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1 La responsabilità dello Stato- giudice per violazione del diritto comunitario * 1 Cinthia Pinotti SOMMARIO 1.Premessa 2. Il contesto comunitario della responsabilità per atti del potere giudiziario. 3. La vicenda processuale che ha dato origine alla sentenza Köbler. 3.1.segue: le posizioni dei governi intervenuti. 3.2. Le conclusioni dell’avvocato generale Léger. 3. 4La sentenza Köbler 4.La sentenza Commissione/Italia: la responsabilità dello Stato per sistematica violazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali. 5. La sentenza Kühne &Heitz: retroattività delle sentenze della Corte di giustizia e intangibilità (relativa) del giudicato nazionale 6.Considerazioni sul nuovo modello di illecito dello Stato per atti del potere giudiziario. 7.La normativa italiana sulla responsabilità civile del giudice ed i suoi limiti applicativi. 8.Le ricadute in ambito nazionale della sentenza Köbler. 9.Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia dal Tribunale di Genova. 10.Considerazioni finali. 1.Premessa.Il tema della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile al potere giudiziario ha trovato di recente ampia e rinnovata attenzione in seguito ad una serie di importanti sentenze emesse dalla Corte di giustizia in un arco temporale abbastanza ravvicinato, che hanno riguardato : il profilo della responsabilità extracontrattuale dello Stato verso i singoli per violazione del diritto comunitario imputabile a giudici “supremi” (sentenza Köbler del 30 settembre 2003), 2 il profilo della responsabilità 1 Relazione tenuta al convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione sul tema “Profili evolutivi dell’obbligo di corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali e delle pubbliche amministrazioni “Sala Vanvitelli Avvocatura Generale dello Stato- .Roma 25 febbraio 2005 2 Trattasi della sentenza resa nella causa C-224/01, Köbler c.Repubblica d’Austria, in Foro Italiano, 2004, fasc.1, pt.4, con nota di E. SCODITTI, “Francovich presa sul serio:la resposanbilità dello Stato per violazione del diritto comunitario derivante al provvedimento giurisdizionale pp. 4-7. La sentenza ha suscitato molti commenti fra cui : C.PINOTTI, La responsabilità risarcitoria dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte del potere giurisidizionale: prospettive e ricadute nell’ordinamento italiano, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, fasc. 3-2003 pp.437-466; S.BASTIANON, Giudici nazionali e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Responsabilità civile e previdenza, 2004,fasc. 1, pp.57-67, R.CONTI, Giudici supremi e responsabilità per violazione del diritto comunitario, in Danno e responsabilità, 2004,fasc.1, pp.26-41;

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1

La responsabilità dello Stato- giudice per violazione del diritto

comunitario *1

Cinthia Pinotti

SOMMARIO

1.Premessa 2. Il contesto comunitario della responsabilità per atti del potere giudiziario. 3.

La vicenda processuale che ha dato origine alla sentenza Köbler. 3.1.segue: le posizioni dei

governi intervenuti. 3.2. Le conclusioni dell’avvocato generale Léger. 3. 4La sentenza Köbler

4.La sentenza Commissione/Italia: la responsabilità dello Stato per sistematica violazione del

diritto comunitario da parte dei giudici nazionali. 5. La sentenza Kühne &Heitz: retroattività

delle sentenze della Corte di giustizia e intangibilità (relativa) del giudicato nazionale

6.Considerazioni sul nuovo modello di illecito dello Stato per atti del potere giudiziario. 7.La

normativa italiana sulla responsabilità civile del giudice ed i suoi limiti applicativi. 8.Le

ricadute in ambito nazionale della sentenza Köbler. 9.Le questioni pregiudiziali sottoposte

alla Corte di giustizia dal Tribunale di Genova. 10.Considerazioni finali.

1.Premessa.Il tema della responsabilità dello Stato per violazione del diritto

comunitario imputabile al potere giudiziario ha trovato di recente ampia e rinnovata

attenzione in seguito ad una serie di importanti sentenze emesse dalla Corte di giustizia in un

arco temporale abbastanza ravvicinato, che hanno riguardato : il profilo della responsabilità

extracontrattuale dello Stato verso i singoli per violazione del diritto comunitario imputabile a

giudici “supremi” (sentenza Köbler del 30 settembre 2003),2 il profilo della responsabilità

1 Relazione tenuta al convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione sul tema “Profili evolutivi dell’obbligo di corretta interpretazione ed applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali e delle pubbliche amministrazioni “Sala Vanvitelli Avvocatura Generale dello Stato- .Roma 25 febbraio 2005 2 Trattasi della sentenza resa nella causa C-224/01, Köbler c.Repubblica d’Austria, in Foro Italiano, 2004, fasc.1, pt.4, con nota di E. SCODITTI, “Francovich presa sul serio:la resposanbilità dello Stato per violazione del diritto comunitario derivante al provvedimento giurisdizionale pp. 4-7. La sentenza ha suscitato molti commenti fra cui : C.PINOTTI, La responsabilità risarcitoria dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte del potere giurisidizionale: prospettive e ricadute nell’ordinamento italiano, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica, fasc. 3-2003 pp.437-466; S.BASTIANON, Giudici nazionali e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Responsabilità civile e previdenza, 2004,fasc. 1, pp.57-67, R.CONTI, Giudici supremi e responsabilità per violazione del diritto comunitario, in Danno e responsabilità, 2004,fasc.1, pp.26-41;

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dello Stato verso la Comunità ai sensi dell’art. 226 CE per comportamenti imputabili agli

organi giurisdizionali (sentenza Commissione/Italia del 9 dicembre 2003 ),3 ed infine il

profilo (fortemente connesso ai primi due) della possibile revisione di una sentenza passata in

giudicato da parte di un organo amministrativo ove necessario ai fini di una corretta

attuazione del diritto comunitario (sentenza Kühne & Heitz del 13 gennaio 2004)4.

Al di là della diversità dei casi che hanno occasionato le tre sentenze citate, delle

quali solo la sentenza Köbler affronta in modo diretto il tema, vi è un filo conduttore che

unisce i tre precedenti giurisprudenziali, costituito dalla necessità di ulteriormente completare

le condizioni per il sorgere della responsabilità dello Stato, nonché il sistema della

responsabilità extracontrattuale dello Stato verso i singoli, aggiungendo alla, già da tempo

affermata, responsabilità dello Stato legislatore e dello Stato amministratore la responsabilità

dello Stato giudice, senza però intaccare principi fondamentali comuni agli Stati membri quali

quello della autonomia ed indipendenza della magistratura e l’intangibilità della cosa

giudicata.

Se , ed in quale misura, l’intento sia stato effettivamente raggiunto è difficile dire dal

momento che, la portata più autenticamente innovativa del nuovo corso della Corte di

Lussemburgo, è affidata alle ricadute in ambito nazionale, tutte ancora da verificare anche se

in parte, come in Italia ed altri Stati membri già avviate.

In Italia infatti nelle more dell’emanazione della sentenza Köbler, il Tribunale di

Genova con ordinanza 20 marzo 2003 ha sottoposto alla Corte di giustizia domanda di

pronuncia pregiudiziale sulle condizioni relative all’insorgere della responsabilità

extracontrattuale degli Stati membri per i pregiudizi causati ai singoli da una violazione del

diritto comunitario, qualora la detta violazione sia imputabile ad un giudice nazionale di

ultima istanza ( questione sulla quale la Corte di giustizia non si è ancora pronunciata ). 5

S.DE MARIA, Recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,2004, fasc.3-4- pp.879-905; M.MAGRASSI, Il principio della responsabilità risarcitoria dello Stato-giudice tra ordinamento comunitario, interno e convenzionale, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2004, fasc.1, pp.490-503. 3 Sentenza resa nella causa C-129/00, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2004, fasc.2, con nota di M.MAGRASSI, Repubblica italiana condannata ai sensi degli artt. 226 e 228 TCE per un orientamento della Suprema Corte di cassazione, pp.1003-1010. Le conclusioni dell’Avvocato generale del 3 giugno 2003 erano state commentate da C.PINOTTI, Ancora sulla responsabilità dello Stato per inadempimento ex art. 226 C.E. riflessioni a margine dell'annoso problema del rimborso dei tributi pagati in violazione del diritto comunitario in Rivista telematica www.Foroeuropa.it n.3/2003. 4 Sentenza resa nella causaC-453/00, in Urbanistica e appalti, 10/2004 con nota di R.CARANTA, Effettiva applicazione del diritto comunitario e certezza del diritto, pp.1151-1155. Sulla sentenza vedi anche M.BOZZAOTRE, Sull’obbligo per l’amministrazione di riesaminare un provvedimento, che contrasti con una norma comunitaria, nell’interpretazione risultante da una sentenza successiva della Corte di giustizia CE (nota a CGCE 13 gennaio 2004, causa C-453/00)in rivista telematica www.Foroeuropa.it, 2/2004. 5I quesiti sottoposti dal giudice italiano sono i seguenti:

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In altri Stati (Spagna) i principi della Corte di giustizia sono stati di recente invocati

dal Tribunal Supremo spagnolo a giustificazione di una condanna personale ed in solido dei

giudici del Tribunal Costituzional al risarcimento dei danni causati ad un privato.

Alla luce di detti recenti scenari appare lecito chiedersi se i principi sulla

responsabilità dello Stato per atti del potere giudiziario sanciti dalla Corte di giustizia possano

influire sulla disciplina della responsabilità civile del giudice (o dello Stato-giudice) vigente

negli Stati membri ed in particolare se in Italia, sulla spinta della giurisprudenza comunitaria

non occorra seriamente por mano ad una nuova disciplina della responsabilità civile del

giudice più rispettosa dei principi comunitari e dell’art.28 della nostra Costituzione.

2. Il contesto comunitario della responsabilità per atti del potere giudiziario.

In ambito comunitario il tema della responsabilità dello Stato per atti imputabili ai

giudici nazionali non è nuovo.

Nell’ambito della procedura di infrazione ai sensi dell’art. 226 CE dominata da un

approccio di tipo internazionalistico, la Corte ha più volte precisato che “la responsabilità

dello Stato membro sussiste indipendentemente dall’organo la cui azione od omissione ha

dato luogo all’infrazione anche se si tratta di un’ istituzione costituzionalmente indipendente”

con ciò dando implicitamente per risolto in senso positivo il problema della responsabilità

dello Stato per atti imputabili ad un organo giurisdizionale.6

Già nel caso deciso dalla Corte di giustizia con sentenza 31 marzo 1992,

Commissione c.Danimarca, si contestava allo Stato membro l’erronea interpretazione delle

norme di una direttiva contenuta in due sentenze emanate da giudici appartenenti a quello

Stato. 1)Se uno Stato nazionale risponda a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei singoli cittadini degli errori dei propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario o della mancata applicazione dello stesso e in particolare del mancato assolvimento da parte di un giudice di ultima istanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art 234 co 3 del Trattato.

2)Nel caso in cui debba ritenersi che uno Stato membro risponda degli errori dei propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario e in particolare dell’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia da parte di un giudice di ultima istanza ai sensi dell’art. 234 co 3 del Trattato, se osti all’affermazione di tale responsabilità – e sia quindi incompatibile con i principi del diritto comunitario – una normativa nazionale in tema di responsabilità dello Stato per errori dei giudici che: esclude la responsabilità in relazione all’attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove resa nell’ambito dell’attività giudiziaria;limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice».

6 Il principio è pacifico nell’ambito del diritto internazionale: il Progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato approvato nel 2001 dalla Commissione di Diritto internazionale delle Nazioni Unite afferma all’art. 4 par. 1 che “il comportamento di un organo dello Stato sarà considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale sia che tale organo eserciti funzioni legislative esecutive giudiziarie o altre, qualsiasi posizione abbia nell’organizzazione dello Stato e quale che sia la sua natura come organo del governo centrale o di una unità territoriale dello Stato”.

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In dottrina, peraltro, non è mancato chi ha da tempo sottolineato l’estrema

problematicità del poter configurare una responsabilità dello Stato per fatto imputabile ad atti

del potere giudiziario, facendo leva sull’autonomia del giudice rispetto agli alti poteri (osserva

il Capotorti , Enc. D. 847, “l’esecuzione della sentenza di condanna dello Stato per infrazioni

commesse da organi indipendenti ed in particolare da tribunali interni incontrerà notevoli

difficoltà, addirittura insormontabili ove si voglia imporre ai giudici una condotta tale da

rimuovere l’infrazione “).

Analoghe perplessità sono state manifestate in ambito istituzionale, tanto che negli

anni 1967 e 1968 la Commissione si è vista costretta a rispondere ad alcune interrogazioni

scritte proposte da parlamentari europei sull’ipotesi che l’errata applicazione del diritto

comunitario o mancato rinvio pregiudiziale da parte di un organo che ne avesse l’obbligo

potessero giustificare una procedura di infrazione a carico dello Stato membro.7

Nel sistema della responsabilità extracontrattuale dello Stato verso i singoli elaborato,

come noto, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia nelle sentenze “storiche” Francovich

del 1991, e Brasserie du pêcheur e Factortame III , British Telecommunications, Hedley

Loams e Dillenkofer del 1996, che non presuppone una preventiva pronuncia della Corte di

giustizia in sede di giudizio di infrazione, la possibilità di imputare la violazione fonte di

danno risarcibile ad un organo giudiziario poteva desumersi sia pur per implicito sia dalla

sentenza Francovich che dalla sentenza Brasserie du pêcheur che (punto 23) aveva affermato

”il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli ha valore in

riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato

membro, qualunque sia l’organo di quest’ultimo la cui azione od omissione ha dato origine

alla controversia”.8

7 La Commissione fu dapprima possibilista ed affermò la potenzialità lesiva di detti comportamenti, poi precisò che l’impiego della procedura di infrazione in caso di mancata attivazione del rinvio pregiudiziale dovesse essere limitata ai soli casi in cui il mancato rinvio fosse dovuto a ignoranza manifesta o a un deliberato atteggiamento”.Vedi risposte alle interrogazioni scritte n.100/67 e risposta del 20 ottobre 1967 in GUCE n.270 dell’8/11/1967 p.2, e risposta del 5 luglio 1968 in GUCE n.C71 del 17 luglio 1968 p.1. 8 Si tratta delle notissime sentenze, nell’ordine Corte giustizia CE, 5 marzo 1996 Cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du pêcheur/ Factortame, in For It. 1996, IV, con nota di G.CATALANO, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario:atto secondo, in Danno e responsabilità, 1996, 3, 304 con nota di G.ROSCIONI, Illecito del legislatore e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, Corte di giustizia CE 26 marzo 1996, Causa c_382/93 in Foro It.,1996,IV,321;Corte di giustizia CE 23 maggio 1996, causa C-5/94, in Raccolta, I, 2553;Corte di giustizia CE 8 ottobre 1996, cause riunite C-178/94, C-188/94,C-189/94e C-190/94. Dillenkofer, in Raccolta I,4845, e danno e responsabilità, con commento di S.BASTIANON e G. CATALANO, Nuova condanna per uno Stato inadempiente al diritto comunitario, verso una riscrittura di Francovich? Oltre ad essere analiticamente commentate nelle più importanti monografie in materia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, R.BIFULCO, La responsabilità dello Stato per atti legislativi, Padova 1999, L.FUMAGALLI, La responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario, Milano 2000, e nell’ampio studio di A. SAGGIO, La responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, in atti del convegno Varenna, settembre 2000, Milano 2001, le sentenze in questione sono state oggetto di moltissimi commenti . Ex multis vedi R.CARANTA, La

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Tuttavia sino all’occasione offerta dalla sentenza Köbler, che a ragione può essere

definita come la sentenza capostipite in materia di State liability for breach of Community

law, il principio non solo non era stato enunciato in modo diretto, ma, incontrava nel dibattito

culturale e dottrinale resistenze di gran lunga superiori rispetto al principio della

responsabilità dello Stato legislatore e dello Stato amministratore, e ciò malgrado il sistema

della responsabilità civile dei giudici fosse presente, sia pur in forme diverse, in quasi tutti gli

