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Storia, testi e problemi della filosofia 1A Il S i mp o sio di Pla t on e Nicola Abbagnano Giovanni Fornero con la collaborazione di Giancarlo Burghi LA RICERCA DEL PENSIERO

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Storia, testi e problemi della filosofia

1A Il Simposio di Platone

Nicola Abbagnano Giovanni Fornero

con la collaborazione di Giancarlo Burghi

LA RICERCA DEL PENSIERO

[email protected] 1 28/01/14 17.07

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PLATONE : Il Simposio

– Se i filosofi son quelli capaci di attingere ciò che è sempre uguale a se stesso e se invece quelliche non sono capaci di questo e vanno vagando nel molteplice e nel mutevole non sono filo-sofi, quali bisogna che siano i governanti dello Stato? – Cosa bisognerà dire, domandò, per ri-spondere giustamente? – Quelli che si rivelano capaci di custodire le leggi e conservare lo Stato dovranno essere posti come custodi. – Giusto, disse. – Non è forse chiaro, ripresi, chi bisogna scegliere tra un cieco ed uno dalla vista acuta per farne il custode di una cosa qualsiasi? – È certamente chiaro, rispose. – Ma pare che differiscano in qualche cosa i ciechi e quelli che sono realmente privi della conoscenza dell’essere, che non hanno nell’anima alcun modello evidente e non sono capaci di guardare, come pittori, alla verità suprema né di rapportarsi continua-mente ad essa né di vederla il più chiaramente possibile in modo da poter stabilire quaggiù, se ancora sono da stabilire, i criteri del bello, del giusto e del buono e di conservarli custodendoli? – No, per Zeus, disse, non c’è grande differenza. – Noi porremo dunque come guardiani questiciechi o piuttosto quelli che conoscono l’essere di ciascuna cosa e che inoltre non cedono loro in esperienza, né sono loro inferiori in alcuna altra parte della virtù? – Sarebbe certo assurdo, disse, scegliere altri, se non sono inferiori ad alcuno neppure nelle altre cose: giacché hanno sugli altri il vantaggio di questa conoscenza che è ciò che più conta. (Repubblica, VI, 484b)

La dottrina dell’amore e della bellezza

Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee, e tra gli uomini associati nella comune ricerca, un rap-porto che non è puramente intellettuale, perché impegna l’uomo nella sua totalità, e quindi an-che dal punto di vista della volontà. Questo rapporto è definito da Platone come amore (Žros).Alla teoria dell’amore sono dedicati due dei dialoghi artisticamente più riusciti, il Simposio e il Fedro. Di questi, il secondo è certamente posteriore al primo.

Il Simposio considera prevalentemente l’oggetto dell’amore, cioè la bellezza, e mira a deter-minarne i gradi gerarchici. Il Fedro considera invece prevalentemente l’amore nella sua

soggettività, come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell’anima al

mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene.

Il Simposio

I discorsi che gli interlocutori del Simposio, uno dopo l’altro, pronunciano in lode di Žros mettono in luce una serie di caratteri subordinati e accessori dell’amore, che verranno poi unificati e giustificati nel discorso di Socrate. Pausania distingue dall’éros volgare, che si rivol-ge ai corpi, l’éros celeste, che si rivolge alle anime. Il medico Erissimaco vede nell’amore una

Le idee come base

per una scienza politica

universale

Il Simposio e il Fedro

I discorsi in lode di éros

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forza cosmica che determina le proporzioni e l’armonia di tutti i fenomeni, tanto nell’uomo

quanto nella natura. Aristofane espone il mito degli “androgini”, esseri primitivi composti

d’uomo e donna, divisi dagli dei per punizione in due metà di cui l’una va in cerca dell’altra

per unirlesi e ricostituire l’essere primitivo: questo racconto sottolinea come uno dei caratteri

fondamentali che l’amore rivela nell’uomo sia l’insufficienza.

Da questo carattere, appunto, prende le mosse Socrate per il proprio discorso: l’amore desi-

dera qualcosa che non ha, ma di cui ha bisogno, ed è quindi mancanza. Secondo il mito,

infatti, esso è figlio di Penía (Povertà) e di Póros (termine variamente tradotto come Abbon-

danza, Ingegno, Espediente), e come tale non è un dio, ma un “demone”, ovvero un essere

dalla natura intermedia tra quella umana e quella divina: perciò non ha la sapienza, ma

aspira a possederla, e in questo senso è “filosofo” (letteralmente: “amante della sapienza”),

mentre gli dei sono sapienti. ➔ T2 p. 245

Ma, soprattutto, l’amore non ha la bellezza, e la desidera in quanto essa è il bene che rende

felici. L’uomo, che è mortale, tende a generare nella bellezza, e quindi a perpetuarsi attraver-

so la generazione, lasciando dopo di sé un essere che gli somiglia. La bellezza è il fine, l’og-

getto dell’amore.

