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1 “LA VECCHIA ROGHUDI TRA GRECITA’ E RICOSTRUZIONE” Comune di Roghudi Via: Roma-tel.0965.789140-fax.0965.771327. Internet: http://www.comune diroghudi.it Dove Regione Calabria Provincia Reggio Calabria (RC) Zona Italia Meridionale Popolazione Residente Totale 1.376 Densità per Kmq 37,7 Maschi 707 Femmine 669 Varie Numero Famiglie 533 Numero Abitazioni 842 Denominazione Abitanti roghudesi Utili Link Tel. e fax- 0965-771119. Codici CAP 89060 Prefisso Telefonico 0965 Codice Istat 080068 Codice Catasto H489 MAPPA STRADALE.

“LA VECCHIA ROGHUDI TRA GRECITA’ E RICOSTRUZIONE” · “Caddareddhi”,servivano al nutrimento del drago,custode di un tesoro. “La leggenda” . Il drago, oltre ad essere

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“LA VECCHIA ROGHUDI TRA GRECITA’ E RICOSTRUZIONE”

Comune di Roghudi Via: Roma-tel.0965.789140-fax.0965.771327. Internet: http://www.comunediroghudi.it

Dove

Regione Calabria

Provincia Reggio Calabria (RC)

Zona Italia Meridionale

Popolazione Residente

Totale 1.376

Densità per Kmq 37,7

Maschi 707

Femmine 669

Varie

Numero Famiglie 533

Numero Abitazioni

842

Denominazione Abitanti

roghudesi

Utili Link

Tel. e fax- 0965-771119.

Codici

CAP 89060

Prefisso Telefonico

0965

Codice Istat

080068

Codice Catasto

H489

MAPPA STRADALE.

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Il termine Roghudi deriva dal greco Richùdi e significa “rupestre”, come si volesse indicare l’ambiente in cui è stato costruito.

La vecchia Roghudi sorge su uno sperone roccioso che come un’isola si innalza sulle bianche ghiaie dell’immenso letto della fiumara Amendolea . Tutto l’abitato è in posizione precaria ,con le case edificate sull’orlo di precipizi,

sovrastato dalle grandi masse del Monte Cavallo ,il quale raggiunge i 1331 metri di altezza. Nel 1084 apparteneva al feudo di Bova ma verso la fine del XII° secolo passò a far parte dello Stato dell’Amendolea.

Nel 1624 dal Casato dei Mendoza veniva venduto ai Ruffo di Scilla rimanendo sotto il loro dominio sino al 1806. Vi si arriva partendo da Melito Porto Salvo dirigendo verso Roccaforte del Greco e superando questa ultima ,con una discesa di altri 8 Km , la distanza complessiva è di 38 Km.

Un posto, la vecchia Roghudi, dove a quattro anni si incominciava ad apprendere l’arte della pastorizia e dell’agricoltura ,sacrificando le possibilità di crescita culturale che si potevano apprendere a scuola. Solo i corsi serali organizzati dagli insegnanti del tempo ,permettevano di superare solo in parte ,lo stato di analfabetismo in cui si trovava la popolazione rogudese. In paese si parlava il greco,una lingua che ha mantenuto la sua vitalità anche se le zone sono state oggetto di diverse culture (Greca,Romana,Bizantina e Latina),

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di diverse occupazioni e di molte influenze. Questa vitalità è stata persa da alcuni decenni rimanendo confinata in paesi di montagna dove la comunicazione era molto difficile ed i mezzi per poterla far crescere erano notevolmente scarsi. GHORIO DI ROGHUDI:Poco distante da Roghudi si trova la frazione di Ghorio ,un piccolo nucleo di case ormai anch’esse abbandonate. Da Ghorio è possibile scorgere un grosso masso con delle groppe”la Rocca tu Dracu” che secondo la leggenda le groppe paragonate a delle piccole caldaie “Caddareddhi”,servivano al nutrimento del drago,custode di un tesoro.

“La leggenda”.

Il drago, oltre ad essere cieco era custode di un tesoro, il quale veniva assegnato, a chi riusciva a superare una prova di coraggio. La prova consisteva nel sacrificio di tre esseri viventi di sesso maschile: un bambino appena nato,un capretto e un gatto nero ,senza nemmeno un pelo bianco. Per secoli nessuno si sognò di sfidare il drago, fino al giorno in cui in paese nacque un bambino malformato, l’ostetrica lo avvolse in un panno e lo consegnò a due uomini perché se ne sbarazzassero . Ma costoro vedendosi tra le mani quella povera creatura si ricordarono della leggenda e lestamente si procurarono anche il capretto e il gatto nero . Tutto era pronto per la sacrificazione , uccisero il capretto e il gatto nero ,ma quando arrivò il turno del bambino , si sollevò una tempesta di vento che scaraventò, quei sciagurati contro le rocce uccidendo uno di essi. Da allora nessuno pensò più al presunto tesoro, anche perché l’uomo sopravvissuto alla tempesta fu perseguitato dal diavolo sino alla sua morte.

“Le Caldaie del latte”.

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“La Rocca del Drago”.

“Le anarade”.

Secondo gli anziani abitanti di Roghudi, le anarade erano delle donne aventi i piedi a forma di zoccoli come i muli e vivevano nella contrada di “Ghalipò” di fronte Roghudi. Le anarade , cercavano di attirare le donne del paese, affinché si recassero al fiume a lavare i panni, con l’intento di ucciderle, così gli uomini del paese potevano accoppiarsi solo con loro. Si racconta che le anarade ,per attirare le donne , usavano ogni strategia, come per esempio la trasformazione della voce. Per proteggersi dalle anarade gli abitanti del paese ,fecero costruire tre cancelli , collocandoli in tre differenti entrate : uno a “Plachi”, “uno a Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea” ,che in effetti ancora esistono.

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“L’ALLUVIONE DEL SETTANTA”.

L’alluvione del Settanta rappresenta il peggior momento della storia di Roghudi e Ghorio ,in quanto, dopo secoli di resistenza presso i vecchi centri abitati ,furono costretti ad andarsene, causa le frane inarrestabili. Così il sedici Febbraio del 1971 il Sindaco Angelo Romeo,firmava l’ordinanza con la quale imponeva lo sgombero di tutte le famiglie presenti a Roghudi ,per pericolo di frane e di conseguenza per salvaguardare l’incolumità pubblica.

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RIPORTIAMO L’ORDINANZA DEL 16/02/1971

COMUNE DI ROGHUDI

89060 PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA.

lì 16-02-1971. OGGETTO: ORDINANZA.

IL SINDACO.

