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WWW.DEMOCRATICA.COM ALLE PAGINE 2-3 La schiavitù ungherese Ungheria Non si ferma la grande protesta di Budapest contro la legge-schiavitù e le norme liberticide di Orban, l’idolo di Salvini n. 318 martedì 18 dicembre 2018 “Credo che le canzoni siano intorno a noi. È solo questione di essere ricettivi e pronti a raccoglierle”. (Keith Richards, 18 dicembre 1943) PAGINA 5 Il governo non decide. Il Parlamento è bloccato MANOVRA Non si sblocca il braccio di ferro con Bruxelles: e intanto il Parlamento aspetta inerte i comodi di Conte. Scoppia il caso del ruolo dell’Esercito per riparare le buche di Roma M ai come in questi mesi c’è nel nostro Paese un clima pesante contro la libertà di informazione. È un clima denso e velenoso, alimentato ad arte, in maniera continuata e aggressiva da esponenti di primissimo piano delle forze di Governo, in particolare del Movimento 5 Stelle. Sappiamo bene che pluralismo e autonomia dell’informazione sono da sempre l’essenza stessa della democrazia e dello stato di diritto. La libertà di criticare ed esprimere opinioni, di argomentarle con inchieste non addomesticate, è necessaria alla democrazia quanto a ogni essere umano l’aria che respira. Per questo il clima di intolleranza agitato dagli esponenti dell’Esecutivo nei confronti di cronisti ritenuti scomodi è quanto mai inaccettabile e pericoloso. Vogliono imbavagliare i giornali italiani L’EDITORIALE Francesco Verducci Carmine Castoro SEGUE A PAGINA 4 La morte si fa social. Il libro di Davide Sisto PENSIERI E PAROLE I n un’epoca sempre più contraddistinta dalla onlife (per riprendere il neologismo di Luciano Floridi in “La quarta rivolu- zione”), ovvero dal dato inaggirabile secon- do il quale la vita, i suoi equilibri, i suoi ritmi, le individualità, le abitudini collettive, sono incessantemente riconfigurate (potremmo anche dire assorbite) da software, reti, poli- cy, applicazioni, social network, poteva mai la morte, la dipartita, l’assenza improvvisa di un nostro parente o amico non essere acqui- sita, magari pure travolta, da questi nuovi assetti mentali, da un nuovo modo di fluttua- re delle notizie e delle memorie, da un nuo- vo modo di considerare ciò che lasciamo ai posteri, comprendendo stavolta anche post, video, mail, preferenze, condivisioni, citazio- ni e quant’altro l’interazione elettronica ci detta ogni giorno di considerare una risorsa sui nostri account? Certo che no, è la retorica risposta. SEGUE A PAGINA 7

La schiavitù ungherese - partitodemocratico.it · 4 martedì 18 dicembre 2018 Le forbici dei gialloverdi sui giornali. Proteste in piazza L a Federazione Nazionale della Stampa Italiana

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ALLE PAGINE 2-3

La schiavitùungherese

Ungheria Non si ferma la grande protesta di Budapest controla legge-schiavitù e le norme liberticide di Orban, l’idolo di Salvini

n. 318martedì

18 dicembre2018

“Credo che le canzoni siano intorno a noi. È solo questione di essere ricettivi e pronti a raccoglierle”. (Keith Richards, 18 dicembre 1943)

PAGINA 5

Il governo non decide.Il Parlamento è bloccato

MANOVRA

Non si sblocca il braccio di ferro con Bruxelles: e intanto il Parlamento aspetta inerte i comodi di Conte. Scoppia il caso del ruolo dell’Esercito per riparare le buche di Roma

Mai come in questi mesi c’è nel nostro Paese un clima pesante contro la libertà di informazione. È un clima denso

e velenoso, alimentato ad arte, in maniera continuata e aggressiva da esponenti di primissimo piano delle forze di Governo, in particolare del Movimento 5 Stelle. Sappiamo bene che pluralismo e autonomia dell’informazione sono da sempre l’essenza stessa della democrazia e dello stato di diritto. La libertà di criticare ed esprimere opinioni, di argomentarle con inchieste non addomesticate, è necessaria alla democrazia quanto a ogni essere umano l’aria che respira. Per questo il clima di intolleranza agitato dagli esponenti dell’Esecutivo nei confronti di cronisti ritenuti scomodi è quanto mai inaccettabile e pericoloso.