Stati membri a differenza della responsabilità del legislatore conosciuta solo in pochissimi

ordinamenti9

In sintesi le ragioni della forte resistenza ideologica nei confronti del principio della

responsabilità dello Stato- giudice, sono da rintracciare nella diffusa convinzione che ogni

forma di responsabilità del giudice (anche se dello Stato e non personale del singolo

magistrato) sia idonea a metterne in discussione l’indipendenza e nell’influsso della tradizione

responsabilità oggettiva dei pubblici poteri per violazioni del diritto comunitario, Giur.it., 1993,I,1585; F.CAPELLI, L’obbligo degli Stati a risarcire i danni per violazioni del diritto comunitario,in Il diritto comunitario e degli scambi inter.1997, pag.52-55; G.ALPA, Problemi attuali in tema di responsabilità della pubblica amministrazione lesione di interessi legittimi ed illecito comunitario, Contratto/impresa/europa,1999,pag.83-100; V.ROPPO, La responsabilità civile dello Stato per violazione del diritto comunitario (con una trasgressione nel campo dell’illecito costituzionale del legislatore), ibidem,pag.101-123;T.TORRESI,Illecito comunitario dello Stato: risarcimento del danno e legittimazione passiva, Giur.it.2000,pag.902-904. In sintesi in occasione della sentenza Francovich occasionata da un’attività di tipo omissivo (omessa trasposizione di direttive) la Corte non solo aveva affermato che il principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario ad essi imputabile doveva ritenersi inerente al sistema del Trattato, ma aveva anche precisato le condizioni necessarie e sufficienti per il sorgere in capo al singolo di un diritto al risarcimento individuandole:a) nell’attribuzione ai singoli di un diritto da parte della norma comunitaria violata; b)nella possibilità di individuare il contenuto di tali diritti sulla base della norma comunitaria violata; c )nell’esistenza di un nesso causale tra la violazione e il pregiudizio subito dal singolo. Successivamente nella cause Brasserie du pêcheur e Factortame III Ltd la Corte, a fronte di un’attività legislativa di tipo commissivo, aveva introdotto l’ulteriore requisito della violazione grave e manifesta del diritto comunitario, specificandone gli elementi quali: il grado di chiarezza e precisione della norma violata, l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma consente alle autorità nazionali o comunitarie, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto ..e chiarendo che “in ogni caso una violazione del diritto comunitario è grave e manifesta quando sia perdurata nonostante la pronuncia di una sentenza che ha accertato l’inadempimento contestato, di una sentenza pregiudiziale o di una giurisprudenza consolidata della Corte in materia, dalle quali risulti l’illegittimità del provvedimento in questione. Per la Corte “il giudice nazionale non può nell’ambito della normativa che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all’esistenza di una condotta dolosa o colposa dell’organo statale alla quale è imputabile l’inadempimento che vada oltre la violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario”. Inoltre le condizioni fissate dalla normativa nazionale “non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna né essere tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento”. 9 Circa i modelli di riferimento presenti negli Stati membri, si rileva che gli ordinamenti europei che si rifanno alla tradizione romanistica quali principalmente Italia, Francia e Spagna sono caratterizzati da una disciplina sostanzialmente uniforme nel campo della responsabilità civile e da una corrispondenza concettuale e terminologica che si riscontra nella identità di significato che contraddistingue la "responsabilità " ed il "danno" italiano la "responsabilità" e "dommage" francesi e la "responsabilidad" e il "dano" spagnoli, termini completamente differenti e soprattutto una disciplina ispirata da principi discordanti contrassegnano sempre nel settore della responsabilità civile gli ordinamenti anglosassoni non modellati dall'impronta romanistica.

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costituzionale liberale circa la natura meramente esecutiva applicativa della funzione

giudiziaria tale da escludere che dall’esercizio della stessa possa derivare una qualche

responsabilità.10

Questo approccio emerge con evidenza nella vicenda Köbler in cui quasi tutti gli Stati

membri intervenuti in giudizio, tranne alcuni distinguo, hanno assunto una posizione contraria

o comunque fortemente limitativa in ordine all’affermazione del principio, per vari ordini di

ragioni puntualmente confutati dall’Avvocato generale Léger e poi dalla Corte di giustizia

(infra).

3. La vicenda processuale che ha dato origine alla sentenza Köbler.

La sentenza Köbler trae origine dalla vicenda di un professore universitario di ruolo

austriaco, il quale si era visto negare l’attribuzione della speciale indennità di anzianità

prevista per i professori universitari dall’art.50 bis del GG essendosi tenuto conto da parte del

giudice nazionale adìto, Verwaltungsgerichtshof (ai sensi della normativa austriaca)solo

dell’anzianità di servizio maturata in università austriache, con esclusione delle anzianità

maturate in università di altri Stati membri.

Nel corso del giudizio innanzi al giudice amministrativo il Köbler aveva denunciato

la violazione da parte delle norme nazionali, delle disposizioni comunitarie aventi effetto

diretto in materia di libera circolazione dei lavoratori ed al fine di sciogliere il quesito di

compatibilità comunitaria dell’art.50 bis della legge sulle retribuzioni il

Verwaltungsgerchtshof su sollecitazione del Köbler, aveva sottoposto alla Corte di Giustizia

una questione pregiudiziale registrata in cancelleria della Corte con il n.C-382/97.11

10 Osserva n. ZANON, La responsabilità dei giudici in Atti del convegno dell’Associazione dei costituzionalisti “Separazione dei poteri e funzione giurisdizionale, Padova 23-24 ottobre 2004, in wwww.Associazionedeicostituzionalisti.it, nel dar conto di tali teorie e delle principali argomentazioni alle stesse sottostanti: “dietro alla norma e nella soggezione ad essa il giudice acquista anche, sia pur entro certi limiti, una sostanziale irresponsabilità. Se è la legge a contenere le decisioni politiche complessive, che il giudice è semplicemente incaricato di inverare nei singoli casi sottoposti al suo giudizio, la sua attività di mera applicazione non può che essere sostanzialmente esente da responsabilità. “Dove non c’è potere, non ci può essere responsabilità”, si potrebbe dire parafrasando in negativo Léon Duguit. In effetti, nella tradizione costituzionale liberale l’indipendenza del giudice ha un significato opposto all’indipendenza assicurata, ad esempio, al rappresentante parlamentare nei confronti dei suoi elettori e del suo partito d’appartenenza: mentre l’indipendenza garantita al rappresentante ha lo scopo di consentirgli di svolgere una funzione eminentemente politica, l’indipendenza garantita al giudice ha esattamente la funzione opposta, quello cioè di impedirgli ogni discrezionalità politica, ogni sconfinamento da ciò che è normativamente prestabilito dalla legge. E chi non ha discrezionalità politica non esercita potere, e quindi non può essere chiamato a rispondere. Semmai, in casi estremi, potrà essere sanzionato il suo eventuale tentativo di sottrarsi alla soggezione alla legge, attraverso interventi di tipo creativo”. 11 Nelle more era intervenuta la sentenza 15 gennaio 1998, Causa C-15/96 Schoning che risolveva in modo favorevole al Köbler in punto di diritto, un caso analogo. Il cancelliere chiedeva quindi al giudice austriaco se alla luce del precedente intendeva mantenere fermo il quesito pregiudiziale.

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Il Verwaltungsgerichtshof il 24 giugno 1998 ritirava il quesito pregiudiziale ma nello

stesso giorno emetteva una sentenza sfavorevole al Köbler qualificando la speciale indennità

di anzianità di servizio un “premio fedeltà” che giustificava una deroga alle norme

comunitarie in tema di libera circolazione dei lavoratori.

Il Köbler a questo punto, instaurava un giudizio per risarcimento del danno contro la

Repubblica d’Austria sostenendo che la sentenza violava norme di diritto comunitario aventi

effetto diretto e faceva quindi sorgere ,sulla base della giurisprudenza della Corte ed in

particolare delle sentenze 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame e 17 settembre

1997, Dorsch Consult una responsabilità risarcitoria nei suoi confronti a carico dello Stato.

Il giudice adìto (Landesgericht di Vienna ) sottoponeva alla Corte di Giustizia cinque

questioni pregiudiziali concernenti l’interpretazione da un lato dell’art.39 CE, dall’altro la

giurisprudenza della Corte in materia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto

comunitario.12

3.1.segue: le posizioni dei governi intervenuti.

Di grande interesse le osservazioni presentate dai rappresentanti degli Stati membri

intervenuti (Repubblica d’Austria, Governo austriaco, Governo tedesco, Governo francese,

Governo del Regno Unito e quello dei Paesi Bassi) che hanno fatto leva sui seguenti

argomenti:

a)compatibilità comunitaria di normative nazionali che escludano la responsabilità dello Stato

per violazioni delle Corti supreme sulla base del principio della certezza del diritto.

b)necessità di una regolamentazione speciale contenente principi restrittivi e radicalmente

diversi da quelli disciplinanti la responsabilità per atti legislativi o amministrativi contrari al

diritto comunitario.

Il primo argomento sviluppato dall’Austria e sostenuto sia pur con motivazioni

diverse dalla Francia e dal Regno Unito era basato essenzialmente sulla necessità di garantire

12 In sintesi , il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di sapere: ° se il principio secondo cui l’insorgere della responsabilità dello Stato per la violazione del diritto comunitario fosse applicabile allorquando il comportamento “contrario” fosse costituito dalla sentenza di un organo giurisdizionale supremo; °in caso di soluzione affermativa, se il principio secondo cui spetta allo Stato membro designare il giudice competente a conoscere le controversie sulla lesione dei diritti soggettivi fosse applicabile anche allorquando il fatto lesivo fosse costituito dalla sentenza di un organo giurisdizionale supremo; °in caso di soluzione affermativa, se l’interpretazione del giudice austriaco circa la natura di “premio fedeltà” della speciale indennità di anzianità fosse compatibile con il divieto di discriminazione indiretta di cui all’art.39 CE; °in caso di soluzione affermativa se la norma violata facesse nascere un diritto soggettivo; °in caso di soluzione affermativa, se nella specie, il giudice austriaco avesse oltrepassato in maniera manifesta e rilevante nella causa principale, il proprio potere discrezionale

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la certezza del diritto e l’intangibilità del giudicato che sarebbero compromessi da un regime

che considerasse la sentenza di un giudice superiore come causa della violazione.

Oltre tutto (argomento ripreso con insistenza dal Regno Unito) l’applicazione del

principio sarebbe resa impossibile in materia di responsabilità della Comunità non potendo la

Corte di giustizia essere al tempo stesso giudice e parte del processo.13

La res iudicata, secondo questa impostazione deve prevalere sulla riparazione in

favore del singolo a meno di scalfire l’autorità e la reputazione del potere giudiziario come

valore fondante della comunità dei Paesi membri.

E’ evidente in questo approccio il peso della tradizione dei sistemi di common law

che sostengono il principio della quasi totale immunità giudiziale in ragione del ruolo creativo

della giurisprudenza che deve essere tutelato non solo con riguardo al giudice ma anche allo

Stato in base al noto principio “The King cannot do wrong”.14

Il secondo ordine di argomenti sviluppato dalla Germania e dall’Olanda ha fatto leva

sulla necessità di una regolamentazione speciale contente principi particolarmente restrittivi e

comunque sulla natura eccezionale della responsabilità da atti del potere giudiziario rispetto a

quella da atti normativi ed amministrativi.

13 Per il governo francese con la sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, la Corte non avrebbe né esplicitamente né implicitamente inserito gli organi giurisdizionali tra quelli che possono far sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario. Infatti, il principio fondamentale del rispetto dell'autorità della cosa definitivamente giudicata si opporrebbe all'introduzione di un meccanismo di responsabilità dello Stato a causa del contenuto di una decisione emessa da un organo giurisdizionale supremo. Questo principio dovrebbe prevalere sul diritto al risarcimento. Inoltre, il sistema dei mezzi d'impugnazione istituito negli Stati membri, completato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale previsto all'art. 234 CE, offrirebbe ai singoli una garanzia sufficiente contro il rischio di errore d'interpretazione del diritto comunitario. In subordine, il governo francese ha indicato all'udienza che la responsabilità dello Stato per atti degli organi giurisdizionali supremi dovrebbe essere assoggettata a un regime specifico particolarmente restrittivo, radicalmente diverso da quello della responsabilità dello Stato per atti del legislatore o dell'amministrazione, tenuto conto della specificità delle condizioni di esercizio della funzione giudicante. Per il Regno Unito l'eventuale ammissione di un tale meccanismo di responsabilità dello Stato sarebbe incompatibile con i principi fondamentali attinenti alla certezza del diritto e, in particolare, al rispetto della cosa giudicata, alla reputazione e all'indipendenza della giustizia nonché alla natura dei rapporti tra la Corte e i giudici nazionali. Infine, secondo il governo del Regno Unito, sarebbe contestabile affidare l'esame dei procedimenti per responsabilità dello Stato per atti dei suoi organi giurisdizionali ai giudici nazionali di questo stesso Stato in considerazione del requisito d'imparzialità, salvo immaginare che i detti giudici sottopongano alla Corte questioni pregiudiziali in materia, il che significherebbe istituire un mezzo d'impugnazione dinanzi alla Corte, contrariamente alla volontà dei redattori del Trattato CE. 14 Si veda quanto previsto nel diritto inglese dalla section 2 del Crown Procedings Act 1947 in base al quale “no procedings shall lie against the Crown by virtue of this section in respect of anything done or committed to be done by any person while discharging or purporting to discharge any responsabilities of judicial nature vested in him, or any responsabiliy wich he has in connection with the exexìcution of judicial process”.

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Di segno contrario la posizione della Commissione che ha individuato nell’art 10 CE

la norma fondante il principio della responsabilità statale per la violazione degli organi

giurisdizionali supremi.

3.2. Le conclusioni dell’avvocato generale Léger.

Di grande interesse l’atto conclusionale dell’avvocato generale Léger che per

motivare la propria posizione favorevole all’affermazione del principio della responsabilità

risarcitoria dello Stato verso i singoli per la violazione del diritto comunitario da parte delle

giurisdizioni superiori, ha fatto leva su tre ordini di argomenti:

a) portata generale conferita dalla Corte al principio della responsabilità dello Stato

per violazione del diritto comunitario;

b) ruolo determinante dei giudici nazionali nell’attuazione del diritto comunitario;

c) situazione esistente negli Stati membri in relazione all’esigenza di tutela dei

diritti fondamentali.

Sul primo punto l’Avvocato generale fa discendere il principio dalla sentenza

Francovich affermando che “ il ragionamento seguito dalla Corte nella citata sentenza

Francovich si può completamente trasferire all'ipotesi di una violazione del diritto

comunitario da parte di un organo giurisdizionale supremo. La piena efficacia delle norme

comunitarie verrebbe messa a repentaglio e la tutela dei diritti da esse riconosciuti sarebbe

infirmata se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento allorché i loro

diritti sono lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo

giurisdizionale supremo”.15

Altro argomento è quello che deriva dai principi affermati dalla Corte nella sentenza

Brasserie du pêcheur in cui si è affermata la responsabilità dello Stato a prescindere dalla

natura dell’organo responsabile della violazione. Sempre nella stessa sentenza si afferma che

“l’obbligo di responsabilità non può dipendere dalle regole interne che disciplinano la

15 Per Leger, punto 37 conclusioni non è sufficiente che i singoli siano legittimati a far valere il diritto comunitario dinanzi a un organo giurisdizionale supremo al fine di ottenere una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che ad essi derivano dall'ordinamento giuridico comunitario né è sufficiente che questo giudice sia tenuto ad applicare correttamente il diritto comunitario. Occorre ancora che, nel caso in cui un organo giurisdizionale supremo adotti una decisione incompatibile con il diritto comunitario, i singoli possano ottenere un risarcimento, quantomeno allorché talune condizioni sono soddisfatte. Ora, in assenza di possibilità di ricorso contro una decisione emessa da un organo giurisdizionale supremo, solo un'azione per responsabilità consente - in ultima ratio - di garantire il ripristino del diritto leso e, infine, di assicurare un livello adeguato alla tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che ai singoli derivano dall'ordinamento giuridico comunitario “.

