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La scultura greca Lezioni 15, 16 e 17 (del 27 e del 30/01/06) Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2006-2007 Premessa: Un excursus sull’evoluzione della scultura greca necessiterebbe di un vero e proprio volume tanto ampia è la produzione letteraria della critica accreditata. Per questa ragione, vogliamo limitarci a fornire un breve riassunto delle principali personalità artistiche presentate durante il corso rimandando, eventualmente, alla lettura dei molteplici compendi di storia dell’arte. Usualmente l'arte dell'antica Grecia viene suddivisa, da punto di vista dello stile, in quattro periodi principali: arcaico,severo, classico, ellenistico. Il periodo arcaico è convenzionalmente fissato a partire dal X sec. a.C., sebbene si abbiano pochissime informazioni sui primi duecento anni (tradizionalmente conosciuti come Medioevo ellenico).. Le Guerre persiane (480- 448 a.C.) sono normalmente ritenute la linea di separazione tra il periodo arcaico e il successivo periodo classico, e il regno di Alessandro Magno (336-323 a.C.) quella tra periodo classico e periodo ellenistico. Ufficialmente si considera terminata con il 146 a.C., quando la Grecia diventa provincia romana. Le origini: Una vera e propria statuaria greca per caratteri, filosofia e stile può essere identificata a partire dall’VIII sec a.C. con il superamento delle tradizioni dedalica, erede diretta delle forme artistiche di età micenea , attraverso l’intermediazione esercitata dal medioevo ellenico. La statuaria arcaica è caratterizzata da Kouroi (plurale di Kouros) che significa Ragazzi, o giovani maschi, e da Korai (plurale di Kore) che indica ragazze, giovani femmine. Le opere scultoree sono di varia dimensione, che può variare dai 15 cm ai 215 cm. Le sculture possono essere di bronzo, di pietra (marmo) e/o altri materiali. Il Kouros dell'età arcaica presenta un modellato plastico imitativo della natura ma con una forte accentazione geometrica, perché le parti anatomiche, tutto sommato spesso abbastanza proporzionate, sono il più delle volte ridotte a elementi semplici, quali poligoni e solidi regolari. A esempio nell'Apollo da Tebe il petto, l'addome e l'arcata costale sono incisi nel bronzo, mentre il torso appare come un trapezio con la base minore rivolta verso il basso. Kore di AntenorAtene, museo 681 dell’Akropolis (ultimo quarto del VI sec a.C.)La statua e la base inscritta sono state trovate nel febbraio 1886, a nord- ovest del Erechtheion. Antenore, secondo le fonti fu autire del gruppo dei Tirannici distrutto nella colmata persiano e sostituito, nel 480 a.C., dall’opera di Kritios e Nesiotes.Marmo “insulare„H. (incl. base) 2.155 m. Moscophoros Moskophoros, portatore di vitello; dall'Acropoli di Atene, 570- 560 a.C. Altezza m 1,65 Dedicata da Rhombos ad un dio, raffigura un giovane sorridente che porta sulle spalle un vitello. Gli avambracci flessi con le mani che affferrano i piedi dell'animale, creano con le zampe una evidentissima forma ad "x". Appare evidente il modellato plastico che si fa più imitativo della realtà, soprattutto nella testa del vitello. Si tratta di un'opera a funzione religiosa, rappresentativa delle offerte animali tipicamente in uso in quei secoli. 1

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La scultura greca Lezioni 15, 16 e 17 (del 27 e del 30/01/06)

Miscellanea a cura di Sandro Caranzano , riservati ai fruitori del corso di archeologia presso l'Università Popolare di Torino 2006-2007

Premessa: Un excursus sull’evoluzione della scultura greca necessiterebbe volume tanto ampia è la produzione letteraria della critica accreragione, vogliamo limitarci a fornire un breve riassunto delle prartistiche presentate durante il corso rimandando, eventualmenmolteplici compendi di storia dell’arte. Usualmente l'arte dell'ansuddivisa, da punto di vista dello stile, in quattro periodi principclassico, ellenistico. Il periodo arcaico è convenzionalmente fisssec. a.C., sebbene si abbiano pochissime informazioni sui primi(tradizionalmente conosciuti come Medioevo ellenico).. Le Guer448 a.C.) sono normalmente ritenute la linea di separazione tra successivo periodo classico, e il regno di Alessandro Magno (336periodo classico e periodo ellenistico. Ufficialmente si consideraa.C., quando la Grecia diventa provincia romana.

Le origini: Una vera e propria statuaria greca per caratteri, filosofia e stile pidentificata a partire dall’VIII sec a.C. con il superamento delle terede diretta delle forme artistiche di età micenea , attraverso l’iesercitata dal medioevo ellenico.

La statuaria arcaica è caratterizzata da Kouroi (plurale di KouroRagazzi, o giovani maschi, e da Korai (plurale di Kore) che indicfemmine. Le opere scultoree sono di varia dimensione, che può 215 cm. Le sculture possono essere di bronzo, di pietra (marmo)Il Kouros dell'età arcaica presenta un modellato plastico imitativcon una forte accentazione geometrica, perché le parti anatomicspesso abbastanza proporzionate, sono il più delle volte ridotte aquali poligoni e solidi regolari. A esempio nell'Apollo da Tebe il l'arcata costale sono incisi nel bronzo, mentre il torso appare cola base minore rivolta verso il basso.

