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La voce del Maestro

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sommario

Periodico delle SuoreDiscepole di Gesù Eucaristico

Direttore responsabile:Suor Marcella Antonelli

Direttore editoriale e redattore:Suor Anna Beatrice

Redazione e Amministrazione:Istituto Suore Discepole di GesùEucaristico

00145 RomaVia delle Sette Chiese, 91tel. 06 5126150 - fax 06 [email protected]/c 57471005

autorizzazione del tribunale Civile diRoman. 00140/97 del 14/03/1997

Hanno collaborato:Paolo CombaAntonino GranataAldo Basso

AbbonamentoOrdinario € 15

Progetto grafico, realizzazionee stampa:Tipografia EurosiaPiazza S. Eurosia, 3 - Tel. 06 5135057

Avviso ai lettori:Gentile lettore/lettriceil suo indirizzo fa parte dell’archivio della nostra ri-vista. Nel rispetto di quanto stabilito dalla legge n.675/1996 per la tutela dei dati personali, comuni-chiamo che tale archivio è gestito dall’Istituto delleSuore Discepole di Gesù Eucaristico. I suoi dati,pertanto, non saranno oggetto di comunicazione odiffusione a terzi. Per essi lei potrà chiedere, inqualsiasi momento, modifiche, aggiornamento, in-tegrazione o cancellazione scrivendo al nostro indi-rizzo: Istituto Suore Discepole di Gesù Eucaristico,Via delle Sette Chiese, 91 - 00145 Roma.

Anno PaolinoRisorti con Cristo, cercando le cose di lassù… pag. 3Paolo Comba

Anno SacerdotaleLasciamoci conquistare da CristoOmelia apertura Anno Sacerdotale pag. 7Benedictus PP XVI

TestimonianzaUn “Sì”… provato pag. 14Antonino Granata

ScuolaIl bambino, la sofferenza e la morte pag. 17Aldo Basso

Particolare delChiostro del ConventoSant’Antonio(Casa Madre),Tricarico (MT)

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Risorti con

Cristo

Risorti con

Cristo

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Anno Paolino

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Risorti con Cristo, cercando lecose di lassù…

La dimensione pasquale della vita cristiana in San Paolo

La risurrezione di Cristo costituisceil fondamento della fede cristiana.In 17 libri del NT se ne parla espres-samente e in tutto il Corpus Paolinoc’è il riferimento continuo al fattodella risurrezione di Cristo, costi-tuendo così l’asse portante dellateologia paolina a tal punto che inRm 10,9 Paolo afferma che confes-sare la risurrezione equivale ad af-fermare che Gesù Cristo è il Signoreed è una condizione indispensabileper la salvezza: “Poiché se confes-serai con la tua bocca che Gesù è ilSignore, e crederai con il tuo cuoreche Dio lo ha risuscitato dai morti,sarai salvo.”La resurrezione di Gesù costituisce ilmotivo centrale della predicazione diPaolo e l’irrinunciabile punto di riferi-mento per la vita del cristiano poichéinaugura il tempo futuro ed è fonda-mento della speranza: la risurrezio-ne di Cristo e la risurrezione del cre-dente nell’ultimo giorno sono corre-late tra loro, poiché la speranza diquest’ultima si fonda sulla certezzadella prima.

C’è però da osservare che Paolo nonparla della risurrezione di Cristo cer-cando di dimostrarne la storicità, mala presenta semplicemente come unfatto tentando di esporre le conse-guenze che ne derivano per la vita ela fede del credente.E allora, quali sono le conseguenzedel fatto della risurrezione di Cristonella vita del credente? Non sono po-chi i passi in cui Paolo usa il linguag-gio della trasformazione per descri-vere la risurrezione futura del cri-stiano, quale conseguenza dellaPasqua di Cristo. “La nostra patriainvece è nei cieli e di là aspettiamocome salvatore il Signore Gesù Cri-sto, il quale trasfigurerà il nostro mi-sero corpo per conformarlo al suocorpo glorioso, in virtù del potere cheha di sottomettere a sé tutte lecose.” (Fil. 3,20-21)Un altro significativo riferimento del-la risurrezione come trasformazionelo possiamo trovare in 1Cor 15,51-52: “Ecco io vi annunzio un mistero:non tutti, certo, moriremo, ma tuttisaremo trasformati, in un istante, in

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un batter d’occhio, al suono dell’ulti-ma tromba; suonerà infatti la trom-ba e i morti risorgeranno incorrotti enoi saremo trasformati.” In questabreve pericope, l’utilizzo per due vol-te del verbo “trasformati”, rafforza ilsenso duplice della trasformazioneoperata dalla risurrezione: c’è unatrasformazione presente e una futu-ra; una rende l’evidenza della Pasqua