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divisione dei poteri”, il che significa che il diritto comunitario impone il rispetto sia da parte

delle autorità parlamentari come da parte di quelle giurisidizionali”.16

Ma è soprattutto sul ruolo dei giudici nazionali nell’applicazione del diritto

comunitario che si sviluppa l’iter argomentativo più interessante delle conclusioni Léger in

cui il giudice nazionale ora viene definito “elemento essenziale nell'ordinamento giuridico

comunitario. Situato all'«incrocio» di diversi sistemi giuridici, esso è in grado di fornire un

rilevante contributo all'applicazione effettiva del diritto comunitario e, in definitiva, allo

sviluppo del processo d'integrazione europea “ ora quale” arbitro nell'ambito di un conflitto

di norme - nazionali e comunitarie - e di tutore «naturale» dei diritti che ai singoli derivano

dal diritto comunitario” facendosi tra l’altro riferimento esplicito al concetto di “etica

giurisdizionale comunitaria”.

Di grande forza il punto sul ruolo di garanzia richiesto al giudice nazionale non solo “

bocca della legge” ma la sua coscienza critica “ se il giudice nazionale, come qualsiasi

organo di uno Stato membro, è tenuto ad applicare il diritto comunitario, il suo compito è

“tanto più cruciale in quanto, di fronte alla fase ultima dell'esecuzione della norma, esso è il

garante del rispetto di quest'ultima”. La sua posizione è tanto più “strategica” in quanto ad

esso spetta valutare l'articolazione del suo diritto nazionale con il diritto comunitario e di

trarne le conseguenze che s'impongono. Pertanto, non è più necessariamente, come poteva

dire in altri tempi Montesquieu, la bocca della legge. Al contrario, esso è tenuto a volgere

uno sguardo critico sul suo diritto nazionale al fine di assicurarsi, prima di applicarlo, della

sua conformità al diritto comunitario. Se ritiene che il suo diritto nazionale non possa

ricevere un'interpretazione conforme, spetta ad esso disapplicarlo e persino applicare

disposizioni di diritto comunitario in sostituzione del suo diritto nazionale mediante un gioco

di sostituzione di norme, a meno che non ne derivi - anche in questo caso - un aggravamento

della situazione giuridica dei singoli “.17

16 Legato a questi argomenti è quello “classico” del principio dell’unità dello Stato nel diritto internazionale recepito anche dal diritto comunitario e dalla CEDU (punti da 45 a 50 conclusioni). 17 Altro aspetto importante è quello sviluppato nei punti da 66 a 69:” Si suole poi qualificare il giudice nazionale, secondo un'espressione comunemente utilizzata, come «giudice comunitario di diritto comune». Questa espressione non deve essere intesa letteralmente, ma piuttosto in maniera simbolica. Infatti, allorché il giudice nazionale si occupa del diritto comunitario, lo fa come organo di uno Stato membro e non come organo comunitario in seguito a un'operazione di sdoppiamento funzionale. Questo ruolo importante del giudice nazionale nell'attuazione del diritto comunitario si è tradotto infine nel riconoscimento di un «diritto al giudice» e nella sua consacrazione come principio generale del diritto comunitario. Infatti, la Corte ha dichiarato che «l sindacato giurisdizionale (...) costituisce espressione di un principio giuridico generale su cui sono basate le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (...) [e che] è stato del pari sancito dagli artt. 6 e 13 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali».Questa nozione di «diritto al giudice» è il corollario dello Stato di diritto. Infatti il principio di legalità, anche se costituisce la pietra angolare dello Stato di diritto, non esclude la presa in considerazione delle esigenze dell'ordine pubblico. Queste esigenze devono anzi essere integrate nel suddetto principio perché possa essere garantita la sopravvivenza dello Stato, evitando nel contempo l'arbitrio. A questo proposito, il

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Quanto al rinvio pregiudiziale ricorda l’Avvocato generale Léger che “l'art. 234 CE prevede

che, contrariamente agli altri giudici nazionali che dispongono di una semplice facoltà di

sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale, i giudici, avverso le cui decisioni non

possa proporsi un ricorso giurisdizionale, sono tenuti a farlo.18

L'importanza dell'obbligo di rinvio, previsto dall'art. 234 CE, è stata fortemente sottolineata

dalla Corte nella sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit e a. L'introduzione di un tale obbligo mira ad

evitare che si producano divergenze giurisprudenziali all'interno della Comunità su questioni

di diritto comunitario. Agli organi giurisdizionali supremi incombe l'onere di sottoporre

questioni pregiudiziali, al fine di evitare che perdurino o facciano la loro apparizione

divergenze giurisprudenziali fra gli Stati membri, in particolare tra i giudici ordinari dello

Stato nel quale essi esercitano le loro funzioni”.

Si tratta di un passaggio significativo che verrà poi ripreso in seguito per chiarire le

conseguenze della violazione dell’obbligo di rinvio a carico delle giurisdizioni superiori,

punto che si lega idealmente anticipandole, alle importanti conclusioni che di li a pochi mesi

(giugno 2003) avrebbe reso l’Avvocato generale Geelhoed nella causa Commissione/Italia ex

art. 226 CE ,a proposito della possibilità di ravvisare la responsabilità dello Stato anche con

riferimento alle sentenze dei giudici di grado inferiore in caso di sistematica violazione del

diritto comunitario (infra).Quanto allo stato del diritto nazionale negli Stati membri

l’Avvocato Generale osserva che tranne poche eccezioni (Irlanda) quasi tutti gli Stati

ammettono la responsabilità dello Stato giudice in caso di lesione dei diritti fondamentali e

tutti gli altri Stati membri ammettono, sia pur con diversa ampiezza la responsabilità dello

Stato qualunque sia la norma giuridica violata.19

Sulle condizioni sostanziali per la sussistenza della responsabilità dello Stato vi è un

chiaro riferimento alle condizioni già riconosciute dalla giurisprudenza comunitaria in materia

sindacato giurisdizionale costituisce una garanzia fondamentale: il diritto di adire il giudice è inerente allo Stato di diritto” 18 Come noto il rinvio pregiudiziale (art.234 CE)realizza un meccanismo centralizzato di interpretazione del diritto comunitario e di verifica della validità degli atti delle istituzioni comunitarie attraverso una domanda rivolta alla Corte di Giustizia da un giudice nazionale nel corso di un giudizio pendente, realizzando una forma permanente di cooperazione tra Corte di Giustizia e giudici nazionali. Il quesito pregiudiziale interpretativo presuppone un dubbio sul significato o sulla validità di una norma comunitaria ma è stato utilizzato anche per ottenere una pronuncia della Corte su principi non scritti o per colmare lacune del diritto comunitario. Solo i giudici di ultima istanza sono obbligati in caso di dubbio ,ad attivare il rinvio pregiudiziale salvo che la questione non sia pertinente (non serva cioè a decidere la controversia), sia identica ad altra già decisa dalla Corte,o trovi risposta in una giurisprudenza consolidata. La Corte di Giustizia ha ammonito a più riprese i giudici nazionali sulla necessità di attivare il rinvio pregiudiziale per evitare il formarsi di orientamenti giurisprudenziali nazionali contrari al diritto comunitario pena una loro diretta responsabilità (cfr.sentenza del 6 ottobre 1982 , causa 283/81 CIL-FIT). 19 Al riguardo l’Avvocato generale Leger riporta sia un precedente del Regno del Belgio (sentenza della Corte di cassazione del 19 dicembre 1991) che è l’unico Stato membro che ha riconosciuto l’esistenza del principio in via giurisprudenziale, sia un precedente italiano (sentenza del Tribunale di Roma del 28 giugno 2001) concernente la violazione del diritto comunitario da parte della Corte di cassazione italiana(infra).

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di responsabilità da atti normativi ed amministrativi (natura della norma violata, natura della

violazione, nesso causale tra violazione e danno) in ordine alle quali tuttavia l’Avvocato

Generale propone alcuni importanti distinguo specie con riferimento alla natura della

violazione ed al nesso causale.

Si tratta di uno dei punti più delicati dal momento che, l’Avvocato generale Léger

sembra proporre alla Corte l’abbandono della distinzione tra attività discrezionale o vincolata

(introdotto nella sentenza Brasserie du pêcheur )per valutare la gravità della lesione, per

passare invece al criterio, più adatto all’attività giurisdizionale, della scusabilità o meno

dell’errore di diritto da parte del giudice.20

Nell’applicazione del criterio dovrà quindi, conformemente ai principi generali

valutarsi il grado di chiarezza e precisione delle norme comunitarie, il loro essere o meno

state interpretate dalla Corte di giustizia, e quindi l’esistenza o meno di una giurisprudenza

della Corte in materia con l’avvertenza che, la retroattività che normalmente è riconosciuta

alle sentenze della Corte di giustizia incontrerà il limite dell’intangibilità del giudicato (limite

che come si vedrà verrà messo in discussione, se pur non ai fini dell’affermazione della

responsabilità, con la sentenza Kühne..) atteso che :”la Corte ha costantemente dichiarato che

l'interpretazione da essa fornita di una norma di diritto comunitario chiarisce e precisa il

significato e la portata di tale norma quale avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal

momento della sua entrata in vigore, di modo che la norma così interpretata può e deve

essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici - sorti e costituiti - prima della

sentenza interpretativa. Ma, a mio parere, occorre ancora che tali rapporti giuridici non

siano stati - definitivamente consolidati - da una decisione giudiziaria, a maggior ragione

allorché si tratta di una decisione che non può essere oggetto d'impugnazione. Se i rapporti

giuridici di cui trattasi sono stati definitivamente consolidati da una decisione di un organo

giurisdizionale supremo, il principio di certezza del diritto si oppone a qualsiasi

coinvolgimento della responsabilità dello Stato per tale motivo”.

Ma quale ruolo occupa la violazione dell’obbligo del rinvio pregiudiziale da parte del

giudice superiore nel sistema della responsabilità extracontrattuale verso i singoli?

Sul punto la posizione dell’Avvocato generale Léger è molto articolata nel senso di

ammettere in linea di principio che la violazione dell’obbligo comporti il sorgere della

20 Cfr punti 138 e 139 :”allo stato attuale della giurisprudenza della Corte, ritengo che non sia necessario stabilire se lo Stato disponga o meno nell'esercizio della funzione giurisdizionale di un ampio potere discrezionale. Per contro, occorre stabilire se gli elementi posti dalla Corte per valutare l'esistenza di una violazione grave e manifesta del diritto comunitario, imputabile al legislatore o all'amministrazione, possano essere in tutto o in parte trasferiti al caso di una violazione imputabile a un organo giurisdizionale supremo. A mio parere, l'elemento decisivo attiene al carattere scusabile o meno dell'errore di diritto di cui trattasi. Questa qualificazione può dipendere sia dal grado di chiarezza e di precisione della norma violata, sia dall'esistenza o dallo stato della giurisprudenza della Corte in materia”

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responsabilità ma a condizione che risulti provata l’esistenza del nesso causale tra detta

violazione ed il danno, senza con ciò addossare sul danneggiato una prova che potrebbe

rivelarsi eccessivamente difficoltosa (il danneggiato dovrebbe provare che ove il giudice

nazionale si fosse rivolto alla Corte di giustizia tramite il rinvio pregiudizale la soluzione

sarebbe stata diversa e la violazione del diritto comunitario non ci sarebbe stata).21

Nel caso di specie l’Avvocato generale dopo aver proposto alla Corte di risolvere il

quesito nel senso di ritenere che “ Il principio secondo cui “spetta all'ordinamento giuridico

di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere liti vertenti su diritti

soggettivi scaturenti dall'ordinamento giuridico comunitario, con riserva di assicurare una

tutela giurisdizionale effettiva, si applica alle azioni per risarcimento avviate dai singoli

contro uno Stato membro a causa di un'asserita violazione del diritto comunitario per atti di

un organo giurisdizionale supremo” e che “ solo i giudici nazionali sono competenti a

valutare se siano soddisfatte le condizioni sostanziali perché sussista la responsabilità dello

Stato per atti di un organo giurisdizionale supremo, in particolare per determinare il

carattere scusabile o meno dell'errore di diritto all'origine della violazione del diritto

comunitario di cui trattasi compito nel quale possono essere coadiuvati dalla Corte di

giustizia”, ha ritenuto scusabile l’errore del giudice supremo austriaco.

3. 4La sentenza Köbler.

Una volta richiamate le posizioni delle parti e dell’Avvocato generale è agevole

constatare come la Corte di giustizia se da un lato, in piena adesione all’impostazione Léger,

ha ammesso senza mezzi termini l’esistenza del principio della responsabilità dello Stato per

atti del potere giudiziario, confutando analiticamente le posizioni assunte dai Governi

nazionali, dall’altro non ha tratto dal principio le conseguenti implicazioni escludendo, nella

specie stante la scusabilità dell’errore del giudice, la responsabilità dello Stato e giungendo ad

una soluzione salomonica che è stata anche vivacemente criticata da parte della dottrina.22

Molto netta invece la posizione in ordine all’astratta configurabilità della

responsabilità per atti del potere giudiziario principio che, a giudizio della Corte, non vulnera

l’intangibilità del giudicato, principio che esce addirittura rafforzato tanto da divenire il

presupposto della responsabilità dello Stato.

21 Su detto aspetto l’Avvocato generale Leger è esplicito nel ritenere che “ sarebbe eccessivo imporre al giudice nazionale, al quale venisse sottoposta una domanda di risarcimento di un asserito danno materiale, effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte al fine di conoscere la soluzione che esso avrebbe potuto dare nel caso in cui le fosse stata effettivamente sottoposta una tale questione” 22 Per P.D.SIMON La responsabilità des Etats membres en cas de violations du droit coomunautaire par une jurisdiction suprème, in Juris_Classeur, Europe, 2003.p.6 definisce “regrettable la conclusion à la quelle aboutit ainsi la formation plenièere de la Cor de justice”.

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E’ agevole infatti per la Corte di Lussemburgo mettere in evidenza che “ un

procedimento inteso a far dichiarare la responsabilità dello Stato non ha lo stesso oggetto e

non implica necessariamente le stesse parti del procedimento che ha dato luogo alla

decisione che ha acquisito l'autorità della cosa definitivamente giudicata. Infatti, il ricorrente

in un'azione per responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di successo, la condanna di

quest'ultimo a risarcire il danno subito, ma non necessariamente che sia rimessa in

discussione l'autorità della cosa definitivamente giudicata della decisione giurisdizionale che

ha causato il danno. In ogni caso, il principio della responsabilità dello Stato inerente

all'ordinamento giuridico comunitario richiede un tale risarcimento, ma non la revisione

della decisione giurisdizionale che ha causato il danno”.

Quanto all’indipendenza della funzione giurisdizionale, la Corte osserva:” occorre

precisare che il principio di responsabilità di cui trattasi riguarda non la responsabilità

personale del giudice, ma quella dello Stato. Ora, non sembra che la possibilità che sussista,

a talune condizioni, la responsabilità dello Stato per decisioni giurisdizionali incompatibili

con il diritto comunitario comporti rischi particolari di rimettere in discussione

l'indipendenza di un organo giurisdizionale di ultimo grado”.

Sul punto più delicato, concernente le condizioni per il sorgere della responsabilità, la

Corte sembra cercare un bilanciamento tra impostazione Léger e quella dei Governi degli

Stati membri sottolineando che l’errore valutativo del giudice sarà atto a creare responsabilità

dello Stato solo nell’eccezionale caso della violazione manifesta del diritto vigente.

