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Bilanci trasparenti. pagina 3 Quanto sono trasparenti i bilanci comunali? Primi confronti e indicazioni di lettura. Quale flusso di denaro tra il Comune di Colleferro e i gestori del ciclo dei rifiuti? La gestione dei rifiuti pagine 4-5 Un viaggio originale: quello del sacchetto di immondizia che, con gesto liberatorio, gettiamo quotidianamente nel cassonetto. Gli effetti su salute e icosti per le famiglie. La valle come la Ruhr? pagine 6-7 Si può fare. L’esempio della Ruhr, dalla devastazione del territorio alla rinascita culturale e ambientale. Nasce a Brescia il coordinamento nazionale dei siti contaminati. No al consumo di suolo pagine 7-8 Fermare il consumo di suolo, creare spazio pubblico, valorizzare pubblici servizi. Difesa quotidiana della salute. Dopo la difesa dalla speculazione, la valorizzazione del Castello Vecchio. Al momento di chiudere il giornale registria- mo l’ultimo segnale d’allarme. In un’area situata al confine tra i Comuni di Anagni e Paliano sono emersi recentemente valori di positività per PCB in alcuni alimenti di origine animale (uova e latte ovino). Il rinvenimento dei pericolosi inquinanti ha in- dotto la ASL di Frosinone e il sindaco di Ana- gni ad attivare idonee misure di interdizione al consumo di tali prodotti nell’area contaminata. Sono in corso supplementi di analisi da parte di ASL Frosinone e ARPA Lazio. Le criticità ambientali e sociali riempiono or- mai la cronaca quotidiana, offrendo un quadro senza speranza: tuttavia dobbiamo sforzarci di cogliere alcuni importanti eventi che potenzial- mente negli ultimi mesi hanno aperto nuovi sviluppi di segno inverso. Essi richiedono però un forte intervento da parte della cittadinanza attiva, che sia capace di mobilitare tutte le co- munità del territorio. Il primo evento è il declassamento, nel gennaio 2013, del Sito di bonifica di Interesse Nazionale della Valle del Sacco (SIN). In attesa dei risultati dei ricorsi promossi da Regione Lazio e Legam- biente (con RETUVASA ad adiuvandum), at- tualmente il sito non si configura neppure come di Interesse Regionale, per l’assenza di specifica normativa nel Lazio: ricade, paradossalmente, nella giurisdizione dei comuni. Alcuni rapporti epidemiologici hanno però chiarito i contorni dei gravi effetti dell’inquinamento sulla salute degli abitanti della Valle. Nel frattempo, il col- lasso del ciclo dei rifiuti nel Lazio apre scenari preoccupanti sui destini degli impianti (discari- che e inceneritori), con il loro enorme impatto inquinante. Il secondo evento è la sigla dell’Accordo di Pro- gramma tra Regione Lazio e Ministero dello Sviluppo Economico per il rilancio delle aree industriali dell’area nord del Frusinate (81 mi- lioni di euro). Esso assume di fatto un ruolo di indirizzo rispetto alle politiche di rilancio dei territori. Eppure, sembra tradursi in una re-industrializzazione assistita dall’alto, sostan- zialmente priva di un approccio sistematico e strategico per la riorganizzazione ambientale, sociale e economica. Chiusura ecologica del ci- clo produttivo delle aziende del distretto indu- striale, compatibilità ambientale, ciclo integrato dei rifiuti, delle acque, della mobilità e della lo- gistica sostenibile, ricerca e formazione… non c’è quasi traccia di questo. Su tutto sembrano prevalere i tempi - necessariamente brevi - per l’assegnazione dei fondi. Non si intravede un percorso che non si limiti ad accogliere le sin- gole proposte presentate da imprenditori che fiutano l’affare. Non c’è lungimiranza nel pro- porre soluzioni realmente strategiche, come per esempio quella degli eco-distretti industriali della Toscana e di altre regioni italiane, assenti nella normativa regionale del Lazio. Infine, va ricordato l’istituendo Tavolo speciale di coordinamento sulla Valle del Sacco presso il Consiglio della Regione Lazio, presieduto dal cons. Daniela Bianchi, che così ne definisce i contorni programmatici: «Il tavolo permetterà la formazione di una cabina di regia sul tema della Valle del Sacco e è incardinato sulla VIII commissione. Questo perché vuole affrontare il problema di una delle aree più inquinate d’Ita- lia con un approccio orientato a uno sviluppo sostenibile che faccia leva sull’agricoltura e sulle attività produttive in chiave di ricerca, innovazione e creazione di nuove realtà Ricicliamo la carta stampata Un laboratorio editoriale al servizio della Valle del Sacco La domanda nasce spontanea. Perché realizzare un progetto editoriale nel momento in cui la crisi economica colpisce senza fare sconti e la richiesta di informazione su carta viene man mano fagocitata da un sempre più rapido evolversi della comunicazione sulla rete? Beh, innanzitutto perché siamo abituati a scommettere e a verificare quali possono essere gli strumenti migliori per far giungere i nostri messaggi. Ma anche perché siamo abituati a metterci in gioco in continuazione, perseguendo strade che si potrebbero definire temerarie, in alcuni casi perverse. Siamo pervasi da un continuo malessere nel vivere in una Valle che continua, nonostante tutto e tutti, a essere aggredita. Vediamo sollevarsi, all’occorrenza, nubi di indignazione che però mostrano poca voglia di continuità. Abbiamo dunque pensato che questo strumento possa offrire una particolare occasione per far riflettere e coinvolgere la cittadinanza. Il progetto editoriale è nelle nostre menti da tempo. Lo proponiamo oggi partendo dal laboratorio Colleferro. A tempo debito intendiamo estendere la partecipazione ad altri Comuni. Auspichiamo, con tutto il cuore, che qualcuno desideri farsene carico assieme a noi. La tentazione di parlare soltanto di ambiente è forte: pensiamo di avere acquisito, per autodifesa, una discreta conoscenza in tale campo, approfondendone molteplici dimensioni. Ma è proprio questo che ci induce ad allargare il nostro raggio di intervento. Se parliamo di ambiente non possiamo tralasciare l’impatto sulla salute, e di questo siamo, purtroppo, tutti consapevoli; se parliamo di ambiente non possiamo tralasciare il lavoro, considerata la complementarità tra i due termini, anche secondo i nuovi modelli di sviluppo economico; se parliamo di ambiente non possiamo tralasciare la storia del territorio in cui risiediamo, né l’agricoltura, l’archeologia, il turismo, il paesaggio... Ambiente è tutto ciò che è intorno a noi, è il nostro vivere quotidiano: è necessario preservarlo anche ampliandone i termini del sapere. Ci auguriamo di poter fornire un prodotto utile, che risponda essenzialmente al sentire comune, che sia una voce ascoltata e riportata su carta, da analizzare e riutilizzare in una forma, osiamo dire morbosa, di continuo senso della presenza. Una sentinella sempre vigile e attenta a ogni più piccolo movimento. Il nostro sarà un mensile gratuito a diffusione locale con approfondimenti, notizie brevi, fotografie, spazi destinati al sociale, pubblicità scelta. Non abbiamo nessuna intenzione di sostituirci ai media già operanti sul territorio, che anzi ringraziamo pubblicamente per gli spazi che ci hanno costantemente offerto e che sicuramente continueranno a offrirci. Quello che offriamo noi è un “prodotto” di natura del tutto diversa. Partiremo con otto pagine a colori, ponderate su una redazione composta essenzialmente da volontari, con distribuzione primaria su Colleferro e una piccola quantità di copie destinata agli altri Comuni, in attesa dell’auspicata espansione che potrebbe aiutarci in tempi brevi a ottenere una divulgazione più capillare. Abbiamo affiancato al cartaceo la possibilità di scaricare il giornale dal sito www.retuvasa.org , pensando sia a chi predilige la forma digitale sia a chi vuole leggerci con provenienza “extra-Valle”. Non vediamo l’ora che qualcuno si affianchi a noi per darci ancora più sostanza, non vediamo l’ora che qualcuno si metta in gioco… sapendo che non è un gioco. Oggi più che mai percepiamo la necessità di crescere ulteriormente, di fare un passo avanti cercando nuove e vecchie forme di interazione partecipata con quella fetta di popolazione che voglia diventare parte attiva della propria crescita, scegliendo essa stessa la direzione da prendere. Seguiteci, partecipate e sosteneteci se potete. Valle del Sacco: importanti cambiamenti, futuro incerto e tutto da costruire Valle del Sacco riprenderci il futuro Le istituzioni hanno perso di capacità di governo del territorio, la cittadinanza attiva ha prodotto lotte, saperi e competenze LA VALLE 00034 Colleferro, via Ugo Foscolo 39 UN LABORATORIO EDITORIALE AL SERVIZIO DELLA VALLE DEL SACCO 2013 •Numero 1 WW.PHOTOHANS.JIMDO.COM© La Valle 2013/1.indd 3 18/11/13 18.24

La Valle numero 1 novembre 2013

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Bollettino Non Periodico dell' Organizzazione di Volontariato Rete per la Tutela della Valle del Sacco" - numero 1 - pubblicazione novembre 2013

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Page 1: La Valle numero 1 novembre 2013

Bilanci trasparenti. pagina 3

Quanto sono trasparenti i bilanci comunali? Primi confronti e indicazioni di lettura. Quale �usso di denaro tra il Comune di Colleferro e i gestori del ciclo dei ri�uti?

La gestione dei ri�uti pagine 4-5

Un viaggio originale: quello del sacchetto di immondizia che, con gesto liberatorio, gettiamo quotidianamente nel cassonetto. Gli e�etti su salute e icosti per le famiglie.

La valle come la Ruhr? pagine 6-7

Si può fare. L’esempio della Ruhr, dalla devastazione del territorio alla rinascita culturale e ambientale. Nasce a Brescia il coordinamento nazionale dei siti contaminati.

No al consumo di suolo pagine 7-8

Fermare il consumo di suolo, creare spazio pubblico, valorizzare pubblici servizi. Difesa quotidiana della salute. Dopo la difesa dalla speculazione, la valorizzazione del Castello Vecchio.

