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La sfida del curatore è stata quella di cogliere il ... · Se il futuro non è semplicemente un quid di cui siamo ... la circondano mentre lo spazio della città è un enigma di

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Come si “rappresenta” il viaggio? Quali sono le forme dell’infinita dualità del mondo? Se il futuro non è semplicemente un quid di cui siamo in attesa, perché noi ne siamo invece i portatori, e se le maschere che ci ricoprono il volto giocano e si moltiplicano, e gli orizzonti narrano storie di terre, di mari, di addii, o di giovani pensieri che si offrono al cielo, allora spazi e tempi sono modi diversi di un’unica metafora: l’alterità come ricerca, lo sguardo come pensiero, l’immagine come immaginazione e la parola come incanto.

Le foto qui esibite sul “tema” del viaggio potrebbero essere considerate semplici ricordi.

Tali probabilmente furono quando vennero accumulate nella memoria di una macchina fotografica. Alcune appaiono lontane dal tema stesso, inclinando verso una meditazione su orizzonti e confini, destini e speranze.

Ma il gesto che le ha selezionate non parla di un viaggio particolare; le parole con cui le immagini si sposano ne rivelano il destino: ricordi di ricordi al limitare fra qualcosa che si lascia alle spalle (spazio-tempo già attraversato) e futuro egualmente inaccessibile e inevitabile. Il viaggio diventa metafora di un passaggio, memoria sospesa, fra incontri e perdite, fra genesi e futuro.

Le foto esposte e i versi (degli stessi autori) che le commentano non sono stati pensati né inviati dagli autori come semplici illustrazioni le une degli altri, ma associati come espressione di un coerente sentire.

La sfida del curatore è stata quella di cogliere il segreto di quel gesto, di riunificare la parola e l’immagine in un percorso dalle molte “figure” e dai molti “significati” che il visitatore potrà rileggere in sé, ripetendo a sua volta il processo associativo.

Egli potrà ripensare questo o quel particolare dell’immagine e della parola, riecheggiare e dilatare ricordi e “frontiere di ricordi” (Sezione I: Foto 00-10), sentirsi come un “Viaggiatore degli interstizi” che non è “né qui né lì”, nel continuo movimento fra spazi e tempi che il viaggio, soprattutto interiore ridefinisce (Sezione II: foto 11-15) cogliere in se stesso il confine di una fratturata tensione, che, rivolgendosi al mondo, lo scopre ferito (Sezione III: foto 15-19) e lo ripercorre avvertendo il segno talora tragico, talora inevitabile dell’umano cammino (Sezione IV: foto 20-24).

Eppure “là fuori c’è un mondo da salvare” (foto 24). Il visitatore riposa il suo pensiero ed il suo sguardo tra le pagine di un “catalogo celeste” che racchiude i suoi ricordi più belli, fragili, umani, quasi una preghiera (Sezione V: foto 25- 27).

Infine si lascia prendere da quella tensione fra “la genesi e il futuro” che è propria del viaggio come metafora di ogni cambiamento, dell’infinita dualità generatrice (Sezione VI: foto 29-34)

Nonostante la molteplicità delle letture possibili e delle suggestioni la mostra è stata divisa in VI sezioni i cui titoli sono tratti dai versi degli autori.

Sezione I: La frontiera dei ricordi (Elena Rusca)Sulla frontiera dei ricordi ci si perde due volte: negli occhi dell’immagine

che ci viene incontro e nel suo stesso essersi persa (Rusca). Un viaggio che non ha ritorno si perde in spazi marini sconfinati o in un cielo infuocato di tramonto dove rami sembrano offrirsi al giorno che finisce (Hassani Broccolo), e le strade segnate da frecce inesorabili sono protagoniste di un andare verso lo sfondo di una luce che assorbe (Ljusheva) o segnalare il momento dell’addio “fino al prossimo viaggio, fino ai prossimi occhi” (Stoyanova) o indicare un bivio che impegna a scegliere in realtà la strada del destino senza voltarsi indietro (Zivot).

Sezione II: Il viaggiatore degli interstizi (Rita Paonessa)In questa sezione il viaggio si rivela come luogo (spazio-tempo) di una metafora.

Non essere né qui né lì racchiude il mistero di questa metafora rappresentato dal riflesso delle luci di un treno in movimento a formare un incerto “esterno” percorso dalla velocità (Paonessa). La grazia di una figura in movimento, passo dopo passo come gocce di pioggia (Konin), l’immagine di una cattedrale quasi sollevata e trattenuta da due lembi di vento che nella foto la circondano mentre lo spazio della città è un enigma di vuoti che si lasciano percepire (Mlinar), uno scatto mosso (Lehmann) danno il senso di un percorso interiore, negli interstizi appunto di quel reale che il viaggio attraversa segnando cammini in formazione.

Oppure ombre silenzio solitudine smarrimento in una dimensione fuori dal tempo (Winter Hayvaz, Kodikara, Varinelli; o, al contario sintesi (Misato Oi) sentirsi a casa ovunque (Ticic e semplice consapevolezza (Perich)

Sezione III: La valigia dei ricordi (Sadaf Hassani)

Sezione IV: Il catalogo celeste (Anastasia Vekshina)Nella terza sezione i ricordi sono colore, gioia, dono al mondo, dono dal

mondo (Hassani, Agniezska, Bertasani, Jegathesa), qualcosa che, estraneo alla vita reale, le si affratella tuttavia con un sorriso e con una danza che viene dal grembo della vita, al femminile.

Per questo le foto più belle vengono inserite in quel “catalogo celeste” che viene dalla “provincia” (nella IV sezione): una vita in tono “minore”, non meno vera, che raccoglie il grande mondo in una piccolissima cornice (Vekshina), che si rende felice alla magia di un momento per tornare presto alle piccole quotidiane incombenze (Sustkova), che in silenzio si prepara ad un viaggio di trascendenza (Gonzalez).

Sezione V: Tra la genesi e il futuro (Riccardo Vecellio)La V sezione si apre sorprendentemente con la foto di due girasoli (uno

ancora acerbo e uno dischiuso) che emblematicamente rappresentano il passaggio dall’ombra alla luce, dalla genesi della vita intranatale, al futuro che è vita (Vecellio, ma anche Cardone).

La sezione è ricca di molte succestioni: cieli immensi che sembrano riversare la loro forma nella forza di un’anima finalmente buia (Boni), leggerezza del viaggio (Salimbni), rigenerazione (Pietrenko, Cordero, Mastroianni, Cassano, Pencova, Ljusheva).

La mostra si conclude con la splendida foto di una bimba con i suoi grandi occhi aperti sul mondo e con un libro che reca il titolo “il bosco è in noi” (Gasior): Quasi a indicare che il viaggio muove da noi per un cammino di progressiva liberazione dalle ombre e dalle luci della nostra anima, ricca e confusa, verso uno sguardo di conoscenza che apre a noi gli spazi e agli altri il nostro limpido sguardo.