La novità di maggior rilievo è data dall’ introduzione del mancato rinvio

pregiudiziale tra gli elementi che consentono di qualificare la violazione come grave e

manifesta:” Fra tali elementi compaiono in particolare il grado di chiarezza e di precisione

della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o l'inescusabilità

dell'errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria

nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo

obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE. In ogni caso, una

violazione del diritto comunitario è sufficientemente caratterizzata allorché la decisione di

cui trattasi è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in questa

materia (v., in tal senso, sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 57)”

Infine, circa le modalità concrete per garantire ai singoli il diritto al risarcimento,

conformemente a quanto già statuito nelle sentenze Factortame e Brasserie du pêcheur, la

Corte ha ribadito che spetta all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il

giudice competente a risolvere le controversie relative a detto risarcimento,fermo restando

che le condizioni stabilite dal legislatore nazionale, non devono essere meno favorevoli di

quelle che riguardano controversie analoghe e non possono essere congegnate in modo da

rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.

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Sulle altre questioni pregiudiziali la Corte pur sostenendo che la normativa austriaca

relativa all’attribuzione dell’indennità speciale di anzianità di servizio dei professori di

università è incompatibile con il diritto comunitario e non può essere giustificata, ha escluso

che il giudice supremo austriaco avesse commesso una violazione sufficientemente

caratterizzata del diritto comunitario.

La Corte è giunta a questa “salomonica” conclusione osservando che pur essendo la

sentenza fondata su di una erronea interpretazione di diritto di precedenti sentenze della Corte

di Giustizia (sentenza Schoning) essa non integrava una “violazione manifesta “ dal momento

che la Corte non aveva mai avuto modo di pronunciarsi in modo esplicito sulla eventuale

ammissibilità per motivi di interesse pubblico di misure intese a favorire la “fedeltà di un

lavoratore” nei confronti del proprio datore di lavoro né dovendo il giudice supremo austriaco

mantenere fermo un quesito pregiudiziale già risolto dalla Corte sulla base di una diversa

qualificazione della fattispecie.

La soluzione non era quindi ovvia e la mancata attivazione del rinvio pregiudiziale

era dipesa, nella fattispecie, da errore interpretativo (scusabile) del giudice nazionale nel

qualificare la fattispecie.

Volendo dare una valutazione della sentenza Köbler in termini di innovazione e/o

continuità con i precedenti in materia di responsabilità dello Stato legislatore e amministratore

e con riserva di tornare in seguito sull’argomento, sembra fin d’ora potersi dire che:

- la Corte di Giustizia ha, non solo, affermato la piena equiparazione sul piano della

responsabilità per violazione del diritto comunitario del potere giurisdizionale rispetto agli

altri poteri dello Stato ma ne ha in qualche modo rafforzato la base comunitaria rispetto agli

altri poteri, individuandone il fondamento (tutto particolare)nel ruolo di garanzia svolto dai

giudici nazionali in cooperazione con la Corte di Giustizia per garantire ai singoli

l’effettività del diritto comunitario;

- la fattispecie di illecito per violazione del diritto comunitario del potere giurisdizionale è

stata modellata in linea generale sul paradigma della violazione del diritto comunitario da

parte del legislatore ( secondo condotta commissiva ) con alcuni importanti distinguo in

primis per quel che riguarda il soggetto cui la violazione può essere riferita ( solo le

giurisdizioni superiori)ed in secondo luogo per l’introduzione ,quale condizione per accertare

il carattere grave e manifesto della violazione ,del rispetto o meno da parte della giurisdizione

superiore dell’obbligo del rinvio pregiudiziale ex art.234 CE.

Assai rilevanti sono le motivazioni con cui la Corte osserva come in considerazione

del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che ai singoli derivano

dalle norme comunitarie, la piena efficacia di queste ultime verrebbe messa in discussione e la

tutela dei diritti che esse riconoscono sarebbe affievolita se fosse escluso che i singoli possano

a talune condizioni ottenere un risarcimento allorché i loro diritti siano lesi da una violazione

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del diritto comunitario imputabile ad una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo

grado di uno Stato membro.

Inoltre, come precisa la Corte (p.34)”occorre sottolineare che un organo

giurisdizionale di ultimo grado costituisce per definizione l’ultima istanza dinanzi alla quale i

singoli possono far valere i diritti ad essi riconosciuti dal diritto comunitario. Poiché

normalmente non può costituire oggetto di riparazione una violazione di questi diritti in una

decisione di un tale organo giurisdizionale che è divenuta definitiva, i singoli non possono

essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in

tal modo una tutela giuridica di tale diritti”.

Non è quindi azzardato ritenere che la Corte abbia in linea di principio costruito la

base comunitaria della responsabilità per violazione del diritto comunitario derivante dalle

sentenze delle giurisdizioni superiori in modo addirittura più forte, rispetto a quella che ha

portato all’affermazione della responsabilità del legislatore e della pubblica amministrazione

nei confronti dei singoli per violazione del diritto comunitario.

E’ noto che la base normativa del principio della responsabilità dello Stato come

potere legislativo- esecutivo per violazione del diritto comunitario, in mancanza di una norma

espressa,sia stata rinvenuta dalla giurisprudenza comunitaria nell’articolo 288 CE che regola

la responsabilità della Comunità e dei suoi funzionari verso terzi: il principio si è quindi

formato in via interpretativa-additiva ad opera delle pronunce della Corte di Giustizia.

L’affermazione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario

ad opera del potere giurisdizionale nella sentenza Köbler ,interrompe, intenzionalmente il

parallelismo con l’art. 288 CE (argomento questo invocato dal governo del Regno Unito

proprio per escludere la responsabilità 23)e pone per la prima volta al centro di tutta la

costruzione teorica della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli l’art.234 CE

quale norma primaria fondante il dovere del giudice nazionale (specie quello di ultima

istanza) di cooperare con la Corte di Giustizia nel garantire ai singoli l’effettività del diritto

comunitario.

Ne discende un evidente rafforzamento dei doveri dei giudici nazionali di corretta

interpretazione ed applicazione del diritto comunitario rispetto agli organi legislativi ed

amministrativi, giacchè, come la Corte ammonisce, non è plausibile che i soggetti che

dovrebbero garantire i singoli dalle possibili violazioni perpetrate nei loro confronti ad opera

del potere legislativo ed esecutivo esercitati in palese violazione del diritto comunitario, siano

essi stessi causa diretta della violazione, tanto più che detti soggetti nel dubbio interpretativo

hanno il potere /dovere di rivolgersi alla Corte di giustizia ex art.234 CE (potere che

23 Il Regno Unito ha osservato che se esiste la responsabilità dello Stato per illecito del potere giudiziario,allora deve esistere allo stesso modo e alle stesse condizioni la responsabilità della Comunità per illecito dei giudici comunitari.

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,aggiungiamo, non è riconosciuto né allo Stato né alla pubblica amministrazione,né ad

organismi cui la Corte non riconosca lo status di organo giurisdizionale).

La sentenza Köbler non si limita quindi, come a prima vista potrebbe apparire, ad

applicare al potere giurisdizionale quanto già affermato rispetto ad altri poteri sovrani, ma

sottolinea l’esistenza di un dovere primario specifico dei giudici nazionali da rintracciare

nell’art.234 CE che regola le condizioni del rinvio pregiudiziale, norma la cui violazione

diviene veramente fondante la costruzione e giustificazione teorica sulla base del

Trattato,della responsabilità dello Stato da atti giurisdizionali dei giudici di ultima istanza.

4.La sentenza Commissione/Italia:la responsabilità dello Stato per sistematica

violazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali.

La seconda sentenza che affronta il problema della responsabilità dello Stato ai sensi

dell’art. 226 per violazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali, sia pur in

una prospettiva diversa, è quella resa all’esito della procedura di infrazione instaurata dalla

Commissione contro lo Stato italiano, al quale era stato contestato di venir meno ai propri

obblighi per aver mantenuto in vigore una normativa nazionale (art.29 comma 2 della legge

428/1990) che così come interpretata ed applicata ad opera della giurisprudenza, sia della

Cassazione che delle corti di merito, giustificava un regime probatorio della traslazione dei

tributi percepiti in violazione del diritto comunitario, che rende l’esercizio del diritto al

rimborso di tali tributi, praticamente impossibile o comunque eccessivamente difficile per il

contribuente .24

24 Nell’atto introduttivo la Commissione dopo aver ricordato la giurisprudenza che ha ritenuto incompatibili con il diritto comunitario il regime probatorio che renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile il rimborso della tassa riscossa, specie quando si presuma che l’onere fiscale sia stato trasferito su altri soggetti e spetti al contribuente provare il contrario, ha posto in evidenza come malgrado l’art.29 secondo comma della legge 428/270 attribuisca all’amministrazione l’onere di dimostrare che il tributo è stato trasferito dal singolo sui terzi, la giurisprudenza italiana, come interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione addossa sistematicamente sul contribuente la prova negativa di non aver trasferito il tributo illegittimo sui clienti. Al riguardo, pur esistendo due orientamenti diversi della Cassazione, uno secondo cui la traslazione è una presunzione legale basata su fatto notorio salvo prova contraria da parte del contribuente, un altro che addossa sull’imprenditore l’onere di depositare in giudizio le scritture contabili quale prova della mancata traslazione (fatto che potrebbe essere impossibile decorso il periodo di 10 anni previsto dalla legge per la conservazione delle scritture), in entrambi i casi ,secondo la Commissione, l’interpretazione giurisprudenziale giunge al risultato pratico di rendere di fatto impossibile e comunque oltremodo difficoltoso il rimborso del tributo. Il governo italiano, dal proprio conto, ha contestato l’affermazione secondo cui le domande di rimborso sarebbero sistematicamente respinte e comunque ha fatto leva sulla circostanza che la norma in quanto tale non è in contrasto con il diritto comunitario ma solo ove interpretata in modo rigoroso e restrittivo dai giudici di merito (non dalla Cassazione che è giudice di solo diritto). In particolare per il governo (che ha sollevato la eccezione di ricevibilità del ricorso)le pronunce giudiziarie erronee non possono essere poste a fondamento di un procedimento per violazione del Trattato ai sensi dell’art. 226 CE. Ciò sarebbe possibile solo in presenza di una ampia consolidata ed uniforme giurisprudenza di giudici nazionali le cui decisioni non siano suscettibili di reclamo ad alla quale gli altri giudici siano vincolati (c.d. diritto vivente).

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La materia che ha offerto alla Corte l’occasione di pronunciarsi è quella dei tributi

riscossi in violazione del diritto comunitario, in ordine alla quale già a metà degli anni “80, si

era creato un vasto contenzioso tra Stato Italiano e Corte di giustizia che aveva condotto ad

una sentenza dichiarativa dell’inadempimento dello Stato italiano per aver mantenuto in

vigore una normativa contrastante con il diritto comunitario.25

La nuova vicenda portata all’attenzione della Corte è alquanto più complessa rispetto

al precedente degli anni “80, dal momento che oggetto della contestazione di inadempimento

non è tanto ( o solo) il mantenimento in vigore di una norma nazionale (in sé neutra) quanto la

sua sistematica interpretazione, contrastante con il diritto comunitario, ad opera dei giudici di

meriti con l’avallo della Corte di cassazione.

La novità del tema è ben evidenziata nelle articolate conclusioni dell’ Avvocato

generale Geelhoed che pur facendo ampio riferimento alle conclusioni rese dall’Avvocato

Generale Léger nella causa Köbler, le sviluppano ulteriormente in ragione della peculiarità

25 Già negli anni ‘80 si era aperto un contenzioso in sede comunitaria, sfociato in importanti sentenze della Corte di Giustizia che dichiararono la incompatibilità comunitaria di alcune norme italiane (art.19 d.l. 30 settembre 1982 n.688) che subordinavano il diritto al rimborso di tributi indebitamente pagati ad un regime probatorio estremamente difficoltoso se non “diabolico”(prova scritta del mancato trasferimento del tributo su altri soggetti). All’epoca la norma “contestata” era l’art.10 del d.l.10 luglio 1982 n.430 che dette modo alla Corte di Giustizia di pronunciarsi nel celebre caso San Giorgio del 9 novembre 1983 in cui si affermò che uno Stato membro non può subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi in violazione del diritto comunitario alla prova che i tributi non siano stati trasferiti su altri soggetti,qualora questa prova renda l’esercizio del diritto praticamente impossibile o estremamente difficile. Dopo la sentenza San Giorgio la Commissione avviò un procedimento di infrazione che si concluse con la sentenza 24 marzo 1988 di condanna dell’Italia , motivata dal fatto che le regole probatorie dettate per il rimborso dei tributi indebitamente pagati erano contrastanti (perché eccessivamente gravose per il contribuente)con il diritto comunitario. E’ interessante notare che nelle more del procedimento di infrazione la stessa Corte Costituzionale italiana, dimostrando grande apertura, aveva suggerito ai giudici di merito di adottare una soluzione “in linea” con il diritto comunitario. Nelle sentenze n.170 del 1984 e 113 del 1985, la Corte aveva affermato che il giudice nazionale deve prescindere dalla norma interna incompatibile unitariamente intesa(ossia senza possibilità di scindere data la loro indivisibilità, il precetto relativo alla mancata traslazione da quello attinente al regime della prova)e deve far applicazione della disciplina comunitaria, richiamante l’art.2033 c.c., tenendo conto che tale ultima norma configura l’indebito indipendentemente dalla circostanza che il solvens abbia eventualmente trasferito su altri il relativo onere. Con ordinanza del 24 aprile 1986 n.124, la stessa Corte aveva disposto la rimessione degli atti ai giudici a quibus (Tribunale di Napoli e Tribunale di Trieste) affinchè valutassero la possibilità di disapplicare le norme nazionali contrastanti con il diritto comunitario rendendo pertanto la questione di costituzionalità inammissibile. I dicta della Corte Costituzionale recepiti anche dalla Suprema Corte di Cassazione che con sentenza del 17 maggio 1989 n.2337 aveva affermato che “con riguardo all’azione di ripetizione di tributi doganali indebitamente pagati in violazione della disciplina comunitaria, le regole fissate dall’art.2033 c.c. non trovano deroga nell’art.19 del d.l.30 settembre 1982 n.688,il quale subordina il rimborso alla prova documentale da parte del solvens della mancata traslazione del relativo onere su altri soggetti, posto che la contrarietà di tale norma con l’ordinamento della CEE comporta la disapplicazione della norma medesima unitariamente intesa, senza possibilità di scindere il precetto inerente alla mancata traslazione da quello attinente al regime della prova” non sono stati peraltro sufficienti nel 1988 ad evitare la condanna contro l’Italia atteso che l’inadempimento, riguardava il mantenimento in vigore della norma contrastante con il diritto comunitario a prescindere dalla sua possibile corretta interpretazione e conseguente disapplicazione (in caso di contrasto)ad opera dei giudici nazionali.

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della fattispecie (procedura per infrazione) che imponeva di prendere in considerazione non la

singola violazione, ma una violazione sistematica del diritto comunitario da parte sia dei

giudici supremi che dei giudici di merito.

Al riguardo viene rilevata la differenza fra rinvio facoltativo e rinvio obbligatorio che

caratterizza i rapporti tra Corte di giustizia, giudici di merito e giudici di ultima istanza

mettendosi in evidenza la diversa incidenza negativa delle sentenze dei giudici di merito

(specie se isolate) rispetto a quelle dei giudici di ultima istanza.