“Vogliono imbavagliarei giornali italiani

L’EDITORIALE

Francesco Verducci Carmine Castoro

SEGUE A PAGINA 4

La morte si fa social. Il libro di Davide Sisto

PENSIERI E PAROLE

In un’epoca sempre più contraddistinta dalla onlife (per riprendere il neologismo di Luciano Floridi in “La quarta rivolu-

zione”), ovvero dal dato inaggirabile secon-do il quale la vita, i suoi equilibri, i suoi ritmi, le individualità, le abitudini collettive, sono incessantemente riconfigurate (potremmo anche dire assorbite) da software, reti, poli-cy, applicazioni, social network, poteva mai la morte, la dipartita, l’assenza improvvisa di un nostro parente o amico non essere acqui-sita, magari pure travolta, da questi nuovi assetti mentali, da un nuovo modo di fluttua-re delle notizie e delle memorie, da un nuo-vo modo di considerare ciò che lasciamo ai posteri, comprendendo stavolta anche post, video, mail, preferenze, condivisioni, citazio-ni e quant’altro l’interazione elettronica ci detta ogni giorno di considerare una risorsa sui nostri account? Certo che no, è la retorica risposta. SEGUE A PAGINA 7

2 martedì 18 dicembre 2018

Tutti sono preoccupati per quan-to succede in Ungheria. Amne-sty International, la Commissio-ne di Venezia, la Commissione Europea, tutti meno che il gover-no italiano. Eppure l’amico eu-

ropeo di Salvini, il premier ungherese Viktor Orban - quello che aveva definito il nostro ministro dell’Interno “il mio eroe” - sta mo-strando il vero volto del sovranismo in salsa gulash: illiberalità, mancanza di diritti, re-pressione delle opposizioni.

Perché protestano?Gli ungheresi protestano contro una legge

sul lavoro, definita dalle opposizione “legge sulla schiavitù”, perché aumentare le ore an-nue di straordinari da 250 a 400, se il datore di lavoro lo pretende, e sarà difficile per il lavoratore rifiutarsi di farle. Gli straordinari non saranno pagati subito, ma diluiti in tre anni. Il problema è che l’Ungheria, con una disoccupazione ai minimi storici (3,7%) e una crescita del Pil al 4,4%, ha disperatamen-te bisogno di manodopera, ma non vuole im-migrati sul suo territorio. Ma ci sono anche altre leggi contestate: quella che fa perdere

l’indipendenza dei tribunali e quella che mina l’autonomia dei media pubblici.

Sciopero generaleI sindacati ungheresi hanno chiesto al

presidente della Repubblica Janos Ader di non firmare la “legge schiavitù”. Il capo dello Stato potrebbe siglare la norma pri-ma di Natale, ma c’è anche la possibilità che rimandi la legge al Parlamento. Se la nuova norma entrasse in vigore, i sinda-cati annunciano “scioperi in tutto il Paese combinati con blocchi stradali”.

Le reazioniSecondo Amnesty International “Le

autorità ungheresi continuano a stronca-re ogni forma di dissenso: ne è stata la prova l’allontanamento con la forza di due depu-tati dalla sede della tv di Stato”. Massimo Moratti, vicedirettore di Amnesty Inter-national per l’Europa, ha inoltre solleci-tato il governo a non ricorrere alla forza eccessiva e non necessaria, compreso l’uso dei gas lacrimogeni, in occasione delle prossime manifestazioni contro il governo”. I partiti dell’opposizione, intanto, hanno avviato un’inchiesta parlamentare sul caso dell’aggres-sione subita dai deputati.

Budapest in bilicofra mobilitazione e oltranzismo di Orban

Ungheria

Giovanni Belfiori CONDIVIDI SU

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Le tappe del dicembre ungherese contro il premier sovranista 12 dicembre: Il Parlamento ungherese, in una seduta tesa e piena di scontri, approva la nuova legge sul lavoro, subito denominata dai partiti di opposizione e dai sindacati, “legge sulla schiavitù”. Votano a favore 130 parlamentari e 50 sono i contrari. 13, 14, 15 dicembre: proteste in piazza contro i provvedimenti illiberali del governo Orban. FRa i cartelli e gli stristriscioni dei manifestanti, ne spicca uno ‘natalizio’: “All I want for Xmas is democracy”, tutto ciò che voglio per Natale è democrazia. Sulla stampa italiana non viene data nessuna evidenza alla protesta, mentre si continua a parlare dei gilet gialli contro Macron. 16 dicembre: La più grande manifestazione anti- Orban invade Budapest.