Al momento di chiudere il giornale registria-mo l’ultimo segnale d’allarme. In un’area situata al confine tra i Comuni di Anagni e Paliano sono emersi recentemente valori di positività per PCB in alcuni alimenti di origine animale (uova e latte ovino).Il rinvenimento dei pericolosi inquinanti ha in-dotto la ASL di Frosinone e il sindaco di Ana-gni ad attivare idonee misure di interdizione al consumo di tali prodotti nell’area contaminata. Sono in corso supplementi di analisi da parte di ASL Frosinone e ARPA Lazio.Le criticità ambientali e sociali riempiono or-mai la cronaca quotidiana, o�rendo un quadro senza speranza: tuttavia dobbiamo sforzarci di cogliere alcuni importanti eventi che potenzial-mente negli ultimi mesi hanno aperto nuovi sviluppi di segno inverso. Essi richiedono però un forte intervento da parte della cittadinanza attiva, che sia capace di mobilitare tutte le co-munità del territorio. Il primo evento è il declassamento, nel gennaio 2013, del Sito di boni�ca di Interesse Nazionale della Valle del Sacco (SIN). In attesa dei risultati dei ricorsi promossi da Regione Lazio e Legam-

biente (con RETUVASA ad adiuvandum), at-tualmente il sito non si con�gura neppure come di Interesse Regionale, per l’assenza di speci�ca normativa nel Lazio: ricade, paradossalmente, nella giurisdizione dei comuni. Alcuni rapporti epidemiologici hanno però chiarito i contorni dei gravi e�etti dell’inquinamento sulla salute degli abitanti della Valle. Nel frattempo, il col-lasso del ciclo dei ri�uti nel Lazio apre scenari preoccupanti sui destini degli impianti (discari-che e inceneritori), con il loro enorme impatto inquinante. Il secondo evento è la sigla dell’Accordo di Pro-gramma tra Regione Lazio e Ministero dello Sviluppo Economico per il rilancio delle aree industriali dell’area nord del Frusinate (81 mi-lioni di euro). Esso assume di fatto un ruolo di indirizzo rispetto alle politiche di rilancio dei territori. Eppure, sembra tradursi in una re-industrializzazione assistita dall’alto, sostan-zialmente priva di un approccio sistematico e strategico per la riorganizzazione ambientale, sociale e economica. Chiusura ecologica del ci-clo produttivo delle aziende del distretto indu-striale, compatibilità ambientale, ciclo integrato

dei ri�uti, delle acque, della mobilità e della lo-gistica sostenibile, ricerca e formazione… non c’è quasi traccia di questo. Su tutto sembrano prevalere i tempi - necessariamente brevi - per l’assegnazione dei fondi. Non si intravede un percorso che non si limiti ad accogliere le sin-gole proposte presentate da imprenditori che �utano l’a�are. Non c’è lungimiranza nel pro-porre soluzioni realmente strategiche, come per esempio quella degli eco-distretti industriali della Toscana e di altre regioni italiane, assenti nella normativa regionale del Lazio. In�ne, va ricordato l’istituendo Tavolo speciale di coordinamento sulla Valle del Sacco presso il Consiglio della Regione Lazio, presieduto dal cons. Daniela Bianchi, che così ne de�nisce i contorni programmatici: «Il tavolo permetterà la formazione di una cabina di regia sul tema della Valle del Sacco e è incardinato sulla VIII commissione. Questo perché vuole a�rontare il problema di una delle aree più inquinate d’Ita-lia con un approccio orientato a uno sviluppo sostenibile che faccia leva sull’agricoltura e sulle attività produttive in chiave di ricerca, innovazione e creazione di nuove realtà

Ricicliamo la carta stampata

Un laboratorio editoriale al servizio della Valle del SaccoLa domanda nasce spontanea. Perché realizzare un progetto

editoriale nel momento in cui la crisi economica colpisce senza

fare sconti e la richiesta di informazione su carta viene man mano

fagocitata da un sempre più rapido evolversi della comunicazione

sulla rete? Beh, innanzitutto perché siamo abituati a scommettere e a

veri#care quali possono essere gli strumenti migliori per far giungere

i nostri messaggi. Ma anche perché siamo abituati a metterci in gioco

in continuazione, perseguendo strade che si potrebbero de#nire

temerarie, in alcuni casi perverse.

Siamo pervasi da un continuo malessere nel vivere in una Valle

che continua, nonostante tutto e tutti, a essere aggredita. Vediamo

sollevarsi, all’occorrenza, nubi di indignazione che però mostrano

poca voglia di continuità. Abbiamo dunque pensato che questo

strumento possa o&rire una particolare occasione per far ri(ettere e

coinvolgere la cittadinanza.

Il progetto editoriale è nelle nostre menti da tempo. Lo proponiamo

oggi partendo dal laboratorio Colleferro. A tempo debito intendiamo

estendere la partecipazione ad altri Comuni. Auspichiamo, con tutto

il cuore, che qualcuno desideri farsene carico assieme a noi.

La tentazione di parlare soltanto di ambiente è forte: pensiamo

di avere acquisito, per autodifesa, una discreta conoscenza in tale

campo, approfondendone molteplici dimensioni. Ma è proprio

questo che ci induce ad allargare il nostro raggio di intervento.

Se parliamo di ambiente non possiamo tralasciare l’impatto sulla

salute, e di questo siamo, purtroppo, tutti consapevoli; se parliamo

di ambiente non possiamo tralasciare il lavoro, considerata la

complementarità tra i due termini, anche secondo i nuovi modelli

di sviluppo economico; se parliamo di ambiente non possiamo

tralasciare la storia del territorio in cui risiediamo, né l’agricoltura,

l’archeologia, il turismo, il paesaggio...

Ambiente è tutto ciò che è intorno a noi, è il nostro vivere

quotidiano: è necessario preservarlo anche ampliandone i termini

del sapere. Ci auguriamo di poter fornire un prodotto utile, che

risponda essenzialmente al sentire comune, che sia una voce

ascoltata e riportata su carta, da analizzare e riutilizzare in una

forma, osiamo dire morbosa, di continuo senso della presenza. Una

sentinella sempre vigile e attenta a ogni più piccolo movimento.

Il nostro sarà un mensile gratuito a di&usione locale con

approfondimenti, notizie brevi, fotogra#e, spazi destinati al

sociale, pubblicità scelta. Non abbiamo nessuna intenzione di

sostituirci ai media già operanti sul territorio, che anzi ringraziamo

pubblicamente per gli spazi che ci hanno costantemente o&erto e che

sicuramente continueranno a o&rirci. Quello che o&riamo noi è un

“prodotto” di natura del tutto diversa.

Partiremo con otto pagine a colori, ponderate su una redazione

composta essenzialmente da volontari, con distribuzione primaria

su Colleferro e una piccola quantità di copie destinata agli altri

Comuni, in attesa dell’auspicata espansione che potrebbe aiutarci

in tempi brevi a ottenere una divulgazione più capillare. Abbiamo

a*ancato al cartaceo la possibilità di scaricare il giornale dal sito

www.retuvasa.org , pensando sia a chi predilige la forma digitale sia a

chi vuole leggerci con provenienza “extra-Valle”.

Non vediamo l’ora che qualcuno si a*anchi a noi per darci ancora

più sostanza, non vediamo l’ora che qualcuno si metta in gioco…

sapendo che non è un gioco. Oggi più che mai percepiamo la

necessità di crescere ulteriormente, di fare un passo avanti cercando

nuove e vecchie forme di interazione partecipata con quella fetta di

popolazione che voglia diventare parte attiva della propria crescita,

scegliendo essa stessa la direzione da prendere. Seguiteci, partecipate

e sosteneteci se potete.

Valle del Sacco: importanti cambiamenti, futuro incerto e tutto da costruire

Valle del Sacco riprenderci il futuro

Le istituzioni hanno perso di capacità di governo del territorio, la cittadinanza attiva ha prodotto lotte, saperi e competenze

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lavorative. L’obiettivo sarà quello creare propo-ste, interventi e progetti di rilancio dell’econo-mia compatibili con l’ambiente e la salute dei cittadini, capaci di guarire le ferite del territorio frusinate». Quest’ultima iniziativa, di cui cono-sciamo per ora solo l’annuncio e le intenzioni dell’ispiratore, stabilisce il principio cardine di una presa in carico del territorio della Valle del Sacco - da parte dell’istituzione - come dato unitario, attivando tutte le dimensioni che pos-sono intervenire nella sua trasformazione. Di fronte a scelte di governo del territorio e di po-litica industriale di sicuro impatto, dobbiamo rilevare come in questi ultimi anni nel nostro paese le pubbliche amministrazioni abbiano dismesso progressivamente risorse, funzioni, capacità di governo e di intervento strategico che facciano emergere le vocazioni dei territori. Contro gli effetti negativi e destrutturanti di tale tendenza, è necessario valorizzare il prin-cipio costituzionale della sussidiarietà, per cui lo Stato lascia spazio all’auto-organizzazione del territorio. La popolazione allora deve esse-re protagonista della propria trasformazione. Compito primario delle istituzioni è facilitare la capacità di cooperazione e di condivisione delle conoscenze attraverso tutte le dimensioni sociali, culturali, economiche e istituzionali. Il baricentro dell’azione politica deve dislocar-si nella capacità di “animare il territorio”, per farne emergere le potenzialità, la messa in rete di risorse e competenze. Tutto questo non sarà possibile senza il contributo delle associazioni che da anni lottano assieme ai cittadini contro il degrado sociale e ambientale, sviluppando la visione del carattere sistemico dei problemi e delle possibili soluzioni, intervenendo sulle di-mensioni ecologiche, economiche, sociali e isti-tuzionali, costruendo in�ne un patrimonio di conoscenza indispensabile a qualsiasi progetto di trasformazione. Nel continuo manifestarsi di criticità ambientali e sociali, di fronte a impor-tanti scelte e interventi istituzionali, le pratiche e il patrimonio di esperienza e conoscenza si devono consolidare e di�ondere. Con quali obiettivi? La crisi di questi ultimi anni ha ulteriormente lacerato il tessuto socia-le e ha indebolito i legami solidali e la capacità di cooperazione: è necessario invertire questo processo, stimolando l’emersione della capacità di cooperare e progettare, di conoscere e rico-noscersi. Il primo passaggio è la costruzione condivisa della mappa sociale, ambientale, cul-turale e economica. Non si parte da zero, per fortuna, grazie allo straordinario patrimonio costruito dalle associazioni e dalle reti territo-riali in questi anni. La mobilitazione del terri-torio è l’antidoto necessario all’impoverimento delle forme di partecipazione democratica e alla perdita di capacità di progettazione stra-tegica da parte delle istituzioni a ogni livello. L’arrivo di �nanziamenti non è una condizione su�ciente al suo rilancio: proprio i rapporti esistenti tra istituzioni, sistema delle imprese e sistema �nanziario hanno prodotto i disa-stri ambientali e economici che conosciamo bene. Contro quel sistema di relazioni ci sia-mo mobilitati per oltre un decennio, produ-cendo una visione radicalmente alternativa: abbiamo esplorato il patrimonio di esperien-ze degli eco-distretti, della �nanza etica, dei movimenti di lotta per i beni comuni come quello per l’acqua pubblica, per esempio. Non ci illudiamo di a�rontare un percorso facile: il confronto necessario con tutti i livelli isti-tuzionali, che abbiamo sempre praticato, può diventare anche con�ittuale, poiché ha come posta in gioco, assieme a una radicale trasfor-mazione delle relazioni sociali e economiche, la trasformazione e la rivitalizzazione delle istituzioni stesse. Oltre al lavoro di mappatura condivisa, l’obiettivo è la totale trasparenza e riconoscibilità degli atti passati, presenti e fu-turi delle pubbliche amministrazioni. Il tavo-lo regionale di coordinamento della Valle del Sacco può essere lo strumento e il luogo del confronto e come tale deve strutturarsi con una prospettiva di legislatura concentrandosi, tra l’altro, sul disegnare normative regionali su-gli eco-distretti industriali, sui Siti inquinati di Interesse Regionale, e sull’inserire la Valle nel Piano Strategico Regionale per i �nanziamenti europei. In�ne, preliminare a ogni ridisegno strategico del territorio della Valle del Sacco è l’elaborazione e l’istituzione di una moratoria sull’insediamento di ogni attività produttiva che aggravi il carico di inquinamento della Valle, dagli insediamenti produttivi alle infra-strutture per la mobilità.

