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14 Domenica 31 Luglio 2016 GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2016 GMG Cracovia 2016 La riflessione. Nella Veglia di ieri sera è stato forte l’invito a non scegliere una vita adagiata, ma ad «avere il coraggio di seguire Gesù, camminando su strade mai sognate e nemmeno pensate». «Confondere la comodità con la felicità, significa perdere la libertà» «Più facile costruire ponti che muri» Francesco: non siate giovani che scelgono il divano, ma le scarpe Pubblichiamo di seguito il testo della rifles- sione tenuta da papa Francesco ieri sera du- rante la Veglia di preghiera con i giovani al Campus Misericordiae a Brzegi. ari giovani buona sera! È bello es- sere qui con voi in questa Veglia di preghiera. Alla fine della sua coraggiosa e commovente te- stimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ci ha detto: «Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese». Una storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che ter- mina con una richiesta: quella della preghie- ra. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando? Veniamo da diverse parti del mondo, da con- tinenti, paesi, lingue, culture, popoli differen- ti. Siamo «figli» di nazioni che forse stanno di- scutendo per vari conflitti, o addirittura sono in guerra. Altri veniamo da paesi che possono essere in «pace», che non hanno conflitti bel- lici, dove molte delle cose dolorose che succe- dono nel mondo fanno solo parte delle noti- zie e della stampa. Ma siamo consapevoli di u- na realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da di- verse parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più una cosa a- nonima, per noi non sono più una notizia del- la stampa, hanno un nome, hanno un volto, u- na storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Si- ria è il dolore e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come la coraggiosa Rand, che sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato Paese. Ci sono situazioni che possono risultarci lon- tane fino a quando, in qualche modo, le toc- chiamo. Ci sono realtà che non comprendia- mo perché le vediamo solo attraverso uno schermo (del cellulare o del computer). Ma quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite concrete non più mediatizzate da- gli schermi, allora ci succede qualcosa di for- te: tutti sentiamo l’invito a coinvolgerci: «Ba- sta città dimenticate», come dice Rand; mai più deve succedere che dei fratelli siano «cir- condati da morte e da uccisioni» sentendo che nessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pre- gare insieme a motivo della sofferenza di tan- te vittime della guerra, questa guerra che è og- gi nel mondo, affinché una volta per tutte pos- siamo capire che niente giustifica il sangue di un fratello, che niente è più prezioso del- la persona che abbiamo accanto. E in que- sta richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi, Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre batta- glie, le vostre guerre interiori. Ci avete pre- sentato le vostre lotte, e come avete fatto per superarle. Voi siete segno vivo di quello che la misericordia vuole fare in noi. Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vo- gliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chia- ma fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci u- niamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia unirci in preghie- ra. Facciamo un momento di silenzio e pre- ghiamo; mettiamo davanti a Dio le testimo- nianze di questi amici, identifichiamoci con quelli per i quali «la famiglia è un concetto i- nesistente, la casa solo un posto dove dormi- re e mangiare», o con quelli che vivono nella paura di credere che i loro errori e peccati li abbiano tagliati fuori definitivamente. Mettia- mo alla presenza del nostro Dio anche le vo- stre «guerre», le nostre «guerre», le lotte che ciascuno porta con sé, nel proprio cuore. E per questo, per essere in famiglia, in fratellanza, tutti insieme, vi invito a alzarvi, a prendervi per mano e a pregare in silenzio. Tutti. (Silenzio) entre pregavamo mi veniva in men- te l’immagine degli Apostoli nel gior- no di Pentecoste. Una scena che ci può aiutare a comprendere tutto ciò che Dio sogna di realizzare nella nostra vita, in noi e con noi. Quel giorno i discepoli stavano chiu- si dentro per la paura. Si sentivano minaccia- ti da un ambiente che li perseguitava, che li costringeva a stare in una piccola abitazione obbligandoli a rimanere fermi e paralizzati. Il timore si era impadronito di loro. In quel con- testo, accadde qualcosa di spettacolare, qual- cosa di grandioso. Venne lo Spirito Santo e del- le lingue come di fuoco si posarono su ciascu- no di essi, spingendoli a un’avventura che mai avrebbero sognato. La cosa cambia così! Abbiamo ascoltato tre testimonianze; abbia- M C mo toccato, con i nostri cuori, le loro storie, le loro vite. Abbiamo visto come loro, al