In corteo ci sono tutti i partiti di opposizione e i sindacati. Scontri tra manifestanti e polizia davanti alla sede della tv pubblica. Il New York Times sottolinea la rara unità dei manifestanti e dalla loro persistenza. 17 dicembre: Intervento violento delle guardie di sicurezza interne per cacciare due deputati dalla sede della tv pubblica. Akos Hadhazy e Bernadett Szel sono malmenati e buttati fuori a spintoni. Bernadett in un post di oggi sulla sua pagina Facebook ha scritto: “Il ‘potere’ ha appena mostrato il suo vero volto. La manifestazione più brutale della forza è la violenza fisica. Questo è ciò che accaduto contro i rappresentanti del popolo. Questo è il vero volto del sistema di Orbán (...) Noi continueremo! Sono più determinata che mai, perché d’ora in poi, niente sarà come prima!”.

3 martedì 18 dicembre 2018

“Siamo di fronte a una novità assoluta: è la prima volta che in Un-gheria si saldano ri-vendicazione sindaca-le e protesta politica”.

Già, Budapest, come tante altre volte nella sua lunga storia - il 1848, il 1956 - si rivolta contro i governanti. Non siamo davanti a folle oceaniche ma la gente sfida il gelo per manifestare. Viktor Orban, il premier rea-zionario e sovranista, probabilmente non sa ancora cosa fare. Ne abbiamo parlato con un giornalista esperto di cose dell’Est, ottimo conoscitore dell’Ungheria post-89, Matteo Tacconi. Tacconi è un free lance che ha aperto un interessantissimo blog che si chiama Controreport.com. A lui ab-biamo domandato se nella mobilitazione sia più forte la molla economica o quella politica.

“Non c’è dubbio sul fatto che la scintil-la sia stata la famigerata ‘legge-schiavitù’ che porta il monte ore di straordinari a 400 l’anno attraverso una richiesta delle aziende direttamente con il singolo lavo-ratore, bypassando del tutto i sindacati. Peraltro hanno approvato la legge notte-tempo per paura degli scioperi. Una cosa gravissima”.

Tutto però deriva dal fatto che Orban ha chiuso le frontiere e rifiuta di far lavorare gli stranieri. In questo, è davvero l’emblema del sovranismo.“Certo, le aziende hanno bisogno di ma-nodopera, e siccome non si dà lavoro agli stranieri si chiedono straordinari assur-di ai lavoratori. Per pagarli poi dopo tre anni...Questa è stata la molla, il casus bel-li”.

E poi cosa è successo?È successo che la protesta è diventata pre-sto politica perché quella notte, oltre alla

‘legge-schiavitù’, il governo ha approva-to altre due leggi pessime: l’istituzione di una sorta di Tribunale speciale composto da giudici di nomina governativa e la cre-azione di un consorzio di testate - stampa, radio, tv, Internet - di diretta obbedienza a Orban e che non risponde a nessuna au-torità. E quando si mettono sotto il tallo-

ne giustizia e informazione è chiaro che la minaccia alla libertà diventa reale”.

È un film ben conosciuto. Sta di fatto che la mobilitazione ancora non ha dei leader e neppure una struttura. E così?“Per il momento sì, anche se cominciano ad emergere figure importanti come Ber-nadett Szél, un’intellettuale e una parla-mentare giù nota, una di quei parlamen-tari che l’altra sera ha tentato di entrare nella sede dell tv ungherese ed è stata mal-mentata dalla polizia. Noterei poi che in piazza ci sono partiti di sinistra, come i socialisti, e partiti di estrema destra come lo Jobbick: hanno motivazioni diverse ma oggi si trovano insieme contro Orban”.

Che farà Orban? Cercherà una mediazione o tirerà dritto, nel qual caso dovrà usare il pugno di ferro nel senso letterale della parola?“Difficile a dirsi. Dipende anche da che po-sizione avrà il presidente delle Repubblica János Áder, al quale i manifestanti chiedo-no di non firmare quelle leggi minaccian-do uno sciopero generale che certamente Orban non desidera. E’ anche vero che Or-ban finora non ha mai concesso nulla. E quindi bisognerà vedere se la mobilitazio-ne reggerà anche nei prossimi giorni sfi-dando i 10 gradi sottozero di Budapest...”.