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La postura è abbastanza rigida, con figura in piedi, in molti casi con un arto inferiore avanzante. Il movimento di avanzamento è spesso accompagnato dalla flessione dell'avambraccio che regge un'offerta votiva o uno strumento caratterizzante l'attività del personaggio che rappresenta. Le figure sono quasi sempre nude, caratteristica che probabilmente deriva dall'uso sportivo (gli atleti gareggiavano nudi, oppure coperti con armi militari). Al contrario le Korai sono spesso vestite, ossia coperte dei tipici vestiti greci, Himation, Peplo e Kitone. Gli abiti spesso avvolgono le korai nascondendo le membra, lasciando in evidenza solo le curve generali tipiche degli attributi femminili. I volti spesso presentano un sorriso che probabilmente indica l'eterna felicità, la superiorità dell'anima derivante dal distacco dagli affanni terreni. Queste statue, qualunque sia la grandezza che possiedono, raffigurano dei, atleti vincitori di gare, militari valorosi morti in guerra. Quando sono offerti agli dei hanno una funzione dedicatoria o votiva; quando invece sono in prossimità di sepolcri hanno la funzione di ricordare il defunto virtuoso. Le statue di grandezza superiore al naturale, suggeriscono una soggezione psicologica nel fruitore dell'opera che in forma implicita tendono a riconoscerne la grandezza eroica. Le korai, solitamente vestite, avevano decorazioni pittoriche sui segni che indicano le vesti. La grande maggioranza delle decorazioni sono andate perse, ma tracce su alcune opere indicano che molto probabilmente la scultura arcaica greca delle korai era resa policroma da applicazioni di strati di pittura. Spesso venivano colorati anche gli occhi che davano un impressionante senso di realtà.

Hera Cheramyes:Originariamente realizzata a Samo, ora si trova al Museo del Louvre di Parigi. L’artista è un autore greco, Cheramyes, del quale non si hanno notizie, il nome è noto dall’iscrizione sulla statua. La Hera di Samo è uno degli esempi più antichi della statuaria greca- ionica. Alta 1 metro e 92, è un modello di grande essenzialità geometrica rigorosa ed assoluta, ma nello stesso tempo si evidenzia una certa sensibilità propria tipica della corrente ionica. Il lungo fusto cilindrico della statua è solcato da sottili striature e le pieghe del lungo camice (chiton) e del mantello (himation) indossati dalla dea, creano una delicata vicenda di ombre e di luci sulla superficie della statua che, per il suo volume e per le sue forme, sembra quasi una colonna ionica. I piedi si ritraggono sotto la veste per non turbare la perfetta circolarità della base, e le pieghe del mantello si fanno più rade per suggerire le curve del braccio e del busto quasi a frenare lo slancio delle pieghe sottostanti più minute e fitte come striature verticali. È importante l’effetto luce sulla statua, sia sullo stelo cilindrico delle gambe avvolte nella veste pieghettata, che sul busto squadrato idealmente chiuso in quattro piani ortogonali. Lo scultore ha cercato di definire un particolare effetto: la sostanza viva dello spazio, la luce, penetra in quella geometrica della scultura fino ad identificarsi con la materia dello spazio stesso; la luce indugia sulle superfici incurvate. L’Hera di Samo ci è giunta priva del capo; ma ciò non impedisce di ravvisare in questa opera uno dei più ammirevoli e caratteristici saggi della plastica ionica ed è tipicamente ionico questo intrecciarsi di un’attenta sensibilità alle variazioni e vibrazioni luminose, alla rigorosa geometria dei grandi volumi.

Metope piccole di Selinunte: Sono sei, in tufo, appartenute (come fanno supporre le dimensioni abbastanza simili) forse ad un unico edificio templare, forse (come fanno supporre i punti diversi in cui sono state ritrovate) a più edifici templari, che non conosciamo ma che certamente dovevano trovarsi all'interno dell'acropoli, di cui uno potrebbe essere il c.d. "tempio delle piccole metope", il cui basamento rettangolare è posto ad est del tempio D. Furono reimpiegate nella cinta muraria dopo la distruzione del 409 a.C., quando i templi dovevano essere già crollati e per necessità di difesa i Selinuntini non badarono più a conservare opere d'arte. E' chiara in esse la matrice culturale greco-orientale, ma vi è nel contempo presente una certa componente locale. Le prime quattro furono rinvenute nel 1892 da A. Salinas presso la torre semicircolare oltre la porta nord; le ultime due da V. Tusa nel 1968 nella torre che sta alla estremità meridionale della cinta muraria del lato est. Sono databili fine VII- inizi VI sec a.C.

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Il periodo severo (480-450 a.C.). Il passaggio dall'arte arcaica a quella classica si ebbe attraverso lo stile severo, dalle guerre persiane (480 a.C.) alla metà del sec. V: in esso si fusero le precedenti esperienze e, superata l'astratta monumentalità arcaica, si affrontarono i problemi del naturalismo e del movimento. Il tempio di Zeus a Olimpia è, in Grecia, il capolavoro del periodo, soprattutto per le sue metope figurate e le sue sculture frontonali. L'architettura dei numerosi templi della Magna Grecia e delle colonie asiatiche è vicina a quella della madrepatria. Tra le sculture architettoniche, le metope del tempio E di Selinunte (Palermo, Museo archeologico) si avvicinano nella loro intensità espressiva all'arte di Olimpia. Note solo da copie sono le opere dei maggiori scultori, come il gruppo dei Tirannicidi di Crizio e Nesiote , l'Afrodite Sosandra del delicato Calamide , il Discobolo di Mirone . Non mancano però insigni originali di artisti anonimi, come i grandi bronzi dell'Auriga di Delfi (Delfi, Museo) o del Poseidon di Capo Artemision (Atene, Museo nazionale) e, tra i marmi, la testa dell'Efebo biondo dell'Acropoli e alcune belle stele attiche. Per esemplificare il tema, presenteremo alcune opere campione scelte tra la vasta produzione di questo trentennio.