La bellezza ha gradi diversi, ai quali ci si può sollevare solo attraverso un lento cammino. In

un primo momento si è attratti dalla bellezza di un bel corpo. Poi ci si accorge che la bel-

lezza è uguale in tutti i corpi e così si passa a desiderare e ad amare la bellezza corporea

nella sua totalità. Ma al di sopra c’è la bellezza dell’anima, e al di sopra ancora la bellezza

delle istituzioni e delle leggi, e poi la bellezza delle scienze. Infine, al di sopra di tutto, la

bellezza in sé, che è eterna, superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se

stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia.

Ai diversi gradi della bellezza corrispondono altrettante forme di amore, in una scala gerarchi-

ca che sale dall’amore della bellezza corporea fino al grado più alto, l’amore filosofico.

> Povertà

> Abbondanza

> del corpo

> dell’anima

> delle leggi

> delle scienze

Amore è figlio di è desiderio di bellezza

Il più alto grado di bellezza

è la bellezza in sé, a cui corrisponde

l’amore filosofico

Ai vari gradi di bellezza

corrispondono vari

tipi di amore:

Alla luce di quanto si è detto, appare fuorviante l’accezione che intende l’“amore platonico”

come una relazione sentimentale, ma asessuata. Questa accezione sorse nel Medioevo cri-

stiano, permeato dell’idea che l’elevazione spirituale si potesse compiere solo rinunciando

il più possibile alla propria corporeità. L’amor cortese (in senso lato, cioè non solo quello di

Dante per Beatrice, ma anche quello di don Chisciotte per Dulcinea) sembrò incarnare tale

modello. Questo significato improprio sopravvisse poi, ulteriormente banalizzato e impo-

verito, nel senso comune.

L’amore come desiderio di sapienza e di bellezza

I gradi della bellezza

L’amore “platonico”

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In realtà, pur non identificandolo con il comune “amore sensuale”, Platone ritiene che l’éros sia radicato nei sensi e non spregia la corporeità, che, al contrario, vede come spec-chio della bellezza interiore, benché poi aggiunga che questo livello va abbandonato per giungere a quelli superiori. In tale cammino, proprio l’éros costituisce la spinta per l’in-nalzamento. L’amore di cui parla il filosofo, dunque, non si riduce al sentimento tra un uomo e una donna, ma si configura come lo strumento per una conoscenza superiore.

Il Fedro

La natura dell’anima. Come può l’anima umana raggiungere la bellezza suprema? È que-sto il problema del Fedro, il quale perciò parte proprio dalla considerazione dell’anima.

La natura dell’anima, nella quale Platone distingue tre parti, una razionale, una irascibile o impulsiva, una concupiscibile o desiderante (v. “La giustizia”, p. 220), si può esprimere con un mito. L’anima, secondo Platone, è simile a una biga alata, guidata da un auriga e trainata da

una coppia di cavalli, dei quali uno è bianco e obbediente, l’altro nero e recalcitrante, sicché l’opera dell’auriga è difficile e penosa. Egli cerca di condurre il carro nel cielo, al seguito degli dei, verso quella regione sopraceleste (iperuranio) che è la sede dell’essere autentico.In questa regione sta la “vera sostanza”, priva di colore e di forma, impalpabile, che può es-sere contemplata solo da quella guida dell’anima che è la ragione. Questa sostanza è la tota-lità delle idee (giustizia in sé, temperanza in sé ecc.). Ma l’anima può contemplarla solo per poco, poiché il cavallo nero (simbolo dei desideri e degli impulsi corporei) la tira verso il basso. Ogni anima, perciò, contempla la sostanza dell’essere di più o di meno. Tuttavia, quando, per oblio o per colpa, si appesantisce, perde le ali e si incarna, va a vivificare il cor-po di un uomo che sarà tale quale essa lo rende. Allora l’anima che ha visto di più vivifiche-rà il corpo di un uomo che si consacrerà al culto della sapienza o dell’amore, mentre le anime che hanno visto di meno s’incarneranno in uomini che saranno via via più alieni

dalla ricerca della verità e della bellezza.