Ungheria

Mario Lavia CONDIVIDI SU

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Intervista a Matteo Tacconi

“La novità è l’intreccio fra protesta sindacale e politica”

La drammatica protesta dei parlamentari alla tv magiara

4 martedì 18 dicembre 2018

Le forbici dei gialloverdi sui giornali. Proteste in piazza

La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) è scesa in piazza per protestare contro il taglio del contributo all’editoria previsto nella manovra. Lo hanno fatto davanti a Montecitorio, “una

scelta simbolica - ha spiegato il sindacato uni-tario dei giornalisti - a poca distanza dal palaz-zo in cui ha sede l’ufficio del sottosegretario con delega all’Editoria, Vito Crimi, per espri-mere il dissenso della categoria per il taglio dei fondi per i giornali minori”. La decisione del governo metterà in crisi un settore che già la vive da molti anni. Il rischio e che molti giornali minori, veri e propri presidi del plu-ralismo e della democrazia, chiudano. Il pre-sidente Giuseppe Giulietti ha spiegato: “Siamo qui per dire no all’emendamento alla legge di Bilancio che prevede di arrivare entro 4 anni alla cancellazione definitiva di ogni contribu-to, quindi che colpirà, per usare l’espressione del presidente Mattarella, le voci delle diversi-tà e delle differenze. Si incomincia con il fondo dell’editoria, poi Radio Radicale, poi toccherà al fondo dell’emittenza e al fondo delle agen-zie. L’obiettivo è cancellare le voci critiche, è consentire che l’informazione si faccia solo in Rete e senza domande. Insomma, l’obiettivo è, come dice il presidente Trump, al quale si ispirano questi signori, cancellare la funzione dei giornalisti”. La decisione del governo oltre che provocare la chiusura di molte testate ed emittenti, provocherà l’inevitabile perdita di

tanti posti di lavoro nel settore. In piazza per sostenere l’Fnsi anche i parlamentari del Par-tito democratico che parlano di “oltre diecimi-la posti di lavoro a rischio”, e poi attaccano: “Il governo gialloverde, con la sua furia di-struttrice, mette il bavaglio all’informazione. Il taglio ai fondi per l’editoria comprometterà l’esistenza dei giornali locali, di testate no pro-fit, di cooperative di giornalisti, cioè toglierà l’ossigeno a chi dà voce alle piccole comunità. Le preoccupazioni dei giornalisti sono quelle di ogni cittadino che rivendica il rispetto della Carta Costituzionale e il diritto ad essere infor-mato. Continueremo la battaglia in Parlamen-to - concludono - per contrastare quella che è divenuta una guerra dell’esecutivo alle voci

libere, al dissenso, alla libera informazione’’. Mentre il capogruppo Pd alla Camera Grazia-no Delrio non è sorpreso da questa scelta dei giallo-verde: “E’ l’ennesima dimostrazione della volontà della maggioranza di cancellare le voci critiche e autonome, di quel disegno intimidatorio che abbiamo già visto all’opera con autorità indipendenti e quanti rifiutano di allinearsi alla propaganda ‘del balcone’. L’intento oscurantista di Lega e 5 stelle rende cieca la maggioranza anche rispetto all’inso-stituibile ruolo che le testate territoriali svol-gono all’interno della società locali ai fini di preservarne il senso di appartenenza, i lega-mi, lo spirito di comunità”.

Informazione

Francesco Gerace CONDIVIDI SU

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Vogliono imbavagliare la libera stampa italiana

In queste ore, in tutta Italia, molti giorna-listi hanno aderito alla mobilitazione lan-ciata dalla Federazione nazionale della Stampa contro la volontà del Governo di

azzerare il Fondo per il pluralismo nell’edito-ria. Così come solo qualche settimana fa ma-nifestazioni analoghe hanno riempito tante piazze italiane all’indomani della vera e pro-pria aggressione di Di Maio e Di Battista con-tro i giornalisti “sciacalli”, “puttane”, “cani da riporto”. Fa impressione oggi rivedere le im-magini di qualche mese fa (era la scorsa esta-te) di una delle tante sortite romane di Beppe Grillo che, a mo’ di battuta, suscitando l’ilari-tà dei presenti, ghignava: «Agorà la chiudia-mo e al Foglio gli togliamo i finanziamenti...». Quella che allora sembrava una battuta, oggi sta per diventare una pericolosa realtà. Per-ché la volontà di azzerare in tre anni il Fondo per il pluralismo nell’editoria minaccia pro-prio l’esistenza di giornali di opinione come Avvenire, Il Manifesto, Il Foglio, Libero, Italia Oggi, ed emittenti come Radio Radicale, oltre a centinaia di voci informative del mondo co-