Auriga di Delfi (480-450 a.C.) Auriga di Delfi, statua di bronzo databile intorno al 478 a.C.;

rinvenuta negli scavi del santuario di Delfi e facente parte di una quadriga, commissionata da Polizalo (Polyzalos di Deinomedes), tiranno di Gela, forse per ricordare una vittoria ottenuta nella corsa con i carri, nel 478 o 474. L’autore dell’opera ci è ignoto, tuttavia molti studiosi ritengono che si possa attribuire a Sotada di Tespie o a Pythagoras di Samo. La statua era probabilmente collocata su un carro tirato da cavalli, del quale si conservano solo pochi frammenti. L'opera è stata fusa in bronzo spesso, perché più resistente all'esposizione alle intemperie e le rifiniture sono state eseguite a freddo. La scultura presenta un'ottima conservazione, anche se è mancante del braccio sinistro, perché venne sepolta da una caduta di massi nei pressi del tempio di Delfi dove era collocata. L’auriga veste un lungo chitone cinto in vita, pesante e scanalato come una colonna; nella mano destra tiene delle redini; il volto è leggermente rivolto a destra. Attorno al capo la benda (tenia) del vincitore, con decoro a meandro e incrostazioni di rame e argento; gli occhi sono in pietra dura e le ciglia di lamina di rame. I piedi sono resi con una naturalezza fresca e precisa, mostrano i tendini tesi per lo sforzo appena compiuto. I capelli sono finemente disegnati, in riccioli che non alterano le dimensioni del capo.

Kritios e Nesiotes (statue di Armodio e Aristogitone). Dopo lo stabilirsi della democrazia, allo scultore Antenore fu commissionato un gruppo scultoreo dei Tirannicidi che fu eretto nell'Agora. Questo gruppo fu trafugato dai Persiani durante l'occupazione di Atene nel 480 a.C. (vedi Guerre Persiane) e restituito agli ateniesi da Alessandro Magno (secondo lo storico Arriano) o da Seleuco I Nicatore (secondo lo scrittore romano Valerio Massimo). Nel frattempo, comunque, i cittadini attici avevano 3

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commissionato nuove statue a Crizio e Nesiote che furono erette nel 477 a.C. circa. Entrambi i gruppi di statue sono andati perduti, ma le opere più tarde furono oggetto di copia in epoca ellenistica e romana. Una di queste copie è oggi esposta al Museo Archeologico di Napoli. Essa mostra ritratti idealizzati dei due eroi: un Armodio nudo e sbarbato con un fisico molto più adulto di quello che avrebbe potuto avere, che spinge in avanti una spada con il suo braccio sinistro alzato e ne tiene un'altra nella mano destra; anche Aristogitone, rappresentato con la barba, brandisce due spade ed ha un clamide poggiato sulla spalla sinistra. Delle quattro spade si sono salvate solo le else e la testa originale di Aristogitone è andata perduta, sostituita da un'altra che non si armonizza nell'insieme. Un altro tributo ai Tirannicidi era un inno cantato come canzone da bevuta (skolion) nei simposi, scritti da Callistrato, un poeta ateniese.

Afrodite Sosandra (calamide) La tradizione letteraria rappresentata da Pausania (I 23, 2) e da Luciano (Imagines, 6) ci fa conoscere l’esistenza di una statua bronzea raffigurante l’Afrodite Sosandra ("che salva gli uomini"), realizzata nel decennio 470/460 a.C. da Calamide, uno dei grandi bronzisti dello stile cosiddetto "severo". La statua, dedicata da Callia, cognato di Cimone, all’ingresso dell’ Acropoli di Atene, aveva un sorriso «puro e venerando» ed era avvolta in un mantello «semplice e dignitoso», che le copriva anche la testa. Gli studiosi individuarono, fra le numerose repliche romane di originali greci, una serie di copie acefale di una statua panneggiata e tutta chiusa nel manto, cui ben si adattava, per stile e dimensioni, una serie di teste avvolte dallo himation in un primo momento identificate col ritratto di Aspasia, la favorita di Pericle. La felice scoperta, nel 1953, di una copia intera della statua, ora al Museo Nazionale di Napoli, confermò poi che corpo e testa erano coerenti. La grazia unita al pudore, ecco la definizione di Luciano perfettamente realizzata: e la severità della figura ben si accorda con lo stile degli anni in cui fu attivo Calamide, stile a noi noto da altre copie di statue del periodo. Inoltre, la resa del mantello, concepito come un blocco chiuso e solido, al tempo stesso soffice e pesante, nonché particolari quali il contorno degli occhi e l’andamento delle labbra tradiscono la maniera tipica di realizzazione per mano di un bronzista.

Il periodo classico: Il periodo classico dell'arte greca dalla metà del sec. V alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), ebbe il suo inizio, e anche il suo maggior splendore, nell'età di Pericle. L'Acropoli di Atene accolse i monumenti più significativi dell'arte classica, dal Partenone dorico - anche se ingentilito dal lungo fregio continuo - di Ictino, ai propilei di Mnesicle (in cui l'ordine dorico si unisce a quello ionico), all'Eretteo di Filocle e al tempietto di Atena Nike di Callicrate, di pieno stile ionico. Tutti i più importanti santuari del mondo greco si arricchirono di templi, di tesori, di monumenti votivi.