(presente) e fonda la certezza nell’e-ternità (futura).Per vivere questa tensione verso unatrasformazione della vita, Paolo facontinuo riferimento al rapporto conla persona di Cristo: nell’affermareche per lui “vivere è Cristo”, l’apostoloindica il metodo per vivere la fede.Paolo è consapevole che la vita cri-

stiana non può essere ridotta né in-quadrata solamente da testi legisla-tivi, né da idee, né da istituzioni, mala vita cristiana è regolata dal rap-porto di fede e di amore verso la per-sona di Cristo. Ecco perché l’unionecon Lui ci guadagna l’adozione filiale,formando in noi “l’uomo nuovo” (Ef2,15), “l’uomo interiore” (Rm 7,22),l’uomo perfetto” (Ef 4,13).Questo rapporto con la persona diCristo porta alla conformità della no-stra vita con Cristo. È questo un temache Paolo riprende più volte; vale lapena soffermarci sul testo di Romani8,28-29:“Del resto, noi sappiamo chetutto concorre al bene di coloro cheamano Dio, che sono stati chiamatisecondo il suo disegno. Poiché quelliche egli da sempre ha conosciuto liha anche predestinati ad essereconformi all’immagine del Figlio suo,perché egli sia il primogenito tramolti fratelli” (Rm 8,28-29).La conformità a Cristo è posta daPaolo al cuore dell’opera stessa diDio a favore di quelli che lo amano.La conformità a Cristo troverà l’ap-plicazione concreta nei capitolo 12e 15 della stessa lettera ai Romani:Paolo introduce la catechesi moraleusando il verbo trasformatevi: “Nonconformatevi alla mentalità di que-sto secolo, ma trasformatevi rinno-vando la vostra mente, per poter di-scernere la volontà di Dio, ciò che è

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buono, a lui gradito e perfetto.”(12,2).Accostando i verbi conformatevi-trasformatevi possiamo cogliere nonsoltanto una regola di vita cristiana(la fedeltà nella sequela Christi por-ta alla conformazione a Lui e quindialla trasformazione della vita), maanche l’evidenza del fattodella risurrezionedi Cristo. Infatti,dov’è l’evidenza diquesto fatto senon in un cam-biamento, in unatrasformazione,della vita?

E cos’è la gloria che Cristo ha pro-messo ai suoi, se non la conforma-zione a Lui, cioè la partecipazionealla sua risurrezione, quindi alla suagloria?

don Paolo Comba

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Conquistat

i da Cristo

Conquistat

i da Cristo

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Anno Sacerdotale

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Lasciamoci conquistare daCristo

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata da BenedettoXVI nella Basilica Vaticana durante la celebrazione dei Secondi Vespridella solennità del Sacro Cuore di Gesù, in occasione dell’apertura del-l’Anno Sacerdotale.

Cari fratelli e sorelle,nell’antifona al Magnificat tra pococanteremo: «Il Signore ci ha accoltinel suo cuore – Suscepit nos Domi-nus in sinum et cor suum». Nell’Anti-co Testamento si parla 26 volte delcuore di Dio, considerato come l’or-gano della sua volontà: rispetto alcuore di Dio l’uomo viene giudicato. Acausa del dolore che il suo cuoreprova per i peccati dell’uomo, Iddiodecide il diluvio, ma poi si commuo-ve dinanzi alla debolezza umana eperdona. C’è poi un passo veterote-stamentario nel quale il tema delcuore di Dio si trova espresso in mo-do assolutamente chiaro: è nel capi-tolo 11 del libro del profeta Osea,dove i primi versetti descrivono la di-mensione dell’amore con cui il Si-gnore si è rivolto ad Israele all’albadella sua storia: «Quando Israele erafanciullo, io l’ho amato e dall’Egittoho chiamato mio figlio» (v. 1). In veri-tà, all’instancabile predilezione divi-

na, Israele risponde con indifferenzae addirittura con ingratitudine. «Piùli chiamavo – è costretto a constata-re il Signore –, più si allontanavanoda me» (v. 2). Tuttavia Egli mai ab-bandona Israele nelle mani dei ne-mici, perché «il mio cuore – osservail Creatore dell’universo – si com-muove dentro di me, il mio intimofreme di compassione» (v. 8).Il cuore di Dio freme di compassione!Nell’odierna solennità del Sacratissi-mo Cuore di Gesù, la Chiesa offre allanostra contemplazione questo mi-stero, il mistero del cuore di un Dioche si commuove e riversa tutto ilsuo amore sull’umanità. Un amoremisterioso, che nei testi del NuovoTestamento ci viene rivelato come in-commensurabile passione di Dio perl’uomo.Egli non si arrende dinanzi al-l’ingratitudine e nemmeno davanti alrifiuto del popolo che si è scelto; an-zi, con infinita misericordia, invia nelmondo l’Unigenito suo Figlio perché