operativo e no profit, di associazioni religiose e culturali, di comunità territoriali e minoran-ze linguistiche. Voci autonome, indipendenti, originali. Anziché tifare per la loro chiusura, il Governo di una democrazia avrebbe il do-vere di incentivarne la nascita di nuove, al-trettanto innovative, autonome e preziose per il nostro dibattito pubblico. Salvini ha invece liquidato la questione in maniera spicciativa, con una frase del tipo: «Se ne occuperà il mer-cato…». Sconcerta questo continuo contun-dente qualunquismo che umilia l’articolo 21 della nostra Costituzione. Proprio nel dettato della nostra Costituzione sta la ragione d’esse-re e la necessità ‘politica’ del Fondo per il plu-ralismo che da sempre esiste nella nostra de-mocrazia e in maniera analoga in tutti i Paesi democratici, a tutela dell’informazione come bene pubblico, la cui peculiarità va salvaguar-data rispetto a quelle che sono le dinamiche esclusive del mercato. L’azzeramento del Fon-do è a tutti gli effetti una aggressione brutale contro la libertà di stampa e uno sfregio alla nostra vita democratica. Quando chiude una voce, c’è una ferita che non si rimargina. È un taglio nient’affatto neutro, ma che investe la qualità della nostra democrazia. Questa nor-ma mette a rischio migliaia di lavoratori ed

allarga ulteriormente il precariato in un set-tore, quello della comunicazione e del giorna-lismo, che già vive da molto tempo una crisi strutturale, mortificando le aspettative e la vocazione professionale di tanti giovanissi-mi. Il fatto che tutto questo stia avvenendo at-traverso un emendamento contenuto in una Legge di bilancio su cui verrà imposta la fi-ducia aggiunge vergogna a vergogna. Questo colpo all’informazione viene portato avanti con un vero e proprio colpo di mano, senza che sia possibile discuterne in Aula e senza un apposito disegno di legge su cui il Parlamen-to possa confrontarsi. A differenza di quan-to va dicendo l’ineffabile Crimi, la misura ha tutte le sembianze di una rappresaglia, di un intento punitivo e intimidatorio contro realtà considerate scomode. Basti pensare che, nel-le intenzioni del Governo, sarà la Presidenza del Consiglio ad indirizzare discrezionalmen-te i fondi residui. È un precedente pericoloso, introdotto forzosamente, violando il costrutto democratico e parlamentare. Una norma che va respinta con ogni forza, ricostruendo un’al-leanza larga, parlando alla società. Il feticcio della democrazia diretta è un inganno, con sembianze illiberali, e va contrastato, a viso aperto.

Francesco VerducciSegue dalla prima

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5 martedì 18 dicembre 2018

Manovra, ancora tutto bloccato Il governo non sa decidere

La trattativa con l’Ue è più lunga e complessa del previsto: dopo estenuanti incontri si cerca an-cora un punto di caduta. Contra-riamente all’ottimismo filtrato ieri, dopo l’accordo politico di

domenica notte, i tecnici dell’Ue hanno anco-ra molti dubbi sui numeri della manovra ita-liana. Al punto che la soluzione più plausibile sembra ormai quella di uno slittamento della decisione da parte di Bruxelles, soprattutto perché la Commissione guidata da Juncker vorrebbe comprendere meglio come (e se) il Parlamento cambierà il provvedimento.

La questione principale che sta bloccando le trattative è legata infatti alle garanzie ita-liane. Cosa accadrà durante il passaggio par-lamentare, si chiedono nei piani alti di Bru-xelles?

Peraltro, su tale aspetto va sottolineato come questa manovra potrebbe essere la pri-ma e unica ad essere approvata senza nes-sun emendamento, con un Parlamento com-pletamente esautorato. Un contesto piuttosto anomalo, emblema evidente del momento poco felice per la nostra democrazia.

Dal punto di vista tecnico, si cerca affanno-samente di coprire i 7 miliardi che derivano dal nuovo rapporto deficit/Pil al 2,4%. Quat-tro miliardi, come ormai noto, verranno tolti dalle due misure bandiera (reddito di cittadi-nanza e quota 100). Sugli altri 3 ci sono anco-ra molti dubbi.

Sul tavolo della trattativa sono arrivate al-tre due importanti richieste, una legata allo spostamento di alcune risorse per poter ri-durre anche il deficit strutturale, quello che viene calcolato al netto delle misure conte-nute nella legge di Bilancio. E in questo senso

gli occhi sono puntati ad altri tagli alle pen-sioni (alcune indiscrezioni parlano anche di penalizzazioni agli statali). L’altra richiesta dell’Ue riguarda invece la riduzione delle stime di crescita, che l’Ue vorrebbe all’1% dall’1,5 inizialmente pensata dall’esecutivo.

Un Pil al di sotto di quello indicato dal go-verno, infatti, provocherebbe un effetto ne-gativo sui conti pubblici, tale da far schizzare verso l’alto il deficit nel 2019. Come fa notare oggi uno studio di Prometeia, quel rapporto schizzerebbe addirittura al 2,3%, vanifican-do di fatto la faticosa riduzione ottenuta in questi giorni.

