330
La relazione come strumento di lavoro (Luciano Cerioli) 1 Modi di vedere. Modi di capire p. 2 2 L’insegnante e l’allievo: elaboratori ed esecutori di informazioni 4 3 La relazione come epifenomeno dell’insegnamento-apprendimento 7 4 La relazione come condizione dell’insegnamento-apprendimento 10 5 La relazione come insegnamento-apprendimento 17 5.1 Il farsi della mente nella prima relazione 19 5.2 Capacità negativa e conoscenza 21 5.3 Dinamiche transferali nella relazione formativa 28 6 Imparare a relazionarsi: i comportamenti e le tecniche 36 7 Imparare a relazionarsi: gli atteggiamenti e le sensibilità 53 8 Pratiche di formazione alla relazione 62 8.1 Il setting di lavoro 65 8.2 Le esperienze laboratoriali LabSum 69 8.3 I pre-testi evocativi 73 8.4 Pretesti narrativi: un esempio 76 8.5 Pretesti narrativi: un altro esempio 84 8.6 Altri stimoli evocativi 88 9 Aiutare chi aiuta 89 1

La relazione come strumento di lavoro (Luciano Cerioli)

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

La relazione come strumento di lavoro(Luciano Cerioli)

1 Modi di vedere. Modi di capire p. 22 L’insegnante e l’allievo: elaboratori ed esecutori di informazioni 43 La relazione come epifenomeno dell’insegnamento-apprendimento 74 La relazione come condizione dell’insegnamento-apprendimento 105 La relazione come insegnamento-apprendimento 17

5.1 Il farsi della mente nella prima relazione 195.2 Capacità negativa e conoscenza 215.3 Dinamiche transferali nella relazione formativa 286 Imparare a relazionarsi: i comportamenti e le tecniche 367 Imparare a relazionarsi: gli atteggiamenti e le sensibilità 538 Pratiche di formazione alla relazione 62

8.1 Il setting di lavoro 658.2 Le esperienze laboratoriali LabSum 698.3 I pre-testi evocativi 738.4 Pretesti narrativi: un esempio 768.5 Pretesti narrativi: un altro esempio 848.6 Altri stimoli evocativi 889 Aiutare chi aiuta 89

1

1. Modi di vedere. Modi di capire.

Il modo di vedere un fenomeno è già in certa misura un tentativo di sua comprensio -ne. Lo sguardo, in questo senso, è già un comportamento conoscitivo. Ciò riguarda in gene -rale l’osservazione e la comprensione (spiegazione) dei fenomeni fisici. A maggior ragionela comprensibilità di un fenomeno umano è strettamente connessa alla postazione osservati -va ed ermeneutica privilegiata. E il vertice osservativo pre-scelto è normalmente davveroscelto prima, nel senso che si dà come automatico dispositivo mentale (un automatico rangedei dispositivi mentalmente a disposizione) e necessario artificio linguistico per catturarementalmente e dire di una cosa in modo preciso e controllato. Il pensiero e il linguaggio del -la scienza dell’occasum, della terra del tramonto e della sera, del nostro Occidente, è nato esi è sviluppato proprio per controllare l’indeterminabile e il molteplice, per distinguere ilconfuso, per stabilire l’identità di ogni cosa con se stessa, per costruire un uni-verso che dis-solva ogni di-verso, ogni differenza, ogni ambivalenza. Costruito sul principio di causalità,identità e non-contraddizione, questo modo di pensare e dire del mondo non prevede alterna -tive (tertium non datur): o una cosa è così oppure non è così. Disgiunge, separa, estremizza.O di qua o di là. O vero, o falso. E’intrinsecamente binarius, diabolico, separatore. Un pen -siero e un linguaggio -questo- che ha progressivamente fissato le basi ermeneutiche e discor -sive per stabilire uni-formità e de-terminare le cose, s-terminando ambivalenze, confusioni eoscillazioni. In questo pensare e dire scientifico la presenza delle cose è un loro disporsi nel -la rappresentazione del conoscitore. Il loro esistere sono uno star-di-contro ( ob-jectum) alsoggetto che ha pre-disposto l’ordine di presentazione. In qualche modo i pensanti si trovanoposseduti dalla visione e dalle idee. I dicenti diventano funzionari di un linguaggio che si re -cita da solo. Esiste ed è spiegabile ciò che si para di fronte a questa sintassi e grammatica delpensare e del vedere 1. Il modo simbolico di vedere e di capire – essenzialmente mediato daimmagini e miti- è stato lasciato all’infanzia e alla pazzia. Il simbolo svelato è morto. Nonrinvia all’eccedenza e all’ambivalenza. Diventa segno. Inventato il concetto ( cum-capio),l’Occidente non ha perso solo i simboli e le immagini, ma soprattutto ciò che essi suggeriva -no al vedere e al pensare preclassificativo. Ha perso una funzione simbolica in grado non disottomettere la coscienza, ma di relativizzarla. Un’antica via ( hodòs), questa, alla conoscen -za, che sostando nel mezzo permetteva l’unione dell’inizio con l’arrivo, dell’ oriens conl’occasum. Un altro percorso rispetto a quello che –puntando ad una precisa meta- imboccala strada più breve che porta a quella destinazione ( metà-hodòs, metodo). Da allora la ragio-ne si è assolutizzata, si è progressivamente trasformata in volontà d’aver ragione sulle cose,sul mondo, sull’uomo stesso. I simboli, ora, tacciono, e il loro silenzio sembra produrre sof -ferenza, oltre che visioni e comprensioni sincopate e unilaterali della realtà. Il linguaggiodell’Uno ha scacciato, scaccia e getta lontano ( dia-bàllein) il linguaggio dell’Altro. All’ es-pressione del primo si oppone la re-pressione del secondo. Questo monoteismo occidentaleallontana le ambivalenze con la prevalenza, riduce i simboli a segni, arresta il senso, rifiutale contraddizioni, converte il bivalente in polivalente o equivalente. La ragione, l’Io, nel bi -sogno di non sottostare alla sua rinuncia, di non cedere ai miti o alla follia, diventa progressi-vamente monarca assoluto. La sua potenza, i cui prodotti tecnico-scientifici hanno tracimatol’Occidente, si traduce in pre-potenza. Separando ciò che è unito ( syn-bàllein), l’uomo èpensato come i computer che lui stesso ha potuto pensare. Non solo l’uomo, ma tutti i suoiartefatti culturali, organizzativi, sociali, ideologici e politici. Domina il monotesimo e la pre-valenza: teologica, politica, logocentrica, capitalistica, economica, tecnologica. S’imponel’idea che in quanto complesso elaboratore biologico e psicologico d’informazioni, l’uomopuò, deve essere variamente istruito-alimentato delle informazioni funzionali al suo compor -

1 Sull’origine, la natura e il limite del “discorso” sull’uomo vedasi di U.Galimberti, Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, Il Saggiatore, 1996; Psiche e techne, Feltrinelli, 1999, La terra senza il male, Feltri-nelli, 2001.

2

tamento funzionale/adattivo. L’uomo che si comporta male (anche professionalmente) è dun -que una persona con deficit informativi. Una sua corretta implementazione e, nel caso, unanecessaria bonifica delle idee disfunzionali o deficitarie di cui è detentore, renderebbero ilsuo confuso e sincopato locus of control più ordinato, chiaro, e sintonico con gli obiettiviesistenziali e professionali pre-esistenti o pre-fissati. Da questa postazione “occidentale”l’uomo è un elaboratore delle informazioni disponibili nella realtà che lo contiene. Lui è lasua coscienza, il suo Io. Il suo pensiero è il pensiero logico-proposizionale. Pensare è ragio -nare, conoscere è afferrare con forza ( ad- rafforzativo prehendere), dividendo e analizzandole complessità per isolarne le componentistiche e le meccaniche interne. Il suo pensare è ladimostrazione della sua esistenza ( cogito, ergo sum ). La sua identità è la sua normalità –adattività – prevedibilità, il suo idem. Il suo lavoro è una complessità variamente isolabile,prevedibile e controllabile di micro e macro comportamenti professionali. Le sue organizza -zioni sono insiemità razionali di risorse tecniche e umane finalizzate alla produzione (di og -getti o servizi oggettivati) secondo logiche ottimizzanti l’ output e minimizzanti l’ input. Ilsuo fare e pensare si finalizza e si condensa in metodi, routines, automatismi da porre men -talmente in default non appena appare che funzionino (che portano al risultato). Le sue leggiscientifiche emergono dalla contrapposizioni di opposti (ipotesi nulla vs ipotesi sperimenta -le). Il suo cuore è una pompa biologica, le sue malattie disfunzioni di organi, i suoi sintomipatologici le sue malattie da correggere, i suoi comportamenti l’ outcome della sua coscienza.I suoi sentimenti, affetti, depressioni, entusiasmi, amori e odi effetti di complesse interazionidi specifici neurotrasmettitori. Il suo mondo gli atomi di cui è composto, da conoscere e sot -tomettere alla sua ragione. Ciò che sopravvive –nell’uomo- a questa bonifica diurna appare ilresiduale di un notturno in via di soppressione, di chiarificazione. Miti, fantasie, leggende,fiabe, simboli, emozioni, sogni, metafore, immagini mentali, pulsioni, affetti, sensibilità, at -teggiamenti: una riserva energetica da recintare nel gioco, nell’arte, nel come-se della vita,da non scambiare con la vita. Una dimensione infantile e animistica dell’uomo, del suo svi -luppo filo e ontogenetico, forse da preservare nell’intrattenimento giocoso dei piccoli enell’abbandono sorvegliato della ragione dei grandi, con il rischio ribadito che essa possa ge-nerare quelle mostruosità che abbiamo imparato a chiamare follia.

La dimensione simbolica collocata –al nascere della filosofia- fuori delle aristotelichemura della città sembra preservare l’uomo della terra del tramonto dall’ambivalenza edall’eccedenza dei rimandi. Il simbolo, ridotto a segno, sembrerebbe non abbia più nulla dadire. La sua conoscenza accogliente, apparentemente passiva e femminile, che permetteva diricevere, di creare, di integrare, di lasciar risuonare e distillare internamente il mondo ha la -sciato il campo ad una conoscenza oggettivante ed espropriante, che fronteggia, cattura, sco -pre, svela e sottomette virilmente la realtà alla volontà di sfruttarla. La conoscenza passiva,l’accoglienza dell’indeterminato, l’apertura all’incategoriale, all’ambivalenza, all’oscuro, almagmatico, al daimonico, alle latenze, al corporale, all’inabissato, al metaforico, al dissolto,all’animale, al naturale, al perturbante, al misterioso sembra sconfitta dal feticismo rischiara -tore del logos occidentale. La rimozione del simbolico semplifica, ma sembra produrre unaperdita, un sintomo, nuove forme di sofferenze conoscitive. Rimuovendo il buio, la luce nonrischiara. Estirpando le radici, i rami non si levano. Quando il sole è a mezzogiorno le ombrenon si scorgono. Vedere e conoscere l’uomo senza considerarne la sua dimensione latente,appaga la geometrica ragione di spiegarlo e la volontà di monitorarne lo sviluppo. Il simboli -co rimosso si traduce in sintomo. Gli dei di un tempo -smitizzati e cacciati- si ripresentanosotto forma di patologie. La malattia e la follia rischiano di ontologizzarsi come ultimo luo -go del mentale non considerato e non accolto. Un’area infera del residuale mentale, tanto piùoscura e affollata quanto più rischiarata, bonificata e ristretta è diventata la coscienza e la co -noscenza dell’uomo della terra del tramonto.

Si sta accennando, come si intuisce, a premesse di natura epistemologica essenzialiallorché si voglia provare a comprendere il ruolo della dinamica relazionale nei processi di

3

insegnamento e apprendimento. Non solo per comprendere, ma anche per immaginare il chefare al riguardo. Lo sguardo scientifico dell’occidente vede e suggerisce molto. Quello sim -bolico dei luoghi degli inizi ( Oriens) ne scorge le dimensioni primarie, fondative, latenti, aintendere non solo il nascosto, ma ancor più le fondamenta ( lateres) che sorreggono il resto.Il primo osserva i comportamenti, li correla alle situazioni di contesto, ne misura gli effetti,rileva errori e dispiega suggerimenti e consigli. Il secondo cerca di accostarsi alle complesserappresentazioni del mondo e di se stessi, al fine di intuirne i significati e i simboli che, va -riamente, si scaricano poi anche in modi di pensare e di agire, non solo professionalmente.Due sensibilità, due sguardi sul mondo e sulle persone. Ognuno di essi bisognoso dell’altro2. La miglior comprensione della “logica” del primo può aiutare a meglio comprendere nonsolo la pervasività dei nostri modi di vedere il comportamento umano (compreso, quindi, ilmodo di relazionarsi professionalmente), ma anche la sua legittimità e, per vari aspetti, ne -cessità.

2. L’insegnante e l’allievo: elaboratori ed esecutori di informazioni

Perché è così problematico progettare e realizzare comportamenti socio-professionali fi -nalizzati –nel nostro caso- ad ottimizzare i processi di insegnamento e apprendimento?Come mai in tante scuole si lavora in contesti climatici faticosi e negativi? Cosa ci vieta distudiare l’etiologia dei comportamenti disfunzionali scolastici (di docenti ed allievi) al finedi correggerli o di prevenirli? La curiosità verso il funzionamento dell’uomo porta automati -camente a scrutare l’irregolarità o la regolarità dei suoi comportamenti, oppure ad analizzar -ne il locus of control interno, sia esso la ghiandola pineale, la corteccia, il sistema reticolareo il cervello nel suo insieme. Oppure ancora a riprendere in esame quel quid immateriale eimmisurabile che di volta in volta si è etichettato con psiche, anima, spirito, cuore, qi, essen-za, sé, ed altro ancora. La scienza che si è proposta di studiare e conoscere la psiche ha pro -vato ad emanciparsi da una filosofia onnivora e idealistica allo scopo di dotarsi di un suoabito epistemologico e metodologico non difforme dalle altre scienze naturali. Se la biologiaè riuscita a vestirsi di un apparato ermeneutico per conoscere e per, parzialmente, controllareil corpo, perché la psicologia non avrebbe potuto fare altrettanto per esplorare e governare lamente? Lo sforzo di legittimazione scientifica contro il mentalismo e l’idealismo filosoficodei precedenti tentativi speculativi ha piegato lo studio della mente verso assunti e modellimentali tipici delle scienze naturali, conformatesi ai canoni della fisica classica. L’indaginesperimentale pretende alcuni momenti logici condizionanti. Alcuni: Necessità di assumere l’oggetto di indagine quale elemento indipendente dal soggetto

che indaga; l’oggetto di indagine va inteso come un composto, un’insiemità di eventi, da cui di volta

in volta è possibile isolare una variabile (indipendente) che governa (causa, determina) osi correla con un’altra variabile (dipendente);

l’oggetto d’indagine va inteso in una dimensione temporale lineare (unidirezionale), cioèin un tempo in cui a un evento succede un altro evento.

Questi assunti, questi impliciti della ricerca scientifica sono sembrati ben adattarsi all’indagi -ne sull’oggetto-corpo, sia nella sua variante macro sia in quella micro. Per quanto un biologopossa non ritenersi estraneo ad una coltura di cellule che sta manipolando (lui stesso è uncomposto di cellule), nulla gli impedisce di sentirsi fuori dall’oggetto d’indagine, nulla gliimpedisce di considerarlo un insieme di variabili all’interno del quale può separare, analizza -re, modificare qualche elemento per vedere cosa accade negli elementi che ha assunto esserein rete con quel che ha modificato. Per quanto un chirurgo possa compartecipare emotiva -mente alla sofferenza del paziente che ha di fronte, non gli risulta difficile assumerlo quale

2 Per una sintetica discussione dei diversi paradigmi scientifici di studio dell’uomo vedasi anche in L.Cerioli, Appassionata mente. Sul desiderio e la paura di conoscere, Franco Angeli, Milano, 4° ediz., 2002, pp.21-40.

4

(complessa) res-extensa, quale importante macchina biologica, sulla cui componentisticapuò intervenire per migliorarne la funzionalità. Il biologo, il medico, il fisico, il chimico, ilneuroscienziato sono, come s’intuisce, dietro il microscopio, sopra di esso, esterni all’ogget -to considerato. Meno lineare l’estensione analogica alla ricerca psicologica. Occuparsi della mente (qualeoggetto d’indagine) porta verso una prima trasgressione al logico castello deterministico:come può una mente studiare la mente? E se anche questo fosse possibile, quale affidabilitàriporre verso un oggetto (la mente) che non può essere misurato, di cui non è possibile costa -tarne la realtà oggettuale, l’estensione e la materialità dei suoi aggregati? Quale affidabilitàconcedere ad un costrutto che spesso viene definito addirittura al negativo (inconscio)? Inquest’ambito il ricercatore è anche il ricercato. È dietro e, contemporaneamente, sotto il mi -croscopio. Sono alcune delle ragioni che hanno orientato verso un drastico cambiamento di prospettivaper salvare la psicologia dall’abbraccio onnivoro della filosofia. Alla mente si è opposto ilcomportamento, assunto quale necessario terminale di stati neurofisiologici e psichici apertial contesto ambientale. Si assume, in tal modo, la potente funzione che sta alla base del mo -dello deterministico: (B=f(A), ovvero C=f(A). Il (C)omportamento dipende (è funzione di)dagli stimoli (A)ambientali. Ci si apre alla sintassi e alla grammatica di questo tipo di proce -dere scientifico, il cui fine è di arrivare a confermare o disconfermare alcune ipotesi cheemergono dall’osservazione empirica dei rapporti causali fra i fenomeni. O, meglio, a provo -care il livello di tenuta scientifica di un’ipotesi formulata che discende da un ragionamentologico-causalistico nell’osservazione empirica dei fenomeni. Attraverso il suo complesso efaticoso procedere porta verso teorizzazioni sui fenomeni, che risultano vere (scientifica -mente valide e affidabili) con certa probabilità d’errore, fino a quando non verranno – graziea nuovi esperimenti – confutate. Le teorie scientifiche appaiono dunque quali insiemi di pro -posizioni-enunciati (ovvero di asserzioni sui fenomeni naturali) internamente coerenti e veri -ficabili, in grado di descrivere, spiegare e predire i fenomeni.Tramite la descrizione si specifica il valore di una variabile (descrizione di stato) o il rappor -to – di casua/effetto o di correlazione – tra variabili (descrizioni di processo). La previsioneconsente di precisare a quali condizioni il fenomeno può ripresentarsi e di quantificarne lafrequenza di accadimento. La spiegazione consiste in una serie di proposizioni che afferma -no rapporti di correlazione tra proprietà. Il sistema proposizionale è un sistema deduttivo,così che l’ explicandum deriva come conclusione logica della serie. Le proposizioni devonoessere contingenti (non accettate a priori) e la spiegazione si definisce quale risposta control -lata a dei “perché”. Spiegare un evento ( explicandum), quindi, significa individuare le condizioni antecedentiche lo determinano e lo favoriscono, dalle quali l’ explicandum deriva. Queste condizioni an-tecedenti sono precisabili muovendo sperimentalmente o lasciando agire sotto controlloeventi che si assumono in relazione causale o correlazionale. In questo senso, nella sequenzacausale A B C D n B rappresenta l’explicandum rispetto ad A e risulta spiega -to rispetto a C. La procedura passo-passo del metodo sperimentale porta a spiegazioni dei fenomeni for -malmente ineccepibili, per quanto provvisorie e relative. La provvisorietà e relatività diquanto viene pazientemente verificato ha indotto una certa confusione terminologica tra teo -rie e modelli, che, invece, dispongono di differenti epistemologie. Nel modello, infatti, lepremesse logicamente anteriori determinano il significato dei termini che ricorrono nellarappresentazione del calcolo delle conclusioni, mentre nella teoria le conseguenze logica -mente posteriori determinano il significato dei termini teorici che ricorrono nella rappresen -tazione del calcolo delle premesse 3. La teoria scientifica risulta pertanto epistemologicamen -

3 Braithwaite R.E., La spiegazione scientifica, Feltrinelli, Milano, 1966.

5

te costruita da enunciati di livello inferiore sino al livello superiore (dal basso all’alto: parteda risultati empiricamente controllati riguardanti relazioni fra variabili), ma logicamente fon -data dall’alto verso il basso. In ciò si differenzia dalla teoria matematica che procededall’alto al basso sia epistemologicamente che logicamente. Il metodo per arrivare a questo tipo di teorizzazioni sui fenomeni reali impone il rispetto el’osservanza di alcune regole di base: una proposizione descrittiva è considerata d’interesse scientifico solo se corrisponde alla

realtà osservata (principio della verifica empirica); tutti i termini della descrizione devono essere accuratamente definiti, tenendo conto delle

operazioni usate per manipolare od osservare ciò che si riferisce ad essi (principio delladefinizione operativa);

“A” può essere considerato in rapporto causale o in correlazione con “B” solo quandomodificando i valori di “A” si osservano significative variazioni nei valori di “B”, equando si è fatto in modo di escludere la partecipazione di altre variabili incidentali(principio dell’osservazione controllata).

Questo modo di scoprire il mondo, la realtà, noi, può apparire non solo lento e faticoso, mapersino ossessivo, competitivo e aggressivo, la cui logica falsificazionistica sembra limitarsia respingere l’ipotesi di nullità – nell’ambito della statistica fisheriana – senza provocare al -tre ipotesi, senza tollerare altre possibilità. Radicalizza due uscite al problema. Spinge versoil vero o il falso, il bianco o il nero, il giorno o la notte. I grigi, le penombre, le ambivalenze, le irregolarità, le devianze incerte, le difficoltà, le esita -zioni discontinue, rischiano di venir disperse da quest’inesorabile binarietà. Il sostare provvi -soriamente al centro o agli estremi della curva gaussiana dirà ora una cosa ora un’altra, op -pure non dirà nulla, in quanto non depositabile nell’uno o nell’altro blocco logico stabilitodall’ipotesi sperimentale. Il numero due, le dicotomie, gli accoppiamenti e le contrapposizioni costituiscono, si antici -pava, punti di forza della forma-mentis dell’uomo occidentale. Il due, l’ aut-aut, il pro o con-tro è nei suoi testi sacri, in quelli religiosi (la Bibbia) e in quelli filosofici (dall’Organon ari -stotelico in poi), è nel suo modo di organizzarsi socialmente e culturalmente. È nei suoicomputer. È nel suo modo di guardarsi e di scrutare il mondo. E’ nel suo habitus mentale percercare di conoscersi e spiegarsi. E’ nell’abitudine –variamente e opportunamente incorag -giata e sviluppata nelle nostre scuole) a sviluppare un pensiero controllato, all’usare la logi -ca, l’attenzione verso il dettaglio e le implicazioni tra una proposizione e l’altra, all’ordinedei pensieri e alla precisione delle formulazioni. E’ nel pensare i comportamenti come effettidi apprendimenti. E, dunque, nell’immaginare che ogni comportamento possa essere attivatoe controllato se adeguatamente insegnato. Questo modo di vedere e di pensare ha definito e precisato anche il suo linguaggio e il suointervento, stimolando – nel nostro caso- i docenti ad osservare con più cura e sistematicità icomportamenti degli allievi, a misurarne le prestazioni, a insegnare loro modi socialmente eculturalmente condivisi e adattati. Per molto tempo si è confidato – nel perseguimento diqueste finalità formative – in una sorta di apprendimento sociale, imitativo: gli allievi, inse -riti per tempi significativi in ambienti regolati ed esposti a modelli comportamentali sintonicicon le norme condivise dagli adulti-educatori, ricevevano (queste le attese) una sorta di effi -cace seppur clandestino modellaggio sociale, funzionale ad un’interiorizzazione stabile deicomportamenti-meta (goal-behaviors). Le attese venivano spesso confermate, in ragione nontanto della malleabilità dei soggetti nel farsi omogeneizzare culturalmente e comportamen -talmente, quanto nell’omogeneità degli stimoli condizionanti: modelli comportamentali metae bersaglio ( target-behaviors, ovvero i modelli vietati e sanciti) ben definiti, esposizione aimodelli intensiva (ristretti gli scarti tra i modelli scolastici ed extra-scolastici), messa in cir -

6

colo di modelli internamenti coesi e congruenti e quantitativamente limitati (il range di tipo-logie comportamentali e sociali cui venivano esposti gli allievi risultava contratto). Il modo di vivere, i modelli organizzativi delle scuole, gli atteggiamenti culturali sui giovani,sull’educazione, le ideologie psicologiche e pedagogiche di non molti anni fa contribuivanoa confermare la potenza e l’omogeneità degli stimoli condizionanti. I bambini, i ragazzi, queibambini e quei ragazzi venivano a contatto con adulti-genitori o adulti-educatori in qualchemodo culturalmente omogenei (perlomeno sul versante educativo-normativo), trovavano in -torno a sé (nella scuola come nel fuori scuola) atteggiamenti e comportamenti degli adultipoco differenziati, sperimentavano modi di pensare e di agire poco difformi e incongruenti.Ne conseguiva una sorta di rappresentazione del mondo adulto sufficientemente chiara e de -finita. Chiari i rituali sociali, chiare le modalità di relazione, definiti i modelli socialmenteincoraggiati e sanciti. Chi trasgrediva, chi non si adattava, in quel mondo, trasgrediva sapen-do di trasgredire, si viveva disadattato sapendosi inadeguato, incapace (anche nella variantereattivo-compensativa: sono disadattato, sì, ma ad una società malata e alienata). In altri ter -mini, ogni allievo viveva in un setting chiaro, definito, che – indirettamente ma potentemen -te – lo sosteneva, lo aiutava a bonificare le sue resistenze al crescere e all’imparare come daaltri desiderato. Questo ricettacolo mentale, questo contenitore psichico lo liberava forse daresponsabilità, ma gli permetteva di crescere e di socializzarsi culturalmente e antropologica -mente senza quasi accorgersene. Molte cose sono cambiate in questi ultimi anni, in varie parti delle nostre contrade geogra -fiche. Usiamo volentieri termini quali complessità, caos, plurivocità, differenze, melting-pota indicare la frantumazione dell’univocità (ideologica, comportamentale, valoriale, razziale).La scuola e la vita sembrano fra loro più distanti di un tempo. I modelli comportamentali evaloriali appaiono sempre più relativi. Gli stili di vita sempre più differenziati. Basta unteam di tre insegnanti per rendere spesso impossibile un percorso didattico (che è registroprofessionale più circoscrivibile rispetto a quello educativo) condiviso, tanto risultano irridu -cibili le diverse sensibilità e i differenti atteggiamenti culturali. L’irrompere della molteplicità da un lato sembra aver disperso il modeling socioculturalepregresso, dall’altro sembra invocare forme più “scientifiche” di controllo e monitoraggiodel comportamento umano. Questa visione del funzionamento dell’uomo –applicata al di -scorso pedagogico- ha facilitato in questi anni un poderoso tentativo di razionalizzazione eoggettivazione della formazione scolastica e della stessa formazione dei docenti. Una forma -zione che si è variamente estesa all’insegnamento di tecniche e competenze comunicativo-relazionali, nella convinzione che anche il modo di stare in rapporto con gli allievi e con icolleghi possa essere efficacemente insegnato, appreso e professionalmente applicato.

3. La relazione come epifenomeno dell’insegnamento-apprendimento

Se insegnare è facilitare e ottimizzare un transfer cognitivo, se apprendere è afferrarestabilmente gli “oggetti” culturali disponibili nell’ambiente, il centro della professionalità diun docente sembrerebbe consistere essenzialmente nella conoscenza degli oggetti da inse -gnare, nella sua capacità di organizzarli didatticamente, nel saperli “disporre di fronte”all’allievo e nel verificarne il destino mnestico e concettuale. Le conoscenze disciplinari, lecompetenze progettuali, curricolari, metodologiche e osservativo-valutative sembrerebberonaturali estensioni (variamente amplificabili e nominabili) dello specifico del suo mestiere.Simmetricamente la “professionalità” dell’allievo si caratterizzerebbe come un’insieme dicapacità e di competenze funzionali al collezionare, arricchire e sviluppare in modo ordinatol’insieme delle conoscenze man mano acquisite (la personale struttura cognitiva, secondol’accezione ausubeliana4): saper ascoltare, capire, fissare, comprendere, collegare, approfon -

4 Ausubel D.P., Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano,1978.

7

dire, ripetere, rielaborare, riapplicare, estendere, trasferire, utilizzare ciò che di volta in volta,e progressivamente –secondo un ordine di complessità crescente- gli viene insegnato rappre -senterebbero la peculiarità del suo lavoro. E siccome anche queste capacità apprenditive pos -sono essere considerate conoscenze e competenze trasferibili (insegnabili), bisognerebbeipotizzare (trascurando qui i casi di handicap mentali) che il buon apprendimento è funzionedel buon insegnamento, che il primo dipende dal secondo, di cui si caratterizza quale varia -bile dipendente. L’insuccesso scolastico dell’allievo, dunque, parrebbe spiegabile dall’insuc -cesso scolastico del docente (dei docenti, dell’ambiente didattico), dalla sua lacunosità o im -perizia nel saper insegnare oltre che i contenuti disciplinari, anche le strategie mentali e ilearning-behaviour indispensabili per imparare. Così osservando il fenomeno, si direbbe che tutta la dimensione relazionale, affettiva edemozionale eventualmente ipotizzabile nel gioco insegnativo-apprenditivo rappresenti unelemento tutto sommato esterno alla dinamica schematizzata (Fig.1).

Qualcosa, forse, di privato: né pertinen -te, né, tantomeno, oggetto di tematizza -zione. Vissuti, percezioni, desideri, illu -sioni, fantasie, proiezioni, introiezioni,attese, delusioni, invidie, gelosie, com -pensazioni, identificazioni

e altro dovrebbero apparire residuali mentali individuali fuori-gioco, da escludere nel caso siaffaccino sulla scena relazionale, o –meglio- non considerabili in una mente convocata perun gioco di natura essenzialmente stimolativo-conoscitiva, e dunque finalizzato, progressivo,eterocentrato, artificiale, produttivo, incrementale, intenzionale. Oppure considerabili solo secircoscrivibili alla dinamica insegnativo-apprenditiva. Che è come dire accettabili scolastica -mente fin tanto che si caratterizzano quale carburante energetico o fattore contestuale di otti -mizzazione del transfer cognitivo. Le positive condizioni climatiche scolastiche, la buona at -mosfera relazionale divengono allora facilitatori transferali, un qualcosa che stando positiva -mente intorno (epi-fenomeno), accanto ai processi acquisitivi, li facilita o, perlomeno, non liostacola. Questa dimensione epifenomenica viene, da questo vertice osservativo, assunta come datonaturalistico e, in qualche modo, privatistico. Un modo per dire che all’insegnante tocca in -segnare, non occuparsi di relazionalità. La buona relazionalità dovrebbe caratterizzarsi comeelemento dato, come fondale acquisito (almeno dalle regole della buona educazione, se nondalla consapevolezza della natura del setting scolastico), all’interno del quale attivare unaprofessionale e custodita dinamica transferale. E nel caso tale fondale risulti inadeguato o di -sfunzionale, al docente spetta il compito di richiamare le regole, di sancire le trasgressioni.Nemmeno, di per sé, premiare i buoni comportamenti, giacché questi vengono assunti qualeelemento dato, quale condizione naturale per poter professionalmente agire (Fig.2).

Questa interpretazione dei processi di insegnamento e di apprendimento può apparire,ai nostri giorni, grossolana e superata, nonostante il sottofondo ideico che la definisce siatutt’ora attivo e mentalmente utilizzato nelle progettazioni ed esecuzioni del lavoro del do -cente. Se ne rinvengono tracce e sedimenti soprattutto in tante discussioni tra insegnanti ne -

8

Processo di in-segnamento-apprendimento

Dinamica relazionale

Dimensione naturalisticaRelazionalità

Dimensione naturalisticaRelazionalità

Dim. ProfessionaleIns./Appr.

Dim. ProfessionaleIns./Appr.

gli organismi collegiali, nei colloqui con i genitori, nei rapporti con gli studenti, nel modo divalutare, di fare lezione, e, generalmente, di pensare e monitorare il processo formativo. An -cora di più allorché si provi a coniugare il processo istruzionale con quello più ampiamenteeducativo-formativo: questo confronto o tentativo di conciliazione si viene spesso a caratte -rizzare quale indiretto test in grado di far emergere dissonanze profonde fra modelli mentaliforse latenti e clandestini ma assai vitali e condizionanti. Gli aspetti educazionali, oramai da anni, appaiono residuali filosofici o precettistici nel diffu -so atteggiamento pragmatico assunto al riguardo, che spesso spinge verso forme di ridondan -te didatticismo o di esaltazioni pseudo-aziendalistiche della formazione scolastica. Già allafine degli anni ’80, Riccardo Massa 5 tornava a parlare di morte della pedagogia, sviluppandoun dibattito spesso ritenuto inessenziale e retorico6. Ma è stata l’occasione perché alcuni rite-nessero utile ripensare le fondamenta epistemologiche delle scienze della formazione: forse –si commentava- esaurita è solo la pedagogia accademica, non la formazione; altri, richiaman -dosi a Whitehead, rivendicarono l’intrinseca appartenenza del discorso pedagogico alla filo -sofia7, altri, infine, giudicarono né le scienze dell'educazione, né la filosofia dell'educazione,né la didattica in grado di render conto adeguatamente dell'azione educativa e d’essere in gra -do di soddisfare la diffusa sensazione di non-governo (intellettuale ed operativo) del processoformativo scolastico. Dietro tali questioni di fondo, e al di là del livello di riflessione più propriamente epistemolo -gico, non è difficile intuire -anche per l’insegnante- il ruolo critico che viene ad assumerel'educazione in questa stagione culturale e professionale: essa viene evidenziandosi o comeretaggio di rituali professionali ingenui e magici, o come aggiornato sistema di controllo so -ciale, o come metafora inutilizzabile di un lavoro altrimenti analizzabile e gestibile, quasi sitrattasse di un phantasma, di un che di assente ma di cui si avverte la presenza. Le analisi sulle componenti istruzionali e educative individuabili nell'azione formativa han -no fatto a lungo discutere, soprattutto pedagogisti e filosofi. Allo scopo di aggirare o di inte -grare gli aspetti dialettici, si sono tentati anche interessanti approcci di tipo storico e socioe -conomico. Si ricorda un accattivante studio di F.Frabboni apparentemente datato in cui l'auto -re, ricorrendo all’analisi althusseriana del sistema scolastico (è apparato ideologico del siste -ma economico dominante, e quindi ne dipende), notava un singolare "comportamento pendo -lare" della scuola tra funzione educativo-socializzante e funzione istruzionale. Il primo movi -mento veniva correlato (anzi, funzionalizzato) a periodi di positiva congiuntura economica, ilsecondo si dispiegava nei periodi di crisi e di regressione8. Al di là di questi pur rilevanti tentativi di correlare il discorso formativo con le più ampiesensibilità socio-culturali di una comunità, permangono ampi e variamente verificabili atteg -giamenti mentali in merito. Intanto attorno, o sotto, a due termini-chiave del linguaggio e delpensiero pedagogico (istruire e educare), dei quali il primo sembra godere di maggiore liber -tà ed autonomia del secondo nei confronti del relazionale.

L'istruire, infatti, chiama facilmente conoscenze, competenze, tecniche, programmi,didattiche, curricoli, progetti, controlli, monitoraggi, misurazioni e valutazioni: materiale og -

5 Massa R., Educare o istruire? La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli, Milano, 1987.Massa R., (a cura di), La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, Unicopli, Milano, 1988. R.Massa, Cambiare la scuola. Istruire o educare?, Laterza, Bari, 1997.

6 Discutere attorno all'educazione e all'istruzione è un "segno della inessenzialità e ritualità del dibattito peda-gogico" (Vertecchi B. in Massa R., (a cura di), La fine della pedagogia nella cultura contemporanea, op.cit. , p.39).7 Sini C, Intervento, in (a cura di) Massa R., La fine della pedagogia nella cultura contemporanea ,Unicopli, Milano, 1988.

8 Frabboni F., La scuola di base fra tempo pieno, curricolo e nuovi contenuti formativi, in Problemi della transizione, 8,1981.

9

gettivo, in certa misura freddo, manipolabile, trasferibile, artificiale, controllabile, razionale.Nell'istruire c'è la fatica di dare e di prendere, di migliorare il dare e di ottimizzare l'avere.C’è anche la sicurezza e la controllata curiosità del viaggio organizzato da affrontare. Dentroall'istruzione le differenze di potere, di influenzamento, di maturità sono in qualche modoesplicitabili. Le strade e i percorsi paiono tracciabili, le pareti e i confini definibili. Visibilianche i punti di partenza e di arrivo, e non eccessivamente problematico sembrerebbe la ne -goziazione sul modo di camminare e sul percorso da scegliere.

L'educare chiama, invece, dimensioni calde, soggettuali, meno maneggevoli e con -trollabili, in certa misura poco visibili e orientabili. Si affacciano stili di personalità, modi diessere, prima ancora che stili e comportamenti professionali. Si affacciano biografie persona -li, stati affettivi, emozioni, sentimenti, ambizioni, paure, difese. Nell'educare è più facile con -fondere chi dà e chi riceve, e non sempre si legge cosa si dà e cosa si riceve. Dentro all'edu -cazione i confini e i percorsi sono meno evidenti, si intrecciano, si dissolvono, si confondono.Dentro all'educazione si perde facilmente il controllo, la testa, non solo la faccia. Non sempresono chiari -in questo luogo mentale- i percorsi e le modalità di evoluzione. Anche le imma -gini più discusse e condivise del formatore trovano alimentazione e spessore in queste diver -se possibili rappresentazioni. L'educatore/seminatore e giardiniere, che nutre e si prende curadi un organismo che cresce. Ne è paradigma il precettore rousseauviano dell'Emilio, con lasua educazione "indiretta". L'educatore/artigiano fabbricatore di conoscenze e coniatore dipersonalità, abusata immagine complementare all'educando, così come teorizzato dalla scuo -la empirista inglese e dalla prima psicologia comportamentista. L'educatore/ostetrico, che fari-nascere e che, facilitando l'interiorizzare del non sapere, maieuticamente fa evolverenell’allievo la doxa (l'opinione comune, l'apparenza) in episteme, in vera conoscenza. L'edu -catore/guida, che porta oltre (più avanti, più in alto, altrove) l’allievo.Mentre nell'istruzione ci si può fondare professionalmente con relativa semplicità, nell’edu -cazione è più facile sentirsi impotenti o inadeguati. Parafrasando Winnicott, nell'istruzioneuno specchio è un oggetto che ci si pone di fronte per poter essere osservato, descritto ed ana-lizzato. Nell'educazione ciò che ci si para di fronte è la nostra immagine, che lo specchiosemplicemente riflette.

4. La relazione come condizione dell’insegnamento-apprendimento

Il permanere e, anzi, lo svilupparsi di vaste aree di disagio scolastico e l’irrompere nellascuola di nuove forme di disapprendimento e di svantaggio socioculturale hanno facilitato unripensamento non solo dei compiti primari dell’insegnante, ma delle stesse rappresentazioniscientifiche della dinamica formativa. Gli impliciti che alla forza stimolativa del docente cor -rispondesse un’adeguata cattura stabilizzata del discente sono stati variamente contraddettidall’emergere e dal diffondersi di nuove forme di disapprendimento. All’allievo “che stavaindietro” di un tempo si è affiancato l’allievo “che sta fuori” dalla classe dei nostri giorni. Aquello che appariva povero di pensieri e di parole, quello che ne pare persino troppo invaso,al punto da non saper sostare su stimoli culturali diversi o complessi. La razionalizzazione eprofessionalizzazione del gesto insegnativo sembra –paradossalmente- aver incentivato unaforma analoga di professionalizzazione del disapprendimento negli allievi. Anche per questeragioni si è dunque provato –attraverso una pluralità di approcci e tramite lo sviluppo di variprogrammi di ricerca- a ristudiare e ripensare la meccanica e la dinamica della formazionescolastica, sottolineando sempre di più la necessità –per l’insegnante- di occuparsi non solodi ciò che sa e di come insegnarlo, ma di mettersi nei panni (nella mente) dell’allievo, al finedi orientarne il personale stile apprenditivo. Un approfondimento e un ampliamento –questo-delle funzioni e del ruolo dell’insegnante, cui viene sempre più richiesta una competenza ete -roreferenziale (Fig.3)

10

Le nuove acquisizioni, variamente diffuse e sviluppate nel nostro Paese a partire dalla finedegli anni ’80, hanno messo in evidenza come in ogni processo apprenditivo si attivino abili -tà diverse, cognitive e metacognitive, a loro volta variamente innescate o inibite da fattoriemozionali ed affettivi. Le ricerche sulla metacognizione, in particolare, intesa soprattuttocome “thinking about” 9, ossia consapevolezza delle proprie concezioni, del loro valore e deiloro limiti, e capacità di compararle con altre informazioni, hanno variamente sottolineato lanecessità di insegnare agli allievi a conoscere e controllare le proprie strategie di pensiero edi apprendimento al fine di ottenere positivi risultati nei processi apprenditivi. Si inizia in talmodo a riproporre ai docenti tecniche di tipo socratico, basate sulla messa in discussione del -le conoscenze, su forme di autointerrogazione e di dialettica che dovrebbero aiutare gli allie -vi a pensare il proprio pensiero, a pensarsi, a interrogare i propri modi di conoscere. La con -sapevolezza scientifica del ruolo delle rappresentazioni mentali, dei modelli mentali nellacostruzione delle conoscenze (anticipano analogicamente la realtà sconosciuta o, nella pato -logia e nel disapprendimento, la sostituiscono progressivamente) ha orientato –da allora-molta letteratura psicopedagogica a occuparsi di strategie di insegnamento del pensiero, dimodalità di imparare a imparare, al fine di limitare i rischi della stimolazione a vuoto,dell’apprendimento meccanico, delle diverse “trappole dell’intelligenza” in cui è facile cade -re quando si è ciechi e sordi rispetto alle personali strategie di pensiero e di costruzione delleconoscenze10 . Questi diversi modelli di stimolazione dell’apprendere si caratterizzano per lacura posta non tanto ai contenuti stimolativi, ma alle condizioni necessarie per cui la mentedel formando possa costruire le sue conoscenze. Si tratta di programmi che si propongono dinon insegnare qualcosa di esterno alla mente del discente, ma di stimolare in lui la consape -volezza e il controllo dei propri modelli mentali, delle proprie strategie conoscitive, del pro -prio modo di generare le conoscenze e di imparare. J.H.Flavell11, nel suo Cognitive monitoring del 1981, presentava allora uno dei primi mo -delli tassonomici di esperienze e capacità metacognitive. Tale modello differenziava tre fon -damentali tipologie metacognitive:

quelle indirizzate alle proprie caratteristiche personali (memoria, stile concettuali, ecosì via);

9 Kuhn D., Amsel E., O’Loughlin M., The development of scientific thinking skills, Academic Press, Orlando, 1988.10 De Beni M., Costruire l’apprendimento, La Scuola, Brescia, 199411 Flavell J.H., Cognitive Monitoring, in (a cura di) Dickson W.P., Children’s oral communication skills, Academic Press, N.Y., 1981.

11

Area dell’insegnare

Area di cogenerazio

ne delle conoscenze

Area dell’imparare

quelle orientate alla natura del compito (caratteristiche del problema, livelli di com -plessità, impliciti, etc.);

quelle centrate sulle strategie di pensiero (quale tecnica adottare per capire, per stu -diare, per riassumere, per risolvere una configurazione di stimoli.

Altri approcci ponevano l’accento su altri aspetti metacognitivi. A.Brown12, ad esempio, insi-steva maggiormente sugli elementi esecutivi della metacognizione, quali la predizione (pre -vedere atti cognitivi funzionali al compito apprenditivo), la progettazione (definire un’ipote -si pianificata di lavoro mentale), il monitoraggio (controllare e supervisionare in progress iprocessi mentali attivati) e la valutazione (valutare conclusivamente il lavoro mentale e isuoi risultati). Questi e altri studi hanno segnalato il bisogno – per chi si occupa di conoscerela funzionalità della mente – di rivedere con nuovi occhi le variabili intervenienti fra lo sti -molo e la risposta apprenditiva a suo tempo ipotizzate dalla psicologia scientifica post-com -portamentista. Molti aspetti di queste ricerche sembrano esser diventate patrimonio comune della formazio -ne professionale dei docenti dei nostri giorni. Ovvero molti docenti “sanno” –ora- che il d i-scente non è un passivo intercettatore e memorizzatore di stimoli formativi, bensì un attivoconoscitore e co-costruttore dei processi di conoscenza. “Sanno” che l’allievo è attore essen -ziale dei propri processi mentali, che il suo compito non consiste tanto nel catturare e ripro -durre gli stimoli dispersi nell’ambiente scolastico, quanto di elaborarli, trasferirli, rielaboralied applicarli. “Sanno” che alla base di molto disapprendimento sono rinvenibili non tantovuoti formativi, assenze di informazioni, quanto attive mis-concezioni, mis-conoscenze, ov -vero modelli mentali primitivi, ingenui, involuti, cui è molto affezionato e tramite i qualilegge e cerca di capire il mondo. “Sanno” che il loro compito consiste nel favorire il concep-tual change : i passaggi da ordini mentali inferiori a quelli superiori; a disambiguare i suoimalintesi scriptali, a ri-conoscere le sue concezioni ingenue, a farlo riflettere suoi vecchi sce -nari mentali per aiutarlo a transitare verso nuovi e più evoluti ambienti mentali. Hanno pureimparato che più che sui contenuti, occorre fare leva su competenze trasversali, trasferibili,amplificabili e che è necessario incoraggiare le capacità di monitorare l’apprendimento, aiu -tando l’allievo a pensare il suo pensiero, i suoi schemi, le sue concezioni (metacognizione,appunto). A conoscere il proprio personale funzionamento mentale, a conoscere le conoscen -ze del proprio funzionamento mentale, a controllare il proprio pensare. “Sanno”, anche, cheil discente va maggiormente incentivato a riflettere, ad elaborare e rielaborare, ad applicar etrasferire ciò che impara di volta in volta. Va incoraggiato a conoscere i propri stili di cono -scenza, le tattiche e le strategie che utilizza e che potrebbe utilizzare in vari domini conosci -tivi. Più metaconoscenza, parrebbe, più conoscenza. Maggior autoconoscienza, maggior suc -cesso scolastico. Difficile immaginare e verificare quanto questo “sapere” intorno alle nuove visioni della co -noscenza si sia tradotto e si sia “incarnato” nella professionalità del docente. E ciò non tantoin ragione di una necessaria attesa per la metabolizzazione professionale dei principali as -sunti di queste ricerche, quanto per questioni attinenti la sopportabilità mentale di queste co -noscenze, di cui si parlerà successivamente.Di fatto, le numerose e varie tecniche illustrate nella letteratura di settore e variamente speri -mentate nelle scuole per insegnare al docente come aiutare l’allievo a conoscersi, a conoscereil suo peculiare modo di pensare, di ricordare, di capire, hanno messo in evidenza nuovefrontiere di professionalità, seppur paiono a volte limitarsi entro i recinti di un’ergonomia co -gnitiva, ove poco considerazione è dedicata al ruolo degli affetti e alle tematiche transferali econtrotransferali implicate nei processi di insegnamento-apprendimento. Anche il riconosci -mento dell’utilità delle metodologie cooperativistiche a suo tempo discusse da R.Cousinet eC.Freinet, il richiamo all’importanza di bonificare la relazione educativa tramite suggerimen -

12 Brown A.L., Knowing when, where, and how to remember: A problem of metacognition, in (a cura di), Glaser R., Advances in instructional psychology, vol.1, Erlbaum, Hillsdale, 1978.

12

ti sugli stili educativi positivi o i consigli al pensare a voce alta sembrano utili proposte che siarrestano, però, alle soglie delle dinamiche relazionali più profonde e protette. Il citato DeBeni, sintetizza le tre principali attuali vie di accostamento al Sé: “un’ottica “transazionale”focalizzata sulle modalità in cui l’Io entra in relazione con gli altri, negozia, condivide cre -denze e assunti dell’esistenza; un’ottica “razionalista” secondo cui l’Io è paragonato a unostratega, ad un agente programmato secondo regole logiche; un’ottica “dialogico- narrativa”che focalizza la sua analisi su un Sé narratore, cioè impegnato come un archeologo o uno sto -rico a scavare ed a descrivere la propria esperienza”13. Questo indiretta sollecitazione rivolta al docente perché consideri anche i processi di appren -dimento sua ineludibile competenza professionale ha inevitabilmente messo in evidenza ilruolo essenziale delle dinamiche relazionali. Da elemento naturalistico di contorno, la rela -zionalità si è sempre più venuta configurando come necessaria premessa professionale per lanegoziazione e le co-costruzione della conoscenza.

La relazione non si confonde con l’ educazione, né solo la permette e giustifica. Essasta sopra e contemporaneamente in fondo al gesto educativo, a seconda del modo con cui lasi vuol analizzare. La relazione formativa è certamente un caso particolare della relazionali -tà umana. Un evento che da un lato costituisce la peculiarità , lo specialismo, l’attrezzisticadel rapporto educativo, dall'altro è descrivibile nella sua finalità metabletica 14 (che cambia,trasforma, modifica), nella sua intenzionalità e nella sua peculiare strutturazione psicosociale(un rapporto complementare asimmetrico che si evolve, si modula, sino a distruggersi15.Diversi sono anche i modi di accostare e rapportare la relazione educativa ( Re) con quellaassistenziale (Ra) e con quella più specificamente matetica ( Rm). Uno di questi potrebbe ve -nir schematizzato con la proposizione seriata che segue:

Ra < Rm <Re a intendere con il primo elemento ( Ra) un gesto di semplice presenza e testimonianza, con ilsecondo (Rm) un'azione di stimolazione culturale controllata e finalizzata all'acquisizione diconoscenze e competenze, con l'ultimo ( Re) un rapporto direzionato di reciproca definizionedel Sè da parte degli interlocutori. Un rapporto, pertanto, che non solo permette lo scambio dispecifiche informazioni tra i due sistemi umani, ma che, indipendentemente dalla volontà edalla consapevolezza degli interlocutori, li tras-forma, ne modifica alcuni tratti di personalità,alcuni aspetti dei loro stili di vita, dei loro modi di rappresentare se stessi e di rappresentarsil'ambiente circostante. In circolo, in questa ultima variante della relazione, sono individuabilipertanto certamente oggetti scolasticamente dedicati e intenzionalmente governabili (matemi,cicli minimi e compiuti di insegnamento-apprendimento), ma anche informazioni aspecifi -che, variamente metacomunicate o agite, che non solo aggiungono informazione e potenzia -no gli effetti del modellaggio socioculturale, ma significano e qualificano a livello primario(affettivo) i diversi matemi. Ricorrendo ad un diagramma di Venn, gli elementi R (Relazione in senso generale), Re (Rela-zione educativa) e Rm (Relazione matetica) possono essere rappresentati come nella Figura4.