Distretti, produzione, società e territorio

Lezioni dalla storia dei distrettiDalla crisi dei distretti industriali alle vocazioni culturali, sociali e ambientali dei territori

La storia. Il SIN “Valle del Sacco”, gestito da ap-posito U�cio commissariale per l’Emergenza della Valle del Sacco tra le province di Roma e Frosinone, venne istituito con la Legge n. 248, 2 dicembre 2005 (art. 11-quaterdecies, comma 15), perfezionando quanto disposto dal Decre-to della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 19 maggio 2005. Tale Decreto, a seguito del rilevamento di concentrazioni di betaesacloro-cicloesano (β-HCH) superiori al livello limite consentito dalla normativa comunitaria (0,003 mg/kg) in un campione di latte proveniente da un’azienda bovina situata nel Comune di Ga-vignano, dichiarava lo stato di emergenza so-cio-economico-ambientale nel bacino del �ume Sacco. Era interessato il territorio di 9 Comuni (Colleferro, Segni e Gavignano nella provincia di Roma; Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino nella provincia di Frosinone), comprendendo il perimetro emergenziale l’area industriale di Colleferro e la fascia agricola ri-pariale del �ume Sacco compresa tra Colleferro e Supino. Lo stato di emergenza si prorogava a più riprese, �no al 31 ottobre 2012. In occa-sione del rinnovo dello stato d’emergenza del 31 ottobre 2010, in seguito all’accertata esten-

sione della contaminazione, si ampliavano le competenze dell’U�cio commissariale alle fa-sce agricole ripariali comprese tra Frosinone e Falvaterra (con�uenza del �ume Sacco con il �ume Liri).Con il Decreto n. 4352 del 31 gennaio 2008, il Ministero dell’Ambiente decideva di includere sotto la propria diretta competenza, con la di-stinta denominazione “Bacino del �ume Sac-co”, un’area vastissima del bacino imbrifero del �ume, il cui perimetro originario si estendeva dal territorio del Comune di Valmontone sino al sud del Frusinate, escludendo però l’area già assegnata all’U�cio Commissariale. Ciò produ-ceva un’evidente ambiguità, in quanto, caso del tutto anomalo, per un singolo SIN sussistevano due distinte denominazioni, due distinte peri-metrazioni, due distinte competenze.Come si rileva dalla Relazione sulle boni�che dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attua-zione degli interventi e i pro�li di illegalità (Ca-mera dei Deputati – Senato della Repubblica, XVI Legislatura, approvata dalla Commissione nella seduta del 12 dicembre 2012), nonché dal-le stesse relazioni dell’U�cio Commissariale, quest’ultimo ha esercitato nell’area di propria

Tutte le cronache economiche italiane hanno messo in rilievo l’importanza dei Distretti Industriali. Noi ci poniamo alcune domande. Possiamo darne una de-�nizione sintetica? Giocano ancora lo stesso ruolo? Quell’esperienza può insegnare qualcosa a chi a�ronta la trasformazione di un territorio?Un dato di partenza è l’elevata attitudine e disponibilità delle singole persone e delle famiglie al lavoro auto-nomo – nelle sue diverse forme di lavoro a domicilio, lavoro autonomo, artigianato, piccola imprenditoria – che ha favorito la formazione e la di�usione di ca-pacità organizzative, di creatività, di abilità individuali e di gruppo.Risorse produttive e competenze professionali iniziali sono state impiegate nello sviluppo di attività pro-duttive che valorizzavano i rapporti di solidarietà e fiducia presenti sul territorio, partendo dai legami familiari, con il coinvolgimento e l’intervento delle istituzioni locali. Il concetto di distretto industriale prevede che struttura produttiva e struttura sociale

si compenetrino vicendevolmente. È nella società lo-cale, anche attraverso la sua apertura verso l’esterno, che si forma un ambiente socio-culturale adatto alla realizzazione di forme originali di organizzazione industriale. Di conseguenza, il semplice riconosci-mento di concentrazioni industriali nel territorio non avvalora l’esistenza di un distretto industriale. Lo stu-dio di questo straordinario patrimonio di esperienze, pur soggette a trasformazioni radicali in questi ultimi anni, ci insegna a collegare le dimensioni culturali, sociali e economiche. Le condizioni sono cambiate radicalmente, è necessario rispondere assieme a una crisi economico-sociale devastante e a una altrettan-to devastante crisi ambientale, da cui la necessità di rispettare il vincolo ambientale e ricostruire le re-lazioni sociali solidali, a partire dalle vocazioni del territori.Sul piano teorico, il distretto industriale nasce come superamento del concetto d’industria (Becattini, 1979) e si propone come un nuovo modo di interpretare il

cambiamento economico nella convinzione che questo non può essere compreso al di fuori della società – sempre considerata nella sua territorialità, cioè come società locale – dove le forze economiche concreta-mente agiscono e evolvonoInfine, se è vero che nella fase attuale del capitalismo le reti di relazioni tendono a contrarsi nel tempo e a dilatarsi nello spazio (coinvolgendo un campo d’azione virtualmente globale), nondimeno le relazioni fonda-mentali ricorrenti riguardo alla realizzazione concreta della produzione e alla creazione di conoscenza riman-gono territorialmente circoscritte; cioè geograficame-nte concentrate.Nell’organizzazione complessa che contraddistingue l’economia e la società contemporanee si a�erma una logica relazionale fondata in misura crescente su inte-razioni tecniche, organizzative e comunicative e che riguarda i sistemi produttivi sia di piccole imprese sia della grande impresa e i rispettivi luoghi di concentra-zione geografica.

LA VALLE 2

competenza un’importante azione di boni�ca, mettendo in sicurezza permanente o quanto-meno in sicurezza d’emergenza la parte dell’area industriale di Colleferro origine della contami-nazione. Viceversa, il Ministero dell’Ambiente, nell’area di propria competenza, ha prodotto solo una inconcludente sub-perimetrazione (in convenzione con Arpa Lazio), tanto da non essere neppure citata nella suddetta Rela-zione interparlamentare. Neppure la boni�ca dell’area industriale di Colleferro però è stata completata prima del declassamento del SIN; molto più grave la situazione delle aree agricole ripariali, principale limite dell’azione commis-sariale, dove non si è andati oltre pratiche di biorisanamento sperimentali. Il depennamento del SIN “Valle del Sacco” e i ricorsi in itinere. Con la pubblicazione (Gazzet-ta U�ciale n. 60 del 12 marzo 2013) del Decre-to del Ministero dell’Ambiente “Approvazione dell’elenco dei siti che […] non sono più ricom-presi tra i siti di boni�ca di interesse nazionale”, emanato in data 11 gennaio 2013, si depennava-no da tale elenco 18 SIN, tra cui “Valle del Sacco” e “Frosinone” (su quest’ultimo non è possibile per ragioni di spazio di�ondersi qui). La mag-gior parte di essi diventavano automaticamente Siti di boni�ca di Interesse Regionale (SIR). Non era però il caso del SIN in oggetto, per l’assenza nel Lazio di una normativa relativa ai SIR. Para-dossalmente, perciò, a tutt’oggi, la competenza dell’area da risanare è passata sotto la competen-za delle amministrazioni locali.I presupposti del depennamento sono di dub-bia legittimità. Il suddetto Decreto traeva origine dall’art. 36 bis comma 2 del Decreto Legge n. 83, 22 giugno 2012 (convertito con la Legge n. 134, 7 agosto 2012), che attribu-iva al Ministero il compito di e�ettuare una ricognizione dei SIN volta a depennare quel-li non soddisfacenti i requisiti di cui all’art. 252 comma 2 del Decreto Legislativo n. 152, 3 aprile 2006, come modi�cato dal comma 1 del suddetto art. 36 bis. Non è chiaro però, alla luce delle vigenti disposizioni di legge, se per mantenere la classi�cazione di SIN tali requi-siti dovessero essere tutti presenti o meno (in precedenza neppure uno dei SIN li soddisfa-ceva in toto). Molti di tali requisiti appaiono decisamente sussistenti per il SIN “Valle del Sacco”. Sembrano esservi inoltre nel provvedi-mento del Ministero molteplici difetti di man-cata partecipazione, di istruttoria, di motiva-zione. Perciò la Regione Lazio e Legambiente lo scorso giugno hanno presentato contro il provvedimento ricorso al TAR Lazio, sezione di Roma, cui si costituirà ad adiuvandum la Rete per la Tutela della Valle del Sacco. L’u-dienza del ricorso della Regione Lazio è �ssata al 20 marzo 2014. Nel frattempo, il Decreto 11 gennaio 2013 ha sostanzialmente interrot-to l’iter della bonifica della Valle del Sacco. Boni�ca della quale ci si sente defraudati da un’azione ministeriale che sembra in fondo incomprensibile. La Regione Lazio, in primis, è chiamata a riempire questo vuoto.