Intanto al Senato i lavori della Commissio-ne procedono a rilento. In mattinata la seduta è stata interrotta e le opposizioni, al termine di una lunga riunione dei capigruppo, hanno chiesto un intervento del ministro dell’Eco-

nomia, Giovanni Tria. “Facciamo tutti il tifo per il nostro Paese ma è indispensabile che il ministro venga a dirci a che punto è la tratta-tiva”, ha spiegato il dem Antonio Misiani.

Poi, alla ripresa dei lavori, nel primo pome-riggio, a Palazzo Madama ha tenuto banco il caso delle buche della capitale. Tutto è nato da un accordo tra Virginia Raggi e il mini-stro della Difesa Elisabetta Trenta, in seguito al quale i pentastellati hanno presentato un emendamento: risolvere l’annosa questione delle buche di Roma coinvolgendo l’Genio militare. L’emendamento è stato però giudi-cato inammissibile, anche se in una nota il viceministro Castelli ha assicurato che “l’in-tervento per la manutenzione delle strade di Roma ci sarà e sarà regolarmente finanzia-to”. Si fa confusione ormai su tutto.

Manovra

Stefano Minnucci CONDIVIDI SU

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Non si sblocca il braccio di ferro con l’Ue: e intanto il Parlamento aspetta inerte i comodi di Conte

Il timing della manovraDOMANI 23-31 DICEMBRE 22 GENNAIO 2019 1 FEBBRAIO 2019

Ultima riunione dell’anno dei commissari di Bruxelles: potrebbero approvare una “raccomandazione” all’Italia

Via libero definitivo della legge di bilancio. Il Consiglio dei ministri potrebbe approvare il decreto sul reddito di cittadinanza

Primo Eurogruppo-Ecofin dell’anno: potrebbe rendere operativa la procedura d’infrazione contro l’Italia

Termine entro cui Eurogruppo ed Ecofin devono esprimersi sulla procedura

Gravissimo colpo di mano in commissione affari costituzionali al Senato. Il presidente della commissione, il leghista Borghesi, durante la discussione del ddl per la riduzione del numero dei parlamentari con una decisione senza precedenti ha dichiarato improponibili per estraneità di materia emendamenti del Pd a mia prima firma perfettamente pertinenti, in primis quello teso a dare ai 18enni il diritto di votare per il Senato. Questo significa negare all’opposizione la possibilità di veder discusse e votate le proprie proposte. La

maggioranza ancora una volta dimostra che il proprio obiettivo non è tanto quello di ridurre il numero dei parlamentari bensì quello di svilire il ruolo del Parlamento in ossequio ai diktat della Casaleggio Associati e di calpestare in modo sempre più sfacciato e tracotante i diritti delle minoranze e le regole della democrazia rappresentativa e liberale. Ci appelliamo alla Presidente Casellati. Tutelare la dignità del Senato è un suo preciso dovere. Non ci aspettiamo niente di meno.

Dario Parrini

Un Parlamento ormai sottomesso ai diktat della Casaleggio Associati

6 martedì 18 dicembre 2018

Ultimi tre giorni per iscriversi.Tutte le tappe di qui alle primarieCarla Attianese CONDIVIDI SU

Verso il

Congresso

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Dipendenti Pd ai candidati del congresso: “Quali prospettive per noi?”

“Il Partito democratico avvia in questi giorni la cam-pagna congressuale per l’elezione del segretario nazionale. Pensiamo che sia un congresso mol-to importante per il futuro del partito e non solo.

Come senz’altro sapete, la crisi del Pd non è solo politica, ma anche finanziaria. I 174 dipendenti della Direzione nazionale sono in cassa integrazione dal 1 settembre 2017 e - improro-gabilmente - fino al 31 agosto 2019. Scaduto quel termine, in assenza di significative misure atte ad impedirlo, il licenzia-mento attende la maggior parte di noi. Non ci interessa oggi tornare sulle responsabilità delle passate gestioni, vogliamo guardare al futuro. Chiediamo, quindi, a tutti i candidati alla segreteria nazionale del Pd come, con quali strumenti e finali-tà, intendano fronteggiare questa che non è solo una questio-ne organizzativa, ma soprattutto un’emergenza sociale”.

Lo scrivono i rappresentanti sindacali dei dipendenti Pd, in una lettera aperta ai candidati al congresso. “Un partito po-litico non è una azienda, e i suoi dipendenti sono al tempo stesso militanti, pronti a condividerne vittorie e sconfitte. Ri-teniamo doveroso che la classe dirigente di un partito che ha fatto della difesa del lavoro e della sua dignità uno dei capi-saldi della sua identità e proposta politica, non si sottragga alle proprie responsabilità e sappia compiere ogni sforzo per risolvere positivamente la crisi occupazionale dei propri di-pendenti. In questi mesi di cassa integrazione abbiamo avuto modo di elaborare alcune proposte concrete che vorremmo potere esporvi. Chiediamo, inoltre, che da qui in avanti i la-voratori possano finalmente svolgere un ruolo attivo nella ri-cerca di soluzioni condivise”.