13 De Beni M., op.cit., p. 175.14 Van Den Berg J.H., Metabletica, Nijkerk, Callenbach, 1967.15 De Giacinto S., L’asimmetria nel rapporto educativo, in Ricerche Pedagogiche, 55, Parma, 1980; Caroni V., Iori V., Asimmetria nel rapporto educativo, Armando, Roma, 1989.

13

R

Fra i diversi elementi si legge una relazione in termini di inclusività, così da permettere,muovendo in senso centrifugo, questa nuova proposizione:

Rm Re R

Ovvero, il significato della Relazione matetica ( Rm) non è esterno alla Relazione ( R), ma nerappresenta una ¦variante specifica, in cui tutti i suoi elementi (r m1, rm2, rmn: ad esempio leregole di codifica e decodifica della comunicazione, il ruolo della comunicazione analogica ecosì via) sono in R certamente e, viceversa, gli elementi di R (r1, r2, rn) non sono necessaria-mente in Rm. Sviluppando, gli elementi di ogni insieme appartengono all'insieme stesso e atutti gli insiemi che lo contengono: (r1, r2, rn) R (re1, re2, ren) Re R (rm1, rm2, rmn) Rm Re R

Più qualitativamente le espressioni segnalano, fra l'altro, che le caratteristiche dinamiche ele regole costitutive della relazione umana, della relazione non patologica (non statica, modu-labile, che salvaguarda l'identità degli interlocutori, protetta dalle collusioni, simbiosi e fusio -ni, direzionata, creativa) informano le caratteristiche della relazione educativa , sia nella suaaccezione più globale che nella sua variante istruzionale. Gli effetti pragmatici di una discon -ferma o di ingiunzioni pragmaticamente paradossali studiate e documentate da Gregory Bate -son e dai suoi Allievi (senso di alienazione, svalutazione e perdita dell'identità personale)sono pertanto rilevabili -nella specificità del contesto relazionale in cui maturano e si stabiliz -zano- in tutti i luoghi precisati. Stili comunicazionali disconfermanti (elemento di Rm, di Re edi R) produrrebbero, dunque, analoghi sentimenti di alienazioni in chi li "subisce". Prevedi -bilmente questo modo di relazionarsi moltiplicherà i suoi effetti disfunzionali in quei soggettiposti in posizione "sotto", perché inferiori mentalmente, fisicamente, istituzionalmente; men -tre potrà ferire relativamente il soggetto che si trova in un contesto relazionale tendenzial -mente simmetrico (quale quello fra due amici o due colleghi di lavoro di pari grado), giacchépotrà facilmente ripararsi dagli attacchi o decidere di contrattaccare con analoghe armi. I rapporti postulati segnalano che muovendo invece in senso centripeto (da R a Rm) ci si ad -dentra progressivamente in contesti sempre più professionalmente caratterizzabili, all'internodei quali è però illusorio attendersi territori più semplificati e maggiormente conformati allespecifiche regole del gioco previste (istruire-apprendere) e delle attese legittime di controllorazionale. Il caos, il disordine, il cambiamento, l'imprevisto, il discontinuo, il caldo e il fred -do, i desideri e le emozioni, le spinte e le fughe, l'esprimibile e il non dicibile che si possonoincontrare nel vero e pregnante rapporto tra le persone sono dentro alla relazione educativa,sono dentro anche alla relazione matetica, anche se -al progressivo procedere verso il centro-essi progressivamente vengono posti sullo sfondo del confronto.

Questo modo di leggere e di assumere il processo insegnativo-apprenditivo qualeevento di condivisione, costruzione, negoziazione di diverse interpretazioni della realtà, di di -versi "mondi possibili" lascia sullo sfondo (o, meglio, in superficie) la visione di un allievo e

14

Re

di un docente impegnati in un gioco di trasferimento concettuale, né essi vengono più perce -piti nei termini skinneriani di controllato-controllore. Le correzioni neo-cognitiviste, gli ap -porti della cosiddetta philosophy of mind , le intuizioni piagettiane e bruneriane 16 hanno evi -denziato il ruolo della dimensione socioaffettiva –variamente regolata dalle dinamiche razio -nali- recepita non più tangenzialmente, e nemmeno quale carburante della cognitività o feno -meno in parallela evoluzione. Un po’ un ritorno a Delfi, la riapertura verso antiche intuizioniche ritenevano indispensabile, per poter conoscere il mondo, conoscere se stessi. In effetti lediverse proposte maturate in questi anni nella letteratura scolastica hanno sollecitato diversepratiche di formazione centrate sulla conoscenza di sé (Cfr. Fig.5).

Inevitabilmente l’esigenza di avvicinarsi maggiormente all’identità dell’allievo ha suscitatorinnovate attenzioni nei confronti delle tematiche relazionali, sempre più percepite come con -dizioni basilari per costruire insieme agli allievi un condiviso percorso epistemico. L’idea chesi possano imparare tecniche e strategie comunicativo-relazionali finalizzate a questo proces -so di accompagnamento e di aiuto alla consapevolezza di sé (dell’allievo) ha facilitato lo svi -lupparsi di multiformi strategie formative dedicate, di cui si faranno alcuni riferimenti suc -cessivamente. Si afferma, anche grazie a questi contributi, l’immagine di un discente che –per poter conoscere- deve conoscersi, o, perlomeno, deve conoscere alcune sue modalità diconoscenza. Una prima inversione del cogito cartesiano: per poter pensare, occorre in qual -che modo dimostrare a se stessi la propria esistenza (sum, ergo cogito).

Le rilevanti acquisizioni appena accennate hanno indubbiamente –seppure indiretta -mente- riproposto la necessità di ripensare il ruolo della dinamica relazionale nei processiformativi in ambito scolastico: da elemento epifenomenico e naturalistico –si diceva- a ne -cessaria e indispensabile competenza professionale perché il docente possa svolgere il suo la -voro. Si permane, in osservanza al modello mentale implicito, in una concezione logocentri -ca, ovvero si assume che il soggetto possa conoscersi seguendo, in qualche modo, la traccia -tura razionale proposta dal docente. Si assume, in qualche modo, che la mente del discente èla sua coscienza, il suo Io. Si ritiene che –una volta indicato un percorso autoscopico e autori-flessivo- l’alunno disporrà delle necessarie strategie cognitive per osservarsi, per capirsi, percorreggersi e migliorarsi.

16 Vedasi in Gilli G., Marchetti A., (a cura di ), Prospettive sociogenetiche e sviluppo cognitivo, R.-Cortina, Milano, 1991; Bruner J., (1986), La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988;Bruner J., (1990), La ricerca del significato, Bollati-Boringhieri, Torino, 1992;Bruner J., La costruzione narrativa della “realtà”, in Ammanniti M., Stern D.N. (a cura di), Rappre-sentazioni e narrazioni, Laterza, Bari, 1991.

15

IO

Cosa so di meQuali sono i miei pensieri

Come funzionoCome penso di conoscere

Quali i miei stili di conoscenzaQuali i miei modelli mentali

Quali le miei difficoltàQuali le mie possibilità

Questa visione razionalista della mente umana ha facilmente indotto fantasie idealizzanti sul -le possibilità di autoconoscienza e di autoadattamento, che si sono spesso alleate a sedimen -tate idee sulle possibilità di cambiare e di correggere i percorsi individuali tramite una corret -ta e tempestiva informazione e un accurato monitoraggio e riorientamento comportamentale.Eppure da almeno alcuni decenni una pluralità di scienze evolutive ha messo in evidenza lanecessità di ripensare l’idea di evoluzione quale processo lineare, graduale, univocamentematurativo. Già 25 anni fa la teoria degli equilibri punteggiati di due giovani paleontologiamericani (Stephen J.Gould del Museum of Comparative Zoology di Harvard e Niles Eldrid -ge del Museum of Natural History di New York) rovesciava l’immagina darwiniana consoli -datasi nella prima metà del secolo scorso. La vita evolve da un processo affatto uniforme egraduale, anticipavano: è caratterizzata, anzi, da alternanze fra periodi di stabilità e di rapidatrasformazione. Le specie originano per la divergenza di piccole popolazioni ai margini dellaspecie madre (speciazione allopatrica) 17. La svolta al pensiero evoluzionista è proseguita conle ricerche di Elisabeth S.Vrba, Henry Atlan, Richard A. Lewontin, Luigi Cavalli-Sforza, ol -tre ai citati Stephen Gould e Niels Eldredge 18: le novità non insorgono essenzialmente da gra -duali trasformazioni e adattamenti, ma da rapide divaricazioni, da “salti” evolutivi, da di -scontinuità, da devianze, da marginalità, da incongruenze, da dis-adattamenti. L’interpreta -zione progressionista dei processi di evoluzione biologica, la tradizione uniformista e gradua -lista che suggerivano di interpretare l’evoluzione quale continuo, lento e uniforme processodi trasformazione adattiva e direzionata della vita all’ambiente ha ricevuto continue discon -ferme scientifiche da questi indirizzi di ricerca. “L’evoluzione non appare più come il regnodella necessità e di un’ottimalità adattiva di tipo finalistico, ma come il risultato polimorfo eimprevedibile di percorsi contingenti, di adattamenti secondari e sub-ottimali, di bricolageimprevedibili. L’impiego adattivo attuale (più o meno soddisfacente e bizzarro) di una strut -tura non implica che questa sia stata costruita gradualmente e selettivamente per quell’impie -go: l’utilità attuale e l’origine storica di un organo devono essere distinti”.19 Il superamento delle concezioni creazioniste ed essenzialiste saldatesi nell’Ottocento a quelledarwiniane e post darwiniane (dall’evoluzione come lento e inarrestabile dispiegarsi delleforme eterne impresse dalla divinità al mondo naturale, all’evoluzione come progressivaazione uniformante della selezione naturale operante sulle diversità casuali delle mutazioniindividuali), questo superamento non si arresta negli ambiti disciplinari-sorgente. Coinvolgedi necessità le nostre idee di cambiamento, di evoluzione, di maturazione, di modi conosceree di imparare, di trasformazione, di scienza. L’acritica utilizzazione di queste classiche con -cezioni (soprattutto quelle che assimilano l’apprendimento all’adattamento, lo sviluppo alladirezione, la crescita alla stimolazione, la formazione al dare la buona forma) rischiano di ap -parire unilaterali, semplificate, grossolane, meccaniche. La stessa intera costruzione episte -mologica popperiana sembra dominata da una onnipervasiva analogia con il neo-darwinismo(non è lotta per la sopravvivenza fra teorie?) con l’adattazionismo (nella teoria della verosi -miglianza) e con il modello problema-soluzione 20. Se si sostituisce a “organismo” o “specie”i termini “teoria scientifica” o “insieme di teorie” si ottiene con facilità un coerente darwini -

17 Eldredge N., Gould S.J., Punctuated equilibria: an alternative to philet gradualism, in Schopf T.J.M., ed.,Models in Paleobiology, Freeman, S.Francisco, tr.it. Gli equilibri punteggiati: un’alternativa al gradualismo fi-letico, in Eldredge N., Strutture del tempo, Hopeful Monster Ed., Firenze, 1991, pp.221-260.18 Per una visione d’insieme dell’amplificazione possibile delle ricerche indicate vedasi Gould S.J, Il darwini-smo e l’ampliamento della teoria evoluzionista, in Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), La sfida della complessità,Feltrinelli, Milano, 1985. Degli stessi autori, che hanno avuto il merito di introdurre nel dibattito italiano i temidel pluralismo evolutivo e della contingenza delle scienze nei sistemi complessi ed evolutivi: Modi di pensarepost-darwiniani. Saggio sul pluralismo evolutivo, Ed. Dedalo, Bari, 1984; Origini di storie, Fletrinelli, Milano,1993; Ceruti M., Il vincolo e la possibilità , Feltrinelli, Milano, 1986; Preta L., La narrazione delle origini , La-terza, Roma-Bari, 1991; Preta L., (a cura di), Immagini e metafore della scienza, Laterza, Roma-Bari, 1992. 19 Pievani T., L’evoluzione rapsodica. Saggio su exaptation e il pluralismo evolutivo, Rivista di Psicologia, 1, 1999.20 Pievani T., ivi.

16

smo epistemologico, fondato sulle stesse metafore di quello biologico. Se si pensa alle tanterappresentazioni di formazione, ai tanti miti interni della pedagogia e di molta psicologia (eli -minare-curare i sintomi, rieducare, insegnare, stimolare, adattare, direzionare) ci si ritrovanelle stesse atmosfere darwiniane, corrette a volte solo nominalmente. La nozione di ex-aptation sembra correggere, almeno parzialmente, l’adattazionismo implici -to nei dominanti miti interni della formazione e della cura. Può aiutare a leggere nell’atipici -tà, nella politipicità non solo lo scarto dalla norma, l’imperfezione, la mancanza, l’errore, ladevianza, ma anche le possibilità. Può aiutare a vedere nei sintomi, nei percorsi individuali,nell’imperfezione, della non ottimizzazione, nell’incertezza, nel non precoce adattamentonon solo una marginalità o una patologia, ma anche un mix di opportunità per un’evoluzionepiù creativa, maggiormente rispettosa delle proprie individualità e caratteristiche.

5. La relazione come insegnamento-apprendimento

Il legame che unisce le dinamiche relazionali con i processi di conoscenza viene con -siderato in modo ancor più profondo ed essenziale nel caso si assuma quale postazione osser -vativo-ermeneutica il vertice clinico-fenomenologico. Questa peculiare prospettiva di analisi permette di intuire gli inneschi dei processi cognitivi,analizzandone i sottili confini con le dimensioni emozionali ed affettive. Il riferimento al let -to (klinè) rimanda da un lato ad una conoscenza sviluppatasi intorno al capezzale di personesofferenti, dall’altro ad un simbolico posizionamento epistemico ed ermeneutico (uno sguar -do clinostatico) che permette di vedere e di considerare le relazioni fra il sopra e il sotto, ilfuori e il dentro, il reale e il fantasmatico, il logico e il simbolico, le competenze e gli atteg -giamenti, i dati oggettivi e il mondo soggettuale, la realtà fisica e quella fenomenica, le di -mensioni consapevoli e inconsapevoli della mente. E’ una conoscenza che emerge dallo studio di parziali paralisi o inceppamenti (“inibizioni”secondo la Figlia di Freud o “restrizioni intellettive” secondo la conterranea Melanine Klein)delle condotte logico-proposizionali, e che ha permesso di considerare ciò che un tempo sidefiniva genericamente col termine intelligenza non le capacità mentali di un individuo, maciò che della sua mente è disponibile ad una relazionalità sopportabile col mondo (in sensolato, anche culturale). Da questo “vertice” si intuisce che la mente non è la coscienza, e che l’Io (la coscienza) èuna parte, spesso minimale, del Sé (la totalità dello psichismo individuale). La capacità dipensare è permessa dalla libertà dell’Io di interagire con le dimensioni latenti della mente.Un Io disgiunto (separato, scisso, difeso, controllato, limitato) dal Sé può risultare più ordi -nato e meno problematico, ma paga il suo ordine diurno e la sua relativa aconflittualità conuna ristrettezza ideativo-immaginativa che rende il suo processo conoscitivo variamente pri -mitivo (adesività culturale, relazionale, apprendimento imitativo, di marca invidiosa, replica -tivo, competitivo, adattivo, intellettualistico, razionalizzato, reattivo, e così via). Un Io pos -seduto dal Sé soccombe rispetto al materiale immaginifico e simbolico della mente (follia).Un Io in grado di interagire col Sé sviluppa una forma di conoscenza più flessibile, creativa,ampia, personalizzata (Fig.6).

17

ΨArea del primario, del residuale

del latentedel rimosso, del pre-logico, del simbolico

(-K)

IO

Da questa prospettiva molto disapprendimento e insuccesso scolastico (e molta conoscenzareplicativa) non sono funzioni di inadeguata stimolazione o insufficiente intelligenza, ma diun limite dinamico (pulsionale, affettivo, primario) delle capacità simboliche della mente . Ilcontenitore mentale ristretto, inibito, difeso non è messo in condizione di ospitare e persona -lizzare contenuti che non appaiano troppo complessi, “dolorosi”, metabletici (cambiativi,trasformativi). Tantomeno di personalizzarli (deglutirli, metabolizzarli, utilizzarli): al più lifissa in celle mnestiche e logiche, scomponendo e scindendone la matrice affettiva e il com -plessivo valore simbolico. Ne può derivare un’eccellente conoscenza intellettuale che vieneutilizzata –inconsapevolmente- come strumento di sopraffazione, di attacco, di offesa, dicompetizione. Ovvero una conoscenza distruttiva, non generativa. Una conoscenza che nonpermette altra conoscenza all’infuori di questa logica di prepotenza. Il vertice psicoanalitico –in questa accezione- aiuta, può aiutare il non-specialista della soffe -renza mentale a bonificare indirettamente le condizioni dell’imparare, aiutando l’allievo amettere a disposizione una più ampia mentalizzazione nel dialogare la cultura in senso lato ead utilizzarla in senso creativo e generativo. Può aiutare il docente a divenire maggiormenteresponsabile del suo rapporto con la cultura che insegna e delle diverse dinamiche (proietti -ve, introiettive, distruttive, generative) in cui è coinvolto nel sistema-classe e nella scuola.Maggior consapevolezza significa maggior libertà e un più ampio spettro di responsabilità.Ciò che non si conosce, ciò di cui non ci si rende conto, infatti, non può essere modificato.

In questi ultimi 50 anni si è sviluppata una ricca bibliografia e una vasta raccolta diesperienze formative di derivazione clinica. Molte di queste si sono sviluppate a partire dastudi e osservazioni intorno ai multiformi “difetti” dell’apprendimento, molte indotte dallanecessità di individuare modalità più affidabili e profonde di conoscenza, altre ancoradall’esigenza di predisporre condizioni favorevoli ad una cognitività meno stereotipata e di -fensiva. Tali pratiche, singolarmente, hanno trovato maggior sperimentazione e successo in ambitoaziendale piuttosto che scolastico. Nell’organizzazione scolastica permane un diffuso sillogi -smo, secondo il quale la clinica è di pertinenza dei soggetti problematici (caratteriali, nevroti -ci, disadattati, devianti,…) e non riguarda la comune pratica formativa dei normali allievi.Per i soggetti fuori portata dalla normale formazione (isolando i casi di handicap) si sonochiamate specifiche figure specialistiche (psicologo professionale, psichiatra, medico).Al fine di cogliere alcune delle ragioni che rendono –dal versante clinico- i processi di cono -scenza veri e propri processi relazionali è forse opportuna qualche precisazione.

5.1 Il farsi della mente nella prima relazione

La psicoanalisi freudiana –come si sa- si è storicamente imposta quale altro modoscientifico per spiegare e curare patologie che apparivano inspiegabili e incurabili secondogli usuali approcci medici. Da allora un differenziato pulviscolo di programmi di ricerca asfondo psicodinamico si è orientato a studiare molte manifestazioni “normali” della menteumana, e non solo i suoi fallimenti o inceppamenti. Uno studio allargato alle condizioni che

18

permettono ad ogni nuova vita di sentirsi partecipe della sua avventura umana. Bion 21, al ri -guardo, parlava della rêverie materna (termine di significato idiolettale, allusivo al fantasti -care ad occhi aperti dei francesi) quale primario dispositivo elaborativo che permette allamadre di pensare con il bambino, di far evolvere i cosiddetti elementi (aspetti protomenta-li, afferenze sensoriali-emotive, vissuti non elaborati ed organizzati, “pensieri del corpo”) inelementi , in rappresentazioni. Il tutto in un’area di esperienza relazionale presimbolica eprotopsichica: madre e figlio comunicano in qualche modo fuori dal simbolo, insieme metto -no in forma gli oggetti, la realtà, il mondo.Winnicott insiste in quasi tutte le sue opere sul potere generativo della preoccupazione ma -terna primaria: vero “stato psichiatrico” in cui la madre, attraverso i modi di sostenere ( Hol-ding), manipolare ( Handling) e presentare l'oggetto al bambino ( Object-presenting) pensaper lui. Pensa con lui. Si dà a lui come primo contenitore mentale. La mente – da queste pro -spettive di ricerca e di osservazione – sembra dunque costituirsi da un lontano e antico gestodi preoccupazione e di presa in cura. Il biologico sembrerebbe imporre le condizioni perchéun minimo di cura e di preoccupazione primaria possa far nascere nell’individuo segni dipresenza, coordinate grossolane di autorappresentazione psichica.

L’indagine sull’innesco di prime forme di organizzazione mentale si è venuta costi -tuendo intorno ai difficili interstizi fra il biologico e il mentale. Su aree faticosamente deli -mitabili, terre di frontiera tra la fisica e la metafisica, tra i neurotrasmettitori e ciò che untempo si chiamava anima. In principio, dunque, un tutto indifferenziato che poi, poco pervolta, si autonomizza psicologicamente “uscendo fuori”, in certo qual senso, dal biologico,gemmando dal registro somatico: alcuni patterns automatici (riflessi biologici a disposizionedel neonato) sembrerebbero costituire una sorta di matrice che permette il passaggio gradua -le ed estremamente complesso dal biologico al mentale. Questa fase di passaggio esistenzia -le, metafora del benessere automatico, della felicità data, dell’unione con il tutto, dell’indif -ferenziazione, della felicità in default è a scadenza, come la vita biologica. Nascendo, psico -logicamente, si perde il ciclo automatico, non discrezionale, né desiderato o cercato dellostare bene.

Per quanto recentemente vengano sempre più certificate importanti relazioni tra lo statonascente della vita e il suo contenitore/generatore biologico, sembra confermarsi un processoin cui le prime interazioni somato-motorie tra feto e madre vengono a costituire schemi dibase che, evolvendosi e differenziandosi, sosterranno le più arcaiche forme di organizzazio -ne mentale del neonato. La gemmazione dal registro somatico delle strutture protomentali fapensare a stati evolutivi in cui, variamente, si alterna e si agglutina la sensazione e la perce -zione, l’agito e il pensato, l’interno e l’esterno. L’esterno viene variamente esplorato somati -camente e psichicamente occupandolo di sé, portandolo (materialmente prima, simbolica -mente poi) dentro. Ingerendone le parti piacevoli e gratificanti, evacuandone le parti sgrade -voli e frustranti.Questo ulteriore passaggio sembra compiersi con l’evento perinatale, ove alla mente nascen -te viene imposto una decisa separazione dal contenitore bio-mentale precedente. Il taglio delcordone ombelicale diviene allora simbolo di una separazione biologica e mentale. Ora allanuova vita si impone di imparare a stare con il vuoto, con l’assenza, con la mancanza, con ilbisogno, senza perdere la fiducia nella possibilità di salvarsi. Si impone l’attesa, la pazienza,la terribile sensazione di sentirsi persi, incapaci di bastarsi, inutilmente onnipotenti. Soltantola presenza di segnali di accoglienza e di presenza della mente materna potrà permettere aquesta mente nascente di avere fiducia, di avere fede nella possibilità di una sua salvezza.

21 Bion W.R., (1962), Apprendere dall’esperienza , Armando, Roma,1972; Bion W.R., (1965), Tra-sformazioni, Armando, Roma,1973.

19

Il passaggio verso una posizione dualistica, oggettuale a partire dagli stati più indifferenziatie protomentali sembra permesso dall’accettazione del rischio della perdita della felicità rega -lata, dal sacrificio di un ciclo automatico di vita in cui la mentalizzazione dell’esperienza(che in realtà ancora non è “esperienza” in quanto non elaborata, ma “sentita addosso”) è mi -nima, un ciclo in cui si passa costrittivamente e non discrezionalmente da stati di benessere(sonno, assenza di bisogni) a nuovi stati di benessere (alimentazione biologica, continuazio -ne del sonno).La breve rottura dell’omeostasi (si produce una runway, ad esempio, quando il bambino sen-te di avere fame mentre sta dormendo) non lascia il tempo al piccolo di elaborare l’attesa néla frustrazione: esso tende anzi a saltare il tempo intermedio intrattenendosi con se stesso.Riattualizzando attraverso i movimenti, i gesti, i giochi con il corpo l’omeostasi solo in parteperduta, trasformando l’assenza e il vuoto in sensazioni motorie: attraverso queste equiva -lenze si riempie di Sé il vuoto emergente, l’angosciante percezione del sentirsi perdere ealienare.Tutta l’organizzazione mentale primaria sembra dominata da queste caratteristiche: contra -zione delle elaborazioni mentali, immediato soddisfacimento dei bisogni somatici, riattualiz -zazione delle sensazioni e dei gesti per non permettere l’evoluzione degli eventi in “espe -rienze”. Quando la mente materna sostiene i processi di differenziazione mentale e aiuta ilneonato a transitare da una con-fusione e contatto con il suo corpo e la sua mente, è come selo preparasse a sostare in una relazione. Quest’ultima si viene innestando allorché il soggettoinizia a prolungare e sostenere i momenti di apparente perdita del Sé, di messa in crisi dellaarcaiche fantasie di essere il tutto, di potersi bastare, di conservare quell’onnipotenza speri -mentata allorquando sostava nel grembo della madre. Comincia allora non il dolore, ma larappresentazione del dolore: un dolore che fa male anche in assenza di ferite fisiche, anchein assenza di reali mancanze. Comincia la mancanza, l’impotenza, la debolezza, l’inferiorità.Intorno a ciò che è fragile – grazie a questa presenza impotente eppur fiduciosa – si vien co -struendo il carattere: etimologicamente, un’impronta, una ferita, un’incisione. Il vuoto, il de -siderio, la mancanza può essere allora elaborata attraverso multiformi “comportamentid’attesa” (immagini mentali, fantasie, pensieri, giochi motori) che sostengono e incoraggia -no il transito verso la realtà oggettuale, che mettono in condizione il soggetto di stabilire unaprima vera e propria relazione psicologica.Una relazione, infatti, si produce allorquando sono identificabili e separabili i due interlocu -tori in rapporto: altrimenti si hanno contatti/fusioni, oppure non-relazioni. Queste forme al -ternative di relazionalità oggettuale, in effetti, sembrano ben rappresentate da alcuni esiti pa -tologici: il contatto preserva da una relazione percepita come troppo onerosa o collaudante,mentre la fuga dall’oggetto rimanda il soggetto tra le proprie braccia, in quella posizioni mo -nistica e narcisistica che dà l’illusione di un ritorno alle origini.Il cammino verso l’”ordine del giorno”, quale metafora della felicità e della piena realizza -zione individuale, sembrerebbe largamente condizionato sia da caratteristiche temperamenta -li funzionali, sia dalla presenza né onnipotente né impotente della mente materna. La cosid -detta holding genitoriale (l’insieme di modi con cui la madre e il padre si prendono cura delbambino, lo manipolano, lo sostengono, gli presentano gli oggetti), può favorire o inibirequesto passaggio. Un ambiente troppo sollecito e ansiosamente attento al bambino, come èfacilmente esperibile e immaginabile, rischia di riattivare e mantenere quella ciclicità prima -ria (l’ordine della notte) che lascia il bambino sempre bambino, che lascia il genitore blocca -to nella sua dimensione generativa e restauratrice, come se non si fidasse di ciò che ha fatto,come se dovesse bonificare e battesimare continuamente ciò che – evidentemente – sentecome sbagliato, negativo, malefico.Questo insieme di complesse e silenziose danze di avvicinamento, di allontanamento e di re -lazione con gli “oggetti” primari viene a costituire una matrice relazionale essenziale percomprendere lo stile di vita e lo stile relazionale delle persone. Cambieranno, nel corso della

20

vita, gli oggetti e i soggetti, ma la dinamica relazionale tenderà a sovrapporsi e a integrarsicon questi antichi tentativi di vita. L’isomorfismo tra le prime modalità di relazione ogget -tuale e le modalità di rapportarsi – da adulti – ai nuovi, numerosi e imprevedibili “oggetti”che la vita pone di fronte rende assai meno facile “imparare la socialità” di quanto comune -mente le postazioni cognitiviste accennate tendano a far sperare. Le modalità relazionali incerto senso definiscono la qualità delle strutture personologiche individuali; esse possono ri -sultare marcate da contrazioni e inibizioni relazionali, oppure definirsi in termini di normaleadattività ambientale. Oppure ancora qualificarsi quali modi di vivere creativi ed autentici.Stare bene psicologicamente è dunque qualcosa di diverso dal non soffrire psicologicamente.Molti soggetti – in relazionalità oggettuale difficoltosa – imparano variamente (grazie ma -gari alla propria intelligenza o alla propria abilità imitativa) a costruirsi un’identità apparen -temente funzionale ed integrata con l’ambiente. Allora non sembriamo affetti da sintomi, nétoccati dal disagio; si comportano “come se” fossero maturi e ben integrati. Questa normalitàè tenuta in piedi da una complicata rete di difese ed è pagata con la rinuncia a sentirsi vitali epresenti a se stessi. Queste vite clinicamente “normali” sembrano perse nell’adesività enell’insignificanza, e contrastano singolarmente con la ricchezza esistenziale di certi indivi -dui “malati” che pagano con la sofferenza la voglia di capirsi, che sono costretti a occuparsidella propria mente proprio perché la avvertono sofferente.

5.2 Capacità negativa e conoscenza

La ricerca intorno agli inneschi delle capacità epistemiche segnala con ricchezza diosservazioni e verifiche quanto il pensiero derivi dall’evoluzione e differenziazione di se -miosi affettive, e quanto la loro elaborazione definisca le possibilità di loro simbolizzazionecognitiva. Ciò che non riesce ad essere pensato, permane come sottofondo dinamico-pulsio -nale irrisolto, e –come tale- limita e inibisce i processi semeiotico-cognitivi. Una mente suf -ficientemente incoraggiata nel sostare nella terra-di-mezzo fra la posizione soggettuale equella oggettuale, s’è visto, si viene a caratterizzare progressivamente come contenitorementale di esperienze positive e negative, profonde e superficiali, appaganti e dolorose. Sisitua, richiamando i concetti d’esordio, in quella strada di mezzo fra Oriens ed Occasum chele permette di stabilire vere e proprie relazioni fra sé e il mondo. Si è utilizzato, da alcuniversanti di ricerca, il concetto di Negative-Capability per contrassegnare questa peculiare ca-pacità apprenditiva22. Il concetto sta a designare la capacità di essere nell’incertezza, di staresospesi, di tollerare la mancanza, il non-ancora, di essere, vivere nel dubbio, nella confusio -ne, nell’assenza di senso, senza correre subito a qualche ending, a qualche soluzione, a qual -che risposta; senza farsi troppo presto rasserenare dai fatti e dalla ragione. La persona dotatadi tale sensibilità sa stare nell’incertezza, sa accontentarsi di indizi, sa accettare i piccoli se -gni, le parziali tracce. Sa far generare il piccolo, l’incerto, il provvisorio, il non-finito. In luo -go di protestare per la mancanza o per la scarsa alimentazione ricevuta, fa dei suoi parzialitalenti la leva per generare la propria storia e il proprio mondo. La capacità negativa non èl’opposto dell’incapacità positiva, giacché non si tratta della mancanza di una specifica abili -tà, semmai un’ulteriore potenzialità che integra e amplifica il comportamento performativo ereplicativo (Fig.7).

22 “When man is capable of being in uncertainties, Mysteries, doubts, without any irritable reaching after factand reason”). “Quando l’uomo è capace di stare nelle incertezze, nei Misteri e nel dubbio, senza farsi coinvol -gere dai fatti e dalla ragione”. Da questa celebre lettera di John Keats ai fratelli George e Tom si è preso spunto per designare il concetto di “capacità negativa”, Keats J., (1817), Letter to George and Tom Keats, in (a cura di) Baker C., Poems and Selected Letters of John Keats, Bantham Books, N.Y., 1962.

21

Dimensione soggettuale Dimensione oggettuale

L’apprendimento, da questa prospettiva, si caratterizza sempre come un evento impegnativoe doloroso, giacché –in un modo o nell’altro- minaccia il senso di continuità, provoca rottu -re, impone cambiamenti, insidia la coerenza tra le parti dell’Io, costringe ad evoluzioni edulteriori differenziazioni. Tutto questo, in diversa misura da soggetto a soggetto, suscita an -sia e sofferenza, fa sentir vuoti e persi, insicuri e soli, fragili e separati, dipendenti e narcisi -sticamente feriti. Fa provare sentimenti di invidia a di fiducia, di distruttività e di speranza,in quanto espone ed esibisce le inferiorità, le inadeguatezze e le fragilità. Non s’arrestaall’offrire il potere del sapere e del saper fare, e nemmeno concede facili illusioni intorno alsaper essere, come un po’ stancamente si usa ripetere nella formazione dei docenti. Accennasemmai al saper divenire: al raggiungere qualcosa che poi andrà inesorabilmente oltrepassa -ta.

Riprendendo le ricerche di alcuni esponenti delle correnti psicoanalitiche maggior -mente interessate a questi aspetti del funzionamento mentale (in particolare la scuola inglesepost kleiniana e bioniana), Donald Meltzer e Martha Harris 23 hanno provato a delineare al -cune ipotesi in grado di raccogliere e correlare osservazioni e descrizioni raccolte nei settingclinici ad opera di diversi psicoanalisti e psicoterapeuti.Un primo ordine di dati attiene alle correlazioni registrate fra modelli relazionali primari (ge -neralmente vissuti o subiti in ambito familiare) e atteggiamento conoscitivo. Gli Autori han -no, al proposito, delineato un nota tipologia di regimi affettivo-relazionali, che sono sembraticorrelabili a disposizioni apprenditive e a modelli conoscitivi di cui si accennerà fra breve.Nella gruppalità familiare, nella comunità educativa possono essere isolati diversi ruoli efunzioni interpretati e agite dai diversi interlocutori genitoriali (non necessariamente dai ge -nitori veri e propri, quindi). Le principali funzioni emotive messe in gioco e respirate inces -santemente dai membri dei diversi gruppi primari possono essere raccolte all’interno di dueprincipali funzioni: Funzioni introiettive , ovvero indirette sollecitazioni al bambino-allievo al contenere e al

divenire responsabile delle proprie emozioni e dei propri sentimenti e risentimenti.Tali indirette sollecitazioni si realizzano attraverso il modo con cui la figura genitoria -le tratta ed elabora la propria vita emozionale nel rapporto con il figlio.

Funzioni proiettive, ovvero stimolazioni indirette che inducono il bambino-allievo a libe -rarsi di sentimenti e pensieri negativi, attribuendoli all’esterno.

Nelle funzioni introiettive sono individuabili complessi e difficilmente separabili dinamichedi autonomizzazione, di tolleranza della perdita della propria onnipotenza (posso fare tutto e

23 Meltzer D., Harris M., Patterns familiari ed educabilità culturale, Giornale di neuropsichiatria dell’età evo -lutiva, III,3,1983Meltzer D., Harris M., Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendi -mento, Centro scientifico Torinese, Torino, 1986.Meltzer D., Configurazioni familiari ed educabilità culturale, in Studi di metapsicologia allargata. Applicazionicliniche del pensiero di Bion, Raffaello Cortina, Milano, 1987

22

Area dell’apprendimento(Negative Capability)

Oggetto(culturale)

posso farlo da solo), di modulazione del dolore e dell’attesa, di fiducia e di speranza contro ilcaos e la disperazione. Soprattutto, le funzioni introiettive aiutano il soggetto a portare den -tro un figura di pensatore, di contenitore di pensiero (pensatore interno) che gli risulterà indi -spensabile per stare nell’incertezza, nell’assenza e nella confusione. La presenza di tale pen -satore interno permette al soggetto di esprimere quelle sensibilità dinamiche che sono statecontrassegnate e raggruppate nel concetto di Negative Capability. Le funzioni messe in gioco nei diversi climi relazionali familiari e comunitari vengono sin -tetizzate dagli Autori in una tipologia di quattro elementi complementari: generare amore vs. diffondere odio dare speranza vs. seminare disperazione contenere la sofferenza depressiva vs. emanare ansia persecutoria pensare vs. creare confusione.La Fig. 8 che segue schematizza la tipologia.

La prima coppia bipolare (generare amore - diffondere odio ) segnala stili di vita impron -tati ora ad una relazionalità tonica, positiva, incoraggiante e rispettosa dei propri e altruisentimenti, ora modi di atteggiarsi verso di sé e verso gli altri caratterizzati dalla perditadi fiducia, dalla disperazione, dalla rabbia e dalla distruttività. Le relazioni sostenute ealimentate dalla prima funzione (introiettiva) facilitano lo sviluppo del senso di fiducia edi sicurezza: viene incentivato negli interlocutori la consapevolezza delle proprie e altruipossibilità, permette il sostare con se stessi senza sentirsi abbandonati e soli, pone le con -dizioni per affrontare le frustrazioni e le sofferenze senza fuggire e senza attaccare glioggetti “cattivi”. I soggetti vengono in tal modo incoraggiati a sviluppare una percezionedi sé sufficientemente positiva da inibire le finzioni inferiorizzanti e le spinte versol’onnipotenza: le condizioni perché la persona collaudi e incrementi in modo equilibratoil proprio sentimento sociale e la propria spinta autorealizzatrice, ovvero la tendenza avalorizzarsi anche individualmente e a sentirsi partecipe di un’avventura evolutiva comu-ne agli altri esseri umani. Il fallimento di questa funzione introiettiva pone le condizioniper lo sviluppo di un atteggiamento di disperazione e di sfiducia verso se stessi e verso ilmondo: gli altri, anche quelli che sembrano maggiormente disponibili e “buoni”, sembra -no fare richieste impossibili, i legami d’amore vengono sentiti come “legami”. Comples -sivamente ci si sente inadeguati a far fronte alle richieste e alle pressioni dell’ambiente, equesto senso di fallimento interno porta con facilità ad attaccare e distruggere tutti gli og-getti interni ed esterni. In tal modo vengono giustificati diffidenze e slealtà, opportunismie falsità, manipolazioni del pensiero e del comportamento altrui, fantasie di persecuzionee desideri di vendetta.

23

Esprimere amore, accettazione, Dare speranza, rispetto, comprensione incoraggiamento Reagire Emanare ansia, colpevolizzare Contenere/elaborare sofferenza-disagio

Diffondere odio, critiche, lamentele, attaccare Pensare, riflettere, elaborare Seminare disperazione, scoraggiare

Funzioni introiettive Funzioni proiettive

Il dare speranza vs seminare disperazione si pone sulla linea dinamica anticipata. Il sog -getto che ha avuto la possibilità di godere prima e di sviluppare poi questa funzione nonè genericamente un ottimista, semmai una persona che ha fiducia e sa darla: avendo im -parato a proteggere e salvaguardare le proprie aspirazioni sa incoraggiare gli altri versomete di valorizzazione. Il senso della speranza permette di sostare nelle incertezze e nelledifficoltà, facilita il raggiungimento di traguardi non facili, preserva dalle tendenze allafuga e alla polemica. Il disinvestimento emotivo su di sé e sul mondo di chi è stato espo -sto alla funzione proiettiva complementare lo porta a sviluppare comportamenti e atteg -giamenti parassitari, a cercare ovunque e insistentemente prove della propria accettazio -ne sociale, a provocare se stesso e gli altri ora con aggressività e distruttività, ora con at -teggiamenti autocommiseratori e di sfida. Vive con la sensazione di imminenti catastrofie perdite, con la disperante percezione dell’ineluttabilità di ogni suo sforzo per cambiaree migliorare la vita. Sua e quella degli altri. La pervasività di questo stato interno di di -sperazione stimola comportamenti di attacco e fuga verso gli oggetti esterni: si premia unapprendimento di superficie e irrilevante, si moltiplicano le tendenze all’arraffare primadella fine, si estende ovunque e su chiunque la sfiducia e la disillusione.

La capacità di contenere la sofferenza depressiva (di, kleinianamente, elaborare la posi -zione schizoparanoidea a favore di una posizione depressiva) risulta forse la più delicatae sfuggente tra le funzioni introiettive schematizzate. Eppure il contatto con figure geni -toriali che hanno saputo stare nelle difficoltà e nella sofferenza senza automatiche eva -cuazioni totali e senza sistematiche rimozioni sembra tradursi in un messaggio essenzia -le per vivere comunque appassionatamente la vita. La mancanza di questa capacità,l’incapacità a elaborare la mancanza, espongono le persone a contatti (anche culturali)scissi, spezzati, controllati. Il timore di non poter sopravvivere alla mancanza, alla fru -strazione, al no, al non-ancora orienta verso relazioni oggettuali limitate: quelle che sem -brano già sperimentate, quelle che non impongono investimenti e cure. Relazioni, dun -que, stereotipate, sicuramente non collaudanti e innovative. La diffusa irritabilità, allora,l’intolleranza, l’incapacità a sopportare e superare i disagi e gli imprevisti, l’eccessivapermalosità, la tendenza a vedere le difficoltà o le differenze come attentati alla propriaidentità sono alcuni dei marcatori di una difettosa capacità elaborativa della depressione.La mancanza di modulare la sofferenza costringe verso una tipologia di apprendimentifocalizzata sul rubare, sul saccheggiare, sul parassitare il lavoro e il pensiero altrui, giac -ché sembrano mancare le risorse dinamiche (le forze) per cercare, per comprendere per -sonalmente, per pensare. L’emanazione dell’ansia persecutoria diventa, così, un illusoriotentativo di soffrire di meno, di soffrire in compagnia (mal comune, … ), di consolarsicon le sofferenze altrui. Si vive, allora, per farsi accettare ed amare da tutti, imponendosiruoli e stili relazionali improntati alla seduzione, alla disponibilità ed oblatività sociale.Si vive nel timore o nel terrore che qualcuno scopra i nostri difetti e le nostre fragilità, oche qualcuno ci abbandoni o ci rifiuti: e questa paura invoca ulteriori sforzi per cercaredi essere quello che gli altri, pensiamo, vogliono che noi siamo. Si affinano i comporta -menti mimetici e diplomatici. Si cerca di accontentare tutti quelli che ci interessano, einesorabilmente si perdono le tracce che conducono a noi. Meglio stressati e ansiosi, chesoli con il nostro incontenibile dolore.

Pensare vs. creare confusione. Se pensare non è solo riattivare e riutilizzare sinapsi inte -riorizzate e stabilizzate, ma generare nuove connessioni dinamico-cognitive, la capacitàdi pensare risulta possibile in quelle persone che hanno avuto la possibilità di introiettare

24

non tanto pensieri, quanto la funzione del pensare. L’esposizione a regimi familiari carat -terizzati dall’impulsività, dalla reattività, dall’incapacità di usare il pensiero come azionedi prova con facilità inibisce e mortifica le possibilità di pensare. In sua vece, allora, gliautomatismi reattivi, le falsità, le doppie verità, gli avvelenamenti della mente. Nelle re -lazioni aumenta la confusione e la sfiducia, si propaga il cinismo, vengono incoraggiatele tendenze sadiche e distruttive, si pongono le condizioni per lo sviluppo di atteggia -menti e comportamenti relazionali autodivoranti.

Gli accenni fatti alla correlazione tra condizioni dinamiche primarie e atteggiamentimentali inducono a pensare a diverse tipologie di apprendimento, di cui gli Autori hannoprovato a delineare una gerarchia (Fig.9).

1. L’apprendere dall’esperienza è comunemente indicata essere la strategia di cono -scenza più ricca e creativa. È, dal punto di vista dinamico, il vero apprendimento.Implica una capacità di accogliere e dare un senso personale e coerente a ciò cheè esterno a noi. È, bionianamente, il saper dare senso e ordine al caos. Implical’attivazione delle funzioni introiettive accennate, oltre alla Negative Capability .Si tratta di un apprendimento che sottende il sum: richiede consapevolezza di sé,dell’oggetto e della relazione oggettuale. È fortemente condizionato dalla interio -rizzazione del pensatore, ovvero dalla capacità di disporre di un oggetto internopositivo che aiuti a elaborare il passaggio verso l’alterità.

2. L’apprendere per identificazione proiettiva consegue ad atteggiamenti conoscitivimarcati da sopravvalutazione delle altrui capacità e sottovalutazione delle propriepossibilità di apprendimento. L’invidia che ne deriva suggerisce fantasie di spo -liazione e di saccheggio degli averi epistemici degli altri; fantasie che volentierivengono trasformate in comportamenti imitativi e in attività duplicative. La co -piatura appare superficiale, esteriore: si porta via all’altro quel che grossolana -mente si vede in lui. Ma la sensazione di essere sempre comunque delle copie at -tiva spesso atteggiamenti aggressivi, come se l’altro resistesse al saccheggio,come se nascondesse altrove i suoi tesori. Ciò determina spinte invasivo-imitativesempre più accentuate, con successive dinamiche di occultamento delle ricchezzederubate, in ragione del timore che altri, analogamente, possano ora trafugarequel che si è appena rubato.

Apprendere dall’esperienza Interiorizzazione dei processi e dei prodotti Coscienza di sé, dell’oggetto e della relazione

Apprendere per identificazione proiettiva Fondato sull’invidia e l’appropriazione delle competenze altrui tramite copiatura superficiale

Apprendimento per identificazione adesiva Basato su comportamenti parassitari e mimetici

25

Apprendimento per raccatto Saccheggio e furto dei poteri altrui

Apprendimento per collezionismoBasato su neutralizzazione affettiva

Apprendimento delirante Apprendimento rovesciato

Comuni, anche, gli atteggiamenti onnipotenti e onniscienti, spesso istericamentesottolineati: modalità compensative inconsciamente attivate per rimuovere il sensodi inadeguatezza e di incapacità epistemica.

3. L’apprendere per identificazione adesiva delinea un meccanismo ancor più primi -tivo e narcisistico del precedente. In questo caso la tendenza al parassitare e dupli -care le condotte altrui appare più marcata e maggiormente patologica. Il soggettoappare privo di una propria identità, necessita di compiti definiti, di modelli e gui -de a portata di mano, di leadership sicura e incontrastata. La tendenza ad appagareuna figura autoritaria e contenitiva, spinge queste persone a diventare anche in -stancabili lavoratori, implacabili esecutori, seppur incapaci di personale valutazio -ne e intuizione.

4. L’apprendere per raccatto lascia intuire un processo dominato da un senso diemarginazione culturale e sociale. Si impara, allora, grazie alle spinte dettate dagliaspetti invidiosi della personalità. Il rubare e il raccattare sembrano, al soggetto,l’unica possibilità per essere come gli altri, o come quelli che invidia. Tale dinami -ca è satura di valenze aggressive e distruttive: chi ruba e raccatta difficilmenteprova riconoscenza per chi gli ha permesso di prendere. Di norma attacca e colpi -sce proprio quelli che ha derubato. Insensibile a ogni forma di riconoscenza, tendeossessivamente a impossessarsi delle esperienze altrui e a marcarle con il propriocopyright. Molto accentuato il desiderio di emergere e di mettersi in mostra, cheviene però dissimulato e parzialmente rimosso ricorrendo a strategie indirette eimplicite di autovalorizzazione: comportamenti sarcastici ed ironici verso gli altri,svalorizzazione dei meriti altrui, allusioni e maldicenze nei confronti di chi invi -dia, azioni di falsificazione e di sabotaggio delle attività altrui. Atteggiamenti di -fensivi e reattivi inconsapevolmente assunti per proteggere i propri furti dalle ten -denze furtive che il soggetto proietta sugli altri, in particolare su quelli che ha de -rubato.

5. L’apprendere per collezionismo caratterizza una modalità di approccio all’oggettodepurata da ogni forma di vitalità e di creatività. Il soggetto colleziona e catalogaossessivamente senza alcuna forma di elaborazione personale e senza alcuna pos -sibilità di connotare personalmente le esperienze reperite. Tale processo lascia in -

26

travedere una sorta di mummificazione e spersonalizzazione delle esperienze rac -colte, al fine di essere più facilmente riprodotte “senza nome”, senza alcune se -gno di appartenenza e di elaborazione. Il materiale reso in tal modo inerte ed af -fettivamente neutralizzato, sembra maggiormente funzionale ad una simulazioneanonima e grossolana di lavoro mentale. In tal modo il soggetto si sente a posto,rivendica il proprio impegno epistemico, polemizza volentieri per il mancato ri -conoscimento alla propria ossessiva attività catalogatoria e organizzativa.

6. L’apprendere per delirio connota una esplicita attività conoscitiva centrata sul bi -sogno di svalorizzare la realtà oggettuale, e mitizzare forme impossibili di ap -prendimento, percepite come magiche e criptiche. L’inutilità del cercare di com -prendere ciò che è irraggiungibile e la percepita inessenzialità di ciò che è prendi -bile potenziano nei soggetti un atteggiamento paranoideo e cinico, che a sua volteprotegge dalla depressione e dal crollo.

Come è intuibile, le tipologie qui schematizzate non designano personalità epistemiche;tendono piuttosto a segnalare modalità di funzionalità conoscitiva che possono caratterizzareora specifici assetti mentali, ora generali e stabilizzate condotte apprenditive. Un’ulteriorepossibilità di comprensione dei sentimenti e dei risentimenti evocati nelle diverse tipologieepistemiche può essere individuata nella Fig.10 che segue.

