttamente nel nome del Dio dei Cieli e dell'Impero, avrebbe potuto conseguire la virtù e la rettitudine, avrebbe potuto sconfiggere la sua maledizione con la fede. La sua famiglia non trovò nulla in contrario a quella decisione, per quanto non fosse frequente che un panarhim decidesse di lasciare la sua tranquilla cittadina. Seamus si limitò a dargli un paio di monete d'oro, e Dora gli stampò un frettoloso bacio in fronte. Alkar lo salutò con un cenno dalla sua fucina, senza dire una parola.

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Walter saltò sulla carrozza di un commerciante, con il sacco in spalla e tanti pensieri per la testa. Il venditore di stoffe si offrì di portarlo fino alla capitale, a patto che lavorasse per lui durante le soste a Epoch e a Minah. Walter si convinse che fosse un equo scambio di favori, e non una buona azione. In questo modo, forse, si sarebbe risparmiato ulteriori guai dalla sua maledizione. FINE ANTEPRIMACONTINUA...