Mirone di Eleutère: Mirone di Eleutère, detto l'"ateniese", concentrò la sua attività nell'attuale capitale greca, visse probabilmente nella prima metà del V sec.. Imparò la scultura da Agelàda, maestro anche di Policleto. Operò utilizzando il bronzo; nessuna sua opera è giunta fino a noi in forma diretta, ma possiamo avere idea della sua arte

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attraverso copie romane in marmo, che dimostrano la popolarità di cui godeva sin dai tempi antichi. Il discobolo è noto per tre copie romane di un originale perduto in bronzo 480-460 a.C. altezza 156 cm. Alcune parti sono ricostruite (la mano sinistra e la testa). Mirone si ispira all'imitazione della natura, nei suoi aspetti immanenti, compreso atteggiamenti, movimenti e posture tipicamente umani, come la sorpresa di Marsia (del gruppo Athena e Marsia) che trova il flauto buttato via da Atena la quale trovava disdicevole gonfiare le gote per soffiare nello strumento. Fermare un attimo è sicuramente uno degli obiettivi dell'arte di Mirone, il quale sembra contraddire Zenone che soleva affermare che il tempo non esiste, in quanto il passato non c'è più, il futuro ancora deve arrivare ed il presente corre. Ecco un istante di vita bloccato, ecco un movimento immobilizzato in un "atomos" (dal greco antico, atomos è "elemento non divisibile") temporale accompagnato da grande sforzo fisico teso a lanciare il disco il più lontano possibile per vincere la gara olimpionica.

Il trono Ludovisi (V sec a.C.). Il Trono Ludovisi fu rinvenuto nel 1887 durante i lavori di urbanizzazione della Villa Ludovisi, nella zona compresa tra le odierne via Piemonte, via Abruzzi, via Boncompagni e via Sicilia, area corrispondente agli antichi Horti Sallustiani. Per la forma inconsueta e per la decorazione a rilievo evocativa di miti arcaici il trittico marmoreo divenne subito dopo la sua scoperta la scultura forse più famosa e discussa della collezione Boncompagni Ludovisi. La frattura della parte superiore della fronte non permette di definire con certezza l’originaria sagoma, probabilmente triangolare. Molteplici sono state le ipotesi circa la destinazione del monumento, che fu interpretato inizialmente come balaustra di scala, successivamente come trono di una colossale statua di divinità, forse Afrodite Erycina, ed infine come coronamento di un altare o di un'edicola. La maggior parte degli studiosi ritiene che il soggetto rappresenti la nascita di Venere (Afrodite) dalla spuma del mare, forse a Cipro ma è più probabile che si tratti della nascita di Proserpina dall’Ade nell’ambito del circolo stagionale. La decorazione a bassorilievo raffigura sulla fronte Afrodite/Proserpina vestita di chitone, che nasce dalla spuma del mare, sorretta da due korai; il leggero velo che esse sorreggono nasconde in parte la scena. Sui lati sono rappresentate due figure sedute su un cuscino: a sinistra una giovane nuda suona il doppio flauto, a destra una donna con chitone e mantello rialzato sul capo prende da una pisside dei grani di incenso per porli in un bruciaprofumi. La singolarità della forma trovò, dopo pochi anni dalla scoperta, un riscontro in un altro trittico, con decorazioni simili, forse proveniente dallo stesso luogo del Trono Ludovisi: si tratta del cosiddetto Trono di Boston (ora a Boston, Museum of Fine Arts). L'esecuzione dell'opera è attribuita all'ambiente magno greco, per la sua probabile provenienza dal santuario di Afrodite a Locri Epizefiri.

Fidia Φειδίας (Atene ca. 490 a.C. – ca. 430 a.C.) è stato un celebre scultore, pittore e architetto greco, delle cui opere originali, peraltro, sono giunti ai nostri giorni ben pochi resti: le conoscenze attuali che si hanno sulla sua opera si basano prevalentemente sulla descrizione di scrittori antichi e sulle copie rinvenute di alcune sue sculture, alcune delle quali, eseguite su monete e gemme. Si sa solo che Fidia eccelleva nella perfezione e nella plasticità delle forme, con una perfetta espressione di ideale di eterna bellezza. Sulla sua vita si hanno pochi dettagli: sappiamo che nacque ad Atene poco dopo la battaglia di Maratona, fu allievo di Egia, scultore della scuola

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peloponnesiaca e conobbe anche il pittore Polignoto; insieme a Mirone e Policleto apprese ad Argo le tecniche della scultura in bronzo. la c La sua prima opera conosciuta è la colossale Atena Promachos eretta in bronzo sull’Acropoli di Atene nel 460 a.C.. In seguito, Pericle lo scelse per sovraintendere ai lavori del nuovo tempio dedicato ad Atena (il celebre Partenone). La colossale statua di culto crisoelefantina (rivestita d’oro e di avorio) dell’Atena Parthenos fu dedicata nel 438 a.C.. Realizzò i modelli per le sculture dei due frontoni, per le 92 metope del fregio esterno e per il fregio che decora il muro della cella, che vennero eseguite da molti suoi discepoli e allievi (i resti si possono ammirare sui due frontoni, compresi diciannove delle novantadue metope e il fregio che raffigura la processione delle Panatenee) e quella dei Propilei, il monumentale ingresso alla città fortificata. Maggior parte delle statue rappresentate sono realizzate con la tecnica del panneggio bagnato ideato dallo stesso Fidia.

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Quasi tutte le opere rinvenute sono conservate al British Museum di Londra e sono conosciute col nome di “Collezione marmi di Elgin”. Rappresenta la nascita di Athena. A sinistra Helios, trainato dai suoi cavalli, sorge dal profondo del mare, mentre a destra Selene e la sua quadriga scendono in esso. Dionysos nudo è sdraiato sul proprio mantello e si rivolge verso il sorgere del sole. Seguono, sedute, Kore e Demetra, e a loro si avvicina Artemis. Al centro Zeus seduto, del capo del quale usciva Athena armata. All'inizio del secondo spiovente probabilmente Efesto che con la sua scure apriva la testa di Zeus. Seguivano altre divinità, da ultime Hestia e Dione che raccoglieva in grembo Afrodite sdraiata. Ancora più complesso di quello orientale. Il mito narrato è quello della gara tra Athena e Poseidon per il possesso dell'Attica. All'avvenimento partecipano divinità ma soprattutto gli eroi antichi della città e della regione. Nike attende la vittoria della dea prediletta, Hermes serve da auriga mentre Athena, scesa da una biga (i cavalli s'inalberano) dona l'olivo ad Atene. Poseidon, sceso da cavallo, fa scaturire una sorgente d'acqua salmastra col tridente. Iris accorre verso di lui, quasi a frenare il suo destriero, a dimostrare la presenza delle forze della natura. Seguono Anphitrite su un mostro marino e altri eroi attici. Gli dei tendono verso il centro del triangolo, occupato dall'olivo, dono eterno di Athena sottolineato dagli eroi attici, predecessori dei cittadini di Atene.