Il Sito di boni!ca di Interesse Nazionale (SIN) “Valle del Sacco”

La boni!casenza !ne

Il declassamento del SIN interviene su una azione di boni!ca contraddittoria e incompiuta in assenza di una legge regionale sulle aree contaminate

dalla prima

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Il bilancio comunale è il documento in cui di anno in anno vengono sintetizzati gli e�etti �-nanziari delle scelte dell’amministrazione in materia di reperimento e di impiego dei fondi da gestire. Le decisioni assunte dalle ammini-strazioni possono riguardare il livello di imposte richieste, le tari�e applicate a fronte dei servizi erogati, la misura della loro erogazione, gli aiuti sociali, la scuola, le opere pubbliche, gli eventi culturali. Riguardano dunque la nostra vita quo-tidiana e quella delle nostre famiglie, in�uiscono sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo e sul nostro benessere individuale e sociale.La scelta avviene sulla base di priorità e obietti-vi che spesso rimangono celati tra la pagine del bilancio e sovente non corrispondono a quelli presentati nei programmi che ci vengono pro-posti in occasione delle tornate elettorali. Capi-re il bilancio comunale, dunque, ci può aiutare a misurare la distanza fra quanto promesso e quanto realizzato, a focalizzare quali sono stati gli obiettivi perseguiti e nell’interesse di chi. La semplice lettura dei dati contabili disponibili sul sito del comune, tuttavia, non è su�ciente a rendere comprensibili le politiche e le scel-te sottostanti. Si avverte dunque la necessità che l’amministrazione informi i cittadini su-

gli obiettivi che persegue e su quali mezzi �-nanziari intenda contare per raggiungerli; sui risultati; sui motivi di eventuali scostamenti fra quanto programmato e quanto conseguito. Questa istanza di trasparenza deve essere ri-badita e pretesa dai cittadini, che dovrebbero essere molto interessati a sapere come viene speso il denaro delle tasse pagate: eventuali inefficienze o decisioni di spesa assunte non nell’interesse della comunità generale bensì di pochi suoi componenti, oltre a costituire un reato, rappresenterebbero lo spreco dei nostri soldi, versati a�nché venga fatta funzionare la macchina amministrativa, vengano cioè o�erti servizi alla cittadinanza e e�ettuati investimenti a bene�cio della collettività: non, quindi, per foraggiare gli appetiti di pochi (consapevoli) a danno dei molti (ignari di quello che succede). È quindi importante che non solo gli organi istituzionalmente deputati al controllo (Cor-te dei Conti e Collegio dei revisori) possano conoscere e valutare, ma anche che i portatori di interessi all’interno della collettività (singoli cittadini, ma anche, ad esempio, associazioni o imprenditori) possano veri�care come vengono spesi i soldi comuni. Garantire trasparenza sul bilancio signi�ca, per

L’importanza di una maggiore informazione sulle politiche di bilancio

Trasparenza dei bilanci comunali

Garantire trasparenza sul bilancio signi�ca, per gli amministratori, rendere conto del proprio operato, signi�ca responsabilizzare i cittadini.

Signi�ca, in �n dei conti, accrescere la democrazia

Al �ne di migliorare la nostra capacità di comprendere i fenomeni rappre-sentati nei bilanci di un comune, in particolare di quello di Colleferro, si è ritenuto opportuno a�rontarne la lettura mediante una analisi comparativa, svolta utilizzando le informazioni desunte dai bilanci consuntivi di altri due comuni di dimensione analoga (in termini di numero degli abitanti). Il pri-mo (Sabaudia) è sottoposto a commissariamento dal mese di dicembre 2012 a causa di dissidi interni alla maggioranza in relazione proprio all’approva-zione del bilancio (dunque un comune non virtuoso), il secondo (Sondrio), anche capoluogo di provincia, è un comune notoriamente ben amministrato. Le entrate tributarie (Titolo I, costituite essenzialmente da addizionale Irpef e dalla Tarsu, da quest’anno Tares) a Colleferro sono di entità assai ragguardevole: superano in valore assoluto quelle del comune di Sabaudia e in valore relativo quelle del comune di Sondrio. Nel bilancio del comune di Colleferro, sul versante delle entrate, assumono un peso assai signi-�cativo quelle “extratributarie”: sostanzialmente i bene�ci �nanziari che “dovrebbero” compensare le esternalità negative prodotte dalla presenza dell’inceneritore di ri�uti e della discarica. Nel titolo III, se ci fossero, an-drebbero ricompresi anche gli utili e dividendi da società partecipate che però a Colleferro negli ultimi anni sono… pari a zero! Che peccato non poter bene�ciare degli utili di queste società (la farmacia ad esempio): in questi tempi di vacche magre farebbero un gran comodo alla collettività che invece è penalizzata dalle ripetute perdite di esercizio registrate. Dal lato delle uscite è di tutta evidenza che abbiamo un livello di “spese correnti” molto elevato - sia in termini assoluti che relativi – e che il livel-lo delle “spese in conto capitale” (investimenti) è pressoché nullo, molto più basso di quello degli altri due comuni e anche che, in�ne, spendiamo più degli altri per pagare interessi su debiti contratti. È da notare poi l’avanzo di Amministrazione del comune di Sondrio (€ 1,8 mln, 5% delle entrate), che è contabilizzato e utilizzato a bene�cio della collettività (teatro comunale e estinzione anticipata di prestiti); a Colleferro ciò non è consentito dalla legge, in quanto il comune ricorre ai prestiti di cassa della Banca che gestisce la tesoreria. Da queste prime e, per ora, poco approfondite analisi scaturiscono al-cune considerazioni. È oramai acclarato che le �nanze del nostro co-mune versano in condizioni assai precarie; sappiamo che condividiamo questa situazione con numerosi comuni italiani, tutti fortemente pena-lizzati dal drastico taglio dei trasferimenti dalle casse dello Stato e delle Regioni. Sappiamo pure però che il nostro comune, a di�erenza degli altri, potrebbe bene�ciare dell’apporto di ingenti entrate extra-tribu-

Come si legge un bilancio comunale

Da dove vengono i soldi e come vengono spesi

Un confronto con altri comuni per cominciare a capire punti di forza e di debolezza del bilancio del comune di Colleferro

Un intreccio di debiti e crediti da sbrogliare

Rifiuti e residui Nel bilancio del comune di Colleferro, componenti molto significative sono le voci relative alla gestione dei rifiuti e ai ristori percepiti per la presenza sul nostro territorio della discarica e dell’inceneritore. Nel prosieguo dell’articolo verranno commentati dati desumibili dal bilancio consuntivo relativo all’anno 2012 e dunque relativi ai rapporti fra il Comune e le società del gruppo Gaia. L’acquisizione di quest’ultimo da parte di Lazio Ambiente Spa potrebbe indurre variazioni nelle condizioni che regolano i rapporti operativi e finanziari con il comune; ad oggi, per quanto di nostra conoscenza, le condizioni pattuite tra ente comunale e Lazio Ambiente non sono state rese pubbliche. Il comune, fino allo scorso anno, percepiva dai cittadini, tramite la Tarsu, €2,5 mln che confluivano nel Titolo I del bilancio. Sempre sul fronte delle entrate nel Titolo III “entrate extra tributarie” del bilancio preventivo, confluivano €470 mila per “entrate derivanti da termovalorizzatore” e €4,7 mln per “beneficio localizzazione discarica come da convenzione AGENSEL”. Sul fronte delle spese l’unico importo direttamente riferibile al ciclo dei rifiuti veniva allocato nel Titolo I “Spese correnti”: “servizio smaltimento rifiuti”, valore a consuntivo pari a €3,9 mln ca. Sembrerebbe, dunque, che il comune traesse un beneficio economico netto dai rapporti con il gruppo Gaia, cui si sommava pure il flusso della Tarsu. Insomma una bella storia; a lieto fine? Vedremo. Alle note difficoltà economiche del gruppo Gaia sono infatti conseguite tensioni nei rapporti finanziari con il comune. A fronte delle cifre prima indicate, gli effettivi trasferimenti finanziari tra le due controparti sono stati di entità sicuramente inferiore ma mai esplicitamente comunicati alla cittadinanza. Nella sostanza le domande cui non si è data risposta sono le seguenti: il gruppo Gaia in che misura ha onorato i propri debiti? Per altro verso, il comune quanto ha versato nelle casse del moribondo consorzio? Un indizio sull’entità delle reciproche ragioni di debito/credito non onorate viene dall’ammontare dei residui passivi (somme impegnate e non pagate dal comune entro il termine dell’esercizio) e attivi (somme accertate e non riscosse dal comune entro il termine dell’esercizio) nel bilancio 2012. Ebbene, essi cumulandosi negli anni hanno raggiunto cifre da capogiro che non hanno eguali, sia in valore assolto sia relativo, nei bilanci di comuni di dimensione analoga a Colleferro: €15,6 mln i residui attivi a fronte delle “entrate extra tributarie”, €18,7 mln relativamente alle spese correnti. A quanto ammontano la quote effettivamente riferibili ai rapporti con il gruppo Gaia? Esse sono state trasferite interamente in capo alla società Lazio Ambiente? Entro quando verranno pagate? Senza una precisa e pubblica risposta a queste domande la tanto citata trasparenza rimarrà un effimero concetto formale assai povero di contenuti. Vorremmo conoscere il finale della bella storia dei rapporti fra il comune e consorzio Gaia.

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gli amministratori, rendere conto del proprio operato, significa far crescere il senso civico nella comunità e responsabilizzare i cittadini. Signi�ca, in �n dei conti, accrescere la demo-crazia.Come si può ottenere l’obiettivo di maggiore trasparenza? Se da un lato ci sono formali ob-blighi di legge da rispettare (cfr. riquadro nella pagina) che sono, a nostro giudizio, inadeguati al �ne di dare un concreto contenuto alla parola “trasparenza”, dall’altro sono necessari atti so-stanziali (opuscoli, note informative, incontri di discussione pubblici) per spiegare il perché di determinate scelte, fornendo dati extra-conta-bili e informazioni qualitative. Per capire come attivare circoli virtuosi dell’informazione basta alzare la testa oltre il recinto del nostro piccolo orto e guardare ciò che viene fatto altrove. È auspicabile dunque avviare il cammino per giungere a una democrazia partecipata coin-volgendo attivamente i cittadini e rispondendo così al diritto alla buona amministrazione della comunità. Così facendo si consolida il patto di �ducia e trasparenza con i cittadini informan-doli sulle attività svolte e chiamandoli a parte-cipare ai processi decisionali. A Colleferro c’è molto da fare.

tarie, e che in altri comuni si producono addirittura avanzi di gestione utilizzabili mentre da noi si incrementano i �di per cassa concessi dalle banche per le anticipazioni di tesoreria e si garantiscono i debiti delle partecipate in perdita. Come si possono conciliare tutti questi fatti, come si possono spiegare le di�coltà che stiamo attraversando? di�cile congiuntura economica? sfortuna? scelte sbagliate?