pari dei discepoli, hanno vissuto momenti simili, han- no passato momenti in cui sono stati pieni di paura, in cui sembrava che tutto crollasse. La paura e l’angoscia che nascono dal sapere che uscendo di casa uno può non rivedere più i suoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato e amato, la paura di non avere altre opportunità. Loro hanno condiviso con noi la stessa espe- rienza che fecero i discepoli, hanno speri- mentato la paura che porta in un unico posto. Dove ci porta la paura? Alla chiusura. E quan- do la paura si rintana nella chiusura, va sem- pre in compagnia di sua «sorella gemella», la paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in que- sto mondo, nelle nostre città, nelle nostre co- munità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali peggiori che ci possono capitare nella vita. E più, nella gio- ventù. La paralisi ci fa perdere il gusto di go- dere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di so- gnare insieme, di camminare con gli altri. Ci al- lontana dagli altri, ci impedisce di stringere la mano. Come abbiamo visto, tutti chiusi in quelle piccole stanzette di vetro. Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chia- marla la paralisi che nasce quando si confon- de la felicità con un divano / kanapa (pron. canápa)! Sì, credere che per essere felici ab- biamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben si- curi. Un divano, come quelli che ci sono ades- so, moderni, con massaggi per dormire inclu- si, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferir- ci nel mondo dei videogio- chi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoc- cuparci. La «divano-feli- cità» / «kanapa-szczescie» (pron. canápa-schénsche) è probabilmente la parali- si silenziosa che ci può ro- vinare di più; che può rovinare di più la gio- ventù. «E perché succede questo, Padre?» – Per- ché a poco a poco, senza rendercene conto, ci troviamo addormentati, ci troviamo imbam- bolati e intontiti – l’altro ieri, parlavo dei gio- vani che vanno in pensione a 20 anni; oggi par- lo dei giovani addormentati, imbambolati, in- tontiti – mentre altri – forse i più vivi, ma non i più buoni – decidono il futuro per noi. Sicu- ramente, per molti è più facile e vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la felicità con un divano; per mol- paci di contagiare gioia, quella gioia che nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni atteggiamento di mise- ricordia. Andare per le strade seguendo la «paz- zia» del nostro Dio che ci insegna a incontrar- lo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nel malato, nell’amico che è finito male, nel dete- nuto, nel profugo e nel migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che ci stimo- la a pensare un’economia più solidale di que- sta. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, fa- cendo della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere scoraggiosi, que- sto significa essere liberi. otrete dirmi: Padre, ma questo non è per tutti, è solo per alcuni eletti! Sì, è ve- ro, e questi eletti sono tutti quelli che sono disposti a condividere la loro vita con gli altri. Allo stesso modo in cui lo Spirito Santo trasformò il cuore dei discepoli nel giorno di Pentecoste – erano paralizzati – lo ha fatto an- che con i nostri amici che hanno condiviso le loro testimonianze. Uso le tue parole, Mi- guel: tu ci dicevi che il giorno in cui nella «Facenda» ti hanno affidato la responsabilità di aiutare per il migliore funzionamento del- la casa, allora hai cominciato a capire che Dio chiedeva qualcosa da te. Così è comin- ciata la trasformazione. Questo è il segreto, cari amici, che tutti sia- mo chiamati a sperimentare. Dio aspetta qualcosa da te: avete capito? Dio aspetta qualcosa da te! Dio vuole qualcosa da te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiu- sure, viene ad aprire le porte delle nostre vi- te, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere che il mondo con te può essere diverso. È così: se tu non ci metti il meglio di te, il mondo non sarà diverso. È una sfida. Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bi- sogno di giovani-divano / mlodzi kanapowi (pron. muóyi-canapóvi), ma di giovani con le P ti questo risulta più conveniente che avere gio- vani svegli, desiderosi di rispondere, di ri- spondere al sogno di Dio e a tutte le aspira- zioni del cuore. Voi, vi domando, domando a voi: volete essere giovani addormentati, im- bambolati, intontiti? [rispondono: no!] Volete che altri decidano il futuro per voi? [rispondo- no: no!] Volete essere liberi? [rispondono: sì!] Volete essere svelti? [rispondono: sì!] Volete lot- tare per il vostro futuro? [rispondono: sì!] Non siete troppo convinti, eh? Volete lottare per il vostro futuro? [gridano: sì!] a la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per «vegeta- re», per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. È molto triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quan- do