Nell’anima che è caduta e che si è incarnata, il ricordo delle sostanze ideali viene risvegliato proprio dalla bellezza: l’uomo, infatti, riconosce subito, appena la vede, la bellezza per la sua luminosità. La vista, il più acuto dei sensi corporei, non vede alcuna delle altre sostanze; può vedere però la bellezza.

Alla sola bellezza toccò il privilegio d’essere la più evidente e la più amabile.

La bellezza fa dunque da mediatrice tra l’uomo caduto e il mondo delle idee, e al suo appello l’uomo risponde con l’amore. È vero che l’amore può anche rimanere “attaccato” alla bellezza corporea e pretendere di godere solo di questa; ma quando l’amore venga sentito e realizzato nella sua autentica natura, allora si fa guida dell’anima verso il mondo dell’essere vero. In que-sto caso non è più soltanto desiderio, impulso, delirio: i suoi caratteri passionali non vengono meno, ma sono subordinati e fusi nella ricerca rigorosa e lucida dell’essere in sé, dell’idea.

Amore e dialettica. L’éros diventa allora procedimento razionale, dialettica. La dia-lettica è nello stesso tempo ricerca dell’essere in sé e unione amorosa delle anime nell’ap-

prendere e nell’insegnare. È quindi “psicagogia”, guida dell’anima, con la mediazione della bellezza, verso il suo autentico destino.

Il mito della biga alata

La bellezza mediatrice tra l’uomo

e le idee

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Alla dialettica, inoltre, Platone riconduce la vera retorica, che non è, come sostengono i sofisti,

una tecnica alla quale siano indifferenti la verità del suo oggetto e la natura dell’anima che si

vuole persuadere. Non a caso, la seconda metà del dialogo è occupata dall’analisi della retorica,

scaturita dalla “sconcertante” affermazione di Fedro secondo cui l’oratore non ha alcun dove-

re di comprendere ciò che è effettivamente giusto, ma solo ciò che tale appare. Socrate obietta

che l’oratore non può rischiare di ingannare se stesso, e per gestire bene le apparenze di cui è

costituito il suo discorso deve invece sapere esattamente che cosa sono il bene e il male.

Contro il modello sofistico di retorica, già aspramente criticato non solo nel Gorgia, ma in

numerosi passi del Protagora e del Teeteto, Platone passa quindi a esporre il proprio modello

di una “retorica del vero”, cioè di un’arte che non cerca il favore delle masse, ma quello degli

dei. Si tratta di una retorica che rende «capaci di parlare e di pensare» (Fedro, 266b) e che è

attenta ai contenuti, pur riconoscendo di poterli abbellire con una forma adeguata.

Platone, tuttavia, continua a pensare che solo la filosofia possa accedere alla verità, mentre la

retorica si limita a ciò che è plausibile. Di conseguenza, la retorica non ha una propria autono-

mia, ma è soltanto lo strumento della dialettica, che è il vero metodo della filosofia. Questo

concetto della dialettica, che costituisce il punto culminante del Fedro e lo sbocco della teoria

platonica dell’amore, diverrà il centro della speculazione platonica degli ultimi dialoghi.

La retorica

filosofica

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UNITÀ 3 • platone

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Idéa: “figura”, “aspetto”, “forma”. Platone ha

continuamente adoperato questo termine. ora, potremmo dire che platone, nei grandi dialoghi della

maturità, intende per “idea” una realtà ontologica a sé

stante, immutabile ed eterna, che funge da modello

unico e pe-fetto (o “paradigma”) delle cose molteplici e

imperfette di questo mondo. l’idea, secondo platone,

non viene conosciuta per mezzo dei sensi, ma

costituisce l’oggetto di una specifica “visione

intellettuale”, in grado di cogliere la forma esemplare

che accomuna e raggruppa in unità una pluralità

dispersa di oggetti. Del resto, dal punto di vista

etimologico e semantico, éidos e idéa provengono en-

trambi dalla radice id- del verbo idéin (“vedere”) e

trovano il loro corrispondente latino in species, che

possiede la medesima radice di spectare

(“contemplare”, “assistere a uno spettacolo”).

n.B. Sembra che platone avrebbe tratto il vocabolo

“idea” dal linguaggio dei medici, presso i quali designava

le modalità tipiche e caratteristiche di un disturbo,

ovvero la forma, o figura, d’insieme (oggi diremmo il

“quadro clinico”) di una malattia.