- Vista la lettera inviata dall’Ing. Paolo Tripodi il 15-02-1971 con la quale

s’invita il Comune a provvedere d’urgenza all’emanazione di un’ordinanza di sgombero per le famiglie le cui abitazioni ricadono nella zona franosa ;

- - Ritenuta l’urgenza di provvedere in merito facendo sgomberare le famiglie della zona interessata costituendo tali fatti pericolo per l’incolumità di molte famiglie; - Visto l’art.153 del T.U.L.C.P. 4 Febbraio 1915 n.148;

ORDINA

-Ai Sig.Stelitano Giuseppe fu Marco,Pangallo Antonino fu Giovanni, Modaffari Francesco di Salvatore ,Romeo Salvatore fu Fabio,Zavettieri Sebastiano di Annunziato,Maesano Carmelo di Sebastiano,Stelitano Pietro fu Giov.Nicola,Favasuli Antonino fu Innocenzo,Maesano Innocenzo di Antonino ,Modaffari Lorenza ved.Maesano,Palamara Bruno di Carmelo, Maesano Raffaele fu Rocco,Maesano Pietro fu Lorenzo,Stelitano Bruno fu Giovanni,Trapani Giovanni di Pasquale,Palamara Carmelo fu Andrea, Palamara Domenico fu Salvatore,Stelitano Giuseppe di Giacomo, Zavettieri Salvatore fu Domenico, con le rispettive famiglie di sgomberare immediatamente dalle proprie abitazioni per i motivi suddetti.

- L’Amministrazione Comunale provvederà a mettere a disposizione i locali per far fronte a questa situazione di emergenza, a quelle famiglie che non sono in grado di trovare alcuna abitazione;

- Le guardie municipali sono incaricate dell’esecuzione della presente ordinanza. Copia della stessa sarà rimessa al Prefetto per i provvedimenti di competenza.

IL SINDACO

Angelo Romeo.

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Per questi motivi tutti gli abitanti furono costretti a stanziarsi nei comuni limitrofi , sembrava inesorabilmente una comunità destinata alla disgregazione , ma il senso di appartenenza,la voglia di ricostruzione di tutta collettività fu tanta , tantochè il 4 luglio del 1981 venne posta la prima pietra per la ricostruzione de "

“LA NUOVA ROGHUDI”

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Nel 1988 vennero assegnate alla collettività ,gli alloggi costruiti presso la zona San Leonardo nel comune di Melito PS, a due passi dal mare e di fronte alla bellezza ed imponenza dell’Etna che, con le sue cime innevate ,riesce molto spesso a far venire in mente le montagne dell’Aspromonte dove per secoli questa gente ha vissuto con sacrifici ,con notevoli difficoltà economiche, culturali,e interpersonali . La NUOVA ROGHUDI anche se si trova a due passi del Mar Jonio ,è abitato da persone che non hanno mai avuto il cuore alla marina ,loro sono rimasti legati alla montagna ,alla ROGHUDI VECCHIA distesa sopra quei costoni di roccia lambita dalla fiumara Amendolea ,in quelle case abbandonate che sembrano narrare al cielo il dolore di una madre dopo aver perso i suoi figli.

“I ROGHUDESI UN POPOLO ISOLATO”

Il mondo rurale è ancora un’isola, anzi un arcipelago, verso cui nessuno ha proiettato validamente un ponte per agganciarlo alla realtà dei tempi. E questo per due motivi di fondo: il primo perché i problemi del mondo rurale sono stati interpretati solo in chiave economica; il secondo ci è stato rivelato in modo illuminante dalla frase di un intervistato di cui in seguito parleremo: «Abbiamo parlato ai contadini, ma noi: li abbiamo fatti parlare. Abbiamo loro proposto un mondo che non avvertivano». Avevamo iniziato questo nostro servizio-inchiesta con altri programmi ed altri propositi: ma una volta entrati nel mondo contadino è stato come trovarci in altra dimensione di uomini e cose, di valori e di principi. Un mondo sconosciuto, sottovalutato, incompreso. Un mondo arroccato nel proprio isolamento ai margini di una Calabria che si dice avviata verso la rinascita. Abbiamo girato a lungo nelle zone rurali , nelle contrade: abbiamo parlato con questa gente di campagna che ci accoglieva con diffidenza, con rare parole, o che si limitava a guardarci al di là delle porte socchiuse, e dei vetri delle finestre. Come se avessero imparato a difendersi dagli intrusi con sguardi pieni di paurosi interrogativi. Abbiamo scavato un po’ sotto questa scorza e quella stessa gente diffidente e scorbutica si è rivelata in tutta la sua debolezza e la sua forza, in tutte le sue limitazioni e la sua profonda drammatica umanità. Quante volte li abbiamo lasciati al margine del nostro mondo con la sola espressione: «tamarri»!? Abbiamo lasciato per via i progetti e le intenzioni iniziali e ci siamo fermati per gettare uno sguardo nell’anima di questa gente. Il mondo rurale, dicevamo, è un’isola che vive ai margini d’una Calabria avviata verso la rinascita. Ma cosa ha inizialmente determinato e poi aggravato tale stato di isolamento? […] Da sempre i contadini hanno vissuto nella cerchia impenetrabile della propria famiglia che rimane ancora oggi una specie di santuario in cui non si ammettono intrusioni. Di qui l’impotenza di tutte le organizzazioni di assistenza sociale incapaci di frantumare l’involucro che avvolge ogni nucleo familiare insediato nelle campagne, involucro che lo rende incapace di affrontare alcuni elementari aspetti della vita civile […]

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È proprio in tutte le più svariate esigenze della vita quotidiana che si rivela la necessità, per i contadini, di una guida che a poco a poco insegni loro a sganciarsi da certe condizioni ai limiti dall’accettabile. E la persistenza di tale stato di cose è aiutato dalla conformazione degli insediamenti rurali costituiti per il 90% di case sparse lungo le balze ed i colli isolate dal resto delle contrade, lontane dai centri. Tutto questo ha avuto un’influenza determinante anche nel campo economico. I contadini, i nostri contadini, tranne qualche eccezione isolata in determinate zone, hanno sempre lavorato nei limiti del proprio podere o di quello del proprio padrone con metodi e criteri superati da almeno mezzo secolo. Producono un po’ di tutto, solo per le necessità della propria famiglia, senza possibilità di scambi e di mercati […] Ma cosa rappresenta, da un punto di vista non esclusivamente economico, la terra per questi contadini? «Per me questa terra è tutto – ci dice Umile Benedetto – ho lavorato tutta la vita su questa terra. Ho fatto da sempre sacrifici per possedere poco più di un fazzoletto: ma mi basta per sapere di non essere schiavo di nessuno». Nella terra c’è un legame, ma anche una redenzione. In altri si ritrova addirittura quel significato della “roba” che ispirò a Verga tanti personaggi. Più “roba” si ha e più si è uomini: sembra di ritornare all’Ottocento borbonico quando solo chi possedeva delle terre poteva leggere sul proprio certificato anagrafico “di condizione civile”[…] La vita di questa gente si svolge sulla terra e per la terra, nei limiti dei suoi problemi e delle sue leggi. Limiti che a chi vive lontano da questo mondo possono sembrare angusti e soffocanti, ma non per i contadini che si attaccano ad essa con uno spirito quasi di sopravvivenza.

“I GRECANICI”.