scegliamo la comodità, confondendo feli- cità con consumare, allora il prezzo che pa- ghiamo è molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non siamo liberi di lasciare un’im- pronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole be- ne, che vi vuole intontiti, imbambolati, ad- dormentati: ma mai liberi! No, questo no! Dob- biamo difendere la nostra libertà! Proprio qui c’è una grande paralisi, quando cominciamo a pensare che felicità è sinonimo di comodità, che essere felice è camminare nella vita addormentato o narcotizzato, che l’unico modo di essere felice è stare come in- tontito. È certo che la droga fa male, ma ci so- no molte altre droghe socialmente accettate che finiscono per renderci molto o comunque più schiavi. Le une e le altre ci spogliano del no- stro bene più grande: la libertà. Ci spogliano della libertà. Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signo- re del sempre «oltre». Gesù non è il Signore del confort , della sicurezza e della comodità. Per se- guire Gesù, bisogna avere una dose di corag- gio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che possono aprire nuovi orizzonti, ca- M scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini cal- zati. Questo tempo accetta solo giocatori tito- lari in campo, non c’è posto per riserve. Il mon- do di oggi vi chiede di essere protagonisti del- la storia perché la vita è bella sempre che vo- gliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La storia oggi ci chiede di difen- dere la nostra dignità e non lasciare che siano altri a decidere il nostro futuro. No! Noi dob- biamo decidere il nostro futuro, voi il vostro futuro! Il Signore, come a Pentecoste, vuole realizzare uno dei più grandi miracoli che pos- siamo sperimentare: far sì che le tue mani, le mie mani, le nostre mani si trasformino in se- gni di riconciliazione, di comunione, di crea- zione. Egli vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo con te. E tu cosa rispondi? Cosa rispondi tu? Sì o no? [rispondono: sì!] i dirai: Padre, ma io sono molto limi- tato, sono peccatore, cosa posso fare? Quando il Signore ci chiama non pen- sa a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che abbiamo fatto o smes- so di fare. Al contrario: nel momento in cui ci chiama, Egli sta guar- dando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo ca- paci di contagiare. Lui scommette sempre sul futuro, sul domani. Gesù ti proietta all’o- rizzonte. Mai al museo. Per questo, amici, og- gi Gesù ti invita, ti chia- ma a lasciare la tua im- pronta nella vita, un’impronta che se- gni la storia, che se- gni la tua storia e la storia di tanti. La vita di oggi ci dice che è molto facile fis- sare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci cre- dere che chiuderci è il miglior modo di pro- teggerci da ciò che ci fa male. Oggi noi adulti – noi, adulti! – abbiamo bisogno di voi, per in- segnarci – come ades- so fate voi, oggi – a convivere nella diver- sità, nel dialogo, nel condividere la multi- culturalità non come una minaccia ma co- me un’opportunità. E voi siete un’opportu- nità per il futuro. : Ab- biate il coraggio di in- segnarci a noi, abbiate il coraggio di insegnarci a noi che è più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare questo. E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade della fraternità. Che siate voi i nostri ac- cusatori, se noi scegliamo la vita dei muri, la vita dell’inimicizia, la via della guerra. Costruire ponti: sapete qual è il primo ponte da costrui- re? Un ponte che possiamo realizzare qui e o- ra: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fa- telo adesso, fate questo ponte umano, datevi la mano, tutti voi: è il ponte primordiale, è il ponte umano, è il primo, è il modello. Sempre c’è il rischio – l’ho detto l’altro giorno – di ri- manere con la mano tesa. Ma nella vita biso- gna rischiare: chi non rischia non vince. Con questo ponte, andiamo avanti. Qui, questo ponte primordiale: stringetevi la mano. Gra- zie. È il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di questo mondo!... ma non per la fotografia, eh?, che si danno la mano e poi pensano un’altra cosa; bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi. Che questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta. Oggi Gesù, che è la vita, a te, a te, a te, a te, a te ti chiama a lasciare la tua impronta nel- la storia. Lui, che è la vita, ti invita a lascia- re un’impronta che riempia di vita la tua sto- ria e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade della separazio- ne, della divisione, del non-senso. Ci stai? [rispondono: sì!] Ci stai? [gridano: sì!] Cosa rispondono adesso, io voglio vedere, le tue mani e i tuoi piedi al Signore, che è via, ve- rità e vita? Ci stai? [rispondono: sì!] Il Signore benedica i vostri sogni. Grazie! Francesco © LIBRERIA EDITRICE VATICANA M «Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama famiglia»