Fig.10

Apprendere Sentimenti e ri-sentimenti

Si impara a:

Dall’esperienzaPaura e fiduciaSperanza e corag -gioIncompiutezzaSentimento socialeAutovalorizzazione

DivenireSperimentarsiAutoalimentarsi

Per identificazioneproiettiva

Senso di inferioritàInvidia Stati di onnipoten -zaAggressivitàAdesività

DifendersiStare sopra agli al -triFingereCopiare

Per identificazioneadesiva

InadeguatezzaIncapacitàSottomissione

ImitareUbbidire

27

Adesività Disubbidire

Per raccattoInferioritàEmarginazioneInvidiaAggressivitàInsensibilitàDistruttività

SaccheggiarePredareFingereManipolareDifendersiAggredire

Per Collezionismo

InadeguatezzaInsensibilitàEstraneitàOssessività

PossedereFingereSimulare

RovesciatoEstraneitàSpersonalizzazioneDistruttività

DifendersiMortificareFingere

5.3 Dinamiche transferali nella relazione formativa

Il vertice psicoanalitico espone allo sguardo professionale dei docenti un panoramaassai più complesso di quanto comunemente si tenda a credere relativamente ai processi diconoscenza e di relazione. Occupandosi con maggior specificità degli atteggiamenti mentali,prima ancora che dei comportamenti, esso evidenzia i sottili ma efficaci registri mentali chepreparano e sottostanno alle performances scolastiche di insegnanti e allievi. Indirettamenteesso chiama i docenti a una forma di professionalizzazione più profonda e personalizzata ri -spetto a quella che si può importare intellettualmente da un’autorità culturale (testi, manuali,corsi di formazione). Se anche i processi conoscitivi si caratterizzano quale evoluzione di se -miosi socioaffettive, il primo strumento professionale di lavoro del docente sembrerebbeconsistere nelle sue sensibilità e capacità dinamiche, nell’usare la sua mente quale strumentoelaborativo in grado di sostenere i propri allievi a pensare e a sviluppare una conoscenzameno meccanica ed adesiva. In un noto volume di qualche anno alcune fa alcune psicologhe-psicoanaliste della TavistockClinic di Londra (I.Salzberger-Wittenberg, G.Henry-Polacco e E.Osborne) 24 hanno raccoltoalcune osservazioni a riguardo dei fattori affettivi implicati nella dinamica insegnativo-apprenditiva. Confermano l’impressione di una generale fuga – nella scuola – dalla dimen -sione interna: gli insegnanti, spesso confusi e spaventati dai problemi degli alunni e dai pro -pri, tendono a distanziarsene poiché non comprendono pienamente la natura delle difficoltà,e tendono a coinvolgersi troppo, oppure si limitano a criticare. Simmetricamente i bambini ei ragazzi, specie se intelligenti, non sono orientati ad occuparsi della propria emozionalità:una volta in grado di confermare le attese di genitori e insegnanti eccellenti si consegnano adesse, oppure vi si oppongono, con analoghi risultati sul piano della propria emancipazione.La totale eterocentratura della dimensione relazionale nella scuola è stata per anni assuntaquale dispositivo di sicurezza per controllare implosioni o esplosioni psicodinamiche. Allor -ché il dispositivo è sembrato funzionare ha, inevitabilmente, fatto emergere il prezzo e leconseguenze di tale strategia rimotiva. Le Autrici segnalano: svalorizzazione e non emancipazione delle risorse dinamiche dei docenti e degli allievi

nei processi insegnativi ed educativi; interventi educativo-compensativi fuori bersaglio, ovvero centrati sui sintomi, di -

scontinui, a carattere di emergenza;

24 Salzberger I., Wittenberg G., Polacco H., Osborne E., L’esperienza emotiva nei processi di inse -gnamento e di apprendimento, Liguori Editore, Napoli, 1987.

28

allontanamento progressivo dalla consapevolezza della sofferenza e del disagio im -plicati nell’apprendere e nel crescere; sollecitazione indiretta ai soggetti a smaltire altrove (dove?) i propri sentimenti; aumento del disagio nell’interpretazione dei ruoli (scarti fra ruoli soggettivi e pre -

scritti, sensazioni di inutilità, percezione delle finzioni professionali, perdita della di -mensione “umana” del lavoro educativo ed altro).

La stessa dinamica insegnativa si è venuta, in molti ambienti formativi, economizzando (for -se nell’illusione di tecnologizzarsi e ottimizzarne la valenza metabletica) sino a caratterizzar -si – nella scuola – quale asciutta strategia stimolativa tendente alla permanente messa in sce -na della lectio. La lezione richiama il leggere, il leggere suggerisce una esposizione pianifi -cata, ordinata, completa, tesa al dar risposte pertinenti, circoscritte, definite. Come si sa, tra -dizionalmente la lectio veniva affiancata dalla quaestio o disputatio : gli allievi discutevanotra di loro, ponevano quesiti, mobilitavano opinioni e pensieri, e alla fine il maestro sistema -tizzava il loro sapere. La lezione e la discussione, anche ai tempi nostri, sembrano riassume -re le modalità possibili di insegnamento e di apprendimento: questo breve ciclo matetico siattualizza nei corsi di aggiornamento (lezione e lavoro di gruppo), nei cineforum (film e di -battito), nei seminari e nei convegni (relazioni e dibattito). Nelle aule scolastiche, complici itempi stretti, l’organizzazione complessa dei docenti, la numerosità delle discipline o areeculturali di esperienza ed altro, la discussione assai facilmente viene a comprimersi intornoal far domande, al chiedere ripetizioni, all’illustrare le zone d’ombra non esplorate (dal do -cente). L’efficacia ed l’efficienza del gesto possono risultare perseguibili meccanizzandolocon intelligenza, separandolo dal sé, oggettivandolo, allontanandolo dalla fatica e dalla len -tezza di ogni invenzione, di ogni creazione, di ogni lenta o fulminea e provvisoria attività dipensiero, di ogni insidioso coinvolgimento con le emozioni e gli affetti. Il lavoro e la profes -sionalità dell’insegnante, poco per volta, può venir pensato –come si accennava- intorno alprogrammare, al far lezione, al valutare i risultati dell’apprendimento, al ri-programmare.L’insegnamento-apprendimento appiattito quasi inconsapevolmente su una –a volte- ricca ti -pologia di variazioni della lectio sembrerebbe appagare lati narcisistici della personalità delformatore e aree infantili, dipendenti e deresponsabili del formando. Questa meccanica, seprotratta e stabilizzata, sembrerebbe allontanare e rimuovere le dimensioni dinamiche dellarelazione epistemico, esibendo un setting d’aula apparentemente funzionale e variamentemonitorabile, in realtà finto e in autentico. L’autosvalutazione, l’onnipotenza grandiosa com -pensativa, il rifiuto della dipendenza, la ricerca del successo sopra gli altri e dell’insuccessocontro gli altri, l’anaffettività, l’avidità insidiosa, la manipolazione degli altri e dei proprisentimenti, la falsità emotiva, l’adesiva obbedienza a modelli comportamentali non sentitisono alcune delle condizioni del disapprendimento e della sofferenza che questa meccanizza-zione dei rituali scolastici indirettamente produce e alleva. L’esaltazione monocola della pro -duttività culturale e del “principio di prestazione” a scapito dell’attenzione verso la mentegenerante degli adulti e dei minori comporta paradossalmente una forte perdita di “produtti -vità” in termini di qualità del vivere, qualità dell’insegnare e affidabilità dell’apprendere.Proprio come nell’esperienza di scientificizzazione tayloristica del lavoro: l’implicito invitoal “non pensare” diretto al lavoratore allo scopo di semplificargli il lavoro ha prodotto primasofferenza, depressioni e suicidi, poi ribellione e luddismo. La postazione clinica prova a osservare e prendere in considerazione le aree più riservate eombrose della dinamica formativa, permettendo di scorgervi un universo non meno interes -sante ed educativo dell’universo esterno, quello verso cui normalmente si orientano le atten -zioni e le competenze professionali. E’, questa, l’area del simbolico, del precategoriale, delleambivalenze, dell’immaginale, dei fantasmi, delle strutture più mobili, arcaiche, primarie efondative della mente. Vi si incontrano le paure e i bisogni delle persone: la pauradell’incontro con persone e oggetti culturali nuovi, la paura del grande gruppo anomico, sen -za regole, potenzialmente distruttivo, la paura di perdersi, di confondersi, di disintegrarsi, di

29

venir abbandonati, la paura delle situazioni non familiari, non strutturate, la paura di ritrovar-si sempre all’inizio di qualcosa. È anche il mondo dei bisogni e dei desideri. Il bisogno diesistere, di essere valorizzati, di essere insieme e divisi, di essere protetti, sicuri, garantiti,salvati, il bisogno di dare sbocco ai sentimenti con i gesti, il pensiero, le parole, di essere de -finiti, con-tenuti, pensati, identificati. Lo sguardo verso le due dimensioni (quella reale equella latente) non solo permette di scorgere “oggetti” plurimi, ma ogni oggetto evidenziauna corposità e uno spessore inimmaginabile se osservato dalla usuale prospettiva di realtà.Ad esempio, osservare il bambino è, insieme, strategia di monitoraggio dei suoi comporta -menti e dei suoi apprendimenti e aiuto alla sua personificazione e identificazione (ti osservo,ti penso, tu esisti per me, io ci sono per te). Ascoltare il ragazzo è strumento di controllo deisuoi saperi e, insieme, modo per fargli sperimentare la paura e il piacere di essere al centrodell’attenzione, amato, pensato come cosa diversa dagli altri, unica. Il controllo della classesi evidenzia quale dispositivo di regolamentazione degli scambi matetici e, insieme, prote -zione dall’ansia di disintegrazione, dalla invasività del gruppo, garanzia di non commistionee confusione di sentimenti e comportamenti delle persone. L’attesa del docente, il suo consa -pevole saper aspettare può far scorgere un’idea di cortese stimolazione indiretta, di sapienteregia maieutica e, insieme, disponibilità a lasciarsi investire dalle proiezioni dell’allievo,senza impedirle, senza regolamentarle prima che l’allievo non abbia sperimentato la libertà ela possibilità di agire tramite lui, contro di lui, al posto di lui. “Come se”, appunto, fosse lui.

La sensibilità clinica espone anche all’attenzione del docente le plurivoche dimensio -ni transferali e controtransferali agite nella normale relazionalità scolastica, nei cui confrontinon basta dirsi che non sono di pertinenza del setting scolastico per evitarne i coinvolgimentie le potenzialità. Il tema della traslazione, ovvero il rivivere inconsapevolmente con personenuove registri mentali sperimentati in rapporti significativi del passato, ha costituito un og -getto centrale di riflessione nell’ambito psicoanalitico. Molta ricerca al riguardo ha permessodi acquisire varie informazioni intorno a questa universale e non visibile strategia comunica -tivo-relazionale, a questa sorta di efficace e potente commedia interna. Si è notato, ad esem -pio, che i sentimenti e gli affetti più negativi, socialmente e culturalmente maggiormentestigmatizzati, tendono – a certe condizioni – ad essere attribuiti agli altri (proiettati) piuttostoche autoriferiti. Oppure, simmetricamente, che attraverso meccanismi di idealizzazione e diidentificazione, è possibile attribuirsi modi di essere e di fare di altri, quasi che bastasse dirsidi essere come un altro per essere l’altro. Si è pure osservato la tendenza a separare più omeno rigidamente gli affetti positivi da quelli negativi (voglia di dominare, di distruggere, diaggredire, di prendere il potere dell’altro, di aver più cose degli altri, di non preoccuparsidell’altro, e così via), mantenendo una sorta di indifferenza e non coinvolgimento rispetto aipropri sentimenti negativi, quasi fossero, appunto, cose degli altri. Queste e altre osservazio -ni hanno permesso di pensare la relazionalità umana e professionale in modo più complessodi quanto ipotizzabile leggendola dall’esterno: solo la consapevolezza degli elementi transfe -rali agiti nella relazione, la consapevolezza delle dinamiche proiettive e introiettive attivatein ogni rapporto può aiutare il soggetto titolare di un setting formativo comprendere il sensodella relazione. La buona relazione, anche professionale, non si caratterizza quale rapportoaconflittuale, quale dinamica depurata dalle emozioni negative, bonificata dalle attese irreali -stiche, semmai quella in cui vi è un grado di consapevolezza delle vicende agite. Mentre la ricerca sugli aspetti transferali implicati nella relazione analitica ha permesso dimeglio individuarne caratteristiche, motivazioni, effetti e conseguenze, il tranfert in ambien-te formativo è apparso generalmente sottovalutato e ridimensionato, sia sotto l’aspetto dellaricerca che della pratica formativa 25. Tale disattenzione è stata generalmente spiegata in ra -gione delle sostanziali e ribadite differenze tra il setting clinico-psicologico e quello pedago -gico: regressivo e avalutativo il primo, progressivo e valutativo il secondo, allestito per l’Esil primo, adeguato al Super-Io e all’Io il secondo. Le differenze tra i due contenitori mentali

25 P.Roveda, Il transfert nell’attività educativa, Vita e Pensiero, Milano, 1979.

30

sono apparse ancor più accentuate comparando setting psicoanalitici di matrice freudianacon setting didattico-scolastici. In questi casi il particolare allestimento della regia relaziona -le freudiana (restrizione della dimensione di realtà, presenza assente dell’analista, indottafrustrazione, soggiorno prolungato sull’infanzia del paziente, ad esempio) lascia intendered’essere lo stesso setting psicoanalitico attivatore e fomentatore delle dinamiche relazionaliprimitive, e, complementarmente, pone in luce gli aspetti di neutralità e di realisticità delsetting scolastico, che risulterebbe difeso dalle irruzioni dell’inconscio grazie anche all’atti -vismo didattico-organizzativo dei suoi protagonisti. La lunga stagione dei curricoli e dei servomeccanismi didattici ha probabilmente contribuitoa distogliere lo sguardo da queste presenze imprendibili. La centratura essenziale sui compi -ti, la dimensione collettiva, l’artificialità delle gruppalità e altro hanno ulteriormente suggeri -to di individuare altrove le salienze e le criticità del lavoro scolastico. Da questo punto di vi -sta l’attivismo programmatorio, implementativo e valutativo dei docenti, i numerosi impegniscolastici di tutti gli operatori, i problemi organizzativi e di management si sono venuti ca -ratterizzando da un lato quali frontiere dell’innovazione, dall’altro quale percorsi e strumentiprotesici e difensivi: non lasciano tempo per altro; pensando ad essi, non si può pensare a ciòche essi potrebbero coprire. La consapevolezza dei processi transferali in ambiente scolastico è, al contrario, permessadalla iniziale accettazione di vedere fenomenologicamente e clinicamente la scuola e i suoielementi costitutivi, e, per altro verso, indica vaste e forse nuove aree di formazione e di au -toformazione per gli insegnanti. Le citate Salzberger-Wittenberg, Henry-Polacco e Osborne,hanno provato a isolare a scopo esemplificativo alcuni atteggiamenti affettivamente connota -ti nel rapporto insegnanti-alunni (Fig. 1).

Fig.11

Realtà esterna Realtà interna Insegnante che sa Idealizzazione delle conoscenze, delle competenze e/o dell’inse-

gnante (io non ce la farò mai, lui non mi può capire, devo farmi dare di più, se non capisco è perché lui non mi aiuta come po-trebbe, se sarò come lui potrò fare tutto, se faccio come lui saprò tutto, se lui mi dà tutto io posso evitare l’ansia, la fatica, il diso-rientamento, la confusione...)

31

Insegnante che aiuta Incremento della dipendenza e della passività (tocca a lui farsi carico di me, mi deve sedare tutte le ansie, deve togliermi la fati-ca e il dolore, deve realizzare i miei desideri, deve appagare i miei bisogni, pretesa di modi facili, automatici, magici di impara-re e di crescere)

Insegnante che sa e che aiuta (insegnante eccellente)

Sollecitazione di dinamiche adesive ed oppositive invidia e am-mirazione, criticismo, oppositivismo, ridicolizzazioni, svalorizza-zioni, controdipendenze, predazioni, ipercompensazioni, ...)Induzione di sentimenti di dipendenza, di svalorizzazione , di in-capacità.Percezione della impossibilità a diventare grandi (perfetti, senza difetti)

Insegnante che giudica Sensazioni di essere criticato, spiato, svalorizzato Percezione dell’insegnante come di persona lamentosa, insoddi-sfatta, sadicaAttivazione di dinamiche di affiliazione e/o di opposizione e di controdipendenza

Insegnante che esercita autorità

Amplificazione dell’autorità esercitata (percezione delle ingiusti-zie e degli abusi di potere, timore e piacere di essere puniti, proiezione sull’insegnante del bene e del male, deresponsabiliz-zazione, ...)

Il rendersi coscienti, nella scuola, della contropartita fantasmatica implicata nella relazio -nalità formativa dovrebbe aiutare –secondo le ipotesi cliniche- gli insegnanti e gli allievi asviluppare atteggiamenti più equilibrati, realistici e psicologicamente risolti nei confronti dise stessi e dei rispettivi impegni professionali. Non tutti gli insegnanti e i ragazzi arrivanonella scuola e transitano nella scuola in tali condizioni mentali. Le persone maggiormente indifficoltà tendono a preservarsi una mente semplificata, magica, onnipotente. Tendono a pen-sare in modo polarizzato, a scindere nettamente gli aspetti positivi da quelli negativi. Evitanoin qualche modo la dolorosa accettazione della realtà. La mancata indagine di realtà rinforzaa sua volta mentalizzazioni estreme e semplificate, certezze indiscutibili, che rendono inutilii pazienti e faticosi tentativi di capire e verificare. “Tale fede – notano Salzberger-Witten -berg26 – consiste nell’evitarci il dolore emotivo che è implicito nell’accettare la realtà; ciò ciimpedisce di sentirci ignoranti e bisognosi di aiuto; ci evita la consapevolezza della nostradistruttività di fronte alla frustrazione e ai limiti; ci salva dal conflitto doloroso che sorgequando ci troviamo a odiare le persone che amiamo.(...) Se possiamo mettere in due settori distinti amore e odio rispettando e idealizzando colo -ro con i quali ci identifichiamo, e denigrare e vedere soltanto cattiveria negli altri, per esem -pio il cattivo insegnante, il membro del gruppo disprezzato (oppure certi gruppi nella fami -glia delle nazioni), possiamo allora evitare conflitti interni molto dolorosi. Ma l’idealizza -zione di noi stessi e del nostro gruppo facilmente potrà essere distrutta di fronte alla realtà epotrà essere mantenuta soltanto al prezzo di una maggiore negazione e di un maggior odioverso gli altri ai quali attribuiamo le qualità indesiderate. Questo porta al costante conflittonelle nostre relazioni sociali. (...) Di conseguenza è difficile, ma anche di grande importanza,non comportarsi come marionette su un filo, remissivi alla pressione e alle aspettative deglistudenti nella misura in cui queste si rivelino irrealistiche. L’insegnante, per esempio, che èconsapevole di essere idealizzato ma resiste alle crescenti lusinghe, aiuta lo studente con il

26 Ivi, pp.57-60.

32

suo esempio a continuare a sfogarsi e ad essere tollerante verso i propri limiti; mentre“l’insegnante ideale” sarà sempre sentito come uno che richiede allo studente di essereugualmente perfetto, senza pecche. Allo stesso modo è di vitale importanza che lo studenteche assume un comportamento provocatorio e si aspetta di essere punito possa opporre allesue aspettative di una autorità punitiva qualcuno che di fatto prende una posizione ferma mabenevola. È ugualmente importante che ci fa sentire inutili non sia lasciato con un senso ditrionfo e di colpa per averci fatto sentire totalmente scoraggiati. Il nostro esempio di corag -gio di fronte alle difficoltà lo aiuterà a lottare contro la sua stessa cattiveria e ad andare avan -ti a lavorare nonostante i suoi sentimenti di inutilità”. La prospettiva psicodinamica dei processi di conoscenza e di relazione tende, dunque, a in -dividuare negli affetti non solo fattori di contorno – per quanto essenziali – allo sviluppo delpensiero e della personalità, ma fattori etiologici, matrici originarie della cognitività. In que -sto ambito – come si è avuto modo di anticipare – leggere e tentare di capire l’esperienza diinsegnamento e di apprendimento significa incontrarsi con timori, paure, piaceri, difficoltà,emozioni e affetti primari, a indicare la loro universalità e primigenità, a segnalare non tantouna dimensione infantile irrisolta tipica dei soggetti psicologicamente malati, quanto le ca -ratteristiche reali di funzionamento mentale di ogni persona, in cui gli aspetti primari di pen -siero possono essere variamente elaborati, resi coscienti, posti sotto controllo, armonizzaticon le condotte mentali secondarie, oppure lasciati incontrollati, negati, rimossi, separati daldialogo con la coscienza. Qualora si resista al desiderio di dislocare questa meccanica mentale nelle personalità nevro -tiche o psicotiche risulta meno fastidioso e improprio parlare di apprendimento e vedere lalotta, la fatica, il dolore di evitare il non sapere, di stare incompiuti, di accettare mutilazioni,ma anche i tentativi di sottrarsi al dominio di chi sa e di chi può, di contrastarne la forza, disucchiarne le energie e rubargli le proprietà. Le difficoltà di tollerare incertezze e dubbi, diaspettare stando incompleti, inferiori, deboli, in mano agli altri, senza potere, senza forza, in -capaci di difendersi e di avere ciò che si pretende. Parlare di relazioni professionali e scorge -re la possibilità che si possa –inconsapevolmente- trattare l’altro come un contenitore deipropri residui mentali, imporre all’altro di trattenere come “sua” la cattiva merce di cui il do -cente l’ha involontariamente sommerso, così da poter agire tramite lui la sua parte distrutti -va, la rabbia, gelosia o invidia, le sue paure verso le cose che non riesce a comprendere e acontrollare. Parlare di comportamenti provocatori degli allievi e individuare la possibilità diriattualizzare antichi gesti materni di tolleranza dei pensieri non contenibili nella mente delminore; di contenimento, di analisi, di elaborazione di gomitoli affettivi e cognitivi aggrovi -gliati, così che esso possa pensare la sua distruttività senza distruggere e sentirsi distrutto,così che esso possa smentire i suoi fantasmi dalla forza e solidità della realtà, così che essopossa pensare insieme ciò che altrimenti verrebbe agito in comportamento irriflessivo. Parla -re di educazione e intravedere le possibilità non solo di donare pensieri bonificati ed elabora -ti all’allievo, ma regalargli forse la cosa più importante: una mente in grado di pensare e ge -nerare i pensieri, che tenersi dentro le parti negative, in grado di disintossicare il dolore, diriflettere sulle esperienze, di mantenere l’interesse e la curiosità davanti al disordine e allasofferenza, di essere fedele a se stessa anche quando ciò rende diversi, di aver fiducia difronte al senso di disperazione e di perdita. Lo sviluppo di una sensibilità clinica nel mondo della formazione si configura, in talmodo, come qualcosa di assai diverso dalla grossolana idea di fare gli psicologi o, peggio,gli psicoanalisti degli altri. Se un paziente deve esservi, esso è l’atteggiamento mentaledell’operatore, sollecitato a inverare nella sua esperienza concreta alcuni dei paradigmi difondo che contraddistinguono tale sensibilità.

Non vi è corrispondenza diretta fra la realtà fisica e quella fenomenica, tra il mondoesterno e il mondo interno. Occuparsi della realtà e dell’oggettività professionale è

33

occuparsi di una parte, forse nemmeno la più importante, per comprenderla. Bionia -namente, la coscienza di una realtà esterna è secondaria alla coscienza della realtà in -terna. Se la percezione del mondo esterno e la sua conoscenza è fortemente influen -zato dall’organizzazione del mondo interno, se ogni persona non può che interpretaree inventare la realtà in cui vive, occorre trovare strade e percorsi per dialogare conl’interiorità, o, meglio, per permettere ad ogni interiorità di raccontarsi ed esprimersimotu proprio.

Il mondo interno, sia a livello individuale che organizzativo, rappresenta l’insiemedella vita psichica di un individuo o di gruppi organizzati. In quanto tale è maggioredelle capacità cognitive e metacognitive individuali e gruppali; esso si caratterizzaquale condensato di strutture primarie (generalmente poco visibili e consapevoli) esecondarie (maggiormente autonome rispetto alle sorgenti dinamiche). L'osservazio -ne e la stimolazione parziale del mondo interno (ad esempio solo tramite registri in -tellettuali e formali), apparentemente facilita e accelera i processi osservativi ed ap -prenditivi, in realtà li inibisce e li scompone. La conoscenza scientifica acquisita esviluppata secondo modalità scisse di pensiero (in cui le semiosi cognitive vengonoartificiosamente separate da quelle affettive, gli artefatti professionali dai processi di -namici che li hanno generati) si caratterizza come cultura e scienza non etiche, dan -nose per l’uomo, per quanto funzionali al raggiungimento di suoi scopi espansionisti -ci, consumistici, produttivistici.

Il dialogo con le parti latenti e protette degli individui e dell'organizzazione è possibi -le predisponendo condizioni di alleanza (non di complicità, non di distanza) e di ri -spetto, ed è permesso da relazioni peculiari, in grado di rappresentare per i soggetti inrapporto una piattaforma di fiducia e una possibilità di speranza.

Il mondo interno dell'individuo e dell'organizzazione è essenzialmente un mondo im -maginale, un condensato di strutture paleologiche e analogiche, oltre che logiche. Leparti più protette, in ombra, sono avvicinabili predisponendo sintassi e grammaticherelazionali sintoniche. I soggetti potenzialmente più idonei per questo rispettoso av -vicinamento sono quelli in grado di colloquiare con la propria dimensione interna,con le proprie parti in evoluzione.

Per potenziare una learning organization, per aiutare i suoi protagonisti ad evolvere,occorre aiutarli a pensare. Lo sviluppo della capacità di pensare implica una capacitàdi sentire e denominare le emozioni e gli affetti, contenendo la sofferenza e il deside -rio che questi evocano. Non è possibile insegnare niente senza fare i conti con la pro -pria e altrui capacità negativa (capacità di stare nel rischio, nel vuoto, incerti, senzarisposte, senza immediata soddisfazione, capacità di sostare nell'incertezza, di tolle -rare la mancanza, il non-ancora).

Numerose sono le forme di difesa dal pensare e dall’apprendere dall’esperienza: larazionalizzazione (costringere ogni esperienza in una dimensione razionale, decapi -tandone la matrice e il fondale affettivo), l’organizzazione efficiente o il gruppo (con -tengono generalmente le parti irrisolte dei suoi componenti), collusioni e seduzioniverso gli interlocutori, sentimentalismo, buonismo, etica del sacrificarsi per gli altri.

L’incapacità a dialogare con le proprie parti irrisolte incrementa le condotte proiettiveindividuali e gruppali. I soggetti, in tal modo, si distanziano sempre di più dagli altri,dopo che li hanno, inconsapevolmente, sommersi dei propri rifiuti dinamici.

La mancata capacità di pensare e il pensiero scisso inquinano l’ambiente organizzati -vo, saturandolo dei propri irrisolti e proiettando su di esso e sugli altri le proprie partioscure.

In ogni processo relazionale condotto in ambito professionale non si scambiano cose,ma ci si dà in rapporto con le cose che si scambiano. In questo senso la mente

34

dell’operatore è il suo più importante strumento di lavoro, e la relazione professiona -le la condizione per la “viabilità” delle conoscenze.

L’assunzione di una sensibilità clinica mette in condizione l’operatore di accorgersidelle latenze e dei precursori dinamici implicati nei processi programmatori e imple -mentativi. Tale sensibilità mette in condizione non di scovare gli irrisolti o le fragilitàdegli individui e dell'organizzazione, ma di farsi raggiungere da essi.

La relazionalità non scissa permette la denominazione e l’elaborazione degli irrisoltiindividuali e organizzativi.

L’atteggiamento clinico permette di percepirsi nella dinamica educativa come co-pro -tagonisti di una esperienza di evoluzione. Impara l’allievo se impara l’insegnante.

Le condizioni e i registri mentali per comprendere l'evoluzione di un individuo e diun gruppo sono dati dai propri interlocutori professionali. Occorre andare dove lorosono.

La sensibilità clinica aiuta ad occuparsi delle persone come sono, non come si pensadovrebbero essere.

6. Imparare a relazionarsi a scuola: i comportamenti e le tecniche

La condivisione di assunti razionalistici nella lettura del funzionamento umano tende adinterpretare, come si è anticipato, le prestazioni professionali come effetto di complessi model -laggi socioeducativi e il comportamento delle persone quale esplicitazione di concezioni mentalivariamente apprese nell’ambiente di vita. Da questa prospettiva osservativa ed ermeneutica si ri -tiene che gli apprendimenti inadeguati possano essere variamente dismessi a favore di apprendi -menti ritenuti maggiormente funzionali e adattivi. Ritenendo la legge dell’effetto (il comporta -mento si stabilizza in ragione degli effetti positivi che la sua emissione induce nel soggetto) lalegge fondamentale per spiegare il comportamento umano, questo modo di pensare ha indottoun’amplissima ricerca finalizzata ad analizzare il rapporto fra variabili di contesto e comporta -menti umani, nell’ipotesi non solo di spiegarli in termini causalistici, ma anche di modificarli conopportune strategie di intervento. Queste, essenzialmente, si basano sul favorire la disattivazionedi comportamenti ritenuti sbagliati ( target-behavior) e facilitare l’apprendimento e lo sviluppo dicomportamenti ritenuti adeguati ( goal-behavior), agendo su classi di variabili antecedenti e con -seguenti la manifestazione del comportamento. L’analisi del comportamento del docente, pertan -to, è stata fatta oggetto di molti studi, che hanno prodotto multiformi modelli di sua categorizza -zione e varie strategie di correzione e riapprendimento.

35

In una rassegna diacronica degli studi e delle esperienze sviluppatesi fin alla fine degli anni ’80 27,Anna Rezzara raggruppava tre essenziali sviluppi delle ricerche sull’argomento: studi correlativifra personalità scolastica del docente e produttività scolastica degli allievi, analisi fra caratteristi -che di personalità e atteggiamenti formativi degli insegnanti, analisi dei comportamenti dei do -centi in reali situazioni di lavoro. La maggior parte di queste ricerche, di derivazione prevalente -mente statunitense, è stata orientata verso la valutazione dell’efficacia dei diversi modi di inse -gnare, allo scopo di identificare modelli comportamentali ritenuti particolarmente funzionaliall’apprendimento degli allievi. In quest’ambito (studi sulla teacher effectiveness) Luciana Fon -tana aveva raccolto oltre diecimila pubblicazioni a metà degli anni ’80 28; ricerche finalizzate perlo più a correlare quattro classi di variabili: le caratteristiche personali del docente, i fattori mi -crosociali, i comportamenti professionali e i risultati dell’insegnamento. Ne è derivata la messa adisposizione di molteplici sistemi di categorizzazione del comportamento del docente, e relativeindicazioni formative.

Il primo di essi (PROVO: Code for Analysis of Teaching 29) è stato elaborato grazie a ricerchecondotte negli anni 1955-1957 in varie scuole materne ed elementari da un gruppo coordinatodalla statunitense Mary Hughes. In esso vengono isolate sette funzioni-base e una serie di sotto-funzioni che –secondo i ricercatori- qualificherebbero la bontà o meno degli stimoli formativi nelfavorire l’apprendimento degli alunni. Questo il cluster delle funzioni-base e relative sub-funzio -ni:

Controllo (struttura, regola, ordina, propone un modello, tronca conflitti) Impostazione (interviene, moralizza, decide, offre aiuto, offre informazione, dà giudizi) Facilitazione (chiarisce, dimostra, controlla informazioni, routine, interazioni) Svolgimento contenuto (approva, stimola, apprezza, dà aiuto, Risposte personali (accetta, interpreta situazioni, riconosce i propri errori) Interazioni affettive positive (loda, si interessa, incoraggia) Interazioni affettive negative (ammonisce, rimprovera, critica, rifiuta, rinvia).

Il secondo, forse il più noto, è il Fiacs (Flanders N.) 30. Il sistema si è venuto strutturando qua-le sviluppo delle ricerche pionieristiche americane di H.H.Anderson, influenzate dai modellilewiniani e rogersiani. Categorizza 10 stili relazionali, suddivisi in influenze indirette (accetta -zione dei sentimenti, lode e incoraggiamento, accettazione delle idee, fare domande) e dirette(fare lezione, dare direttive, criticare o giustificare l’autorità), in comportamenti degli studenti(rispondere agli interventi dell’insegnante, avviare un’interazione) e altri (gestione del silenzio edella confusione).

Il terzo (SCIV, Amidon-Hunter31) e quarto (Hough32) sistema di analisi dei comportamen-ti professionali del docente hanno rappresentato tentativi di revisione e integrazione dei pre-cedenti, piegandoli più esplicitamente a paradigmi comportamentisti.

Quello di G. De Landsheere è stato collaudato in classi di scuole elementari e ha rappresenta -to il modello più completo di definizione dei teacher-behavior, anche se di complessa utilizzazio -ne pratica. Queste le principali funzioni, ognuna delle quali prevede articolati e dettagliati sub-items:

27 Rezzara A., Alcuni orientamenti di ricerca, in AAVV, Appunti per una ricerca sugli stili educativi, CUEM, Milano, 1989.28 Fontana L., L’analisi del comportamento verbale in classe, Psicologia e scuola, 28, 1986.29 Hughes M.M., Developmentof the Means for the Assessment of the Quality of Teachers in Elementary Schools, Salt Lake City, Un.of Utah, 1959).30 Flanders N.A., Analysis Teaching Behavior, Reading, Addison-Wesley, 1970.31 Amidon E.J., Hunter E., L’interazione verbale in classe, F.Angeli, Milano, 1971.32 Hough J.B., An Observation system for the Analysis of Classroom Instruction, in Amidon E.J., Hough J.B., Interction Analysis, Reading, Addison-Wesley, 1967.

36

Organizzazione (partecipazione, ambiente patetico, cicli patetici, gruppi di apprendi -mento)

Imposizione (materiali, prescrizioni, tecniche e metodi, atteggiamenti) Sviluppo (interventi personali, struttura cognitiva, stili personologici) Personalizzazione (individualizzazione, rapporto faccia-faccia) Valutazione (conferma, rinforza +/-, disconferma) Concretizzazione (con materiali, con esemplificazioni) Interazione affettiva (conferma, incoraggia, stimola, rinforza +, rinforza -, rifiuta, di -

sconferma).

Questi (e altri similari) strumenti di analisi e di osservazione delle modalità relazionalidel docente in classe hanno rappresentato non solo un tentativo di precisare e misurare i com -plessi patterns comportamentali presenti nella dinamica relazionale dell’insegnante, ma hannocostituito un ricco serbatoio di spunti per la formazione degli stessi docenti. Nonostante l’artifi -ciosità di alcune classificazioni, il sincretismo teorico sotteso ad esse, l’indifferenza verso i fatto -ri di contesto e la difficoltà di utilizzo pratico 33, questi sistemi hanno permesso di ipotizzare stra -tegie di formazione nei confronti dei docenti allo scopo di insegnare loro, in modo tutto sommatoeconomico e semplice, quali tecniche relazionali sia auspicabile utilizzare e quali comportamentiprofessionali siano da evitare. Si spazia –in tali modelli formativi- dall’insegnamento di tecnichedidattiche per migliorare l’efficacia dell’insegnamento (progettazione chiara dell’intervento, de -finizione comportamentale delle attese e degli obiettivi, predisposizione di ambienti favorevoli,definizione dei comportamenti sì e no, controllo degli stimoli e delle risposte, prompting, ridon-danze, stimolazione e valutazione step-by-step), alla proposta di strategie relazionali nei confron -ti degli allievi (ignorare sistematicamente i loro comportamenti disfunzionali, premiare quellifunzionali, scaricare le tensioni con l’umorismo, eliminare le distrazioni, allontanamenti tattici,valutazione obiettiva dei fatti, utilizzo di rinforzatori sociali e materiali, piani educativi indivi -dualizzati, estinzione dei comportamenti negativi)34.Facile intuire, in questo contesto teorico, le caratteristiche e il senso di una formazione dei do -centi allo scopo di renderli competenti nelle strategie comunicativo-relazionali e nella complessi -va gestione dell’aula, specie in situazioni di criticità. Si tratta di allenarli (tramite appositi trai -ning) alla pianificazione dettagliata di interventi didattico-relazionali finalizzati ad estinguere ne -gli allievi i comportamenti ritenuti negativi e a rinforzare quelli assunti come positivi, all’utilizzodi vaste categorie di rinforzatori sociali e materiali, sino all’assunzione di “tecniche” relazionalifacilitanti il controllo del comportamento dell’allievo. Le Figg. 12-13 schematizzano esemplifi -cativamente alcune delle strategie accennate.

Fig. 12 – Programma di gestione del comportamento35

1. Identificare il comportamento-bersaglio (da modificare)a. Compilare l’elenco dei comportamenti problematici:

______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

b. Scegliere il comportamento-bersaglio:__________________________________________________________________

2. Individuare il comportamento adeguato

33 Lumbelli L., Educazione come discorso, Il Mulino, Bologna, 1981; L.Lumbelli, Psicologia dell’educazione. La comunicazione, Il Mulino, Bologna, 1982.34 Goldstein A.P. et alii, Tecniche comportamentali di gestione dei problemi di comportamento, in Folgheraiter F., Problemi di comportamento e razione di aiuto nella scuola, Erickson, Trento, 1994.35 Goldestein A.P. et al., Tecniche comportamentali di gestione dei problemi di comportamento, in Folgheraiter F., Problemi di comportamento e relazioni di aiuto nella scuola, Erikson, Trento, 1992, p.78.

37

3. Raccogliere dati per misurare la situazione di partenzaa. Giorni di osservazione: ______________________________________________b. Frequenza media giornaliera del comportamento-no: _______________________c. Frequenza media del comportamento-sì: _________________________________

4. Elencare i rinforzatori desiderati dall’allievo:______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

5. Stabilire la frequenza di somministrazione della ricompensa: ______________________6. Controllare l’andamento delle modificazioni comportamentali dell’allievo:

________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Fig. 13 – Rinforzatori materiali e sociali36

Cibo, figure da dipingere, note positive al preside o ai genitori, gomma da masticare, oggetti di cancelleria,buoni-pasto, distintivi con scritto “Bravo”, Giornalini o fumetti, Poster, premi, (…)

Leggere fumetti, usare il materiale dell’insegnante, parlare a tu per tu con il docente, andare a pranzo un po’in anticipo, dare un impegno piacevole, fare un intervallo, fare una commissione all’insegnante, fare qual -cosa di utile nell’ufficio del preside, usare i colori, riposarsi, stare vestiti come si vuole, giocare, usare ma -teriale di interesse, bere qualcosa, guadagnarsi un premio, divertirsi con ciò che piace, guadagnare una pau -sa più lunga, conquistarsi un premio, (…)

Sorridere, mostrarsi interessati, dire di sì con il capo, ridere, sedersi insieme agli allievi, abbracciare, dareuna pacca sulle spalle, applaudire, (…)

Dire: “Grazie”, “va bene”, “Sono contento di te”, “Splendido”, “Sei stato davvero bravo”, “Sei molto genti -le”, “Ottimo il lavoro che hai fatto”, (…)

Anche l’incoraggiamento empatico viene categorizzato secondo tecniche comunicative del tipo 37: Il docente dà all’alunno la possibilità di parlare liberamente delle difficoltà incontrate e lo

ascolta senza stare sulla difensiva; L’insegnante mostra comprensione per le sensazioni e per il comportamento dell’alunno; Il docente conferma che l’eventuale proposta dell’alunno può essere un’alternativa possi -

bile; L’insegnate ribadisce il proprio punto di vista spiegandone i motivi e le eventuali conse -

guenze; L’insegnante spiega che è giusto posticipare la soluzione di quel problema; Il docente sollecita il ragazzo a tentare comunque di partecipare.

In sintonia con l’approccio di cui stiamo sintetizzando il back-ground culturale e le procedured’intervento si collocano le sollecitazioni didattico-formative derivanti dalla Rational EmotiveTherapy (RET) di Albert Ellis 38, diffusasi recentemente anche nel nostro Paese. Assumendo che

36 Ivi, pp.71-72.37 Goldestein A.P. et al., Tecniche comportamentali di gestione dei problemi di comportamento, in Folgheraiter F., op,cit. pp.79-80.38 Ellis A., Reason and Emotion in Psychotherapy, Lyle Sturt, N.Y., 1962, tr.it., Ragione ed emozioni in psicoterapia, Astrolabio, Roma, 1989; Ellis A., How Raise an Emotionally Healthy, Happy Child, Whilshire Book Company, Hollywood, 1966; Ellis A., Bernard M.E., (a cura di), Rational Emotive Approaches to the Problems of Childhood, Plenum Press, N.Y., 1983.

38

la maggioranza dei comportamenti disfunzionali delle persone sia la risultanza di modalità erro -nee (“irrazionali”) di percepire i problemi e se stessi, la RET viene a caratterizzarsi quale strate -gie rieducativa del proprio modo di pensare e di reagire agli stimoli ambientali. Attraverso molte -plici indicazioni pratiche e strumenti operativi semplici (schede, questionari, inventari, diari,mappe delle emozioni e dei comportamenti), l’educazione razionale-emotiva si propone di aiuta -re l’alunno e il docente a riconoscere i suoi principali modi difettosi di reagire agli stimoli e dicorreggerli sistematicamente. La strategia si basa sul riconoscimento e la mappatura del propriorepertorio emotivo, l’analisi dei più comuni modi di pensare e la correzione dei pensieri irrazio -nali. Questi vengono generalmente ricondotti ad alcune categorie ricorrenti39:

Doverizzazione: “Io devo assolutamente…, Tu devi senz’altro… Gli altri devono…”;

Intolleranza: “Non sopporto che…, E’inammissibile che …”; Totalizzazione: “Io non valgo a nulla…., Sei proprio stupido…, Inutile parlarti…”; Catastrofizzazione: “E’ terribile …., E’ orrendo….”; Indispensabilità: “Non si può vivere senza…., Bisogna assolutamente che …”.

Una volta compilato il personale vocabolario emotivo, il soggetto viene invitato a sostituire ipensieri irrazionale e dannosi con pensieri utili e razionali, così da allenare la mente a reagire inmodo positivo agli eventi (anche i più stressogeni) della vita. Intuibili, anche al riguardo, le sug -gestioni formative per i docenti, cui la rieducazione razionale-emotiva si propone di offrire con -crete strategie non solo per aiutare i propri allievi (difficili) a correggere i propri modi di pensare(e, quindi, di comportarsi a scuola), ma espone alla loro stessa volontà di cambiare un ricco re -pertorio di suggerimenti perché possano riconoscere i personali errori di valutazionedell’ambiente professionale e riorganizzare progressivamente il proprio repertorio emotivo –comportamentale.

Ancor più ampia diffusione nella formazione dei docenti hanno goduto, nei decenni scor -si, diverse strategie relazionali variamente derivate dalla terapia rogersiana “centrata sul clien -te”40, spesso etichettate semplicemente come tecniche non-direttive d’intervento. Partendo dallanecessità di sviluppare e instaurare relazioni profondamente rispettose dell’alterità e indiretta -mente facilitanti un clima di fiducia e di rassicurazione, si insiste –in quest’ambito- sulla rinunciaad esprimere giudizi e a dirigere l’altro, bensì a comprenderlo e ad accettarlo incondizionatamen -te. Nonostante le facili contraddizioni cui può esporsi questo modo di intendere i rapporti in unambiente quale quello scolastico (nel quale la valutazione e la direzione costituiscono tratti es -senziali del suo specifico setting), le tecniche rogersiane non precludono né impediscono la valu -tazione, semmai la preparano e la delimitano. L’accettazione incondizionata, l’empatia, la nonstigmatizzazione, l’assenza di pregiudizi, la valutazione dei comportamenti e non della personali -tà, le tecniche di rispecchiamento ( recognition of feeling ), di riformulazione ( reflection of fee -ling), di delucidazione (clarification), la massima esplicitazione delle intenzioni e delle informa -zioni, il chiedere senza domandare caratterizzano –secondo questi assunti- una relazionalità cheproduce nell’interlocutore un senso di accettazione, di comprensione, di valorizzazione, di stimadi sé e di consapevolezza del proprio valore, orientandolo indirettamente verso una relazionalità(anche scolastica) più matura e responsabile. Lo stesso Rogers – per meglio aiutare a comprende-re il senso delle proprie tecniche- aveva predisposto una sorta di semplice strumento di autovalu -tazioni ad uso del formatore-tutor, affinché possa accorgersi della propria prontezza nel saper sta -re in un corretto rapporto con “il cliente”41 (Fig. 14).

39 Di Pietro M., L’educazione razionale-emotiva, Erickson, Trento, 1992, p.33; Di Pietro M., L’educazione ra-zionale-emotiva di Ellis: implicazioni per gli insegnanti, in Folgheraiter F., op.cit., p.156.40 Rogers C.R., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970; Rogers C.R., Psicoterapia e relazioni umane, Boringhieri, Torino, 1970; Rogers C.R., Libertà nell’apprendimento, Giunti-Barbera, Firenze, 1973.41 Rogers C.R., The caracteristic of a Helping Relationship, in On becoming a Personm, Houghton Hifflin, 1962.

39

Fig.14 – Sono in grado di gestire una “relazione d’aiuto”?

1. Sono in grado di farmi percepire dall’Altro come “congruente”: ovvero riesco ad es-sere consapevole di ogni sentimento – anche negativo- che provo nella relazione?

2. Sono capace di esprimermi in modo sufficientemente chiaro con l’Altro, così da riu-scire a comunicare senza ambiguità chi sono e come mi sento nella relazione?

3. So sperimentare atteggiamenti positivi verso l’altra persona: atteggiamenti di calore, protezione, simpatia, interesse, rispetto?

4. Sono abbastanza forte come persona da restare separata dall’altra persona, cioè di mantenere la mia individualità e preservare quella altrui?

5. Mi sento abbastanza sicuro di me stesso così da permettere all’altra persona una sua esistenza separata, senza di me?

6. Sono in grado di sfiorare parti importanti della personalità dell’Altro senza provare desiderio di giudicare?

7. So accettare ogni persona per quel che è?8. So agire nel rapporto con sufficiente sensibilità perché il mio comportamento non

venga percepito come una minaccia o una violazione della privacy altrui?9. Sono in grado di aiutare a liberare l’Altro dalla paura di essere giudicato?10. So percepire l’Altro come entità che sta vivendo un processo di sviluppo?11. Nella relazione so staccarmi dal passato mio e dell’Altro, dal mio e dall’altrui ruolo?12. So incontrare senza difficoltà le potenzialità dell’Altro?13. So rinunciare al desiderio di considerare l’Altro un oggetto manipolabile e governa-

bile?

Altre diffuse indicazioni alla formazione relazionale del docente sono derivate dall’”ana -lisi transazionale” del medico e psicoterapeuta Eric Berne 42. Anche tale approccio, denso di sche-matismi interpretativi e di strumentazione-guida, si pone in una prospettiva pragmatica, finaliz -zata ad aiutare le persone a cambiare in modo controllato e relativamente breve i propri modiinadeguati di pensare e di comportarsi. Una volta analizzati e riconosciuti i principali modi disentire e di reagire all’ambiente, una volta individuati gli essenziali “stati dell’Io” (sentimenti,motivazioni, comportamenti) e relative funzioni (Genitore, Adulto, Bambino), il modello transa -zionale si propone di analizzare i giochi e i copioni relazionali al fine di coglierne gli errori, mo -dificare le catene di transazioni e liberare una relazionalità più consapevole, spontanea e affetti -vamente positiva. Sorto con lo scopo di trovare una via più pratica e più breve al cambiamentoindividuale rispetto a quanto ipotizzato dai modelli psicoanalitici (lo stesso Berne –dopo una for -mazione psicanalitica con Erik Erikson – si è distanziato dal movimento psicoanalitico),l’approccio transazionale si pone come strategia pratica ed economica di miglioramento dellecompetenze relazionali “qui ed ora”, riparandone, per così dire, i guasti e sistemandone le mec -caniche interne ( "...Personalmente –confessa lo stesso Berne- mi ritengo un meccanico dellamente, tutto qui. Se qualcuno viene da me con le rotelle fuori posto io gli dico: O.K. proviamo ametterle a posto”): una sorta di compromesso fra il lavoro interno ed esterno, il disagio persona -le e i sintomi socio-relazionali. L’identificazione della struttura (il mondo interno del soggetto),delle transazioni (cosa sta capitando), dei giochi relazionali (come la persona interagisce con ilmondo) e dei copioni relazionali (come la persona orienta la sua vita e governa le sue emozioni),è attività collettiva che dovrebbe mettere in condizione il soggetto di accorgersi dei suoi errori ecambiare il proprio stile relazionale. Non dunque una vera e propria terapia di gruppo, ma una te -

42 Berne E., Guida per il profano alla psichiatria e alla psicanalisi, Edizioni Astrolabio, Roma, 1969; Berne E.,A che gioco giochiamo, Edizioni Bompiani, Milano, 1982.

40

rapia (o un sostegno, o una formazione) attraverso e dentro il gruppo. Anche tale caratteristica diintervento formativo e terapeutico è apparsa maggiormente sintonica con le tradizioni formativedel personale docente, nei cui confronti il modello offre concreti strumenti di autonalisi e di con -sapevolezza. Ne è un esempio il noto schema di Thomas Harris “Io sono OK tu sei OK” 43. Essofacilita varie esemplificazioni dei modi di pensare scorretti o funzionali, che a loro volta produ -cono comportamenti negativi o positivi. (Figg. 15 –16).

Fig. 15

43 Thomas A. Harris, Io sono Ok, Tu sei Ok, Rizzoli Editore, Milano, 1974

41

Non OK – Non OK OK - OK

Scarsa stima di sé Grande stima di sé e degli altriIo non ho diritti, nemmeno tu Fiducia in sé e negli altriIo non valgo niente, nemmeno tu Vinco io, vinci tuSenso di inutilità Comunicazione aperta, chiaraNon c’è nulla da fare Dà molto, riceve moltoSono un vinto, sei un vinto Esprime gioia, si fa coinvolgereNon abbiamo speranza Ascolta e non giudicaNon c’è via d’uscita Atteggiamento positivo verso tutti

Scarsa stima di sé Grande stima di séTu vali, io no Io valgo, tu noVive male i complimenti ricevuti Pretende complimenti Si sente a disagio con gli altri Giudica gli altriSi sente inadeguato Si sente adeguato e sicuroSi sente mal giudicato Combattivo, irritabileNon vuole essere egoista Pretende molto dagli altri

Non OK– OK OK – Non OK

Fig. 16

Approccio positivo Approccio negativo

Non lascia né vinti né vincitori Una parte vince, l’altra deve soccombereSi va verso soluzioni concrete Non si risolve nulla di concretoRichiede qualche rinuncia Impone all’altro rinunceSi fonda su un quadro di riferimento positivo Si fonda su un quadro di riferimento negativoAffronta i problemi in modo freddo, razionale, obiettivo

Affronta i problemi in modo emotivo, soggettivo

Tiene conto del comportamento non verbale Non considera la comunicazione non verbaleAssume la responsabilità dei propri comportamenti, anche quando sbaglia

Dà sempre la colpa agli altri

Comunica senza ferire, senza mortificare Comunica facendo sentire l’altro in difficoltàOsserva e ascolta l’altro Giudica e cerca di battere l’altroEvita le imposizioni e i giudizi Impone e pretende

Sempre nell’ambito delle ricerche tese a derivare da varie e differenti prospettive psicolo -giche affidabili indicatori di efficacia dell’insegnante si situa l’altrettanto noto lavoro di Gor -don e Burch44. Gli Autori, lavorando prevalentemente intorno a modelli comunicazionali e re -lazionali in ambito familiare e scolastico, individuano due essenziali tipologie di comunica -zione: la prima (I-Messages) è caratterizzata da comunicazioni dirette, in cui il parlante espri -me in modo chiaro le proprie intenzioni comunicative e le proprie finalità; la seconda è defi -nita da una serie di messaggi ( You-Messages) confrontativi ad alta direzionalità e a bassa

44 Gordon T., Burch N., T.E.T: Teacher Effectiveness Training, Peter H.Wyden, N.Y., 1974

42

apertura del sé. Mentre nella prima categoria rientrano comunicazioni in cui il parlante espri -me i propri sentimenti, il senso del proprio intervenire, gli stati emotivi che sta sperimentan -do (Self-disclosure), così da mettere l’interlocutore nelle condizioni di meglio comprendere ilsignificato dell’interlocuzione, nella seconda vengono raggruppati tre modelli comunicazio -nali ricorrenti e particolarmente disfunzionali:

Solution-Messages: si tratta di comunicazioni che prescrivono marcatamente ilcomportamento dell’interlocutore, lo guidano forzatamente, lo spingono versomete che il parlante ritiene risolutive dei problemi dell’interlocutore. Si definisce,pertanto, come una comunicazione invasiva, direttiva, autoritaria e dipendentiz -zante. Assai diffusa in dinamiche relazionali funzionalizzate al “portare avanti ilprogramma”, questa tipologia di interazioni appare consona al non lasciare indie -tro l’allievo, al non permettergli vie di fuga dall’impegno scolastico, al controllar -ne l’attenzione e monitorarne i comportamenti apprenditivi, ma si risolve spessocome un inseguimento che incentiva la fuga dell’allievo “braccato” dal docente.Frequentemente stabilizza una dinamica relazionale che infantilizza l’interlocuto -re, lo fa sentire incapace di assumersi la responsabilità emotiva e cognitiva deipropri comportamenti; erode la sua autostima e fiducia, gli fa perdere di vista ilsuo mondo interiore incentivandolo a consegnarsi a quello del docente. Attraversoqueste modalità comunicative l’emittente comunica scarso rispetto per l’interlocu -tore, per i suoi bisogni e le sue attese, favorendo l’insorgere di sentimenti ambiva -lenti (paura e aggressività, sottomissione e irritazione, affiliazione e trasgressio -ne). I patterns comunicazionali più frequentemente utilizzati per veicolare tale di -namica sottilmente disconfermante (tu non sei in grado di capirti e di controllarti)si basano sul dare ordini, comandi, ingiunzioni frequenti e mai esplicitate, sul mi -nacciare e l’esibirsi come esempio, sul “fare prediche” e il pretendere la sottomis -sione alle proprie richieste.