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Anno Sacerdotale

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prenda su di sé il destino dell’amoredistrutto; perché, sconfiggendo il po-tere del male e della morte, possa re-stituire dignità di figli agli esseriumani resi schiavi dal peccato. Tuttoquesto a caro prezzo: il Figlio Unige-nito del Padre si immola sulla croce:«Avendo amato i suoi che erano nelmondo, li amò fino alla fine» (cfr Gv13,1). Simbolo di tale amore che vaoltre la morte è il suo fianco squar-ciato da una lancia. A tale riguardo, iltestimone oculare, l’apostolo Giovan-ni, afferma: «Uno dei soldati con una

lancia gli colpì il fianco, e subito neuscì sangue ed acqua» (cfr Gv 19,34).Cari fratelli e sorelle, grazie perché,rispondendo al mio invito, siete ve-nuti numerosi a questa celebrazionecon cui entriamo nell’Anno Sacerdo-tale. Saluto i signori cardinali e i ve-scovi, in particolare il cardinale pre-

fetto e il segretario della Congrega-zione per il clero con i loro collabora-tori, ed il vescovo di Ars. Saluto i sa-cerdoti e i seminaristi dei vari semi-nari e collegi di Roma; i religiosi e lereligiose e tutti i fedeli. Un salutospeciale rivolgo a sua BeatitudineIgnace Youssef Younan, Patriarca diAntiochia dei Siri, venuto a Roma perincontrarmi e significare pubblica-mente l’«ecclesiastica communio»che gli ho concesso.Cari fratelli e sorelle, fermiamoci in-sieme a contemplare il Cuore trafitto

del Crocifisso. Abbiamoascoltato ancora una vol-ta, poco fa, nella breve let-tura tratta dalla Lettera disan Paolo agli Efesini, che«Dio, ricco di misericordia,per il grande amore con ilquale ci ha amato, damorti che eravamo per lecolpe, ci ha fatti riviverecon Cristo... Con lui ci haanche risuscitato e ci hafatto sedere nei cieli, inCristo Gesù» (Ef 2,4-6).Nel

Cuore di Gesù è espresso il nucleoessenziale del cristianesimo; in Cri-sto ci è stata rivelata e donata tuttala novità rivoluzionaria del Vangelo:l’Amore che ci salva e ci fa vivere giànell’eternità di Dio. Scrive l’evangeli-sta Giovanni: «Dio infatti ha tantoamato il mondo da dare il suo Figlio

Dio, ricco di misericordia, per ilgrande amore con il quale ci haamato, da morti che eravamo perle colpe, ci ha fatti rivivere conCristo…

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Unigenito, perché chiunque crede inlui non vada perduto, ma abbia la vitaeterna» (3,16). Il suo Cuore divinochiama allora il nostro cuore; ci invitaad uscire da noi stessi, ad abbando-nare le nostre sicurezze umane perfidarci di Lui e, seguendo il suoesempio, a fare di noi stessi un donodi amore senza riserve.Se è vero che l’invito di Gesù a «rima-nere nel suo amore» (cfr Gv 15,9) è perogni battezzato, nella festa del SacroCuore di Gesù, giornata di santifica-zione sacerdotale, tale invito risuonacon maggiore forza per noi sacerdoti,in particolare questa sera, solenneinizio dell’Anno Sacerdotale, da mevoluto in occasione del 150° anniver-sario della morte del santo Curatod’Ars. Mi viene subito alla mente unasua bella e commovente affermazio-ne, riportata nel Catechismo dellaChiesa cattolica: «Il sacerdozio è l’a-more del Cuore di Gesù» (n. 1589). Co-me non ricordare con commozioneche direttamente da questo Cuore èscaturito il dono del nostro ministerosacerdotale? Come dimenticare chenoi presbiteri siamo stati consacratiper servire, umilmente e autorevol-mente, il sacerdozio comune dei fede-li? La nostra è una missione indispen-sabile per la Chiesa e per il mondo,che domanda fedeltà piena a Cristoed incessante unione con Lui; esigecioè che tendiamo costantemente al-

la santità come ha fatto san GiovanniMaria Vianney. Nella Lettera a voi in-dirizzata per questo speciale annogiubilare, cari fratelli sacerdoti, ho vo-luto porre in luce alcuni aspetti quali-ficanti del nostro ministero, facendoriferimento all’esempio e all’insegna-mento del santo Curato di Ars, model-lo e protettore di tutti i sacerdoti, e inparticolare dei parroci. Che questomio scritto vi sia di aiuto e di incorag-giamento a fare di questo anno un’oc-casione propizia per crescere nell’in-timità con Gesù, che conta su di noi,suoi ministri, per diffondere e consoli-dare il suo Regno. E pertanto, «sull’e-sempio del Santo Curato d’Ars – cosìconcludevo la mia Lettera – lasciateviconquistare da Lui e sarete anche voi,nel mondo di oggi, messaggeri di spe-ranza, di riconciliazione, di pace».Lasciarsi conquistare pienamenteda Cristo! Questo è stato lo scopo ditutta la vita di san Paolo, al quale ab-biamo rivolto la nostra attenzionedurante l’Anno Paolino che si avviaormai verso la sua conclusione; que-sta è stata la meta di tutto il ministe-ro del santo Curato d’Ars, che invo-cheremo particolarmente durantel’Anno Sacerdotale; questo sia anchel’obiettivo principale di ognuno di noi.Per essere ministri al servizio delVangelo, è certamente utile lo studiocon una accurata e permanente for-mazione pastorale, ma è ancor più