Il fregio del Partenone alto circa un metro e lungo circa 160 metri, è il maggior complesso di sculture del mondo antico. Esso avvolge completamente la cella dell'edificio. Il tema descritto è quello delle processioni panatenee. L'inizio della scena è nell'angolo sud-occidentale. Il fregio occidentale è composto da 30 figure. Un uomo sembra dirigere e ordinare un corteo di cavalieri. Questi si preparano per il corteo muovendosi verso il lato settentrionale. La cavalcata si fa più densa e serrata nel lato settentrionale, diretta verso est. I cavalieri sono preceduti dai carri. Seguono gli anziani, i musici che suonano cetre e flauti, i portatori di hydriai, i portatori di vassoi con offerte,

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coloro che guidano le pecore e i vitelli al sacrificio. Sono rappresentati ben 134 protagonisti che insieme costituiscono l'epitome di una società industriosa, mobile e tesa senza risparmio al futuro. Nel fregio meridionale 128 figure si muovono verso est. I cavalieri occupano le prime lastre, i carri quelle successive. Seguono gli anziani, i portatori di vassoi e coloro che guidano i vitelli al sacrificio. Le processioni confluivano nel fregio orientale. Si ha un totale di 63 figure. Le fanciulle di Atene, alla presenza invisibile degli eroi, offrono alla dea il sacro peplo. Gli dei assistono invisibili. Da sud Hermes, Dionysos, Demeter, Ares, Iris ed Hera, Zeus seduto sul trono e, sull'altro lato, Athena, Efesto, Poseidon, Apollo, Artemis, Afrodite ed Eros. Al centro della composizione un anziano piega il sacro peplo offerto ad Athena. Alla concitazione del fregio occidentale, che si stempera sui lati lunghi, si contrappone la pacatezza delle figure del fregio orientale. Gli dei, seduti, sono pari in altezza ai mortali, e solo questo li distingue. Del fregio orientale l'unità di mortali, eroi e dei rappresenta il momento più alto dell'etica partenonica. Qualcuno ha voluto trovare un significato più drammatico nei cavalieri del fregio del Partenone. Se si contano le figure, si nota, infatti, che esse sono 192. Forse in essi si sono voluti esaltare i caduti di Maratona che, ormai eroi, accompagnano la processione.

Le metope: Le metope sono 14 sui lati brevi e 32 su quelli lunghi, approssimativamente quadrate e probabilmente col fondo dipinto di blu. In tutte sono rappresentate scene di guerra, e formano un ciclo che si articola in quattro avvenimenti, uno per lato. Nel lato occidentale è rappresentata un'amazzonomachia, ma le figure sono tutte scalpellate.Sul lato settentrionale solo la XXXII metopa è in buono stato di conservazione, e raffigura Iris ed Hera. Sul lato orientale si ha una gigantomachia, ma le sculture sono in pessimo stato di conservazione. Sul lato meridionale le metope rappresentano una centauromachia e sono conservate meglio, probabilmente perché il pendio troppo scosceso dell'Acropoli rendeva inagibile il lato meridionale del tempio. Le metope centrali (13-21) interrompono la narrazione: su di esse, ora perdute, erano rappresentati miti attici. La centauromachia rappresenta allegoricamente la lotta tra razionalità e bestialità.

Zeus da Olimpia Nel 437 a.C. si sposta ad Olimpia, dove è incaricato di realizzare una nuova statua crisoelefantina di Zeus Olimpio, situata all’interno del tempio della città di Olimpia ed annoverata tra le sette meraviglie del mondo; purtroppo, la statua è stata perduta, ma, grazie, alla descrizione ad opera di Pausania, nel testo la “Periegesi della Grecia”, è possibile farne una ricostruzione. Fu, anche, ideatore di molte altre sculture, come, ad esempio, il gruppo bronzeo che rappresenta alcuni eroi greci con al centro il generale Milziade e si conoscono altre statue dedicate alla dea della saggezza, Atena (una delle quali, nota da copie, ha preso il nome di Atena Lemnia).

Athena Parthenos La grande statua crisoelefantina alta circa 11 metri, raffigurante la dea Atena, era situata nel grande tempio sull’acropoli d’Atene, il Partenone

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dedicato appunto alla dea). Atena era rappresentata in piedi, con una nike (vittoria) sul palmo della mano destra, simbolo della vittoria sui persiani da parte di Atene, e uno scudo appoggiato per terra, tenuto su con la mano sinistra. Su questo scudo era rappresentata un’amazzonomachia, cioè un rilievo raffigurante la battaglia tra uomini ed amazzoni. L’opera, che doveva essere stata molto suggestiva, è attribuita dalle fonti a Fidia, scultore già artefice dello Zeus di Olimpia e di altre opere importanti dell’antichità classica. Dell’Athena Parthenos oramai non ne resta più traccia, scomparsa nel corso dei secoli.