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Oggi compiremo un viaggio originale: seguiremo quel sacchetto di im-mondizia che, con gesto liberatorio, gettiamo quotidianamente nel cas-sonetto. Cercheremo anche di far luce sui costi di smaltimento del nostro sacchet-to e del trattamento cui è sottoposto il suo contenuto. Prenderemo come esempio quanto accade nel comune di Colleferro, tenendo presente che ogni comunità può incidere in misura molto signi�cativa sulla gestione dei ri�uti urbani che produce: a Colleferro, la gestione dei ri�uti è a�data a Lazio Ambiente S.p.A., una società per azioni a totale capitale pubblico di cui la Regione Lazio detiene la quota di maggioranza e che ha assorbito la Gaia S.p.A. (ricordiamo che una società per azioni risponde per sua natura a logiche di mercato prima che al servizio, anche nel caso in cui il capitale è totalmente pubblico).La mattina presto il camion di Lazio Ambiente passa a raccogliere il nostro sacchetto. A seconda del cassonetto in cui è stato gettato, la strada che prenderà sarà di�erente.Discarica, arriviamo!Se nel nostro sacchetto avremo buttato bucce di patate, scarti di carcio�, mezza confezione di panna scaduta, i resti della cena, un paio di ciabatte rotte. A spanne, il 30-35% del contenuto è costituito da materiale orga-nico, il cosiddetto umido.Catapultato sul camion che raccoglie i ri�uti indi�erenziati, il nostro sacchetto prende la via della discarica di colle Fagiolara.Qui tutto viene pesato, triturato in maniera grossolana per diminuirne il volume (tritovagliatura) e gettato in cima alla montagna di ri�uti. A �ne giornata i ri�uti vengono ricoperti da uno strato di terra per evitare cattivi odori e miasmi. Sotto lo strato di terra intanto inizia la decomposizione: si originano diversi tipi di gas (in gran parte metano) e molto liquido estremamente tossico, di aspetto viscoso e di odore sgradevole, il percolato, che può contenere metalli pesanti e altri ele-menti pericolosi per l’ambiente. Secondo la normativa vigente il perco-lato deve essere opportunamente trattato, nel sito stesso della discarica oppure in impianti di trattamento di acque luride. Se dovesse, infatti, penetrare nel terreno e nelle falde acquifere genererebbe una catastrofe ambientale e sanitaria di enormi proporzioni per l’ecosistema circo-stante. Il percolato di colle Fagiolara viene smaltito, al momento, dalla ditta Orione srl di Cascina (Pisa). La quantità di percolato prodotta dai nostri ri�uti in un solo anno è impressionante: circa 40.000 ton-nellate, come si evince dall’ultimo bando di gara (giugno 2012) relativo all’assegnazione dello smaltimento del percolato prodotto in discarica. Il costo dell’operazione è altrettanto impressionante: il bando parla di 1.960.000.00 €, IVA esclusa (49€/t). Percolato a parte, il ri�uto accumulato in discarica si riduce sì in volume, ma la tossicità rimane tutta nella collina che si va formando.Ma quanto ci costi?Il tragitto del sacchetto è stato breve, ma non per questo economico: il conferimento in discarica è costato circa 100€/tonnellata, nel 2012.

Cosa succede se il ri�uto è una merce, i ri�uti sono un business

Viaggio a bordo di un sacchetto

Cominciamo ad esplorare il mondo dei ri�uti:dove vanno a �nire, quanto ci costa il loro smaltimento, chi fa meglio di noi

Per avere un ordine di grandezza del giro d’a�ari, prendiamo i dati re-lativi al 2012 presenti nel Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD) del comune di Colleferro: abbiamo gettato in discarica 9.510,86 tonnellate di ri�uti, spendendo 994.869€. Quasi un milione di euro, quin-di, solo per il conferimento in discarica. Senza considerare i problemi ambientali che genera inevitabilmente una discarica. Pensate al risparmio che avremmo ottenuto se, invece di gettare a colle Fagiolara bucce di cocomero e scarti di broccoletti, che hanno un con-tenuto in acqua - quindi un peso - molto elevato, li avessimo destinati alla produzione di ottimo terriccio per i nostri vasi, il compost. È una pratica di�usa in molti comuni: semplice, economicamente redditizia e rispettosa dell’ambiente. Incentivare l’uso di compostiere domestiche ridurrebbe il ri�uto gettato nel cassonetto di circa 1/3. Cioè, per tornare ai nostri conti, avremmo speso 658.627€, anziché quasi un milione: tant’è che in alcuni comuni i cittadini che virtuosamente separano il materiale organico dal resto pagano una quota inferiore di TARSU (at-tuale TARES). Altri comuni, invece, fanno pagare la tassa sui ri�uti in-di�erenziati in base al peso conferito, inducendo l’acquisto di merci con pochi imballaggi o oggetti che potranno essere facilmente di�erenziati.Di�erenziare fa la di�erenza E se il nostro sacchetto contenesse ri�uti di�erenziati? Carta, plastica, vetro o alluminio?Questi materiali ci costano �n dal loro primo “vagito”: infatti, appena li im-mette sul mercato, il produttore paga un contributo ambientale per ciascun imballaggio al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI). Questo contri-buto, come si legge sul sito del CONAI, «rappresenta la forma di �nanzia-mento attraverso la quale CONAI ripartisce tra produttori e utilizzatori il costo per i maggiori oneri della raccolta di�erenziata, per il riciclaggio e per il recupero dei ri�uti di imballaggi». Il contributo viene restituito nel momento in cui si riporta l’imballaggio in una struttura riconosciuta. A Colleferro da qualche anno è attivo il Centro Riciclo Colleferro, un’azienda che seleziona i ri�uti da raccolta di�erenziata, li tratta e successivamente li invia alle aziende specializzate. Quando Lazio Am-biente conferisce gli imballaggi, il CONAI gli restituisce il contributo ambientale versato al momento della messa in circolo. Anche in questo caso possiamo analizzare i numeri reali. Il MUD 2012 ci dice che su 11.292,4 tonnellate di ri�uti solo 1.781,54 vengono riciclate, ovvero il 15,77%. Mandiamo quindi in discarica l’84,23% dei ri�uti prodotti: una quantità enorme che, oltre a pesare sulle nostre tasche, non potrà essere in alcun modo riciclata e costituirà un problema ambientale per moltissimi anni. Inoltre il contributo CONAI non viene recuperato.Per completare il quadro economico dobbiamo prendere in considera-zione ancora due voci.Nel 2012 il GAIA ha ricevuto dal comune 3.635.118€ per svolgere il ser-vizio di spazzamento, raccolta e conferimento ri�uti. Il comune riceve da Lazio Ambiente il cosiddetto ristoro ambientale, un corrispettivo econo-mico per il “disagio” creato dalla presenza della discarica e degli inceneri-tori: un’ammissione della pericolosità per l’ambiente e per la salute. Questo

contributo, per legge, dovrebbe essere speso per opere che migliorino la qualità e la salubrità di aria, acqua, suolo. Tuttavia, se si analizza il bilancio del Comune, non si trova traccia di un impiego del genere. Tenendo conto che la TARSU riesce a coprire circa il 70% delle spese per la gestione dei ri�uti, è evidente il peso enorme di tale servizio per le casse comunali. Per non parlare del gravissimo danno alla salute e all’ambiente soprattutto nei territori che ospitano le strutture di gestione e trattamento ri�uti (si veda in proposito il rapporto ERAS 2012).Ma non abbiamo anche gli inceneritori?Non abbiamo menzionato sin qui le due linee di incenerimento presenti nel nostro territorio. Questo perché i ri�uti di Colleferro non entrano negli inceneritori, dal momento che il ri�uto indi�erenziato non può essere bruciato in impianti di quel tipo. Anche l’incenerimento ha dei costi economici molto elevati: nei due impianti di Colleferro è di circa 75€ a tonnellata. Il prezzo di conferimento non è uguale nei vari incene-ritori esistenti in Italia ma, come accade per qualunque altra merce, varia in base a scelte e convenienze aziendali. È per tale motivo che il ri�uto da bruciare viaggia per l’Italia in cerca di prezzi più bassi, prendendo a

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Nel 2012 è stato pubblicato lo studio ERAS Lazio (Epidemiologia, Ri�uti, Ambiente e Salute nel Lazio) realizzato dal Dipartimento di Epidemiolo-gia del Servizio Sanitario Regionale in collaborazione con ARPA Lazio e USL RMG. Lo studio, unico nel suo genere, è stato condotto sui dati rac-colti dal 1998 al 2010. Esso ha grande importanza per il nostro territorio poiché è �nalizzato a stimare gli impatti degli impianti di trattamento e smaltimento ri�uti sull’ambiente e sulla salute delle persone che vivono nel raggio di 5 Km da tali impianti. Lo studio Eras è unico nel suo ge-nere in Italia. In particolare per Colleferro l’arco temporale di indagine comprende sia i dati del periodo antecedente all’entrata in funzione degli inceneritori che quello successivo, fornendo quindi un ra�ronto credibile tra la situazione pre e post inceneritori. Il rapporto arriva a conclusioni inequivocabili: esiste anche nel territorio e nella popolazione di Collefer-ro una stretta correlazione tra l’esposizione agli inquinanti prodotti dalla discarica e dagli inceneritori e l’aumento di ospedalizzazioni e ricoveri per patologie respiratorie. Circa i “termovalorizzatori”, l’aggravio delle emissioni da incenerimen-to, studiate utilizzando come tracciante le polveri PM10, è inequivo-cabile. «I risultati hanno evidenziato come gli uomini residenti in aree

identi�cate dai valori massimi di PM10 emessi dagli impianti mostrino un eccesso del 31% di ospedalizzazioni per malattie dell’apparato respi-ratorio e del 79% per malattie polmonari cronico ostruttive (BPCO), rispetto ai residenti in aree meno esposte. Anche tra i bambini esposti a livelli medi e più elevati di concentrazione del tracciante del termovalo-rizzatore si è osservato un aumento di ricoveri per infezioni acute delle vie respiratorie (+78%)» (pag. 223, vol 3). Inoltre, nelle popolazioni che vivono nell’arco di 5 Km dalle discariche “si è evidenziato un quadro di mortalità e morbosità relativamente sovrapponibile a quello regionale, con le sole eccezioni nei maschi delle malattie dell’apparato respiratorio (compresa la broncopneumopatia cronica ostruttiva, BPCO), i tumori della pleura e il mieloma multiplo...una più elevata mortalità tra le donne per tumore della vescica e tra gli uomini per patologie a carico dell’apparato urinario...Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri sono stati osservati aumenti per malattie cardiovascolari e respiratorie” (pag. 46, vol. 3 del rapporto). Il rapporto ERAS chiede a tutti noi, attraverso piccoli gesti quotidiani, ma soprattutto alle Amministrazioni pubbliche, di compiere una rivoluzione sulla politica dei ri�uti e sulle modalità della loro gestione.

Impianti per la gestione dei ri�uti. Lo studio ERAS a�erma:

Fanno male alla salute risultati del rapporto non possono essere ignorati,

nessuno ha diritto di minimizzarli

volte addirittura la via dell’estero: la trasformazione del ri�uto in merce, fonte di business, provoca anche comportamenti aberranti di questo tipo. Inoltre, bruciando carta e plastica (combustibili molto usati negli ince-neritori) perdiamo la possibilità di riciclarli, mandando in fumo anche il contributo CONAI.Un altro viaggio è possibile.Il viaggio col nostro sacchetto è terminato, e noi restiamo col dubbio se le altre strade percorribili siano davvero più economiche. Un esempio concreto ce lo o�re però il comune di Capannori, in Tosca-na. Grazie alla raccolta porta a porta e alla strategia “Ri�uti zero” alla quale il comune ha aderito �n dal 2007, Capannori di�erenzia l’82% dei ri�uti prodotti e ottiene un bilancio del settore in equilibrio. La pro-duzione di ri�uti (scesa in un anno del 6,5%) è diminuita anche grazie ai 3.000 composter utilizzati dai cittadini, “i veri protagonisti di questi ottimi risultati” (dal sito Firenzetoday del 16 maggio 2013).I cittadini amministrati da comuni che aderiscono alla strategia “Ri�uti zero” sono più di 3 milioni in Italia: che aspettiamo ad aderire anche noi, cittadini di Colleferro?