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Anno Sacerdotale

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necessaria quella «scienza dell’amo-re» che si apprende solo nel «cuore acuore» con Cristo. È Lui infatti a chia-marci per spezzare il pane del suoamore, per rimettere i peccati e perguidare il gregge in nome suo. Pro-prio per questo non dobbiamo maiallontanarci dalla sorgente dell’Amo-re che è il suo Cuore trafitto sullacroce. Solo così saremo in grado dicooperare efficacemente al miste-rioso «disegno del Padre» che consi-

ste nel «fare di Cristo il cuore delmondo»! Disegno che si realizza nel-la storia, man mano che Gesù diviene

il Cuore dei cuori umani, iniziando dacoloro che sono chiamati a stargli piùvicini, i sacerdoti appunto. Ci richia-mano a questo costante impegno le«promesse sacerdotali», che abbia-mo pronunciato il giorno della nostraordinazione e che rinnoviamo ognianno, il Giovedì Santo, nella MessaCrismale. Perfino le nostre carenze, inostri limiti e debolezze devono ri-condurci al Cuore di Gesù. Se infattiè vero che i peccatori, contemplan-doLo, devono apprendere da Lui ilnecessario «dolore dei peccati» cheli riconduca al Padre, questo vale an-cor più per i sacri ministri. Come di-menticare, in proposito, che nulla fasoffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cri-sto, quanto i peccati dei suoi pastori,soprattutto di quelli che si tramuta-no in «ladri delle pecore» (Gv 10,1ss),o perché le deviano con le loro priva-te dottrine, o perché le stringono conlacci di peccato e di morte? Ancheper noi, cari sacerdoti, vale il richia-mo alla conversione e al ricorso allaDivina Misericordia, e ugualmentedobbiamo rivolgere con umiltà l’ac-corata e incessante domanda alCuore di Gesù perché ci preservi dalterribile rischio di danneggiare colo-ro che siamo tenuti a salvare.Poc’anzi ho potuto venerare, nellaCappella del Coro, la reliquia delSanto Curato d’Ars: il suo cuore. Uncuore infiammato di amore divino,

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che si commuoveva al pensiero delladignità del prete e parlava ai fedelicon accenti toccanti e sublimi, affer-mando che «dopo Dio, il sacerdote ètutto! ... Lui stesso non si capirà beneche in cielo» (cfr Lettera per l’AnnoSacerdotale, p. 2). Coltiviamo, carifratelli, questa stessa commozione,sia per adempiere il nostro ministerocon generosità e dedizione, sia percustodire nell’anima un vero «timoredi Dio»: il timore di poter privare ditanto bene, per nostra negligenza ocolpa, le anime che ci sono affidate, odi poterle – Dio non voglia! – danneg-giare. La Chiesa ha bisogno di sacer-doti santi; di ministri che aiutino i fe-deli a sperimentare l’amore miseri-cordioso del Signore e ne siano con-vinti testimoni. Nell’adorazione eu-caristica, che seguirà la celebrazionedei Vespri, chiederemo al Signoreche infiammi il cuore di ogni presbi-tero di quella «carità pastorale» ca-pace di assimilare il suo personale

«io» a quello di Gesù Sacerdote, cosìda poterlo imitare nella più completaauto-donazione. Ci ottenga questagrazia la Vergine Maria, della qualedomani contempleremo con viva fe-de il Cuore Immacolato. Per Lei ilsanto Curato d’Ars nutriva una filialedevozione, tanto che nel 1836, in an-ticipo sulla proclamazione del Dog-ma dell’Immacolata Concezione,aveva già consacrato la sua parroc-chia a Maria «concepita senza pec-cato». E mantenne l’abitudine di rin-novare spesso quest’offerta dellaparrocchia alla Santa Vergine, inse-gnando ai fedeli che «bastava rivol-gersi a lei per essere esauditi», per ilsemplice motivo che ella «desiderasoprattutto di vederci felici». Ci ac-compagni la Vergine Santa, nostraMadre, nell’Anno Sacerdotale cheoggi iniziamo, perché possiamo es-sere guide salde e illuminate per i fe-deli che il Signore affida alle nostrecure pastorali. Amen!

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RVescovo di Tricarico Fondatore delle Suore D

PPrreegghhiieerraa ppeerrootttteenneerree ddaall SSiiggnnoorreellaa bbeeaattiiffiiccaazziioonneeddeell SSeerrvvoo ddii DDiiooO SS. Trinità per la tua maggior gloria eper la nostra edificazione, ti preghiamo diglorificare il tuo servo Raffaello, che, conumiltà e carità, molte anime guidò nellevie del tuo amore. Se la sua glorificazioneè conforme alla tua santa volontà,concedici la grazia che ti chiediamo.Amen.