Le varie dominazioni hanno creato, tra i boschi della Sila Greca,nellAspromonte, lungo la costa Jonica e sulle pendici della costa Tirrenica, delle vere eproprie isole linguistiche dal fascino antico,mantenendo vivi ,stili di vita e tradizioni di una civiltà antichissima. In queste realtà ,si scopre ,il mondo arcaico delle comunità grecaniche, i discendenti diretti dei greci. Grande è stato lo stupore di quei soldati italo-grecanici, durante la seconda guerra mondiale ,di sentirsi in Grecia “ a casa sua “ e dei greci di trovare soldati italiani dalle stesse caratteristiche somatiche ,che portavano lo stesso cognome e parlavano la stessa lingua.Oggi i <grecanici>, cioè i parlanti del dialetto greco che nel XVI secolo popolavano ben venti paesi, sono solo 5000 e circoscritti a cinque comuni : Bova,Condofuri,Gallicianò ,Roccaforte del Greco e Roghudi. Le opinioni sulla origine della loro parlata sono fondamentalmente due:

a) quella che l’attribuisce alla dominazione bizantina (X-V secolo d.C.); b) quella che l’attribuisce alla lingua parlata dai coloni del V secolo a.C, cui si deve la splendida civiltà della Magna Grecia e la fondazione di città famose nell’antichità come Reggio ,Locri ,Crotone e Sibari.

Delle due teorie ,oggi, la seconda sembra più accettabile .

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”CENNI STORICO-URBANISTICI SULLA CITTA’ GRECA”.

I Greci, come tutti i popoli del Mediterraneo, vivevano, per la maggior parte del loro tempo, all'aria aperta e, spesso, entravano nelle abitazioni solo per dormire: d'estate, inoltre, capitava che ci si coricasse sulle terrazze per avere meno caldo,nello stesso tempo, i Greci, permeati di profonda religiosità, preferivano abbellire i propri templi che le proprie dimore, per timore che gli dei potessero punire la loro sfrontatezza (Hubris): è noto che una delle massime preferite dai Greci era proprio il famoso motto "Medèn Agan, nulla di troppo". Le strade non erano lastricate, esisteva solo una canalizzazione a cielo aperto e, dunque, le case non erano rifornite d'acqua da un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario tanto portante da essere eletto direttamente dai suoi concittadini e non estratto sorte come la maggior parte dei suoi colleghi. La scarsità d’acqua e la difficoltà d’approvvigionamento favorirono l’insorgere di malattie .

GLI INTERNI : le case erano veramente modeste e solo poche decorose"; sappiamo inoltre che venivano scavati veri e propri rifugi nella roccia (nel quartiere di Coile, che significa appunto "scavato") e che molte abitazioni venivano semplicemente addossate alla roccia.Oltre a queste dimore primitive si estendevano i quartieri popolari, dove la maggior parte delle case erano di modestissime dimensioni e costituite solamente da un unico piano con due o tre stanze, che, per lo più, venivano affittate agli stranieri. Questo tipo di abitazione era molto semplice, edificata in legno, pietre legate da calcina, oppure mattoni crudi: le pareti risultavano così facili da perforare che i ladri non si disturbavano a sfondare porte e finestre, ma praticavano direttamente un foro nell'esile muro (per questo motivo erano chiamati "toichorichoi", ovvero "foratori di muri").

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La fragilità di queste pareti, tuttavia, talvolta poteva risultare utile agli abitanti, come Tucidide afferma a proposito dei Plateesi: invasi dai Tebani, forarono i muri delle case contigue fra di loro e riuscirono a radunarsi in segreto (Tuc., 2,3).La porta, nella descrizione che ci fornisce Plutarco, si apriva verso l'esterno e, prima di uscire, era opportuno bussare per evitare di investire il malcapitato passante. 1 tetti erano a terrazza e venivano sfruttati come veri e propri letti durante l'estate. Le finestre (thirides) erano di dimensioni veramente ridotte, poiché i Greci non conoscevano l'uso del vetro trasparente e cercavano di ridurre al minimo i problemi legati al cattivo tempo: bastava un panno per otturare quei piccoli lucernari; l'uso di finestre piccole e di muri spessi serviva anche a limitare la calura estiva all'interno delle abitazioni.Quando il proprietario di queste abitazioni date in affitto non riceveva il regolare pagamento, non si rivolgeva certo al suo avvocato per un'ingiunzione di sfratto: faceva togliere tutte le tegole del tetto, scandinava la porta di ingresso o chiudeva l'accesso al pozzo, finché il suo sgradito inquilino non si fosse deciso a saldare il debito o lasciare libera la casa. Per la maggioranza dei cittadini ateniesi, i cibi dovevano essere cotti fuori casa, all'aperto, come avviene ancora in numerosi villaggi greci: prima del IV secolo a.C. non si ha notizia di abitazioni dotate di cucina e, comunque, mancava un braciere stabile in una stanza, a causa del problema dell'eliminazione del fumo. Si accendeva un fuoco all'esterno della casa e lo si portava all'interno solo quando si era ormai prodotta la brace e si era ridotta la quantità di fumo; per eliminare quello residuo si aprivano i fori di aerazione (opai) o si utilizzavano i kapnodokè (condutture per il fumo). Oltre a queste abitazioni private, dovevano esistere anche veri e propri condomini (synoikia, case collettive), come possiamo desumere da Eschine nella sua orazione "Contro Timarco".

Per renderci conto di come potesse apparire una casa di cittadini facoltosi, però, è necessario uscire dall'Attica, dove non sono mai state trovate negli scavi, e recarsi ad Olinto: le abitazioni di questa città, infatti, ci sono giunte, in alcuni casi, in un relativamente ottimo stato di conservazione.

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Esse avevano una pianta approssimativamente quadrata e tutte le stanze si aprivano su un portico interno ( pàstas ), preceduto da un cortile ( aulè ) e da un vestibolo (protiron). Il portico interno era orientato in pieno mezzogiorno, come consiglia Socrate ( Xen., Memor. 3,8,9 ): "Il sole si infiltra negli appartamenti d'inverno, lasciandoci in ombra d'estate, perché passa sopra le nostre teste". Nei secoli successivi all'età di Pericle il pastas venne dotato di portici su più lati ed un peristilio. Era presente un salotto ( diaiteterion, cioè "luogo per passare il tempo" ), collocato a nord, e la sala decorata da mosaici dedicata esclusivamente agli uomini ( androon ), dove si tenevano i banchetti. Gli altri locali erano l'òikos, la sala da pranzo per tutta la famiglia, la sala da bagno e la cucina.

Il pianterreno, talvolta, era fornito anche di un laboratorio o di una dispensa. Le carriere da letto, il thalamos (camera nuziale), l'appartamento delle donne (gynaikèion) e le cellette per gli eventuali schiavi erano al primo piano. Il bagno veniva costruito accanto alla cucina, in modo che quest'ultima diffondesse nel locale attiguo il suo calore.Il primo piano delle case, talvolta, veniva dotato di balconi, che, però, lo stato considerava illegali, perchè sporgevano rispetto alla strada.La decorazione degli esterni e degli interni era molto semplice e consisteva solo in uno strato di calce, come ci conferma Plutarco, descrivendo la casa di Focione, che era "semplice e nuda" ( Plut., Foc., 18 ); sappiamo, però, che le case di Olinto erano arricchite da mosaici ed il poeta Bacchilide (sicuramente esagerando) parla di abitazioni in cui splendevano oro ed avorio ( Ateneo, 2,39 ). Le case dei ricchi erano ricoperte da tappezzerie sul muri ed avevano soffitti decorati. Abitazioni di questo tipo, tuttavia, erano quasi inesistenti ad Atene nel V secolo: la maggior parte delle abitazioni assomigliava alle capanne descritte in precedenza e non conteneva nemmeno il bagno..