Dal 1° gennaio 2013 il Tributo comunale sui Ri�uti e sui Servizi indivi-sibili (TARES) ha sostituito la TARSU e la Tari�a di Igiene Ambientale (TIA). Il gettito della TARSU serviva esclusivamente a �nanziare - in misura non predeterminata - i costi per la gestione dei ri�uti urbani; la TARES dovrà invece coprirli per intero e fronteggiare pure i costi dei servizi cosiddetti “indivisibili” (ad esempio, illuminazione pubblica e manutenzione delle strade) che, però, incideranno in misura marginale.La base imponibile su cui calcolare la TARES sarà la stessa della TARSU e della TIA. Il Consiglio comunale deve approvare le tari�e del tributo entro il termine �ssato per l’approvazione del bilancio di previsione, sulla base del piano �nanziario del servizio di gestione dei ri�uti urbani redatto dal soggetto che svolge il servizio (GAIA).Pur con i tanti limiti che gli esperti fiscali hanno messo in luce nel dibattito degli ultimi mesi, la TARES avrà almeno il merito di rendere esplicito per le famiglie il costo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti e dovrebbe dunque costituire un forte incentivo a pretendere una loro gestione efficiente. Il meccanismo escogitato dal legislatore imporrà infatti ai Comuni che non hanno finora raggiunto la coper-tura totale della spesa sostenuta per la raccolta dei rifiuti (Colleferro, ahinoi, è tra questi) di aumentare l’imposizione sui cittadini. Le even-tuali inefficienze di chi gestisce i rifiuti si riverseranno direttamente sul prelievo fiscale. Dunque la TARES dovrà coprire il 100% del costo del servizio per i ri�uti sostenuto dai comuni italiani, che ad oggi viene coperto dalla TARSU in media al 79%, con picchi massimi del 91%; a Colleferro tale

percentuale si ferma al 59,6% ca. Si può ipotizzare dunque che la spesa a carico delle famiglie colleferrine subirà un aumento del 40% ca.Dai dati indicati nella relazione sulla gestione del bilancio 2012 si evin-ce, infatti, che il costo annuo per la raccolta e lo smaltimento dei ri�uti era pari a 4,1€ mln ca. (IVA inclusa), cifra corrispondente a quanto il comune riconosceva a Gaia, e ora forse a Lazio Ambiente. Nel consun-tivo 2012 venivano evidenziati introiti dalla TARSU per 2,5€ mln ca. Ciò signi�ca che, ceteris paribus, per l’anno in corso il comune potrebbe chiedere ai contribuenti, mediante la TARES, ulteriori 1,6€ mln ca. È importante ribadire che il meccanismo su cui poggia la TARES pe-nalizzerà gli abitanti dei comuni meno e*cienti, che sprecano di più, che utilizzano impropriamente le risorse. A Colleferro saremo chiamati a pagare quanto il comune riconoscerà a Lazio Ambiente, che dovrà de�nire il prezzo a fronte dei servizi forniti. Questo prezzo non può che essere legato ai costi che la società deve a�rontare (personale, consulen-ze, fornitori). Ciò considerato dovremo chiedere ai nostri amministra-tori di monitorare attentamente la gestione di tale società, perché non siano i cittadini a pagare di nuovo l’eventuale dilapidazione dei soldi pubblici perpetrata da manager incapaci o forse rapaci. Abbiamo già dato e le persone che avrebbero dovuto vigilare allora sono più o meno le stesse che dovrebbero vigilare ora. Dobbiamo pretendere ora più che mai maggiore rigore e attenzione. Dobbiamo pretendere anche che si valutino ipotesi alternative e forse più economiche per la gestione dei ri�uti. Dobbiamo pretendere che la gestione dei ri�uti avvenga esclu-sivamente nell’interesse e a bene�cio dei cittadini.   

Pagheremo caro, pagheremo tutto

Dalla Tarsu alla TaresLe ine!cienze nella raccolta dei ri�uti si scaricheranno sulle tasche dei cittadini,

saprà il comune vigilare e fare le scelte opportune?

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Nel novembre dello scorso anno, la sala Konver di via degli Esplosivi a Colleferro ha ospitato un’interessantissima iniziativa promossa da Retuvasa e dal Gruppo Logos nell’ambito delle celebrazioni per i cento anni dell’industria bellica (che, per inciso, tuttora purtroppo insiste sul suolo colleferrino): si tratta del Convegno “Quando la volontà colletti-va diventa progetto: come ricostruire un territorio”, cui è intervenuto, tra gli altri prestigiosi e generosi ospiti, il professor Hanns Dietrich Schmidt, Responsabile culturale della Ruhr per il distretto di Essen.Ne scriviamo su questo numero perché il convegno dell’anno scorso non è stato il grido di un singolo profeta nel deserto ma il primo pas-so di una collaborazione tra associazioni ambientaliste provenienti da regioni e devastazioni diverse per genesi e storia ma identiche per ci-catrici e dolore. In Italia, i disastri ambientali interessati dalle boni�che sono 57, tra cui l’Eternit di Casale Monferrato e l’Ilva di Taranto, che hanno catalizzato, inevitabilmente, l’attenzione collettiva. Questi siti rappresentano adesso un unico coordinamento costituito da gruppi con  interessi diversi ma con un  obiettivo comune: riquali�cazione e  riconversione dei siti industriali. L’esempio della Ruhr ci insegna che se la politica ha voglia di trovare una soluzione, la trova; se non la trova, i cittadini possono suggerirgliela, riunendosi in comitati e organizzando convegni come questo. A proposito, se qualcuno di voi lettori non ha potuto prendervi parte, può trovare un video con i passaggi e gli inter-venti più importanti sul nostro canale YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=N5812S6SZUQ ).Come sottolineato più volte dal prof. Schmidt, sarebbe un errore ri-petere l’esempio della Ruhr senza fare una valutazione accurata delle speci�che componenti socio-economiche e ambientali del territorio in cui si vuole operare, e è in questa direzione che dobbiamo e vogliamo lavorare. I risultati raggiunti nel distretto tedesco incoraggiano però quanti da tempo sognano il giorno in cui avranno l’opportunità di de-terminare dal basso le scelte che li riguardano. E è proprio per questo che il cammino intrapreso a Colleferro l’anno scorso è proseguito a Brescia, dove il 14 e 15 ottobre 2013 si è svolto il convegno “Puliamo l’Italia. Dall’archeologia industriale alla rigenerazione del territorio”. I lavori della prima giornata centrati sul tema della creazione di un “Piano nazionale di boni�ca dei siti industriali inquinati”, presieduti da Aldo Rebecchi, Presidente della Fondazione Luigi Micheletti, han-no visto la presenza e la partecipazione del sindaco di Brescia. Tra i relatori, Walter Ganapini, Membro Onorario del Comitato Scienti�co dell’Agenzia Europea dell’Ambiente; Valerio Gennaro, Responsabile del Dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Tumori di Genova, specia-lista in oncologia, igiene e medicina preventiva, perito dell’accusa nel processo sull’Enichem di Porto Marghera e in quello sull’Ilva di Genova e Roberto Ferrigno, consulente di Greenpeace. La seconda giornata sul tema “Esperienze europee, nazionali e il caso Ca�aro” presieduta da Marino Ruzzenenti, della Fondazione Luigi Micheletti, e Gianluigi Fondra, Assessore all’Ambiente del Comune di Brescia, ha visto tra i i relatori, Giorgio Nebbia, professore emerito dell’Università di Bari; René Capovin, del “Museo dell’Industria e del Lavoro. Musil” di Bre-scia; Nicolai Zanettini, Direttore lavori Sin Fidenza; Stefano Leoni, ex commissario Sin Acna; Giulio Sesana, ex direttore dell’Arpa di Brescia, incaricato dal sindaco per le boni�che; Riccardo Iacona, direttore di “Presadiretta” Rai3; Pier Paolo Poggio, Direttore della Fondazione Luigi Micheletti; alcuni funzionari del Ministero dell’Ambiente. (http://www.radiondadurto.org/2013/10/17/puliamo-litalia-gli-audio-del-conve-gno-che-si-e-tenuto-a-brescia-il-14-e-15-ottobre/) Il confronto tra le associazioni che lottano sui propri territori, come Retuvasa, ha prodot-to una bozza di piattaforma per il Coordinamento nazionale dei Sin e dei SIR, ha avviato la fase di sperimentazione del sito WEB necessario al coordinamento delle realtà di lotta nei territori contaminati, di�usi sul territorio nazionale, non solo quelli riconosciuti come SIN. Un dato rilevante è la creazione La Rete dei Comuni per la Boni�ca dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) nata a Mantova il 25 settembre 2013, presen-

tata a Brescia da Mariella Ma�ni, assessore all’ambiente del comune di Mantova. Abbiamo ragionato sul territorio in cui viviamo non come una terra di conquista ma come un patrimonio da custodire e salva-guardare. Stiamo pagando sulla nostra pelle gli errori di valutazione del passato, quando si è pensato solo all’occupazione e soprattutto al

Nasce il coordinamento nazionale dei siti contaminati

Il cielo può diventare di nuovo blu, se lo vogliamo tutti

Sarebbe un errore ripetere l’esempio della Ruhr senza fare una valutazione accurata delle speci�che componenti socio-economiche e ambientali del territorio in cui si vuole operare

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L’immagine è presa dalla festa “Still Leben” (Ancora Vita), un grandissimo evento per celebrare la Ruhr organizzato nientemeno che sull’autostrada A40, che colle-ga Dortmund a Duisburg: c’erano più di ventimila tavoli e quasi tre milioni di persone a mangiare e ballare e onorare la rinascita di questo grande distretto minerario. Gli abitanti della Ruhr si sono riappropriati del loro territorio e del diritto a viverlo serenamente, e hanno “occupato”, col consenso delle autorità, un tratto di auto-strada. Fantastico, no?

pro�tto e non alla salute dei cittadini. Siamo convinti che la Valle del Sacco possa rinascere dalle proprie ceneri come la fenice della Ruhr, creando un polo culturale e paesaggistico capace di o�rire molteplici opportunità di lavoro, vincolando i progetti di reindustrializzazione alle vocazioni del territorio e alla valorizzazione dell’ambiente.