Il Servo di Dio

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Raffaello Delle Nocche Discepole di Gesù Eucaristico

IImmpprriimmaattuurrRoma 24-10-1963 Bruno M. Pelaia Vescovo

Coloro che ricevono grazie sono pregati di darne notizia allaPostulazione

Postulazione delle Suore Discepole di Gesù EucaristicoVia delle Sette Chiese, 91 - 00145 Roma - tel. 06 5126150 - fax 06 5132840

c/c p n° 57471005 intestato a Istituto delle Suore Discepole di Gesù EucaristicoVia delle Sette Chiese, 91 - 00145 Roma

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Sono un novizio appartenente allaCongregazione religiosa de “I Disce-poli”; da diverso tempo nutro una fi-liale e sincera devozione verso il Ve-nerato Servo di Dio: il Monsignor Del-le Nocche, e in diverse occasioni neho sperimentato la sua potente in-tercessione.

È membro della mia Congregazioneun giovane originario di Marano diNapoli. Posso garantire che il giova-

ne si è sempre distinto, nel nostrogruppo, per serietà, intelligenza, de-vozione, e forte senso di attacca-mento al dovere. Il 17.12.06, giorno incui doveva emettere la ProfessionePerpetua, il giovane prima della Ce-lebrazione del Rito di Professione,avverte strane sensazioni, dice disentirsi legato e bloccato da un’enti-tà che non riesce a spiegare e a defi-nire, simile ad una forza che lo trat-tiene da riuscirlo perfino a bloccare,e a non permettergli di entrare inChiesa per emettere i santi Voti.I Superiori, stupiti di tale atteggia-mento, decisero di rimandare il giova-ne ad un ulteriore discernimento pri-ma di emettere la Professione, perchécredevano che ci fossero, da parte delcandidato, perplessità e dubbi nel do-ver abbracciare in Perpetuo lo statoreligioso. Mettendolo anche al cor-rente di cosa gli sarebbe accaduto adun’assenza di rinnovo dei Voti.Restando ai sacri canoni del Codicedi Diritto Canonico, allo scader deiVoti, ad un’assenza di rinnovo, segueallontanamento-espulsione ipso fac-to dalla Famiglia Religiosa.Allo scadere dell’anno di riflessioneconcessogli dal Consiglio Generale, ilgiovane Antonio, in maniera sponta-

Un “Sì”... provato

Testimonianza

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nea fa richiesta di emettere i Voti. IlConsiglio ne accetta la richiesta. Ma,il giorno stabilito, precisamente il15.09.2007, di nuovo il giovane sisente frenato da una forza, tanto danon riuscire a varcare la soglia dellaChiesa.Il Padre superiore, dati gli atteggia-menti, e sentito il Consiglio, invita ilgiovane ad un serio ed attento di-scernimento per decidere definitiva-mente del suo avvenire.Intanto, il giovane, viene inviato pertale riflessione, nella Comunità diPotenza.Dopo aver ascoltato dal giovanestesso tutto il travaglio vissuto, echiedendomi di pregare per lui, deci-do di affidare nelle mani di Dio la si-tuazione, per mezzo del Servo di DioDelle Nocche.Il motivo principale che mi spinse adaffidarmi al Monsignore, era princi-palmente questo: sapevo che il giova-ne apparteneva alla Parrocchia SanCastrese, dove il Monsignore ha rice-vuto il Battesimo e dove ha mosso iprimi passi verso l’ascesi al Signore.

Questo era innanzitutto uno dei moti-vi che mi spinsi ad affidare il caso alMonsignore. Andavo di tanto in tantoripetendo nella preghiera, con filialefamiliarità: È paesano tuo pensacitu!”, intendendo il Monsignore.Iniziai a pregare con insistenza percirca otto giorni. Il 25 aprile dello stes-so anno, la nostra Comunità forman-do, verso le 22.30, riceve una inaspet-tata telefonata da parte del Padre Su-periore, riferendoci con gioia, che ilgiovane Antonio, da poche ore avevaprofessato in Perpetuo i Santi Voti,nella Cripta della nostra Casa Madrein Amatrice (Ri). Di getto mi recai inChiesa per ringraziare il Signore ed ilMonsignore per il beneficio ottenuto.L’intercessione del Monsignor non èvenuta meno, anzi, ha spazzato viadubbi e suggestioni peregrine dalcuore del giovane.Liberamente e per onorata coscien-za, ne rendo testimonianza per lamaggior Gloria di Dio e del VeneratoMonsignore.