Da: “La casa greca di Andrea Zoia”.

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“MELODIE ELLENOFONE”

(LA VERA STORIA DELLA TARANTELLA)

LA CALABRIA E’ STATA ABITATA FIN DALLA PREISTORIA E SUCCESSIVAMENTE

OCCUPATA DAI GRECI, DAI ROMANI,DAI BIZZANTINI,NORMANNI E BORBONI, ED E’ QUINDI

PASSATA ATTRAVERSO

PERIODI STORICI DI GRANDE

SPLENDORE E DI

DECADENTE ABBANDONO,

MA NONOSTANTE CIO’, LA

GENTE DI CALABRIA HA

SAPUTO CONSERVARE

GELOSAMENTE FINO AD

OGGI IL SUO IMMENSO

PATRIMONIO STORICO,

CULTURALE, NONCHE’

MUSICALE.

ALLA BELLEZZA DELLA

NATURA, CHE E’ STATA

DAVVERO PRODIGA PER LA

CALABRIA, MA AVARA DI

RISORSE PER GLI ABITANTI,

SI AGGIUNGE PERO’, GRAZIE

AL CIELO, ILFASCINO DI UN PATRIMONIO STORICO ED ARTISTICO DI ENORME INTERESSE

E DI INCALCOLABILE VALORE.

LA PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA, PROTESA NEL CUORE DEL MEDITERRANEO OFFRE

L’INCATATA SUGGESTIONE DI PAESAGGI SOLARI E MITICI, PROFUMATI DI ZAGARE E

BERGAMOTTI, E’ UNA TERRA CHE PARLA LA LINGUA DI OMERO E CHE CONQUISTA, CHI

NON LA CONOSCE, PER LA MOLTEPLICITA’ DEI SUOI VOLTI:

LA COSTA IONICA E TIRRENICA SI PRESENTANO RIDENTI, RICCHI DI CENTRI STORICI,

QUASI SEMPRE DI ORIGINE GRECANICA, TRA I PIU’ SUGGESTIVI ED IMPORTANTI DEL

MONDO E CERTAMENTE TRA I PIU’ PREZIOSI DELLA CALABRIA.

UNA INFINITA’ DI VILLAGGI, L’AMBITI DA UN MARE ADAMANTINO E DALLE

ORIGINI GLORIOSE E ILLUSTRI, QUALI SONO QUELLE DELLA CIVILTA’ DELLA

MAGNA GRECIA, DOVE ANCORA OGGI IN ALCUNI SITI, SI PARLA IL GRECO ANTICO.

UN ANTICO DETTO CALABRESE DICE:

SU CALABRISI E CALBRISI SUGNU,

SU CANUSCIUTU PI TUTTU LU REGNU,

E SI VENISSI ‘CATUTTU LU MUNDU,

L’ONURI DI CALABRIA LU MANTEGNU.

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DEL RESTO LE TESTIMONIANZE PIU’ IMPORTANTI DELL’ANTICA CIVILTA’ GRECA,SONO

OGGI CONSERVATE AL MUSEO NAZIONALE DELLA MAGNA GRECIA A REGGIO CALABRIA,

DOVE SI TROVA ANCHE QUANTO DI RECENTE IL MARE HA, GENEROSAMENTE,

DONATO,UNA INEQUIVOCABILE TRACCIA DI ARTE E STORIA DEL NOSTRO GLORIOSO

PASSATO, I BRONZI DI RIACE

NON E’ COMPITO NOSTRO, MA DI ALTRI PIU’ QUALIFICATE ESPERTI, LEGGERE NEI

MILLENNI DI STORIA DEL PASSATO E DEL PRESENTE.

DI TUTTO QUESTO NOI NULLA FAREMO, LASCIAMO QUESTO COMPITO, AI FOLKLORISTI DI

FAMA, ED AGLI STORICI IN GENERALE.

OGGI TIMIDAMENTE RIFIORISCE LA LINGUA, LA VITA E L’ANIMA DEGLI ULTIMI

ELLENOFONI DEL SUD ITALIA, PICCOLI CENTRI ,CITTA’,PAESI, NELLA PUGLIA,NEL

VIBONESE, ROGHUDI-GHORIO DI ROGHUDI-ROCCAFORTE DEL GRECO-CONDOFURI-GALLICIANO’- BOVA. QUELLO CHE, INVECE, TENTIAMO E CI PREFIGGIAMO DI FARE IN QUESTA SEDE E’ DI

SPOLVERARE BREVEMENTE LA STORIA DELLA MUSICA GRECO-CALABRA DEL NOSTRO

GLORIOSO PASSATO, ALLA BUONA, SENZA TANTE PRETESE, STORIA SPICCIOLA, STORIA

ELEMENTARE E CHE TUTTI POSSONO FACILMENTE CAPIRE :

“LA VERA STORIA DELLA TARANTELLA”. SE DIAMO, UNO SGUARDO, SIA PURE RAPIDO, AGLI STUDI CONDOTTI SU QUESTO TEMA

DAI MAGGIORI FOLKLORISTI ITALIANI E NON FRA QUESTI CITIAMO IL

SATRIANI,BARRESI,RHOLFS, DAI QUALI APPRENDIAMO A CHIARE LETTERE CHE LA

NOSTRA TARANTELLA GRECANICA, L’EREDE DELL’ANTICO KORDAX, NON E’ CHE UN

BALLO GRECO, DI ALMENO TREMILA ANNI FA,CHE PARE EBBE INIZIO NELL’ANTICA

REGIONE STORICA DELL’EPIRO,LA TRACCA GRECA. UN BALLO ED UNA MUSICA

TREMILLENARIA ANTICHISSIMO CHE FAPARTE DEI PERIODI PIU’ FLORIDI DELLO

SPLENDORE DELLA ANTICA CIVILTA’ GRECA; MUSICA E BALLO DIFFUSISSIMO IN TUTTA

L’ELLADE.

DI QUESTO BALLO, DI QUESTO RITMO,UNICO AL MONDO, MAI RIPRESO DA ALCUN

MUSICISTA,NOI POPOLAZIONI DELLA MAGNA GRECIA,SIAMO OGGI GLI UNICI

DEPOSITARI E CONSERVATORI,IN TUTTO IL MONDO.

QUESTO NOSTRO BALLO E MUSICA GRECANICA NON E’ DA CONFONDERE, COME MOLTO

SPESSO ACCADE,ANCHE FRA PERSONE CHE CREDONO DI ESSERE COLTI, ERUDITI E

INTELLIGENTI,CON LA TARANTELLA,CHE INVECE E’ UN BALLO NELL’ARIA.