Put-down Messages : comunicazioni che “schiacciano” l’interlocutore. Modi didire e di fare che denigrano e svalutano, che giudicano la persona più che i suoicomportamenti (Non capisci niente! Da te non ci si può aspettare altro!). Si trattadi uno stile comunicativo-relazionale tendente a giudicare negativamente l’interlo -cutore, a criticarlo continuamente, a biasimarlo e disapprovarne i comportamenti,oppure ancora –più sottilmente- a sottometterlo a proprie interpretazioni e giudizidiagnostici dopo interlocuzioni indagatorie e invasive.

Indirect-Messages. Sono messaggi che simulano un’apparente accettazionedell’altro, ma che in realtà colpiscono e feriscono in modo dissimulato e indiretto.Il prendere in giro “bonariamente”, l’ironizzare, il ridicolizzare, l’uso frequentedel sarcasmo, frasi accennate e lasciate in sospeso, uso di un linguaggio incom -prensibile all’interlocutore costituiscono alcuni dei più comuni tratti di questa ti -pologia comunicativa.

La valenza patogena di queste comunicazioni disfunzionali, naturalmente, non è strettamentecorrelata al loro episodico utilizzo, ma ad uno “stile” relazionale improntato a queste modalitàinterattive. Ciò vale sia per la categorizzazione operata da Gordon-Burch, sia per quelle prece -dentemente schematizzate. In una di ricerca sul campo finalizzata a studiare le correlazioni frapotenzialità creative dei bambini dai 3 agli 8 anni e stili educativi dei docenti si è avuto modo diraccogliere e studiare diversi protocolli interattivi, la cui schematizzazione permette di evidenzia -re da un lato i tratti comunicativi disfunzionali accennati e le ipotesi di soluzioni praticabili. Ilnumeroso materiale raccolto è stato categorizzato in diverse Situazioni Interattive Problematiche(S.I.P.), di cui si presentano due esempi45 (Figg.17-18).

45 Cerioli L., Comunicazione, stile educativo e creatività, in: Antonietti A., Cerioli L., (a cura di), Creatività in-fantile, IEM editrice, Potenza, 1990, pp.433-507).

43

Fig. 17 – S.I.P. A

Situazione: La classe sta lavorando su esercizi di matematica in piccoli gruppi. C., forse perché in diffi -coltà, ha smesso di lavorare e continua a parlare sempre più animosamente e a voce alta con F., presumi -bilmente per problemi estranei al lavoro. I compagni vengono disturbati. Alcuni di loro iniziano a lorovolta a interagire a voce alta. L’insegnante interviene. Dirà poi allo scopo di far cessare il disturbo, riav -viare C. al lavoro e ristabilire un clima di concentrazione e silenzio.

Interazione rilevata(You-Messages)

Interazione possibile(I-Messages)

“Se non smetti di disturbare ti spedisco fuori! … “La tua voce ci dà fastidio e ci distrae dal lavoro…”Solution-Message Self-Disclosure

“… solo i deboli alzano la voce…” “… anche se mi sembri molto coinvolto…”Put-down Message Reflection of Feeling

“… vuoi che smettiamo tutti di lavorare per ascoltarti meglio”?

“… succede, a volte. Ma adesso torniamo a lavorare, che è già tardi”.

In direct-Message Empatia

Fig. 18 – S.I.P. B

Situazione: Ossessiva richiesta di contatto individualizzato Sollecitazione di feedback rassicurativi eccessivi e disturbantiDescrizione: Richieste continue di conferme “fuori luogo”

Interruzione continua dell’attivitàEffetto di modellaggio sui compagni

Problemi: Come autonomizzare senza disconfermare?Come impedire la destrutturazione del clima?Come non incentivare forme di dipendentizzazione?Come assumere atteggiamenti equi verso il gruppo?

Interazioni disfunzionali più comuni Interazioni funzionaliStigmatizzazione “Immaginavo che non

avresti capito…”“Lo sapevo già che me lo avresti chiesto ancora…”

Rispecchiamento

Colpevolizzazione “Ma cosa vuoi ancora?”“Esisti solo tu in classe?”

Self-Disclosure

Ironia “Toh, guarda chi si risente…” Riformulazione

Disconferma oSottomissione

Decisione

44

Nell’ambito della ricerca accennata si è anche provato ad operare un’ulteriore tipologiz -zazione delle più comuni modalità comunicative apparse significativamente correlate ad un’ini -bizione delle capacità mentali di tipo creativo nei giovani alunni (Fig. 19), oltre che una schema -tizzazione degli atteggiamenti mentali (difensivi o d’aiuto) connessi ai diversi stili comunicativianalizzati (Fig.20), e delle loro possibili influenze sulla personalità e i comportamenti degli allie -vi46.

Fig. 19 – Repertorio delle interazioni negativamente correlate alla creatività degli allievi

Disconferme (Tu non esisti) Risposte tangenziali (disconferme dissimulate, risposta su altro piano dell’intenzionalità dell’interlocutore) Interazioni routinarie (generiche, stereotipate, indifferenziate) Interazioni di pseudo-assenso Non accettazione dei sentimenti dell’interlocutore Incoerenza (diacronica e sincronica) Interazioni limitative e cautelative Interazioni ambivalenti Ingiunzioni paradossali Assenza di empatia e di conferme Eccesso di conferme (dipendentizzazione) Interazioni povere, ristrette, prevedibili, chiuse Interazioni unicamente convergenti, non problematiche, chiuse Interazioni sbrigative Interazioni infantilistiche (motherese, baby-talk) Interazioni adultistiche (complementarità rigida, alto dominio dell’interlocutore) Interazioni invasive (indagatorie, sottilmente giudicanti o colpevolizzanti) Interazioni univocamente regolamentative (Solution-Messages) Comunicazione univocamente collettivistica, poco personalizzata e individualizzata Alta copertura dei propri sentimenti (Self-Enclosure) Interazioni impulsive, ad alto tasso di “agiti” Scarso equilibrio fra codice verbale e non verbale

Fig. 20 – Atteggiamenti relazionali difensivi e di sostegno

Relazione difensiva Relazione di aiutoOrientata complessivamente su di sé Orientata sull’altro, su di sé e sulla relazioneDiffuse lamentale e colpevolizzazioni Diffusa responsabilizzazione e assenza di colpevoliz-

zazioniDinamiche di dominio e di esibizione Simmetrizzazioni tramite empatiaAssetto rigidamente asimmetrico (Io so quel che serve a te)

Modulazione consapevole dell’asimmetria (Vediamo se possiamo insieme fare qualcosa)

Forte chiusura del sé (Non devi sapere cosa penso) Apertura del Sé (Esplicito in modo chiaro e congruente cosa io sento in questa situazione)

Frequente uso di messaggi confrontativi e colpevoliz-zanti

Uso di messaggi diretti, sollecitanti e non minacciosi

Frequente uso di ingiunzioni paradossali, di discon-ferme ed allusioni

Comunicazione chiara, completa e congruente

Poca problematizzazione Indice curiosità, apre questioni, accetta e stimola unapersonalizzazione dell’esperienza

Scarsa tolleranza delle differenze, dei cambiamenti,dei disequilibri

Ricerca e valorizza le differenze, riconosce nel disequi-librio l’inizio di nuovi equilibri

Chiude, deresponsabilizza Apre, responsabilizzaConsolida l’omeostasi del sistema relazionale Introduce “runway” e facilita il cambiamentoGratifica le motivazioni affiliative dell’interlocutore Inibisce il gargarismo, sollecita l’altro al protagonismo

46 Ivi, pp. 472-484.

45

Eroga stimoli chiusi, prevedibili, intoccabili Eroga stimoli aperti, moderatamente nuovi, incerti, dissonanti, incompleti

Valuta e giudica l’altro Accetta, comprende e valuta i comportamenti, se ne-cessario

Parla, ordina, impone, pretende, si aspetta Ascolta, cerca di comprendere ed esplicita le propriedecisioni

Evita feedback negativi Sollecita e sfrutta le valutazioni negative

7. Imparare a relazionarsi a scuola: gli atteggiamenti e le sensibilità

Mentre i paradigmi comportamentisti e quelli cognitivisti espongono una ricca dotazione disuggerimenti e pratiche formative volte a sviluppare nei docenti competenze appropriate alla re -lazione formativa o d’aiuto, il vertice psicodinamico sembra offrire più limitate risorse operativein tal senso. Non tanto perché manchino analisi e possibili indicazioni (s’è visto, infatti, quantecategorizzazioni dei comportamenti relazionali emergano anche da modelli ermeneutici di deri -vazione psicodinamica), quanto per la consapevolezza che la sfida al cambiamento non passa ge -neralmente tramite l’acquisizione o l’addestramento a particolari modi di fare relazionali, masolo attraverso una paziente riflessione e revisione dei personali atteggiamenti mentali e sensibi -lità che sottostanno ai comportamenti professionali. Mentre da un lato si ritiene che il docentepossa imparare ed, esercitandosi, strutturare specifiche competenze relazionali, dalla prospettivaclinica si intende accompagnare il docente verso la consapevolezza delle proprie sensibilità, deipropri modi di percepire e sentire, dei personali modi di riconoscere i propri e altrui sentimenti alfine di sviluppare una più profonda consapevolezza del senso e dei significati di ogni evento re -lazionale. Dall’acquisire e utilizzare strumenti e tecniche altrove definite (competenza = cum-petere = orientarsi verso, dirigersi verso; abilità = abilis = saper usare, utilizzare qualcosa), al ge-nerare e sviluppare capacità (contenere).

Si tratta, come si intuisce, di una sfida assai complessa: aiutare l’operatore di una Helping-Profession ad assumersi la responsabilità anche della propria dimensione emozionale ed affettiva

46

per poter dialogare in modo meno razionalizzato e stereotipato con i propri interlocutori. Si ipo -tizza, da questa frontiera formativa, che la vera competenza relazionale non la si può acquisireimportando e stabilizzando modi di dire e di fare teoricamente funzionali, bensì generando unproprio stile relazionale che sappia tener conto prima di tutto delle personali disposizioni affetti -ve, delle personali e private matrici interpretative della realtà. La complessità della sfida si situanel tentativo di integrare –nello stesso operatore- la dimensione cosciente e quella inconsapevolee latente della propria personalità, nella consapevolezza che ciò che viene negato o rimosso, vivee si attiva in modo negativo nella relazionalità. Si apre uno spazio di confronto intrapersonale,prima ancora che interpersonale, in cui l’obiettivo di fondo consiste nel sostenere l’operatore nelfamiliarizzare e nell’interagire –in condizioni protette- con la propria dimensione fantasmatica,con le proprie latenze e con le aree residuali della propria mente.“I fantasmi inconsci – nota Paolo Mottana in un suo lavoro sulla dimensione affettiva della for -mazione47- sembrano essere i veri e propri luoghi del sapere affettivo, i nuclei dove si è annida -to, modificato e deformato, oppure cristallizzato e latente, il sedimento primitivo del desiderio.Essi portano iscritto, in folgorazioni, in corrugamenti spezzati, il glossario, il repertorio delle im -magini prime dei modi affettivi del soggetto, ciò che lo parla e lo agisce suo malgrado all’inter -no. Si tratta di credenze, di vere e proprie “teorie” primitive, che hanno tuttavia la proprietà dellapersistenza latente, in grado di riattivarsi in ogni esperienza e in particolare in quelle esperienzeche ripropongono, per analogia o per contiguità, le violenti mutazioni di pensiero, di affetti,d’identità e di relazione, proprie del primo periodo di vita”. L’attenzione –da queste prospettive- si sposta dai comportamenti alle immagini interne della re -lazione, alla sua simbolica. Le immagini che possono con facilità essere generate intorno alla di -namica insegnativa-apprenditiva, infatti, sono state variamente analizzate e discusse in contributispecifici, tra i quali si evidenziano gli studi di R.Kaës 48 e il noto articolo di E.Enriquez 49 sugli 8modelli fantasmatici del formatore. Mentre la dinamica formativa insiste nelle allusioni – secon -do il primo Autore – alle funzioni primarie (generare, procreare, mantenere in vita, salvare, ripa -rare, opporre Eros a Thanatos, donare e donarsi l’immortalità, nutrire e affamare, accogliere e re -spingere, plasmare, riprodurre, rinascere), Enriquez ha isolato 8 essenziali mitologemi del forma -tore, che sono stati e potrebbero essere moltiplicati o integrati. La Figura 21 li riassume schema -ticamente.

Fig.21 – Mitologemi del formatore secondo E.Enriquez (1980).

Tipologia Possibili latenze impliciteFormatore Riprodurre se stesso, modellare replican-

ti Dinamica narcisistica di rispecchiamen -

to Terapeuta Guarire, restaurare, eliminare il male

Dinamica regressiva verso situazionesimbiotica primaria

Maieuta Far nascere, sviluppare

47 Mottana P., Formazione e affetti, Armando, Roma, 1993, p.91.48 Kaës R., Quattro studi sulla fantasmatica della formazione e il desiderio di formare, in Kaes R., Anzieu D.,Thomas L.V., Le Guérinel N., Filloux J., Desiderio e fantasma in psicoanalisi e in pedagogia, Armando, Roma,1981; Kaës R., (1976), L’apparato pluripsichico, Armando, Roma, 1983.49 Enriquez E., Ulisse, Edipo e la Sfinge. Il formatore tra Scilla e Cariddi , in Speziale-Bagliacca R. (a cura di),Formazione e percezione psicoanalitica, Feltrinelli, Milano, 1980.

47

Desiderio di salvarsi come generatoreInterpretante Svelare, controllare, dominare, possede -

re Bisogno di dominare onnipotentemente

Militante Offrire un traguardo di salvezza Induzione di atteggiamenti schizopara -

noideiRiparatore Offrirsi come strumento di salvezza

Dinamiche onnipotenti e narcisisticheTrasgressore Lottare contro, liberarsi da

Dinamica edipica irrisoltaDistruttore Inibire, smontare, mettere in difficoltà

Bisogno di salvarsi sopra gli altri

L’insistenza posta dal punto di osservazione clinico sulla necessità di occuparsi delle di -mensioni latenti nell’esperienza formativa è spiegato anche dalla preoccupazione di contra -stare forme di apprendimento e di competenze superficiali e inaffidabili, facilmente risolvi -bili in simulazioni e in una sorta di grossolano bon-ton relazionale. L’”ignoranza mitica 50”,l’incapacità a vedere e considerare le profondità degli individui, dell’organizzazione, le stra -tificazioni che sottostanno ai loro rituali e ai loro modelli socio-professionali rappresenta, inrealtà, un importante fattore di patologia professionale. Il recupero della dimensione incon -scia e fantasmatica della vita organizzativa è –secondo questi assunti- non solo opportunitàdi crescita e di evoluzione professionale, ma condizione necessaria per permettere affidabilie irreversibili processi di maturazione affettiva e relazionale. L’ambiente educativo, da que -sto versante, si espone quale organizzazione particolarmente invischiata nelle dinamiche pro-iettive: la rimozione e la sottovalutazione di questi aspetti inconsci non soltanto inibisce lefunzioni formative dichiarate, ma spesso le sovverte e le capovolge. Anche la formazione scolastica si situa fra le multiformi professioni d’aiuto ( Helping-Pro-fession), dato che il suo obiettivo esplicito e implicito è quello di sostenere e aiutare chi, perqualche ragione, è “in giù”, è in difficoltà. In questa professione, come in altre similari, siconfrontano interlocutori assai diversi e reciprocamente “lontani”: il medico e l’ammalato, ilterapeuta e il nevrotico, l’assistente sociale e il bisognoso, il sacerdote e il peccatore, l’inse -gnante e l’allievo. Professioni diverse, con peculiarità e obiettivi dichiarati specifici, che sidilatano attorno ad una simbolica particolarmente persistente e pregnante, in cui ricorre la di -stanza tra gli interlocutori, la diversità, la vicinanza dei lontani, l’accostamento di oppostepolarità, la continua tensione tra il sopra e il sotto, tra il bene e il male, tra la forza e la debo -lezza, la ricchezza e la mancanza, il potere e l’impotenza, la conoscenza e l’ignoranza, lagrazia e il peccato. L’evitamento e il mancato riconoscimento di queste dimensioni latentidella personalità individuale e collettiva si traduce –secondo le osservazione cliniche- in unfondamentale depauperamento e inibizione delle stesse competenze acquisite. In quantoprofessione d’aiuto, la formazione scolastica è caratterizzata dalla marcata distanza nellacomplementarità tra i suoi principali interlocutori: ogni negazione della intrinseca duplicità eprofondità dell’individuo non solo amplifica potentemente le differenze tra i soggetti in rela -zione, ma con facilità impedisce sul piano analogico ciò che viene perseguito sul versantedella consapevolezza. Il mancato incontro tra le dimensioni ideali del proprio lavoro o dellapropria missione (aiutare, salvare, guarire, assistere, educare, istruire) con le simmetriche di -mensioni oscure opposte (controllare, rubare, dominare, farsi dare, sentirsi superiore) posso -

50 Quaglino G.P., Psicodinamica della vita organizzativa, R.Cortina, Milano, 1996.

48

no con facilità illudere il soggetto in posizione “one-up” (il docente) di essere esente dai pro -blemi del proprio interlocutore in “down”. I propri percorsi irrisolti, le proprie fragilità, leproprie debolezze e incapacità, una volta negate, vengono clandestinamente esportate – qui,con ancor maggior credibilità e legittimità di altri contesti professionali – su chi è esplicita -mente designato come inferiore e inadeguato (perché è incapace, perché è ignorante, perchéè debole, perché non è autonomo). Ne deriva una sorta di potenziamento reciproco distan -ziante e psicologicamente paralizzante: più in alto si percepirà il tutore, più incapace e inade -guato si sentirà l’assistito. Riflessi di questa sottile ma cruciale dinamica sono a volte riscon -trabili in alcuni apparenti paradossi variamente percepibili: medici competenti ma lontani dalmalato (curiosi delle malattie, stanchi dei malati), genitori ossessivamente preoccupati dellaloro immagine sociale e morale con figli oppositivi e trasgressivi, soggetti impegnati ad ap -parire ideali con dissimulati e protetti comportamenti inconfessabili, e così via. Lo sforzo dimigliorare, di diventare più consapevoli appare, pertanto, più complesso e problematico perchi deve esserlo per mestiere. I rischi di ingannarsi e di ingannare gli altri, di intellettualizza -re e razionalizzare, di fingere un’evoluzione che altro non sembra che self-control e arresaalla Persona, alla maschera/ruolo socioprofessionale (spesso giustificate anche professional -mente dal seducente costrutto delle “competenze sociali”) sembrano, in questi ambiti, mag -giormente probabili. Oltretutto, l’aspetto che ancor più valorizza e rende centrali le questioni cui stiamo accen -nando risiede nella constatazione della pervasività e potenza educativa degli irrisolti indivi -duali dei formatori. Per l’operatore delle Professioni d’aiuto questo significa, tra l’altro, chesarà in larga misura la sua Ombra, la sua dimensione mentale inconsapevole – non ricono -sciuta e integrata – a svolgere, in modo rovesciato, i compiti di assistenza e di aiuto consa -pevolmente percepiti. È, questa, una constatazione satura di implicazioni, che vale per qual -siasi rapporto asimmetrico, professionale o naturale.

Jung considerava “spaventosa” la constatazione che fosse l’inconscio dei genitori e degli avia educare e far crescere psicologicamente i figli 51. In questo senso ognuno sembrerebbe “in -ventato” ancora prima di nascere: inventato dalle attese, dai desideri, ma anche dagli irrisoltidi chi direttamente e indirettamente l’ha pensato e generato. Una sorta di “karma” familiareche sottilmente impone ad ognuno di essere quello che altri vogliono che egli sia. Ciò lasciaintravedere la possibilità di immaginare il percorso di evoluzione e di individuazione anchecome un percorso di necessario “tradimento” ai tentativi di vita falliti dei propri generatori.Un percorso che chiede un alto prezzo: il sentirsi in colpa, sbagliati, traditori. Le figure pa -rentali, siano essi i genitori stessi o chi –quali i formatori- assumono psicologicamente unruolo di guida e di modellaggio socio-culturale, vengono a rappresentare un essenziale puntodi riferimento ma anche un’impalpabile catena che può bloccare l’evoluzione. Ciò indipen -dentemente dalla volontà e dai comportamenti “liberali” di genitori o formatori attenti a noncondizionare troppo i propri figli o allievi, poiché il tutto viene sottilmente ma assai efficace -mente metacomunicato inconsapevolmente. Il sentimento di colpa per la trasgressioneall’imago genitoriale (e non, quindi, al genitore vero e proprio) richiama e costella sentimen -ti penosi di disistima, di fallimento, di incapacità, di cattiveria. Divenire se stessi, imparare a

51 “Non vi è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli,che la vita non vissuta dei genitori “.Jung C.G., (1929), S tudi sull’alchimia, in Opere, vol. 13, Boringhieri, To-rino, 1988, p. 6. E nella introduzione al volume di F.G Wickes Il mondo psichico dell’infanzia: “Ciò che gene-ralmente agisce più fortemente sulla psiche del bambino è quella parte della vita dei genitori (e degli avi, poi -ché si tratta del primigenio fenomeno del peccato originale) che essi non hanno vissuta. (…) Si potrebbe direche siano gli antenati, i bisnonni e le bisnonne, i nonni e le nonne, ad aver generato il bambino e che la sua in -dividualità dipende piuttosto da loro che, per così dire, dai suoi immediati genitori occasionali” Jung C.G.,(1927-1931), Introduzione a F.G.Wickes, Il mondo psichico dell’infanzia , Astrolabio, Roma, 1948, pp.19-20.

49

rispettarsi, a dirsi di sì, è, allora, un compito davvero pesante, anche se costituisce l’impegnopiù importante di ogni esistenza. Un compito a cui si tenta di sfuggire anche attraverso idealidiscutibili, come quelli del sacrificarsi per qualcuno. Per i figli, per gli allievi, per gli altri. Ilsacrificio non elaborato rischia di tradursi in un darsi sacrificati agli altri, in un insegnareagli altri la propria sofferenza e rinuncia, il proprio malessere, il proprio non credere allecose che si dicono e si fanno. Il genitore o il formatore torturato per i figli e per gli allievisembrerebbe non possa che lasciare loro in eredità le sue torture. L’educatore che non si pia -ce, che non si rispetta, che non sa essere sereno, che si sente vittima della vita e degli altri ri -schia di insegnare indirettamente analoghi risentimenti e sconfitte. Colui che non sa occupar -si di sé, badare a se stesso avrà con maggiore facilità figli e allievi che dovranno assumersi icompiti in cui lui è fallito. Quando la negazione delle proprie parti vitali, per quanto ombro -se e sociodistoniche, assume caratteristiche di scissione interna fra le dimensioni positive equelle negative (come nel famoso e paradigmatico racconto di Stevenson The Strange Caseof Dr. Jekyll and Mr Hyde ), le due parti si allontanano, come si allontanano reciprocamentegli interlocutori in una relazione d’aiuto. Il primo, più in alto e più buono, contribuirà a ren -dere il secondo più in basso e più cattivo. La vita mancata, le Ombre inconsapevolmenteproiettate dell’educatore, anche in nome di ideali e valori, potranno più facilmente contami -nare negativamente quelli a cui sono stati affidati, sollecitandoli a reagire, spesso, in modocontrario agli ideali indicati. Una sorta di meccanismo compensatorio, che potrebbe spiegaregli apparenti paradossi di educatori ossessivamente preoccupati dell’ordine con figli o allievidisordinati e trasgressivi, quelli eccessivamente preoccupati di compiacere gli altri con inter -locutori sociopatici ed oppositivi Questo modo di vedere i problemi pone al docente un iniziale compito formativo: non tantoimportare tecniche relazionali e comunicative, quanto piuttosto concedersi –in situazioniprotette- una guidata e controllata autoscopia e autocomprensione che permetta di accorgersidei peculiari modi di essere e di fare a scuola, e dei loro significati personali e collettivi. Ilraggiungimento di un atteggiamento analitico, di una sensibilità clinica in campo educativonon si traduce in un’impropria commutazione del setting formativo in setting clinico desi -gnato al trattamento della psicopatologia. Né intende orientare il formatore ad assumersi im -propri ruoli da psicologo o psicoanalista, anche se le sottili funzioni di contenimento e di in -coraggiamento, di rispecchiamento e di autoconsapevolezza richieste non differiscono, di persé, dalla formazione-base di ogni buon psicoterapeuta. Cambiano, sensibilmente, le condi -zioni, le finalità specifiche, il contesto, le regole di accesso. Il raggiungimento di un atteggia -mento analitico cui orientano i paradigmi psicodinamici nemmeno impongono l’attivazionedi pratiche relazionali o attività diverse da quelle che normalmente gli insegnanti sviluppanoquotidianamente: non si tratta –da queste prospettive- di importare tecniche più potenti percomunicare e per insegnare, semmai di far emergere atteggiamenti, sensibilità, modi di vede -re e di pensare le relazioni scolastiche meno superficiali e meno decurtate del loro naturalespessore mentale.“L’ipotesi di una clinica della formazione – scriveva Riccardo Massa 52– è proprio quello diandare a scoprire, sotto il registro progettuale della formazione in senso tecnico e intenziona -le, il registro latente delle fenomenologie esistenziali, dei modelli di comprensione, delle di -namiche affettive e dei dispositivi di elaborazione che soggiacciono a essi, che istituiscano itermini stessi della sua praticabilità e della sua efficacia”. Il modello da lui e dai suoi colla -boratori proposto e variamente sperimentato in ambito aziendale e scolastico viene a caratte -rizzarsi quale proposta di analisi della latenza pedagogica e formativa, particolarmente indi -cato per la formazione del formatore e del pedagogista, oltre che quale dispositivo supervi -sionale del lavoro educativo. Esso si articola in attività seminariali intensive definite, struttu -rate secondo regole e attività, volte a fare emergere diverse modalità deittiche (indicative,esplicitative) di rapporto fra il soggetto e il mondo della formazione. Il riferimento ai tre tipi

52 Massa R., (a cura di), La clinica della formazione, F.Angeli, Milano, 1992, p.583.

50

di presentazione linguistica precisati da Karl Bühler nella sua Teoria del linguaggio del 1934ha lo scopo – precisa A.Franza 53– di “produrre rappresentazioni e affetti, oltre che testimo -nianze di progettazioni e di sistemi d’azione determinati, di collocarli nei contesti professio -nali ed esistenziali di riferimento, di riappropriarsene analizzandoli e ricostruendone il sensocomplessivo attraverso la discussione e l’interpretazione di gruppo. Quella che abbiamochiamata “deissi interna” è stata contrassegnata dal riferimento diretto alla propria esperien -za di formatore, e si è concretata nella narrazione scritta e parlata di episodi professionali ri -tenuti significativi sul piano del “successo” o dell’”insuccesso educativo”, nella stesura diautointerviste sugli aspetti progettuali, operativi, rappresentazionali e affettivi di essi, nelladiscussione e compilazione di testi scritti sugli aspetti trasversali rinvenuti nei vari episodi,collocandosi già in questo modo su di un piano di successiva “deissi esterna”. Quest’ultimas’incentra, infatti, su di un riferimento esterno a chi parla, e si è concretata nella proiezionedi un film relativo a una storia di formazione di adulti entro un contesto diverso da quelloaziendale.(…) Seguiva ancora la discussione in gruppo di quanto così prodotto. Anche quiveniva ad attuarsi una sorta di fluidificazione e di decentramento progressivi rispetto alleproprie pre-comprensioni iniziali della formazione, culminanti poi in ciò che abbiamo chia -mato “deissi simbolico-proiettiva”, riformulando in questi termini la cosiddetta “deissi fanta -smatica”. Quest’ultima sarebbe appunto caratterizzata dal riferimento a oggetti il cui livellodi esistenza e il cui grado di realtà è interno al tipo e alla forma di rappresentazione cui per -viene l’apparato simbolico che usiamo. Tutti e tre gli “ancoraggi” suddetti avevano lo scopodi condensare e di obiettivare quella “pedagogia invisibile” che resterebbe altrimenti occul -tata nell’ambito dei vissuti soggettivi, dell’immaginario e del fantasmatico, o negli interstizidi una metafisica assiologica e procedurale”.

Seguendo analoghi tragitti di sensibilizzazione clinica si individuano costanti forma -tive che si propongono di far emergere profili di professionalità dell’insegnante in parte de -sueti. Un professionista non tanto bravo nel tenere potenzialmente sotto controllo ogni varia -bile situazionale e ambientale, ma in grado di sviluppare sensibilità nei confronti degli am -bienti interni: il proprio (i propri affetti, pulsioni, tendenze, atteggiamenti, difficoltà, proie -zioni, ombre, finzioni), quello degli alunni e dei colleghi, quello istituzionale. Un operatoreche provi a sviluppare apparati sensori non tanto profondamente e specialisticamente unidi -rezionati, ma piuttosto multiorientati, così da poter vedere e ascoltare le dimensioni di realtàe quelle soggiacenti alla realtà, con il rispetto e la cautela dovute a queste ultime. Un operatore del genere tanto sembra specializzarsi quanto totalmente despecializzarsi. Pas -sato dalla posizione naturalistica aprofessionale, collocato variamente, grazie allo sforzo for -mativo di questi anni, in una posizione artificialistica molto simile a quella pretesa da ognibuon operatore-professionista totalmente immedesimato nel suo ruolo, viene ora invitato adun passaggio ulteriore, forse il più delicato e complesso: tornare persona, allearsi con la suaidentità personale, per perseguire scopi professionali ed, insieme, esistenziali, in una dimen -sione controllata di professionalità e di naturale artificialità. Ai noti skills professionali ricor-rentemente richiesti ai docenti si affiancano –in tal modo- traguardi e sensibilità più sottili,che non sembrano trasmissibili e valutabili con i consueti strumenti formativi (corsi di ag -giornamento, seminari, letture). Un’attenzione e un collaudo nei confronti delle tematiche re -lazionali scolastiche non sviluppabili studiandone la meccanica, le variabili coinvolte o le di -verse letture scientifiche del fenomeno, ma tramite l’attivazione controllata di esperienzeconcrete variamente pensate ed elaborate. Un consapevole utilizzo professionale della pro -pria emozionalità ed affettività al fine di disporre di nuove e potenti alleanze per capire ecomprendere il soggetto che apprende e la sua relazionalità verso gli oggetti culturali e le

53 Franza A.M., Parole...Parole...Ma non solo parole, in Bertolini P., Dallari M., (a cura di), Pedagogia al limi-te, La Nuova Italia, Firenze, 1988, pp. 46-47.

51

persone. Questo percorso formativo implica numerose disponibilità e capacità: lasciarsi in -vestire dalle proiezioni e riconoscerle per trattarle educativamente, incontrarsi con le perso -nali finzioni e ombre che maggiormente si costellano nella pratica professionale, saper riflet -tere i propri e altrui sentimenti, essere in grado di tollerare il dolore emotivo, il vuoto,l’assenza, la mancanza, l’ignoranza, la debolezza, saper essere responsabili senza cedereall’autoritarismo né alla totale disponibilità, saper non essere totalmente buoni e facili, e, so -prattutto, essere in grado di riconoscere le proprie tendenze proiettive su chi dipende. Questiobiettivi di professionalizzazione diversa hanno indotto a progettare e sperimentare percorsie dispositivi di formazione degli insegnanti in certa misura innovativi rispetto alla tradizionedei corsi di aggiornamento. Il cambio di prospettiva indicato nel leggere e interpretare la re -lazione educativa, l’insegnare e l’apprendere non può essere esplicitato tramite paradigmi direlazionalità professionale e di conoscenza opposti (seppur simmetrici) a quelli precedente -mente accennati. Il setting della formazione dei docenti diventa inevitabilmente spazio labo -ratoristico peculiare per sperimentare e riflettere sui significati dinamici dell’educare edell’istruire. Le principali competenze clinico-pedagogiche che possono essere sviluppatemediante l’attivazione di modalità specifiche di formazione e di supervisione degli insegnan -ti sono schematizzabili come segue: Sviluppare l’ascolto esterno e l’ascolto interno; Insediare, presidiare e salvaguardare il setting; Incoraggiare il pensare e il riflettere; Aiutare a riconoscere e integrare la dimensione simbolico-affettiva; Tollerare e restituire, pensato, l’agito; Assumere responsabilità affettiva (tramite codice materni di accettazione e paterni di

contenimento); Rispecchiare; Darsi come esempio di curiosità e di speranza.

L’esigenza di mettere in condizione il più alto numero di soggetti operanti nelle Helping-Profession ha stimolato, dunque, in tempi e modi diversi, il sorgere di diverse ipotesi e prati -che formative micro-gruppali di derivazione clinica. Il timore principale, variamente esorciz -zato e simmetricamente stigmatizzato, è – in questa sorta di apparente liberalizzazione deisetting clinici – di indurre gli operatori a mettersi in situazioni pericolose, senza la necessa -ria formazione specialistica per trattare correttamente le dimensioni latenti della mente, siadell’operatore sia dei suoi allievi. Un rischio iatrogeno, dunque, variamente avvertito, che haspesso orientato molta formazione a riparare e sostare entro i confini dell’Io, nell’area delletecniche e delle competenze, nei suggerimenti e nelle proposte analoghe a quelle che abbia -mo in parte riportato.Eppure la consapevolezza della peculiarità del relazionale nelle Helping-Profession, ove ognigesto semplificatorio e razionalizzante che non sappia trattenere la complessità della menteumana rischia non solo di impedire velocità esecutiva e raggiungimento degli obiettivi preci -sati, ma di impedire lo stesso lavoro formativo, continua a spingere la ricerca e la sperimenta -zione in questo settore. Il lavoro formativo, secondo questo modo di vedere, è altrimenti leg -gibile quale pur complessa sequenza di job, ma un’attività (work) che si crea e si distruggecontinuamente, che pretende il concorso consapevole anche della dimensione interna, oppor -tunamente elaborata e professionalmente orientata, degli operatori. Un lavoro in qualchemodo rischioso per chi lo intende come un lavoro da svolgere. A questo lavoro i paradigmiclinico- fenomenologici non riconoscono pertinenti le tecniche solo se pazientemente fatteemergere dalle dimensioni affettive del docente. All'insegnante – si sostiene- non serve tantoimparare a parlare in modo assertivo e persuasivo, imparare a dirigere un gruppo di lavoro,imparare a gestire conflitti, imparare multiformi smiling-behaviours o tecniche fidelizzantil’interlocutore. Queste proposte, questi modi di fare possono costituire eccellenti alleati per

52

l'operatore in front-line, per l'uomo-sportello di un'azienda, cui si può insegnare a fingereprofessionalmente un’autenticità da consumare in brevi interlocuzioni con diversi clienti. Nella scuola, negli ospedali, nei servizi sociali, negli ambulatori, negli studi di psicoterapia letecniche funzionano quando funzionano le persone, quando esse sono in condizione di rico -noscersi e dare un senso al proprio stare in relazione per uno specifico percorso di accompa -gnamento.

Gli esercizi di risveglio dell'ascolto, i tentativi di riconoscere le finzioni personali eprofessionali, l'apertura verso se stessi e gli altri, la capacità di scrutare l'ambiente interno edesterno (environmental-scanning), di sentire e utilizzare le risonanze interiori dei movimentiprofessionali (self-monitoring) sono alcune delle esperienze maturate nella letteratura e nellediverse sperimentazioni condotte, anche in contesti educativi e scolastici. Da questi fondaliteorici è ipotizzabile un percorso di crescita umana e professionale meno internamente scisso,un profilo di professionalità che emerga non dal rifiuto dei più diffusi tratti professionali atte -si e stimolati, ma dalla loro emancipazione e integrazione. Un professionista non tanto bravonel tenere potenzialmente sotto controllo ogni variabile situazionale e ambientale, ma in gra -do di sviluppare sensibilità nei confronti degli ambienti interni: il proprio (i propri affetti,pulsioni, tendenze, atteggiamenti, difficoltà, proiezioni, ombre, finzioni), quello degli alunnie dei colleghi, quello istituzionale. Un operatore che provi a sviluppare apparati sensori nontanto profondamente e specialisticamente unidirezionati, ma piuttosto multiorientati, così dapoter vedere e ascoltare le dimensioni di realtà e quelle soggiacenti alla realtà, con il rispettoe la cautela dovute a queste ultime. Un operatore del genere tanto sembra specializzarsi quanto totalmente despecializzarsi. Pas -sato dalla posizione naturalistica aprofessionale, collocato variamente, grazie allo sforzo for -mativo di questi anni, in una posizione artificialistica molto simile a quella pretesa da ognibuon operatore-professionista totalmente immedesimato nel suo ruolo, viene ora invitato adun passaggio ulteriore, forse il più delicato e complesso: tornare persona, allearsi con la suaidentità personale, per perseguire scopi professionali ed, insieme, esistenziali, in una dimen -sione controllata di professionalità e di naturale artificialità. Tale prospettiva di professiona -lizzazione può venir schematizzata immaginando tre essenziali posizioni psicoprofessionali(Fig. 22):

La prima delinea la posizione naturalistica tipica di chi si accosta senza specificitraining al lavoro psicosociale: è caratterizzata, tra l’altro, dalla mancata (o insuffi -ciente) elaborazione della distintività fra la propria identità personale e quella profes -sionale, da una difficoltosa percezione e interpretazione del ruolo (io sono fatto così ebasta), da una complessiva limitazione delle capacità di decentramento empatico ecognitivo sul modo di percepire e di pensare dei propri allievi . E’ la posizione (men -tale) tipica del neofita, del docente magari motivato, magari eccessivamente motivatoal lavoro educativo, e che, in ragione anche di questa spinta non elaborata a occupar -si di chi è inferiore, non si pensa in analoga crescita. Oppure è la posizione di chi,sentendosi competente rispetto ai contenuti culturali e alle tecniche di loro insegna -mento, non si pone quale problema il problema del relazionale.

La seconda posizione viene generalmente percepita quale area ottimale di professio -nalizzazione. A questo livello l’operatore si sente compiutamente in ruolo, recita conconvinzione la parte prescritta, differenzia la sua vita dal suo lavoro, si percepiscecome il professionista che deve svolgere un’insieme di attività variamente progettatee monitorate. In qualche modo è -questo- il docente costruito dai corsi di aggiorna -mento, prevalentemente centrati sul reperimento e l’evidenziazione di modi di fareprofessionalmente ritenuti efficienti ed efficaci da utilizzare nel proprio lavoro for -mativo. L’insieme di queste pratiche, di questi suggerimenti, di questi orientamentiviene a rappresentare la riserva aurea di questa tipologia di professionalità: l’inse -gnante viene sollecitato a servirsene e -sottilmente, contemporaneamente- a immagi -

53

nare fuori da sé le risorse e le alleanze necessarie per qualificare e ottimizzare il pro -prio lavoro. Questa ipotesi di professionalità trova favorevoli riscontri operativi invarie tipologie prestazionali a carattere sociale, caratterizzate, però, da una relaziona -lità delimitata, circoscritta, fortemente custodita dai contenuti comunicativi e dalcontesto relazionale. Come si anticipava, il lavoro sociale dell’operatore-sportello oin front-line (ad esempio in un ufficio aperto al pubblico) o quello del venditore co -stituiscono esempi noti della possibilità di attrezzare esteriormente (tramite suggeri -menti, corsi, tecniche) l’operatore dei pattern professionali che l’azienda per cui la -vora ritiene essere funzionali ai propri obiettivi o alla immagine che vuol accreditare.

La natura e la dinamica della relazionalità rilevabile nelle più comuni Helping-Pro-fessions, si anticipava, sembra necessitare di un posizionamento in grado di integrarel’”ingenuità” della prima posizione con la rigidità e schematicità della seconda. Essoimplica la capacità di riconoscere e modulare le dimensioni interne ed esterne, diaprirsi agli aspetti latenti dell’interazione sapendoli sfruttare professionalmente.

Fig. 22 – Posizioni psico-professionali

54

Posizione clinostatica° Ascolto interno/esterno° Scanning verticale ed orizzontale° Integrazione Sé/Sé professionale° Personalizzazione del ruolo° La mente come primario strumento di lavoro

Posizione artificialistica° Ascolto esterno° Scanning orizzontale° Separazione dimensione personale/ professionale ° Interpretazione del ruolo prescritto° I contenuti culturali e le strategie di dattiche come essenziale strumento di lavoro

Posizione naturalistica° Nessuna distinzione fra ruolo e persona° Interpretazione personale del ruolo° Autocentratura

8. Pratiche di formazione alla relazione

S’è variamente anticipato quanto gli approcci razionalistici al relazionale siano in variomodo sintonici ad un loro trattamento formativo analogamente razionale. I corsi di formazio -ne, eventualmente sostenuti da momenti esercitativi e da strategie di active-learning, hannorappresentato e rappresentano la strada più praticata ed economica per la formazione dei do -centi. In essi, di norma, si evidenziano le caratteristiche pragmatiche della relazione profes -sionale, si analizzano le principali meccaniche e dinamiche della relazione umana e profes -sionale e si individuano le forme relazionali ritenute maggiormente adeguate agli specificisetting di lavoro. Tali modelli formativi si fondano sulla possibilità che ogni docente, infor -mato sulle caratteristiche della relazionalità, possa –con un po’ di attenzione e self-control,assumere e stabilizzare i comportamenti relazionali ritenuti positivi e progressivamente evi -tare quelli indicati come negativi o disfunzionali. Le pratiche di formazione emergenti da paradigmi clinico-fenomenologici, si accennava, in -sistono maggiormente, invece, nel permettere al docente forme di esperienza relazionale in

55

condizioni protette e finalizzate ad una loro elaborazione progressiva, evitando forme sem -plificate e meccaniche di apprendimento relazionale o forme intellettualizzate di assunzionedi competenze, ritenute poco affidabili, altamente volatili e complessivamente inadatte allostabilire positive dinamiche relazionali e conoscitive. L’attenzione viene qui posta essenzial -mente intorno ai seguenti fenomeni:

Il setting di lavoro (sia per la propria formazione che per la formazione degli allie -vi);

Gli atteggiamenti mentali e l’utilizzo della mente come strumento di lavoro; La triangolazione con stimoli a valenza simbolico-proiettiva, in genere di natura

narrativa; Il lavoro di pensiero e di elaborazione mentale delle esperienze in condizioni di su -

pervisione.

La pluralità degli approcci formativi oggi a disposizione può essere schematizzata come nel -la Fig.23 che segue 54, ove il quadrante denominato “concreto-simulato-concentrato” rinviapiù direttamente ai paradigmi cognitivisti, mentre gli altri, in forme diverse, suggerisconomaggiori attenzioni alle dimensioni latenti e implicite che sottostanno ai comportamenti pro -fessionali.

Fig.23 – Uno scenario delle varianti formative

54 Piccardo C., Quaglino GP., FOR, 42, 2000, p.14 (elaborato)

56

I luoghi dell'aiutoAula vs Campo

Dentro vs FuoriIn vs Out

I tempi dell'aiuto Intensivo vs Estensivo

La collocazionerispetto ai problemi

Prossimale vs Distale

La centraturaSul passato

Sul presente

Sul futuro

I destinatari Individuale vs Gruppale

Piccolo vs Grande GruppoFamily Group vs Gruppo senza storia

Fig. 23 (segue)

Narrativo-riflessivo-con-centrato

Narrativo-riflessivo-diffuso

57

QUATTRO VARIANTI

Nar

razi

one

rifle

ssiv

a InAzione costru

ttiva simulata o rea

leNarrativo-riflessivo-concen-

tratoConcreto-Simulato-Concen-

trato

Narrativo-Riflessivo-Diffuso Concreto-Reale-Diffuso

Out

Metodologia: i soggetti raccontano salienze e criticità lavorativeche vengono elaborati in gruppo (N=12).Obiettivi: acquisire nuove consapevolezze (atteggiamenti, pensieri,mappe, valori, emozioni) e letture, oltre che sviluppare nuove strate-gie di pensiero e di azione (da simulare sui testi delle narrazioni)Finalità: aiutare i soggetti a divenire consulenti di se stessi, svilup -pare la loro professionalità riflessiva.Oggetti: memoria, immaginazione, rappresentazioni, analogie, in -terpretazioni, teorie implicite, configurazioni percettive.Significati: il soggetto è esploratore di se stesso, delle sue azioni edei suoi luoghi di professionalità. Il consulente è un compagno diviaggio che l'aiuta a comprendere, organizzare e orientare le sue po -tenzialità.Condizioni: Family-Group, motivazione intrinseca, contatto prolun-gato.Limiti: resistenze individuali e gruppali, riattivazione di routines

Metodologia: consulenza al ruolo (individuale o gruppale), autocasi progettati, lezioni, testimonianze, esercitazioniObiettivi, finalità, condizioni: analoghe alla tipologia precedente, con la differenza di tempi più dilatati (in genere un anno) Limiti: tempi, distanza dalle reali condizioni di lavoro.

Concreto-simulato-concentrato

Concreto-reale-diffuso

Fig.23 – (segue)

58

Metodologia: corsi, seminari (mono o plurimodulati), con diversa me-todologia didattica (lezioni, gruppi di lavoro, esercitazioni, esercizioutdoor, adventure game, action learning e altro)Obiettivi: ridurre gli scarti fra i comportamenti reali e quelli ipotizza -ti, analizzare ed eliminare i punti di debolezza dell'organizzazione.Finalità: orientare, suggerire e sperimentare modelli comportamentalie organizzativi ritenuti idonei, tramite loro dimostrazione e interioriz -zazione. Oggetti: logica, razionalità, analisi, comportamenti, esercitazioni. Significati: Il formatore è un allenatore che corregge i vizi e valorizzale prestazioni degli atleti-fomandi. Si pone come modello di pensieroe di azione. Limiti: se piegato su paradigmi cognitivo-comportamentali può facili-tare la ripetizione ma non l'interpretazione di comportamenti profes -sionali.

Metodologia: consulenza al ruolo in azione, con forme di tutoring,coaching e mentoring nelle concrete realtà di lavoro ("sporcandosi lemani")Obiettivi e Finalità: analoghi ai primi due approcci.Significati: Il formatore è contemporaneamente docente e allievo, as -sistente temporaneo e osservatore partecipe, vive il lavoro con i sog -getti e li aiuta a pensarlo.

Nar

razi

one

rifle

ssiv

a In

Azione costru

ttiva simulata o rea

le

Narrativo-riflessivo-concentrato Concreto-Simulato-Concentrato

Narrativo-Riflessivo-Diffuso Concreto-Reale-Diffuso

Out

Autoca-

Autocasiriprogettati

Role-Playing

OutdoorAdventure Game

Esercitazio-

Role Playing

Action Learning

Consulenza alruolo indivi-

duale e di gruppo

Mento-ring

Tutoringe

Coaching

Consulenza al ruolo in azio-ne

8.1. Il setting di lavoro

L’attenzione dedicata dalla prospettiva clinico-fenomenologica al setting (l’insiemedelle condizioni organizzative e mentali che definiscono un certo modo di fare qualcosa in -sieme) va oltre alla normale importanza assegnatagli dagli altri paradigmi formativi. Setting,da questa postazione, non è solo il contesto organizzativo-funzionale di un evento formativo,ma prima di tutto è l’atteggiamento mentale indispensabile per poter pensare ed elaborarel’esperienza vissuta. Il Ragazzini propone per setting (nome): ...“sfondo, cornice, scenario”;il prefisso set: “fisso, fermo, solido, prestabilito, determinato”, ma anche (come nome) “col -lezione, complesso, insieme di cose affini ...”. Ad una prima ispezione, dunque, il setting fa pensare ad una specifica struttura topologica,organizzativa, ambientale: la scelta del luogo, la disposizione delle sedie o dei tavoli, glistrumenti di lavoro, le metodologie e le tecniche utilizzate vengono così a rappresentare unacornice più o meno organica di azione e di lavoro.

Ad un secondo livello il setting è un progetto strutturale , ovvero l’ossatura, l’architetturasoggiacente agli aspetti più visibili e concreti accennati. Gli obiettivi, le scansioni di lavoro,le tecniche e le strategie utilizzate, i ruoli e le funzioni implicate, le regole implicite ed espli -cite.

59

Area di azione e di lavoro

Area strutturale

Ad un livello ancora più centrale e profondo il setting rappresenta le modalità di funziona-mento mentale dei protagonisti dell’evento, ossia l’insieme di atteggiamenti, modi di parla -re e di ascoltare finalizzati agli obiettivi che ci si propone. In quest’accezione il setting è losguardo sull’evento, il suo modo di rappresentarselo e di viverlo professionalmente.