Antonino Granata

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Il bambino, la sofferenza ela morte

Si è felici da bambini? A volte verreb-be da pensare all’infanzia come adun’età felice e senza preoccupazioni,l’età in cui non si hanno responsabili-tà, l’età dei trastulli e dei giochi... Mo-menti di sofferenza e delusioni nonmancano, ma in fondo trattandosi dibambini tutto dovrebbe avere di-mensioni molto ridotte rispetto all’e-tà adulta, compreso il dolore. Parlia-mo, quindi, di ‘piccole’ gioie e di ‘pic-cole’ sofferenze: sul ramo troppo te-nero non dovrebbe attecchire né ildolore né il dubbio; il disincanto e ledelusioni, le insoddisfazioni e la noia– se non addirittura il cinismo – ver-ranno in seguito.Ad una riflessione più attenta è faci-le rendersi conto che questo quadronon è realistico. Qualcuno ha dettoche ‘la felicità non si vive mai, ma lasi ricorda sempre’: sarà anche perquesto nostro modo di sperimentarela felicità che, confrontandoci con leasprezze e le responsabilità della vi-ta adulta, noi siamo portati a pensa-re all’età dell’infanzia come ad un’etàfelice e spensierata. In realtà, l’espe-rienza quotidiana ci mostra che ilbambino può incontrarsi assai pre-

cocemente con la sofferenza, com-presa quella della morte: si tratta diun’esperienza assai complessa, vis-suta con modalità diverse rispettoall’adulto, per il quale non è solita-mente facile comprendere ciò cheeffettivamente avviene nel bambinoche soffre e, di conseguenza, interve-nire nel modo più adeguato e rispet-toso. Interrogandosi sulla felicità deibambini, il filosofo francese J. Guit-ton così si esprime: “Sento dire chel’infanzia è l’età della felicità perfet-ta. Ma è vero? Quando si è, come te,un bambino, non si gioisce dell’infan-zia. E quando un adulto crede di rivi-vere la propria infanzia, evoca unacondizione che non esisteva. Talvoltami domando se l’infanzia non è unsogno degli adulti...”1. Forse i bambininon sono felici perché hanno l’im-pressione che il mondo appartengaai grandi e loro ne rimangono esclusi.“Il bambino è infelice a causa dellesue folli speranze e di minimi dispia-ceri che è portato ad esagerare”(Alain).La riflessione che segue si proponedi analizzare come si presenta l’e-sperienza della sofferenza nel bam-

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bino, proponendo nello stesso tempoqualche spunto concreto per l’inter-vento educativo.

L’esperienza della sofferenza nelbambinoVolendo analizzare l’esperienza dellasofferenza nei bambini è opportunofare due premesse. Anzitutto, si devetenere presente che i bambini vivonosia nel mondo che dentro la loromente. Da questo punto di vista, lesofferenze che essi sperimentano

possono essere legate ad avveni-menti e situazioni concrete, ma sipuò trattare anche di tormenti chenascono da ciò che passa nella fan-tasia del bambino e che per lui ha lastessa consistenza dei fatti che av-vengono nella realtà. In secondo luo-go, tante forme di sofferenza posso-

no – e, nella misura del possibile, de-vono – essere evitate al bambino, sel’ambiente si comporta in modo ri-spettoso nei suoi confronti, se si tie-ne conto delle sue caratteristichepsicofisiche e dei suoi bisogni parti-colari. Vi sono, però, forme di soffe-renza e di disagio molto varie che so-no semplicemente inevitabili, inquanto legate alla fatica del crescere(si pensi, ad esempio, alla fatica del‘lasciare’ – una figura particolarmen-te protettiva, un ambiente familiare– o alla sofferenza legata alla gelo-

sia), alla fatica che l’esse-re umano sperimenta nelpassaggio da un agire ba-sato sul principio del pia-cere ad un agire basatosul principio di realtà(Freud).Si tratta di due annotazio-ni importanti che possonoavere risvolti significativiper l’agire dell’educatore.Dalla prima, ad esempio,consegue la necessità chel’adulto conosca, per

quanto gli è possibile, il mondo inte-riore del bambino, la sua ‘vita spiri-tuale’, in quanto ciò che avviene nellasua mente può avere lo stesso valoredi altri ‘dati di realtà’. Dalla seconda,invece, deriva come conseguenzache di fronte al bambino che soffrenon è sempre necessario ‘sentirsi in

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colpa’ o comunque trovare qualcunoa cui attribuire la responsabilità deldisagio sperimentato dal bambino, inquanto può trattarsi di sofferenze le-gate alle diverse circostanze di vita.

TTiippii ddii ssooffffeerreennzzaa nneellllaa vviittaa ddeell bbaamm--bbiinnooSi può tentare di stilare un elenco –naturalmente incompleto – dellepossibili sofferenze che un bambinopuò sperimentare, prescindendodalla intensità con cui esse possonopresentarsi:- sofferenze fisiche (dolori fisici,

operazioni, incidenti e traumi, fa-me...),

- paure, ansie, fobie, incubi;- carenze e frustrazioni (carenze af-

fettive, bisogni non soddisfatti, dis-tacchi...);

- perdite (di oggetti, di animali, dipersone);

- violenze e maltrattamenti;- gelosia;- esperienze di conflitto;- isolamento sociale;- situazioni di handicap.