QUANDO SI PARLA DI TARANTELLA, INFATTI, CHE SI SAPPIA O NO, CI SI RIFERISCE

SEMPRE AD UN PARTICOLARE BALLO IN USO DAL 1300 NELLA CITTA’ DI TARANTO, CHE

NULLA HA ACCHEFFARE CON IL NOSTRO BALLO, CHE E’ UN BALLO DI TERRA.

LA TARANTELLA DI TARANTO, INFATTI E’ SEMPLICEMENTE UN SALTARELLO, COME LO E’

IL SALTARELLO NAPOLETANO, IL TRESCONE, IL SALTARELLO ABRUZZESE,ECC…

SALTERELLO O TARANTELLA CHE DERIVO’, ANTICAMENTE DA UNA VECCHIA FORMA DI

TORTURA E CIOE’: IL MORSO DELLA TARANTOLA SOTTO I PIEDI DEI CONDANNATI, I

QUALI PER CONSEGUENZA DI CIO’ SALTERELLAVANO, DI QUI IL SALTERELLO O VVERO

LA TARANTELLA DI TARANTO; UN BALLO I CUI PASSETTI SI SVOLGONO TUTTI NELL’ARIA.

LA NOSTRA NON E’ TARANTELLA PERCHE’ NON PROVIENE DA TARANTO, NON DERIVA

DALLA TARANTOLA, NE’ DA QUELLA ANTICA FORMA DI TORTURA; E’ INVECE LA

FAMOSISSIMA E GLORIOSA VIDDHANEDDHA DETTA ANCHE KRUNNEME O

MEGALOCHORO GLI ANZIANI ANCORA RICORDANO QUESTA ANTICA TERMINOLOGIA .

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UN BALLO CUI PASSETTI SI SVILUPPANO SULLA TERRA PESTANDOLA COI PIEDI.

PURTROPPO, COLPASSARE DEI SECOLI, PER UNA CERTA FORMA DI IGNORANZA, E

PERCHE’ NEL SUD HA ALLIGNATO L’ANALFABETISMO ED IL SEMI-ANALFABETISMO DI

RITORO, IL NOSTRO BALLO GRECANICO VENNE PER LUNGO TEMPO DEFINITO, COME DEL

RESTO A TUTTOGGI, TARANTELLA, CREANDO COSI’ UNA GRANDE CONFUSIONE ED UN

NOTEVOLE DISORIENTAMENTO GENERALE , TALCHE’ OGGI QUASI TUTTI LA CHIAMANO

ERRONEAMENTE TARANTELLA, MOLTO RARAMENTE VADDHANEDDHA, KRUNNEME,

MEGALOCHORO.

IL TERMINE VADDHANEDDHA, PRESO IN PRESTITO DALL’ITALIANO VILLANELLA STA A

SIGNIFICARE, MOLTO SEMPLICEMENTE, BALLO DEGLI ABITATORI DEI PICCOLI BORGHI .

I PICCOLI BORGHI,QUI DA NOI, ALL’ EPOCA, ERANO LE COLONIE GRECHE.

LA NOSTRA MUSICA HA UN PRECISO SIGNIFICATO, UNO SCOPO, UNA SUA FUNZIONE, CON

QUESTO NON VOGLIAMO CERTO DIRE CHE GI ALTRI BALLI SIANO DA MENO,

SEMPLICEMENTE CHE IL NOSTRO BALLO GRECANICO E’ MOLTO PARTICOLARE,

DIFFERISCE MOLTISSIMO DA TUTTI GLI ALTRI BALLI A LIVELLO MONDIALE.

STA DI FATTO, CHE LA NOSTRA MUSICA IL MEGALOCHORO E’ VERAMENTE UNICA AL

MONDO ,COME, UNICA AL MONDO E’ STATA LA CIVILTA’ GRECA CHE L’HA PARTORITA.

I PASETTI ED IL MODO DI MUOVERSI DEI BALLERINI, CHE VERAMENTE CONOSCONO IL

BALLO, HANNO UN LORO FASCINO PARTICOLARE, E SI SVILUPPANO PESTANDO O

CALPESTANDO LA TERRA COI PIEDI, PROPRIO COME FACEVANO NELL’ANTICA GRECIA

MA LA NOSTRA VADDHANEDDHA, HA SOPRATTUTTO UN SIGNIFICATO ED UNA FUNZIONE

PARTICOLARE E PECULIARE,CHE COMUNQUE IN QUESTA SEDE SAREBBE TROPPO LUNGO

ELENCARE E DISCUTERE, CE NE ANDREMMO TROPPO PER LE LUNGHE, ED IL DISCORSO CI

PORTEREBBE TROPPO LONTANO, MENTRE RIMANDIAMO AD ALTRA CIRCOSTANZA,

ACCENNIAMO BREVEMENTE ALLA SUA FUNZIONE COSIDETTA LIBERATORIA .

LA SUA FUNZIONE LIBERATORIA, CONSISTEREBBE IN UN EFFETTO PSICOLOGICO

PRECISO:QUESTO BALLO E’ VERAMENTE CAPACE DI FARTI DIMENTICARE SIA PURE PER

POCO TEMPO NON SOLAMENTE I TUOI PROBLEMI, MA DIMENTICARE PERFINO SE

STESSI,UNA VOLTA CHE CI SI LASCIA PERDERE DAL RITMO INCALZANTE DEL SUONO?

PARE DI SI! INFATTI QUESTO E’ QUANTO SUCCEDE NELLE PIAZZE ALL’APERTO, OPPURE

NEI LOCALI CHIUSI, LA DOVE LE PERSONE BALLERINI O SEMPLICEMENTE SPETTATORI,

SONO TUTTI DISPOSTI A FORMA DI RUOTA, GUARDANDO ED ASPETTANDO IL LORO TURNO

DI BALLO SONO TUTTI PRESI, AVVILUPATI, LETTERAMENTE EBBRI,DAL RITMO

INCALZANTE DEL SUONO DELL’ORGANETTO E TAMBURELLO, OPPURE DELLA

CIARAMELLA E TAMBURELLO, TANT’E’ CHE SEMBRANO ESSERE VERAMEBTE EBBRI,

UBRIACHI DEL BALLO VIDDHANEDDHA. QUESTO RITMO GRECANICO, INFATTI

EVIDENTEMETE HA UN EFFETTO NON INDIFFERENTE SULLE PSICHE DELL’UOMO DI TUTTI

I TEMPI, VENTESIMO E TERZO MILLENIO COMPRESO .

APPARE QUINDI CHIARO CHE, O QUESTA MUSICA TI PIACE, L’ASCOLTI E BALLI,

ANCHE SE NON SAI BALLARE, OPPURE NON LA TOLLERI PER NIENTE E DEVI

ASSOLUTAMENTE SCAPPARE, PERCHE’ NON LA PUOI ASCOLTARE.