Il setting scolastico è dunque lo scenario, il luogo e il tempo e le condizioni in cui sisvolge la formazione scolastica. Uno scenario prestabilito e fisso, in qualche modo sufficien -temente insensibile alla qualità dell’opera e degli attori; uno scenario presente nella sua com -pletezza prima, durante e dopo ogni rappresentazione formativa. Uno scenario che comunicae metacomunica i significati delle rappresentazioni, e che quindi riassume i segni connotativid’ogni diverso (ammodernato o meno) gesto istruzionale. Da questo punto di vista parlare disetting scolastico è in qualche modo alludere anche alla filosofia dell’istruzione e dell’educa-zione scolastica, anche se – tecnicamente – esso indica qualcosa di più specifico e megliodefinibile. Nella letteratura psicoanalitica il setting viene descritto generalmente quale insieme di ele -menti concreti (le sedute, il contratto, gli orari, il modo di stare in seduta,...) e di atteggia -menti relazionali (le regole, l’attenzione fluttuante, l’ascolto clinico, l’amplificazione,l’immaginazione attiva, l’utilizzo del transfert e del controtransfert, e così via) che defini -scono le condizioni per l’attivazione di un processo psicoterapeutico di tipo psicoanalitico.Freud ha dimostrato un interesse pragmatico nei confronti del setting, considerandolo la cor-nice formale ma necessaria per fare analisi. Da qui la famosa analogia con la sala chirurgica.“Il trattamento psicoanalitico è da paragonarsi a un intervento chirurgico e, come questo, ri -chiede di essere intrapreso nelle condizioni che ne garantiscano al massimo il successo. Sa -pere quali misure precauzionali sia solito adottare il chirurgo: ambiente adatto, buona luce,assistenza, esclusione dei congiunti ecc. Provate un po’ a domandarvi quante di queste ope -razioni avrebbero buon esito se dovessero aver luogo alla presenza di tutti i membri della fa -miglia, che ficcassero il naso sul tavolo operatorio e ad ogni taglio di bisturi si mettessero astrillare”55. Per molti anni si è condiviso questa interpretazione pratica del setting, sostanzialmente as -sunto quale spazio protesico del paziente, quale posto funzionale alla messa in scena dellelatenze e dei sogni del paziente; ciò in singolare analogia con un minor interesse del padredella psicoanalisi sui profondi significati del coinvolgimento affettivo – spesso inconsapevo -le – dell’analista (il tema del controtransfert). A partire dagli anni ‘50, all’aumentare dei daticlinici e delle esperienze sulla complessità della dinamica transferale e controtransferale, si è

55 Freud S., (1912), Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico, in Tecnica della psicoanalisi, Opere, vol.6, Bollati Boringhieri, Torino, 1967-1980.

60

Area degli atteggiamenti

sviluppato un rinnovato interesse per la tematica del setting: da luogo di espressività patolo -gica del paziente viene progressivamente interpretato quale spazio di confronto delle dimen -sioni inconsapevoli della coppia analitica, quale contenitore del lavoro delle mentalizzazionidella coppia creativa: l’analista e il suo paziente. Alla classica immagine dell’analista spec -chio, si viene imponendo la consapevolezza della forza e dell’attivo coinvolgimento emozio -nale dell’analista, e quindi, della peculiarità e pervasività del setting: spazio transizionale eholding winnnicottiani, contenitore-contenuto bioniano, luogo magico e impegnativo da at -traversare con qualcuno provvisoriamente accanto, posto di restrizione della realtà oggettua -le in cui incontrarsi con la realtà dell’immaginale. La specificità che il setting è venuto assumendo nella pratica e nella teoria psicoanaliticanon invalida l’estensione dei suoi presupposti concettuali a situazioni esperienziali diverseda quelle psicoterapeutiche, giacché il suo esistere non dipende dal bisogno di trattare la pa -tologia della mente, ma dalla necessità di comprendere e ascoltare la mente, specialmente dicomprendere e ascoltare la mente nei suoi sottili e latenti circuiti elaborativi e creativi dellarealtà. Per quanto si tenda a considerare ininfluente l’insieme degli atteggiamenti e dellecondizioni pratiche di lavoro mentale implicati in un’attività scolastica, queste pre-condizio -ni, questo vero e proprio con-testo svolgono un silente ma importante ruolo nei supposti“freddi” apprendimenti cognitivi. I quali, si ricordava, non sono apprendimenti diversi daquelli delle persone in difficoltà psicologica, semmai si caratterizzano quali processi menocondizionati dagli impliciti affettivi che li hanno co-generati. Ogni esperienza insegnativo-apprenditiva che voglia coinvolgere integralmente la mente dell’allievo, che si proponga nonsoltanto di descrivere le sue più esibite ed esterne modalità di contatto con gli stimoli cultu -rali e comportamentali (per cui forse già risultano ipertrofiche le varie schede di osservazio -ne e di valutazione proposte in questi ultimi anni) e nemmeno le sue più sottili strategie dimetabolizzazione degli stessi stimoli (messe in luce dall’accennata ricerca sulla metacogni -zione), ma tenda a comprendere le condizioni e le modalità della sua attivazione costringe inqualche modo a riflettere sulle peculiarità e sul significato del setting. Si intuisce che esso è,prima ancora che un insieme di regole e di stili relazionali, un atteggiamento mentale, unmodo di percepire e di stare in rapporto. Da questa angolatura allestire e custodire un settingdi tipo clinico è parte integrante di quell’atteggiamento analitico, di quella sensibilità clinicadi cui si è più volte fatto riferimento. Il lavoro educativo e didattico svolto nelle aule scolastiche dispone di una sua specifica piat -taforma relazionale, che appare assai diversa da quella intuibile nei set di derivazione clini -ca. Accettando i limiti di ogni schema, si può provare a isolare e confrontare alcune caratteri -stiche emergenti delle due cornici relazionali in esame (Fig. 24).

Fig.24 – Setting scolastico e setting clinico

Setting scolastico Setting clinico Organizzazione gruppale centrata su un compito

esterno al gruppo Finalizzata ad acquisire informazioni e modelli di

comportamento

Centratura su compiti interni Finalizzata ad apprendere da se stessi, dalla

propria esperienza

Dimensione: Secondaria: poco sensibile alle condotte primarie,

agli affetti, alle emozioni e alle pulsioni individuali ecollettive

Eterocentrata: orientata a trattare stimoli esterni agli individui e al gruppo

Produttiva e finalizzata: caratterizzata dal bisogno diraggiungere mete concrete e verificabili di perfor-mances

Artificiale: definita da decisioni esterne ai membri del gruppo

Dimensione: Primaria e secondaria Autocentrata Aproduttiva Naturale e autentica (si va dove va il soggetto) Regressiva e progressiva (individuativa) Non direttiva Avalutativa

61

Progressiva: focalizzata su bisogno di mandare avanti, di orientare verso il futuro

Direttiva e valutativa Oggetto di lavoro: il mondo esterno (cultura e com-

portamenti) Oggetto: il mondo interno (immagini, emozio-

ni, affetti, pulsioni, desideri, sentimenti) Strumenti, alleanze: prevalentemente esterne (testi,

cultura, ambiente, comportamenti, …) Strumenti, alleanze: la relazione

Routine: valutare, programmare, implementare, va-lutare

Ascolto delle narrazioni, pensare insieme, ela-borare insieme

Competenze richieste: culturali e organizzativo-metodologiche

Competenze richieste: dinamico-affettive e cul-turali

Registro mentale: logos Registro mentale: logos e analogos Domanda assente o implicita Domanda esplicita

Si notano marcate differenze, qui accentuate dalla necessità di isolarne le peculiarità, chesuggeriscono l’opportunità di diverse mediazioni per allestire setting clinici in ambito peda -gogico-scolastico. Al di là della volontà del docente e della sua disponibilità a maturare unasensibilità clinica, infatti, permane la legittimità e necessità di salvaguardare un contestod’aula che va comunque correttamente interpretato e rispettato nella sua natura e intenziona -lità. Si potrebbe, persino, intuire che l’installazione e il presidio di setting clinici nella for -mazione scolastica servano essenzialmente per permettere al docente di meglio e più fine -mente presidiare e custodire il proprio peculiare set di lavoro. Una sorta di apprendimentonel fare che lo possa aiutare a sviluppare tutte quelle consapevolezze necessarie per poter ge -stire un normale ambiente scolastico di lavoro. Il setting clinico, seconda questa accezione,diventa luogo di pensiero e di riflessione funzionale allo sviluppo –nel docente- di quelle ca -pacità e sensibilità che indirettamente e latentemente utilizzerà nell’usuale setting d’aula.Esso, caratterizzandosi quale momento autoscopico e luogo protetto di pensiero, può essereimmaginato e descritto quale intersezione e spazio intermedio fra i due setting considerati,come la Fig.25 schematizza.

Fig.25 – Setting clinico-pedagogico

È, come si diceva, innanzi tutto uno spazio laboratoristico per apprendere. Per apprende -re dall’esperienza, per pensarsi e per pensare, per imparare a stabilire rapporti tra il sé egli stimoli/eventi incontrati (sul piano reale e rappresentazionale). In quanto privilegiatoluogo di lavoro mentale in ambito psicopedagogico e istituzionale non può confondersiquale momento di sedazione e di riposo della mente, né quale area di autarchia conosciti -va, di pettegolezzo psicologistico, di intimismo e interpretativismo, di sentimentalismi.Ancora meno quale occasione di sperimentare supposte pratiche libertarie, di ipotetichemagie catartiche. È luogo di lavoro per vari aspetti meno facile e comodo del setting sco-

62

Setting d’aula

Setting clinico-pedagogico

Setting clinico

lastico: gli allievi e l’insegnante-trainer sono impegnati continuativamente e differente -mente – per il tempo dell’incontro – in uno sforzo di ascolto interno ed esterno che ri -chiede presenza, creatività, coinvolgimento, consapevolezza.

Si configura quale luogo di contenimento ( holding winnicottiana, contenitore bioniano):spazio di accoglimento, di rassicurazione, di incoraggiamento, di contenimento degli af -fetti-emozioni-pensieri evocati dalle stimolazioni predisposte. Le regole del setting, la di-sposizione del gruppo, il luogo fisico e la natura delle stimolazioni lo rendono spazioprotetto dall’invasività degli stimoli esterni e aperto alla conoscenza di sé. È, dunque,spazio di sicurezza, luogo protesico, custodito, in cui ci si può abbandonare con la cer -tezza di non perdersi, in cui anche le parti più primitive della personalità, in cui le ombree gli irrisolti individuali trovano ascolto e qualche forma di denominazione e di ricono -scimento.

Si definisce quale area simbolica, analogica, finzionale e transizionale di esperienza: ametà strada fra l’interno e l’esterno, l’individuale e il sociale, il vero e il falso, il sogget -tivo e l’oggettivo, il reale e l’immaginato, l’organizzato e il destrutturato, i segni e i sim -boli. Il suo costituirsi quale ponte fra il pensiero primario e secondario, fra la realtà e lerappresentazioni della realtà permette accessi ai diversi mondi generati dalla mente.

È, infine, spazio clinico di aiuto e di auto-aiuto. Un grande letto ( kliné) non per attendere– deresponsabilizzati – curatori onnipotenti (l’insegnante/terapeuta/genitore che farà cre -scere), ma per imparare a prendersi cura di sé e degli altri, per imparare a conoscere ipersonali richiami della mente, le personali mete di realizzazione culturale ed esistenzia -le. È dunque spazio di responsabilizzazione, di individuazione, di valorizzazione noncompensatoria della propria vitalità e creatività.

La messa in scena di un dispositivo di tale natura, che risponda tendenzialmente agli impe -gnativi obiettivi che giustificano il suo esistere, implica l’accurata predisposizione di aspettimateriali e mentali variamente precisabili 56. Alcuni di questi possono essere inferiti dallaesemplificazione che segue, in cui si accenna alle diverse esperienze laboratoriali sviluppatein questi ultimi anni nell’ambito dell’IRRE Lombardia, finalizzate a formare in senso clinicoi docenti di diversi ordini scolastici, tramite un processo così caratterizzato (Fig. 26):

Fig.26 – Processo di formazione clinica dei docenti nei laboratori LabSum

56 Per un’analisi più approfondita degli aspetti connessi all’allestimento di un setting di derivazione clinica in ambito scolastico (da cui sono state tratte alcune parti) vedasi in Cerioli L., Appassionatamente. Sul desiderio ela paura di conoscere, F:Angeli, Milano, 4° ediz., 2002, pp.157-178, e in Cerioli L., Antonietti A., Diventare ciò che si è, FrancoAngeli, Milano, 2001.

63

Seminari inizialidi condivisione teorica(riservati ai docenti)

Esperienze di riflessione e for-mazione tramite la costituzione di un setting clinico e l’utilizzo di materiale narrativo ad hoc(docenti in supervisione) Avvio dei laboratori nelle classi,

tramite analogo setting e specificimateriali simbolico-evocativi.Supervisione ricorrente dei do-

centi impegnati nella sperimenta-zione

Valutazione conclusivadell’esperienza condotta

(sia a riguardo dei labora-tori con gli allievi che dei

laboratori dei docenti)

8.2 Le esperienze laboratoriali LabSum

Fra le pratiche di formazione dei docenti ispirate ai paradigmi clinici si situano leesperienze variamente sperimentate e sviluppate ormai da 15 anni nell’ambito dell’IRRELombardia, denominate LabSum. La titolazione allude all’intenzione –variamente qui accen -nata- di predisporre una formazione basata su un pregresso riconoscimento delle individuali -tà al fine di poter conoscere (dal cartesiano cogito, ergo sum , al clinico sum, ergo cogito). Ilmodello formativo si caratterizza, più precisamente, attraverso un’estensione dello “slogan”accennato; al sum (io sono così, questo è il mondo interno) si premette il passivo del verbopensare: cogitor (sono pensato). L’esperienza laboratoriale si viene pertanto a caratterizzarequale successione e intersecazioni di momenti in cui il docente fa l’esperienza di sentirsipensato (cogitor) da un gruppo supervisionato, così che possa accorgersi delle proprie pensa-bilità (sum) e sviluppare una forma di conoscenza maggiormente profonda e personalizzata(cogito). Ciò che il docente sperimenta all’avvio della sua formazione, lo sviluppa nel corsodi un intero anno scolastico –sempre in condizione di supervisione- amplificando il modellosperimentato con i propri allievi. I docenti, dunque, vengono prima avviati a percorrere insieme i fondali teorici connessi alfarsi della mente e al suo strutturarsi a partire da primarie modalità di pensiero e di azione,per poi sperimentare in prima persona –con l’aiuto di un supervisore- le caratteristiche e lefunzione di un setting di derivazione clinica. Ogni “seduta” di lavoro segue un suo rituale,che può essere schematizzato dalla Fig. 27 che segue.

Fig.27 – Momenti di ogni incontro laboratoriale (sia dei docenti, sia degli allievi)

Caratterizzando il setting clinico prima di tutto di un modo di porsi nei confronti dei propriinterlocutori, i docenti sperimentano nel corso della loro esperienza formativa modalità pe -culiari di ascoltare e di parlare, che possono essere assunte quali vere e proprie regole di fun -zionamento mentale. Esse possono essere schematizzate in tal modo.

Avalutatività. È forse la regola più importante, e la più difficile da imparare a os -servare, anche da parte del docente-trainer, dato che nel normale contesto didatti -co è abituato ed è suo compito valutare le conoscenze e i comportamenti socialidegli allievi. Non valutare – in questo ambito – non significa tentare di essere piùeducati o tolleranti. L’osservanza della regola dovrebbe anzi insegnare a impara -re ad accettare, ad accogliere “così come sono” i propri e altrui sentimenti/atteg -

64

APERTURA

• Rituale d’ingresso

• Richiamo delle regole

• Installazionesetting

STIMOLAZIONE

• Lettura, animazio-ne del pretesto nar-rativo

• Indicazioni di eser-citazione

ELABORAZIONE

• Sollecitazioni indirette• Amplificazioni• Immaginazioni• Simulazioni• Esperienze

RIFORMULAZIONE

• Ritornare al gruppo, op-portunamente selezionato e deletteralizzato, ciò che è stato sperimentato e pen-sato

• Riformulare ed amplifica-re i significati di ciò che siè sperimentato

CHIUSURA

• Richiamo alle regole

• Rituale di uscita

giamenti/idee, cercando di comprenderli, senza confrontarli e giudicarli. Si trattadi imparare, sperimentandolo, un atteggiamento di profondo rispetto dell’alterità,una capacità di lasciare parlare le cose aliene andando loro incontro, adattandosiad esse, piuttosto che piegarle al proprio bisogno di com-prenderle. Se si riesce aresistere – in questa dimensione spaziale e temporale specifica e limitata – agliautomatismi pedagogici del valutare e porre sotto controllo e all’abitudine di fareconfronti (“Io non sono d’accordo con quanto ha detto lui...”, “Non è vero quelloche dici, perché...”, “Non è giusto pensare che...”) vi è qualche possibilità che isoggetti provino autenticamente (e non solo intellettualmente) cosa significhiessere empatici e in cosa consista l’adleriano sentimento sociale, e si sviluppiun’atmosfera in grado di garantire e proteggere le espressività (anche dinamiche)di tutti i membri del gruppo. Per molti individui, inconsciamente impegnati a di -fendersi da consapevolezze che sentono essere insopportabili, solo quando avver -tono un ambiente totalmente accettante sono in grado di accedere – più o menoprofondamente – al sé. La regola della non valutazione impegna i membri a nonvalutarsi nemmeno positivamente, giacché ogni valutazione – anche se positiva –implica una asimmetria e una sottile metacomunicazione inferiorizzante (“Io tigiudico positivamente, io do a te qualcosa di buono, io sono sopra di te, è vantag -gioso per te dipendere dalla mio potere di darti piacere e conferme...”).

Non omissione . Ogni persona si impegna con il gruppo a favorire l’espressionediretta e ordinata, autentica e congruente (nel senso rogersiano) di tutto ciò chegli stimoli evocati nel gruppo evocano nelle menti, senza alcuna forma di control -lo che non sia quella appositamente indicata dal trainer. La capacità di osservarequesta regola, è strettamente connessa con l’abilità – da parte dei soggetti – disalvaguardare la regola precedente: il livello di autenticità delle espressività indi -viduali potrà essere progressivamente migliorato se verrà assicurato al gruppol’atmosfera di sicurezza indicata. È implicita, nella regola, l’impegno a collabora -re attivamente nell’esperienza da parte di tutti. Ogni soggetto deve contribuire –secondo le modalità di volta in volta indicate dal trainer – a costruire l’esperienzadi apprendimento.

Astinenza. Il termine, mutuato dalla clinica psicoanalitica, assume qui significatianaloghi ma peculiari. Ogni soggetto – con particolare riferimento al docente – siimpegna a rinunciare ad atteggiamenti e comportamenti che implicano il dirigeree il guidare il gruppo o alcuni membri (astinenza del primo tipo). Ciò può signifi -care la rinuncia al dare consigli, all’aiutare qualcuno nelle sue (anche se difficol -tose) espressività tramite suggerimenti, allo spiegare i sentimenti altrui, al dire alposto di un altro. Questa regola – analogamente a quanto detto a riguardodell’avalutatività – rende il ruolo del docente a confine tra l’orientare e il permet -tere che il gruppo impari a orientarsi. Al docente, al riguardo, viene richiesta unaprogressiva consapevolezza nel saper differenziare gli atteggiamenti di orienta -mento necessari all’attivazione dell’esperienza (ad esempio per impedire valuta -zioni e destrutturazioni del gruppo) rispetto ai comuni (per alcune persone) modidi fare basati sul fare-al-posto-di (“Così faccio prima, così faccio meglio”),sull’ordinare anziché‚ pensare insieme, sull’indicare per non attendere che ilgruppo guardi da qualche parte, sul risolvere per ovviare alla lentezza dei tentati -vi di risoluzione, e così via. Tutti i tentativi di adeguamento a questa regola im -pongono l’incontro con diversi elementi e impliciti, di cui si dirà: la pazienza, ilsaper aspettare, l’onnipotenza, l’impotenza, il sentimento sociale, l’aggressività, ealtro. L’adeguamento a questa regola risulta difficoltoso spesso per i soggetti chesul piano di realtà vengono ritenuti migliori degli altri: più bravi, più adeguati,più ubbidienti, più maturi, più esperti. In queste persone, grandi o piccole, rinun -

65

ciare all’attivare quelle abilità individuali di cui hanno consapevolezza a favore diuna conquista comune è tanto più mentalmente oneroso quanto più le stesse abili -tà hanno loro richiesto importanti contropartite sul piano psicodinamico. Un se -condo aspetto della regola riguarda la fedeltà al gruppo e a ogni singola persona:tutto ciò che nel gruppo – in quel tipo di gruppalità – viene pensato, discusso eelaborato deve appartenere al gruppo, e non va esportato altrove. Ogni soggetto èimpegnato a non “tradire” se stesso e i membri del gruppo, salvaguardandol’alleanza che si viene sviluppando nel peculiare setting. Anche al riguardo il do -cente viene impegnato in una consapevole differenziazione del suo ruolo internoal mandala e nella classe. Per quanto gli allievi possano essere gli stessi membridel gruppo e possano sollecitare discussioni o riflessioni sulle tematiche trattatenel gruppo, è richiesto al docente di proteggere la gruppalità sperimentata, evitan -do adeguatamente e in maniera comprensibile sovrapposizioni o contaminazionifra i diversi contesti. È forse bene precisare che la natura e la qualità di tali possi -bili contaminazioni non è totalmente controllabile dal docente, ma dipende in va -ria misura dai significati peculiari (anche inconsapevoli) che ogni soggetto tendead attribuire loro.

Auto-Eterocentratura. Come anticipato, l’esperienza di apprendimento attuata inquesto peculiare cornice relazionale si caratterizza quale esperienza artificiale, fi -nalizzata, produttiva, programmata e controllata, anche se in modo diverso dacome si programma e si controlla la realizzazione delle normali esperienze didat -tiche condotte nella classe. Questi elementi la rendono sensibilmente differentedalle esperienze psicoterapeutiche accennate, ma anche dalle usuali pratiche sti -molative scolastiche. Si allontana da queste ultime anche per l’accettazione delladimensione autoreferenziale, soggettiva e intersoggettiva. In quanto spazio finzio-nale e transizionale, i soggetti – in questa dimensione apprenditiva – sono inco -raggiati a guardarsi dentro per guardare, poi, altrove. Gli elementi fantasmatici,rappresentazionali, gli affetti e le emozioni evocati dagli stimoli e dalle condizio -ni climatiche delineate vengono a caratterizzarsi quali importanti testi (pre-testi econ-testi) di lavoro mentale, trattati non per sondare diagnosticamente o nosogra -ficamente le biografie individuali, bensì per aiutare ogni soggetto a diventare pro -gressivamente consapevole della sua identità mentale, sociale e culturale. In que -sto senso il setting si caratterizza quale luogo di controllata regressione e progres -sione.

Intransitività delle conoscenze . La regola schematizza quanto anticipato. Nelgruppo ci si impegna a non veicolare conoscenze e competenze per una socializ -zazione culturale, ma, tramite la sedazione dei gesti autoritari ed economicidell’istruzione, si lavora per apprendere dall’esperienza.

Discrezione. Risulta essenziale – data la natura del “materiale” di lavoro – assicu -rare un totale rispetto nei confronti dei soggetti e delle loro elaborazioni. Rispettopuò significare evitare ogni forma di indagine, di richieste dirette di approfondi -mento, di giudizi o consigli, soprattutto, ogni forma di “interpretazione”. Questaparola, magica e pericolosa, contro la quale lo stesso Freud ha messo in guardia,ai più risulta lo specifico del lavoro clinico, quasi che compito dell’analista fossequello di interpretare, cioè di non credere a ciò che gli dice il paziente, ma di cre -dere a quel che egli non dice. Nella realtà – e in particolare nella realtà scolasticadi cui stiamo parlando – essa andrebbe intesa quale processo comune, sociale,gruppale di narrazione e di ri-costruzione delle esperienze evocate. Il saper resi -stere al fascino pericoloso dell’interpretazione può risultare difficile per il docen -te in cerca di conferme e valorizzazioni. Il particolare setting offre realmentel’opportunità di “avere meglio in mano” i soggetti; facili, pertanto, le tendenze

66

voyeristiche, l’illusione di dominio, le compensazioni onnipotenti. Un secondoaspetto della discrezionalità è riferibile alla necessità di non esportare altrove (inclasse, nei colloqui con i genitori o con i colleghi) gli elementi emersi nel gruppo.Ciò che il gruppo produce ed elabora dovrebbe totalmente appartenere al gruppo.Riferimenti in contesti scolastici di alcune esperienze fatte nel setting clinico do-vrebbero essere evitate o, se casualmente proposte, opportunamente rinviate allaseduta successiva. La discrezionalità chiama il concetto di alleanza: stare dallaparte dei soggetti e del gruppo implica il non tradirli, implica il saper preservarela magia del cerchio dalla più complessa – ma forse più superficiale – realtà dellavita scolastica.

Restituzione. Quest’ultima regola potrebbe essere intesa quale corollario dellaprecedente. Si situa su analogo livello di attenzione: preservare la peculiarità deirapporti costruiti nel contesto clinico. Impegna i soggetti a riportare nel gruppo (ase stessi e agli altri) tutto ciò che attiene al gruppo ed è stato altrove presentato.Ogni persona, generalmente all’inizio della seduta, si impegna a ritornare al grup -po eventuali discussioni, esperienze connesse alla gruppalità sperimentata che si èavuto modo di vivere fuori dal gruppo (in classe, in famiglia, nel gioco). L’osser -vanza di tale regola potrebbe apparire poco funzionale, anche solo in termini diappesantimento delle sedute. Normalmente, però, il rischio sembra presentarsisolo all’avvio dell’esperienza, prima cioè che i soggetti abbiamo avuto modo dicogliere e interiorizzare i plurimi significati della stessa.

La pratica esperienziale di natura clinica cui il docente viene progressivamente immerso glipermette da un lato di affacciarsi in condizioni protette al diverso materiale dinamico soggia -cente alla sua professione e al suo modo di interpretarla, dall’altra di interiorizzare modi distare in relazione con i propri allievi in analoga sperimentazione laboratoriale. Per quanto attiene il primo aspetto il docente, con l’aiuto di materiale evocativo allo scopopredisposto, viene invitato indirettamente a sostare su aree di confine fra la propria realtàprofessionale e gli inneschi affettivi che l’hanno variamente strutturata e stabilizzata, comeaccennato nella Fig. 28.In merito al secondo aspetto, il formando sperimenta su di sé e viene posto in condizione dipersonalizzare e interiorizzare alcuni modi di relazionarsi con i propri allievi in una similaresituazione laboratoriale. Questi modi non si caratterizzano come tecniche da utilizzare, macome atteggiamenti mentali da custodire e variamente interpretare sul piano dei personali sti -li relazionali.

Definire e custodire il set. Al docente preventivamente formato, spetterà in primo luogopermettere l’attivazione di analoga esperienza nella propria classe con i propri allievi,neri cui confronti dovrà saper modulare una sua funzione di trainership nel laboratorioclinico e una sua funzione didattico-formativa nell’aula scolastica.

Presentare gli stimoli evocativi . Una volta definite le condizioni di lavoro, al docentespetta stimolare il gruppo di allievi tramite la narrazione partecipata del materiale narrati -vo predisposto. Trattandosi di materiale evocativo, di storie in un certo senso “truccate”,volutamente complesse e ambigue, risulta indispensabile individuare le modalità più fun -zionali perché esse tocchino emotivamente i soggetti e permettano le risonanze per cuisono state inventate.

Facilitare la riflessione e l’espressione . Pur non potendosi dare come regola, il docentedovrebbe fare in modo di coinvolgere tutti i soggetti nel lavoro di riflessione e di discus -sione. La regolamentazione non automatica degli interventi e l’impegno nel far rispettarele regole dovrebbero facilitare la progressiva partecipazione di tutti i soggetti, anche diquelli inizialmente inibiti e impacciati. Nei confronti di costoro sarebbero da evitare in -

67

terrogazioni dirette o sollecitazioni insistenti: più produttivo incoraggiarli indirettamentee analogicamente (guardarli, sorridere, mostrarsi attenti, rispecchiare i propri tentativi dicomunicazione, …).

Amplificare. Tramite l’ascolto partecipato e l’utilizzo di modalità di rispecchiamento e diimmaginazione attiva è possibile incrementare l’organizzazione e l’espressione delle ri -sonanze individuali, sostenendo i soggetti non solo nella produzione di commenti, masoprattutto nel collegare gli aspetti di realtà con le dimensioni più latenti e protette. Leimmagini mentali, che possono essere evocate per libere associazioni o per catene im -maginative, risultano depositi ricchi di mitologemi personali e gruppali; contengono insé i tentativi di parola delle dimensioni più nascoste e protette della mente. L’amplifica -zione permette loro di strutturarsi e richiamarsi, cui deve necessariamente seguire un la -voro di de-letteralizzazione, perché esse possano essere in qualche modo pensate ed ela -borate.

68

Fig.28 - Capacità positive e negative nei processi di conoscenza - Componenti primarie – Inneschi mentali protologici

Cosa diventano in me le cose che ho preso fuoriCosa sento in me cose non solo mieQuali le condizione perché le cose non mie diventino mie

Quanto sopporto di cambiareQuanto accetto di trasformarmi

Quanto tollero di abbandonare edessere abbandonato

Cosa rimane di me quando qualco-sa di importante se ne va

Quanta forza ho di sopportare cose che non mi piacciono

Come riesco ad accettare cose sgradevoli

Come riesco a farmele amicheCome mi faccio coraggio di fronte a cose che temo

Quali immagini mi consolanoQuali mi danno sofferenzaA cosa mi piace pensare

Cosa non tollero di pensa-re

Che cosa mi appartieneVerso cosa sono attratto

Che ne faccio di ciò che prendo Cosa fanno di ciò che dò

Cosa vorrei essereCosa non vorrei essere

Cosa dò di meChi/cosa vorrei allevare e

proteggereChi /cosa mi piace

Cosa ho di bello da dareCosa temo di perdere

Chi vorrei aiutareIl mio potere, la mia forza

Lo spazio in meCosa posso tenere dentroCosa non riesco a tenere

Cosa fa ciò che è tossico in meQuali anticorpi sono in me

Quanto so stare soloQuanto so stare senza ciò che desi-

deroQuanta speranza ho dentro

Cosa invidioCosa vorrei prendere per meCosa vorrei mi regalassero

Cosa vorrei trovareCosa ho già

Cosa non vorrei mi invadesseDa cosa sto lontanoCosa mi affascina

Cosa non sopportoCosa mi fa paura

Cosa mi fa arrabbiareLe cose buone che hoLe cose cattive che ho

Le cose buone che hanno gli altriLe cose cattive che hanno gli altri

Cosa vorrei attaccare e distruggereCosa vorrei mandare via

Cosa mi attaccaCosa si insinua in me

Cosa non posso tenere dentroCosa devo espellere

Il mio sguardo verso gli altriCome sono verso di me

Cosa hanno che io non hoCosa desidero di loro

Come vorrei che loro fosseroCosa cerco in loro

Cosa voglio da loro

Le mie immagini-guidaIl mio corpoIl mio nome

Le presenze in meLe assenze in me

Riconoscimento proprie emozioni

DesideriBisogniPaure

68

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

Aiutare ad accogliere e accettare . L’osservanza delle regole, l’atteggiamento di ascoltoempatico, l’organizzazione della discussione e degli interventi (che andrebbero mante -nuti sempre in un clima di silenzio, di ordine, di ascolto, senza sovrapposizioni o rincor -se al prendere la parola), tutto quanto ha lo scopo di insegnare a stare ricettivi di frontealle espressività proprie e altrui. Tale atteggiamento aiuta soprattutto gli intolleranti (ver -so di sé e nei confronti degli altri) a imparare modi diversi di stare con i pensieri, le pa -role e i comportamenti.

Deletteralizzare. La deletteralizzazione rappresenta lo sforzo di comprendere i sensi pos -sibili di alcune immagini mentali, di alcune associazioni ideiche, di alcuni apparentisconfinamenti del pensiero. Essa può essere percepita quale dinamica simmetricadell’intrepretazione utilizzata in ambito psicopatologico: non intende svelare alcunché,ma permettere ai soggetti una migliore pensabilità di ciò che viene annunciato attraversole immagini e i simboli.

Aiutare a pensare, a riconoscere e denominare sentimenti e pensieri. Risulta essere lafunzione essenziale, che differenzia in modo esplicito il laboratorio clinico dal lavoro inclasse. Tale attività si caratterizza quale esercizio paziente di traduzione, deletteralizza -zione, comprensione progressiva e comune delle latenze individuabili nelle espressionidei soggetti. In questa accezione è concessa l’idea di un processo di “interpretazione”, aintendere – come si anticipava – un cauto e collettivo lavoro mentale di accessoall’implicito e all’inferibile, comunque limitato e controllato, perché non si caratterizziquale “carotaggio” invasivo nella biografia personale di un soggetto. L’aiuto al pensaree al riconoscere il pensiero è sollecitazione indiretta al concedersi sentimenti (anche ne -gativamente giudicati dal sociale, anche impropri, anche bizzarri) prima di valutare laloro pertinenza culturale e sociale, è disponibilità e fiducia nella generatività della men -te. È, anche, aiuto al trattenere e al cum-tenere – tollerandone insieme a volte l’ansia, avolte il dolore – gli aspetti affettivi ed emozionali negativi connessi. Come si ricordava,è fondamentalmente da una emergente capacità contenitiva, non evacuativa, che si strut -tura l’identità.

Aiutare ad analizzare e a chiarire. L’aiuto all’analisi e al chiarimento è, etimologicamen -te, aiuto al sciogliere idee, concetti, emozioni, affetti variamente incapsulati e confusi, inmodo da facilitare nei soggetti una maggior consapevolezza e controllo dei propri pro -cessi semiotici affettivi e cognitivi. Analizzare, qui, non è scomporre e trovare ragioni adogni “pezzo”; semmai tentativo di vedere insieme, gioco d’attesa per lasciar parlare lecose come sono.

Rispecchiare. Le tecniche rogersiane di risposte-riflesso ( recognition of feeling, reflec -tion on feeling, clarification) possono contribuire a definire il ruolo di “prestatore di pen -siero” del docente nei confronti dei soggetti maggiormente in difficoltà nell’accedere ase stesse. Tale funzione si concretizza nelle note modalità indirette di sollecitazione (“Ame pare di capire che tu...”, “Che strana quella cosa che stavi dicendo, forse intendevidire che ...”, “Mentre parlavi pensavo a quello che avrai provato in quellacircostanza...”), che aiutano il soggetto a continuare a pensare, a cogliere – insieme altrainer e al gruppo – ciò che da solo sentirebbe come imprendibile (impensabile). Il ri -specchiamento contribuisce a limitare le dinamiche proiettive e introiettive, facilitandonel soggetto una progressiva riappropriazione e responsabilizzazione del proprio pensie -ro (“Questo sentimento negativo è proprio mio, io sento queste cose, questa è la mia ag -gressività, dentro di me ci sono queste cose che non mi piacciono”, e così via).

Spiazzare. Si intende l’impegno – per il docente – a sollecitare nei soggetti visuali sem -pre nuove, associazioni impreviste, accostamenti inusuali sugli assi spaziale, temporale,

69

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

mentale, espressivo. Utile, allo scopo, ritornare al gruppo elementi della propria narra -zione particolarmente adatti a nuove ricostruzioni, a nuovi significazioni: modi di dire,immagini, metafore, analogie. Il lavoro sull’immaginale è lavoro di continua invenzionee deletteralizzazione: una ginnastica mentale che non induce solo abilità creative di pen -siero, ma prima ancora permette al soggetto di scoprire le potenzialità poietiche dellapropria mente, di se stesso.

Incoraggiare. Come anticipato, il processo di incoraggiamento non va confuso con lasomministrazione di rinforzi positivi, né con sollecitazioni benevoli all’impegno, ancorameno con il ritornare ai soggetti feedback mistificanti, che con facilità rivelano disatten -zione e formale benevolenza nei confronti dell’interlocutore. Di maggior efficacia, inquesto ambito, un atteggiamento positivo e ottimistico – che si colloca anteriormente allavalutazione positiva – agito tramite le plurime modalità analogiche di comunicazione(ascoltare, guardare, sorridere, postura e gestica rilassata e accogliente, e così via).

Queste principali funzioni possono essere esercitate con maggiore o minore difficoltà, in ra -gione – si diceva – di personali stili di vita, atteggiamenti relazionali, modi di fare del docen -te. All’interno di questa interpretazione del ruolo può risultare allora d’aiuto l’utilizzo di col -laudate strategie di conduzione gruppale. Sollecitare senza domandare è, di norma, un potente strumento per non aumentare

l’ansia e il disagio di chi ha difficoltà a pensare e a collaborare. In generale le interroga -zioni, il domandare esplicito, il chiedere inducono sensazioni di invasività, di dipenden -za, di controllo che – in questo particolare contesto – inibiscono ulteriormente le possibi -lità di collaborazione cognitiva e affettiva. Da preferire le sollecitazioni indirette e le tec -niche di risposta a specchio richiamate. L’insegnante ansioso di chiedere dovrebbe riflet -tere sull’impossibilità – da parte dell’interlocutore – di dare certe risposte. Quando si im -para ad abbandonare il bisogno di indagare l’altro con la propria strategia esplorativa, cisi accorge della strategia altrui, si sente l’altrui imbarazzo, vergogna, difficoltà, rifiuto,confusione. Si incontra, in altri termini, ciò che l’altro può davvero raccontare di sé inquel momento. Si pongono le condizioni perché l’interlocutore avverta, prima di tutto,disponibilità, alleanza, rispetto.

Baby-talk, ovvero l’utilizzo – in certe situazioni relazionali – di un linguaggio moltosemplice, calmo, con frequenti ridondanze e riformulazioni. Questo modo di comunicare– che non dovrebbe venir confuso con certo linguaggio infantilistico svalorizzante e ba -nalizzante – si propone di aiutare il soggetto in difficoltà a pensare i suoi pensieri, a rico -noscerli, a “dirseli” e ad attribuirseli. È un linguaggio che metacomunica disponibilità,accettazione, serenità, incoraggiamento, presenza, vicinanza.

Ascoltare l’interno e l’esterno , ovvero prestare attenzione non solo al testo della narra -zione, ma ai più volte richiamati pre-testi e con-testi. L’attenzione fluttuante della clinicapsicopatologica è, qui, attenzione multiorientata: sia perché attenta ai rimandi e alle la -tenze del discorso, sia perché interessata ai vissuti degli interlocutori. Gli elementi emo -zionali e affettivi connessi al racconto e all’espressione non si caratterizzano – in questapeculiare situazione apprenditiva – quali fattori ininfluenti di sfondo o – peggio – qualirumori disturbanti: sono, essi stessi, racconto e comunicazione. Che impongono unascolto non formale né intellettuale, che richiedono rispetto e cauto avvicinamento, cheattendono di venir – insieme – progressivamente deletteralizzati e compresi.

Non re-agire, quale vincolante impegno a leggere gli agiti degli allievi quale comunica -zione ellittica, quale gesto psicosomatico, quale tentativo di pensiero e di espressione. Lacomprensione e l’accettazione degli acting-out non hanno – in questo ambito – finalitàdiagnostiche: servono invece il paziente e cauto lavoro di “pensare-insieme”, di coglierei significati nascosti, il non-dicibile perché non (ancora) pensabile. Le reazioni del do -cente ai comportamenti automatici, privi di riflessione e di pensiero, di alcuni soggetti in

70

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

difficoltà non solo impediscono di assolvere le funzioni sopra specificate (aiutare a pen -sare), ma insegnano ad incapsulare ulteriormente gli irrisolti cognitivo-affettivi che giu -stificano gli agiti.

Essere ignoranti, duri d’orecchio : non troppo bravi a capire subito, a spiegare, al fare alposto di, all’anticipare, al dimostrare, al convincere, allo spingere. Questa (antica) dottaignoranza non è – qui – semplice esercizio socratico, oppure occasionale e strategica am -missione di sapere di non sapere, ma dovrebbe muovere da un atteggiamento opposto aquello incentivato nella dimensione classe: non sono io che vi devo dare qualcosa, ma iosono con voi a fare dei percorsi; non sono io a trascinare e indicare la strada, ma – anzi –la mia adultità mi rende spesso disattento e cieco di fronte alle molte strade percorribili.

Parlare poco, pensare molto.

8.3 I pre-testi evocativi

Il secondo aspetto che è apparso determinante nelle sperimentazioni di una formazio -ne clinica dei docenti nell’ambito del laboratori LabSum, oltre alla cura dell’installazionedello specifico setting, riguarda l’utilizzo di materiale stimolativo-evocativo. Ciò in ragionedell’improbabilità di una esposizione sollecitata da richieste dirette o da generiche disponibi -lità ad ascoltare “ciò che non va” negli interlocutori. L’attenzione dedicata in questo ambitoalle latenze scolastiche, alle dimensioni residuali e alla “materialità scolastica” 57 non puòsconfinare in una sorta di arrogante pretesa che queste si affaccino alla coscienza individualee gruppale in nome di una richiesta o di una disponibilità all’ascolto. Caratterizzandosi spes -so come difese, come psichismi allontanati dalla consapevolezza, tale richiesta esplicita sicaratterizzerebbe come un tentativo di forzatura delle protezioni individuali e gruppali, ecosì apparendo, potrebbe in realtà allontanare ancor più ciò che si pretende di convocare in -tenzionalmente. Essendo aspetti mobili variamente connessi a realtà vissute, queste dimen -sioni possono essere solo indirettamente costellate a partire da una attenzione diversa a ciòche si vive nella quotidianità. Sotto, dietro ai normali pensieri e alla normali pratiche scola -stiche vivono immense aree di non-detti, di intuizioni, di immagini, di simboli: veri e propritesti interni che vengono prima dei testi esterni, e dunque pre-testi che possono delicatamen-te essere sfiorati analizzando clinicamente gli usuali modi di essere, le normali routines o ri -tuali professionali, i tipici passaggi esistenziali, gli apparentemente banali incontri quotidianicon eventi potenzialmente emotigeni. Essi sottostanno all’incontro con molte quotidianità: lecose non note, la paura di essere sopraffatti dal compagno o dal testo difficile, il desiderio diessere amati e valorizzati dal gruppo o dal docente, la vergogna di non saper risponderecome si vorrebbe, i confronti intellettuali o comportamentali imbarazzanti, l’invidia e la ge -losia nei confronti di compagni e insegnanti, la difficoltà di gestire vittorie o sconfitte, i desi -deri inesprimibili ed anche non allontanabili, il senso di inadeguatezza e di inferiorità rispet -to alle proprie e altrui attese, l’incapacità a tollerare la propria e altrui aggressività, il timoredi non essere all’altezza, il desiderio di condividere con altri ansie e piaceri, la paura di cre -scere e di restare piccoli, il trattenere mentalmente gli scarti tra le rappresentazioni di sé e gliideali di sé, il voler essere bravi e buoni sapendosi spesso incapaci e cattivi. Si tratta, come sipuò intuire, non solo di latenze implicate nel lavoro esterno dell’insegnare e dell’imparare,ma vere e proprie organizzazioni mentali generalmente trascurate quali importanti occasionidi lavoro educativo. Veri e propri testi che stanno prima, forse intorno, ai testi e agli iper-testi scolastici, che si materializzano spesso in quotidiani eventi affettivamente pregnanti:l’ingresso a scuola, l’inizio di una nuova attività, lo studio, il confronto in gruppo, la ricrea -zione, l’interrogazione, la mensa, l’incidente critico, un successo o una sconfitta, un litigio,un innamoramento, una delusione. Queste importanti occasioni esperienziali, che condensa -

57 R.Massa, Cambiare la scuola. Istruire o educare?, Laterza, Bari, 1997, p.79

71

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

no naturalmente processi semiotici affettivi e cognitivi, che si caratterizzano quali decisivesimulazioni analogiche della vita, risultano precipitati eccellenti di stili di vita e di orienta -menti esistenziali inspiegabilmente sottratti all’osservazione e alla riflessione degli allievi edei docenti. Nessuna scuola, nessun maestro, nessun educatore in genere tende ad occuparsidi questi pre-testi, se non tramite occasionali e sbrigative sollecitazioni. La maggior parte de -gli allievi, la maggior parte dei docenti non trovano in genere occasioni per leggere e impa -rare da questi impercettibili testi esistenziali. Questi eventi ad alta fomentazione dinamicasono riscontrabili nella normale vita quotidiana; ma appunto in ragione della loro “realtà”possono rappresentare filoni non immediatamente percorribili di rielaborazione e di riflessio-ne critica. Di questo ci si rende facilmente conto quando un genitore o un insegnante tenta di“far ragionare” il bambino o il ragazzo che ha commesso una imprudenza o si è comportatoscorrettamente. Il soggetto, spesso umiliato dal proprio errore, non può tollerare ulterioriumiliazioni, e tende a reagire alleggerendo o negando le proprie responsabilità, oppure con -troaggredendo per paura.

Nelle esperienze laboratoriali sperimentate si fa spesso utilizzo di pretesti di naturanarratologica. Ciò non casualmente. L’atto narrativo si traduce quale racconto di sé, qualeoccasione per dirsi e dire i legami, le rappresentazioni, gli ideali, le paure, le attese di ognipersona nei confronti del mondo e della vita. I più recenti lavori di Jerome Bruner si sonodiffusamente centrati sulla natura e il significato dei prodotti del pensiero narrativo 58. In oc-casione del Congresso del 1990 della Jean Piaget Society e della IV Conferenza Europea diPsicologia dell’età evolutiva lo psicologo statunitense ha provato a individuare le caratteri -stiche essenziali del racconto, al fine di mettere in luce più compiutamente come, in situazio -ni particolari, la narrativa organizza la struttura dell’esperienza umana: “come, in una parola,la vita finisca per imitare l’arte, e viceversa” 59. Precisa, infatti: “(...) Noi organizziamo la no -stra esperienza e il nostro ricordo di avvenimenti umani principalmente sotto forma di rac -conti, storie, giustificazioni, miti, ragioni per fare e per non fare, e così via. Il racconto è unaforma convenzionale trasmessa culturalmente e legata al livello di padronanza di ciascun in -dividuo e al repertorio di strumenti protesici, di colleghi e di mentori di cui dispone. Diver -samente dalle costruzioni generate da procedure logiche e scientifiche, che possono venireliminate mediante falsificazione, le costruzioni narrative possono raggiungere solo la “vero -simiglianza”. I racconti, dunque, sono una versione della realtà la cui accettabilità è governa -ta dalla convenzione e dalla “necessità narrativa”, anziché dalla verifica empirica e dalla cor -retta logica, e ciò anche se, per ironia della sorte, noi non ci facciamo scrupolo di qualificarei racconti come veri o falsi”60. Dal fronte psicodinamico uno dei lavori più creativi di James Hillman è stato originariamen -te titolato Healing Fiction 61. Fra i vari significati di fiction (narrativa, romanzo, storia, rac -conto, novella, fantasticheria, finzione, invenzione) è individuabile anche quello di “finzio -ne”, un costrutto centrale nella individual-psicologia, che Alfred Adler ha mutuato dal filoso -fo tedesco Vaihinger. Con il verbo (to) heal e con i derivati – notano i traduttori dell’edizioneitaliana – si intende sia il “curare” che il “guarire”, quest’ultimo inteso sia nel senso transiti -vo di sanare, risanare, purificare, liberare dal male, sia nel senso intransitivo di ristabilirsi,riacquistare la salute. La titolazione prescelta per l’edizione italiana è stata “Le storie che cu -rano”, con sottotitolo “Freud Jung Adler”. Il volume è comunemente inteso quale contributoad un approccio originale ai padri della psicoanalisi. Nella realtà, come dice chiaramentel’autore nella prefazione all’edizione italiana, “tema di questo libro è la base poetica della

58 Bruner J., (1986), La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988; Bruner J., (1990), La ricerca del significa-to, Bollati-Boringhieri, Torino, 1992; Bruner J., La costruzione narrativa della “realtà ”, in Ammanniti M.,Stern D.N. (a cura di), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Bari, 1991.59 Bruner J., 1991, p.3860 Bruner J., 1991, p.21. 61 Hillman J., (1983), Le storie che curano. Freud Jung Adler, R.Cortina, Milano, 1984.

72

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

mente, (...) giacché‚ la mente è poiesis, che “fa” finzioni letterarie per guarirsi dai suoi poetiletteralizzati. La capacità della psicoterapia di guarire, dipende dalla sua capacità di conti -nuare a ri-raccontarsi, in rinnovate letture immaginative delle sue stesse storie”62.L’insistenza nel significare esteticamente, narrativamente le personali storie interiori, nel farparlare le immagini che accompagnano ogni ricordo o ogni azione ha caratterizzato molta ri -cerca psicodinamica, in particolare quella di derivazione junghiana (l’immagine è psiche;ogni accadimento psichico è un’immagine e un immaginare, ripeteva spesso lo psicologosvizzero). Se si vuol cercare il senso dei progetti individuali, se si vuol tentare di capire gliobiettivi inconsapevoli che guidano le persone a “scegliere” impegni e rifiuti, se si vuol cer -care di aiutare le persone a comprendersi, risulta essenziale –secondo queste impostazioni-sostenerli nel rivolgersi alle immagini e alle narrazioni. L’importanza data da Alfred Adleralla filosofia del “come se” testimonia la sua intuizione degli aspetti “finzionali” della men -te; tutto ha un senso, uno scopo, una direzione, una meta: Adler la chiamava volontà di po -tenza, aspirazione ad emergere, Jung spinta verso l’individuazione. Le finzioni costituisconoinsieme l’atto creativo (poietico) e la trappola della mente: quando l’uomo usa consapevol -mente, metaforicamente, le sue finzioni per migliorare, crea la sua identità, crea il mondo(“dare un contributo è il vero significato della vita”, usava ripetere Adler), quando l’uomoperde il significato del “come se”, quando letteralizza le finzioni, si aggrappa al filo di pagliadelle finzioni, le scambia per realtà, le ipostatizza. È il letteralismo che ammala, che blocca,che spinge verso compensazioni e onnipotenti fughe dalla propria non sostenibile inferiorità.