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La salute dei bambiniIl 7 ottobre, presso la sala Mo�a del Comune di Colleferro, si è tenuta la Conferenza “Inquinamento e salute dei bambini, cosa c’è da dire, cosa c’è da fare”, cui hanno partecipato rappresentanti di varie associazioni, medici, genitori, insegnanti e rappresentanti della politica locale e nazionale. La di�usione delle informazioni sullo stato della salute dei cittadini, l’importanza della prevenzione primaria, la necessità di approfondimenti del rischio sanitario attraverso studi epidemiologici, la sollecitazione per l’elaborazione di un percorso di una cittadinanza attiva che pretenda sistemi di osservazione permanente sulla Valle del Sacco, il ruolo della boni�ca e la riduzione dell’esposizione ai fattori di rischio, tutti questi elementi sono stati al centro degli interventi dei relatori: la Dott.ssa Laura Reali (Referente Associazione Culturale Pediatri); i Dottori Rosanna Palazzi e Andrea Satta, (Pediatri di base presso la ASL RMG); l’Associazione Minerva Pelti; l’Associazione Mamme per la salute e l’ambiente Onlus di Venafro; Salvatore Altiero (CSOA La Strada - Associazione ASUD); la Parlamentare Federica Daga (M5S); Marco Campagna (segreteria della Consigliera Regionale Daniela Bianchi). Largo spazio è stato dato alla spiegazione di cosa sono gli interferenti endocrini e i pesticidi, e come possiamo difendere noi e i nostri �gli dai loro danni. Il panorama delle malattie infantili (dalla obesità al diabete di tipo 1, all’autismo, l’asma, il DHD, �no ad arrivare alle patologie oncologiche) si è molto modi�cato negli ultimi anni, e è sempre più evidente quanto possa essere pericoloso e dannoso per l’essere umano vivere in luoghi con criticità di carattere ambientale. Fondamentale l’importanza dello stile di vita e la crescita di consapevolezza nella popolazione e della necessità di pensare al rischio in via preventiva. È opportuno sollecitare le istituzioni ad a�ancarsi alle famiglie in questa lotta contro gli agenti patogeni, per esempio pretendendo che anche il nostro Paese rati�chi la Convenzione di Stoccolma (l’Italia è uno dei pochi a non averlo ancora fatto), che permetterebbe di inserire tra gli inquinanti organici persistenti (POPs) anche i PCB e diossine oltre all’esaclorocicloesano, contaminante nella Valle del Sacco.

Consumo di suolo, occupazione degli ulti-mi spazi liberi del territorio del comune di Colleferro, sfregi al patrimonio storico e cul-turale della città… di questo si sono dovuti occupare negli ultimi mesi le associazioni e la cittadinanza attiva di Colleferro, per esempio sulla trasformazione del museo Marconiano in edificio residenziale, sulla lottizzazione dell’area del Castello vecchio e sul parcheg-gio e i servizi per il progetto Reisen, l’ultimo sfregio all’area del castello di Piombinara, un progetto che appare economicamente inso-stenibile e che suscita dubbi sulla sua reale destinazione.Gli ultimi due progetti si fondano su dispositi-vi che producono una valutazione esorbitante dei terreni, creando dal nulla valore per i pro-prietari e trasferendo all’ente locale compen-sazioni puramente virtuali che rendono nullo l’esborso dei privati, lasciando a carico del primo un carico di oneri per gli anni a venire. L’evidenza di questi meccanismi suggerisce di mettere in atto una operazione trasparenza che permetta ai cittadini di valutare i criteri

coi quali sono stati realizzati i principali in-sediamenti residenziali, commerciali, terzia-ri e logistici nella nostra città e la natura dei bene�ciari delle scelte fatte. Operazione tanto più necessaria in quanto lo sviluppo urbano di Colleferro ha sacri�cato all’interesse privato la creazione di spazi pubblici, di spazi verdi, di luoghi di incontro e di socialità per la citta-dinanza, collocando sul territorio servizi es-senziali in luoghi che non ne facilitano l’uso e la frequentazione. Non si è creata la trama di luoghi e percorsi che facciano della città un tessuto denso di relazioni: viceversa, la sociali-tà si paga, con obbligo di consumazione, a�ol-lando le strade con auto private, il cui tra�co contribuisce al peggioramento della qualità dell’aria già pesantemente compromessa.Il territorio comunale è ancora in parte mag-gioritaria sequestrato delle industrie eredi del “glorioso passato” e dal disastro ambien-tale del quale la mappa dell’inquinamento è assolutamente provvisoria, mentre la città è il polo terziario e commerciale del territorio circostante. In questo contesto le scelte di ur-

banizzazione fatte sono ancora più suicide che altrove. Lo strumento di governo del territorio (PUCG - Piano Urbanistico Comunale Gene-rale) che obbligatoriamente deve sostituire il vecchio Piano Regolatore (PRG), è da anni in gestazione, mentre si succedono l’uno all’altro diversi responsabili e si opera con varianti al piano regolatore esistente. Segnali drammatici sulla salute dei cittadini provengono da diverse indagini epidemiolo-giche. Si impone una drastica inversione di tendenza: occorre creare le condizioni per un miglioramento generalizzato della qualità ambientale della vita dei cittadini, bloccando le principali fonti di inquinamento e ogni ul-teriore consumo di suolo, riducendo drastica-mente il tra�co privato con scelte opportune per il trasporto pubblico, creando un acque-dotto che attende da anni di essere realizzato e riorganizzando i servizi.Non ci facciamo illusioni: solo la mobilitazio-ne e la partecipazione attiva e organizzata dei cittadini può imporre una svolta tanto radicale quanto drammatica.

Partecipazione dei cittadini per trasformare la gestione del pubblico

Consumo di suolo, spazi pubblici e servizi

Lo sviluppo urbano di Colleferro ha sacri�cato all’interesse privato la creazione di spazi pubblici, di spazi verdi, di luoghi di incontro e di socialità per la cittadinanza

Ciclomobilità urbana

Una via sicuraScegliere di muoverci in maniera ecosostenibile migliorerà la nostra vita. Per farlo, è necessario il supporto delle associazioni ma anche la volontà dei cittadini, che possa far leva su una maggior coscienza e responsabilità dei sindaci: non possono più ignorare il problema, devono darci delle alternative per la mobilità urbana.Nel frattempo, mentre li convinciamo, ecco alcune regole che possiamo e dobbiamo adottare nella nostra ciclo-mobilità urbana.1.Usare il caschetto: lo sappiamo, è antiestetico, rovina la messa in piega e fa sudare ma in caso di urti, cadute e buche può salvare la vita. 2.Rendersi riconoscibili. Di sera meglio usare per i tratti più tra�cati un giubbotto catarifrangente o adesivi e luci di segnalazione; inoltre dobbiamo sempre segnalare cambi di direzione 3.Informarsi sulla presenza di piste

ciclabili in città. Gli appassionati di bike le hanno censite nelle diverse città, su internet troviamo l’elenco… aggiungiamo Colleferro! 4.Il marciapiede. A volte salva la vita, ma è un territorio riservato ai pedoni, sfrecciarvi è pericoloso e incivile; se è tra�cato meglio portare la bici a mano.

Scadenza alimentiNel mondo si sprecano quasi 2 miliardi di tonnellate di cibo all’anno, circa la metà di quanto viene prodotto. Ma tra i paesi europei ci sono molti distinguo e alcuni dati contrastanti, soprattutto riguardo una diversa percezione della scadenza degli alimenti. La commissione europea ha posto a più di 25.000 cittadini di tutti i Paesi membri una domanda: «Pensate sia sicuro consumare prodotti alimentari dopo la data di scadenza indicata sull’etichetta?». Hanno risposto «sì» il 74% dei francesi, il 73% degli olandesi e il 65% dei tedeschi, contro il 42% degli spagnoli e un misero 27% degli italiani. Molti alimenti sono e�ettivamente buoni e commestibili molto più a lungo: la data di scadenza è frutto di un rapporto tra economia e chimica, una questione di sicurezza alimentare e politiche commerciali. In fondo però basterebbe un po’ di esperienza pratica per capire se un alimento è ancora buono, non è forse quello che facevano le nostre nonne?

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La Ruhr è una regione tedesca ricca di carbone e di ferro che ha vissuto da sempre un notevole sviluppo dei settori estrattivo e metallurgico, con parallela devastazione del territorio e degrado delle condizioni atmosferiche generali. Quando le industrie minerarie cominciarono a declinare, negli anni Settanta e Ottanta, il paesaggio e la sua salubrità sembrarono infatti irrimediabilmente compromessi: scorie industriali, ruderi di fabbriche dismesse, urbanizzazioni frammentarie e confuse, tracciati ferroviari fuori uso, il �ume Emscher trasformato in un lungo scarico a cielo aperto…. Ci ricorda qualcosa, non è vero? Fu allora che il governo regionale del Nordrhein-Westfalen prese in mano la situazione con grande lungimiranza, e allargò la partecipazione decisionale a esponenti della politica, dell’economia, dei sindacati e delle associazioni ambientaliste: tra loro architetti, ingegneri, paesaggisti, artisti, naturalisti. Tutto ruotò intorno a un obiettivo: realizzare il grande Parco Paesaggistico dell’Emscher, un’area di ben 320 Kmq. I sette progetti-guida furono:

1) il parco paesaggistico dell’Emscher;

2) il riassetto ecologico del sistema idrologico dell’Emscher;

3) il recupero del canale Rhein-Hern;

4) i monumenti industriali intesi come testimonianze storiche;

5) lavorare nel parco;

6) l’edilizia residenziale e lo sviluppo dei quartieri, le forme

innovative dell’abitare;

7) nuove proposte per attività sociali e culturali.

Nella Ruhr, come in ogni territorio in cui bisogna leccare le ferite alla salute inferte dall’industria, si è riusciti a fare quello che è possibile fare anche nella nostra Valle, se lo vogliamo: ripulire, boni�care, far nascere piccole imprese, ridisegnare la geogra�a delle strade e di molte città cresciute come atolli intorno a miniere o a fabbriche che non c’erano più e la cui chiusura aveva interrotto attraversamenti reali o solo mentali. La riquali�cazione si è mossa lungo due coordinate, inscindibili nella Ruhr ma anche nella Valle del Sacco che verrà: lavoro ed ecologia. Ogni iniziativa, ogni proposta, ogni suggerimento doveva rispondere prioritariamente a questi due imperativi: creare opportunità d’impiego e contribuire a riquali�care il territorio. Dunque, se ecologia e lavoro erano gli obiettivi, coordinamento e coinvolgimento sono stati gli strumenti. Ogni singola e sia pur elementare azione è stata annunciata, sbandierata, dichiarata per riuscire a portare le persone nelle sale, convincerle a leggere i giornali e a seguire l’evoluzione dei progetti e la loro dinamica. In fondo, era del posto dove vivevano che si trattava! Possiamo imparare anche noi ad amare di più il nostro territorio, non trovate? Tutti insieme possiamo guarirlo.