POSSIAMO QUINDI AFFERMARE, SENZA TEMA DI ESSERE SMENTITI,CHE LA NOSTRA

VADDHANEDDHA, QUESTO BALLO GRECANICO DI ALMENO TREMILA ANNI FA, HA

UNA SUA PRECISA FUNZIONE SULLA PSICHE DELL’UOMO, QUELLA APPUNTO

INDICATA DAI PIU’ EMINENTI PISCOLOGICI E FELICEMENTI DEFINITA:

"FUNZIONE LIBERTATOIA" .

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LO STRUMENTO PIU’ ANTICO PER ESUGUIRE QUESTO BALLO GRECO VIDDHANEDDHA

ERA STATO CHIAMATO DAI GRECI CHE LO AVEVANO ITERPRETATO:"AFLOS" CHE

STA PER FLAUTI. INFATTI ERANO DUE FLAUTI DI OSSO DI ANIMALI, DI UNA CERTA

LUNGHEZZA , BUCHERELLATI ALLA BISOGNA, SENZA OTRE- TIPICO STRUMETO A FIATO DELL’EPOCA- ACCOPPIATI E DI TONALITA’ DIVERSE FRA LORO, CIOE’ MASCHIO E FEMMINA.

VENIVANO MAESTREVOLMENTE SUONATI DA MOLTI ABILI SUONATORI DI AFLOS

DELL’EPOCA, UNITAMENTE AL TAMBURELLO, DI FOGGIA QUASI UGUALI A QUELLO

ODIERNO.

L’AFLOS, AVEVA UN SUONO A DIRPOCO MERAVIGLIOSO E CONSENTIVA DI ESEGUIRE

TUTTI I PASSAGGI DEL BALLO GRECANICO VIDDHANEDDHA, SI POTEVA SENTIRE ED

APPREZZARE IL SUO SUONO CHIARO LIMPIDO ANCHE A DISTANZA CONSIDEREVOLE

L’AFLOS PERO’ PRESENTEVA, COME TUTTI GLI STRUMENTI A FIATO,

L’INCONVENTEMENTE VERTIGGINI, CAPOGIRE E SVENIMENTI.

FU COSI’ COL PASSARE DEL TEMPO, CHE QUALCUNO VOLLE PROPORRE UNO

STRUMENTO A FIATO MOLTO DIVERSO, CON RISERVA D’ARIA, CHIMATO

CIARAMELLA ZAMPOGNA LAUNEDDAS ECCETERA.

MA ANCHE LA CIARAMELLA,PRESENTA I SUOI PROBLEMI E QUINDI COME

FACILMENTE SI EVINCIE, SI RENDEVA COSI’ COSI’ NECESSARIO INVENTARE, TROVA

AL PIU’ PRESTO, LO STRUMENTO ADATTO, CHE CON POCA FATICA POLMONARE, O

MEGLIO ANCORA SENZA ALCUNA FATICA POLMONARE, CONSENTISSE DI ESEGUIRE

IL BALLO GRECO VIDDHANEDDHA BALLO A MUSICA GELOSAMENTE CONSERVATO

OGGIGIORNO DALLE POPOLAZIONI DELLA MAGNA GRECIA. SENOCHE’ VERSO IL XV

E IL XVII SECOLO, QUALCUNO IN EUROPA E PIU’ PRECISAMENTE LA’ DOVE C’E’ IL

CUORE O LA CAPITALE DELLA MUSICA DI TUTTO IL MONDO-AUSTRI- INVENTO’ UNA

FORMA DI STRUMENTO PARTICOLARE CHE IN SEGUITO VENNE CHIAMATO

ORGANETTO.

LA GRECIA, CHE, COME TUTTI SANNO E’ STATA UN LUMINARE DI CIVILTA’ IN

TUTTO IL MONDO, CI HA LASCIATO IN EREDITA’ LA VIDDHANEDDHA O

MEGALOCHORO O TARANTELLA GRECANICA CHE NOI DELLA MAGNA GRECIA

OGGI ESEGUIAMO EGREGGIAMENTE ANZI IN MANIERA MOLTO ORIGINALE,

COSI’ COME ERA AGLI ALBORI DELLA STORIA ELLENICA CON UNO

STRUMENTO MODERNO, MEGLIO ANCORA: ARMONICA A DUE BASSI E TRE

VOCETTE. L’ ORGANO DI CUI PARLIAMO RAPPRESENTA UN LUMINARE DI

CIVILTA’,IN TUTTO IL MONDO CI HA LASCIATO IN EREDITA’LA

VIDDHANEDDHA O MEGALOCORO TARANTELLA GRECANICA CHE NOI DELLA

MAGNA GRECIA OGGI ESEGUIAMO EGREGGIAMENTE ANZI IN MANIERA

MOLTO ORIGINALE, COSI’ COME ERA GLI ALBORI DELLA STORIA ELLENICA,

CON UNO STRUMENTO MODERNO, O RELATIVAMENTE MODERNO, HIAMATO

ORGANETTO, MEGLIO ANCORA ARMONICA DIATONICA A DUE BASSI E TRE

VOCETTE INTERNE A TASTIERA.

Tony Orvieto Cutrupi.

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Alcune poesie riferite alla storia di Roghudi.

Oscìa Montagna

Immo condà tin dhalassi: Sono vicino al mare: tin cunno stin cardìa lo sento nel cuore pos o vorea stin oscia come il vento della montagna tin cunno sta fiddha ton cladia lo sento nelle foglie dei rami pos dhorò pessi sta pedia come vedo giocare i bambini tin cunno san vreghi lo sento quando piove pos o igghio san treghi come il sole quando corre tin cunno st’astia lo sento negli orecchi imera ce vradia giorno e notte tin dhorò sta di casu lucchi lo vedo nei tuoi occhi po cladia sta melicucchi come rami di bagolaro ti cunno lo sento san vreghi stin campia quando piove nei campi ti cunno lo sento ce mu dighi olo oscìa. e mi sembra tutto montagna. ____________________________________________________________________ MIPAISE ME TO CHERO’ TI PAI . NON ANDARE VIA CON IL TEMPO.

Curizze stecchìte panda tafattisa, Radici ve ne state andando, me to cherò ti peranni, come il tempo che passa, alanza to atho, come il fiore, ti marattenni ce petheni, che appassisce e muore, afinni ti sporà pisteo, lascia il seme , forse ja na athizzi acomì per rifiorire ancora. Glossa ! Lingua! To cherò addhassi cadha polighima, Il tempo muta ogni silenzio, esù pase tu te ne vai, ma afinnise mia plighì, ma lasci una ferita , ena acathi, una spina , ti tripai tin cardia. che punge il cuore. Esù leghise jatì? Tu dici, perché? i gapisia poni, l’amore fa male e den cunni ti fonì ? non sente la voce ? Pisteo ti canena platei plè , Forse nessuno parla più, pose idhelese esù. come volevi tu. O mavrommu dendrò! O povera quercia! Ceri ti ghannise ti avvlespimia, Candela che perde la luce, o potamò de su paleni plè , il fiume non ti bagna più , ecottine o cosmo, si è prosciugato il mondo, menu ta cladia cottimena, restano i rami secchi, ce ta fidda pelimena stovorea e le foglie sparse al vento ce esù clese. e tu piangi.