La riflessione. «Più facile costruire ponti che muri» · «Confondere la comodità con la felicità, ... pre in compagnia di sua «sorella gemella», la paralisi; ... è probabilmente

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14 Domenica31 Luglio 2016GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2016GMG

Cracovia2016

La riflessione. Nella Veglia di ieri sera è stato forte l’invito a non scegliere una vitaadagiata, ma ad «avere il coraggio di seguire Gesù, camminando su strade mai sognate enemmeno pensate». «Confondere la comodità con la felicità, significa perdere la libertà»

«Più facile costruire ponti che muri»Francesco: non siate giovani che scelgono il divano, ma le scarpe

Pubblichiamo di seguito il testo della rifles-sione tenuta da papa Francesco ieri sera du-rante la Veglia di preghiera con i giovani alCampus Misericordiae a Brzegi.

ari giovani buona sera! È bello es-sere qui con voi in questa Veglia dipreghiera.

Alla fine della sua coraggiosa e commovente te-stimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa. Ciha detto: «Vi chiedo sinceramente di pregareper il mio amato Paese». Una storia segnatadalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che ter-mina con una richiesta: quella della preghie-ra. Che cosa c’è di meglio che iniziare la nostraveglia pregando?Veniamo da diverse parti del mondo, da con-tinenti, paesi, lingue, culture, popoli differen-ti. Siamo «figli» di nazioni che forse stanno di-scutendo per vari conflitti, o addirittura sonoin guerra. Altri veniamo da paesi che possonoessere in «pace», che non hanno conflitti bel-lici, dove molte delle cose dolorose che succe-dono nel mondo fanno solo parte delle noti-zie e della stampa. Ma siamo consapevoli di u-na realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da di-verse parti del mondo, il dolore, la guerra chevivono tanti giovani, non sono più una cosa a-nonima, per noi non sono più una notizia del-la stampa, hanno un nome, hanno un volto, u-na storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Si-ria è il dolore e la sofferenza di tante persone,di tanti giovani come la coraggiosa Rand, chesta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare peril suo amato Paese.Ci sono situazioni che possono risultarci lon-tane fino a quando, in qualche modo, le toc-chiamo. Ci sono realtà che non comprendia-mo perché le vediamo solo attraverso unoschermo (del cellulare o del computer). Maquando prendiamo contatto con la vita, conquelle vite concrete non più mediatizzate da-gli schermi, allora ci succede qualcosa di for-te: tutti sentiamo l’invito a coinvolgerci: «Ba-sta città dimenticate», come dice Rand; maipiù deve succedere che dei fratelli siano «cir-condati da morte e da uccisioni» sentendo chenessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pre-gare insieme a motivo della sofferenza di tan-te vittime della guerra, questa guerra che è og-gi nel mondo, affinché una volta per tutte pos-siamo capire che niente giustifica il sanguedi un fratello, che niente è più prezioso del-la persona che abbiamo accanto. E in que-sta richiesta di preghiera voglio ringraziareanche voi, Natalia e Miguel, perché anchevoi avete condiviso con noi le vostre batta-glie, le vostre guerre interiori. Ci avete pre-sentato le vostre lotte, e come avete fattoper superarle. Voi siete segno vivo di quelloche la misericordia vuole fare in noi.Noi adesso non ci metteremo a gridare controqualcuno, non ci metteremo a litigare, non vo-gliamo distruggere, non vogliamo insultare.Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio,vincere la violenza con più violenza, vincere ilterrore con più terrore. E la nostra risposta aquesto mondo in guerra ha un nome: si chia-ma fraternità, si chiama fratellanza, si chiamacomunione, si chiama famiglia. Festeggiamoil fatto che veniamo da culture diverse e ci u-niamo per pregare. La nostra migliore parola,il nostro miglior discorso sia unirci in preghie-ra. Facciamo un momento di silenzio e pre-ghiamo; mettiamo davanti a Dio le testimo-nianze di questi amici, identifichiamoci conquelli per i quali «la famiglia è un concetto i-nesistente, la casa solo un posto dove dormi-re e mangiare», o con quelli che vivono nellapaura di credere che i loro errori e peccati liabbiano tagliati fuori definitivamente. Mettia-mo alla presenza del nostro Dio anche le vo-stre «guerre», le nostre «guerre», le lotte checiascuno porta con sé, nel proprio cuore. E perquesto, per essere in famiglia, in fratellanza,tutti insieme, vi invito a alzarvi, a prendervi permano e a pregare in silenzio. Tutti.