FFaattttoorrii ddaaii qquuaallii ddiippeennddee ll’’eessppeerriieenn--zzaa ddeellllaa ssooffffeerreennzzaa nneell bbaammbbiinnooL’esperienza della sofferenza in etàinfantile varia notevolmente in basea diversi fattori, tra i quali si possonoricordare i seguenti:- età del bambino;

- caratteristiche psicologiche delsoggetto;

- durata di una determinata soffe-renza;

- frequenza dell’esperienza di soffe-renza;

- intensità della sofferenza;- precedenti esperienze di sofferenza;- aiuti che possono essere offerti dal-

l’ambiente al bambino che soffre;- qualità e caratteristiche del conte-

sto di vita (contesto educativo) incui vive il bambino (ad esempio:qualità delle relazioni interperso-nali, atteggiamenti degli educatori).

In particolare, è opportuno tenerepresente l’incidenza che hanno i fat-tori conoscitivi sull’esperienza dellasofferenza nel bambino. È noto, in-fatti, che le sue capacità conoscitivepresentano caratteristiche partico-lari per quanto riguarda la possibilitàdi percepire la realtà in modo ogget-tivo. La Bibbia dice che ‘chi aumentail sapere aumenta il dolore’: da que-sto punto di vista, si può pensare chead un bambino possano essere ri-sparmiate certe sofferenze dovute alfatto che egli non è in grado di ‘ren-dersi conto’ ad esempio della gravitào delle possibili conseguenze di ciòche gli sta capitando. Per altro verso,però, proprio la (relativa) incapacitàdel bambino di valutare obiettiva-mente le varie situazioni lo può por-

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tare a tormentarsi e a soffrire ancheintensamente per situazioni che, in-vece, non giustificano il suo disagio(ad esempio: un bambino che inizial’esperienza della scuola dell’infan-zia e che sta aspettando l’arrivo di ungenitore al termine della giornata discuola può essere assalito da un’an-goscia improvvisa di fronte allo scop-

pio di un temporale, ritenendo checiò renda impossibile al genitore ilvenire alla scuola per riportarlo a ca-sa). Inoltre, anche le ridotte capacitàdel bambino per quanto riguarda illinguaggio possono condizionare lasua possibilità di esternare il doloree chiedere un aiuto adeguato.

MMooddaalliittàà ddeellll’’eessppeerriieennzzaa ddeellllaa ssooffffee--rreennzzaa ddaa ppaarrttee ddeell bbaammbbiinnooIl bambino vive le varie esperienze divita in modo originale e diverso ri-spetto all’adulto. Ciò vale anche perquanto riguarda il suo modo di viverela sofferenza. Si possono fare al ri-guardo le seguenti annotazioni:- i sentimenti di dolore spesso sono

improvvisi nel loro sorgere e altret-tanto improvvisamente scompaio-no (può mettersi a sorridere quan-do ancora le ultime lacrime stannoscorrendo sulle sue guance);

- i sentimenti dolorosi e negativioccupano spesso tutta la suascena psichica, possono ‘investir-lo’ totalmente e quasi ‘scuoterlo’violentemente. L’appello alla ra-gione (nel senso di cercare di va-lutare obiettivamente la realtà)può essere normalmente di scar-sa o nessuna utilità, almeno neiprimi momenti;

- il bambino non è in grado di ‘di-stanziarsi da essi’ e quindi non èin grado di ridurli ad un’esperien-za tutta interiore e, nello stessotempo, mostrare una relativatranquillità e calma esteriori. Lacaratteristica dei bambini di mo-strare all’esterno in modo direttoed immediato ciò che passa nelloro intimo vale anche nel mo-mento in cui sperimentano lasofferenza.

Il bambino vive le varieesperienze di vita inmodo originale e diversorispetto all’adulto

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L’adulto e la sofferenza del bambino

DDii cchhee ccoossaa hhaa bbiissooggnnoo iill bbaammbbiinnoocchhee ssooffffrreeQuale obiettivo si deve porre l’adultoquando vuole offrire il suo aiuto albambino che soffre? È facile immagi-nare che la risposta possa essereassai diversa a seconda del tipo disofferenza sperimentata, della qua-lità del legame che esiste tra l’adultoe il bambino, delle risorse del bambi-no stesso. In alcuni casi si tratteràsemplicemente di rimuovere le cau-se della sofferenza, in mo-do che il bambino non sof-fra più o soffra di meno; al-tre volte ciò è impossibile.In questo caso, allora, l’o-biettivo non potrà esserequello di impedire la soffe-renza – almeno in un primomomento –, quanto piutto-sto quello di creare le con-dizioni affinché questaesperienza – che può esse-re anche molto dolorosa edura da portare per unbambino – non lo porti a sviluppareatteggiamenti negativi (ansia, dispe-razione, senso di impotenza, perditadi fiducia in se stesso, complesso diinferiorità, angoscia da abbando-no...), ma gli sia di aiuto per la suacrescita, preparandolo ad affrontarele future sofferenze che la vita riser-