Anche da queste considerazioni, se pur centrate sul luogo classico dell’ascoltodell’anima, si sono derivate – con opportuni aggiustamenti e contestualizzazioni – utili sug -gerimenti per un recupero della funzione educativa negli ambienti scolastici. La consapevolezza della ricchezza cognitiva ed affettiva dell’immaginale, del narrativo,della verosimiglianza, dell’ analogos, ha orientato verso la messa in scena di dispositivi er -meneutici, insieme organizzativi e didattici, che a partire da queste sollecitazioni derivantidalla clinica psicologica, si sono tradotti in uno strumento indiretto di consapevolezza parti -colarmente compatibile con l’ambiente scolastico.Finzione, fingere è insieme immaginare e plasmare. È un fare per finta e un fare. La finzioneconsapevolmente giocata e utilizzata può diventare importante alleanza nell’evoluzione,mentre spesso –fuori dalle condizioni di setting e di coscienza- si struttura quale strumentodi difesa e di involuzione. Intuibile il risvolto pedagogico: il “come se” permette all’allievodi predisporre la trama della sua partecipazione esistenziale, diventa il contenitore protettonel quale egli può iniziare a incontrarsi con ciò che ha abbandonato per sperimentare suoinuovi collaudi ed emancipazioni. Per queste ragioni i pretesti utilizzati nelle esperienze LabSum si caratterizzano come storieaperte, polisemiche, aurorali. Storie che accennano e mai chiariscono, strutturate in modo ci -clico e ricorrente, senza alcuna forma di “ending”, disponibili ad ospitare le diverse storieevocabili nel set laboratoriale (63).

8.4 – Altri stimoli evocativi

Una variante dei pretesti narrativi di cui si è fatto cenno è consistita –sempre nell’ambitodelle sperimentazioni LabSum- nel costruire “arredi” simbolici (chiamati “luoghi” o “stan -ze”) dentro alle quali vengono accompagnati i docenti e- successivamente- i propri allievicon analogo impegno a ricordare, immaginare attivamente e rielaborare quanto ivi individua-to dal gruppo clinico. A differenza dei pretesti narrativamente più strutturati, qui le risonanzevengono stimolate da indizi che dovrebbero attivare aspetti della propria esperienza profes -

62 Ivi, p.IV.63 I pre-testi narrativi clinici sperimentati in questi ultimi anni in varie scuole del Paese sono rinvenibili in: Ce-rioli L, Antonietti A., Diventare ciò che si è, F.Angeli, Milano, 2001; Cerioli L., Appassionata Mente, op.cit..

73

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

sionale ed esistenziale: un successo, una sconfitta, un’alleanza e così via, come indicato dallaFig. 30 sotto riportata. In questi casi la natura ancora più sottile degli stimoli evocativi ri -chiede una maggior capacità del trainer e del gruppo in formazione di facilitare l’immagina -zione attiva e di stimolarne le capacità elaborative.

Fig. 30 – Matrice di un percorso

9. Aiutare chi aiuta

Cosa si è imparato da queste esperienze di formazione clinica dei docenti sul relazionale?Esistono sensibili differenze fra questo tipo di formazione e la più consueta formazione tra -mite corsi di aggiornamento?In tutti questi anni di sperimentazione si è avuto modo di raccogliere molti dati di natura va -lutativa intorno al processo e ai suoi esiti. Le riflessioni che si sono venute raccogliendo possono essere schematizzate tenendo contodelle intersezioni e fra i tre principali protagonisti dell’esperienza (Fig.31).

74

IL/LA NEMICO/A

L’AMICO/A LA PRIMA SCENA

L’IMPREVISTO

UN MIO SUCCESSO

UNA MIA SCONFITTA

UN FILM

UNA RICETTA

ACQUISTASI TEAM

UN SOGNO UN DESIDERIO

VENDESI LAVORO

L’ALLIEVO CHE VOGLIO, QUELLO CHE DETESTO

IL MIO VERO LAVORO

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

Fig.31 – Trainer, insegnanti e allievi

Area d’elaborazione Area d’elaborazione delle rappresentazioni dei vissuti degli allievi dei vissuti degli allievi

Nella prima area (), luogo d’intersezione e incontro delle rappresentazioni dei trainer conquelle dei docenti, i protocolli valutativi risultano ridondanti di sentimenti di paura e di sotti -le competizione, che nella maggioranza dei casi sembrano successivamente risolversi positi -vamente. Il supervisore o trainer (che, si ricorda, è supervisore accreditato per la formazionedei docenti, ma il cui ruolo verrà successivamente interpretato dagli stessi docenti nei con -fronti dei propri alunni) si presenta ai docenti senza le tradizionali armi del formatore, senzaslides o schemi, senza chiarezze da offrire o risposte e soluzioni. Questa apparente povertàviene inizialmente avvertita dai docenti come un intervento “leggero”, colloquiale, a bassavalenza formativa, oppure, da altri- come una perdita di tempo, oppure ancora una manovraindirettamente invasiva. Il trainer, specialmente quello abituato all’esercizio del tradizionalepotere del formatore, confessa di sentirsi inizialmente rifiutato, oppure variamente testato dalgruppo per verificarne la sua tenuta (culturale e professionale). Lo sconforto, la demoralizza -zione, l’invidia per l’insegnante armato del suo sapere e del suo saper fare, la rabbia perl’educatore che attacca, che pretende, che non si lascia convincere, che non si fida, costitui -scono le più diffuse -seppur sgradevoli- sensazioni cui il trainer è chiamato, in sede supervi -sionale, a un confronto. Da tale percezione di inadeguatezza e di impotenza può generarsiuna più allenata capacità negativa e abilità clinica, oppure un perverso gioco di competizionesimmetrica. L’assunzione di un atteggiamento psicologistico, non esente da allusioni esoteri -che, pare, allora, la miglior arma di difesa e di offesa. Non molto diversamente dai rischi ia -trogeni di un’inadeguata relazione psicoterapeutica, l’ombra non elaborata del trainer inse -gnerà ai docenti alle prese con analoghi problemi a comportarsi allo stesso modo con i propriallievi, incrementando quelle difficoltà che si voleva contribuire a sciogliere. Le accennate resistenze all’esperienza paiono invece evidenziarsi molto precocemente neigruppi di educatori. In ragione anche dell’atipicità della proposta formativa ed euristica, oltreche dell’indotto consumismo aggiornativo e didattico-operativo, le difese dal coinvolgimen -to sembrano strutturarsi inizialmente intorno alla mancanza di tempo, agli impegni già as -sunti, al coinvolgimento in pregresse iniziative professionali e culturali. La legittimazioneall’utilizzo del termine “resistenze” per indicare tali difficoltà che pure dispongono di corpo -si riscontri sul piano di realtà, è data dalla loro tipica propagazione ed estensione. Sottraendodi volta in volta le “ragioni” delle difficoltà, esse non si dissolvono, ma aderiscono ad altreimpossibilità. Le modalità difensive più frequentemente raccolte sembrano rivelarsi nellasvalorizzazione iniziale dell’esperienza: il trainer non è sufficientemente competente, il di -spositivo pre-testuale è inadeguato, il setting richiesto è incompatibile con la propria scuola,i propri allievi non sono in grado di sostenere tale esperienza, i genitori non capirebbero, ecosì via. Non mancano le espressioni di resistenza più accreditate nella letteratura psicodina -mica: dimenticanze degli incontri, fraintendimenti delle date e degli orari concordati, prote -ste nei confronti del trainer e dei colleghi, atteggiamenti distruttivi e autodistruttivi. L’ambi -valenza nei confronti dell’esperienza (che non è stata imposta, ma attivamente scelta dopo

75

ALLIEVIDOCENTI

SUPERVISORE

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

averne saggiato le caratteristiche e l’impegno richiesto) a volte si protrae per tutto il corsodell’iniziativa; ciò può determinare nel trainer una continua tensione fra il desiderio d’essereaccolto ed apprezzato e l’impulso a colpire i docenti, evidenziandone l’incostanza e l’incoe -renza. Il pervasivo bisogno di rassicurazione e di contenimento da un lato, il senso di povertàstrumentale e nudità culturale dall’altro strutturano dinamiche fra i docenti e il trainer sottil -mente competitive, in cui i giochi di seduzione e di distruzione affiorano negli atteggiamentiora infantili (aiutami), ora oppositivi (ma chi ti credi di essere?), di autocompiacimento (que -ste cose le ho sempre fatte con i miei ragazzi) o di autosvalorizzazione, anaffettivi o senti -mentalistici. Nonostante la parziale autocentratura, il gruppo espone abbastanza vistosamen -te e precocemente le principali dinamiche gruppali, che non potendo in tale sede essere fatteoggetto di lavoro clinico, necessitano comunque di riconoscimento e di custodia a cura deltrainer. Fra queste, ricorrente il bisogno di assicurare al gruppo uno spazio-pattumiera cheaccolga, senza impedirne l’esplicitazione, le manifestazioni aggressive, ma nello stesso tem -po non le amplifichi o non le devii verso le componenti fragili del gruppo. Insieme a questedinamiche ansiogene, vengono segnalate dai trainer simmetriche dinamiche transferali ditipo positivo: alcune a carattere riparativo, altre di marca seduttiva. In molti casi sembra in -dividuarsi un happy-end esplicito, in altri si registra una diffusa sensazione di consapevolez -za dell’importanza dell’esperienza condotta. Un viaggio fra proteste e attacchi, che comun -que sembra generalmente portare i suoi protagonisti là dove potevano arrivare.L’interfaccia , quella che circoscrive le risonanze dell’incontro tra insegnanti-trainer e allie -vi, è popolata dal timore – segnalato variamente dai docenti – di avventurarsi in un’esperien -za che può sfuggir di mano, che potrebbe diventare incontrollabile. La paura della perdita dicontrollo è leggibile su plurimi registri: paura di esibirsi agli allievi senza la maschera delruolo (Mi rispetteranno ancora? Penseranno che io sono meno brava di come si immaginava -no?), paura di trovarsi di fronte alle ombre degli allievi, alle loro patologie e problematicità,paura di mettersi a fianco degli allievi, piuttosto che davanti o sopra. Paura, anche, di perde -re il proprio controllo, di doversi analogamente confrontare (pubblicamente, oltretutto) conle personali difficoltà, elicitate quasi magicamente dalle ombre altrui. Gli educatori maggior -mente preoccupati del controllo hanno variamente piegato il pre-testo e il setting verso unmodello di action-learning, di apprendimento esplorativo, in cui il proprio protagonismo di -dattico, per quanto rimodulato e corretto, poteva rappresentare una garanzia di non sconfina -mento, una rassicurazione di continuità con il passato. Diffuse, in tali rappresentazionidell’esperienza, l’esplicitazione dell’incapacità degli allievi a sostare nel setting, a seguire lastoria, a parlare di sé, a produrre “cose interessanti e intelligenti”. Rimarcata da questi edu -catori la necessità di tenere i ragazzi ancorati alla storia, per evitar loro fraintendimenti, ripe -tizioni, disattenzioni. L’incapacità a tollerare i silenzi, i percorsi mentali di manovra e le di -fese degli allievi e l’urgenza di darsi buone ragioni a sostegno del proprio carisma e del pro -prio protagonismo hanno volentieri sostenuto e amplificato dinamiche di svalorizzazione de -gli allievi o dell’esperienza formativa. Al crescere del lavoro clinico sembra corrispondereuna maggior percezione delle identità personali e culturali di tutti i protagonisti dell’espe -rienza. Tale progressiva consapevolezza appare fortemente ansiogena: i ragazzi appaiono di -versi, ma anche il docente si sente diverso. Il pur controllato abbandono della Persona (lamaschera socioprofessionale) che il setting favorisce evidenzia caratteristiche individuali dif-ferenti da quelle normalmente considerate.Se le dinamiche tra gli adulti coinvolti in questa peculiare esperienza apprenditiva sembranotingersi generalmente dei toni grigi e neri dell’ansia e della sfiducia, ciò che gli educatoricertificano delle risonanze nei loro allievi prodotte dalla storia e dal setting appaiono più ri -solte, anche se dense di tematiche “passionali”. Viene confermata da parte di molti insegnan -ti la difficoltà d’ingresso nel dispositivo narrativo e formativo: i soggetti più problematicitendono a destrutturare il setting e ad attaccare la storia (non ci piace, non si capisceniente…), mentre altri pretendono silenzio e rispetto delle regole del setting. L’inizio pare fa -

76

La relazione come strumento di lavoro - Luciano Cerioli

ticoso per molti; dopo l’avvenuto aggancio, gli allievi sembrano in equilibrio tra sentimentiambivalenti verso il lavoro: tensione continua (molte cose non si capiscono subito, altre sonoda cercare altrove, non ci sono spiegazioni), ma anche desiderio di continuare, di vederecosa succede. Le storie piacciono quando stanno finendo, si comprendono quando si annulla-no. La mancanza di happy-end, la mancanza di un semplice end lascia in sospensione. Si in -tuisce che le storie non sono finite. Finiscono dove ricominciano. Molti ragazzi le avvertonotristi, ma profondamente vere. Di interesse, anche, le notazioni degli educatori sui comportamenti dei ragazzi nel corsodelle sedute: alcuni si dondolano, altri si rifugiano (tra di loro, vicino all’insegnante). Qual -cuno si nasconde, le orecchie all’erta; altri se ne stanno assorti senza parlare. Qualcuno ridenervosamente in alcuni passaggi narrativi, quasi tutti cercano negli sguardi degli altri e delproprio educatore conferme al proprio sentire. Le rappresentazioni dei rapporti con le pro -prie figure di riferimento (genitori, insegnanti, amici e nemici) sembrano evidenziarsi attra -verso un rituale condiviso, quasi collettivamente recitato: al controllo e alla copertura inizia -le, ove gli allievi tendono a non parlare delle proprie private illusioni e delusioni relazionali,fanno seguito esibite lamentazioni, proteste e rivendicazioni, prioritariamente focalizzatesull’incapacità di ascolto degli adulti nei confronti del proprio mondo psichico. Verso il ter -mine dell’esperienza la vis polemica sembra lasciare il posto, in molti allievi, a una sofferta epacata comprensione e accettazione delle differenze e delle distanze. Gli incontri nello spa -zio protetto del setting, inoltre, hanno dato modo ai docenti di vedere nei propri ragazzi ebambini quelle dimensioni che nella classe non era possibile incontrare, quasi che l’esperien -za clinica si caratterizzasse anche quale ansiogeno specchio deformante della realtà scola -stico-relazionale. Ragazzi preparati e responsabili in classe esibivano, qui, quell’ignoranza einfantilità altrove forse impedite o censurate. Soggetti chiusi e diffidenti nelle aule, qui sin -golarmente aperti e collaborativi. Variamente sottolineato, nei protocolli qualitativi, la fatica percepita da tutti i protagonistidell’esperienza: una fatica apparentemente non correlabile all’impegno lavorativo richiesto,che è stato giudicato non dissimile da altre pratiche formative in servizio. La fatica, la ten -sione e la complessiva ambivalenza nei confronti dell’esperienza pedagogica richiamano as -sociazioni agli analoghi sentimenti e risentimenti che affiorano in chi si cerca, sia tramiteuna relazione psicoterapeutica sia attraverso altre dinamiche relazionali. Sembra, questa, lafatica del cercare il senso, dell’occuparsi del nascosto, dell’osservarsi integralmente. È, an -che, la fatica di riconoscere e tollerare certi singolari isomorfismi relazionali che i protocollidocumentano: l’aggressività temuta degli allievi è l’aggressività agita dal docente nei con -fronti del trainer, la paura di perdere il controllo sulla classe è il timore di venir manipolatodal trainer, la sfiducia nelle possibilità di intuizione degli allievi è la disistima nei confrontidelle competenze del trainer, e così via.

“E’ un’esperienza che non perdona”, si legge in un protocollo valutativo di una do -cente di scuola superiore. Forse un modo di alludere a quell’apprendimento creodico, o deu -teroapprendimento, secondo la dizione di Bateson, che dice di una comprensione profonda (equindi non solo intellettuale) di alcuni fenomeni relazionali e conoscitivi. Se l’esperienzanon perdona, se appare irreversibile, la formazione clinica alla relazione sembrerebbe fun -zionare quando si annulla. Ovvero quando il docente, passato da questa esperienza, continu -rà a svilupparla facendo il normale docente, sviluppando con maggiore consapevolezza esensibilità le normali e richieste attività didattico-formative. “Come se” nulla lo differenzias -se dai normali colleghi che normalmente ogni giorno, facendo scuola, cercano di imparare lavita attraversandola insieme ai propri allievi.

77

Setting - Luciano Cerioli

1

SSEETTTTIINNGG

Informativo Ideativo Riflessivo

Setting

Setting - Luciano Cerioli

2

SSEETTTTIINNGG

A?B? Z? ? ?

Non vi è un rapporto diretto fra la realtà esterna e la realtà mentale

Setting - Luciano Cerioli

3

SSEETTTTIINNGG

Ogni situazione esterna è parzialmente categorizzata oggettivamente, ma per lo più

“vissuta” insieme con ciò che questa realtà evoca nella mente del soggetto

Volevo solo chiedervi come mai non eravate presenti alla scorsa riunione…

Setting - Luciano Cerioli

4

SSEETTTTIINNGG

La realtà esterna è variamente interpretata, vissuta e percepita

Setting - Luciano Cerioli

5

SSEETTTTIINNGG

Ogni persona non comunica solo informazioni, ma comunica anche il suo rapporto con le

informazioni che dà

Non dobbiamo giudicare gli altri, ma essere sempre disponibili e rispettosi…

Setting - Luciano Cerioli

6

SSEETTTTIINNGG

Le più comuni difese

o Negare e rimuovere ciò che prova, ovvero collocare in latenza ciò che avverte come mentalmente faticoso. Una sorta di spegnimento mentale, analogo allo svenimento.o Razionalizzare l’evento e le personali risonanze (darvi cioè una “spiegazione” razionale in grado di tacitare e isolare gli aspetti emotivamente problematici).o Isolare componenti della situazione, rompendone l’unità e neutralizzandone la portata emotiva. Si tratta di una specie di lettura dell’evento limitata, circoscritta, che facilmente espone a fraintendimenti, letteralizzazioni, banalizzazioni, semplificazioni, parcellizzazioni. o Proiettare sulla situazione e sui protagonisti coinvolti propri sentimenti negativi (ansia, paura, rabbia, timori, invidia), così da rendere se stessi più accettabili. L’attribuzione all’esterno di personali aspetti che non si riesce ad integrare, ovviamente, rende la situazione ancora più negativa di quanto non sia. o Compensare e invertire proprie difficoltà con comportamenti e atteggiamenti opposti (esibendo forza ove si avverte fragilità, ad esempio, oppure svalorizzare perché non si è sicuri del proprio valore...). o Identificarsi con persone, ideologie, modi di fare e di essere ritenuti più validi del proprio modo di essere e di pensare.o Spostare propri sentimenti negativi nei confronti di persone o idee che non si possono attaccare su altre persone o idee che appaiono più deboli (è uno dei meccanismi difensivi alla base del burn-out nelle organizzazioni).

Setting - Luciano Cerioli

7

SSEETTTTIINNGG

Ce l’ha proprio con me…

Cos’altro mi inventerà, questa volta?

olta?

Si vede che gli piace comandare…

Fosse per me …

Ma chi ti credi di essere?!?

Le volevo parlare di ciò che è successo ieri…

Adesso farà la vittima…

Ah, bene! Anch’io avevo bisogno di riferirle alcune cose…

Realtà 1: due persone parlano di un problema

Realtà 2: Più presenze vivono eventi (anche passati)

Setting - Luciano Cerioli

8

SSEETTTTIINNGG

In un incontro si raccolgono le molteplici “voci” individuali e la personalità del gruppo (cultura

organizzativa)

Setting - Luciano Cerioli

9

SSEETTTTIINNGG

La “cultura organizzativa” di un gruppo è la sua personalità collettiva. Essa funge da “seconda pelle” all’interno della quale le persone possono trovare rifugio, soddisfazione, gratificazione, identità. Oppure serve da copertura e “deposito” degli irrisolti individuali. Inoltre nella dimensione collettiva si attivano maggiormente peculiari atteggiamenti soprattutto nei confronti: della distribuzione e dell’uso del potere e dell’appartenenza o meno al gruppo.

Gli individui possono reagirvi attraverso diverse modalità, così riassumibili:

Identificarsi col leader o con la mission del gruppo. In questo caso il soggetto si muoverà nel gruppo come un “affiliato” o “fidelizzato”. Sarà schierato con la leadership e mal sopporterà altrui forme di resistenza. Il prezzo della sua fedeltà, però, potrà consistere anche in una generale deresponsabilizzazione ideativa e/o operativa.

Opporsi alla leadership e al gruppo, tramite attacchi e fughe, fomentazione di conflitti, alleanze scismatiche, ridicolizzazioni, ironie, colpevolizzazioni, lamentele.

Controdipendere, ponendosi o come alternativa alla leadership e alla mission del gruppo, o semplicemente rifiutandole e contrastandole.

Collaborando con la leadership e il gruppo, condividendo in modo non passivo decisioni e attività.

Setting - Luciano Cerioli

10

SSEETTTTIINNGG

Esprimere accettazione, Offrire sostegno, rispetto, comprensione incoraggiamento Reagire Emanare ansia, colpevolizzare Contenere/elaborare sofferenza-disagio Diffondere odio, c ritiche, lamentele, attaccare Pensare, riflettere, elaborare Seminare disperazione, scoraggiare

+++ ---

ATTEGGIAMENTI RELAZIONALI

Setting - Luciano Cerioli

11

SSEETTTTIINNGG

RELAZIONE PROFESSIONALE

Finalizzata a uno o più obiettivi da perseguireTemporanea, transitoria

Strumentale, contrattuale, non fine a se stessaEterocentrata, focalizzate su “oggetti” esterni alle persone

Secondaria rispetto alle relazioni d’amicizia, d’amore, d’affettoAsimmetrica e dissimmetrica (non si è sullo stesso piano)

Sé Professionale

Sè Sé

Professionale

Setting - Luciano Cerioli

12

SSEETTTTIINNGG

Dinamica del gruppo Possibile modulazione del conduttore Svalorizzazione dell’incontro tramite simmetrizzazioni amicali

Atteggiamenti consapevolmente responsabilizzanti e insediamento nel ruolo

Esercizi depressivi (proposte impossibili, fomentazione d’ansia, evocazione di divieti e nemici, auto e eterosvalutazione, …)

Riorganizzare la speranza, aderire alla realtà, evidenziare possibilità

Idealizzazioni e sopravalutazioni Richiamo alla realtà e alle effettive possibilità

Atteggiamenti di timore, preoccupazione, freddezza, sospetto

Rassicurare, contenere, incoraggiare, sostenere, offrire calore ed empatia

Clima formalistico, esteriore, conformistico, routinario

Coinvolgere, spiazzare, far partecipare, incoraggiare

Impulsività, iperattività, reattività, superficialità

Riflessività, profondità, aiuto ad un pensiero più verticale

Passività, impotenza, demotivazione, inattività

Proporre ipotesi di lavoro, delegare, incoraggiare, responsabilizzare

Colpevolizzazioni, lamentele, critiche, aggressività

Dare fiducia, offrire possibilità, scommettere su fattibilità, non giudicare

Mors tua, vita mea – Mors mea, vita tua Mors tua, mors mea – vita tua, vita mea

Setting - Luciano Cerioli

13

SSEETTTTIINNGG

Area degli atteggiamenti

Area di azione e lavoroArea strutturale

Struttura topologica, organizzativa, ambientale,

Obiettivi, scansioni, tecniche e strategie, ruoli e regole

Registri mentali

STRATIFICAZIONI DEL SETTING PROFESSIONALE

Setting - Luciano Cerioli

14

SETTING E’SETTING E’mmodo di stare con

ddisposizione e l’atteggiamento mentalemmodo di pensare e di relazionarsi

ccornice, lo sfondo, lo scenario mentale e fisico iinsieme di condizioni mentali, di modalità comunicative e relazionali, di

elementi concreti (il luogo, la disposizione delle persone, l’ambiente, gli orari, le regole, i rituali…) che permette di sviluppare una forma di relazione

emancipativa.ccondizione necessaria e indispensabile per comprendere e orientare le

persone ai traguardi professionali e personali definiti

SSEETTTTIINNGG

Setting - Luciano Cerioli

15

SSEETTTTIINNGG

Ac-co-glienza

Indica-zione de-gli obiet-tivi, dei tempi, e delle a-zioni

Informazioni

Discussione e/o rilevazione dei

feedback

Riformu lazione

Chiusura

t e m p o

SET INFORMATIVO

Reperibilità Puntualità (in/out) Affidabilità

Condivisione cambiamenti (mai troppi) Trasparenza

Buona organizzazione Essenzialità Costanza, fedeltà coerenza al progetto Chiarezza Giusta distanza

Setting - Luciano Cerioli

16

SSEETTTTIINNGG

SET INFORMATIVO

Partecipazione, coinvolgimento, proattività

Comunicazione diretta, chiara, non generica o ambigua

Capacità di esprimere incoraggiamento, sostegno, ascolto, stimolazione

Capacità di esprimere dissenso , sapere e potere dire di no , affermare i propri punti di vista senza negare, attaccare o cercare di vincere sugli altri

Utilizzo di un registro positivo rispetto a quello negativo

Comunicazione razionale, realistica, mai aggressiva o minacciosa

Saper chiedere chiarimenti, motivazioni, punti di vista

Saper difendere e tutelare con fermezza il proprio e altrui ruolo, funzioni, diritti delle persone e dell’organizzazione

Assertività

Setting - Luciano Cerioli

17

SSEETTTTIINNGG

SET INFORMATIVO

Sono un gruppo di persone demotivate e irresponsabili

Tendenza a controllare, dominare, aggredire, difendersi o infantilizzare gli interlocutori

Sono persone che non acce tteranno il mio ruolo, la mia supremazia, l’esercizio del potere

Tendenza a sottomettersi al gruppo, a farsi autorizzare l’esercizio del potere, a farsi sedurre o a sedurre

Tendenza a esibire la propria superiorità (rifugiarsi nell’espertese, enfatizzare il proprio impegno, sottolineare le proprie qualità e possibilità)

Sono persone che evitano di assumersi le responsabilità

Tendenza a colpevolizzare, minacciare, criticare, lamentarsi.

Sono persone critiche, che non danno fiducia

Tendenza a sedurre, fare i “beneducati”, deresponsabilizzarli, assumersi incarichi e impegni.

Tendenza al formalismo, al mettersi “in una botte di ferro”, allo schiacciarli in strade senza uscita, al non lasciare spazi di critica, al risultare “senza peccati”.

Sono persone deboli, fragili, infantili, incapaci

Tendenza alla disconferma deg li interlocutori, al paternalismo, alla loro svalorizzazione, al loro controllo

Setting - Luciano Cerioli

18

SSEETTTTIINNGG

SET IDEATIVO

Accoglienz

a

Indicazione degli

obiettivi, dei tempi, e delle azioni

Eventuali

ipotesi (semilavorati)

Ideazione e co-costruzione

Riformu lazione conclusi

va

Chiusura

t e m p o

Definire e custodire il setting, Aiutare ad accorgersi

Facilitare la riflessione e l’espressione Aiutare ad analizzare e a chiarire

Ascoltare attivamente Rispecchiare, riformulare

Amplificare Spiazzare

Sollecitare indirettamente Non re-agire

Apparire un po’ ignoranti

Setting - Luciano Cerioli

19

SSEETTTTIINNGG

SET RIFLESSIVO

Cue

Rappresentazioni, risonanze, percezioni

indotte dallo stimolo-pretesto

Setting - Luciano Cerioli

20

SSEETTTTIINNGG

SET RIFLESSIVO

Accoglienz

a

Obiettivo, regol

e, temp

i

Cue

(pretesto

stimolativo)

Elaborazione

Riformu lazione

conclusiva

Chiusura

t e m p o

Avalutatività - Non omissione - Astinenza - Auto/Eterocentratura

Intransitività conoscenze - Discrezione - Rispetto

Definire e custodire il setting - Facilitare la riflessione e l’espressione - Ascoltare attivamente – Amplificare - Aiutare ad accorgersi - Aiutare indirettamente ad analizzare e a chiarire - Rispecchiare, riformulare - Spiazzare - Sollecitare indirettamente - Non re-agire - Apparire un po’ ignoranti -

Setting - Luciano Cerioli

21

SET RIFLESSIVO

Incoraggiare (individuare, sviluppare le “isole di capacità”)

• Rilevare e comprendere i sintomi collettivi e individuali (non at-taccarli)

• Predisporre viabilità allo sviluppo

• Agire pensando e imparando dall’esperienza

• Inventare, immaginare, creare mondi

• Deletteralizzare, non giudicare

• Spendere i propri talenti “gratuitamente”

CCAAPPAACCIITTAA’’ PPOOSSIITTIIVVEE SSEETTTTIINNGG

Setting - Luciano Cerioli

22

SET RIFLESSIVO

SSEETTTTIINNGG

CCAAPPAACCIITTAA’’ NN EEGGAATTIIVVAA

•Contenere

• Rispettare (guardare un’altra volta) – rispettarsi

• Saper stare mentalmente soli

• Non sedurre, non farsi sedurre

• Saper stare nell’incertezza, nelle domande, nel vuoto

• Non cercare conferme, non pagare debiti

• Potere e sapere dire di no e di sì

• Non dare risposte dirette, aiutare a pensare

• Non fare al posto di

• Accogliere, comprendere, amplificare, rispecchiare, riformulare

• Astenersi dal prescrivere, giudicare, convincere

• Let it be (non “voler” cambiare gli altri)

CCAAPPAACCIITTAA’’ NN EEGGAATTIIVVEE

Setting - Luciano Cerioli

23

SSEETTTTIINNGG

AAIIUUTTOO A divenire consapevoli di ciò che si è e si fa

davvero nell’organizzazione

A riconfigurare la propria organizzazione in modo da:

A generare senso e interesse per le persone

A sviluppare i potenziali individuali e gruppali

A integrare gli stili personali di vita con gli stili professionali

A rendere sinergici gli obiettivi professionali con i valori e le potenzialità individuali

SSiiggnniiffiiccaattii ppeerr ll''iinnddiivviidduuoo

FFiinnaalliittàà ddeellll’’

oorrggaanniizzzzaazziioonnee

Luciano Cerioli

Realtà Fisica Realtà Fisica Realtà FenomenicaRealtà Fenomenica

• Vedere ciò che non c’è Vedere ciò che non c’è

(presenza fenomenica in assenza fisica)(presenza fenomenica in assenza fisica)

• Non vedere ciò che c’èNon vedere ciò che c’è

(presenza fisica in assenza fenomenica)(presenza fisica in assenza fenomenica)

• Vedere ciò che è impensabileVedere ciò che è impensabile

(Presenza fenomenica in assenza logica)(Presenza fenomenica in assenza logica)

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Vedere ciò che non c’èVedere ciò che non c’è

(presenza fenomenica in assenza fisica)(presenza fenomenica in assenza fisica)

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non vedere ciò che c’èNon vedere ciò che c’è

(presenza fisica in assenza fenomenica)(presenza fisica in assenza fenomenica)

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non vedere ciò che c’èNon vedere ciò che c’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non vedere ciò che c’èNon vedere ciò che c’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non vedere ciò che c’èNon vedere ciò che c’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

Non Non

vederevedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

non non

èè

pensa-pensa-

bilebile

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

PRESENZE FENOMENICHE PRESENZE FENOMENICHE

IN PRESENZA FISICAIN PRESENZA FISICA

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano Cerioli

Realtà Fisica e Realtà FenomenicaRealtà Fisica e Realtà Fenomenica

VedereVedere

ciò ciò

cheche

c’èc’è

ee

non non

c’èc’è

Luciano CerioliDall'indifferenziatoDall'indifferenziato

luciano cerioliluciano cerioli

Luciano Cerioli 22

Scarica elettrostatica in cui gli elettroni ristabiliscono l’equilibrio nella differenza di potenziale stabilitasi. L'intensità elettrica di un fulmine varia tipicamente tra i 10 e i 200 Kiloampere.

Luciano Cerioli 33

Tenendo presente il carattere tridimensionale delle onde sonore, l’intensità (I), viene definita: I = E tot / S · t = W / 4 · π · r²

BOOOOM!!!

Dall’indifferenziatoDall’indifferenziato

SACRO = il SEPARATO (dall’UMANO), lo sfondo pre-umano da cui l’umano si è separato con la violenza del logos.

Dal Sacro l’uomo si sente attratto e allontanato. Del Sacro, delle Origini ha sempre nostalgia, un malinconico desiderio (algìa) di tornarsene a casa (nòstos).

Ogni RELIGIONE tende a recingere, a raccogliere in sé (re-legere) l’area del sacro, così da garantire la separazione e il contatto fra l’umano e il divino

Nel SACRO, l’INDIFFERENZIATO (syn-ballein); Nel LOGOS il DISGIUNTO (dia-ballein)

Eraclito: “L’uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l’altra. Per il dio tutto è bello, buono e giusto”. (fr.B102)

Il dio abita l’indifferenziato, l’uomo la differenza

Il Sacro, il divino, il simbolico come fondale di provenienza. Come il prima dell’Io. Come l’inconscio. Come il Sé.

44

SACER = SACRO-MALEDETTOSACER = SACRO-MALEDETTOLa tragedia greca racconta di dèi, semidèi ed eroi meno distanti dall’umano. Dèi=athànatoi

“Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi” (F.Nietzsche)

Negli dèi, l’umano. L’umano a volte inaccettabile, proibito, mostruoso, distruttivo, brutale.

Il volto ambiguo del divino: benedetto e maledetto (sacer)

Dia-bolos: personificazione del male rimosso, dell’inconscio auto ed eterodistruttivo

Il maledetto dentro diventa benedetto fuori. L’espulsione (proiezione) nel divino sembra trasformare il malefico nel benefico, alleggerendo la responsabilità dell’umano.

Posta fuori, collocata nel divino, la violenza agisce come pharmakon, rimedio e veleno, cura e minaccia.

55

Dentro e fuori il sacroDentro e fuori il sacroNel regno del Sacro il non differenziabile, il non controllabile: mostri, morti, divinità, dèmoni, istinti, pulsioni, passioni, malattie, processi simbolici di nascita e di morte, follia, sovvertimento del logos e del diurno

Dal Sacro ci si deve guardare ma anche esporre in condizioni di “protezione”

Lo sciamano può curare se è stato investito e salvato dal sacro.

Il sacerdote come regolatore del sacro

Il sacrificio distrugge l’ordine, i legami, la normalità, il diurno: il rapporto col divino esige il sacrificio dell’Io.

66

Dal detto al ri-chiamato: il mitoDal detto al ri-chiamato: il mitoIl Mito è ricerca dell’origine. E’ protologico. Guarda al passato. E al presente in cui torna il passato.

Il mito non è qualcosa, fa essere

Il Mito non è ciò a cui si può pensare, ma ciò in cui e da cui si può pensare

Il Mito non dice: fa tornare dal detto al ri-chiamato

Il Mito è la Parola originaria. E’ silenzio. Ogni sua parola è ap-propriata se è es-propriata, se non si risolve in ciò che dice, ma rimanda al non dicibile.Il Mito è cognitio matutina, filosofia del mattino (Nietzsche)

Il Mito abita i sogni, le passioni, le tendenze, le paure, gli ideali, le pulsioni, i sentimenti e i risentimenti

77

ARCHETIPI E MITIARCHETIPI E MITIARCHETIPI= forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo della coscienza.

Modelli-sorgente della psiche; radici dell’anima e dei miti.

MITI= figure in cui si incanala l’energia dell’archetipoL’algoritmo saussuriano: S/s

Importante conoscere da quali MITI siamo agiti

I Miti de-mitizzati divenuti le nostre patologie

88

KatharsisKatharsis•Καθαίρώ: pulisco, purifico.

Liberarsi dalle “passioni”Proiettandole ed esteriorizzandole

Trasformare le “passioni”Integrandole nell’IO

PSP PD

• “Andiamo alle tragedie non per liberarci dalle emozioni, ma per averne di più. Per banchettare con esse, non per purificarci” (F.L.Lucas, 1947)

• I miti come serbatoio della tragedia (Atene, V sec a.C.): l’epica li racconta, la tragedia li mette in scena e li fa vivere nel presente.

• W.Goethe: l’essenza del tragico nel “conflitto inconciliabile”, nelle contraddizioni profonde e insanabili dell’esistenza umana.

• La messa in scena degli opposti: successo/potere e sconfitta/morte, bene e male, libertà e sottomissione, giustizia e ingiustizia, forza e debolezza, colpa e responsabilità, uomo e divino, maschile e femminile, genitori e figli, re e sudditi, …

99

Luciano Cerioli

Mythos – epos - logosMythos – epos - logos

Epos: che si può e si deve dire Myò - mutus: a bocca chiusa Thòs: espressione onomatopeica emessa a bocca chiusa

Linguaggio da riempire, contenitore, discorso da animare

Parola Prima, inarticolata, immediata. Linguaggio animato, pensiero espressivo, Parola operante, linguaggio interiore, partecipato. Conoscenza immediata, indicibile, silenziosa.

Oggettivo, descrittivo, analitico Soggettivo, intuitivo, globale,

Epos - logos MythosParola discorso racconto

1100

Luciano Cerioli

Conoscere - comprendereConoscere - comprendereRacconto primitivo, fantasioso, superstizioso, popolare, ingenuo, infantile, irrazionale, animistico,

Allegoria, metafora che nasconde verità non altrimenti dicibili

“Non sapienze riposte da rivelare, ma genuina concezione del mondo dell’umanità primitiva”(G.B.Vico,

Socrate: “Lo sforzo che esse interpretazioni (dei sofisti) presuppongono svia dal vero oggetto del pensiero: la riflessione su se stesso e la conoscenza di sé” (Fedro – Platone par229.230)

“Appercezione mitica” – Concezione emotiva e sentimentale(W.Wundt, 1900)

“L’eterna verità dell’uomo”(Friedrich Creuzer, 1810)

La mitopoiesi tende a unire e mediare fra gli opposti (C.Lèvi-Strauss, 1964)

“La storia degli dèi parla di noi”(G.Durand, 1972)

1111

Luciano Cerioli1122

Dalla comparsa dell’Io all’Egologia

• Annunciato da Platone, esplicitato da Cartesio, l’uomo occidentale un giorno ha detto IO. Da allora prova a dominare il mondo con la ragione, prova ad aver ragione del mondo.

•Lacan: “Penso dove non sono. Dunque sono dove non penso”. “L’Io è parlato”. “L'Io si è strutturato come un sintomo. E’ la malattia mentale dell'uomo”. Con l'accesso al linguaggio “si sovrappone il regno della cultura a quello della natura“.

• Dal freudiano "Là dove era l'Es, deve venire l'Io", al: "L'Io deve avvenire là dove era“. Il primato del simbolico.

• Il gesto violento della ragione (A è solo A e non anche non-A) ripara l’Io dalla violenza maggiore della non-differenza.

Luciano Cerioli 1313

Dalla comparsa dell’Io all’Egologia

• • Progressivamente l’IO si sottrae alla violenza del Sé, da quello sfondo pre-umano che le religioni chiamano Sacro

• Ogni esperienza verrà codificata e tradotta in sapere. Solo guardando al sapere gli uomini sapranno di sé. Impareranno cos’è la salute e la malattia dalla medicina, lo star bene e lo star male dalla psicologia, la maturazione dalla pedagogia, l’ordine e il disordine dalle scienze sociali. Cercheranno le loro identità nelle regole discorsive che hanno costruito.

• “Il nostro diciannovesimo secolo non è il secolo delle vittoria della scienza, ma la vittoria del metodo scientifico sulla scienza” (F.Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889,

in: Opere, Adelphi, Milano, 1974, vol. VIII, 3, fr.15 (51) p.231).

• “Conoscenza scientifica e abilità tecnica si trovano sempre nella condizione di spiegare qualcosa, senza nulla comprendere, a meno di non considerare compreso un fenomeno per il solo fatto che gli si è assegnato un nome” (K.Jasper, Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2000, p.30).

Luciano Cerioli1144

Dalla comparsa dell’Io all’Egologia

•Dicendo il mondo, non lo abitiamo più. Dicendo noi, abitiamo il nostro dire di noi. Il mondo ci parla con le nostre parole.

• “E’ necessario dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i princìpi, secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbiano valore di legge, e nell’altra l’esperimento, che essa ha immaginato secondo questi princìpi: per venire, bensì, istruita da lei, ma non in qualità di scolaro che stia a sentire ciò che piaccia al maestro, sebbene di giudice, che costinga i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge”. (I.Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Bari, 1959, pp.18-19)

• La ragione matematica diventa legislatrice, detta le leggi per vedere il mondo; dice come bisogna “metterselo di fronte” (ob-jectum) per poterlo conoscere nella sua oggettività.

• Ciò che viene spiegato è semplicemente ciò che viene ridotto a ciò che è anteriormente supposto.

Luciano Cerioli 1155

Terra di OCCIDENTE: terra del tramonto, della sera (occasum)

Il linguaggio occidentale è costruito sul principio di causalità, identità e di non contraddizione (A non è non-A). Tra A e non-A tertium non datur = non c’è una terza possibilità: o A o non-A.

Il linguaggio dell’Uno: nomina le cose secondo la loro unità, per controllare l’indeterminabile molteplice, ma così esclude e limita il duplice. E’ diabolico, è binarius, è disgiuntivo. Elimina e allontana da sé ciò che una cosa e l’altra insieme. Facendo giorno, incrementa la notte.

La civiltà occidentale ha stabilito l’identità di ogni cosa con se stessa e l’ordine rigoroso delle sue relazioni. L’uni-verso che ne è nato ha dissolto ogni di-verso, differente, ambivalente. Immagini, sogni, simboli, miti, affetti, pulsioni, emozioni, reverie… abbandonate. L’inconscio rimosso.

Luciano Cerioli1166

La ragione diventa volontà d’aver ragione: i simboli tacciono e il loro silenzio produce sofferenze

La memoria sommersa ma non estinta del rimosso rappresenta l’inconscio collettivo dell’occidente.

Il linguaggio dell’Uno caccia e getta lontano (dia-bàllein) il linguaggio dell’Altro: all’es-pressione del primo si oppone la re-pressione del secondo. Il primo è chiaro, diurno, il secondo diviene sempre più scuro e notturno.

Il monoteismo occidentale sopprime l’ambi-valenza simbolica con la pre-valenza: teologica, monarchica, fallocratica, logocentrica, capitalistica, tecnologica, intelletualistica.

Il potere unilaterale dell’Io fa ammalare il dono dell’Altro (inconscio): sofferenze individuali e collettive

Percorrere l’Altro (liberare l’inconscio, l’Ombra) o collegare l’Uno all’Altro?

Il simbolo (sun-bàllein) compone i distanti

Luciano Cerioli1177

• Inventato il concetto (cum-capio) , l’Occidente ha perso le immagini. Il concetto disgiunge, fissa, identifica, assume, prende, com-prende, limita la con-fusione (syn-bàllein): è un segno che sta per i molti della stessa specie. Il cavallo sarà solo tutti i cavalli, non più istinto, forza, libertà, impeto, desiderio, sacrificio, fedeltà…

• La storia del linguaggio occidentale è una progressiva fissazione delle basi discorsive per imporre l’uni-formità, l’uni-verso contro i rischi degli slittamenti semantici. Il linguaggio de-termina le cose e s-termina le ambivalenze e le oscillazioni.

• Nel linguaggio e nella conoscenza scientifica la presenza delle cose è un loro dis-porsi nella rap-presentazione del conoscitore. Il loro essere è uno star-di contro (ob-jectum) al soggetto che ha disposto l’ordine di presentazione. I dicenti diventano funzionari di un linguaggio che si recita da solo.

Luciano Cerioli1188

Ste SteSte SteSg = ----- Sb = --------Sg = ----- Sb = -------- Sto ?!?Sto ?!?

• Il simbolo svelato, muore (diventa segno). Il simbolo è morto se non rinvia.

• Il simbolo contiene un’eccedenza di senso rispetto al senso riconosciuto. La sua forza dura finché permane l’eccedenza.

• Il simbolo si esprime in immagini, anche il segno, spesso. Se l’immagine non apre all’ambivalenza, rafforza l’equivalenza del segno (es. segnaletica sessuale in diffusa ermeneutica dell’onirico).

• Il simbolo non risponde al tì esti (che cosa è) platonico: non significa e non va interpretato/svelato. Il simbolo non è qualcosa, fa essere qualcosa.

• Il progresso, il logos, la coscienza, l’Io deve esaurire o depredare il serbatoio dei simboli? (“Dov’era Es, sarà Ego…”.

• La riduzione del simbolo a significati fissi, l’arresto di senso, il rifiuto delle contraddizioni, la conversione dell’ambivalenza a polivalenza o equivalenza sono le caratteristiche del linguaggio messo a disposizione dalla pre-potenza della ragione

Luciano Cerioli 1919

• Il segno e il simbolo rinviano ad altro: il primo ad un significato fisso e convenzionale (aliquid stat pro aliquo), il secondo ad una eccedenza di senso

• I simboli non significano e non si interpretano: agiscono, operano, fanno essere, mostrano connessioni, vicinanze, prossimità, ricchezze non contenute nella parola, ma in cui la parola è contenuta.

• L’ermeneutica interroga l’ordine simbolico a partire da quello semantico, per cui chiede cosa è, cosa significa.

• In C.G.Jung: Simbolo come:

• antecedente del segno

• azione che compone i distanti

• eccedenza di senso, trascendenza

Luciano Cerioli 2020

• Il simbolo parla non se si perde la coscienza, ma se la si relativizza.

• “L’inconscio è la storia non scritta dell’uomo”.

• La terra della sera (Occidente) che ha vissuto di ragione dispiegata, ha bisogna della terra degli inizi (Oriente).

• Thèa-orào, vidya, Veda, contemplare: “l’atto stesso del mio contemplare e vedere, crea” (Plotino, Enneadi, III).

• Identità e ipseità, Idem e ipse, Io e Sé.

• “Se qualcuno vuol seguirmi, neghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi infatti vorrà salvare la sua anima la perderà, chi perderà la sua anima per me la salverà”. Cristo simbolo del Sé. Per individuarsi occorre sacrificare il volto attuale dell’Io. Nel passato l’identità, nel futuro l’individuazione. Implica rinuncia a ciò che si è per ciò che si può essere.

Dell’anima, propriamente, può parlarme solo un dio. L’uomo può solo accennarne per simboli ed immagini. Platone, Fedro.

Luciano Cerioli 2121

Ogni notte l’uomo accende una luce a se stesso. (Eraclito)

• Che una cosa sia simbolo o no, non dipende dalla cosa, ma dal mio sguardo.

• Il sacrifico dell’Io è la rinuncia non dell’Io (follia), ma del suo assolutismo. L’Io, da attore unico, permane come spettatore che comprende.

• “Ogni bene ha il suo male, ogni giorno la sua notte, ogni estate il suo inverno. Ma forse all’uomo civile manca l’inverno” (CG Jung)

• Il linguaggio non è dell’uomo, l’uomo è del suo linguaggio. La mancanza di parole non è esaurimento del vocabolario, ma limite dell’apertura simbolica.

• Non c’è metodo (metà-hodòs= la via più breve che porta a destinazione) nel leggere i simboli. La via (hodòs) è un sostare nella strada per permettere un ritorno, per unire gli inizi. Il simbolo è un richiamo all’origine. Il ta’wil islamico. Non afferrare le cose, ma incontrarle al loro Oriente.

• L’inconscio non è solo il luogo del rimosso, ma anche del ritorno.

• Il sintomo è il simbolo rimosso, un’antitesi e un’ambivalenza repressa.

Luciano Cerioli 2222

L’esperienza del negativo

• E’ l’esperienza del negativo (della mancanza, della finitezza, del dolore, della morte) che promuove la ricerca

• La morte come rimosso della cultura occidentale. La sofferenza e il dolore ne è anticipazione. Sottraggono la vita, ne riducono l’espansività

• In cultura greca: il dolore è costitutivo dell’esistenza

• In cultura giudaico-cristiana: il dolore è costitutivo della colpa dell’esistenza e mezzo del suo riscatto

• La pedagogia del dolore (abnegazione di sé, portare la croce, patire, Imitatio Christi)

• “La morte di Dio non lascia solo orfani, ma anche eredi. La necrosi di Dio dà luogo a un innumerevole pullulare di salvezze fallimentari” (S.Natoli, L’esperienza del dolore, Feltrinelli, Milano, 1986)

Luciano Cerioli 2323

L’esperienza del negativo

• La potenza del sapere che guarisce come la versione odierna della fede che salva.

• La rimozione del dolore e della morte

• Per cultura greca: la risposta al dolore non può essere la rassegnazione né l’illusione, né la rimozione, ma il sapere (màthesis) e la virtù (areté)

• Era Uomo tragico, non Uomo colpevole (cultura giudaico cristiana), non Uomo malato (psicopatologia)

Luciano Cerioli 2424

• Conoscenza oggettivante ed espropriante vs conoscenza accogliente

• Fronteggiare, catturare, scoprire, svelare gli oggetti vs accoglierli, integrarli, lasciarli risuonare, accompagnare, distillare

• Cogitor: negative-capability, conoscenza passiva, accoglienza dell’indeterminato, apertura all’incategoriale, all’ambivalenza, all’oscuro, al

magmatico, al daimonico, alle latenze, al corporale, all’inabissato, al metaforico, al dissolto, all’Ombra, all’animale, al naturale, al perturbante, al

misterioso.

• Cogitor come disposizione mentale pre-classificativa: si depone l’arma della conoscenza, le bandiere del possesso, i rasoi del logos

• Cogitor come nigredo, opera al nero, contro il delirio e il feticismo rischiaratore del logos occidentale

Cogito, ergo sumCogito, ergo sum

Sum, ergo cogito Sum, ergo cogito

Cogitor, ergo sum, ergo cogitoCogitor, ergo sum, ergo cogito

HERMES-HERMES-MERCURIOMERCURIO

Figlio di Maia (ninfa) e di Zeus (mentre Era dormiva).Già da piccolo astuto, mentitore, musicista, seducente e ladro.

Ermes-Mercurio è ovunque.Vola, viaggia, telefona, chatta, naviga, gioca in borsa, scambia, downloada, negozia, commercia, va in banca…Sino all’intossicazione ermetica

2525

ARES - MARTEARES - MARTEFiglio di Zeus ed Era, allevato da Priapo, Padre di Deimos (Paura), Fobos (Terrore), AmazzoniDistruttore e sbruffone, spaccone e impulsivo, odiato da tutti, coraggioso e determinato, arrogante e collerico, scatenato, disinibito, insensibile, feroce.Ma anche affascinante (si era unito ad Afrodite), maestoso, seducente, attraente, forte, senza paura, vitale, intenso, trasgressivoTutto istinto, pocopensiero. Il fragorelo eccita, il caos losprona. La sopraf-fazione brutale loappaga.