(Silenzio)

entre pregavamo mi veniva in men-te l’immagine degli Apostoli nel gior-no di Pentecoste. Una scena che ci

può aiutare a comprendere tutto ciò che Diosogna di realizzare nella nostra vita, in noi econ noi. Quel giorno i discepoli stavano chiu-si dentro per la paura. Si sentivano minaccia-ti da un ambiente che li perseguitava, che licostringeva a stare in una piccola abitazioneobbligandoli a rimanere fermi e paralizzati. Iltimore si era impadronito di loro. In quel con-testo, accadde qualcosa di spettacolare, qual-cosa di grandioso. Venne lo Spirito Santo e del-le lingue come di fuoco si posarono su ciascu-no di essi, spingendoli a un’avventura che maiavrebbero sognato. La cosa cambia così!Abbiamo ascoltato tre testimonianze; abbia-

M

C

mo toccato, con i nostri cuori, le loro storie, leloro vite. Abbiamo visto come loro, al pari deidiscepoli, hanno vissuto momenti simili, han-no passato momenti in cui sono stati pieni dipaura, in cui sembrava che tutto crollasse. Lapaura e l’angoscia che nascono dal sapere cheuscendo di casa uno può non rivedere più isuoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato eamato, la paura di non avere altre opportunità.Loro hanno condiviso con noi la stessa espe-rienza che fecero i discepoli, hanno speri-mentato la paura che porta in un unico posto.Dove ci porta la paura? Alla chiusura. E quan-do la paura si rintana nella chiusura, va sem-pre in compagnia di sua «sorella gemella», laparalisi; sentirci paralizzati. Sentire che in que-sto mondo, nelle nostre città, nelle nostre co-munità, non c’è più spazio per crescere, persognare, per creare, per guardare orizzonti, indefinitiva per vivere, è uno dei mali peggiori checi possono capitare nella vita. E più, nella gio-ventù. La paralisi ci fa perdere il gusto di go-dere dell’incontro, dell’amicizia, il gusto di so-gnare insieme, di camminare con gli altri. Ci al-

lontana dagli altri, ci impedisce di stringere lamano. Come abbiamo visto, tutti chiusi inquelle piccole stanzette di vetro.Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora piùpericolosa e spesso difficile da identificare, eche ci costa molto riconoscere. Mi piace chia-marla la paralisi che nasce quando si confon-de la felicità con un divano / kanapa (pron.canápa)! Sì, credere che per essere felici ab-biamo bisogno di un buon divano. Un divanoche ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben si-curi. Un divano, come quelli che ci sono ades-so, moderni, con massaggi per dormire inclu-si, che ci garantiscano oredi tranquillità per trasferir-ci nel mondo dei videogio-chi e passare ore di fronteal computer. Un divanocontro ogni tipo di doloree timore. Un divano che cifaccia stare chiusi in casasenza affaticarci né preoc-cuparci. La «divano-feli-cità» / «kanapa-szczescie»(pron. canápa-schénsche)è probabilmente la parali-si silenziosa che ci può ro-vinare di più; che può rovinare di più la gio-ventù. «E perché succede questo, Padre?» – Per-ché a poco a poco, senza rendercene conto, citroviamo addormentati, ci troviamo imbam-bolati e intontiti – l’altro ieri, parlavo dei gio-vani che vanno in pensione a 20 anni; oggi par-lo dei giovani addormentati, imbambolati, in-tontiti – mentre altri – forse i più vivi, ma noni più buoni – decidono il futuro per noi. Sicu-ramente, per molti è più facile e vantaggiosoavere dei giovani imbambolati e intontiti checonfondono la felicità con un divano; per mol-

paci di contagiare gioia, quella gioia che nascedall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuocuore ogni gesto, ogni atteggiamento di mise-ricordia. Andare per le strade seguendo la «paz-zia» del nostro Dio che ci insegna a incontrar-lo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo, nelmalato, nell’amico che è finito male, nel dete-nuto, nel profugo e nel migrante, nel vicinoche è solo. Andare per le strade del nostro Dioche ci invita ad essere attori politici, personeche pensano, animatori sociali. Che ci stimo-la a pensare un’economia più solidale di que-sta. In tutti gli ambiti in cui vi trovate, l’amoredi Dio ci invita a portare la Buona Notizia, fa-cendo della propria vita un dono a Lui e aglialtri. E questo significa essere scoraggiosi, que-sto significa essere liberi.