Athena Lemnia L’originale bronzeo di Fidia, eseguito tra il 451 e il 448 a.C. per gli Ateniesi che erano andati come cleruchi, cioè come coloni, ad abitare l’isola di Lemno, è noto soltanto da pochissime repliche in marmo di età romana, alle quali vanno aggiunte la testa rinvenuta nei pressi del Rione Terra a Pozzuoli e la Testa Palagi a Bologna, quest’ultima ritenuta dagli studiosi la più fedele all’originale. La statua si ergeva su un piedistallo all’aperto, sull’Acropoli di Atene, ed era considerata la più bella statua di Fidia. La dea è in atteggiamento assorto e pensoso; le guance morbide e il naso armonico ne accentuano la bellezza, celebrata da numerosi scrittori antichi tra cui Luciano, che la definiva l’«opera» per antonomasia di Fidia, e Pausania, che precisava: «la più notevole delle opere di Fidia è la statua di Atena detta Lemnia, dal nome dei suoi donatori». Caratteristica è anche la capigliatura, modellata in ciocche simmetriche che danno una sensazione di corposità e morbidezza.

Policleto di Argo (V secolo a.C.): fu uno dei massimi scultori greci del periodo classico, contemporaneo di Fidia e Mirone. Fu l'autore di un trattato, chiamato Il Canone, in cui teorizzava le proporzioni e i rapporti numerici ideali del corpo umano. Il trattato è andato perduto assieme alle sue opere scultoree, ma le sue elaborazioni teoriche e le realizzazioni artistiche ci sono note attraverso le copie romane delle sue statue, che testimoniano anche della fama e della fortuna che ebbero presso gli antichi. Tra le statue bronzee eseguite da Policleto le più famose sono il Diadumeno (c. 430 a.C.), l'Amazzone ferita (c. 435 a.C.), la statua crisoelefantina di Era (c. 420 a.C.), ma soprattutto il Doriforo (c. 450 a.C.).

Il doriforo è una splendida scultura di Policleto, realizzata tra il 450 ed il 445 a.C.; è molto probabilmente l’ideale rappresentazione del mitico eroe Achille. Il Doriforo nell’immaginario collettivo non è altro che l’incarnazione stessa dell’ideale classicistico. Ciò che maggiormente è espresso in tale statua, è l’armonico rapporto fra le parti. Magistrale esempio di classicità e dinamismo strutturale. Di quest’opera non ci è pervenuto l’originale, la copia meglio conservata si trova nel Museo Archeologico di Napoli. Il diadumeno, (in greco Diadúmenos – “che si cinge la fronte [con la benda della vittoria]”), è una statua realizzata da Policleto tra il 430 e il 425 a.C.. A differenza del Doriforo, nel Diadumeno il baricentro della figura non è su una gamba, bensì al centro fra le due. Rimangono, ad oggi, più di trenta copie di questa scultura; le più celebri sono: il Diadumeno di Delo, conservato al Museo Archeologico Nazionale di Atene ed il Diadumeno di Vaison, conservato al

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British Museum di Londra. Plinio racconta che Policleto intraprese una gara con Fidia, Fradmon e Kresilas, per chi avesse scolpito l’Amazzone più bella. Vinse appunto Policleto con una statua di bronzo che fu conservata per parecchio tempo nel tempio d’Artemide di Efeso. Queste tre statue ci sono pervenute in innumerevoli copie romane. L'amazzone " Sciarra ", attribuibile a Crèsila, ha una ferita vicino al petto ed esprime il desiderio di riposo sia con l'atto di appoggiarsi, probabilmente ad un pilastro alla sua destra, sia mediante l'iconografia della mano posta sul capo. Il ritmo chiuso dalla mano sinistra sul capo e la destra appoggiata ad una quinta ci allontanano dagli interessi compositivi di Policleto; l’artista sembra interessato ad un circuito chiuso in sé stesso di ascendenza pittorica. L'Amazzone Capitolina, opera di Policleto, si appoggia su due lati: a sinistra sulla gamba portante e a destra sulla lancia. Nel mezzo è messa in risalto la parte destra, ferita, del corpo, e la ferita, ben evidente, è sottolineata dal cenno della mano e dallo sguardo. Questa guerriera viene rappresentata gravitante sulla gamba sinistra, mentre la gamba non portante è flessa e tirata indietro; quindi il braccio destro si solleva e la mano sinistra regge una parte della veste. La figura dell'Amazzone può esser considerata il corrispettivo femminile del Doriforo, eseguito nel 445 a.C. Infine Fidia, contemporaneo di Policleto, che aveva già risolto i problemi inerenti la ponderazione e l'equilibrio dei volumi della statuaria greca, creò un modello scultoreo espressivamente libero e svincolato dalla problematica tradizionale. Egli seppe rendere chiare le sue novità nella realizzazione dell'Amazzone ferita (440-430 a.C.). Si può osservare nella copia in gesso del tipo Mattei, la migliore fra quelle che si sono conservate, l'equilibrio ottenuto tramite l'appoggio sulla gamba destra tesa e la lancia, tenuta con entrambe le mani. Questo espediente scarica da buona parte del peso la gamba sinistra, flessa e tirata in avanti, la cui coscia ferita viene mostrata in primo piano perché un lembo della veste è sollevato ed assicurato alla cintura.

Kallimachos Fu considerato da Vitruvio l’inventore del capitello corinzio. Continuatore dela tecnica scultorea di Fidia gli viene attribuito un ciclo delle menadi danzanti che si conosce tramite la copia del Museo dei Conservatori. Collaborò alla realizzazione dei parapettti del Tempio di Athena Nike sull’acropoli di Atene.A lui si attibuisce anche la Venere del Frejus oggi al Museo del Louvre. Il tempio di Athena Nike Intorno al 410 a.C. fu circondato da una balaustra scolpita con motivi di nike colte in varie attività (celebre quella che si riallaccia un sandalo) che assolveva inoltre allo scopo di evitare che i visitatori del tempio cadessero nel precipizio; i rilievi, ora al museo dell'Acropoli, eseguiti in un momento storico gravido di cattivi presagi per Atene, costituiscono un passo indietro sul versante dell'attenzione alla resa naturalistica del corpo umano e delle vesti, e sembrano indicare che l'artista ricercava effetti diversi, di carattere pittorico, che ha spinto alcuni critici a parlare di proto ellenismo Il fatto che potessero venire osservati dalla ripida salita ai Propilei, unica via d'accesso all'acropoli, consentì la ricerca di particolari effetti prospettici. La statua di culto, come ci viene descritta da Pausania, era di legno e portava in mano una melagrana. 9

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La statua era aptera, cioè senz'ali, il che si spiegava col fatto che la dea non doveva mai più lasciare la città.