Si osserva infatti che :” singole decisioni di organi giurisdizionali di grado inferiore

che applichino in modo inesatto il diritto comunitario possono ancora essere corrette

nell'ambito della gerarchia degli organi giudiziari nazionali. Quand'anche ciò non avvenisse,

una singola decisione errata da parte di un giudice di grado inferiore non mina

necessariamente l'effetto utile delle disposizioni di diritto comunitario considerate nell'ambito

dello Stato membro e non implica necessariamente conseguenze indesiderabili per la

concorrenza sul mercato interno o per il traffico commerciale tra Stati membri. Viceversa,

siffatte conseguenze sono senz'altro probabili quando la giurisprudenza nazionale

incompatibile è promossa dai supremi giudici nazionali, le cui indicazioni giurisprudenziali

fissano comunque un orientamento per i giudici di grado inferiore nell'ambito

dell'ordinamento giuridico nazionale. Simili conseguenze possono prodursi anche se

nell'ambito del potere giurisdizionale nazionale vi sono diversi orientamenti

giurisprudenziali. Non si deve inoltre neppure escludere che, se i giudici di grado inferiore

interpretano e applicano sistematicamente in modo erroneo determinate parti del diritto

comunitario, ciò possa scoraggiare gli interessati sia dall'agire in giudizio sia dal ricorrere

in appello. Anche se tale giurisprudenza si produce ad un livello relativamente basso nella

gerarchia dell'ordinamento giudiziario nazionale, è possibile ravvisare in una situazione di

questo genere elementi che consentono di accertare una violazione del Trattato”.

Ciò non significa tuttavia, precisa l’avvocato generale, che una qualsiasi pronuncia

giurisdizionale erronea possa dar luogo ad un procedimento per infrazione. Affinchè ciò

avvenga occorre: che la sentenza provenga da un giudice di ultima istanza; che si tratti di una

giurisprudenza consolidata; che gli effetti dell’orientamento giurisprudenziale siano tali da

operare una ingiustificata e pregiudizievole discriminazione tra operatori economici dello

Stato membro interessato e tutti gli altri .

Solo a dette condizioni il carattere sistematico della violazione sarebbe indice

rivelatore della responsabilità dello Stato per l’operato dei giudici nazionali,26 alla cui

26 “ Mi pare importante accertare se la violazione degli obblighi comunitari da parte dei giudici nazionali sia un fenomeno sistematico. Si è in presenza di un incidente isolato, oppure si tratta veramente di una tendenza della giurisprudenza nazionale che, sotto questo aspetto, si pone in contrasto con gli obblighi comunitari? A questo riguardo è rilevante determinare se si tratta di un nuovo sviluppo o di una giurisprudenza consolidata. Nel primo caso si può immaginare che il sistema

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affermazione secondo l’avvocato generale, non potrebbe essere opposto l’argomento

dell’indipendenza del potere giudiziario atteso che:” non è incompatibile con l'indipendenza

del potere giudiziario che il legislatore nazionale intervenga, in modo finalizzato, per

adattare e precisare la normativa nazionale sia quando questa non viene interpretata e

applicata in modo conforme agli obblighi derivanti dal diritto comunitario sia quando non

viene disapplicata allorché dovrebbe esserlo. Qualora ciò non avvenga, l'accertamento di

una violazione del Trattato in correlazione con una giurisprudenza non corretta può

costituire anche la base per un'azione di responsabilità avverso lo Stato membro interessato

“.

La sentenza Commissione / Italia rappresenta, dunque, un ulteriore importante

tassello in materia di responsabilità dello Stato per atti del potere giudiziario che pur non

toccando il profilo risarcitorio (non direttamente rilevante nel giudizio di infrazione) si pone

in una linea di ideale continuità e completamento con i principi affermati dalla Corte di

giustizia nella sentenza Köbler.

E’ da notare che gli effetti della sentenza resa ai sensi dell’art.226 CE e soprattutto le

sue ricadute sui procedimenti pendenti, sono state fatte oggetto di accurata analisi da parte

della Corte di cassazione nella sentenza 14 luglio 2004 n.4710 resa nella causa S.I.E.F.

s.r.l./Ministero Economia e Finanze .

La Corte a fronte del motivo di ricorso proposto dai ricorrenti con il quale si

chiedeva al giudice la disapplicazione dell’art. 29 legge 428/ 1990 ha osservato che:” La

Corte non ritiene, però, che, come sostenuto dalle ricorrenti, la pronuncia d'infrazione ex art.

228 Trattato CE comporti la disapplicazione dell'art. 29, secondo comma, della legge n. 428 /

90. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, questa non ha giudicato la

norma in questione, di per sé considerata, contraria al diritto comunitario. Proprio nella

sentenza resa in causa C - 129/ 2000, punto 31, la Corte ha considerato neutra, ai fini del

diritto comunitario, una norma, quale il discusso art. 29, comma 2°, che impedisca la

restituzione di un tributo in caso di traslazione sul consumatore del relativo onere

economico, con arricchimento dell'importatore. La pronuncia d'infrazione concerne, invece, i

comportamenti attribuibili allo Stato membro ( e cioè, oltre alla norma di legge, le pronunce

dei giudici e la prassi dell'amministrazione ) nella loro globalità. Pertanto, l'adempimento

dell'obbligo dello Stato di adeguarsi al diritto comunitario deve svolgersi, in presenza di una

norma di per sé non contraria al diritto comunitario, oltre che attraverso le opportune

giudiziario nazionale colga l'occasione per rimettersi in linea, con la conseguenza che si può parlare di una singola infrazione. Qualora l'orientamento controverso risultasse confermato in appello e/o in cassazione, sede in cui assume rilievo anche il fatto che la problematica considerata venga sottoposta o meno alla Corte di giustizia con domanda di pronuncia pregiudiziale, può allora parlarsi di un fenomeno inerente al sistema”

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integrazioni che recepiscano le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, anche, e

soprattutto, mediante un révirement giurisprudenziale e della prassi amministrativa. Deve, in

sostanza, ritenersi che le pronunce del giudice comunitario, siano esse interpretative o rese ai

sensi dell'art. 228 del Trattato CE, svolgano, nella specie, una funzione adeguatrice, nel

senso di integrare il precetto normativo interno, quando quest'ultimo non è, di per se stesso,

contrario al diritto comunitario. Pertanto, per quanto riguarda il giudice e l'amministrazione

finanziaria, gli stessi devono interpretare la norma in modo conforme al diritto comunitario”.

In altri termini emerge con chiarezza il monito rivolto ai giudici di merito dalla

Suprema Corte circa la necessità di osservare regole ermeneutiche che tengano conto

dell’obbligo di interpretazione adeguatrice del diritto nazionale alla luce della giurisprudenza

comunitaria.

5. La sentenza Kühne &Heitz: retroattività delle sentenze della Corte di giustizia e

intangibilità (relativa) del giudicato nazionale.

In una linea diversa dalle precedenti si colloca la sentenza Kühne & Heitz che non

tocca direttamente il tema della responsabilità ma quello (ad esso connesso) del rapporto tra

effetto utile e primato del diritto comunitario in relazione al principio di certezza del diritto.27

Posta di fronte ad un quesito concernente gli effetti delle sentenze della Corte di

giustizia su rapporti già definiti anche in via giurisdizionale, la Corte tenta una soluzione di

compromesso che concili la certezza del giudicato e l’indipendenza del giudice, con

l’esigenza dell’ordinamento comunitario di creare un sistema completo ed armonizzato di

interpretazione, stabilendo che, la retroattività del giudicato comunitario, assolve la funzione

27 La sentenza del 13 gennaio 2004, Causa C- 453 /00 trae occasione da una vicenda di esportazione di pollame da parte di una società olandese. A seguito di una riclassificazione da parte delle autorità doganali olandesi della merce da essa esportata secondo le tariffe doganali comuni, l’autorità amministrativa competente chiedeva alla società il rimborso di una ingente somma. La Kühne decideva qundi di proporre reclamo di fronte alla stessa autorità e poi in appello, ma il ricorso veniva respinto.A seguito però di una sentenza della Corte di giustizia pronunciatasi su identica circostanza di fatto con esito favorevole, la Kühne chiedeva all’organo amministrativo di rivedere la propria posizione (l’ordinamento olandese consente la revisione dei provvedimenti viziati da errore interpretativo di diritto). Al rifiuto opposto, la Kühne replicava rivolgendosi all’autorità giudiziaria la quale chiedeva alla Corte di giustizia di pronunciarsi circa l’efficacia delle sentenze comunitarie ed il loro effetto su una decisione definitiva nazionale e quindi sulla modificabilità di quest’ultima a seguito di una pronuncia comunitaria. La Corte ha risposto al quesito affermando che :”In virtù del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 10 del Trattato CE, un’autorità amministrativa nazionale ha l’obbligo di riesaminare un provvedimento preso in precedenza sulla base di una certa interpretazione del diritto comunitario, allorquando sia intervenuta successivamente una sentenza della Corte di Giustizia CE, la quale abbia stabilito che l’interpretazione da dare alla norma comunitaria in questione sia diversa da quella data dall’autorità nazionale nel provvedimento de quo. In particolare, tale obbligo sussiste anche quando tale provvedimento sia stato tempestivamente impugnato dinanzi al competente organo giurisdizionale nazionale, il quale abbia però respinto il ricorso, accogliendo l’interpretazione della norma comunitaria data dall’amministrazione - rivelatasi poi errata -, determinando così la definitività del provvedimento

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di offrire la corretta interpretazione delle norme comunitarie così come questa avrebbe dovuto

essere data sin dalla formazione delle stesse. Allo stesso tempo però, per non violare il

principio della certezza del giudicato (nazionale) sottopone l’efficacia ex nunc delle proprie

sentenze ed i loro effetti su una decisione definitiva nazionale alle condizioni che: l’organo

amministrativo disponga secondo il diritto nazionale del potere di ritornare sulla sua

decisone, la decisione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice

nazionale che statuisce in ultima istanza, tale sentenza, alla luce della giurisprudenza della

Corte successiva alla medesima risulti fondata su una interpretazione errata del diritto

comunitario, adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni

previste dall’art. 234 n. 3 CE e l’interessato si sia rivolto al giudice amministrativo

immediatamente dopo essere stato informato di tale giurisprudenza.

Ancora una volta quindi, nell’impostazione seguita dalla Corte, che non ha aderito

all’opzione più netta in favore dell’effetto utile e del primato del diritto comunitario proposta

dall’Avvocato Generale Léger, “preferendo un approccio meno invasivo rispetto

all’autonomia procedimentale degli Stati membri”, 28assume rilievo, l’attivazione o meno del

rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale (vero elemento di novità introdotto come

ulteriore condizione per la revisione della decisione definitiva ) che addirittura incide sulla

stabilità dei giudicati nazionali conferendo (seguendo il ragionamento della Corte) maggior

stabilità alle sentenze pronunciate all’esito di un quesito pregiudiziale, rispetto a quelle

pronunciate senza il conforto interpretativo della Corte di giustizia.

Anche nella sentenza Kühne & Heitz quindi l’erroneità della decisione del giudice

viene presa in considerazione alla luce della giurisprudenza comunitaria, nella misura in cui

l’errore sia frutto di un’errata interpretazione delle norme comunitarie da parte del giudice

nazionale.

6.Considerazioni sul nuovo modello di illecito dello Stato per atti del potere

giudiziario.

L’esame dei precedenti giurisprudenziali sull’illecito dello Stato-giudice sembra

confermare come al di là dell’apparente simmetria con le soluzioni già individuate dalla Corte

per la responsabilità dello Stato legislatore e dello Stato amministratore, il nuovo tipo di

28 La valutazione è di R. CARANTA, Effettiva applicazione del diritto comunitario e certezza del diritto, cit. il quale mette in evidenza il diverso approccio seguito nella causa C-453/00 dall’Avvocato generale rispetto a quello più cauto della Corte di giustizia. L’autore osserva anche come nella giurisprudenza comunitaria degli ultimi anni, la Corte abbia indicato la necessità di superare attraverso la disapplicazione di atti amministrativi non impugnati il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso amministrativo (sentenza 27 febbraio 2003,C-327/ Santex) affermando la possibilità per i giudici nazionali del potere di sollevare d’ufficio questioni relative alla invalidità di atti amministrativi adottati in violazione del diritto comunitario (sentenza 24 ottobre 1996, C-72/95).

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responsabilità assuma connotazioni del tutto proprie e ciò non solo a causa dell’evidente

diversità che intercorre tra funzione legislativa, amministrativa e giurisdizionale ( sicchè

come ovvio l’applicazione delle stesse condizioni produce effetti diversi nella trasposizione

dall’una all’altra funzione..),29 ma anche ,e soprattutto, perché sembra prefigurare una

maggior integrazione tra Corte di Lussemburgo e giudici nazionali ( concezione

paternalistica? ) stante la rinnovata e forte sottolineatura del ruolo di garanzia affidato ai

giudici nazionali nell’assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nel settore del diritto

dell’Unione.

Sotto questo aspetto mentre allo Stato legislatore viene assegnato un obbligo di

risultato da garantire attraverso le scelte politiche di propria competenza, al giudice nazionale

viene assegnato il ruolo di verifica della correttezza delle scelte normative nazionali operate

29 Sul punto si consenta il rinvio a C.PINOTTI, La responsabilità risarcitoria dello Stato..cit. ove si è osservato che:” In teoria non dovrebbe esserci differenza tra la posizione del legislatore nazionale che deve comprendere il significato della norma comunitaria e gli obiettivi che la stessa persegue al fine di adottare le proprie scelte discrezionali al rispetto dei vincoli comunitari e la posizione del giudice che una volta ricostruita in fatto la fattispecie sottoposta al suo esame,deve individuare la norma da applicare alla fattispecie così ricostruita ed applicare la norma così individuata. Di fatto in ogni ordinamento nazionale il giudice (qualunque sia la nozione che si voglia accogliere della funzione giurisdizionale) è, di regola, assai meno libero del legislatore e dell’amministratore e non dispone di un potere discrezionale in senso proprio giacchè la discrezionalità opera sul piano della volontà e non del giudizio. Quanto agli effetti della funzione mentre i provvedimenti legislativi ed amministrativi sono sempre modificabili il provvedimento giurisdizionale produce la cosa giudicata alla cui estensione , in ordine al rapporto dedotto in giudizio, concorre in misura notevole l’attività delle parti (motivi di impugnazione) oltre a quella del giudice con conseguente indubbia difficoltà sistematica nel radicare l’ingiustizia del danno e la causa della lesione ,nella sola sentenza di ultimo grado. A queste considerazioni valide sul piano del rapporto tra giudice e norme nazionali se ne devono aggiungere altre ove la norma chiamata in causa sia una norma di diritto comunitario avendo ogni singolo giudice nazionale di ogni ordine e grado, in virtù del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale ,il potere/dovere di disapplicare le norme nazionali con esso contrastanti a prescindere dalla domanda di parte, e potendo d’ufficio rilevare l’incompatibilità comunitaria di una norma o di un atto applicativo della stessa (di diritto pubblico o di diritto privato)anche in assenza di uno specifico motivo di impugnazione. In altri termini il primato del diritto comunitario influisce quantitativamente e qualitativamente sull’attività di interpretazione delle norme da parte del giudice nazionale ,sia nella fase della individuazione ove se ne accentua la funzione creativa nel caso in cui venga disapplicata la norma nazionale ed applicata la disposizione di diritto comunitario avente effetto diretto (ove esistente o ricavabile per implicito dall’ordinamento comunitario )sia nella fase applicativa della norma, così individuata alla fattispecie (anche l’apprezzamento e la valutazione del fatto devono essere condotti tenendo conto della esigenza di garantire la tutela effettiva della situazione giuridica di derivazione comunitaria. Il punto veramente essenziale e determinante della diversa posizione del giudice nazionale rispetto al legislatore (nazionale )risiede proprio nel diverso modo di porsi dell’uno e dell’altro rispetto alle norme dell’ordinamento comunitario. Per il primo le stesse sono un limite da rispettare nell’esercizio della discrezionalità per il secondo sono il presupposto per garantire ai singoli attraverso il giudizio l’effettività di tutela anche “contro” o in assenza di cooperazione con l’ordinamento nazionale.29 Il legislatore è libero quindi quantomeno nel quomodo e nel quid (in caso di direttive)nel rispettarlo, ma non ha alcun conforto circa la correttezza della sua interpretazione ,il giudice non è libero (dovendo rispettarlo anche tramite il potere di disapplicazione della norma nazionale contrastante) né è libero di decidere o non decidere ove nutra dubbi sull’individuazione (o sulla stessa esistenza)della norma comunitaria da applicare alla fattispecie ,non potendosi trincerare dietro un non liquet ma può contare nel conforto interpretativo della Corte di giustizia attivando il rinvio pregiudiziale ex art.234 CE.”