2626

ADE - PLUTONEADE - PLUTONE • Ade (Ἅιδης / Aidês), fratello di Zeus e di Poseidone, figlio di Crono e di Rea, padrone degli Inferi. La sua sposa è Persefone. Con Ade si intende anche lo stesso mondo degli inferi. Corrisponde al dio egizio Serapide e al latino Plutone.• Incerta etimologia. Forse α (alfa privativo) + ἰδεῖν (ideĩn, forma del verbo εἴδω / eídô, « vedere ») = invisibile.• E' sempre visto come il dio dei morti, temuto ed odiato.• E’ rappresentato come un uomo maturo, barbuto e feroce, spesso seduto su un trono e dotato di una patera (piatto) e di uno scettro, con il cane a tre teste, Cerbero, o un serpente ai suoi piedi. Indossa un elmo o un velo che gli copre il voltoe a volte gli occhi. • Per Ade si sacrificavano, unicamente nelle ore notturne, pecore o tori neri, e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso. Per Omero: il più ripugnante degli dei. Culto poco sviluppato. Rare le statue che lo rappresentano.I sacrifici in suo onore erano effettuati distogliendo lo sguardo dall'offerta, che dopo il rito veniva distrutta.

2727

ADE - PLUTONEADE - PLUTONE • Il suo cane Cerbero: inflessibile con i defunti.

Catturarlo è una delle dodici fatiche imposte ad Eracle e tutti gli eroi che scendono nell’Ade (Ulisse, Orfeo, Enea) devono eluderne la terribile vigilanza. • Signore del morire e del rinascere• Fratello invisibile della notte, delle ombre, del profondo• Lontano dall’olimpico e dal luminoso: relegato ai margini della vita e della coscienza. • E’ là dove non si guarda e non si pensa mai.• Guardiano del represso e del rimosso: segreti, vergogne, risentimenti, passioni, rimpianti, separazioni, lutti, tradimenti, irrisolti, sconfitte, veleni, perdite, rabbia, gelosia, morte, odio, invidia, dolore, depressione.• Il necessario viaggio nelle sue terre

2828

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C ILow Touch High-Tech

Desiderio di conoscere

Didatticismo paranoico

Silenzio, riflessione,

assenza

Maniacalità dell’Io

Sostare Trasformare, cambiare

2929

Luciano Cerioli

CRESCERE-SVILUPPARSI-MIGLIORARE• Mito economico: il n/s PIL interno• Le psicologie “evolutive”, dello “sviluppo”, gli andamenti stadiali,

scalari, le fasi• Ossessione per il confronto con lo standard• Timori di collocarsi nella parte ponderometrica negativa della gaussiana• Le menti stadializzate• Le tabelle di marcia come predizioni scientifiche • Sindrome dell’inadeguatezza: difficile non essere sotto o fuori in

qualcosa• Il fascino del paradigma adultificante• Lo “sviluppatore” aziendale: anche quando taglia le teste• I processi di Mcdonaldizzazione, che superano i modelli taylorista e

toyotista (efficienza, calcolabilità, prevedibilità, controllo)• Tutto diventa fast e big, more and more• Tecnodidattica per accelerare l’uscita del bambino dalla bambinaggine e

l’adolescente dalla stupidità• Ma anche l’adultità deve ora ancora crescere…

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

3030

Luciano Cerioli

ENERGIA

• Il terrore dell’esaurimento• La mania per la luce, il visibile, il diurno, il chiaro, il risolto,

le risposte• La paura dello ctonio, oscuro, incerto, aurorale, black-out

• Essere svegli, attivi, veloci, energici, vitali, solari, assertivi, chiari, decisi, forti, sicuri, belli, sani, noti, visibili, tonici,

scattanti, reattivi, erettivi, fotogenici, rassicuranti, godibili, giovani, sorridenti, empatici,

• Energia estetizzata

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

3131

Luciano Cerioli

CAMBIARE

• Changing - Development: atti di fede• E’ il mitologema dell’educare, istruire, formare, curare• La flessibilità• La novità (moda, pubblicità)• La metabletica• Le “resistenze al cambiamento”• Le terapie che “vogliono” cambiare il paziente che resiste• Addomesticare l’affettività (le intelligenze emotive)

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

3232

Luciano Cerioli

Chi forma davvero? Le nostre pedagogie o noi? E cosa di noi?

• Ciò che non si accetta, si è destinati a diventarlo… Ciò che si manda via, ci fa diventare…

I padri/madri/maestri che non riescono ad assumersi la propria parte di umana imperfezione, costringono i figli/allievi a esprimerla nella propria vita.

Ogni figlio, ogni allievo è condannato ad assumersi l’ombra dei genitori e maestri

Ogni figlio, ogni allievo deve vivere la vita non vissuta dei genitori e maestri

Non si può cambiare niente che non sia stato prima accettato

Si diventa sempre la cosa che più si combatte.3333

Luciano Cerioli

Ciò che non conosciamo e non integriamo in noi, impediremo all’altro di conoscerlo e accettarlo…

Non è la teoria che forma: siamo noi. La nostra personalità è più importante di quel che diciamo e pensiamo

I nostri interlocutori possono essere più sensibili e profondi di noi che li vogliamo aiutare

Non si può portare nessuno più in là di dove siamo arrivati

Il nostro metodo siamo noi (Ars totum requirit hominem)

Possiamo sistemare e ordinare nell’altro solo ciò che siamo riusciti a sistemare in noi.

3434

Luciano Cerioli 3535•Sono la loro comprensione (Talmud)

•Contengono autoritratti

•Non ingannano, non comunicano “en travesti”, ma come possono

• Precedono la nostra coscienza

•Teatro della mente

•Strutture mentali di forze primarie, istintive

•Forme di vita mentale

•Non evasione da realtà, ma realtà interiore

Immagini mentali – Simboli – Immagini mentali – Simboli –

MitologemiMitologemi

Luciano Cerioli 3636

Perché?Perché?

Per appagare in modo mascherato desideri repressi o rimossi

Per accorgerci di ciò di cui non ci accorgiamo

Per alleviare le nostre unilateralità

Per darci ciò che ci manca e di cui abbiamo bisogno

Correttori di univoci punti di vista, barometro dell’unilateralità

Immagini mentali – Simboli - MitologemiImmagini mentali – Simboli - Mitologemi

Luciano Cerioli 3737

Dal cercare risposte al trovare nuove paroleDal cercare risposte al trovare nuove parole

• Le parole che dici, sono quelle di chi ascolta

• Il simbolo vive se sai relativizzare l’oggetto

• Nessuno crea, ma accade a se stesso

• Di notte, ogni uomo accende una luce a se stesso (Eraclito)

• Non la carne si fece verbo, ma il verbo si fece carne

Luciano Cerioli

Molto disapprendimento, molta superficialità sembrerebbero sintomi di:

Non conoscenza di sé – distanza da sé, non presenza

• Non mancanza di forza centrifuga , ma eccesso di forza centripeta (difese dal pensare)

• Non carenza di “intelligenza”, ma inibizione e restrizione dell’intelligenza disponibile

• L’allievo non è in classe, non è in sé, non è dimostrata la sua esistenza.

Nei dintorni di DelfiNei dintorni di Delfi

Come Come aiutarloaiutarlo 3838

Socrate: “Per queste cose non ho tempo, e la ragione, mio caro, è questa: io non sono ancora in grado di conoscere me stesso, come prescrive l’iscrizione di Delfi. E perciò mi sembra ridicolo, non conoscendo ancora questo, indagare su cose che mi sono estranee” (Platione, Fedro, 229 e-230 a.)

Luciano Cerioli

Nei dintorni di DelfiNei dintorni di Delfi

3939

CONOSCERSI

• Fare esperienza del limite, conoscere i propri confini (l’uomo è in eccesso già dalla nascita: il suo compito non è di infrangere i limiti –no limits-, ma di darseli)

Luciano Cerioli

IO

Cosa so di me

Quali sono i miei pensieri

Come funziono

Come penso di conoscere

Quali i miei stili di conoscenza

Quali i miei modelli mentali

Quali le miei difficoltà

Quali le mie possibilità4040

Luciano Cerioli

ΨArea del residuale, latente,

del rimosso, del pre-logico, del simbolico

-K

IO

4141

Luciano Cerioli

Cogitor

Ergo sum

Ergo cogito

Pensare l’allievo: la relazione formativa e le capacità relazionali

“Esse est percipi”.

Capacità positive e negative

La mente primitiva: ingenua o satura di simbolismi non da svelare, ma da deletteralizzare?

Incontrare, far parlare, accogliere i simboli interni

Bonificare il residuale della mente

Dall’idem all’ipse

4242

Luciano Cerioli

Cogitor, ergo sum

• La mente del docente come strumento di lavoro

• Le misconoscenze del docente

• Le capacità riflessive del docente

• La dimensione d’ombra del docente

• Il transfert nella relazione formativa

• Si dà ciò che si ha

• Non solo rêverie epistemica (onde theta dell'EEG) ma facilitazione all’incontro con le immagini e simboli interni, i propri mitologemi

4343

Luciano Cerioli

Cogitor, ergo sum

• Sperimentazione di una conoscenza accogliente vs oggettivante ed espropriante

• Dal catturare, fronteggiare, scoprire, svelare gli oggetti all’accoglierli, integrarli, lasciarli risuonare, accompagnare, distillare

•Negative-Capability, conoscenza passiva, accoglienza dell’indeterminato, apertura all’incategoriale, al preclassicativo, all’ambivalenza, all’oscuro, al magmatico, al daimonico, alle latenze, al corporale, all’inabissato, al metaforico, all’analogico, al dissolto, all’Ombra, al naturale, al perturbante, al misterioso. Al simbolico.

4444

Luciano Cerioli

Sum, ergo cogito

LE CONDIZIONILE CONDIZIONI

• Sviluppo sensibilità e capacità clinico-pedagogiche

• Installazione e presidio di setting riflessivi

• Triangolazione con pre-testi semiproiettivi (simbolico-evocativi)

• Utilizzo di sguardo e tecniche facilitanti il pensarsi e il pensare

4545

Luciano Cerioli

Sum, ergo cogito

Sviluppo sensibilità e capacità clinico-pedagogicheSviluppo sensibilità e capacità clinico-pedagogiche

Formazione Iniziale

Esercitazioni - Simulazioni - Debriefing

Supervisione locale o centrale

Valutazione conclusiva

4646

Esprimere accettazione, Offrire sostegno, rispetto, comprensione incoraggiamento Reagire Emanare ansia, colpevolizzare Contenere/elaborare sofferenza-disagio

Diffondere odio, critiche, lamentele, attaccare Pensare, riflettere, elaborare Seminare disperazione, scoraggiare

ATTEGGIAMENTI RELAZIONALIATTEGGIAMENTI RELAZIONALI

4747

COMPETENZECAPACITA’

SENSIBILITA’

ROMANZO PEDAGOGICO

BIOGRAFIA PERSONALE (ONTOGENESI)

BIOGRAFIA COLLETTIVA (FILOGENESI)

PROGRAMMAZ

OSSERVAZ

RELAZIONE

CURRICOL

VALUTAZ …

Attegg.mentale

Attegg.mentale

•Il visibile

•Il noto

•Il consapevole

•Il latente

•L’ignoto

•Il possibile

4848

Luciano Cerioli

Funzioni emotive negative (distruttive)

Attaccare, suscitare odio

Diffondere disperazione

Seminare ansia persecutoria

Creare finzioni

Reagire

Creare confusione

Invidiare, non tollerare la diversità

Proiettare

4949

Luciano Cerioli

Alcune comuni difese Infantilizzare gli interlocutori

Rifugiarsi nel precettismo

Fare i beneducati

Colpevolizzare

Deresponsabilizzare, deresponsabilizzarsi

Rimuovere

Svalorizzare, idealizzare

Razionalizzare, concretizzare

Sedurre, farsi sedurre

Cercare complicità

5050

Luciano Cerioli

Tenere insieme

Far emergere

Amplificare, spiazzare

Riformulare

Custodire e segnare l’orientamento

Bonificare

Darsi come esempio di pensiero e di speranza

Custodire e alimentare il processo

5151

Luciano Cerioli

• Incoraggiare (individuare, sviluppare le “isole di capacità”)

• Rilevare e comprendere i sintomi collettivi e individuali (non attaccarli)

• Predisporre viabilità allo sviluppo

• Agire pensando e imparando dall’esperienza

• Inventare, immaginare, creare mondi

• Deletteralizzare, non giudicare

• Spendere i propri talenti “gratuitamente”

CAPACITA’ POSITIVACAPACITA’ POSITIVA

5252

Luciano Cerioli

CAPACITA’ NEGATIVACAPACITA’ NEGATIVA

• Contenere

• Rispettare (guardare un’altra volta) – rispettarsi

• Saper stare mentalmente soli

• Non sedurre, non farsi sedurre

• Saper stare nell’incertezza, nelle domande, nel vuoto

• Non cercare conferme, non pagare debiti

• Potere e sapere dire di no e di sì

• Non dare risposte dirette, aiutare a pensare

• Non fare al posto di

• Accogliere, comprendere, amplificare, rispecchiare, riformulare

• Astenersi dal prescrivere, giudicare, convincere

• Let it be (non “voler” cambiare gli altri)5353

Luciano Cerioli 5454

God is dead – (Nietzsche)

Nietzsche is dead – (God)

Graffiti on Nietzsche’s tomb - Röcken

Luciano Cerioli 5555

Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a coloro che sognano soltanto di notte. E.A. Poe

Il fine della rete è il pesce: preso il pesce metti da parte la rete. Il fine del laccio è la lepre: presa la lepre metti da parte il laccio.

Il fine delle parole è l'idea: afferrata l'idea metti da parte le parole. Lao-tse

Le parole o il linguaggio, scritti o parlati, non sembrano svolgere alcun ruolo nel meccanismo del mio pensiero.

A. Einstein Solo i ciechi credono all'esistenza del sole. Chi ha occhi per vedere si limita a constatarne l'esistenza.

Osho I matematici son come i Francesi: tutte le volte che gli dici qualcosa, loro la traducono nella loro lingua, e subito è una cosa tutta diversa.

W. Goethe Questa lettera che ho scritto è più lunga del solito, perché non ho avuto il tempo di accorciarla.

B. Pascal Dio esiste perché la matematica è coerente, ed esiste anche il Diavolo,

perché non possiamo dimostrare la coerenza della matematica. A. Weil

Il buon cristiano dovrebbe stare attento ai matematici e a tutti i falsi profeti. C'è il pericolo che i matematici abbiano stretto un patto col diavolo per annebbiare lo spirito,

e mandare l'uomo all'inferno. Agostino

Luciano Cerioli 5656

INDIZIO 1INDIZIO 1

Appunti sul nostro romanzo di formazione (bildungsroman)

Allusioni:

• ai passaggi incontrati

• alle illusioni e disillusioni provate

• ai cambiamenti contrastati e concessi

• alle prove subite e accettate

• al diventare ciò che siamo

Luciano Cerioli 5757

INDIZIO 2INDIZIO 2

Educazioni sentimentalinoi loro (i grandi)

il nostro mondo Il loro mondo

i nostri valori i loro valori

i nostri miti i loro miti

le nostre relazioni le loro relazioni

le nostre attese le loro attese

importante era importante era

il peggio era il peggio era

ora ora

Luciano Cerioli 5858

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

1. L’equazione (etiopatogenesi del falso-sé)

2. Sogno in due tempi (decentramenti)

3. Cortesie per gli ospiti (affetti)

4. L’anarchico (compensazioni)

5. Incontri (alterità)

Luciano Cerioli 5959

1. L’equazione (etiopatogenesi del Falso-Sé)

Il Sé, nelle sue fasi precoci, può facilmente essere distorto da pressioni ambientali che non collimano con le caratteristiche personali dell'individuo ed il risultato sarà un falso Sé, in cui la personalità si sviluppa su una base di compiacenza e di conformismo alle attese ambientali, quindi di imitazione anziché di identificazione. Tale modello caratterizzerà le successive modalità di relazione dell'individuo, con conseguente senso di inautenticità e di alienazione: sentimenti che riflettono il vuoto che c'è dietro la maschera, e, come nelle maschere pirandelliane, la forma blocca l'espressione della vita.

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Luciano Cerioli 6060

1. L’equazione

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

E quando fuori dalla tua finestra il cielo si fa più grigio...e quando dentro ai tuoi pensieri si insinua un senso di amarezza...e quando avverti una crescente mancanza di energia...e quando ti senti profondamente solo...ecco, quello è il giorno dell'appuntamento col tuo bilancio sentimentale.Generalmente non è un bel giorno. E non tanto perché il cielo si fa un po' più grigio... quanto perché tu ti fai un po' più schifo.Ma se si fallisce sempre, ci sarà un motivo! Dov'è che si sbaglia? Colpa mia... colpa tua... No, a queste cose non ci credo. L'errore dev'essere 'prima'. Non una cosa recente. Probabilmente da bambino: un errore che ha influenzato tutta la mia vita affettiva; forse il famoso Edipo, forse "mamma c'è n'è una sola". Anche troppa, oppure nonni, fratelli, zii... insomma, figure, fotografie dell'infanzia che rimangono dentro di noi per tutta la vita.Sì, un errore innocente, impercettibile, che poi col tempo si è ripetuto, ingigantito, fino a diventare gravissimo, irreparabile.Già, ma perché l'errore si ingigantisce? Dev'essere un po' come quando a scuola facevamo le equazioni algebriche. Cioè, tu fai uno sbaglietto, una svista, un più o un meno, chi lo sa... E che poi te lo porti dietro e nella riga sotto cominci già a vedere degli strani numeri. Va be', dici tanto poi si semplifica. E poi numeri ancora più grossi, brutti, sgraziati anche. E poi addirittura enormi, incontenibili, schifosi.E alla fine: X=462.274.36 +c √78.217.304 E ora prova un po' a semplificare!

Non c'è niente da fare. La matematica deve avere una sua estetica: x = 2. Bello! La semplicità.Forse, per fare bene un'equazione è sufficiente avere delle buone basi. Ma per fare una storia d'amore vera e duratura è necessario essere capaci di scrostare quella vernice indelebile con cui abbiamo dipinto i nostri sentimenti.

Luciano Cerioli 6161

2. Sogno in due tempi (Decentramenti)

Occorre promuovere un “pensiero migrante” che sappia praticare il decentramento cognitivo ed emotivo, cioè sappia allontanarsi dalla propria identità per ritornarvi arricchito dopo l’incontro, il confronto, lo scambio con l’alterità.

Il linguaggio diventa SOCIALIZZATO solo quando il pensiero acquista la caratteristica di reversibilità, consente il

decentramento cognitivo. Decentramento cognitivo, ovvero la capacità del soggetto di

uscire dal proprio schema di riferimento esistenziale e valoriale per muoversi all’interno di quello dell’altro

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Luciano Cerioli

2. Sogno in due tempipsiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Non si capisce perché quasi sempre i sogni, proprio nel momento in cui, come specchi fedeli dell'anima, stanno per svelare al soggetto i suoi intendimenti nascosti, si interrompono.Ero lì, in una specie di zattera... chi lo sa, forse un naufragio... Insomma, sono lì su un relitto di un metro per un metro e mezzo circa, e, stranamente tranquillo in mezzo all'oceano, galleggio.Chi sa cosa vorrà dire... Va be', vedremo poi. Per la verità avevo già sognato di essere su una zattera con una dozzina di donne stupende... nude. Ma lì il significato mi sembra chiaro.Ora sono qui da solo, ho il mio giusto spazio vitale, mi sono organizzato bene, il pesce non manca, l'acqua figuriamoci... i servizi non sono un problema... ho anche un robusto bastone che mi serve da remo.Non è un sogno angoscioso, ma cosa vorrà dire? Fuga, ritiro, solitudine, probabilmente desiderio di sfuggire la vita esterna che ci preme da ogni parte. Si diventa filosofi, nei sogni.Oddio, cosa vedo? Fine della filosofia. No, non può essere una testa. Forse una boa. Non so per cosa fare il tifo. La boa fa meno compagnia, ma è più rassicurante.No, no... si muove, si muove. Mi sembra di vedere gli spruzzi. Non è possibile che sia un pesce. Qualcosa che annaspa, sprofonda, riappare, lotta disperatamente con le onde.(con enfasi decrescente) t un uomo, è un uomo, è un uomo, è un uomo, è un uomo!E ora che faccio. La zattera è un monoposto, ne sono sicuro. Per il pesce non ci sarebbe problema, ma la zattera in due non credo che tenga.(al naufrago) "Non tiene!"Macché, non mi sente. Sarà a cento metri. Che faccio? Ma come 'che faccio'... Sono sempre stato per la fratellanza, per l'ospitalità, per l'accoglienza. Ho lottato tutta la vita per questi principi. Sì, ma non mi ero mai trovato... Quali principi? Questa è la fine. Qui in due non la scampiamo. E lui avanza, fende le onde. Madonna, come fende! Sarà a settanta metri, cinquanta, trenta...Quasi quasi gli preparo un dentice. E se non gli piace il pesce ? Se gli piace solo la carne? Certo, io devo pensare a me, alla mia sopravvivenza: mors tua vita mea. Oddio... non dovrò mica ucciderlo?Ma che dico, sto delirando! Lo devo salvare. Poi in qualche modo ci arrangeremo, fraternamente, ci sentiremo vicini. Per forza, non c'è spazio... stretti, uniti, corpo a corpo...Guarda come nuota... è una bestia! E no... io lo denuncio. Lo ammazzo. Ormai sarà dieci metri. Mi fa dei gesti, mi saluta... mi sorride, lo schifoso. Ma no, poveraccio, per lui rappresento la salvezza, la vita. Che faccio? Dio, che faccio?Potrei prendere il bastone, potrei allungarglielo per aiutarlo a salire... Potrei darglielo con violenza sulla testa. Siamo al gran finale del dramma. Il dubbio mi corrode. L'interrogativo morale mi divora. Devo decidere. L'uomo è a cinque metri, quattro, tre...Ecco, prendo il bastone e...E a questo punto mi sono svegliato. Maledizione! Non saprò mai se nel mio intimo prevale il senso umanitario dell'accoglienza o la grande paura della minaccia. Devo saperlo, devo saperlo, non posso restare in questo dubbio morale, devo sapere come finisce questo sogno!Cerco di riaddormentarmi, mi concentro... sì, mi abbandono. Qualche volta funziona.Ecco, ecco... sì, l'acqua, l'oceano, le onde... un uomo su una zattera... un altro che nuota, annaspa, arranca disperato, sento il cuore che mi scoppia. Oddio... sono io... sono io che nuoto. Ma che è successo? Non è giusto, non è giusto! Io ero quell'altro. Mi piaceva di più stare sulla zattera. Ora affogo... Aiuto, Aiuto... che paura... Aiuto! Meno eroico, anche... non importa. Ma quali dubbi morali... Ho le idee chiarissime, io. Sono per l'accoglienza!Ecco, l'ultimo sforzo, sono a cinque metri dalla zattera, quattro, tre... Alzo la testa verso il mio salvatore... Eccomi!PUMMM! Che botta.A questo punto mi sono svegliato di nuovo. Non voglio sapere altro. Mi basta così. Speriamo che non sia un sogno ricorrente. 6262

Luciano Cerioli 6363

Cortesie per gli ospiti (affetti)Le tipologie di relazioni poliamorose comprendono:La polifedeltà, in cui le relazioni sentimentali e sessuali sono ristrette ad un

particolare gruppo di partners. Le relazioni secondarie, in cui sono presenti tipi di relazioni diverse, quelle primare e

quelle secondarie apputo. Esempi sono il matrimonio aperto e la coppia aperta. La poligamia (ovvero poliginia, poliandria e loro combinazioni), in cui una persona

sposa più coniugi (che possono eventualmente avere a loro volta altre relazioni poliamorose)

La relazione di gruppo o il matrimonio di gruppo, in cui tutti i membri di un gruppo si considerano ugualmente legati gli uni agli altri.

Reti di relazioni in cui una particolare persona può avere relazioni di vari gradi di importanza con diverse persone, tutte d'accordo sull'«amicizia senza frontiere».

Relazioni un cui un partner è monogamo ma accetta che l'altro abbia altre relazioni. Alcune persone, pur intrattenendo una relazione sessuale strettamente monogama,

possono autodefinirsi poliamorose qualora si sentano emotivamente legate a più persone (amore platonico).

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Luciano Cerioli

Cortesie per gli ospitipsiche e psico-logiepsiche e psico-logie

6464

Una camomilla... stasera mi ci vuole proprio una camomilla. Ci ho lo stomaco un po'... No, non è che sto male, ma ogni tanto è bello andarsene a letto presto, non fumare... Ecco, la camomilla mi dà proprio questo senso... sì, mi ripulisce.'FFFF!'... Bollente. Va be', aspettiamo. Non è ancora mezzanotte. Ho proprio bisogno di una buona dormita. È un po' che non riesco a riposare bene. No, non è che non dormo, è che mi sveglio continuamente...(Qualcuno suona alla porta) Il campanello. Chi può essere a quest'ora. Speriamo bene. (si alza)(parla al citofono) "Chi è?... Ah, sei tu, Marina... Sì, ti apro." Marina? Va be', con lei non ci ho problemi. Ma cosa vorrà a quest'ora... e senza Alberto, mi sembra di aver capito. Speriamo che non sia successo niente. Stasera vorrei proprio dormire. Ma sì, è un'amica, glielo dico."Marina, che ti succede?" Lei mi si butta al collo... molto più affettuosa del solito. Ho capito. Fine della camomilla.No, è simpatica., Marina, un po' matta... cioè, strana... anche com'è fatta: con quel corpo stupendo, le gambe bellissime, alte, compatte, ben tornite... E poi quel viso... No, di viso non è bellissima. Un po' gonfio agli zigomi, anche qui... sul naso. E la voce? Una voce che non ci sta mica con quel corpo... sì, con quelle cosce... No, non ci sta."Vuoi una camomilla, Marina?" Si è seduta e mi sembra nervosa. "Ne vuoi un po'? È calda...""Macché camomilla! Dammi un whisky." Non è nervosa, è furiosa. "Non ce la faccio più."Non ce la fa più. Lo sapevo. Ecco, mi butta addosso di tutto... su Alberto, s'intende. E si scalda, diventa rossa, sale di tono... "E la bolletta del telefono, la bolletta del telefono!..." Non capisco, provo a domandare, ma lei è partita. "È sempre colpa mia, colpa mia, certo, il telefono... Sono io che spendo i suoi soldi. Mi odia, mi odia!""Calmati, Marina!" Niente, non si calma. Dev'essere successo il finimondo, credo. Se ne sono dette di tutti i colori."Certo, me ne ha dette di tutti i colori. E io non ce la faccio più, non ce la faccio più a vedere quella sua faccia da aguzzino quando conta gli scatti.""Ma quali scatti, Marina!" Ecco, lo sapevo, riviene fuori la bolletta. "Basta, Marina!... Non è niente. Può darsi che sia cola della SIP..."E lei: "Ma quale Sip? È tirchio, meschino..."Sempre stato, questo è vero, lo so."No, non lo sai. Ora è di più. È insopportabile, pazzo, mi fa delle scene isteriche, mi ammazzerebbe per il telefono... capisci?... Mi controlla di nascosto, non posso neanche parlare con le amiche, con mia madre. Ma io gliela faccio mangiare, la bolletta del telefono... Che gli vada giù, gli vada giù!"Manda giù mezzo bicchiere di whisky, e si calma. Meno male. Ecco, ora ha un altro tono di voce. Accavalla le gambe, devo dire sempre bellissime anche in questa occasione, anche quando con quella sua voce sottile, inadeguata mi dice che è proprio finita. Ha deciso: vuole dividersi. Poi, con una tranquillità spaventosa: "Dormo qui da te due o tre giorni e poi in qualche modo farò."Ahi, lo sapevo. Non bisogna mai fidarsi di quelli che all'improvviso diventano calmi. 'Dormo da te...' Soluzione geniale. "Certo, Marina, per me va benissimo... Ma i bambini? E Alberto?"E lei: "Non lo voglio più vedere, quel bastardo."'DRIINNNN!'. Oddio, il bastardo. Non può essere che Alberto. (guarda allo spioncino) È lui. Che faccio? Gli apro? Sono qui con sua moglie... Sì, ma non mica fatto niente!..."Scusa l'ora", mi fa lui piano. "Ho bisogno di parlarti."Dio, che faccia, però... un funerale. Non vorrei che vedendola... Devo alleggerire. Devo alleggerire. "Lupus in fabula. Entra, vecchio mio, c'è una sorpresa." Si guardano e... niente: un gelo tremendo.

Luciano Cerioli

Cortesie per gli ospitipsiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Allora io: "Oooohh!... eccoci qui ancora tutti insieme, come ai vecchi tempi!" Patetico. Non è il solito Alberto, sembra quasi un po' gonfio... sì, in faccia. Forse i capelli corti... dev'essere andato dal parrucchiere. Si accascia su una poltrona. Neanche una parola. Lei fuma nervosamente. Lui guarda il tappeto. "Vuoi una camomilla? Non è tanto calda...""Macché camomilla!" scatta furibondo. "È roba da finocchi." Come da finocchi? È buona la camomilla. Mamma mia, che belva! Si butta sul whisky con slancio, e giù un bel bicchiere! "No, perché, avanti, che cosa ti ha raccontato?"E io... "Niente.""Figuriamoci niente..." incalza lui. "Chissà quella ì cosa ti ha raccontato di me!""ma no..." faccio io, "cose da niente, stupidaggini, la bolletta del telefono...""Ah, ha avuto il coraggio di parlarti della bolletta del telefono!" Aveva ragione lei, la bolletta del telefono lo manda fuori di testa. "Perché tu non puoi capire cosa c'è sotto la bolletta. Lo sai tu cosa c'è sotto la bolletta?""Sì, sì..." dico io, "me l'ha detto... gli scatti...""Ve li do io, gli scatti!" Oddio, è già passato al 'voi'. Mi tirano dentro, lo sapevo, mi tirano dentro.E lei: "Te lo dicevo io che è un taccagno. Una taccagno schifoso!""Sta' zitta, cretina!" fa lui. Sì, sì, stai zitta Marina... lascialo parlare, lascialo parlare...Ecco, lui si sfoga, racconta tutto, arriva al dunque. Lo sapevo che c'era qualcosa... sì, sotto il telefono... qualcosa di grosso... Salta fuori un nome. Lui sostiene che è il suo amante, ne è sicuro. Lei nega, è tenace. Lui s'incazza ancora di più: "Non è tanto per l'amante... è che mi fa passare da scemo! E telefona a Roma tutti i giorni..." Ha ragione, maledizione. Se stava a Gallarate era meglio. "Sì, ci stanno delle ora, al telefono. E io pago, capisci?... oltre al danno, la beffa!" Si ributta sul mio whisky e già una mezza bottiglia. Mai staso così generoso.Un attimo di pausa, ma non mi illudo: il tempo di riordinare le idee. Ora lei ce le ha chiarissime. Riprende calma: "Vedi, Alberto..." la sua voce come sempre è insopportabile, "devi capirlo. Non si può più andare avanti. È inutile. Dobbiamo dividerci."Silenzio. Non parla più nessuno. Che si finita? Lui solleva gli occhi verso di me. E io... (gira la testa) Cosa vuole da me? Poverino, forse piange. (gridando) "Avanti!" mi fa, "diglielo tu che fa schifo!" Non piange. Anzi, scatta in piedi come una molla, urla, sbraita, insulta, tira un gran calcio al tavolo. Lo sapevo. Il tavolo barcolla. Mi alzo per salvare la bottiglia... whisky di malto... bevanda da uomini, altro che finocchi, ventimila, maledetti taccagni, proprio qui dovevano venire, non potevano mica giocarsela in casa, macché, campo neutro, gli ci voleva un testimone, un arbitro... E allora ci penso io: "Siete due pazzi!...Fate ridere, fate ridere... Ah, ah, ah, ah!!!!" Niente. La risata li eccita. Anche lei è pronta a scattare. Gliene dice di tutti i colori: Taccagno, imbecille, babbeo!" Aiuto, vuole la battaglia. Ora si insultano all'unisono, non si capisce più niente, fanno a chi urla di più. Per dio, basta, mi svegliano tutto il palazzo! Sono stravolti. Lei ha la faccia sempre più gonfia. Lui smania, è tutto sudato, sbatte i piedi per terra. "Fermo, fermo!...la portinaia..." Che gli frega, non lo ferma più nessuno. Ha la camicia slacciata, e tutti quei peli sul petto. Non gliene avevo mai visti così tanti. Improvvisamente si getta sulla mia libreria, la scuote. "No, per carità, che c'entrano i libri?!..." Macché, è lo sfogo. La scuote con una violenza incredibile. "Aiuto, fermo!" Aiuto, crolla tutto: 'PUTUTUTUTUM!!!' Einaudi, Adelphi, Guanda, Ricci... sì, anche quelli da finocchi... È l'apoteosi. Aiuto, sfasciano la casa... sì, la mia. Lui solleva una poltrona. Che forza gli è venuta: un orango! Lo credo, con tutti quei peli. Digrigna i denti. Gli vedo le vene del collo. "Buono, Alberto!" La poltrona della nonna!" Non gliene frega nulla a lui di mia nonna! E su, in aria. Che spavento! Marina schizza via veloce, con quelle cosce, come fa... Ah, si nasconde ora, l'anguillona, evita, sguscia... ed eccola la poltrona che volteggia, scende, scende... Ciao, nonna! 'CRACRACRA!!!'... contro il muro. Si diverte, l'orango. Un carnevale. Ma quale restauro? Mille pezzi: 'BITITIMTIMTIMPUMPAM!!!'... legnetti, schegge da tutte le parti. Aiuto, la guerra, le mitragliatrici! Niente, sono illeso, meno male. Poi la paglia, il polverone... e le piume, le piume... una cascata! Cadono piano, lentamente. Danno sicurezza.

6565

Luciano Cerioli

Cortesie per gli ospitipsiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Niente, non è contento. Non si è calmato neanche con le piume. Macché, ha gli occhi iniettati di sangue. Le se ne frega, reagisce, lo sfida: "Cornuto, cornuto!" "Ma non si dice 'cornuto', Marina! Non è il momento..." Non mi

ascolta: "Sì, sì, cornuto!" gli grida in faccia, furibonda. "Certo che ho un amante! E non uno solo: dieci, cento amanti!" Sta inventando , vuole farlo impazzire. "Sono stata con tutti, con tutti i tuoi amici... anche con lui!!!"

Con me? "Non è vero, non è vero, te lo giuro, non devi crederle! Io non c'entro niente!"È la fine, lo sapevo. Lui si scaglia contro di lei. Aiuto, che faccio? L'ultima volta che mi sono messo in mezzo

era una mastino. Che ricordo, che ricordo! Qualcosa devo fare. Lo strattono un po', ma da lontano. Lei, coraggiosissima, la pazza, gli sputa addosso. Cerco di tirarla via, con le gambe, come posso. Ecco, finalmente, non ce l'ha più sotto, non ce l'ha più sotto! Allora si morde una mano, si morde una mano, immobile, un tempo infinito... mi pare. Sì, forse il rimorso. Ma quale rimorso?!... Improvvisamente sferra un pugno fortissimo alla stufa... alla mia stufa antica. Un errore! Non si rompe, quella lì... è di ghisa. 'PEMMM!!!' Uuuuhh! Che male.

Ulula ora l'orango. Ulula. Ha il sudore freddo. Ho capito: frattura.Non c'è niente di più affascinante degli ospedali alle sei di mattina: un silenzio!

Avevo indovinato: frattura del primo e del secondo metacarpo della mano destra. Nella stanza due infermieri un po' sonnambuli gli preparano l'ingessatura. Alberto è calmissimo. Ci si incontra con lo sguardo. Lui scuote un

po' la testa e mi sorride.Fuori è già mattino e camminiamo a fianco. Ora mi prende sottobraccio, quasi fischiettando: "Vedi, Giorgio, l'alba è il momento più bello della giornata. È un miracolo. È come se il tempo non esistesse." Io sono un po'

confuso, non capisco. Ho ancora l'immagine di quello che è successo... E Alberto ne è già fuori. Forse ha ragione lui.

Le uscite d'ospedale all'alba lavano via tutto. Gli umori della notte scompaiono e si cammina leggeri, ripuliti.A due cose teneva molto, lui: alle albe e alla vera amicizia.

6666

Luciano Cerioli 6767

Compensazioni – Formazioni ReattiveL'odio appare sostituito dall'amore, oppure l'aggressività dalla mitezza, dove

l'atteggiamento mancante persiste inconsciamente.* Vi è qualche cosa che l'Io teme come pericoloso e da cui reagisce con il segnale dell'angoscia. Si tratta di un

meccanismo secondario, destinato essenzialmente ad impedire il ritorno del rimorso alla coscienza. La rimozione gli è dunque preesistente*, tanto che la formazione

reattiva può essere considerata una sorta di sostegno a cui si fa appello per rafforzare la rimozione allorché questa perde di efficacia; essa risulta particolarmente evidente nel comportamento ossessivo e coatto* e nei sintomi del nevrotico ossessivo.* Per

assicurare che un impulso rimosso disturbante sia tenuto lontano dalla consapevolezza conscia o dal comportamento palese, vengono sviluppati

atteggiamenti e comportamenti che sono l'esatto opposto di ciò da cui si debbono difendere.* Certi aspetti della passività possono essere formazioni reattive contro

un'attività motoria che è stata inibita e poi rimossa dalle proibizioni in epoca infantile. Sempre per Schneider questo meccanismo è molto importante perché permette di comprendere la genesi di certi caratteri, in particolare dei caratteri

nevrotici. Le sindromi cliniche che illustrano la formazione reattiva sono: - Nevrosi ossessivo-coatte. - Gli stili caratteriali ossessivo-coatti.

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Luciano Cerioli

L’anarchico

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

6868

Anarchico a me!? Ah, ah! Sono un demonio io, una belva umana, altro che anarchico. Sono dotato di una tale dose di cattiveria da affossare tutte le guerre del mondo.Sono anche brutto, per rappresaglia. Fascino zero. Forse sono malato di fegato, ma non mi curo, così imparano!Anarchico. Gli anarchici amano l'umanità. Sono una merda io, altro che anarchico. A me l'umanità mi piace guardarla dall'alto. A volte spengo la luce e mi metto alla finestra…Ridicoli loro eh? Curano la facciata e qualche volta anche il "didietro". E io invece da qui li vedo ribaditi, spiaccicati sul marciapiede, schifosi, con le gambette che escono dalle spalle. ‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’.Bisogna renderle chiare le superiorità morali anche con fatti materiali, sennò si afflosciano le superiorità; solo così si spiegano i campanili e le torri Eiffel. Qualcuno dice: "Andare a Dio". Guardare sotto... ‘SPUT’, dalla torre Eiffel, "SHHH…"… "BUM!".Quando si è sullo stesso piano degli uomini è difficile considerarli come delle formiche: ti sfiorano, ti accarezzano, ti entrano dentro. Che schifo. Ci si affeziona.Non c'è niente di peggio dell'amore me lo devo ricordare, sono una merda io! ‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’."Che c’è?", guardano in su, "Stupidini! E’ il tempo che è cattivo? No, sono io che sono una merda!".‘SPUT’, ‘SPUT’, ‘SPUT’. I bambini... come li odio i bambini! Coi bambini è più difficile, è come bocciare il pallino. ‘SPUT, SPUT’, ci vorrebbe l'anticipo, ‘SPUT’, ma cresceranno eh, gli verranno dei bei testoni e allora io ‘DEN’, ‘DEN’, ‘DEN’.‘SPUT’, ‘SPUT’, guarda là, guarda come corrono, guarda eh, mai che vadano sotto una macchina, mai. lo sono per le macchine, per forza, sono una merda. Dai, dai, forza, dai, dai è tuo, è tuo prendilo, prendilo! L’ha mancato guarda, negati! Non ne prendono mai uno.Una volta uno l'hanno preso. Non era un bambino, era un anziano… meglio che niente!‘UUUU’, l'ambulanza ‘UUUU’ e io giù che arrivo primo. ‘UUUU’, l’ambulanza… ‘PAH’, sono arrivato lì primo.L’ho visto lì per terra. L’ho visto, tutto quel sangue! Quanto, quanto sangue! "Stai calmo" mi dicevo "non è niente, non è più commovente di un po’ di smalto fresco, dai! Fai conto che gli abbiano dipinto la faccia di rosso, tutto qui, dai, che ti frega!..."A un certo punto ho sentito una sporca dolcezza, una schifosa pietà prendermi alla nuca e anche alle gambe e… ‘BLOOM’, son svenuto!Ma come? Sono una merda!Mi sono risvegliato in farmacia. Erano gentili, mi davano da bere, mi davano delle gran pacche sulle spalle… mi volevano bene! No! Sono scappato, li ho insultati, sono corso a casa terrorizzato. Per un attimo, anche se solo per un attimo, ho avuto paura di non essere neanche una merda!

Luciano Cerioli 6969

AlteritàSi può infatti sostenere che il ritiro delle proiezioni pone l'altro sempre in un suo al di là.

Se la conoscenza di x è legata alle proiezioni che il soggetto vi compie, x nella sua realtà si trova in un al di là delle proiezioni stesse. X è inconoscibile, ma esiste. L'alterità dell'altro interno e l'alterità dell'altro esterno mettono in confronto con un'esperienza simile. Lo sviluppo della coscienza ha portato infatti la coscienza stessa a sapere che l'altro, sia interno che esterno, non è radicalmente riconducibile alle proiezioni che possiamo inviarvi. L'esperienza dell'alterità interna conduce alla possibilità di concepire anche un'alterità esterna. Ed è la consapevolezza di una posizione umana comune di fronte all'alterità che può essere la base, il fondamento di una non solitudine. La solitudine di ogni essere può stemperarsi nella consapevolezza del fatto che la solitudine è comune.

La vera relazione viene affidata così alla consapevolezza. La vita è affidata alle relazioni, alle relazioni basate sui meccanismi introiettivi e proiettivi. Il lavoro psicologico disfa questi meccanismi e pone di fronte al soggetto la sua fondamentale solitudine.

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

Luciano Cerioli

Alterità

psiche e psico-logiepsiche e psico-logie

E quando sei lì, al mare, sdraiato a goderti il sole su una spiaggia qualsiasi... Avanza, il negro, anzi, l'uomo di colore. Ahi! Che faccio? Quella di far finta di dormire è un vecchio trucco che non funziona mai... "Ehi! Amigo! "Madonna com'è grosso e com'è nero... voglio dire, colorato... colorato di nero, però. Dicono che quelli proprio neri-neri siano i migliori, i meno aggressivi. D'altronde l'idea dello scontro fisico non è certo da prendere in considerazione. Lui è lì, pieno di cinture, sciarpe. calzini, cappellini, borse, valige, tappeti, asciugamani e maglioni. Insomma, con addosso tutto quello che può portare un camioncino di medie dimensioni... 'PUTUTUTUPUM!'... tutto in terra. E ora prova tu a non comprare niente. Guarda come suda. Chissà da dove viene... povero Cristo, in fondo anche lui deve mangiare. Magari con un sacco di figli e quattro o cinque mogli... giovani... però, che salute!E alle ore quattordici, sotto il sole cocente di agosto, mi rimetto sdraiato con la gioia di aver acquistato alcuni oggettivi utili tra cui un ombrello e un bel maglione di pura lana vergine. Benissimo!E quando sei lì, in un ristorante qualsiasi, tranquillo, in compagnia dei tuoi pensieri migliori, sei lì, in attesa della seconda portata sbriciolando dolcemente... Avanza, il sordomuto... adagio, col suo passo felpato. E in un silenzio imperturbabile depone sul tuo tavolo un piccolo pupazzo e un biglietto con scritto: 'sordomuto'. L'avevo capito.Generalmente non ce la fai a ridarglielo subito, il pupazzo, perché il felpato se n'è già andato. Solo chi frequenta poco i ristoranti può pensare che sia un gentile omaggio seguito da un poetico addio. Io, no. Io so che torna e sbriciolo un po' più nervosamente.No, non è per i soldi. E’ che non se ne può più. Adesso quando torna gliene dico quattro. Ma cosa... gli dico... Maledizione, non si può neanche litigare.Rieccolo, il felpato. Certo che, poveraccio, così giovane... se è vero che è proprio sordomuto... "Ecco, tenga, tenga". Un cenno di ringraziamento e si allontana.Rimango da solo sempre in attesa della seconda portata e mi viene in mente che una volta ho visto un film. Non mi ricordo bene la storia. Neanche le intenzioni del regista. Però so che quando uscivi, solo per il fatto di non essere sordomuto, ti sentivi una merda. Benissimo.E quando sei lì, a bordo della tua macchina pulita, fermo a un incrocio qualsiasi... Avanza, il lavavetri... Maledizione, non l'avevo visto, se no mi fermavo prima, o cambiavo strada. Eccolo, viene avanti col bastone in mano, e io... "No, grazie..." col ditino, poi due volte, tre volte, sempre col ditino e alla fine: "NOOO!".Ce l'ho fatta. Sono stato un po' cattivo, ma efficace. E proprio in quel momento... 'CIAFF!"... La spugna sul vetro. Tutta l'acqua che cola sulla tua macchinina pulita. Che male! E poi col tampone "WOM-WOM!" Due passate. Sì, va un po' meglio, solo una righina orizzontale, mi contento... E quando mette giù i tergicristalli... 'SSSCCC!'... Tutto un gocciolare, una cascata... che poi rimangono le righe in verticale. Che male!Non t'incazzare, non t'incazzare, non t'incazzare che poi sei anche razzista.Avessi almeno qui un mille lire... che più rapido è meno si soffre. Maledizione, il portafoglio... perché dev'essere così incastrato... Fatele davanti, le tasche, per Dio! Ecco, ce l'ho fatta. Bene, il millino non ce l'ho neanche qui, ti pareva... Cinquemila, sì, va bene un cinquemila. Ma sì, cinquemila, non importa, non fa niente... "Tieni il resto, grazie".A questo punto lui è raggiante e, dato che c'ho il finestrino aperto, mi mette anche una mano sulla spalla... "No, grazie, questa l'ho già lavata". E lui ride, e ti saluta, e ti sorride, ti sorride, ti sorride... che allegria!Arriva il verde e io riparto con la mia macchina pulita e il vetro tutto a righe verticali e orizzontali... Benissimo!Eh, sì! E' vero, troppe volte accade di non sentirsi perfettamente a proprio agio. L'esistenza di qualcuno che sta male é una specie di tabù, qualcosa che non vorremmo vedere.E' come se dentro di noi ci fosse uno strano senso di colpa che non sappiamo spiegare e allora, forse, per riparare abbiamo bisogno della nostra buona azione quotidiana.No, intendiamoci, ben venga qualsiasi slancio che possa alleviare le sofferenze di altre persone. C’è solo da sperare che la nostra bontà sia il più possibile pulita. Perché anche la bontà se é compiaciuta, finta o addirittura interessata, non serve certo a procurarci un posto in paradiso.Sono esigenti i guardiani del cielo. La sola moneta che vogliono é l'amore. 7070

PSICODIPSICODINAMICA NAMICA DELLA DELLA

CONOSCCONOSCENZA ENZA

‘EMBODI‘EMBODIED’ED’ LUCIANO CERIOLILUCIANO CERIOLI

Nel CERVELLO?Nel CERVELLO?

Dov’è la conoscenza?Dov’è la conoscenza?

Nell’AMBIENTE?Nell’AMBIENTE?

Nel CORPO?Nel CORPO?

2

Dov’è la conoscenza?Dov’è la conoscenza?

EmbodiEmbodied ed

knowleknowledgedge

Encultured Encultured KnowledgeKnowledge

Embrained Embrained KnowledgeKnowledge

3

Dov’è la conoscenza?Dov’è la conoscenza?

Encultured Encultured KnowledgeKnowledge

VALORI, CREDENZE, VALORI, CREDENZE, MODELLI CULTURALI, MODELLI CULTURALI,

IDEOLOGIE…IDEOLOGIE…

Embrained Embrained KnowledgeKnowledge

CONOSCENZE, SAPERI, CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE COGNITIVE…RISORSE COGNITIVE…

Embodied Embodied knowledgeknowledge

MAESTRIE, MAESTRIE, PRATICHE, MODI DI PRATICHE, MODI DI

FARE…FARE…

4

Dov’è la conoscenza?Dov’è la conoscenza?

Encultured KnowledgeEncultured Knowledge

VALORI, CREDENZE, MODELLI VALORI, CREDENZE, MODELLI CULTURALI, IDEOLOGIE…CULTURALI, IDEOLOGIE…

Embrained KnowledgeEmbrained Knowledge

CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE COGNITIVE…COGNITIVE…

Embodied knowledgeEmbodied knowledge

MAESTRIE, MAESTRIE, PRATICHE, MODI DI PRATICHE, MODI DI

FARE…FARE…

TACITA/ARTICOLATATACITA/ARTICOLATA

IMPLICITA/ESPLICITAIMPLICITA/ESPLICITA

COMPLESSA/SEMPLICECOMPLESSA/SEMPLICE

INTUIBILE/DESCRIVIBILEINTUIBILE/DESCRIVIBILE 5

COME CONOSCERE?COME CONOSCERE? Embrained KnowledgeEmbrained Knowledge

CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE COGNITIVE…COGNITIVE…

AFFERRARE, PORTARE DENTRO

OSPITARE E INTERAGIRE CON

PRENDERE E RESTITUIRE

ACCOGLIERE E PERSONALIZZARE

DEPOSITARE CONNETTERE

BAGAGLIO - SCORTA RISORSA IN TRASFORMAZIONE 6

A B

COME CONOSCERE?COME CONOSCERE? Encultured KnowledgeEncultured Knowledge

VALORI, CREDENZE, MODELLI VALORI, CREDENZE, MODELLI CULTURALI, IDEOLOGIE…CULTURALI, IDEOLOGIE…

7

ADATTARSI ALL’AMBIENTE

ABITARE L’AMBIENTE

SOTTOMETTERSI - NORMALIZZARSI –

TRAGREDIRE -

RICONOSCERE E RISPETTARE LE

REGOLE

SOCIOPATIACONTRODIPENDENZA

SOCIOFILIA AFFILIAZIONE

IDENTITA’ IPSEITA’

A B

COME CONOSCERE?COME CONOSCERE? Embodied knowledgeEmbodied knowledge

MAESTRIE, PRATICHE, MAESTRIE, PRATICHE, MODI DI FARE…MODI DI FARE…

IMITARE ACCOGLIERE

TRASFORMARSI IN RELAZIONARSI CON

ADESIVITA’DIPENDENZA

ELABORAZIONEIDENTIFICAZIONI E

PROIEZIONI

RIPETERE GENERARE8

A B

COME FORMARE?COME FORMARE?

TI DO’ LA MIA CULTURA MI D0’ ACCULTURATO

PRENDI E RIPETI ACCOGLI E RENDILO TUO

IO INSEGNO – TU IMPARI

IMPARIAMO INSIEME

USA QUESTI PENSIERI GENERA I TUOI PENSIERI 9

Embrained KnowledgeEmbrained Knowledge

CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE CONOSCENZE, SAPERI, RISORSE COGNITIVE…COGNITIVE…

A B

COME FORMARE?COME FORMARE?