Iperuranio p. 205 > Con il termine “iperuranio” (dal gr.

hypér, “oltre”, e ouranós, “cielo”) platone indica la mitica re-

gione sovraceleste nella quale risiedono le sostanze im-

mutabili che formano l’oggetto della scienza, ovvero le

idee (cfr. Fedro, 247). tale regione è chiaramente a-spazia-

le e immateriale, giacché il cielo racchiudeva, per gli

antichi, tutto lo spazio. tuttavia, su come debba venir

filosoficamente inteso l’iperuranio gli studiosi non sono

affatto d’accordo. Infatti, mentre per alcuni esso costitui-

rebbe una semplice metafora poetica per evidenziare il

diverso modo di essere delle idee rispetto alle cose, per

altri avrebbe invece il significato di un vero e proprio

mondo sovrasensibile metafisicamente esistente (in mo-

do analogo all’aldilà della tradizione cristiana).

Dualismo p. 205 > la teoria delle idee conferisce al

pensiero platonico della maturità un’impronta inequi-

vocabilmente dualistica, ossia di dottrina fondata su

due principi esplicativi del mondo: le cose e le idee da

un lato (dualismo ontologico), l’opinione e la scienza

dall’altro (dualismo gnoseologico). ovviamente tale

dualismo, che talora prende anche la forma di un duali-

smo antropologico tra anima e corpo, non deve esse-

re inteso, com’è storicamente accaduto, in maniera

troppo rigida ed esasperata (secondo l’immagine di

un platone “diviso” tra “l’aldilà” e “l’aldiquà” e fermo a

una separazione metafisica dei due mondi). Infatti, pur

affermando la distinzione delle idee rispetto alle cose,

platone ne difende anche gli intrinseci rapporti e la so-

stanziale consanguineità (synghéneia), che permette sia

il movimento “all’in su”, dalle cose alle idee, sia il movi-

mento “all’in giù”, dalle idee alle cose. anzi, come si è vi-

sto, il percorso di pensiero di platone è consistito proprio

nello sforzo progressivo di superare tale dualismo, in di-

rezione di una concezione sempre più unitaria del reale.

Tipi di idee p. 206 > per il platone della maturità esi-

stono due tipi fondamentali di idee: le idee-valori (il

Bene, la Bellezza, la Giustizia ecc.) e le idee matematiche

(l’uguale, il quadrato, il circolo ecc.). talvolta egli parla

anche di idee di cose naturali (ad es. l’umanità) o artifi-

ciali (ad es. il letto). tuttavia, circa quest’ultimo tipo di

idee (cfr. Parmenide, 130b-d) platone è rimasto a lungo

incerto. Solo negli ultimi dialoghi la nozione etico-ma-

tematica di “idea” finirà per cedere il posto a una pro-

spettiva logico-ontologica, che tenderà a far corrispon-

dere a ogni realtà la propria specifica “forma”.

Idea del Bene p. 206 > l’idea del Bene, per platone,

costituisce l’idea delle idee, cioè il supremo valore da cui

dipendono tutte le altre idee. Il Bene (il quale non si iden-

tifica con un Dio-persona) non crea le idee, che sono

eterne, ma si limita a comunicare loro la perfezione, ri-

manendo comunque “superiore” a esse. nella Repubblica

l’idea del Bene viene paragonata al sole, che tutto fa es-

sere e rende visibile.

Rapporto tra idee e cose p. 207 > In merito al rap-

porto tra le idee e le cose, il platone della maturità tende

a vedere nelle prime il criterio di giudizio e la causa del-

le seconde. In altri termini, le idee rappresentano per

platone sia il criterio di pensabilità degli enti (in quanto

non si ha il particolare senza l’universale, né il sensibile

senza l’intelligibile), sia la loro ragion d’essere (in quan-

to l’imperfetto esiste solo in virtù del suo essere copia

del perfetto).

Paradigma p. 207 > Il termine “paradigma” (dal gr.

parádeigma, “modello”) viene usato da platone per in-

dicare il carattere di “modello” che l’idea riveste nei con-

fronti delle cose.

Archetipo p. 207 > Il termine “archetipo” (dal gr. ar-

chétypon, “primo tipo”) sarà utilizzato nella tarda anti-

chità ellenica per designare ciò che platone chiamava

“paradigma”, ossia l’idea in quanto modello primordiale

delle cose.

Mimesi p. 208 > per “mimesi” (dal gr. mímesis, “imitazio-

ne”) nella prospettiva platonica si intende l’imitazione,

da parte delle cose, della perfezione delle idee.

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Capitolo 2 • Dalla dottrina delle idee alla teoria dello Stato

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Metessi p. 208 > per “metessi” (dal gr. méthexis, “parte-

cipazione”) nella prospettiva platonica si intende la cir-

costanza per cui le cose sensibili “prendono parte” (nel

senso latino di capere partem) dell’essenza delle idee, in

misura proporzionale al loro valore ontologico.