Che cos’è la Ruhr? Perché il suo

esempio può guidarci?

Il declino dell’industria dell’acciaio e del carbone lasciò in eredità la devastazione ambientale:

l’ambiente è stato risanato,il paesaggio ricostituito, il lavoro ritrovato

Dati ISPRA sul consumo di suoloIn Europa è divorato il 2,3% del territorio e la nostra nazione è oltre la media. Negli ultimi anni il consumo di suolo in Italia è cresciuto ad una media di 8 metri quadrati al secondo e la serie storica dimostra che si tratta di un processo che dal 1956 non conosce battute d’arresto. Si è passati dal 2,8% del 1956 al 6,9% del 2010, con un incremento di 4 punti percentuali. In altre parole, sono stati consumati, in media, più di 7 metri quadrati al secondo per oltre 50 anni. Il fenomeno è stato più rapido negli anni 90, periodo in cui si sono s�orati i 10 metri quadrati al secondo, ma il ritmo degli ultimi 5 anni si conferma comunque accelerato, con una velocità superiore agli 8 metri quadrati al secondo. Questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementi�cata una super�cie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze. In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 km2 nel 2010, un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demogra�ca: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340 m2.

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La storia amministrativa del progettoLa fascia di terreni che si estende per 100m intorno al Castello Vecchio è sottoposta a vincolo paesaggistico come bene «avente valore di testimonianza dei caratteri identitari, archeologici e storici». Sulla collina ricade anche il vincolo cimiteriale, esteso, secondo il vigente PRG, a una fascia di 200m intorno al cimitero; gran parte dei terreni è destinata a verde pubblico.Con la delibera di CC n. 14/2009 è approvata la proposta della ditta Furlan Srl riguardante la realizzazione e cessione di verde attrezzato, nonché la cessione del castello, in cambio della realizzazione di volumetria edilizia. Con la delibera di CC n. 85/2009 è approvato il progetto integrato e adottata la relativa variante urbanistica. Si stabilisce di far ricorso allo strumento dell’accordo di programma ai �ni dell’approvazione della variante e di ridurre a 100 m il vincolo cimiteriale. La prima CdS (6/04/2011) si conclude con la richiesta di documentazione integrativa e di una maggiore attenzione per la valorizzazione del castello. Nella seconda CdS (23/02/2012) si ribadisce la necessità di ulteriori revisioni per approfondire la valutazione delle compensazioni proposte, assicurare il rispetto del DM 1444/68 sulla dotazione di aree destinate a standard urbanistici e assumere il castello come centro della progettazione. Si arriva al progetto attuale che riceve le obiezioni della Commissione Edilizia Comunale (8/05/2012, verb. n. 4); il Consiglio Comunale approva comunque la rimodulazione (delibera CC n. 26/2012).Il 3/08/2012 le associazioni di Colleferro fanno pervenire 11 osservazioni al progetto, di cui solo tre vengono parzialmente accolte dal Comune. Nell’ultima CdS il progetto è de�nitivamente respinto dagli u�ci competenti della Regione Lazio e della Provincia di Roma.

Il progetto in sintesiIl progetto prevedeva la costruzione di nove palazzine lungo via Fontana Bracchi (oltre alle quattro del lotto di via Colle Bracchi) per un totale di 81 unità abitative e 280 abitanti insediabili.Per ciascun palazzo, di altezza variabile tra uno e quattro piani, era prevista la presenza di garage interrati accessibili attraverso rampe poste lungo via Fontana Bracchi. Era prevista, inoltre, la presenza di un percorso carrabile centrale e di spazi laterali a ciascun edificio da utilizzare come parcheggi o arterie di collegamento con via Fontana Bracchi. È evidente che il nuovo nucleo edilizio avrebbe danneggiato in modo irreversibile l’aspetto della collina, costituendo una barriera per la visuale del castello, aumentando la circolazione e il traffico nell’area circostante e sottraendo alla città ben 20.570 m2 di verde (a fronte di un’area restante di 58.162 m2). Il progetto di riuso del castello prevedeva soluzioni del tutto incoerenti con i caratteri culturali e le finalità pubbliche che dovrebbero appartenere a un immobile storico di tale importanza. Al piano terra, infatti, erano previsti uffici direzionali, che difficilmente avrebbero garantito una frequentazione pubblica, e una sala sfilata con passerella di dubbia utilità. Al primo e al secondo piano erano previste sale per banchetti con cucine e servizi, per il cui impianto si sarebbe dovuto incidere notevolmente sui caratteri strutturali e architettonici del castello, e camere d’albergo anch’esse incompatibili con la fruizione pubblica dell’edificio. Davanti all’ingresso era previsto un parcheggio per 24 posti auto che avrebbe certamente contribuito allo sviluppo della circolazione automobilistica in una zona che, fino a questo momento, ne è rimasta lontana.

LA VALLEBollettino non periodico delle attività della Associazione ODV-Onlus Rete per la Tutela della Valle del SaccoSede legale 00034 Colleferro (RM) via Ugo Foscolo, 39

Tipogra�a Bonani di Bonanni Emilio 00034 Colleferro (RM) via XXV Aprile, 75- tel. 06 97089152

Redazione 00034 Colleferro (RM) via Latina, 90Mail [email protected] 335 8032 442 • 335 6545 313Hanno collaborato: Giacomo Anania, Francesco Bearzi, Roberto Bellotti, Sara Deodati, Cristina Mataloni, Anna Lisa Nardone, Adelina Ramundo, Roberto Rosso, Alberto VallerianiFoto di Marco Anselmi (Hans Photographer) Progetto grafico Federico Mininni

Salvo il Castello Vecchio: si apre la strada per una vera valorizzazione

No al cemento sul Castello!

Lo stop della Regione Lazio in Conferenza di Servizi al progetto di edi"cazione di nove palazzine a ridosso del complesso medievale.

Confermate le irregolarità rilevate da cittadini e associazioni

«Non meritevole di approvazione». Con que-ste parole la Direzione Territorio e Urbanistica della Regione Lazio ha u�cialmente respinto il progetto “Castello Vecchio-Fontana Brac-chi” presentato nel 2012 dalla ditta Furlan srl e in seguito adottato dal Consiglio Comunale di Colleferro.L’arresto di questa nuova colata di cemento rappresenta senza dubbio un’importante vit-toria per i cittadini e le associazioni di Colle-ferro che per mesi si sono mobilitati attraverso il Comitato per la salvaguardia del castello per denunciare pubblicamente le numerose criti-cità di un intervento edilizio pensato a ridos-so del Castello Vecchio, uno dei siti storici di maggior pregio del territorio, e a danno dell’u-nica, vasta area verde presente all’interno dei con�ni urbani.Il rigetto di questo programma non è una novità se si considera che già una sua prima versione aveva ottenuto il parere negativo de-gli enti riuniti in Conferenza di Servizi (CdS), con l’invito esplicito a una rimodulazione che tenesse in maggior conto la valorizzazione delle strutture medievali. Le successive modi�che e i vaghi accenni a ipotesi di “valorizzazione” della costruzione antica come albergo non sono ri-sultati su�cienti a o"rire solide basi al nuovo progetto, che anzi poggia su fondamenta piut-tosto precarie e, soprattutto, illegittime. La bocciatura della Regione arriva al termine di un lungo iter che si è concluso con la CdS del 24/04/2013. Le motivazioni sono di natura tec-nica e colpiscono per la gravità dei dati rilevati: a parte le irregolarità nella destinazione delle

volumetrie del lotto di via Colle Bracchi, la Re-gione ha veri�cato l’illegittimità della riduzione da 200 a 100 m del vincolo cimiteriale ricaden-te nell’area della collina, stabilita dal Consiglio Comunale con la delibera n. 26/2012. Non sfugge che questo sia, sotto il pro�lo tecnico, il nodo cruciale su cui si è giocata la possibilità dell’e"ettiva realizzazione dell’intervento: sen-za tale riduzione, infatti, circa metà dell’area di progetto sarebbe risultata “inutilizzabile” per il costruttore in virtù dell’inedi�cabilità delle aree soggette a tale vincolo. Su questo passaggio si erano già concentrate alcune delle osservazioni presentate nell’ago-sto 2012 dalle associazioni RETUVASA, UGI, A.MA e dai consiglieri di Rinascita Collefer-ro. Sulla base di un’interpretazione “perso-nale” delle norme in materia, l’art. 28 della legge n. 166/2002 e la sentenza della Corte di Cassazione III n. 8626 del 26/02/2009, l’Am-ministrazione aveva respinto le osservazioni sostenendo la piena regolarità dell’operazio-ne. In realtà, l’art. 28 recita: «Per dare ese-cuzione a un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, purché non vi ostino ragioni igienico-sanitarie, il Consiglio comunale può consentire, previo parere favo-revole della competente azienda sanitaria lo-cale, la riduzione della zona di rispetto […]». Si parla, dunque, di opere pubbliche, non di edifici privati, e ciò viene espressamente ribadito proprio dalla citata sentenza della Corte di Cassazione, che sottolinea come il legislatore abbia voluto limitare le possibili deroghe a tale vincolo ai soli interventi ur-

banistici pubblici. Lo stesso nulla osta della ASL si riferisce alla sola progettazione del parco pubblico. Il parere della Regione, inol-tre, chiarisce come tale “interesse pubblico” sia da circoscrivere alle «specifiche opere ricadenti nella fascia di rispetto, essendo ir-rilevante che esse facciano parte o meno di un più ampio intervento urbanistico […]. Ri-sulta conseguentemente illegittima la ridu-zione della zona di rispetto per l’esecuzione di opere di interesse privato». Inutile, quindi, il tentativo dell’Amministrazione di masche-rare il soddisfacimento degli interessi privati del costruttore attraverso la pubblica utilità del parco, per la cui eventuale realizzazione risulta del tutto indifferente la riduzione del vincolo. Non dimentichiamo, inoltre, che al parco sarebbe spettata una porzione di verde enormemente ristretta rispetto a quella oggi godibile, mortificata inoltre dalla presenza di palazzine con garage e viali carrabili. La bocciatura della Regione, rafforzata dal parere negativo del Dip. VI della Provincia di Roma, conferma quindi le critiche avanzate dalle associazioni che registrano una notevole vittoria in vista delle future azioni in difesa del castello. Unica nota amara: quella che doveva essere la motivazione principale per il NO al progetto, la salvaguardia di un paesaggio sto-rico strati�catosi attorno alla rocca medievale, è stata di fatto superata da una questione me-ramente tecnica, senza che gli organi di tutela dei beni culturali e paesaggistici siano stati in grado di far sentire la propria voce in difesa di questo patrimonio.

COLLEFERRO

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