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dal legislatore (disapplicazione) ma al tempo stesso di individuazione/creazione della norma

(corretta) attraverso l’interpretazione adeguatrice del diritto nazionale a quello comunitario.

Operazione complessa dal momento che il giudice si trova al centro di un ordine

giuridico sui generis nel quale operano vari ordinamenti giuridici su base non gerarchica ma

interattiva e cooperativa .30

In detto contesto come ben ha evidenziato l’Avvocato generale Léger, nelle

conclusioni Köbler, il giudice non è più “bocca della legge”, ma diviene arbitro dei conflitti

tra ordinamento comunitario e nazionale che deve risolvere in modo diretto sulla base del

noto criterio del primato del diritto comunitario.

Il vero elemento di novità, come più volte sottolineato, consiste nel rilievo attribuito

ai fini della gravità della violazione, alla mancata attivazione del rinvio pregiudiziale da parte

del giudice superiore al di fuori delle condizioni indicate nella sentenza CILFIT che lo

esclude solo “quando la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale

evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla

questione sollevata” evenienza alla quale, almeno sino alla sentenza Köbler, non erano stati

collegati effetti sul piano della responsabilità extracontrattuale dello Stato verso i singoli.

Ciò beninteso non vale ad attribuire alle parti un diritto soggettivo (rectius una

pretesa a che il giudice sollevi la pregiudiziale interpretativa) la cui violazione è fonte di

danno risarcibile, dal momento che la norma attributiva di diritti ai singoli rilevante ai fini

della violazione, concernerà sempre e solo la posizione giuridica soggettiva sostanziale e non

la mancata proposizione del rinvio che rileva ai fini della gravità della violazione.

E’ lecito quindi chiedersi se la nuova base comunitaria dell’illecito comunitario dello

Stato giudice, muti il non semplice rapporto tra Corti nazionali supreme e Corte di giustizia,

alla vigilia, per giunta, delle rilevanti modifiche al sistema del rinvio pregiudiziale introdotte

del Trattato di Nizza che insidia la competenza esclusiva della Corte di giustizia, prevedendo

una competenza sostitutiva del Tribunale di primo grado in materie specifiche determinate

dallo Statuto della Corte.31

30 Osserva E.SCODITTI, Il sistema multilivello di responsabilità dello Stato per mancata attuazione di direttiva comunitaria:il principio the king can do no wrong, in www.unipr.it/arpa/dsgs/seminariopermanente, .che “le interconnessioni fra ordinamenti non vanno lette seguendo la metafora kelseniana della piramide, ma attraverso quella della rete, nella quale dato il rapporto interattivo tra sistemi giuridici, la figura del nodo, prende il posto di quella del gradino”. In questo contesto “osserva l’Autore “l’illecito dello Stato per violazione del diritto comunitario perde la sua esclusività comunitaria o nazionale ed entra in un territorio fatto di chiaroscuri ed incroci, assai distanze dalle luminose certezze e le rette vie della dogmatica e del positivismo giuridico”. 31 Nell’art.225 CE (testo riformato) vengono espresse due riserve. Per la prima è lo stesso Tribunale investito della questione pregiudiziale che, qualora ritenga che la causa richiede una decisione di principio che potrebbe compromettere l’unità e la coerenza del sistema comunitario, può rimettere la causa alla decisione della Corte di giustizia. Inoltre in caso di pronuncia del Tribunale “ove sussistano gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto comunitario siano compromesse” il primo Avvocato generale può proporre alla Corte il riesame della decisione del Tribunale.

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In quale misura i giudici nazionali saranno disposti ad accettare una così palese

asimmetria tra la disciplina della responsabilità extracontrattuale dello Stato e quella della

responsabilità della Comunità ai sensi dell’art. 288 secondo comma CE (non è infatti

ipotizzabile una responsabilità della Comunità per atti della Corte di giustizia, che verrebbe

ad essere parte e giudice al tempo stesso ..) ed ancora, il nuovo orientamento provocherà

l’ampliamento del ricorso da parte dei giudici nazionali alla teoria dell’atto chiaro,32 ovvero

alla pregiudiziale di validità ai sensi dell’art. 234 CE, o addirittura, una possibile invocazione

della teoria dei controlimiti ?33

Si tratta di interrogativi di un certo peso destinatati ad assumere maggior consistenza

alla luce del mutato ruolo che stanno assumendo i giudici nazionali, di cerniera tra

ordinamento giuridico comunitario e ordinamento giuridico nazionale in un nuovo ordine

giuridico europeo cui convivono fonti di produzione eterogenee, alcune di matrice

giurisprudenziale.34

Sul punto vedi A.SANTAMARIA, Il rinvio pregiudiziale nella nuova disciplina a seguito del Trattato di Nizza, in Diritto del commercio internazionale, 17.2-3/2003, pp.367 –377 che riporta anche le osservazioni critiche sulla nuova attribuzione di competenza , dell’Avvocato generale Damaso Ruiz-Jarabo Colomer, nella causa C-7/00 del 28/6/2001 il quale osserva che la funzione svolta nel procedimento pregiudiziale ha carattere nomofilattico e che “l’interpretazione uniforme del diritto comunitario non può che essere oggetto di competenza indivisibile: quando su di uno stesso istituto del diritto europeo appariranno due interpretazioni divergenti sarà la fine del rinvio pregiudiziale”. 32 32 La teoria dell’atto chiaro teorizzata dal Consiglio di Stato francese (cfr. sentenza 9 giugno 1964, in Foro it., 1965, V, pp. 57 ss.) si fonda su un dato letterario, ossia che l’art. 234 CE parla di «questione» pregiudiziale, termine che presupporrebbe un dubbio interpretativo sulla norma comunitaria. In mancanza di dubbio esegetico non si avrebbe una questione ma un «punto» pregiudiziale rispetto al quale varrebbe il principio in claris non fit interpretatio. La disputa terminologica fra punto e questione è stata sottoposta a serie critiche dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza comunitaria, osservandosi come nel testo dell’art. 234 il termine punto e questione figurino come sinonimi e postulino sempre un passaggio interpretativo sulla norma comunitaria che può essere risolto o direttamente dal giudice nazionale (ove la norma non sia suscettibile che di una unica e consolidata interpretazione, avallata sia in sede comunitaria che negli altri Stati) o, negli altri casi, dalla Corte di giustizia. Per approfondimenti cfr. E. D’ALESSANDRO, Intorno alla «Teorie de l’acte clair», in Giust. civ., 1997, pp. 2882 ss.; P. PESCATORE, Il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 177 del Trattato CE e la cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, in Foro it., 1986, V, cc. 26 ss. Più in generale sul rinvio pregiudiziale, A. BRIGUGLIO, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996. 33 Per la teoria dei controlimiti elaborata dalla giurisprudenza costituzionale italiana e da quella tedesca, le norme comunitarie ricadono nel controllo di costituzionalità che le corti nazionali esercitano dal punto di vista dei principi fondamentali della costituzione nazionale. Una recente ( ma del tutto errata e criticabile ) applicazione del limite costituzionale al principio della responsabilità dello Stato afferente all’esercizio della funzione legislativa è contenuta nella sentenza della Corte di cassazione n.4915 del 2003 che a dodici anni dalla sentenza Francovich e nonostante la pacifica giurisprudenza comunitaria opponendo al principio della responsabilità dello Stato un limite di tipo costituzionale afferente alla funzione legislativa , cassando una sentenza del giudice di pace, ha affermato che” di fronte all'esercizio del potere politico non sono configurabili situazioni soggettive protette dei singoli, onde deve escludersi che dalle norme dell'ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell'ordinamento italiano, il diritto del singolo all'esercizio del potere legislativo e comunque la qualificazione in termini di illecito, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., da imputare allo Stato - persona, di quella che è una determinata conformazione dello Stato - ordinamento (Cass. 1067/1995 cit.)”. 34 Sulla possibilità di configurare le sentenze della Corte di giustizia come vera e propria fonte di produzione del diritto comunitario, S.BARIATTI, Il ruolo del giudice nella costruzione del diritto comunitario, in Diritto & Storia n.3, Università di Milano, 2004 osserva “Il tratto saliente, già posto in evidenza da alcuni, è costituito dal fatto che tale funzione [giurisdizionale] viene svolta secondo

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Sembra inevitabile comunque che il nuovo corso giurisprudenziale, ancora in via di

definitivo assestamento, affidi la sua “tenuta” alla capacità che avranno gli ordinamenti

nazionali di approntare strumenti sostanziali e procedurali tali da garantire l’effettività della

tutela dei singoli da violazioni imputabili all’attività giudiziaria. Tradotto in altri termini, i

vari sistemi nazionali della responsabilità civile dello Stato giudice e del giudice dovranno

necessariamente formare oggetto di discipline coerenti tali da non ingenerare intollerabili

disparità di trattamento tra cittadini dei vari Stati membri, operazione non del tutto agevole

stante anche la notevole diversità dei sistemi di responsabilità civile dello Stato-giudice e del

giudice esistenti nei vari ordinamenti.35

modalità e con finalità diverse da quelle alle quali è abituato il giurista di civil law, che la pongono molto vicino, piuttosto, a quella propria dei sistemi giuridici di common law: la giurisprudenza della Corte si è affermata, infatti, come fonte di produzione giuridica propria dell’ordinamento comunitario, come sembra dimostrato dal fatto che accanto al valore, non codificato ma ammesso nella prassi e nella dottrina, del precedente, e quindi alla produzione di effetti erga omnes anche per le pronunzie pregiudiziali - che dovrebbero piuttosto avere effetti limitati al caso di specie poiché sono emanate nell’ambito di un incidente del procedimento pendente davanti al giudice nazionale è diventato indispensabile se non prevalente il riferimento alle pronunce della Corte nell’analisi dei più diversi aspetti dell’ordinamento.” Per P.MENGOZZI, Il diritto comunitario e dell’Unione europea,1997 pp.142-143 alla vis expansiva del diritto di formazione giurisprudenziale le istituzioni europee portatrici della cultura più tradizionale propria dei paesi dell’Europa continentali hanno reagito contrapponendo un’attività normativa sempre più vasta e capillare spesso solo ricognitiva degli orientamenti giurisprudenziali (es comunicazione e orientamenti della Commissione). A fronte di detti tentativi è, peraltro, da rilevare che la giurisprudenza della Corte di giustizia concorre a formare l’acquis communautaire, che tutti i nuovi aderenti devono rispettare come parte integrante del testo dei Trattati al momento dell’ingresso nell’Unione europea e nelle Comunità. 35 Come la dottrina ha da tempo messo in rilievo, vedi N.PICARDI, Dalla responsabilità del giudice alla responsabilità dello Stato-giudice ,in Scritti in onore di Angelo Falzea, Milano 1991, pp.697 ss, l’idea di responsabilità dello Stato giudice è maturata lentamente ma progressivamente e va inquadrata nella più ampia problematica del principio dell’irresponsabilità dello Stato. Detto principio che già in un primo tempo ha trovato applicazione con riferimento allo Stato amministratore ha finito per coinvolgere non senza resistenze e difficoltà anche la responsabilità dello Stato-giudice. Detta evoluzione appare a grandi linee identica nei paesi dell’Europa continentale che hanno un’impostazione assai diversa rispetto a quella degli ordinamenti di common law. In Inghilterra ad esempio la nomina dei giudici delle corti superiori è essenzialmente politica avvenendo da parte o del Primo Ministro o del Lord Cancelliere rappresentante del governo nella Camera dei Lords ma nonostante ciò scarsa è l'influenza dell'esecutivo sia per l'esercizio essenzialmente professionale e non burocratico delle funzioni giudiziarie sia per l'elevata preparazione culturale dei magistrati che devono aver esercitato la professione di avvocati per almeno dieci anni. Per la tutela dell'indipendenza e dell'imparzialità dell'organizzazione giudiziaria inglese priva di una vera e propria carriera si è prevista un’ immunità assoluta dei giudici per gli atti compiuti nell'esercizio delle loro funzioni dal momento che in nessun caso si può agire contro il magistrato anche se abbia agito con dolo o per difetto di competenza essendo queste ipotesi solo possibili motivi di appello. Divenuto ormai desueto il procedimento di messa in stato di accusa (impeachment) dei giudici, l'unica forma di responsabilità prevista in questo paese è quella politica che si traduce nella possibilità per i giudici delle corti superiori (ma ciò vale pur se in diversa maniera anche per i più numerosi giudici di prima istanza) di essere rimossi dal loro ufficio da parte della Corona su petizione presentata a Sua Maestà da entrambi i rami del Parlamento. Questa procedura chiamata "address" si applica ogniqualvolta i giudici tengano una "cattiva condotta" ("misbehaviour") che ricomprende ipotesi molto diverse tra loro tra le quali il difetto di giurisdizione l'incapacità la negligenza ed i casi di diniego di giutizia. Come è stato rilevato "va tuttavia notato quanto alla procedura di address ossia quella nei confronti di giudici di corti superiori che essa pur conservando un forte significato simbolico e monitorio è venuta ad assumere un rilievo pratico del tutto secondario nel sistema inglese" in questo modo allora la

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7.La normativa italiana sulla responsabilità civile del giudice ed i suoi limiti

applicativi.

Nel nostro ordinamento con il termine responsabilità del giudice ci si riferisce a

fattispecie di comportamenti o provvedimenti riferibili agli appartenenti all’ordine giudiziario

posti in essere in violazione di precetti fissati da vari rami (civile, penale, disciplinare).