Parusìa p. 208 > per “parusìa” (dal gr. parousía, “presen-

za”) nella prospettiva platonica si intende la presenza

attiva delle idee nelle cose: «nient’altro rende bella una

cosa – si dice ad esempio nel Fedone – se non la presen-

za del bello in sé» (100d).

Anamnesi p. 209 > Il termine “anamnesi” (dal gr. anám-

nesis, “reminiscenza”, “ricordo”) indica, in platone, la teoria

mitico-filosofica (di matrice orfica) secondo cui l’anima,

prima di calarsi nel corpo, è vissuta, disincarnata, nel mon-

do delle idee, dove ha potuto contemplare i modelli per-

fetti delle cose (le idee). Di tali modelli conserva un ricor-

do sopito, che viene risvegliato dal contatto con le cose

di questo mondo, secondo il principio per cui «conoscere è

ricordare» (cfr. Menone, 80 ss.; Fedone, 72 ss.; Fedro, 246

ss.; Filebo, 34). Con la teoria dell’anamnesi, platone ha vo-

luto offrire una fondazione speculativa (sia pure in forma

mitica) del principio socratico dell’interiorità del vero (si

pensi all’esempio platonico dello schiavo digiuno di geo-

metria) e un’illustrazione del fatto che la conoscenza del-

le idee non deriva dai sensi e dall’esperienza, ma da

un’intuizione intellettuale a priori. nello stesso tempo,

platone ha voluto offrire un’antitesi e un correttivo al

principio eristico secondo il quale all’uomo non è possi-

bile indagare né ciò che sa, né ciò che non sa.

Anima p. 211 > Con il termine “anima” (dal lat. anima,

che ha la stessa radice del gr. ánemos, “vento”, “soffio

vivificante”, e che equivale al gr. psyché), platone indica

una sostanza incorporea, la quale si muove da sé (au-

tokíneton). In virtù di questi suoi caratteri, l’anima non

solo vive e dà vita, ma è per se stessa immortale. In essa

si distinguono tre parti, che risiedono rispettivamente

nel cervello, nel petto e nel ventre. la prima è quella

razionale, che, avendo come virtù la sapienza (la quale,

per platone, fa tutt’uno con la saggezza), ha una fun-

zione egemonica. la seconda è quella irascibile o im-

pulsiva, che ha come virtù il coraggio e può essere as-

similata (sia pure con una certa cautela critica) alla

volontà. la terza è quella concupiscibile o desiderante,

che si esprime nell’amore «per i cibi, le bevande e i pia-

ceri amorosi» e ha come virtù specifica la temperanza,

intesa come moderazione degli appetiti e assoggetta-

mento alla sapienza. nel Fedro platone offre una rap-

presentazione artistica e drammatica di questa teoria

con il mito della biga alata, che viaggia per il cielo gui-

data da un auriga (l’anima razionale) e trainata da un

cavallo bianco e docile (l’anima irascibile, ossia la vo-

lontà al servizio della ragione) e da un cavallo nero e

recalcitrante (l’anima concupiscibile).

n.B. nel Fedone platone dimostra l’immortalità dell’ani-

ma con varie “prove”, la più importante delle quali con-

siste nella considerazione che l’anima, in quanto soffio

vitale, è vita e pertanto partecipa dell’idea di vita, e

quindi non può morire. Un’altra prova decisiva è fornita

dall’anamnesi (v.).

Amore p. 214 > I Greci videro nell’amore (in gr. éros)