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Ta puddia sbarighendota, Gli uccelli confusi, deneghu pu ambatoi, non hanno rifugio, ta plaja ,lidharia, i luoghi, le pietre, mute i campane, le mute campane, sto anuà to cherò, immaginano il tempo, ti larga de nito. che lontano non fu. Ma to ghuma, Ma la terra, deleghi ola ta pramata, riprende ogni cosa, ce scemia athipia ti cardia, e in un battito di cuore, i zoì vaspi to sinertimato la vita dipinge il ricordo ti jelai. che ride. Condoferru ta puddia Ritornano gli uccelli sto mega aro, nel cielo infinito, pelù tragudonda, s’inarcano cantando, ja viata ti glossa. l’eterno linguaggio.

Tripodi Francesca. Concorso “Magna Graecia”.

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Tipica canzone dialettale rogudese:

Sugnu comu nu gneddareddu ammezzu ta lu mari chi su custrettu a cercari aiutu ,

aiutami bella se mi vo’iutari si non m’aiuti tu sugnu perdutu. Sugnu settatu supra ta na petra,

ciangendu mi ndi vaju cu lu scuru, ciangiu chi li mei mi bbandunaru

si mi bbanduni tu rimanu sulu.

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L’ECONOMIA. Roghudi fin dalla sua origine ha avuto un’economia basata sulla pastorizia di ovini, caprini e bovini. La pastorizia praticata in condizioni ambientali difficili,si adattava con il territorio roghudese prevalentemente montuoso. I pastori si dedicavano all’allevamento di pecore e capre ,mentre i bovini venivano prevalentemente utilizzati per trainare l’aratro usato per i lavori di dissodamento del terreno e la sua preparazione per la semina. Oggi come un tempo dalla pecora si ottengono: carne,lana,latte e formaggi. La lana della pecora si ottiene dal suo vello ,formato da fibre elastiche e resistenti e da fibre rigide che costituiscono la cosiddetta giara,utilizzata dalle mogli dei pastori per la realizzazione di maglioni,magliette e calze. La capra è un ruminante il cui vello è formato da peli lunghi ,possiede una forte adattabilità e sopravvive in condizioni estremi. L’allevamento di bovini,caprini e ovini veniva praticato nello stato brado, mentre oggi esistono allevamenti dotati di ricoveri e forme di stabulazione per gli animali. Diffusa era la migrazione stagionale (cosiddetta transumanza),le mandrie e le greggi rimanevano nelle vicinanze del paese dal mese di ottobre a maggio e in giugno venivano trasferite nelle zone montane dell’Aspromonte ricche di foraggio. L’agricoltura a causa della forte montuosità era poco praticata. Ciononostante era possibile ottenere una notevole quantità e varietà di prodotti: ortaggi,frumento,cereali,vino, olio d’oliva e agrumi. Di grande importanza per tutte le civiltà basate sull’agricoltura era l’aratro,la cui comparsa risale al IV millennio a . C., in Mesopotamia. In Europa , si cominciò a usare l’aratro solo dopo il II millennio a . C; ma le testimonianze risalgono all’Età del Bronzo. I roghudesi utilizzavano aratri rovesciatori ordinari ,i quali posseggono tre categorie di organi fondamentali ;organi operatori: coltro,vomere e versoio; organi di collegamento: bure,suola,stegola; e organi di regolazione ,che presiedono alle operazioni di interramento e sterramento degli organi di lavoro e alla regolazione della profondità e larghezza di lavoro. Il coltro ha la funzione di operare il taglio verticale della fetta del terreno; ha la forma di un robusto coltello di acciaio a bordo tagliente. Il vomere ha la funzione di operare il taglio orizzontale della fetta e consiste in una robusta piastra di acciaio di forma trapezoidale. Il versoio ha il compito di produrre il rovesciamento di lato della fetta in precedenza tagliata dal coltro e dal vomere. Vomere e versoio sono strettamente collegati tra loro. La bure ,consistente in una robusta trave rettilinea o curva verso il basso, è il principale organo di collegamento dell’aratro ; alla sua parte posteriore sono fissati gli organi operatori. La suola ,una piastra allungata di acciaio,collega la bure al corpo dell’aratro.

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La pesca ,come la caccia ,era praticata fin dai tempi più remoti. La forma principale era però quella della pesca di trote presso il fiume Amendolea e dell’anguilla presso il lago di Linna, mentre i cacciatori si dedicavano non solo a cacciare animali selvatici di cui era molto ricca la zona, ma soprattutto alla caccia del cinghiale con i cani addestrati dagli stessi cacciatori che a sua volta erano anche pastori. L’industria era ed è del tutto assente. Oggi a Roghudi sono state aperte le seguenti attività:

Numero : 02 - Studi medici.

Numero : 01 - Farmacia.

Numero : 02 - Negozi.

Numero : 01 - Tabacchino.

Numero : 01 - Panificio.

Numero : 01 - Macelleria.

Numero : 04 - Studi tecnici.

“Il Municipio”

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“Le Poste”

“Le Scuole”

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L’ARTIGIANATO

L’artigianato roghudese, è stato sempre legato alla storia,alle tradizioni ,alla vita della gente e agli aspetti ambientali ,naturali e artistici. Dal telaio a mano ,allo scalpello,al tornio a ruota,col coltellino,nascono unici e irripetibili oggetti artistici-tradizionali,espressione della vita contadina e rurale. Il “catojoi” era il luogo adibito a bottega artigianale,anche se i roghudesi amavano realizzare i loro oggetti mentre portavano il gregge a pascolare. Oggi gli anziani e qualche giovane , si dedicano ancora a produrre oggetti artigianali e all’intaglio in legno. L’intaglio praticato dai roghudesi è di getto ,cioè spontaneo senza guida da disegno. Il legno dei boschi è stato sempre la più importante risorsa per la fabbricazione di coppe,cucchiai ,bastoni per la lavorazione del latte o della polenta,fusi,stampi

per dolci e per formaggi come la musulupara.

I motivi riprodotti sono denti di lupo. rombi,palmette,rosette,croci ,cerchi, anche se la figura femminile è quasi sempre ricorrente in questi oggetti.

Oltre alla lavorazione del legno la produzione artigianale era rappresentata dalla tessitura a telaio ormai quasi scomparsa. L’arte della tessitura, a Roghudi è antichissima.

In ogni casa c’era un telaio e le madri insegnavano alle figlie i segreti della filatura e del ricamo. Una tradizione tramandata fino ai giorni nostri, dove solo poche persone si dedicano alla lavorazione e alla decorazione dei tessuti,destinati a diventare coperte ,tappeti,tovaglie,oppure capi di biancheria e di abbigliamento. Le tecniche di esecuzione erano le più diverse : tessuti lisci a stuoia ,ad arazzo ,a nodi. Molti anche i tipi di tessuto tradizionale come per esempio,il damasco, il lino e in particolar modo la ginestra.