otrete dirmi: Padre, ma questo non èper tutti, è solo per alcuni eletti! Sì, è ve-ro, e questi eletti sono tutti quelli che

sono disposti a condividere la loro vita con glialtri. Allo stesso modo in cui lo Spirito Santotrasformò il cuore dei discepoli nel giorno di

Pentecoste – erano paralizzati – lo ha fatto an-che con i nostri amici che hanno condivisole loro testimonianze. Uso le tue parole, Mi-guel: tu ci dicevi che il giorno in cui nella«Facenda» ti hanno affidato la responsabilitàdi aiutare per il migliore funzionamento del-la casa, allora hai cominciato a capire cheDio chiedeva qualcosa da te. Così è comin-ciata la trasformazione.Questo è il segreto, cari amici, che tutti sia-mo chiamati a sperimentare. Dio aspettaqualcosa da te: avete capito? Dio aspetta

qualcosa da te! Dio vuole qualcosa da te, Dioaspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiu-sure, viene ad aprire le porte delle nostre vi-te, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dioviene ad aprire tutto ciò che ti chiude. Ti stainvitando a sognare, vuole farti vedere che ilmondo con te può essere diverso. È così: setu non ci metti il meglio di te, il mondo nonsarà diverso. È una sfida.Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bi-sogno di giovani-divano / mlodzi kanapowi(pron. muóyi-canapóvi), ma di giovani con le

P

ti questo risulta più conveniente che avere gio-vani svegli, desiderosi di rispondere, di ri-spondere al sogno di Dio e a tutte le aspira-zioni del cuore. Voi, vi domando, domando avoi: volete essere giovani addormentati, im-bambolati, intontiti? [rispondono: no!] Voleteche altri decidano il futuro per voi? [rispondo-no: no!] Volete essere liberi? [rispondono: sì!]Volete essere svelti? [rispondono: sì!] Volete lot-tare per il vostro futuro? [rispondono: sì!] Nonsiete troppo convinti, eh? Volete lottare per ilvostro futuro? [gridano: sì!]

a la verità è un’altra: cari giovani, nonsiamo venuti al mondo per «vegeta-re», per passarcela comodamente, per

fare della vita un divano che ci addormenti; alcontrario, siamo venuti per un’altra cosa, perlasciare un’impronta. È molto triste passarenella vita senza lasciare un’impronta. Ma quan-do scegliamo la comodità, confondendo feli-cità con consumare, allora il prezzo che pa-ghiamo è molto ma molto caro: perdiamo lalibertà. Non siamo liberi di lasciare un’im-

pronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo.E c’è tanta gente che vuole che i giovani nonsiano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole be-ne, che vi vuole intontiti, imbambolati, ad-dormentati: ma mai liberi! No, questo no! Dob-biamo difendere la nostra libertà!Proprio qui c’è una grande paralisi, quandocominciamo a pensare che felicità è sinonimodi comodità, che essere felice è camminarenella vita addormentato o narcotizzato, chel’unico modo di essere felice è stare come in-tontito. È certo che la droga fa male, ma ci so-no molte altre droghe socialmente accettate

che finiscono per renderci molto o comunquepiù schiavi. Le une e le altre ci spogliano del no-stro bene più grande: la libertà. Ci spoglianodella libertà.Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signo-re del sempre «oltre». Gesù non è il Signore delconfort, della sicurezza e della comodità. Per se-guire Gesù, bisogna avere una dose di corag-gio, bisogna decidersi a cambiare il divano conun paio di scarpe che ti aiutino a camminaresu strade mai sognate e nemmeno pensate, sustrade che possono aprire nuovi orizzonti, ca-