una forza unificatrice e armonizzatrice, e la intesero

come il fondamento dell’amore sessuale, della con-

cordia politica e dell’amicizia. Secondo aristotele

(v. unità 4), i primi a suggerire che l’amore è la forza

che muove le cose e le mantiene insieme furono esio-

do e parmenide. empedocle riconobbe nell’amore il

principio che tiene uniti i quattro elementi e identificò

il regno di eros nello «sfero». la più organica trattazio-

ne filosofica dell’amore si deve però a platone, il quale

nel Simposio generalizzò e sublimò in senso metafisi-

co i caratteri dell’amore sessuale. In primo luogo, se-

condo platone, l’amore è mancanza, insufficienza, bi-

sogno e, nello stesso tempo, desiderio di acquistare e

conservare ciò che non si ha (Simposio, 200a ss.). In

secondo luogo, l’amore si dirige verso la bellezza, la

quale non è altro che l’annuncio e l’apparenza del

bene: esso è dunque desiderio del bene (Simposio,

205e). l’amore ha pertanto una caratteristica natura

“mediana”, poiché da un lato non ha la bellezza né il

bene (e in ciò sta la sua carenza), ma dall’altro lato li

desidera (e in ciò risiede la sua nobiltà). tant’è vero

che, secondo il mito, esso è figlio di abbondanza

(Póros) e di povertà (Penía), e sta a metà strada tra la

sapienza e l’ignoranza. In terzo luogo, l’amore, come

dimostra l’istinto della procreazione, è desiderio di

vincere la morte lasciando dopo di noi esseri che ci

assomigliano (Simposio, 208a-b). In quarto luogo, pla-

tone distingue tante forme dell’amore quante sono le

forme del bello (e del bene), secondo una scala gerar-

chica che va dall’amore per la bellezza corporea

all’amore per la bellezza dell’anima, dall’amore per la

bellezza delle istituzioni e delle leggi all’amore per la

bellezza delle scienze, fino all’amore per la bellezza in

sé, cioè a quell’amore più alto di tutti che è l’amore

per il sapere supremo della filosofia (Simposio, 210a

ss.). Di questi argomenti si occupa anche il Fedro, il

quale mostra la via attraverso cui l’amore, da delirio

dei sensi, diviene, nei suoi gradi più alti, amore filoso-

fico, cioè dialettica.

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UNITÀ 3 • platone

MAPPA

La teoria delle idee e della conoscenza

Mappa interattiva

Mappa interattiva

Mappa interattiva

sensibile (dóxa)

congettura

“ombre” delle cose

credenza

cose sensibili

razionale (epistéme)

ragione matematica

idee matematiche

intelligenza filosofica

idee valori

La ConoSCenzA

è reminiscenza e si distingue in

imitano le idee

mimesi

partecipano dell’essenza delle idee

metessiparusìa (presenza

delle idee nelle cose)

hanno in sé le idee

Le CoSe

entità immutabili e perfette, esistenti

oltre la mente e oltre le cose (nell’iperuranio)

criteri di giudizio, condizioni

di possibilità, cause e modelli delle cose

etiche matematiche di cose naturali di cose artificiali

organizzate gerarchicamente con al vertice l’idea del Bene

Le IDee

sono si distinguono in

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Capitolo 2 • Dalla dottrina delle idee alla teoria dello Stato

La dottrina dell’anima e dello Stato

è immortale

prima di calarsi nel corpo ha visto le idee

nell’iperuranio

L’AnIMA

si articola in

concupiscibile (cavallo nero)

irascibile (cavallo bianco)

razionale (auriga)

virtù della temperanza

virtù del coraggio

virtù della saggezza

l’uomo è giusto quando le parti della sua anima coesistono in armonia

Lo STATo IDeALe

lavoratori o produttori

virtù della temperanza

guerrieri

virtù del coraggio

governanti o custodi (filosofi)

virtù della saggezza

lo Stato è giusto quando ogni cittadino svolge il compito che gli spetta

può degenerare inprevedeè

timocrazia, oligarchia, democrazia

e tirannide

l’eliminazione della proprietà privata per le classi superiori

di tipo assolutistico e organizzato in classi

Mappa interattiva

Mappa interattiva

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I T

ES

TI

Dal Simposio: Eros e filosofia

Il Simposio, uno dei dialoghi di platone più riusciti dal punto di vista artistico, è interamente

dedicato a eros, o amore, che costituisce l’oggetto dei discorsi dei convitati.

nei discorsi iniziali (di Fedro, di pausania e di erissimaco) è possibile rintracciare le concezioni di

eros comunemente diffuse nell’atene di pericle (seconda metà del V secolo a.C.), mentre a partire

dal discorso di aristofane l’amore umano si configura come aspirazione alla totalità dell’esistenza

e non solo al piacere dei sensi.

il disCorso di soCrate: l’autentiCa natura dell’amore

Il discorso di Socrate, che riferisce quanto egli stesso ha ascoltato da una sacerdotessa di Mantinea di

nome Diotima, è al centro del Simposio. Diotima svela a Socrate la natura demonica di eros, il quale,

a metà strada tra il mortale e l’immortale, è capace di comunicare sia con gli uomini sia con gli dei,

facendo da intermediario tra gli uni e gli altri. proprio tale natura demonica rivela un aspetto fonda-

mentale della concezione platonica della filosofia: eros, infatti, «è filosofo». Con questa affermazione

platone suggerisce che non si arriva alla contemplazione e alla comprensione della verità suprema

solo attraverso il lógos, il pensiero, ma anche attraverso l’éros, l’amore, la bellezza, l’entusiasmo, cioè

mediante un’operosità che comporta il contributo di tutte le componenti umane.