La lavorazione della” GINESTRA”. Tenacemente abbarbicata sulle rupi, si emerge solitaria la odorosa GINESTRA, contribuendo a ravvivare di giallo vivo una costa talvolta arida e desolata . I suoi fusti rigidi e flessuosi ,carichi di graziosi fiori gialli,con la macerazione , venivano trasformati in materia tessile ,fibre ruvide ,forti adatte per la preparazioni di tessuti di tipo rustico. Dietro questo lavorio c’era la donna ,la quale non sempre aiutata dal marito si

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apprestava alla raccolta della GINESTRA nel mese di agosto,per poi intraprendere la dura lavorazione della stessa.

Venivano raccolti i rami più teneri ,tagliati corti,si raccoglievano in fasci e si trasportavano nel torrente più vicino. I fasci venivano bolliti in grande caldaie per facilitare il distacco della corteccia e il tutto veniva fatto macerare nel torrente per circa dieci giorni.

Durante questo torno di tempo la GINESTRA perdeva il suo colore originale. I singoli rami venivano strofinati con la sabbia fino a quando la corteccia si staccava dai rametti formando dei filamenti chiamati “stuppa”,il tutto veniva ammucchiato per essere lavato .Si scartavano i filamenti più grossi e robusti che si utilizzavano per fare corde,stoppini ecc, mentre quelli più sottili venivano cardati con uno strumento rudimentale che era costituito da due tavole rettangolari di circa un metro di lunghezza e larghe circa trenta centimetri da dove fuoriuscivano dei robusti chiodi. Una delle due tavole veniva fissata in un cavalletto e su questa si appoggiava un mucchietto alla volta di questa ginestra.,lana,seta o canapa ,già pronta per la cardatura, fino a quando non si ricavava un mucchietto soffice.

Iniziava così la filatura, la GINESTRA veniva raccolta in matasse ed era pronta per il telaio ricavando così della tela molto resistente e ruvida. Venivano realizzate coperte, copriletto,lenzuola,strofinacci,tovaglie e sacchi.

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LA GASTRONOMIA:

La tradizione gastronomica è ancora autentica basata soprattutto sulla frittura. Tra i piatti tipici vanno menzionati : la capra bollita/ in greco erga vrameni o al ragù; le frittole o cicciole;focacce; scardatelli/anavamèna;pitte con la ricotta ;maccaruni di casa;polenta con il latte /curcudia;fichi secchi;ta plutaria o petrali, aggute o cuddhuredda o Ngute . Tra le conserve gustosi sono i pomodori e le varietà di olive sott’olio. I vari tipi di insaccati :salami,da gustare con il pane di grano fatto con il forno a legna. Rinomata è la produzione di ricotta e di formaggi ,con il caglio ricavato dai capretti e con il legno dell’albero dei fichi.

“ I MACCARUNI”.

I maccaruni sono piccoli cilindri di pasta di grano tenero e duro, con una

cavità centrale che si ottiene tramite il 'ferretto'. ai maccaruni veniva riservata

la farina più "bella". Per ottenere i maccaruni si mescola farina di grano

tenero e duro, in parti uguali, e impastata con acqua tiepida. Si lavora

l'impasto fino ad ottenere una massa di consistenza dura. Si formano dei

cilindri di pasta, si esercita una leggera pressione sul bastoncino di pasta con

il 'ferretto' (tipo ferri utilizzati per lavorare la lana) e si lavora avanti e

indietro in modo tale da ottenere una cavità al centro del bastoncino di pasta e

infine si sfila il maccherone cosi' ottenuto. Si lasciano asciugare e quindi

vengono cotti in abbondante acqua per almeno mezz'ora, quando sono ancora

freschi.Poi si seccava al sole e la pasta così trattata durava due o tre anni,

soprattutto quando venivano confezionati con la luna di agosto. Si consigliava

di cuocerla in brodo di carne, condirla con abbondante cacio grattugiato,

burro e spezie dolci. Per avere una giusta cottura si dovevano bollire per

almeno due ore. Oggi i maccaruni vengono passati con il danaco di circa un

millimetro di spessore, ricavato da una specie di canna con chiome taglienti

che cresce lungo gli argini della strada. In alternativa si usano i più comuni

ferri per lavorare la lana.

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“CURIOSITA’ E TRADIZIONI”

Le feste patronali : continuano ad essere quella della Madonna delle Grazie ,per Roghudi , il due di luglio di ogni anno e per, Ghorio quella della Madonna dell’Annunziata che ricorre il venticinque marzo ma è festeggiata la penultima domenica di settembre.

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Tuttavia con la ricostruzione de “la nuova Roghudi”è venuta meno la distinzione tra Roghudi comune e Ghorio frazione. Da ricordare che le ricorrenze festive vengono rigorosamente rispettate ,in quanto gli anziani raccontano che un anno si volle spostare la festa in onore della Madonna delle Grazie in quanto tale festività cadeva in un giorno feriale ,determinando la perdita di una giornata di lavoro nei campi. Questo proposito,si dice,non fu gradito dalla Madonna che mandò,per quel giorno,una terribile tempesta di vento fino a distruggere i raccolti e le stesse spighe di grano furono divelte al suolo.

UCCISIONE DEL MAIALE: I mesi che vanno da novembre a marzo,

sono impiegati,per l’uccisione del maiale ,antichissima tradizione,nella

quale si trovano ancora l’odore e il sapore del passato.

La caratteristica del maiale è che tutte le parti del suo corpo, anche

quelle cosiddette di scarto, si utilizzano per un qualche cosa.

Do porcu nun si jietta

nenti ( del maiale non si

butta niente)”. Ad esempio,

la lunga setola è utile al

calzolaio per infilare lo

spago nella lesina e

riparare le scarpe.

Terminata la fase della

spellatura, che avviene con

coltello ed acqua calda, il

maiale viene appeso al soffitto negli appositi ganci. Segue ora un

lavoro accurato da parte delle donne che devono lavare per bene gli

intestini con acqua e limone.

La lavorazione della carne inizia la mattina seguente con la

triturazione e l’impasto con sale e pepe rosso, indi si procede alla

preparazione di salsicce e soppressate.

Queste prelibatezze vengono legate ben strette con degli spaghi e

successivamente appese, possibilmente in cucina, in modo da potersi

asciugare al fuoco del camino.

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Dopo ventiquattro ore le soppressate vengono rimosse e messe sotto

peso (da qui deriva il suo nome) poi di nuovo al suo posto e poi ancora

sotto peso. La soppressata, insieme alla salsiccia, è uno dei simboli

della gastronomia calabrese e si usa prepararla sia con pepe rosso che

con pepe nero. Col maiale si preparano ancora prosciutti e capicolli

(per la verità non all’altezza delle precedenti) ma anche la ‘nduja, detta

“la salsiccia dei poveri” in quanto si prepara con la carne di scarto, la

pancetta che consiste in pezzi di costolette ben salate.

E-book fotografico

“L’ultimo abitante di Roghudi”

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“Coledda”

“Roccaforte del Greco”

29

“Ghorio di Roccaforte”

30

“Alcuni scorci di Roghudi”

“La Gurna”

31

“Le cascate di Linna”