M

scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini cal-zati. Questo tempo accetta solo giocatori tito-lari in campo, non c’è posto per riserve. Il mon-do di oggi vi chiede di essere protagonisti del-la storia perché la vita è bella sempre che vo-gliamo viverla, sempre che vogliamo lasciareun’impronta. La storia oggi ci chiede di difen-dere la nostra dignità e non lasciare che sianoaltri a decidere il nostro futuro. No! Noi dob-biamo decidere il nostro futuro, voi il vostrofuturo! Il Signore, come a Pentecoste, vuolerealizzare uno dei più grandi miracoli che pos-siamo sperimentare: far sì che le tue mani, lemie mani, le nostre mani si trasformino in se-gni di riconciliazione, di comunione, di crea-zione. Egli vuole le tue mani per continuare acostruire il mondo di oggi. Vuole costruirlo conte. E tu cosa rispondi? Cosa rispondi tu? Sì o no?[rispondono: sì!]

i dirai: Padre, ma io sono molto limi-tato, sono peccatore, cosa posso fare?Quando il Signore ci chiama non pen-

sa a ciò che siamo, a ciò che eravamo, a ciò cheabbiamo fatto o smes-so di fare. Al contrario:nel momento in cui cichiama, Egli sta guar-dando tutto quello chepotremmo fare, tuttol’amore che siamo ca-paci di contagiare. Luiscommette sempre sulfuturo, sul domani.Gesù ti proietta all’o-rizzonte. Mai al museo.Per questo, amici, og-gi Gesù ti invita, ti chia-ma a lasciare la tua im-pronta nella vita,un’impronta che se-gni la storia, che se-gni la tua storia e lastoria di tanti.La vita di oggi ci diceche è molto facile fis-sare l’attenzione suquello che ci divide, suquello che ci separa.Vorrebbero farci cre-dere che chiuderci è ilmiglior modo di pro-teggerci da ciò che ci famale. Oggi noi adulti –noi, adulti! – abbiamobisogno di voi, per in-segnarci – come ades-so fate voi, oggi – aconvivere nella diver-sità, nel dialogo, nelcondividere la multi-culturalità non comeuna minaccia ma co-me un’opportunità. Evoi siete un’opportu-nità per il futuro. : Ab-biate il coraggio di in-segnarci a noi, abbiate

il coraggio di insegnarci a noi che è più facilecostruire ponti che innalzare muri! Abbiamobisogno di imparare questo. E tutti insiemechiediamo che esigiate da noi di percorrere lestrade della fraternità. Che siate voi i nostri ac-cusatori, se noi scegliamo la vita dei muri, lavita dell’inimicizia, la via della guerra. Costruireponti: sapete qual è il primo ponte da costrui-re? Un ponte che possiamo realizzare qui e o-ra: stringerci la mano, darci la mano. Forza, fa-telo adesso, fate questo ponte umano, datevila mano, tutti voi: è il ponte primordiale, è ilponte umano, è il primo, è il modello. Semprec’è il rischio – l’ho detto l’altro giorno – di ri-manere con la mano tesa. Ma nella vita biso-gna rischiare: chi non rischia non vince. Conquesto ponte, andiamo avanti. Qui, questoponte primordiale: stringetevi la mano. Gra-zie. È il grande ponte fraterno, e possanoimparare a farlo i grandi di questo mondo!...ma non per la fotografia, eh?, che si dannola mano e poi pensano un’altra cosa; bensìper continuare a costruire ponti sempre piùgrandi. Che questo ponte umano sia semedi tanti altri; sarà un’impronta.Oggi Gesù, che è la vita, a te, a te, a te, a te,a te ti chiama a lasciare la tua impronta nel-la storia. Lui, che è la vita, ti invita a lascia-re un’impronta che riempia di vita la tua sto-ria e quella di tanti altri. Lui, che è la verità,ti invita a lasciare le strade della separazio-ne, della divisione, del non-senso. Ci stai?[rispondono: sì!] Ci stai? [gridano: sì!] Cosarispondono adesso, io voglio vedere, le tuemani e i tuoi piedi al Signore, che è via, ve-rità e vita? Ci stai? [rispondono: sì!] Il Signorebenedica i vostri sogni. Grazie!

Francesco© LIBRERIA EDITRICE VATICANA

M

«Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio,vincere la violenza con più violenza, vincereil terrore con più terrore. E la nostra rispostaa questo mondo in guerra ha un nome: sichiama fraternità, si chiama fratellanza,si chiama comunione, si chiama famiglia»

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