«Ma cosa sarebbe allora, esclamai, questo Amore? un mortale?». «Niente affatto». «Ma allora cos’al-tro è?». «Come nel caso di prima, qualcosa di mezzo fra mortale e immortale». «Che è dunque, o Diotima?». «Un demone grande, o Socrate. E difatti ogni essere demonico sta in mezzo fra il dio e il mortale». « E qual è la sua funzione?» domandai. «Di interpretare e di trasmettere agli dei qua-lunque cosa degli uomini, e agli uomini qualunque cosa degli dei; e di quelli cioè reca le preghiere e i sacrifici, di questi invece i voleri e i premi per i sacrifici. In mezzo fra i due, colma l’intervallo sicché il tutto risulti seco stesso unito. Attraverso di lui passa tutta la mantica, e l’arte sacerdotale concernente i sacrifici, le iniziazioni e gli incantesimi e ogni specie di divinazione e di magia. Gli dei non si mischiano con l’uomo, ma per mezzo di Amore è loro possibile ogni comunione e colloquio con gli uomini, in veglia o in sonno. E chi è dotto di queste arti, è un uomo demonico, ma chi è conoscitore di altre tecniche o mestieri non è che un generico. Ora, questi demoni sono molti e vari: uno di questi è anche Amore». «E suo padre e sua madre, domandai, chi sono?». «È cosa un po’ lunga da raccontare, rispose, ma a te la dirò. Quando nacque Afrodite gli dei tennero un banchetto, e fra gli altri anche Poro (Espediente) figlio di Metidea (Sagacia). Ora, quando ebbero finito, arrivò Penia (Povertà), siccome era stata gran festa, per mendicare qualcosa; e si teneva vicino alla porta. Poro intanto, ubriaco di nettare (il vino non esisteva ancora), inoltratosi nel giardino di Giove, schiantato dal bere si addormentò. Allora Penia, meditando se, contro le sue miserie, le riuscisse d’avere un figlio da Poro, gli si sdraiò accanto e rimase incinta di Amore.Proprio così Amore divenne compagno e seguace di Afrodite, perché fu concepito il giorno della sua nascita, ed ecco perché di natura è amante del bello, in quanto anche Afrodite è bella. Dunque, come figlio di Poro e di Penia, ad Amore è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero, ed è molto lontano dall’essere delicato e bello, come pensano in molti, ma anzi è duro, squallido, scalzo, peregrino, uso a dormire nudo e frusto per terra, sulle soglie delle case e per le strade, le notti all’addiaccio; perché conforme alla natura della madre, ha sempre la miseria in casa. Ma da parte del padre è insidiatore dei belli e dei nobili, coraggioso, audace e risoluto, cacciatore tremen-

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UNITÀ 3 • platone

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do, sempre a escogitar machiavelli d’ogni tipo e curiosissimo di intendere, ricco di trappole, inten-

to tutta la vita a filosofare, e terribile ciurmatore, stregone e sofista. E sortì una natura né immor-

tale né mortale, ma a volte, se gli va dritta, fiorisce e vive nello stesso giorno, a volte invece muore

e poi risuscita, grazie alla natura del padre; ciò che acquista sempre gli scorre via dalle mani, così che

Amore non è mai né povero né ricco. Anche fra sapienza e ignoranza si trova a mezza strada, e per

questa ragione nessuno degli dei è filosofo, o desidera diventare sapiente (ché lo è già), né chi è già

sapiente s’applica alla filosofia. D’altra parte, neppure gli ignoranti si danno a filosofare né aspirano

a diventare saggi, ché proprio per questo l’ignoranza è terribile, che chi non è né nobile né saggio

crede d’aver tutto a sufficienza; e naturalmente chi non avverte d’essere in difetto non aspira a ciò

di cui non crede d’aver bisogno». «Chi sono allora, o Diotima, replicai, quelli che s’applicano alla

filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?». «Ma lo vedrebbe anche un bambino, rispose, che sono

quelli a mezza strada fra i due, e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle

cose più belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in

quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante. Anche di questo la causa è nella sua nascita: è

di padre sapiente e ingegnoso, ma la madre è incolta e sprovveduta. E questa è proprio, o Socrate, la

natura di quel demone». (Simposio, 202c - 204b, trad. it. a cura di P. Pucci, Laterza, Roma-Bari 1971)

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1-11 eros è definito un grande demone, cioè un esse-

re che sta a metà tra il dio e il mortale (rr. 3-4).