Paionios (V sec a.C.) La statua della Nike di Paionios fu trovata ad Olimpia nel 1875 e dobbiamo immaginarla in cima ad un pilastro in marmo a sezione triangolare alto 9 metri .La figura della Vittoria con il manto svolazzante sta prendendo il volo come dimostrano i piedi sollevati da terra. Una iscrizione sulla base ricorda la vittoria dei Messeni e dei Naupatii sugli Elidi e gli Acarnanii. L’opera è anche firmata da Paionios di Mende. L’opera fu fatta per ricordare la vittoria degli Ateniesi sugli Spartani a cui parteciparono altre città alleate e che si svolse nel 425 a.C. Questa statua dovrebbe, allora, essere stata realizzata proprio negli anni successivi. In questa statua l’eredità fidiaca si coglie nella qualità disegnativa della figura animata dal panneggio. La teatralità è dominante.

Skopas (V sec a.C.) Skopas (in greco Σκόπας, 420 a.C. – 340 a.C.) fu un celebre scultore ed architetto

dell'antica Grecia. Nacque nell'isola di Paros, nelle isole Cicladi (Mar Egeo) ed è tutt'oggi considerato un artista da annoverare tra i grandi della scultura, un innovatore ed un maestro. Collaborò con Prassitele, Leochares, Bryaxis e Timotheos e realizzò una parte del Mausoleo di Alicarnasso (oggi Budrum), costruito intorno al 350 a.C., impegnandosi particolarmente nei bassorilievi e scolpendo il lato est della struttura. Diresse inoltre i lavori per la costruzione del nuovo edificio del Tempio di Atena Alea a Tegea, in Arcadia, dove lavorò personalmente e particolarmente sui frontoni che sono giunti ad oggi. Sono a lui attribuibili diversi edifici che facevano parte del Tempio dei Grandi Dei di Samotracia. Secondo gli storici della scultura della Grecia antica, Scopas fu l'inventore dello stile patetico, così chiamato per il pathos (il sentimento), ben definito dall'espressione dolente con cui egli era solito caratterizzare il volto delle proprie statue.

Prassitele (IV sec a.C.) Prassitele fu uno scultore greco vissuto in età ellenistica, nato ad Atene ed attivo tra il 375 ed il 326 a.C., anno della sua morte. Nacque ad Atene tra il 400 a.C. e il 395 a.C.. Figlio di un altro scultore, Kephisodotos il Vecchio, Prassitele fu autore di opere memorabili, prevalentemente in bronzo, materiale che preferiva al marmo. Nicia lavorò più volte per lui applicando sulla superficie del mare una speciale cera colorata (ganosis). La peculiarità dell'arte prassitelica sta nella dolcezza del modellato delle sue statue marmoree, caratterizzate da una sorta di malinconia, pigrizia ed abbandono delle figure. I suoi personaggi non sono più i saldi ed equilibrati eroi del passato, ma dèi giovani, sfiniti, umanizzati. Il baricentro della figura si sposta su un lato, mettendo la figura rappresentata in una posizione di riposo. In molti casi, l'eroe o il dio è appoggiato ad un tronco o ad una colonna, come se non avesse più le forze per sostenersi da solo in piedi, anche se in realtà puntelli e sostegni di questo tipo sono indispensabili nelle statue in marmo, per ragioni strutturali. L’Afrodite Cnidia o Afrodite Anadiomene è la più celebre delle sculture di Prassitele ed una delle sua prime opere, eseguita intorno al 360 a.C. La scultura rappresenta la dea Afrodite nuda che si appresta a fare (o subito dopo) un bagno

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rituale, ed era destinata ad ornare il naos di un piccolo tempio dotato di due aperture lungo lo stesso asse, o forse in un tempietto monoptero nella città di Cnido. Secondo Plinio era destinata agli abitanti di Coo che però la rifiutarono scegliendo una statua panneggiata. Per la prima volta una dea viene rappresentata nuda ed in atteggiamenti intimi e personali. Proprio da questo tipo di comportamento e di situazione prende il nome il ripiegamento intimista la corrente che porta alcuni scultori, soprattutto Prassitele e Skopas a rappresentare divinità e figure mitologiche in atteggiamenti di svago. La statua ebbe subito una fama notevole e fu ampiamente venerata: Plinio il vecchio racconta addirittura di un nobile giovane che si innamorò della scultura. Non è certo un caso se è una delle sculture che vanta un maggior numero di copie e di varianti.