E’ estranea alla nostra tradizione giuridica una valutazione dell’operato dei giudici ,

resa a vari fini, che attiene alla verifica del conto che della gestione della propria funzione

ciascuno di essi è chiamato a rendere alla collettività.36

responsabilità politica viene a costituire un punto di equilibrio e di contrappeso alla totale immunità da responsabilità civile dei magistrati nei paesi di Common Law M.CAPPELLETTI, "Giudici legislatori ?", Milano, 1984, pag. 30. Assolutamente diverso è l'approccio al problema della responsabilità del giudice nei paesi di area continentale quali Austria Francia Germania Spagna e Svizzera in cui è prevista la possibilità di esperire in un novero limitato di casi un'azione di risarcimento dei danni solamente contro lo Stato che potrà rivalersi in parte contro il magistrato. Il sistema che maggiormente si avvicina a quello delineato dal legislatore italiano del 1988 è certamente quello che si è venuto a configurare in Francia sin dagli anni '70 anche se tra i due ordinamenti vi sono notevoli differenze atteso che il legislatore francese ha accentuato l'assimilazione del giudice al funzionario pubblico ribadendo la condizione superata in Italia di una organizzazione gerarchico-burocratica della magistratura. Un'ulteriore differenza del sistema francese rispetto alla legge 13 aprile 1988 n. 117·è che l'azione di rivalsa che lo Stato esercita in seguito al risarcimento dei danni può essere fatta valere dallo Stato francese solo nei casi di dolo frode e concussione e non anche nell'ipotesi di colpa grave del giudice. Una normativa eccezionale rispetto agli altri paesi europei di tradizione romanistica presenta la Spagna la cui costituzione del 1978 prevede all'art. 121 che "i danni causati da un errore giudiziario come quelli conseguenti ad un anormale funzionamento dell'amministrazione della giustizia daranno diritto ad un indennizzo a carico dello Stato". Il legislatore spagnolo che è certamente quello che ha aperto maggiormente all'affermazione di una vera e propria responsabilità personale del giudice ha dato attuazione al disposto costituzionale con la "Leù organica del Poder Judicial" del luglio 1988. In tale legge manca ogni distinzione tra responsabilità dello Stato-giudice e riparazione degli errori giudiziari presente invece nell'art. 1´ della legge 13 aprile 1988 n. 117 di modo che lo Stato spagnolo è responsabile nel caso di errore giudiziario, ingiusta detenzione preventiva, funzionamento anormale della giustizia e infine nei casi di dolo e colpa grave dei giudici. Oltre ad aver previsto la riparazione di qualunque errore giudiziario cagionato nel corso di qualunque tipo di processo ad opera di qualunque autorità la L.O.P.J. contiene un'interessantissima particolarità nell'art. 29 secondo cui "lo Stato è anche responsabile dei danni provocati dai giudici e dai magistrati per comportamento imputabile a colpa grave o dolo salvo il diritto di rivalsa nei loro confronti". Il legislatore spagnolo ha in tal modo attribuito al cittadino danneggiato non solo la possibilità di agire direttamente nei confronti dello Stato per ottenere la riparazione dell'errore giudiziario così come previsto dalle altre legislazioni europee compresa la nostra ma ha anche fatto salva la facoltà della parte lesa di citare in giudizio direttamente il giudice responsabile per dolo o colpa grave in quanto la loro responsabilità è diretta e concorrente. Per N. PICARDI, op.cit. il nostro legislatore ha perso un’occasione non realizzando un efficace sistema di tutela del danneggiato pari a quello introdotto in Spagna. 36 Osserva M.SERIO, Riflessioni sull’attività giudiziale..cit.p.1121 che il modello nord-americano dell’accountability, cioè dell’imputazione al singolo giudice dei risultati insoddisfacenti ottenuti nell’amministrazione del proprio ufficio che ha una solida radice nel carattere non burocratico ma

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L’evoluzione della disciplina della responsabilità civile può efficacemente essere

sintetizzata nella formula molto usata dalla dottrina dalla responsabilità del giudice alla

responsabilità dello Stato-giudice.37

Senza ripercorre le varie fasi che hanno portato alla sua approvazione è da ricordare

come la legge n.117/1988 che disciplina la responsabilità dello Stato per alcuni illeciti del

giudice, ha previsto una responsabilità diretta solo dello Stato e non del giudice per la

condotta-dolosa o colposa o frutto di denegata giustizia- dispiegatasi in un atto, in un

comportamento o in un provvedimento adottato nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali

che non si sia risolto in un’attività interpretativa della legge (espressamente esclusa dalle

ipotesi idonee a far insorgere la responsabilità).38

essenzialmente politico della funzione, è inesportabile in ordinamenti come il nostro che non conoscono altro sistema di reclutamento che quello concorsuale. 37 Osserva N.PICARDI, Riflessioni, cit. p.697 che “Il passaggio della responsabilità del giudice alla responsabilità dello Stato-giudice, costituisce una spia significativa attraverso cui pare possibile individuare, utilizzando l’immagine comparativa, le linee di tendenza dell’evoluzione attuale di un istituto fondamentale che percorre la civiltà giudica occidentale. In quest’ottica vanno interpretati gli esiti del referendum del novembre 1987: se esso aveva ad oggetto la responsabilità del giudice, la legge 13 aprile 1988 n.117 riguarda invece la responsabilità dello Stato o meglio dello Stato-giudice”. Osservano anche L.CORSARO e M.POLITI , La Cosiddetta responsabilità dei giudici, in Giurisprudenza italiana,1989, parte IV, che “la legge 117 non ha l’obiettivo di definire le ipotesi di responsabilità del magistrato, ma soprattutto se non esclusivamente, definire ed affermare la responsabilità dello Stato per alcuni illeciti del magistrato”. 38 L’articolo 2 della Legge 13 aprile 1988 n.117 Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, prevede che: “1.chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento,di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni,oppure per diniego di giustizia,può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali ed anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2.Nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove. 3.Costituiscono colpa grave: A.la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; B.l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile,di un fatto la cui esistenza è incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento. Ai sensi dell’art. 3, comma 1 :”costituisce un diniego di giustizia il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni dalla data di deposito in cancelleria”

La rinuncia al principio della responsabilità diretta del magistrato e l'affermazione della responsabilità esclusiva dello Stato per gli illeciti commessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie esclude ogni possibilità di agire in giudizio contro il magistrato ma non elimina la facoltà per il giudice di intervenire volontariamente nel giudizio in cui si tratta della su condotta.·Dispone infatti l'art.6 :”Il magistrato il cui comportamento, atto o provvedimento rileva in giudizio non può essere chiamato in causa ma può intervenire in ogni fase e grado del procedimento, ai sensi di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 105 del codice di procedura civile. Al fine di consentire l'eventuale intervento del magistrato, il presidente del tribunale deve dargli comunicazione del procedimento almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima udienza. 2. La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro lo Stato non fa stato nel giudizio di rivalsa se il magistrato non è intervenuto volontariamente in giudizio. Non fa stato nel procedimento disciplinare. 3. Il magistrato cui viene addebitato il provvedimento non può essere assunto come teste nè nel giudizio di ammissibilità, nè nel giudizio contro lo Stato.

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Si è trattato di una scelta politica molto discussa sulla cui genesi hanno in parte

influito alcune risalenti pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 2 del 14 marzo 1968)

il cui effetto principale è stato quello di scandire, in nome della maggior tutela del

danneggiato, la transizione dalla responsabilità diretta dell’appartenente all’ordine giudiziario

a quello della responsabilità dello Stato.

Detta scelta come noto, si è prestata ad una molteplicità di giudizi di segno opposto,

quali, da un lato, quelli (favorevoli) facenti leva sull’esigenza di evitare sovrapposizioni

(condannate dalla Corte costituzionale sin dal 1968) tra responsabilità diretta del giudice e

responsabilità dello Stato che si potrebbero risolvere in un indebolimento della tutela del

cittadino, ovvero di recuperare una responsabilità per colpa grave, di difficile concepimento

nel caso di responsabilità diretta dato il timore di una eccessiva penalizzazione della condotta

giudiziale, ed infine sulla necessità di attuare una semplificazione procedurale, attraverso la

promuovibilità dell’azione nei confronti di un solo soggetto capace di sopportare le

conseguenze di una pronuncia suo carico.39

Prevalenti tuttavia in dottrina i rilievi di segno critico, fra i quali, quello attinente ad

un crescente allontanamento della responsabilità giudiziale dalla responsabilità civile di

diritto comune e al sostanziale tradimento da parte del legislatore dell’art. 28 della

Costituzione nonché dell’esito referendario.40

La responsabilità personale del magistrato è rimasta ai sensi dell’art. 13 in caso di fatto costituente reato :« Chi ha subìto un danno in conseguenza di un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie. 2. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti »

39 Sul punto vedi l’ampia trattazione di M.SERIO, Riflessioni sulla responsabilità giudiziale in alcuni ordinamenti europei, in Europa e diritto privato, 1998, pp.1117 ss. 40 N.ZANON, La responsabilità dei giudici, cit. nel dar conto dei vari orientamenti della Corte costituzionale che ha salvato la previsione della responsabilità diretta dello Stato affermando che” la scelta di proteggere la responsabilità del magistrato dietro quella dello Stato, impedendo alla parte del processo di agire direttamente nei confronti del magistrato, si giustifica con la necessità di proteggerne l’indipendenza e la serenità nell’esercizio della funzione che altrimenti, potrebbe essere turbata dalla minaccia di un’azione di responsabilità” osserva , tuttavia, come la scelta del legislatore accentui la posizione del giudice come funzionario dello Stato persona anziché quella di intermediario tra lex e iura, giudice quindi espressione della comunità sociale a diretto contatto con la collettività :”Viene naturalmente da chiedersi quanto questa sorta di separatezza e di barriera tra il magistrato e la parte del processo siano in linea con l’art. 28 Cost., nella parte in cui prevede che i funzionari pubblici rispondano “direttamente” degli atti compiuti in violazione di diritti…”E viene anche da chiedersi se, anche in questo campo – come ormai accade per qualunque settore del diritto – non bussino forte alle porte del nostro ordinamento giuridico forte cogenze europee, che potrebbero obbligarci a qualche aggiustamento. Mi riferisco al noto principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili, principio che si applica anche allorché la violazione di cui trattasi derivi da una decisione (definitiva) di un organo giurisdizionale (da ultimo cfr. Corte di Giustizia CE, 30 settembre 2003, causa C-224/01Köbler c. Repubblica d’Austria “).

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Ai nostri fini, merita di essere sottolineato come i congegni previsti dalla legge 13

aprile 1988 n.117 ne hanno determinato la pratica inapplicabilità, anche per la lettura

estremamente riduttiva che è stata data da parte della giurisprudenza a talune norme.

Uno dei problemi cruciali è proprio quello di distinguere tra attività interpretativa

insindacabile, consistente nell’attribuire alla disposizione uno dei possibili significati, e colpa

grave per violazione inescusabile di legge che si verifica quando il magistrato adotta

un’interpretazione estranea a quel ventaglio di possibilità.

La dottrina è ferma nel ritenere che è interpretazione, con riferimento a qualsiasi

disposizione normativa, sia la individuazione della disposizione, in quanto applicabile, sia la

ricostruzione del suo significato.41

L’analisi dei repertori di giurisprudenza dimostra una propensione da parte della

giurisprudenza di merito avallata dalla Corte di cassazione a fare applicazione della teoria del

c.d giusrealismo moderato (per cui tutte le disposizioni giuridiche possono avere più di un

significato) con ciò ampliando l’area dell’attività interpretativa al fine di evitare che

l’affermazione della responsabilità passi attraverso una revisione del giudizio interpretativo e

valutativo del giudice che può e deve formare oggetto del solo giudizio di impugnazione 42

Tuttavia l’ampia dilatazione del concetto di interpretazione ha finito, di fatto, per

rendere immune da responsabilità qualunque errore di diritto del magistrato anche grave ed

inescusabile in aperta violazione con le dichiarate finalità della legge 117/1988.

Ai limiti applicativi della legge 117/1998 è in parte legato il rinnovato interesse nei

dibattiti dottrinali al tema dei limiti dell’attività interpretativa del giudice 43, argomento legato

41 Sul punto vedi N.PICARDI-R.VACCARELLA, La responsabilità civile dello Stato-giudice, Commentario alla legge 13 aprile 1988 n.117 in tema di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati, a cura di N.PICARDI- R.VACCARELLA Padova 1999 p.39 ss. .. 42 Per la Corte d’appello di Brescia, decreto 13 aprile 1990, in Foro it 1990, I 2008, che conferma Tribunale di Brescia, decreto 17 febbraio 1990, in Foro it., 1990, I, 2014) “E’ interpretazione di norma di diritto, anche quella che assegna alla proposizione normativa il significato “meno probabile”, “il più distante dai principi generali dell’ordinamento giuridico”, purché tale significato appartenga “all’arco di quelli strettamente possibili alla stregua del senso comune dei segni linguistici”. Per la Corte di cassazione sentenza 29 novembre 2002 n.16935 “l’inescusabile negligenza prevista dall’art.2 comma 3, lett.a) della legge n.117/1988 si concretizza non nell’errore in cui sia incorso il giudice nel valutare il materiale probatorio a sua disposizione, bensì solo nel fatto che il giudice abbia posto a fondamento del suo giudizio elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio di riferimento, posto che il concetto di negligenza inescusabile postula la sussitenza di un quid pluris rispetto alla colpa grave disciplinata dal codice civile” 43 Fra i contributi più recenti sul tema che vanta una letteratura sterminata si rinvia agli interessanti lavori del recente convegno annuale dell’Associazione Italiana dei costituzionalisti Padova 22-23 ottobre 2004 in www.associazionedeicostituzionalisti.it M.BARBERIS, Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell’interpretazione, in Atti del convegno, cit. partendo dalla fondamentale contraddizione “con la quale i giuristi fanno i conti da due secoli” per la quale al giudice spetta solo applicare il diritto creato dal legislatore eppure non al tempo stesso egli non può non crearlo, dopo aver esaminato le tre versioni della teoria giusrealista dell’interpretazione , conclude osservando che, ammesso che la contraddizione possa essere composta resterà sempre l’antinomia fondamentale tra legalità e giustizia alla quale si potrà realisticamente opporre solo il self restraint dei giudici.

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a filo doppio a quello dell’ammissibilità dell’interpreazione c.d. creativa in rapporto alla

teoria della separazione dei poteri, interesse in esito al quale, nella vicenda della riforma

dell’ordinamento giudiziario, si è giunti ad iniziative legislative (in ordine alle quali non sono

mancate fin troppo prevedibili reazioni critiche 44) volte a configurare l’interpretazione

giudiziale creativa di diritto come illecito disciplinare, previsione poi sostituita nell’ultima

versione con quella secondo cui “ non può dar luogo a responsabilità disciplinare l’attività di

interpretazione di norme di diritto in conformità all’art.12 delle disposizioni sulla legge in

generale”.

Il contesto italiano, caratterizzato sul tema da un’alta tensione politico istituzionale,

non è quindi uno dei più semplici per affrontare le ricadute interne della sentenza Köbler, in

cui assume rilievo centrale, ai fini della violazione grave e manifesta, proprio l’errore

(inescusabile) del giudice nell’esercizio dell’attività di interpretazione ed in cui si esclude che

il dolo e la colpa integrino i presupposti sostanziali per l’accoglimento della domanda,

essendo solo elementi di cui tenere conto per valutare la gravità della condotta.

8.Le ricadute in ambito nazionale della sentenza Köbler.

Il richiamo, sia pur sommario, ai principali limiti applicativi della legge 117/1988

consente di meglio comprendere quale possa essere l’impatto della nuova figura di illecito

comunitario dello Stato giudice nel nostro ordinamento.

E’ ben noto che l’autonomia procedurale dei singoli Stati, cui spetta l’individuazione

del giudice competente a conoscere del risarcimento, non può spingersi sino al punto da

rendere eccessivamente difficile, o praticamente impossibile ottenere il risarcimento e ciò

dovendo rispettare il limite della c.d. effettività della tutela.

Ebbene, appare evidente che, mentre le preclusioni derivanti dal filtro

dell’ammissibilità dell’azione e dall’introduzione del termine di decadenza (che hanno

passato indenni anche i dubbi di costituzionalità), non destano particolare problemi, ben

diverse sono le considerazioni per quel che riguarda le condizioni attinenti alla sussistenza

dell’elemento soggettivo e l’esclusione della responsabilità per attività interpretativa.45

44 Fra i molti commenti, vedi M.CAVINO, Attenzione a quel che chiedete! Potreste ottenerlo .Riflessioni sul posto dell’interpretazione giuridica nel progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, in www.costituzionalismo.it, 45 Il testo vigente dell'art. 4 della legge 13 aprile 1988, n. 117, recante: "Risarcimento di danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati", come modificato dalla legge, 2 dicembre 1998 n. 420 é il seguente: "Art. 4 (Competenza e termini). 1.L'azione di risarcimento del danno contro lo stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Competente é il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 del codice di procedura penale e dell'art. 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

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E’ ben noto, e ribadito dalla Corte di Lussemburgo, che il dolo o la colpa non

possono costituire i presupposti per il risarcimento, ragion per cui, l’accertamento della

violazione grave e manifesta da parte del giudice nazionale ( quale presupposto dell’illecito),

andrebbe condotto su un piano rigorosamente oggettivo, e non al fine di accertare la colpa

grave (sub specie di negligenza inescusabile) quale elemento costitutivo della responsabilità

come richiesto dalla legge 117/1988.

L’applicazione dei principi comunitari dovrebbe, quindi, condurre alla

disapplicazione, in parte qua, della normativa nazionale in quanto preclusiva della domanda

di risarcimento sulla base della disciplina nazionale.