Vengono quindi descritte le caratteristiche di interme-

diario religioso proprie del demone: il ruolo che ha nella

mantica (r. 7) (un’arte divinatoria che ricava la cono-

scenza del futuro e della volontà degli dei dall’osserva-

zione degli animali, dai fenomeni naturali, dal compor-

tamento umano ecc.), nelle iniziazioni, negli incantesimi,

nella divinazione (il suo significato è simile a quello del-

la mantica) e nella magia.

Gli dei non si mischiano con gli uomini; ma attraverso

eros essi possono parlare e stare con loro; l’amore uni-

sce così l’uomo al divino. Chi è esperto nelle relazioni

tra gli dei e gli uomini, è un uomo demonico; ma chi

invece pratica un lavoro manuale, o anche conosce una

tecnica o un mestiere, è un uomo pratico, generico

(rr. 10-11), che nel testo ha un significato piuttosto ne-

gativo in contrapposizione all’uomo demonico.

11-30 Si narra la nascita di eros e si evidenziano

quelle caratteristiche che poi assumeranno un signifi-

cato particolare nella spiegazione del suo ruolo.

eros è stato concepito nello stesso giorno in cui è nata

afrodite, la dea dell’amore e della bellezza, e per que-

sto va sempre alla ricerca del bello. Sua madre è penia,

la povertà: perciò egli è sempre in una situazione di

mancanza, continuamente desideroso. Suo padre è

poro, l’espediente, che non si arrende di fronte ad alcu-

na difficoltà. Come figlio di penia, eros è povero, non è

delicato né bello, è squallido, rozzo, scalzo, girovago,

abituato a dormire nudo e logoro per terra, all’addiac-

cio, sulle soglie delle case e per le strade. Come figlio di

poro, è intrigante, coraggioso, audace, sicuro, cacciato-

re, sempre pronto a macchinare tranelli, desideroso di

comprendere, amante della sapienza, terribile mago e

sofista. non è né mortale né immortale; a volte nello

stesso giorno vive e muore, ma risorge sempre di nuo-

vo. Ciò che raggiunge, gli sfugge sempre, così non è

mai né povero né ricco.

30-41 la natura di eros, il suo essere a metà strada

tra sapienza e ignoranza, permette a platone di deline-

are i tratti fondamentali della filosofia: «sostenere la

natura filosofica dell’eros […] significa affermare il ca-

rattere erotico e demonico della filosofia. anzi, il rac-

conto della nascita di eros […] diviene il racconto

dell’origine e del significato della filosofia, alla quale, in

quanto caratterizzata dall’amore, viene perciò ricono-

sciuto un effettivo ruolo mediatore rispetto alla sapien-

za divina. In secondo luogo l’amore per il sapere è, nel

ragionamento di Diotima, strettamente collegato al

motivo del bello, perché l’azione di eros è costante-

mente ispirata dal bello e rivolta ad esso. Quest’ultimo

diviene, allora, il criterio che deve guidare l’individuo

nel suo cammino verso la sophía; e certo sono pochi co-

loro ai quali è dato di vedere la bellezza della sapienza»

(R. luca, “Introduzione” a platone, Simposio, la nuova

Italia, Firenze 1990, p. XXXVII).

I filosofi sono dunque come eros, a metà strada tra sa-

pienza e ignoranza; sono quelli, come scrive platone

nel Liside, «che pur possedendo questo male, l’ignoran-

za, non sono da questo resi ottusi e incolti, ma ancora >

Analisi del testo

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ritengono di non sapere ciò che non sanno» (218a) e

aspirano alla sapienza come a una delle cose più belle.

per questo il ritratto di Socrate delineato da alcibiade

nel Simposio è del tutto simile a quello di eros. Questi

infatti è duro e squallido (r. 22), così come Socrate è pa-

ragonato, per il suo aspetto sgradevole, ai Sileni (perso-

naggi con gli occhi sporgenti e la pancia grossa; ambe-

due camminano scalzi (r. 23 e 220b), sono coraggiosi e

audaci (r. 25 e 221b), cacciatori tremendi e insidiatori

dei belli (rr. 25-26 e 216d).

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Coordinamento redazionale: Elisa BrunoRedazione: Luisa Gallo, Elisa BrunoProgetto grafico e copertina: Sunrise Advertising, Torino Coordinamento grafico: Elena PetruccelliRicerca iconografica: Chiara Simonetti, Paola BarbieriImpaginazione elettronica: Essegi, TorinoControllo qualità: Andrea MensioSegreteria di redazione: Enza Menel

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