La sua nudità è un elemento voluto di seduzione, accentuato dalla lucentezza delle superfici del marmo e dalle forme morbide e femminili del corpo che si muovono nello spazio disegnando un profilo sinuoso, ad "S". Afrodite è infatti colta nel momento in cui, apprestandosi al bagno, lascia cadere con la mano sinistra la veste su una hydria (anfora) che le sta a fianco: veste e vaso fanno in realtà da supporto esterno alla statua, che può così ruotare leggermente in avanti e verso sinistra.In un gesto di istintivà e di noncurante pudicizia, come se fosse stata sorpresa in quella posa da un estraneo, la mano destra è portata a coprire il pube. Abbastanza significativo poi l’Apollo Sauroktonios, una statua che rappresenta il giovane Apollo nel momento in cui uccide una lucertola, dunque sarebbe l'Apollo Sauroktonos di cui parla Plinio. Quello che qui viene sottolineato è il potere curativo di Apollo, anche se l’atmosfera è dominata da un senso di gioco e di scherzo che preclude all’ellenismo. Di questa statua sono note due copie in marmo di età romana, conservate una al Museo del Louvre ed una ai Musei Vaticani, più una copia a Cleveland, unico esemplare in bronzo a noi noto. Nell’Hermes con Dioniso, Prassitele mostra Hermes mentre si riposa e fa giocare il bambino, forse con un grappolo d’uva. In sintonia con il clima del tempo, le due divinità sono rappresentate in un atteggiamento dolce e confidenziale. La scelta stessa di raffigurare Hermes (protettore dei mercanti e ispiratore di sogni degli uomini) e Dioniso (dio del vino, dello stordimento e dell’euforia da lui prodotti) è indicativa della precisa volontà di avvicinare gli dei alla realtà e alle passioni più semplici, più comune e meno impegnative. In questa statua c’è da notare l’accurata levigazione del marmo e la morbida trattazione dei particolari anatomici.

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Lisippo di Sicione: Lisippo fu un artista molto prolifico della statuaria greca. La tradizione parla, a proposito delle sue opere, di un'enorme produzione, che alcune fonti stimano in circa 1500 statue, la maggior parte delle quali in bronzo. Molte sono le statue degli atleti vincitori delle Olimpiadi greche di Olimpia, e si ha inoltre notizia di numerose quadrighe in marmo ed in bronzo. Negli ultimi anni della sua vita, eresse a Taranto una statua alta circa 17 metri di Zeus, raffigurato in posizione eretta vicino ad un pilastro sormontato da un'aquila e nell'atto di scagliare una folgore. Di questo immenso lavoro, che egli sviluppò e produsse operando a Sicione, Olimpia, Corinto, Rodi, Delfi, Atene, Roma e Taranto, purtroppo, il tempo non ha permesso che arrivasse a noi alcun originale, ma solo copie romane.

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Il sofista Callistrato ha descritto la statua del kairos, fatta dal grande Lisippo per lo stadio di Olimpia, come un adolescente con le ali ai piedi, il ciuffo in fronte e i capelli rasi alla nuca, diritto sulla punta dei piedi al di sopra di una sfera e con rasoio nella mano destra. Il significato figurato è evidente. Il kairos è il momento opportuno offerto dal fato all’uomo perché operi le sue decisioni. Le ali ai piedi però dicono che il kairos passa velocemente, bisogna perciò afferrarlo subito, prendendolo… per il ciuffo. La statua dell'Apoxyómenos, assieme ad un'altra statua di Lisippo, che rappresentava un leone giacente, si trovò, in epoca successiva, ad abbellire ed ornare le terme di Agrippa in Roma. La scultura in marmo dell'Apoxyómenos fu rinvenuta nel più antico quartiere di Roma, Trastevere, nel Vicolo delle palme, che da quel ritrovamento, prese poi il nome di Vicolo dell'atleta. Essa raffigura un giovane atleta nell'atto di detergersi il corpo con un raschietto di metallo, che i Greci chiamavano ξύστρα e i Romani strigilis, in italiano striglia, usato solo dai maschi e principalmente dagli atleti dopo le competizioni, che serviva per eliminare l'eccesso di sudore, polvere e olio che gli atleti usavano spalmarsi addosso prima delle gare di lotta. L'atleta è volutamente raffigurato in un momento successivo alla competizione in un atto che accomuna vincitore e vinto. La copia romana in marmo pentelico è attribuibile all'Età Claudia.

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Lisippo ritrasse Socrate ma soprattutto Alessandro nell'atto e nel gesto coraggioso di cacciare un leone, in combattimento ed in varie pose eroiche, ed a volte anche in pose ed atteggiamenti divinizzati. Con queste sue rappresentazioni artistiche, Lisippo creò così un nuovo stile, una nuova scuola di scultura; quella del ritratto fisionomico e individuale che, riproducendo l'aspetto esteriore del soggetto, ne suggeriva anche le implicazioni psicologiche ed emotive. Lisippo costruì nella ritrattistica, un canone che durò fino all'epoca medievale, quello del sovrano colto in apoteosi, in colloquio con la divinità. Accanto a questo ritratto del re Alessandro che influenzò così, profondamente la ritrattistica dell'Ellenismo, Lisippo eseguì vari altri ritratti, come quelli di Efestione di Pite di Abolera, di Esopo, di Prossilia e, molto importante quello di Socrate. L’Eracle Farnese è copia romana, firmata dall'ateniese Glýkon, di un modello bronzeo attribuito a Lisippo ed oggi perduto. La statua rappresenta il protagonista delle "dodici fatiche" colto in un insolito atteggiamento, di riposo: dopo aver prelevato dal giardino delle Esperidi i pomi d'oro, che tiene nella mano destra portata dietro la schiena, l'eroe, barbuto e nudo, con il capo reclino sul petto e lo sguardo rivolto in basso, appoggia il corpo dalla poderosa muscolatura sulla clava coperta dalla pelle di leone, lasciandovi ricadere quasi con abbandono il braccio sinistro. In netto contrasto con l'immagine tradizionale dell'eroe, la statua di Napoli ci mostra un Ercole pensoso ed introspettivo che, quasi dimentico del suo successo, sembra volerne nascondere le prove. Rinvenuta nel 1546 priva della metà inferiore delle gambe, essa fu restaurata dallo scultore Guglielmo Della Porta, allievo di Michelangelo. Anche dopo il ritrovamento di quelle originali, le gambe eseguite dal Della Porta restarono ad integrare la scultura fino alla fine del XVIII secolo. Esse sono attualmente esposte nella sala. L'attribuzione a Lisippo dell'originale greco che ha ispirato la replica romana è oggi generalmente accettata.