ESIBIRE METTERE A DISPOSIZIONE

ISTRUIRE – CONVINCERE - PERSUADERE

ASSISTERE E STARE INTORNO ALLA NAVIGAZIONE

FAR ASSIMILIARE AIUTARE A CAPIRE

SPINGERE VERSO AIUTARE A PENSARE 10

Encultured KnowledgeEncultured Knowledge

VALORI, CREDENZE, MODELLI VALORI, CREDENZE, MODELLI CULTURALI, IDEOLOGIE…CULTURALI, IDEOLOGIE…

A B

COME FORMARE?COME FORMARE?

FAI COME ME(SII ME)

RERLAZIONATI CON ME

IO TUO ESEMPIO IO TUA POSSIBILITA’

TI CEDO LE MIE COMPETENZE

GENERA LE TUE COMPETENZE

SII BRAVO ALLIEVO SII MAESTRO

11

Embodied knowledgeEmbodied knowledge

MAESTRIE, PRATICHE, MAESTRIE, PRATICHE, MODI DI FARE…MODI DI FARE…

A B

12

LA CONOSCENZA ANTROPODEPURATALA CONOSCENZA ANTROPODEPURATA

LE PROMESSE NECESSARIAMENTE MANCATE DEL KNOWLEDGE MANAGEMENT

• Cattura e distribuisce segni (simboli svelati/mortificati)• Prende, vede e vende prodotti, non processi; job non work• Le conoscenze non sono variabili indipendenti del sistema

persone-in-relazione•Se vive una comunità, vive il sapere; se muore una comunità,

muore il suo sapere• Il sapere non è accumulazione di contenuti, ma negoziazione

di interpretazioni eterogenee• Il sapere di una comunità è solo parzialmente codificabile e

riproducibile, è indirettamente (“per speculum et in enigmate”) intuibile nelle storie di vita, nelle immagini mentali, nei vissuti,

nei simboli e nelle relazioni delle persone

13

LA CONOSCENZA ANTROPODEPURATALA CONOSCENZA ANTROPODEPURATA

•Cognizione come processazione formale di stimoli ambientali• Conoscenza autonomizzata e decontestulaizzata

•Le teorie stadiali: dal biologico al mentale• La mente (le strutture neuronali) codificano e ricodificano

logicamente l’ambiente• Il corpo outcome della mente

• Dalla cibernetica alle scienze cognitive alle pedagogie e didattiche sotto controllo del formatore

• Paradigmi metacognitivi: dello studente, mai dello stimolatore- controllore

14

LA CONOSCENZA ANTROPODEPURATALA CONOSCENZA ANTROPODEPURATACORPO

• Disabitato (Io decorporizzato)

• Ridotto a organismo

• Consegnato all’estetica e alle palestre per l’esterno

• Consegnato alla medicina per l’interno

• Da modo di essere nel mondo a strumento di adattamento al mondo

• Da simbolo espressivo del Sé a sintomo (simbolica del corpo tramutata in sintomatologia)

• Cuore, fegato, mani, occhi, bocca, genitali. … desimbolizzati, ridotti a segno/sintomo/funzione

•Il linguaggio simbolico, analogico, tacito, criptico, sintomatico, incistato nei corpi, nei gesti, nei

movimenti?

15

LA CONOSCENZA INCARNATALA CONOSCENZA INCARNATA• la cognizione dipende dai tipi di esperienza che derivano dall'avere un corpo con varie capacità

sensomotorie inquadrate in un più ampio contesto biologico e culturale.

• È il modo in cui il percettore è incorporato - il modo in cui il sistema nervoso connette superfici sensoriali e motorie- piuttosto che qualche mondo preesistente, che

determina come il percettore può agire ed essere modulato dagli eventi ambientali.

• La conoscenza si manifesta quale azione efficace in un dominio d'esistenza: è esperienza, coinvolgimento profondo. E’ azione incarnata, operatività inseparabile dal corpo fisico dell'individuo, dalla sua costituzione

biologica e storia personale vissuta.

16

IL CORPO: LUOGO DELL’IMMAGINARIO IL CORPO: LUOGO DELL’IMMAGINARIO SIMBOLICOSIMBOLICO

• Dall’ottimizzarne le prestazioni, l’estetica e la funzionalità all’abitarlo consapevolmente.

• Il corpo come dispositivo euristico

• Il corpo come il prima e l’oltre della parola

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C ILow Touch High-Tech

Desiderio di conoscere

Didatticismo paranoico

Silenzio, riflessione,

assenza

Maniacalità dell’Io

Sostare Trasformare, cambiare

CRESCERE-SVILUPPARSI-MIGLIORARE

• Mito economico: il n/s PIL interno• Le psicologie “evolutive”, dello “sviluppo”, gli andamenti stadiali, scalari, le

fasi• Ossessione per il confronto con lo standard• Timori di collocarsi nella parte ponderometrica negativa della gaussiana• Le menti stadializzate• Le tabelle di marcia come predizioni scientifiche • Sindrome dell’inadeguatezza: difficile non essere sotto o fuori in qualcosa• Il fascino del paradigma adultificante• Lo “sviluppatore” aziendale: anche quando taglia le teste• I processi di Mcdonaldizzazione, che superano i modelli taylorista e toyotista

(efficienza, calcolabilità, prevedibilità, controllo)• Tutto diventa fast e big, more and more• Tecnodidattica per accelerare l’uscita del bambino dalla bambinaggine e

l’adolescente dalla stupidità• Ma anche l’adultità deve ora ancora crescere…

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

ENERGIA• Il terrore dell’esaurimento

• La mania per la luce, il visibile, il diurno, il chiaro, il risolto, le risposte

• La paura dello ctonio, oscuro, incerto, aurorale, black-out

• Essere svegli, attivi, veloci, energici, vitali, solari, assertivi, chiari, decisi, forti, sicuri, belli, sani, noti, visibili, tonici, scattanti, reattivi, erettivi, fotogenici, rassicuranti, godibili, giovani, sorridenti, empatici,

• Energia estetizzata

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

CAMBIARE

• Changing - Development: atti di fede• E’ il mitologema dell’educare, istruire, formare, curare• La flessibilità• La novità (moda, pubblicità)• La metabletica• Le “resistenze al cambiamento”• Le terapie che “vogliono” cambiare il paziente che resiste• Addomesticare l’affettività (le intelligenze emotive)

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I

VERSO APPROCCI CLINICO/FENOMENOLOGICI

PERCHE’?• L’insegnamento/apprendimento e’ un processo relazionale (non insegna la nostra cultura, ma il nostro modo di interagire acculturato)

• La cultura non e’ nostra, ne’ e’ transitata in noi, ma generata insieme. Non e’ distribuibile, ma compartecipabile.

• La conoscenza e’ nelle relazioni fra le persone

• La mente non e’ nella testa, non e’ il software del corpo: la conoscenza e’ enattivamente incarnata (embodiment)

•Le idee che non sappiamo di avere, hanno noi

26

VERSO APPROCCI CLINICO/FENOMENOLOGICIVERSO APPROCCI CLINICO/FENOMENOLOGICI

• Chi forma davvero? Le nostre pedagogie o noi? E cosa di noi?

• Ciò che non si accetta, si è destinati a diventarlo… Ciò che si manda via, ci fa diventare…

I padri/madri/maestri che non riescono ad assumersi la propria parte di umana imperfezione, costringono i figli/allievi a esprimerla nella propria vita.

Ogni figlio, ogni allievo è condannato ad assumersi l’ombra dei genitori e maestri

Ogni figlio, ogni allievo deve vivere la vita non vissuta dei genitori e maestri

Non si può cambiare niente che non sia stato prima accettato

Si diventa sempre la cosa che più si combatte.29

VERSO APPROCCI CLINICO/FENOMENOLOGICIVERSO APPROCCI CLINICO/FENOMENOLOGICI

• Ciò che non conosciamo e non integriamo in noi, impediremo all’altro di conoscerlo e accettarlo…

• Non è la teoria che forma: siamo noi. La nostra personalità è più importante di quel che diciamo e pensiamo

• I nostri interlocutori possono essere più sensibili e profondi di noi che li vogliamo aiutare

• Non si può portare nessuno più in là di dove siamo arrivati

• Il nostro metodo siamo noi (Ars totum requirit hominem)

• Possiamo sistemare e ordinare nell’altro solo ciò che siamo riusciti a sistemare in noi.

30

Luciano CerioliLuciano Cerioli

Intorno alla Intorno alla personalizzazione personalizzazione

e alla tutorship scolasticae alla tutorship scolastica

C C OO G I T O R G I T O R

E R E R GG O S U M O S U M

E R G O E R G O CC O G I T O O G I T O

Insegnare - Imparare

Transfer cognitivo Transfert (a-relazionalità) (relazionalità custodita) Tutorship diretta Tutorship indiretta

(il promotore, stimolatore, (soffusa, riflessiva, people-oriented)

attivatore, correttore)

22luciano cerioli

• Ins./Appr. come transfer

• Appr. = f ( Ins.)

• Ipertrofizzione degli Stimoli

• Psicologie, pedagogie e didattiche darwinistico - adattazioniste

Le idee che non sappiamo di avere, Le idee che non sappiamo di avere, hanno noihanno noi

33luciano cerioli

Idee adattazionisticheIdee adattazionisticheSelezionare, migliorare la fitness, adattare, istruire sulla vita, modellare, dare la forma adatta, offrire gli stimoli alimentativi e correttivi, instradare, orientare

Da una sola linea ancestrale (normalità) evoluzioni adattate o de-viate

Politipicità come scarto dalla norma, come imperfezione, come mancanza, come errore, come de-vianza

Evoluzione come processo graduale e continuo verso la miglior integrazione possibile con l’ambiente: interpretazione

progressionista, uniformista e gradualista

Evoluzione come il luogo della necessità, della selezione, della direzione e dell’ottimalità adattiva

44luciano cerioli

Il sintomo come imperfezione, malattia (da curare)

I percorsi di manovra come regressione o cristallizzazione

La creatività, l’immaginazione, la differenza come de-vianza

Il pensiero ridotto a pensiero proposizionale

La mente ridotta a coscienza

L’organizzazione come macchina, il lavoro come job

L’artificializzazione della mente

L’accanimento stimolativo-formativo

55luciano cerioli

F O N D A L I I D E I C IF O N D A L I I D E I C I• L’idea di CRESCITA: espandersi, evolversi, migliorare, integrare,

maturare, divenire indipendenti• Modo infantile e unilaterale di pensare e vedere la crescita: “Vai avanti,

combatti, non restare indietro, diventa più forte, affronta e vinci i tuoi problemi, prendi in mano il tuo destino…”.

• Eppure la psiche cresce spesso nelle sconfitte, nei divorzi, nelle depressioni, nelle perdite, nelle assenze, nelle mancanze…

• In genere non si coglie l’aspetto complementare: morire, rimanere soli… La crescita assume una coloritura cancerosa, indica mostruosità, epidemia, brutture, stupidità, disastri, imbecillità, declino. Da misura del progresso a sintomo di un problema.

• Per un po’ sviluppo ha significato miglioramento, ora, sempre più, significa distruzione. L’ipersviluppo appare non meno problematico del sottosviluppo.

• Si ha spesso bisogno di starsene fermi, di rifettere, di ricordare, di rattristarsi e di arrendersi per andare “avanti”.

• “Avanti” significa spesso andare dentro, andare in basso. Si ha bisogno di eroi delle discese più che maestri della negazione, di gente che sappia reggere anche la tristezza e la paerdita. Che diano e si diano rispetto. Ulisse, Enea, Psiche, Persefone, Orfeo, Dioniso hanno visitato l’Ade. La via delle ceneri, del dolore e della discesa è spesso la via per proseguire.

66luciano cerioli

•Discente non passivo, ma attivo conoscitore (“La visione sarà di colui che vorrà vedere”). Allievo attore dei propri processi mentali

•Più che sui contenuti, fare leva su competenze trasversali e trasferibili/ amplificabili e monitoraggio dell’apprendimento

•Più che catturare e riprodurre gli stimoli, elaborarli, trasferirli, rielaborali, applicarli… Non solo non lasciare indietro l’allievo, ma incoraggiarlo ad andare oltre

•Misconoscenze non come effetto di disattenzione, ma attaccamento , affezione a modelli mentali ingenui e primitivi. Si favorisce il conceptual change: passaggi da ordini inferiori a superiori. Si cerca di disambiguare i malintesi scriptali. Si aiuta l’allievo a conoscere le sue

concezioni ingenue. Lo si fa riflettere sul vecchio e gli si dà nuovi scenari di contesto.

•Lo si aiuta a pensare il suo pensiero, i suoi schemi, le sue concezioni (metacognizione). A conoscere il funzionamento mente, a conoscere le conoscenze del funzionamento mentale, a

controllare il pensare. Più metacognizione = più cognizione.

• Lo si aiuta a riflettere, elaborare, rielaborare, applicare, trasferire. A conoscere i propri stili di conoscenza, le tattiche e le strategie: strutture trasversali da utilizzare in vari domini conoscitivi. Autoconoscenza, autoconsapevolezza, Nosce te ipsum, gnothi sauton

•Il ruolo delle “narrative” nel “mettersi dentro” alle situazioni: articolazione non sincronica, scenari e contesti personalizzati, immagini, simboli, elementi affettivi,

soggettività.

I nostri tentativi d’esser meno I nostri tentativi d’esser meno superficialisuperficiali

77luciano cerioli

I nostri tentativi d’esser meno I nostri tentativi d’esser meno superficialisuperficialiEx-attamento (ex-aptation)

•Evoluzione come processo polimorfo e imprevedibile di percorsi contingenti, di adattamenti secondari e subottimali, di bricolage imprevedibili

•Evoluzione come effetto di un bricolage opportunista e creativo per riorganizzare il materiale disponibile

•Puzzle evolutivo, mantello di Arlecchino

•Evoluzione come labirinto di storie che si biforcano e creano altre storie

•Elogio dell’imperfezione, dell’adattamento incerto, instabile, non ottimizzato

•L’adattamento non come un’ottimizzazione diretta, ma come effetto collaterale

88luciano cerioli

I nostri tentativi d’esser meno I nostri tentativi d’esser meno superficialisuperficiali

Conoscenza incarnata e “accaduta” Conoscenza incarnata e “accaduta” ((Scuola di Santiago: Humberto Maturana, Francisco Varela) Scuola di Santiago: Humberto Maturana, Francisco Varela)

• Il corpo che conosce

• Circolarità azione-esperienza-conoscenza

• Conoscenza è azione efficace in un dominio d’esistenza, è esperienza, coinvolgimento profondo. E’ azione incarnata, operatività inseparabile dal corpo, storia personale vissuta.

• Qualsiasi “oggetto” dipende dall’interazione sensomotoria.

•Niente è fuori, niente è indipendente. L’oggetto esiste insieme a noi.

99luciano cerioli

TRANSFER E TRANSFERT NEI PROCESSI FORMATIVI

L’insegnamento/apprendimento:

Transfer cognitivo Transfert

(a-relazionalità) (relazionalità custodita)

•Processo relazionale (non insegna la nostra cultura, ma il nostro modo di interagire acculturato)

• La cultura non e’ nostra, ne’ e’ transitata in noi, ma generata insieme. Non e’ distribuibile, ma compartecipabile.

• La conoscenza e’ nelle relazioni fra le persone

• La mente non e’ nella testa, non e’ il software del corpo: la conoscenza e’ enattivamente incarnata (embodiment)

1010luciano cerioli

VERSO APPROCCI RIFLESSIVI

Non insegna la nostra coscienza, il nostro IO, interagiscono i Se’

• La mente non e’ l’IO

• Il rimosso e il latente e’ insieme –K e potenzialita’.

• La mancata integrazione attiva difese dal pensare

• La capacita’ negativa e’ la condizione perche’ nelle oscillazioni PS-D si formi il pensiero

• Occorre saper sostare in PS perche’ possa emergere senso

• Il mentirsi come apparato di riempimento della non-cosa, come –K

• La mancanza o fragilita’ del contenitore facilita l’invasione e l’accumulo di elementi beta: si rischia la eliminazione dell’apparato per pensare i pensieri

1111luciano cerioli

VERSO APPROCCI RIFLESSIVI

• La coscienza di una realtà esterna è secondaria alla coscienza di una realtà psichica interna

• Le semiosi affettive non sono scomponibili da quelle cognitive

• Le semiosi affettive diventano coscienti, pensiero, se trasformate

• Non vi e’ conoscenza senza una progressiva autoconoscenza

• Cio’ che non viene trasformato in pensiero permane attivo.

• Nella formazione si da’ cio’ che si ha

• L’insegnamento e l’apprendimento tendono a coincidere.

• Cogitor, ergo sum, ergo cogito

12luciano cerioli

Non conoscenza di sé – distanza da sé, non presenza

• Non mancanza di forza centrifuga , ma eccesso di forza centripeta (difese dal pensare)

• Non carenza di “intelligenza”, ma inibizione e restrizione dell’intelligenza disponibile

• L’allievo non è in classe, non è in sé, non è dimostrata la sua esistenza.

Di nuovo nei dintorni di Di nuovo nei dintorni di Delfi?Delfi?

Come Come aiutarloaiutarlo

Molto disapprendimento, molta superficialità sembrerebbero sintomi di:

13luciano cerioli

Apprendere dall’esperienza Interiorizzazione dei processi e dei prodotti Coscienza di sé, dell’oggetto e della relazione

Apprendere per identificazione proiettiva Fondato sull’invidia e l’appropriazione delle competenze altrui tramite copiatura superficiale

Apprendimento per identificazione adesiva Basato su comportamenti parassitari e mimetici

Apprendimento per raccatto Saccheggio e furto dei poteri altrui

Apprendimento per collezionismo Basato su neutralizzazione affettiva

Apprendimento delirante Apprendimento rovesciato

APPRENDEREAPPRENDERE

1414luciano cerioli

IO

Cosa so di me

Quali sono i miei pensieri

Come funziono

Come penso di conoscere

Quali i miei stili di conoscenza

Quali i miei modelli mentali

Quali le miei difficoltà

Quali le mie possibilità1515luciano cerioli

ΨArea del residuale, latente,

del rimosso, del pre-logico, del simbolico

-K

IOK

1616luciano cerioli

Cogitor

Ergo sum

Ergo cogito

Pensare l’allievo: la relazione formativa e le capacità relazionali

“Esse est percipi”.

Capacità positive e negative

La mente primitiva: ingenua o satura di simbolismi non da svelare, ma da deletteralizzare?

Incontrare, far parlare, accogliere i simboli interni

Bonificare il residuale della mente

Dall’idem all’ipse

1717luciano cerioli

Cogitor, ergo sum

• La mente del docente come strumento di lavoro

• Le misconoscenze del docente

• Le capacità riflessive del docente

• La dimensione d’ombra del docente

• Il transfert nella relazione formativa

• Si dà ciò che si ha

• Non solo rêverie epistemica (onde theta dell'EEG) ma facilitazione all’incontro con le immagini e simboli interni, i propri mitologemi

1818luciano cerioli

Cogitor, ergo sum

• Sperimentazione di una conoscenza accogliente vs oggettivante ed espropriante

• Dal catturare, fronteggiare, scoprire, svelare gli oggetti all’accoglierli, integrarli, lasciarli risuonare, accompagnare, distillare

•Negative-Capability, conoscenza passiva, accoglienza dell’indeterminato, apertura all’incategoriale, al preclassicativo, all’ambivalenza, all’oscuro, al magmatico, al daimonico, alle latenze, al corporale, all’inabissato, al metaforico, all’analogico, al dissolto, all’Ombra, al naturale, al perturbante, al misterioso. Al simbolico.

1919luciano cerioli

Cogitor, ergo sum

• Il linguaggio dell’Uno: nomina le cose secondo la loro unità, per controllare l’indeterminabile molteplice, ma così esclude e limita il duplice. E’ diabolico, è binarius, è disgiuntivo. Elimina e allontana da sé ciò è che una cosa e l’altra insieme. Facendo giorno, incrementa la notte.

•La civiltà occidentale ha stabilito l’identità di ogni cosa con se stessa e l’ordine rigoroso delle sue relazioni. L’uni-verso che ne è nato ha dissolto ogni di-verso, differente, ambivalente. Immagini, sogni, simboli, miti, affetti, pulsioni, emozioni, rêverie… abbandonate. L’inconscio rimosso.

•Il linguaggio dell’Uno caccia e getta lontano (dia-bàllein) il linguaggio dell’Altro: all’es-pressione del primo si oppone la re-pressione del secondo. Il primo è chiaro, diurno, il secondo diviene sempre più scuro e notturno.

•Il simbolo (sun-bàllein) compone i distanti

• Il sintomo è il simbolo rimosso, un’antitesi e un’ambivalenza represse

2020luciano cerioli

L u c i a n o C e r i o l i

Cogitor, ergo sum

• Il simbolo svelato, muore (diventa segno). Il simbolo è morto se non rinvia. • Il simbolo contiene un’eccedenza di senso rispetto al senso riconosciuto. La sua forza dura finché permane l’eccedenza.• Il simbolo si esprime in immagini, anche il segno, spesso. Se l’immagine non apre all’ambivalenza, rafforza l’equivalenza del segno (es. segnaletica sessuale in diffusa ermeneutica dell’onirico).• Il simbolo non risponde al tì esti (che cosa è) platonico: non significa e non va interpretato/svelato. Il simbolo non è qualcosa, fa essere qualcosa.• Il logos, la coscienza, l’Io deve esaurire/depredare il serbatoio dei simboli? (“Dov’era Es, sarà Ego…)”.• La riduzione del simbolo a significati fissi, l’arresto di senso, il rifiuto delle contraddizioni, la conversione dell’ambivalenza a polivalenza o equivalenza sono le caratteristiche di un pensiero e di un linguaggio messo a disposizione dalla pre-potenza della ragione• Il simbolo parla non se si perde la coscienza, ma se la si relativizza• Che una cosa sia simbolo o no, non dipende dalla cosa, ma dal mio sguardo

2121luciano cerioli

Sum, ergo cogito

LE CONDIZIONILE CONDIZIONI

• Sviluppo sensibilità e capacità clinico-pedagogiche

• Installazione e presidio di setting riflessivi

• Triangolazione con pre-testi semiproiettivi (simbolico-evocativi)

• Utilizzo di sguardo e tecniche facilitanti il pensarsi e il pensare

22luciano cerioli

SETTINGSETTING

è il modo di stare insieme

è la disposizione e l’atteggiamento mentale

è un modo di pensare e di relazionarsi

è la cornice, lo sfondo, lo scenario mentale e fisico

è un insieme di condizioni mentali, di modalità comunicative e relazionali, di elementi concreti (il luogo, la disposizione delle persone, l’ambiente, gli orari, le regole, i

rituali…) che permette di sviluppare una forma di relazione conoscitiva.

In quanto tale è la condizione necessaria e indispensabile al cui interno sviluppare stimoli evocativi (sotto forma di pretesti narrativi) perché possano essere occasione di esperienza, di riflessione e di pensiero per i soggetti coinvolti nel Laboratorio Clinico.

I pretesti narrativi costruiti in funzione clinica “funzionano” nella misura in cui vengono accolti e sviluppati all’interno di un setting clinico-pedagogico ben installato e

adeguatamente presidiato a cura dell’insegnante.

L’installazione e il presidio del setting è la condizione indispensabile per lo sviluppo del Laboratorio. 2323luciano cerioli

Anche il modo di lavorare in classe rappresenta uno specifico setting: diverso da quello clinico.

Struttura gruppale centrata su compiti esterni finalizzata adacquisire informazioni e mo-delli di comportamento.Dimensione: secondaria eterocentrata eterofinalizzata artificiale progressiva direttiva valutativa Oggetti: il mondo esternoAlleanze: esterne (testi, maestri, …)Registro mentale: logico

Struttura gruppale centrata su compiti interni finalizzata

ad apprendere dalla personale esperienza Dimensione:

primaria e secondaria auto/eterocentrata

auto/eterofinalizzata naturale

regressiva e progressiva non direttiva avalutativa

Oggetti: il mondo interno

Alleanze: interne

Registro mentale: analogico

Setting d’aulaSetting d’aula Setting clinicoSetting clinico

Setting Setting clinico-clinico-

pedagogicopedagogico

(RIFLESSIVO)(RIFLESSIVO)

24luciano cerioli

Dirige, orienta

Valuta, giudica

Agisce e re-agisce

Programma, insegna, valuta, giudica

E’ centrato sul compito e sui risultati

Si occupa del “qui-ed-ora”

Dà risposte

Dice come si fa

Educa e ri-educa

Segue, sta accanto

Non valuta, cerca di comprendere

Accetta, amplifica, non reagisce

Ascolta, stimola a pensare e ad elaborare

E’ centrato sui soggetti, su di sé e sulla relazione

Si occupa del “qui-ed-ora” e del “là-e-allora”

Induce nuove domande

Sollecita ciascuno a trovare le sue soluzioni

Aiuta a sviluppare

Setting d’aulaSetting d’aula Setting clinicoSetting clinico

Anche il modo comune di lavorare da parte dell’insegnante è diverso nei due setting.

25luciano cerioli

STRATIFICAZIONI DEL SETTING PROFESSIONALE

26luciano cerioli

Ogni incontro può essere immaginato suddiviso in alcuni momenti ricorrenti:

APERTURA

• Rituale d’ingresso

• Richiamo delle regole

• Installazione setting

STIMOLAZIONE

• Lettura, animazione del pretesto narrativo

• Indicazioni di esercitazione

ELABORAZIONE

• Sollecitazioni indirette

• Amplificazioni

• Immaginazioni

• Simulazioni

• Esperienze

RIFORMULAZIONE

• Ritornare al gruppo, opportunamente selezionato e deletteralizzato, ciò che è stato sperimentato e pensato

• Riprendere i significati di ciò che si è sperimentato

CHIUSURA

• Richiamo alle regole

• Rituale di uscita

27luciano cerioli

Le principali regole possono essere così riassunte:

• AVALUTATIVITA’: nessun membro del gruppo deve esprimere valutazioni o giudizi, né positivi né negativi, su ciò che viene espresso. Ognuno, semplicemente, comunica

ciò che sente vero per sé secondo le modalità che ritiene più idonee.

• AUTENTICITA’: ognuno cerca di esprimere ciò che avverte e pensa senza preoccuparsi di rispondere alle attese (anche implicite) degli altri.

• INTRANSITIVITA’ DELLE CONOSCENZE: non deve esservi spazio, nel laboratorio, per lezioni, suggerimenti, prescrizioni, risposte; la conoscenza deriva da

personali elaborazioni di ciò che viene costellato dalle narrazioni e dalle esercitazioni.

• DISCREZIONE: ciò che viene pensato ed espresso nel setting non deve essere oggetto di discussione o di valutazione scolastica extra-setting.

• RISPETTO: ogni persona non deve essere investigata, analizzata, interpretata, sottoposta a domande o a richieste particolari. Le difese vanno salvaguardate e

comprese, mai attaccate.

28luciano cerioli

L’insegnante – nel corso di ogni incontro di laboratorio – è impegnato a:

Definire e custodire il setting, ricordando le regole, rispettandole in prima persona, controllando i momenti e i tempi di lavoro, rispettando gli orari e i rituali definiti.

Presentare il pretesto narrativo attraverso l’animazione e le esercitazioni che ritiene più adeguate alle proprie caratteristiche e a quelle del gruppo.

Facilitare la riflessione e l’espressione di ogni soggetto, senza rigide pianificazioni di interventi o interpellanze automatiche.

Ascoltare attivamente, ascoltarsi ed ascoltare, senza pregiudizi, senza bisogno di dare risposte, cercando di cogliere le sfumature espressive e i significati possibili che

qualificano la comunicazione.

Amplificare, sviluppare le immagini, le ipotesi, i significati possibili di ciò che viene evocato e comunicato o agito.

Deletteralizzare come strumento analogo all’interpretazione: evidenziare i sottesi, immaginare insieme le simbologie implicite.

(continua)

L u c i a n o C e r i o l i

29luciano cerioli

Aiutare ad accorgersi dei sentimenti, delle tonalità e coloriture espressive, degli impliciti e dei significati possibili dei comportamenti relazionali.

Aiutare ad analizzare e a chiarire ciò che sembra confuso, sotteso, ambiguo nei pensieri e nelle modalità relazionali.

Rispecchiare, riformulare ciò che è stato espresso in modo confuso, inconsapevole o semplicemente agito.

Incoraggiare l’espressività e i tentativi di comprensione della stessa, oltre che i personali percorsi di evoluzione dei soggetti. Più che segnalare i limiti e i peccati,

incoraggiare lo sviluppo delle potenzialità e delle virtù.

Contenere, delimitare e salvaguardare gli spazi di privacy individuale e gruppale, mostrarsi capace di tollerare in sé l’ansia, la confusione, l’incertezza. Darsi come

esempio di persona che è in grado di assumersi la responsabilità cognitiva ed emotiva dei pensieri, delle parole, delle azioni.

3030luciano cerioli

ATTEGGIAMENTI RELAZIONALIATTEGGIAMENTI RELAZIONALI

31

Esprimere accettazione,

rispetto, comprensione

Esprimere accettazione,

rispetto, comprensione

Contenere,Elaboraresofferenzae disagio

Contenere,Elaboraresofferenzae disagio

Pensare,riflettere, elaborare

Pensare,riflettere, elaborare

Seminare Disperazione.Scoraggiare

Seminare Disperazione.Scoraggiare

Diffondere odio, critiche,

lamentele.Attaccare

Diffondere odio, critiche,

lamentele.Attaccare

Emanareansia,

colpevolizzare

Emanareansia,

colpevolizzare

ReagireReagire

Offrire sostegno, incoraggiamento

Offrire sostegno, incoraggiamento

luciano cerioli

Funzioni emotive negative (distruttive)

Attaccare, suscitare odio

Diffondere disperazione

Seminare ansia persecutoria

Creare finzioni

Reagire

Creare confusione

Invidiare, non tollerare la diversità

Proiettare

32luciano cerioli

Alcune comuni difese Infantilizzare gli interlocutori

Rifugiarsi nel precettismo

Fare i beneducati

Colpevolizzare

Deresponsabilizzare, deresponsabilizzarsi

Rimuovere

Svalorizzare, idealizzare

Razionalizzare, concretizzare

Sedurre, farsi sedurre

Cercare complicità

3333luciano cerioli

Tenere insieme

Far emergere

Amplificare, spiazzare

Riformulare

Custodire e segnare l’orientamento

Bonificare

Darsi come esempio di pensiero e di speranza

Custodire e alimentare il processo

34luciano cerioli

• Incoraggiare (individuare, sviluppare le “isole di capacità”)

• Rilevare e comprendere i sintomi collettivi e individuali (non attaccarli)

• Predisporre viabilità allo sviluppo

• Agire pensando e imparando dall’esperienza

• Inventare, immaginare, creare mondi

• Deletteralizzare, non giudicare

• Spendere i propri talenti “gratuitamente”

CAPACITA’ POSITIVACAPACITA’ POSITIVA

35luciano cerioli

CAPACITA’ NEGATIVACAPACITA’ NEGATIVA

• Contenere

• Rispettare (guardare un’altra volta) – rispettarsi

• Saper stare mentalmente soli

• Non sedurre, non farsi sedurre

• Saper stare nell’incertezza, nelle domande, nel vuoto

• Non cercare conferme, non pagare debiti

• Potere e sapere dire di no e di sì

• Non dare risposte dirette, aiutare a pensare

• Non fare al posto di

• Accogliere, comprendere, amplificare, rispecchiare, riformulare

• Astenersi dal prescrivere, giudicare, convincere

• Let it be (non “voler” cambiare gli altri)

36luciano cerioli

•Sono la loro comprensione (Talmud)

•Contengono autoritratti

•Non ingannano, non comunicano “en travesti”, ma come possono

• Precedono la nostra coscienza

•Teatro della mente

•Strutture mentali di forze primarie, istintive

•Forme di vita mentale

•Non evasione da realtà, ma realtà interiore

Immagini mentali – Simboli – Immagini mentali – Simboli –

MitologemiMitologemi

37luciano cerioli

Perché?Perché?

Per appagare in modo mascherato desideri repressi o rimossi

Per accorgerci di ciò di cui non ci accorgiamo

Per alleviare le nostre unilateralità

Per darci ciò che ci manca e di cui abbiamo bisogno

Correttori di univoci punti di vista, barometro dell’unilateralità

Immagini mentali – Simboli - MitologemiImmagini mentali – Simboli - Mitologemi

38luciano cerioli

1

adolescenza e dintorniadolescenza e dintorniIl prima e il dopo

Cultura e Linguaggi

Bullismi e Bande

Amori e Amicizie

Scuola e Relazioni

2

Osservare “da fuori” il passaggio adolescenziale Osservarlo “da dentro” – psicodinamica (i “casi clinici” come nostre storie e nostre biografie…).

Spiegare vs comprendere La preadolescenza e l’adolescenza non esistono Il “fare bene” i genitori: mestiere impossibile

il prima e il dopoil prima e il dopo

Modi di vedere, modi di capireModi di vedere, modi di capire

3

il prima e il dopoil prima e il dopo

Hanno con sé ciò che hanno e non hanno del passato Attaccano, feriscono, distruggono, generano, idealizzano,

svalutano, smitizzano, cambiano, deludono, tradiscono. Kamikaze estremisti. Niente da perdere: solo l’infanzia.

Il passaggio non trasforma i loro corpi e le loro menti, impone cambiamenti al genitore e all’educatore: scuote i loro valori, scelte, identità, difese, garanzie.

Implicitamente chiedono una disponibilità estrema (amore?): esserci per lasciarli andare via, amarli al punto da lasciarsi tradire e attaccare senza morirne.

Forse più intelligenti e preparati di quanto fossimo noi, ma anche più fragili e confusi.

Invarianze rispetto ai cambiamenti superficiali (D.Winnicott: “L’adolescenza? Bisogna aspettare che passi…”).

Nekia: viaggio nell’Ade. Un colloquio col Male. Uno sconfinamento necessario. Rischioso. Ansiogeno.

4

il prima e il dopoil prima e il dopo

L’HABITAT RELAZIONAL

E della FAMIGLIA

POST-BELLICA

L’HABITAT RELAZIONALE della FAMIGLIA AFFETTIVA

• Ci si è sposati per uscire dalla Famiglia di Prima, per amore, per dedicarsi ai figli• Ruoli Simmetrizzati - Democrazia Affettiva - No autorità ma coinvolgimento e corresponsabilizzazione• Dai codici punitivo-etici a condivisione e compartecipazione democratica:• Padri // madri - Figli // Amici // Fratelli

Regime educativo AUTORITARIO (Padre Etico, Normativo, Padrone)

Ruoli distribuiti e definiti: Padre dirige e svezza – Madre accoglie e aspetta a casa

Forte espulsività nel sociale

Ambiente interno negativo (malefico) Ambiente esterno salvifico (benefico)

5

il prima e il dopoil prima e il dopo•Allungamento della famiglia•Bonificazione interna / maleficazione dell’esterno•Adolescenze trattenute dentro e salvaguardate (eterne)•Non prepara al fuori – tende a portare il fuori dentro•Vissuti schizoparanoidei•Abbracciati e spaventati

Insieme abbracciati – Spaventati Incapaci di tradirsi

Ognuno che si sacrifica per l’altro Infelici

Infelicità e depressione spesso trasformate o incapsulate in

Super lavoroSuper lavoro Super accudimentoSuper accudimentoViolenza Tossicodipendenza Anafettività Dissocialità

EE

RR

GG

OORABBIA – RIBELLIONE – AUTORITARISMO – SESSUOFOBIA

TRISTEZZA – RABBIA SOFFOCATA – NOIA – DEPRESSIONE – COLPA

MADRI soffocanti, inibenti, possessive

MADRI liberali, autonomizzanti, facilitanti, valorizzantiPADRI padroni, autoritari, chiusi,

PADRI materni, esangui, affettuosi, preoccupati, latitanti, incerti, assenti, impauriti

6

Restrizione spazi mentali di scansione ambientale (il mondo è il proprio luogo)

Amplificazione aree di scansione ambientale (il mondo è più piccolo)

Visibilità dei confini fra ruoli, funzioni, età, differenze Invisibilità dei confini fra ruoli, funzioni, età, differenze (mammi, padri femmininilizzati, convocati in sala parto, genitori-amici, …)

Attiva delimitazione e sorveglianza dei confini Tendenza alla sovrapposizione e confusione dei confini: un’unica età, un solo modo di sopravvivere.

No Limits! I limiti esistono per essere superati!

Passaggi evolutivi segnalati e custoditi Assenza di rituali di passaggioBambini e ragazzi affidati alle prestazioni mercenarie di

eserciti di baby-sitter e “specialisti”Rituali e routines esistenziali rimarcate

Contenimento sociale e psichico dei bambini Amplificazione del self-expressive, della libertà di fare ed essere ciò che si vuole

Ridotti motivatori estrinseci (se fai bene, è normale, se fai male, ti sanziono)

Esaltazione dei motivatori estrinsecci (pedagogia mercantile, commerciale, contrattuale)

Passaggio adolescenziale: maleficazione dell’interno e beneficazione dell’esterno

Passaggio adolescenziale: allungato, diffuso, maleficazione dell’esterno e beneficazione dell’interno

Responsabilità come identificazione con modelli genitoriali Responsabilità come adesione altalenante a provvisori modelli di successo e di potere

Etica dell’obbedienza (rispondo al superiore: la norma sanziona) e, successivamente, etica della coscienza (l’Io –modulato nei processi di identificazione- governa il mio modo di agire e di essere)

Etica intrinseca, dell’Io (Decidi tu! Fallo secondo la tua coscienza! Fai come ritieni giusto!)

Amplificazione del dovere, del sacrificio e dell’ubbidienza Ricerca dell’evitamento della sofferenza, del limite, delle fragilità, della mancanza. Alto investimento affettivo sul bambino prezioso

Un tempo, non tanto tempo faUn tempo, non tanto tempo fa Ora, d’ora in poiOra, d’ora in poi

7

Un tempo, non tanto tempo faUn tempo, non tanto tempo fa Ora, spessoOra, spesso

Scenari umanistici Fondali tecnoscientifici

Da terra-madre A materia indifferente

Obiettivi, fini, telos, etiche, valori, salvezze, motivazioni, senso, progetti, preparazione a(Se studi, farai…Se ti impegni ora, poi…Se ti sacrifichi ora, poi vedrai…Se accumuli ora, poi potrai…)

Afinalizzazione. Nessuna finalità, alcun senso, ma risultati da raggiungere. La tecnica non ha scopi, non dà un senso, non segnala arrivi, non svela verità. La tecnica FUNZIONA. Si autopropone per autosvilupparsi

Garanzia di realizzabilità del progetto formativo

Alcuna garanzia (si salvi chi può, individualismo, assenze)

Costituzione del sé, della stima di sé, dell’accettazione di sè

Pretesa di essere e di saper fare ciò che non si è e non si può

8

Un tempo, non tanto tempo faUn tempo, non tanto tempo fa Ora, spessoOra, spesso

Educazione Istruzione Istruzione (e basta)

Sum, ergo cogito L’impossibilità di pensare, senza identità/ipseità

Emozioni e affetti contenuti e orientati alla conoscenza e a un progetto di vita

Scuola del risparmio emotivo, del profitto, del P.I.L. interno degli allievi

Conflitti di derivazione edipica elaborati nelle case e nelle scuole

Emozionalità in libera uscita, che vaga fra istinti di rivolta e tentazioni d’abbandono (se non posso lottare coi padri e i prof, me la prenderò col poliziotto e il tifoso opposto)

Relazioni asimetriche, giuste distanze, progetto e finalità, costruzione del sé, custodia dell’automiglioramento.

I miti della volontà, dell’impegno, della motivazione (senza interesse, senza relazioni positive)

9

A scuola, non tanto tempo faA scuola, non tanto tempo fa Nelle scuole, oggi e domaniNelle scuole, oggi e domani

Univocità del setting formativo (lezione-compito-interrogazione-valutazione)

Commistione e non delimitazione di setting plurimi

No negoziazione procedure, obiettivi, risultati attesi

Negoziazione passo-passo, contratti pedagogici, educazione ortopedica, con irrigidimento autoritaristici

Povertà stimolativa Ricchezza stimolativa

Rigidità relazionale e distintività ruoli-compiti-funzioni

Con-fusione ruoli, sentimentalismo, pendolarismo fra codici materni e paterni

Centratura sul compito Centratura sui bisogni, desideri, problemi

Rilevanza alla ripetizione, ai dettagli, all’esercizio

Esaltazione della libera espressione, sottovalutazione dei dettagli

Rapporti asimmetrici, autorità, regole, sanzioni, contenimento, frustrazione, elaborazione,

Rapporto egualitario, contrattualistico. Oscillazioni tra coercizione e seduttività commerciale

10

Pedagogie di ieri l’altroPedagogie di ieri l’altro Pedagogie dell’oggi

Maggiore indipendenza affettiva fra mondo adulto e mondo dei ragazzi

Maggiore vicinanza affettiva fra i due mondi

Pedagogia asciutta, essenziale, forse svezzante (Pedagogia del no)

Pedagogia “dolce”, ridondante, forse dipendentizzante (Pedagogia del sì)

Pochi riconoscimenti, cultura dell’impegno e della conquista

Molti riconoscimenti, cultura del regalo

Ruoli nettamente differenziati fra genitori e docenti, fra docenti e allievi, fra genitori e figli

Rischi di indifferenziazione, sovrapposizioni, confusioni di ruolo (fra genitori e docenti, fra docenti e allievi, fra genitori e figli)

Facili alleanze genitori-docenti contro i fi-gli/allievi

Facili alleanze genitori-figli contro i docenti

Pedagogia dell’autonomia, della differenziazione

Pedagogia della tutela, della relazionalità positiva

Beneficazione dell’esterno da maleficazione dell’interno

Beneficazione dell’interno da maleficazione dell’esterno

Maturazioni contenute e guidate Maturazioni accelerate e abbandonate

11

AL FONDOAL FONDO

La crescita mentale > crescita intellettuale La crescita interiore necessita di contenitori mentali, più che di contenuti La crescita interiore ha bisogno di terre-di-mezzo: aurorali, ipnagogiche Se non si accetta e favorisce la crescita interiore, essa ci distrugge I sintomi sono segni di crescita, segnali di speranza Non si può cambiare niente se prima non lo si accetta Non si riesce ad accettare nessuno così com'è se prima non ci si accetta

così come siamo Per unirsi, bisogna "sapersi" divisi, sentirsi disgiunti. Non si cresce senza “peccare”. Chi non fa nulla di male, non fa nulla.

Commette la colpa di non peccare, il peccato di non vivere. L'innocenza non serve: attira solo i lupi Ad ognuno serve, per crescere, sperimentare la bontà e la terribilità dei

suoi generatori La necessità di venir traditi e di tradire Si diventa sempre la cosa che più combattiamo

12

AL FONDOAL FONDO

C'è bisogno degli altri per conoscersi Se si sviluppa la propria individuazione, si salva il mondo I padri/madri/maestri che non riescono ad assumersi la propria Ombra, la

propria parte di umana imperfezione, costringono i figli/allievi a esprimerla nella propria vita.

Ogni figlio, ogni allievo è condannato ad assumersi l’ombra dei genitori e dei maestri, a vivere la vita non vissuta dei genitori e dei maestri

Ciò che non conosciamo e non integriamo in noi, impediremo all’altro di conoscerlo e accettarlo

Non è la pedagogia o la psicologia che educa e cura: siamo noi. La nostra personalità è più importante di quel che diciamo e pensiamo

I nostri interlocutori possono essere più sensibili e profondi di noi che li vogliamo aiutare

Un educatore e aiutatore nevrotico educherà e curerà nell’aiutato la propria nevrosi

Non si può portare nessuno più in là di dove noi siamo arrivati Il nostro metodo siamo noi (Ars totum requirit hominem) Possiamo sistemare e ordinare nell’altro solo ciò che siamo riusciti a

sistemare in noi.

13

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

CULTURA Luogo della fantasia potenziata, realtà

sottomessa, emozioni e stati d’animo parzialmente filtrati.

Oscillazioni fra primario e secondario, fra onnipotenza infantile e grandiosità/meschinità

Linguaggio simbolico, analogico, indiretto, tacito, criptico, sintomatico, incistato in corpi, gesti, gergo, abbigliamento, musica, movimento, tatuaggi…

14

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

CULTURA Linguaggio verbale espressivo più che

esplicativo Ironia, sarcasmo, iperboli, linguaggi,

dialettismi, esotismi (anglofoni), deformazioni lessicali, paratassi (proposizioni

poste su uno stesso piano), singlossie, neologismi, … Linguaggio che “fa gruppo” e differenzia

15

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

CULTURA

Se attiva, la cultura è strumento di contenimento del vuoto, del non-ancora (capacità negativa)

Strumento anti-noia e apatia adolescenziale La costruzione di propri linguaggi nomina

desideri e identità nascenti Tendenze a fruizione passiva e a una cultura

semplificata ma tecnologicamente “condita”

16

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

CULTURA

Umorismo, comicità, dissacrazione: modalità riparative ed apotropaiche

Scrittura visibile e mascherata: su vestiti, corpi, zaini, palazzi, treni,

Moda e body-art per omologazione, fusionalità e relazione narcisistica

Graffiti fra writers e bombers

17

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

CULTURA Writers: artisti trasgressivi, tensioni

riparative e restaurative (abbellire le brutte città/vite). Mito del bambino-messia-salvatore.

Bombers: Bombardano con la propria firma (tags) adulti/ostili. Mito dell’angelo sterminatore.

Le risposte di indifferenza e di punizione generica confermano fantasie negative (madre indifferente/passiva perché colpevole o madre cattiva che allontana)

18

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bande Spesso amici pre-banda che commettono

reati ignorandoli Spesso microgruppo unito da legame folle

(patto di follia): costruzione psicotica di un gruppo

Gruppo in adolescenza è presupposto dell’identità: Emancipa da nicchia familiare Permette collaudi protetti Controlla regressioni

19

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bande Il gruppo chiede protezione per poter offrire:

Identificazioni Reciprocità Protezioni (dagli inevitabili lutti

adolescenziali: idealizzazione genitori e onnipotenza infantile)

Nuovo nome Se-duce (fa cambiare percorso) , trans-

gredior (fa andare oltre), cum-ludere (fa giocare insieme)

20

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bandeRischi di fusionalità indifferenziata (si

riproduce relazione primaria, arcaica, onnipotente, senza lutti)

Riedizione di spazio d’illusione infantileEstensione area dipendenza infantile

(fallimento individuazione)Il gruppo coeso si sgretola facilmenteReati “improvvisi”, prodotti dalla mente

gruppale

21

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bandeTentativo di trionfo su noia, impotenza,

inadeguatezza, fallimento scolastico/esistenziale

Reato come realizzazione di fantasia collettiva, di un non-pensiero

Clima di “noia condivisa”: non premeditazione

Definizione giuridica e psicologica spesso differenti

22

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bandeEstorsioni su oggetti-simbolo del

consumismo: riappropriazione di una deprivazione

“ingiusta” Punizione dei “meglio nutriti” Darsi l’identità rubata Proiezioni sull’”altro”

23

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Bullismi e bandeNon sempre arrabbiati o aggressivi:

spesso annoiati, tristi, senza-sensoAgiscono i conflitti (anche su delega)

per incapacità a pensare e per bassa soglia di tolleranza della frustrazione

Le difficoltà di aiuto a pensarsi

24

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Amori e Amicizie In crisi e bisognosi di ascolto anche

perché innamorati Innamoramento è vicenda

adolescenziale Esperienza essenziale o un disagioIndolenza amorosa come protezione da

ErosDeterminismo infantile: coazione a

ripetere? Di chi ci si innamora sempre?

25

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Amori e Amicizie cercano ricordi materni e

idealizzazioni paterne cercano la simbiosi primitiva, le

proprie estasi narcisistiche il maschio cerca l’antico suo

splendore, la femmina cerca papà e mamma

Prima o poi litigheranno…

26

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Amori e Amicizie E’ un duro lavoro, incentivato da sessualità

ed estasi narcisistiche Maschi femminilizzati (occupati da donne a

casa e a scuola) si trovano: Minacciati dal nuovo oggetto d’amore che

rischia di scacciare i vecchi Impauriti da nuova dipendenza (il sé meno

importante del nuovo oggetto) Spaventati da nuovi rifiuti, abbandoni, perdite Timorosi sugli esiti del dolce sequestro

27

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Amori e Amicizie Femmine figlie di madri autonome e padri

competitivi Non ha progetti identificatori con

coniugalità e maternità: non è costretta a guarire il narcisismo e le regressioni del partner maschile

Non dovendo lavorare al servizio della coppia stabile e della maternità, pensa all’espressione di sé

Solidarizza con il partner: coppia residuale

28

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

Amori e Amicizie Difese condivise: amicalizzazione,

fraternizzazione, gruppalizzazione Femmina e maschio rivendicano libertà,

autonomia, distanza, autoespressività Ognuno può conservare vecchi legami Maggiore stabilità di coppia. I reduci dell’adolescenza dovranno poi

decidere se: Continuare a fare i baby-pensionati dell’amore Uscire dall’adolescenza e rischiare la passione

29

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

SCUOLA E RELAZIONI Difficoltà di identità e di nascita sociale:

personaggio annoiato, triste, vuoto. Esigenza di conoscere, ma soprattutto di

relazioni significative con l’adulto a scuola Esigenza che si rispecchino i propri tentativi

di crescere La qualità della relazione con i docenti è

primo fattore di benessere/malessere e successo scolastico

L’aiutare a “dare il nome” a ciascuno non è collusione o amicalismo

30

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

SCUOLA E RELAZIONI Ricerche: “Come mi trattano a

scuola?” Pochi “con antipatia”, “con freddezza” Tanti “con cortesia” Moltissimi: “con indifferenza”

Non si sentono importanti per i loro docenti

Trattati come studenti e come classeAnonimato, dispresenza, trasparenza

31

ADOLESCENZA E DINTORNIADOLESCENZA E DINTORNI

SCUOLA E RELAZIONI Ricerche: Danneggiamenti

Sentimenti di frustrazione e rabbia Indifferenza relazionale Mancanza di senso, abbandono, inutilità La scuola di nessuno Si rompe ciò che non è proprio Si distrugge ciò che trascura Docenti attenti ai programmi e non ai ragazzi,

personale demotivato, leadership amministrativa Climi positivi = minor danneggiamenti Contrapposizioni non tra autoritarismo/liberalismo,

Repressione/permissivismo, ma tra PRESENZA/ABBANDONO VITALITA’/INDIFFERENZA INSERIMENTO/EMARGINAZIONE