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Mentre i candidati al congresso dem scaldano i motori, si avvicinano sul calendario le scaden-ze che porteranno, nel lungo iter previsto dal-lo Statuto del Pd, all’atto (si spera) finale delle primarie del 3 marzo per l’elezione del nuovo segretario nazionale.

In ordine di tempo la prima scadenza in programma è vici-nissima, ed è quella che fra tre giorni, il 21 dicembre alle ore 12, sancirà lo stop alla possibilità, per i nuovi iscritti, di aderire online al partito.

Chi intenda partecipare anche alla prima fase del congresso dem, quella nella quale i protagonisti saranno i circoli, dovrà dunque decidersi, più o meno, entro e non oltre le prossime 72 ore.

Prima dell’inizio della solita battaglia sui numeri, quella sul-la quale i retroscena amano soffermarsi per decretare lo stato in vita del Pd (lo stesso passaggio ai raggi x non è riservato, di solito, alle altre formazioni politiche), dall’organizzazione al Na-zareno fanno sapere che il numero dei nuovi iscritti sarà reso noto non prima del 3 gennaio, quando sarà completato l’iter del-

la certificazione.Quanto al numero totale degli aderenti ai dem, comprensi-

vo dunque dei rinnovi, non potrà essere noto se non al termi-ne dell’ultimo congresso di circolo, visto che per i vecchi iscritti non è previsto un termine per il rinnovo.

Completata l’acquisizione e la certificazione della platea dei votanti si aprirà la fase dei congressi dei circoli, che dovranno svolgersi, da regolamento, dal 7 gennaio al 23 gennaio. Spet-terà poi alla convenzione nazionale, convocata per il 2 febbraio, sancire il risultato fuoriuscito dai territori e determinare quali saranno i tre candidati più votati che, dunque, potranno accede-re alla fase delle primarie aperte previste, come è noto, per il 3 marzo.

È in questa fase che potranno essere presentate una o più liste di sostegno ai tre “finalisti”, che andranno poi a determinare la composizione dell’Assemblea nazionale.

A questo punto, è cosa risaputa, le cose potrebbero compli-carsi: se nessuno dei tre candidati dovesse superare la soglia del 51% delle preferenze, la parola passerebbe all’Assemblea nazio-nale, che si troverebbe così a stabilire, con un voto, il nome del nuovo leader del Partito democratico. Un’eventualità prevista dallo Statuto ma alla quale, nei dieci anni di vita dei dem, non è mai stato necessario ricorrere.

7 martedì 18 dicembre 2018

E così oggi cambiare mondo, esalare l’ultimo respiro, decedere, transitano in una sulfurea e tutta ancora da definire dimensione trans-funerea fatta di cimiteri vir-tuali, web-memorandum, lapidi col codice QR, chatbot e controfigure tridimensionali del defunto che quasi ci abituano a una sua “eternità”, o quantomeno ci al-

lontanano l’idea della sua non-recuperabilità fra gli umani. A tutte queste indagini, con uno stile gradevole, ricchezza di esempi e in-teressanti affondi teoretici si dedica il giovane filosofo “tanatologo” di Torino Davide Sisto in questo suo bel La morte si fa social (Bollati Boringhieri, pagg. 149, euro 16,50). A lui il varco e il giudizio più adeguati su queste delicate sfide che ci attendono.

Davide, insomma, nel tuo bel libro ci inviti a trovare familiarità con espressioni come “averi digitali”, “eredità digitale”, “cremazione digitale”, dovendo ormai sposare il nostro io biologico con quello informazionale: siamo di fronte a uno scrigno di nuove risorse o a un nuovo vaso di Pandora?“Entrambe le cose, come succede ogni volta che tradizione e inno-vazione si integrano insieme. Da una parte, le attuali tecnologie digitali ci offrono inedite opportunità per ripensare il rapporto con la morte, per migliorare le modalità con cui elaborare un lutto e per rendere più solida la memoria. Occorre ragionare sulla finitezza della vita e, quindi, riflettere sulla morte. Dall’altra parte, c’è il rischio di un nuovo vaso di Pandora: basta, cioè, continuare a sottovalutare la sopravvivenza alla nostra morte delle identità digitali che abbiamo pla-smato nel web per generare incontrollati meccanismi di immortalità digitale. Questi possono creare disagio a noi stessi, perché non abbiamo più il controllo di ciò che pubblichiamo online, e a coloro che soffrono la nostra perdita, poiché si ritrovano dinanzi agli occhi parole, immagini e registrazioni che impediscono il superamento della sofferenza”.