Ancor più gravi sono i dubbi di compatibilità comunitaria, per quel che riguarda

l’esclusione della responsabilità per l’attività interpretativa, dal momento che, la domanda

risarcitoria per violazione del diritto comunitario non potrebbe prescindere, se non a costo di

evidenti forzature logiche, da un accertamento in termini di correttezza della soluzione

interpretativa data dal giudice nazionale sia nell’interpretare il diritto nazionale alla luce del

diritto comunitario, sia nell’interpretare lo stesso diritto comunitario , anche e soprattutto in

ordine alla scelta “discrezionale” di attivare o meno al rinvio pregiudiziale di interpretazione

ai sensi dell’art. 234 CE.

Si tratta di un punto centrale, difficilmente eludibile alla luce della stessa

giurisprudenza comunitaria (sentenza CILFIT) secondo cui” il giudice nazionale di ultima

istanza può astenersi dal sottoporre la questione alla Corte risolvendola sotto la propria

responsabilità se la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza

da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione

2.L'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si é verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro due anni che decorrono dal momento in cui l'azione é esperibile. 3.L'azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si é concluso il grado del procedimento nell'ambito del quale il fatto stesso si é verificato. 4.Nei casi previsti dall'art. 3 l'azione deve essere promossa entro due anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull'istanza. 5.In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio non abbia avuto conoscenza del fatto". La Corte di cassazione (sentenza n.1319 del 1999) ha stabilito che l’art. 4 della legge 117/1988 “mira ad impedire, nei limiti del possibile, la coesistenza di due cause con oggetto connesso, differendo l’apertura del processo di responsabilità dopo il delinearsi di tutti gli elementi influenti per l’individuazione e quantificazione del danno, anche in relazione al dovere del danneggiato di adoperarsi per rimuovere la situazione lesiva”. L’art. 5 della legge 117/1988 prevede un “filtro preventivo” costituito dalla delibazione di ammissibilità della domanda. Anche in ordine ai dubbi di costituzionalità di detta norma il giudice di legittimità ha ritenuto (sentenza 26 febbraio 2002 n.2768 ) che la previsione di un giudizio preliminare di ammissibilità della domanda costituisce applicazione di un istituto largamente diffuso nel diritto positivo interno e non rappresenta un ostacolo apprezzabile per la difesa dei diritti azionati.

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sollevata…dovendo inoltre maturare il convincimento che la stessa evidenza di imporrebbe

anche ai giudici di altri Stati membri ed alla stessa Corte di giustizia”.

Sembra chiaro che il ricorso alla disapplicazione in parte qua della normativa di cui

alla legge 117/1988 da parte del giudice nazionale, potrebbe non essere sufficiente dal

momento che avendo ad oggetto il giudizio di risarcimento del danno (se pur ai fini della

sussistenza della violazione grave e manifesta) l’accertamento, sia pur incidentale, della

soluzione interpretativa data dal giudice di ultima istanza, potrebbe agevolmente invocarsi da

parte del giudice adito il limite dell’intangibilità del giudicato e della certezza del diritto,

come del resto già accaduto nell’importante precedente costituito dalla sentenza del 28 giugno

2001 con la quale il Tribunale di Roma ha statuito che: «quando l’affermazione del diritto

comunitario si pretenda contraddetta in una pronuncia giurisdizionale italiana passata in

giudicato, il diritto comunitario si arresta a fronte di quest’ultima costituendo il giudicato

principio di ordine pubblico interno ai sensi dell’art. 30 CE» e «in caso di violazione del

diritto comunitario asseritamene riferita alla decisione di un giudice, la responsabilità dello

Stato che si configura con riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale, è regolata

dalla disciplina della legge n. 117 del 1998, non disapplicabile dal giudice nazionale”.46

Allo stato quindi, le possibili alternative che si presentano sono due: o si ritiene come

da taluni già prospettato, che la legge 117/1988 non trovi applicazione alla fattispecie di

illecito comunitario dello Stato giudice, che dovrebbe ricevere una disciplina in tutto analoga

alla responsabilità civile di diritto comune 47 o la legge 117/1998 trova necessariamente

applicazione con riferimento all’illecito derivante dall’esercizio della funzione giurisdizionale

46 La sentenza è pubblicata in Giur. merito, 2002, I, pp. 362 ss., con nota di F. GIANFILIPPI, Violazione di norme comunitarie, giudicato interno contrastante e responsabilità dello Stato-giudice. La vicenda all’origine della sentenza del Tribunale di Roma presenta molte analogie con quella del caso Köbler dal momento che il giudice era stato investito da una domanda di risarcimento del danno derivante da una sentenza che aveva dichiarato la legittimità di un atto del Ministero del tesoro irrogativo di sanzione pecuniaria emesso in violazione del diritto comunitario. Una differenza sulla quale il Tribunale ha fatto leva è che, nel giudizio conclusosi con la sentenza passata in giudicato, le parti non avevano chiesto al giudice di investire con rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia ed avevano eccepito profili di incompatibilità comunitaria delle norme nazionali solo sotto il profilo della proporzionalità della sanzione 47 E’ questa l’impostazione di E.SCODITTI, Francovich presa sul serio.., cit.il quale afferma che “Per ciò che concerne l’ordinamento italiano non troverà applicazione la legge 117/1988, posto che la responsabilità civile del magistrato, contemplata dall’art. 2 della legge appena citata, è fattispecie diversa da quella della responsabilità dello Stato in quanto tale per violazione del diritto comunitario, occasionalmente determinata da un provvedimento giurisdizionale”..L’assenza di una disciplina speciale comporta quindi l’adozione degli ordinari rimedi processuali”. Sempre per l’Autore non si esclude però la possibilità del formarsi di un diritto vivente nazionale contrario alla giurisprudenza comunitaria in materia, con il rischio di collisioni ordinamentali che lascerebbero comunque privi di tutela i singoli . Per l’Autore una soluzione potrebbe essere quella di apprestare strumenti di politica giudiziaria che facilitino il dialogo fra le corti nazionali e comunitaria “sempre che non si faccia ricorso ad un intervento della Corte costituzionale laddove quel diritto vivente sia ritenuto in contrasto con l’art.11 della Costituzione “.

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ed allora si pone il problema di come conciliarne la disciplina con le condizioni fissate dalla

Corte di giustizia nella sentenza Köbler.48

9.Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia dal Tribunale di

Genova.

Sulla scia dell’ alternativa costituita dalla necessaria applicazione della legge

117/1988, sembra muoversi la vicenda che ha occasionato il rinvio pregiudiziale sottoposto

alla Corte di giustizia dal Tribunale di Genova che, come già anticipato, ha sollevato una serie

di questioni pregiudiziali che riguardano non solo la “possibilità per lo Stato di rispondere a

titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti dei singoli cittadini degli errori dei

propri giudici nell’applicazione del diritto comunitario o della mancata applicazione dello

stesso ed in particolare del mancato assolvimento da parte del giudice di ultima istanza

dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia “ ma inoltre “se osti

all’affermazione del diritto comunitario una normativa nazionale in tema di responsabilità

per errori dei giudici che esclude la responsabilità in relazione all’attività di interpretazione

delle norme di dritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito dell’attività

giudiziaria e limita la responsabilità dello Stato ai soli casi di dolo e colpa grave del

giudice”.

Il contesto di fatto che ha occasionato i quesiti pregiudiziali costituisce sicuramente

un precedente significativo, in quanto verte su materia (aiuti di Stato) nella quale sono ben

netti e definiti i confini tra le competenze dei giudici nazionali da un lato e Commissione

sotto il controllo del giudice comunitario, in quanto tracciati da Comunicazioni della

Commissione ai giudici nazionali e dalla giurisprudenza comunitaria.49

La domanda risarcitoria trae infatti origine da una controversia promossa innanzi al

Tribunale di Napoli dalla Traghetti del Mediterraneo SpA in concordato preventivo contro la

Tirrenia per concorrenza sleale, ai sensi dell’art.2598 n.3 c.c. nonché per violazione degli

artt.81, 82, 86 e 87 del Trattato ,avendo potuto la Tirrenia praticare tariffe sottocosto tra il

1976 e il 1980 in quanto destinataria di sovvenzioni pubbliche costituenti aiuti di Stato.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza confermata dalla Corte d’appello e poi dalla

Corte suprema di cassazione, riteneva che i sussidi costituissero aiuti legittimi, in quanto

diretti al soddisfacimento di esigenze generali connesse allo sviluppo del Mezzogiorno.

48 Sulla inevitabilità di un impatto della sentenza Köbler sulla legge 117/1998 si è già presa posizione in La responsabilità risarcitoria dello Stato, cit. .nello stesso ordine di idee R.CONTI, Giudici supremi e violazione del diritto comunitario, cit. pp.34- 35. 49 Sulla nozione di aiuto di Stato e sull’ambito dei poteri dei giudici nazionali, della Commissione e del giudice comunitario, sia consentito il rinvio a C.PINOTTI, Gli aiuti di stato alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza, Padova 2000, pp.320 ss.

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La Corte con la sentenza 8 ottobre 1999 n.5087 escludeva di dover attivare il rinvio

pregiudiziale richiesto dalla TDM non ritenendolo necessario.50, nel contempo si pronunciava

sulla compatibilità degli aiuti.

Il fallimento TDM ritenendo la sentenza basata su una non corretta interpretazione

delle norme del Trattato in materia di aiuti di Stato ed emessa in violazione dell’obbligo di

rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 terzo comma CE, conveniva in giudizio la

Repubblica italiana per sentirla condannare al risarcimento dei danni. Per la TDM se la Corte

di cassazione si fosse rivolta alla Corte di giustizia questa quasi certamente avrebbe messo in

evidenza la rilevanza comunitaria della condotta contestata e l’illegittimità degli aiuti concessi

dall’Italia alla Tirrenia tanto più che in data 6 agosto 1999 (prima dell’udienza di discussione

in cassazione) era stata avviata una procedura di infrazione ex art.226 CE contro l’Italia

proprio in relazione agli aiuti di Stato concessi alla Tirrenia.

La Repubblica italiana faceva valere in giudizio le preclusioni di cui alla legge

117/1988 ed in particolare dell’art.2 in forza del quale l’interpretazione di norme di diritto

nell’esercizio di funzioni giurisdizionali non può dar luogo a responsabilità da parte dello

Stato.

Il fallimento TDM d’altro canto poneva la questione della compatibilità della legge

117/ 1988 con i principi del Trattato in quanto rendente troppo difficile se non praticamente

impossibile per i singoli lesi da un provvedimento errato ottenere il risarcimento del danno

dallo Stato.

Questo il contesto che ha portato il Tribunale di Genova a sollevare la questione

pregiudiziale sulla quale la Corte di giustizia a breve si dovrà pronunciare.51

Alla luce della particolarità del caso sottoposto alla Corte di giustizia sembra molto

difficile ipotizzarne un esito che consideri le disposizioni della legge 117/1988 compatibili

con le esigenze di effettività della tutela dei singoli.

Infatti, per come sono stati sottoposti, i quesiti non lasciano alla Corte di giustizia

alcuna via di fuga sempre che il giudice comunitario non ritenga autonomamente di poter

indicare un’alternativa consistente nella possibile esclusione dell’illecito comunitario dello

Stato giudice dal necessario campo d’applicazione della legge 117/1988.

50 Per giungere a tale conclusione, la Corte di cassazione rilevava, in primo luogo, che se l’art. 92 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 87 CE) vieta, in linea di principio, gli aiuti accordati dagli Stati o mediante risorse di Stato, esso prevede tuttavia talune deroghe tra le quali figura, in particolare, quella relativa agli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico di regioni nelle quali il livello di vita è anormalmente basso o che sono afflitte da grave sottooccupazione. Nella stessa ottica, l’art. 90, n. 2, del Trattato CE (divenuto art. 86, n. 2, CE) permetterebbe anche di derogare, a talune condizioni, alle norme del Trattato al fine di soddisfare le domande di beni o di servizi che il gioco della libera concorrenza non potrebbe pienamente soddisfare. 51 E’ da notare che, essendo nelle more intervenuta la sentenza Köbler del 30 settembre 2003, il Tribunale di Genova ha rinunciato al primo quesito pregiudiziale mantenendo invece ferma la seconda questione.

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Paradossalmente la salvezza della legge 117/1988 potrebbe essere affermata solo

aggirando l’ostacolo dell’insindacabilità dell’attività di interpretazione, e cioè considerando

l’omessa attivazione del rinvio pregiudiziale come “grave violazione di legge determinata da

negligenza inescusabile” coincidente in tutto e per tutto con la “violazione grave e manifesta”

dell’illecito comunitario, ma con ciò si dovrebbe sostenere quello che i giudici nazionali

supremi (e la stessa Corte di giustizia) hanno sempre negato, e cioè che la scelta circa

l’attivazione o meno del rinvio pregiudiziale anche da parte del giudice di ultima istanza sia

del tutto priva di spazi di discrezionalità (interpretativa) costituendo quasi un’attività

vincolata.

Ci sarebbe da chiedersi ,a questo punto , quanto sia opportuno arroccarsi sulla difesa

ad oltranza di una normativa i cui limiti applicativi sono già stati evidenziati anche con

riferimento al diritto nazionale, e se non sia invece preferibile una riflessione pacata sui

correttivi che, senza compromettere autonomia ed indipendenza del giudice e la sua libertà

interpretativa, potrebbero essere introdotti per rendere effettivo il ristoro del singolo per il

danno subito in seguito a provvedimenti giudiziali .52

10.Considerazioni finali.

Sembra innegabile che la nuova costruzione di illecito dello Stato giudice acceleri la

transizione che si sta compiendo verso una ricomposizione del sistema delle fonti in una

prospettiva di maggior integrazione tra ordinamento comunitario e nazionale su decisivo

impulso della giurisprudenza.

L’alleanza tra Corte di giustizia e giudici nazionali è stata decisiva per l’affermarsi

del sistema giuridico comunitario ed ancor più lo sarà in futuro alla luce del richiamo al

principio di effettività della tutela giurisdizionale sotto forma di right to judge ad opera della

Costituzione europea53

52Ssembra evidente l’interesse della stessa magistratura la cui legittimazione nei confronti dei cittadini passa anche attraverso una maggior assunzione di responsabilità, favorire il passaggio ad un sistema di responsabilità civile che renda effettiva la tutela del danneggiato pur con gli adeguati correttivi in termini di rivalsa nei confronti del singolo magistrato. 53 Nella Parte II della nuova Costituzione europea (rectius: “Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa”), e più precisamente nel Titolo VI (“Giustizia”), compare ora l’art. II-107 che, mutuando la formulazione già presente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea di Nizza (art. 47), contempla il “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”. Il primo paragrafo dell’art. II-107 recita: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo”. Il secondo paragrafo dispone: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare”.

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E’ abbastanza chiaro che qualunque sistema di tutela gli Stati prefigurino

nell’esercizio della propria autonomia, l’effettività non potrà prescindere da un nuovo ruolo

dei giudici nazionali che non saranno più solo chiamati ad un ruolo di controllo e supplenza

del legislatore nazionale ma ad un ruolo creativo di valori riferimento che caratterizzano

“l’identità collettiva europea”.54

Ai giudici nazionali d’intesa con la Corte di giustizia è quindi affidato il compito di

verificare l’adeguatezza degli standards nazionali di tutela ai principi di effettività della tutela

giurisdizionale, e contribuire a gettare le basi per un processo di uniformazione delle regole

vigenti nei vari ordinamenti in assenza del quale non si potrà parlare di un effettivo idem

sentire europeo.

Alla luce di queste considerazioni è da augurarsi che le sentenze sull’illecito

comunitario dello Stato giudice, lungi dal provocare reazioni “difensive” da parte dei giudici

nazionali, specie di ultima istanza, producano l’intensificarsi del dialogo cooperativo con la

Corte di giustizia .

Nel terzo paragrafo, invece, si legge: “A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia 54 Sul punto S.TARULLO, Costituzione europea ed effettività della tutela giurisdizionale amministrativa, in www.giurisprudenza .it n.10/2004.