Le tue pagine più belle sono quelle in cui aiuti il lettore a schierarsi per una memoria “prospettiva” e non “retrospettiva”. Per quest’ultima esistono tecnologie 3d che riattivano quasi voce e sembianze di un defunto attraverso automatismi e ologrammi con i quali ci auto-inganniamo. Cerchiamo di spiegare la differenza.“Tutto ciò che viene pubblicato, nel corso degli anni, nel web rimane a tempo indeterminato e si confonde con il presen-te. Questa particolare natura del web ha portato all’invenzione dei cosiddetti “griefbot”, automatismi che rielaborano gli oggetti digita-li, rendendo autonoma l’identità virtuale rispetto a quella biologica e permettendo a chi soffre un lutto di continuare a chattare e a dia-logare con il caro estinto. La puntata famosa Be Right Back della se-rie televisiva “Black Mirror” è diventata realtà in applicazioni per smartphone come Luka o in siti web come Eter9. Ora, questa sorta di memoria “retrospettiva” rende problematica l’elaborazione del lutto e ci porta a rimanere schiavi della malinconia per il passato, perdendo di vista la costruzione del nostro futuro.

“Sei solo un accenno di ciò che era lui. Non hai nessuna storia.

Sei l’interprete di qualcosa che lui faceva senza pensare, non può bastarmi ciò che sei!”, dice Martha allo spettro digitale di Ash, il compagno morto in un incidente stradale, nella puntata citata di “Black Mirror”. Ecco, il problema della memoria digitalmente re-trospettiva sta qui. Occorre, per renderla prospettiva, considerare i nostri oggetti digitali come un insieme di ricordi necessari per la costruzione del futuro, evitando quindi la loro automatizzazione e indipendenza una volta che siamo morti”.

Questa tentacolare grammatica commemorativa non rischia di teatralizzare le radici più tragicamente inestirpabili della nostra fragilità umana, e di banalizzare la morte nella pretesa di mantenere un rapporto con chi non c’è più?“Condivido i tuoi dubbi in relazione ai “griefbot” di cui sopra. Sono invece più ottimista nei confronti del rapporto tra il post mortem e i social network. Certamente, la presenza invasiva della morte e dei morti nei social network può spingerci a teatralizzare il memento mori, continuando così a rimuoverlo attraverso atteggiamenti nar-cisistici. Ma è anche vero che mai come oggi il memento mori ha

trovato una sua rappresentazione visiva così potente e immediata. L’ultimo post su Facebook, prima di una morte improvvisa, è un potentissimo esempio peda-gogico per comprendere l’ineludibilità della fine. Ma, affinché la pedagogia prevalga sul narcisismo, occor-re coniugare la consapevolezza della presenza della morte nei social con percorsi ragionati di Death Edu-cation”.

È la storia sociale della morte che continua a non essere mai fatta. La morte resta un evento compiuto e privato, anche con queste nuove risorse interattive. Un fulcro intorno a cui fluttuano dati. Quello che c’è prima e che ha portato, in molti casi a una morte evitabile, esce dalle mappe di indagine. Basta guardare cosa fa la tv ogni giorno con crimini e delitti...“Vero, ma in una dimensione interattiva come i social network c’è anche la possibilità, da non sottovalutare, di condividere il dolore. Aspetto che, mancando nella dimensione offline, rinchiude il dolente in una sorta di bolla autistica. Moltissime persone trovano rifugio sui social quando soffrono una perdita. E questa può essere una risorsa, se gestita con raziocinio e con un’e-ducazione meticolosa al mezzo digitale”.

All’incrocio di etica, filosofia, criogenica, nuova informatica, death education, come si fa a essere secondo te al passo coi tempi ma non immemori del sentimento tragico della vita?“Bisogna anteporre la ragione all’ansia. Abbiamo nuovi strumen-ti che modificano il legame con la finitezza e la mortalità? Utiliz-ziamoli come risorse positive, senza rimanerne schiavi. Puntiamo sull’educazione, sulla capacità di sviluppare la nostra intelligenza e anche, secondo me, su un po’ di irriverenza. Alla fine, la rappresen-tazione della morte fatta dai Monty Python in “Il significato della vita” è un buon punto di partenza per affrontare la realtà e tutte le inedite tecnologie di cui facciamo uso”.

Pensieri e parole

Carmine Castoro

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