va a ciascuno. Ciò significa che ilbambino è aiutato a sviluppare sen-timenti di fiducia in se stesso, unsenso di auto-efficacia, la scopertadi un significato positivo della soffe-renza, un’accresciuta forza d’animo,modalità più efficaci per affrontare esuperare le varie esperienze di soffe-renza.Spesso, dunque, siamo di vero aiutoai bambini non se impediamo che ildolore li faccia soffrire, ma se creia-mo le condizioni, attraverso il nostromodo di stare accanto a loro, affin-

ché la sofferenza non li faccia senti-re impotenti e schiacciati o interior-mente lacerati e senza speranza, mapossa essere un’esperienza che sen-tono di poter liberamente condivide-re con un adulto che è capace di ac-cettarla e viverla con pazienza e spe-ranza.

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LLaa rriissppoossttaa ddeellll’’aadduullttoo ddii ffrroonnttee aallllaassooffffeerreennzzaa ddeell bbaammbbiinnooDi norma, non è facile accogliere inmodo rispettoso e costruttivo le fortiemozioni delle persone che incon-triamo e ciò vale forse soprattuttoquando si tratta delle forti emozioniche i bambini possono provare quan-

do soffrono. È facile sentirsi coinvoltiemotivamente, anche se ciò può av-venire spesso a livello più o meno in-conscio. Si possono, quindi, speri-mentare sentimenti – anche forti –di preoccupazione o di ansia, di fa-stidio, di impotenza e questi senti-menti, nella misura in cui non venga-no portati a livello cosciente, posso-no condizionare l’agire dell’educato-re e rendere i suoi interventi più fun-zionali ai suoi bisogni anziché ai bi-sogni dei bambini stessi.

I fattori in base ai quali gli adulti pos-sono sperimentare forti emozioni difronte alla sofferenza dei bambinisono diversi: la qualità del legameche essi hanno con il bambino chesoffre, il tipo di sofferenza del bam-bino, le caratteristiche di personalitàdell’adulto, particolari vissuti dell’a-dulto in seguito a determinate espe-

rienze passate.È importante che l’adultofaccia attenzione ai senti-menti che prova di frontealle varie forme di soffe-renza dei bambini, inquanto tali sentimentipossono condizionare an-che notevolmente il modocon cui egli interviene.Non è ragionevole nè rea-listico chiedere all’adultodi non provare, almeno inqualche caso, sentimenti

di difficoltà o di ansia o di imbarazzodi fronte a queste esperienze infanti-li: il dolore non ha una sua ‘logica’, èqualcosa che istintivamente si rifiu-ta, si vorrebbe ‘fare qualcosa’... È in-vece ragionevole e possibile – po-tremmo dire anche: doveroso – chie-dere all’adulto, se vuole essere uneducatore ‘passabile’, che i suoi sen-timenti di imbarazzo o di fastidio o diansia non siano né così intensi néche durino in modo così persistentenella sua vita al punto da interferire

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troppo negativamente nel momentoin cui egli si rapporta con i bambini.Qualora ciò avvenga, l’adulto deveprendere atto che, almeno finché du-ra questa sua situazione personale,egli non è nelle condizioni di affron-tare adeguatamente la richiestaeducativa. E già il prendere atto diciò può costituire un primo impor-tante passo verso l’assunzione di re-sponsabilità e la ricerca di soluzionipiù adeguate. Ciò significa che si de-vono evitare processi di rimozione odi razionalizzazione e cercare invecedi tenere sotto ragionevole controllole proprie emozioni, così da riuscire a‘centrarsi’ sui bisogni del bambinostesso e fornirgli quell’aiuto che eglichiede.Tenendo presente quanto appena ri-chiamato, è facile convincersi comela prima modalità di intervento – po-sitivo o negativo – dell’adulto neiconfronti del bambino che soffre èdata dagli atteggiamenti di fondoche l’adulto stesso ha sviluppato neiconfronti di se stesso, della vita, deldolore, del futuro, della morte. Sipossono, infatti, incontrare adultiche sanno dar prova di pazienza2

nelle tribolazioni, sanno affrontarecon sufficiente calma e serenità leesperienze dolorose, sono capaci disufficiente autocontrollo nelle diffi-coltà, non perdono la speranza difronte alla morte; altri adulti, invece,

sono guidati da atteggiamenti con-trari. È risaputo che i significati glo-bali che i dati di realtà hanno per ibambini sono normalmente mediatidagli adulti, per cui è ragionevolepensare che anche i loro vissuti difronte ad esperienze di sofferenza edi disagio saranno condizionati, al-meno in parte, dagli atteggiamentidegli adulti che interagiscono piùabitualmente con loro. Nel Catechi-smo dei Bambini troviamo una anno-tazione significativa a questo riguar-do: «Che cosa capiscono i bambinidagli atteggiamenti che gli adultihanno con loro? Avvertono se le per-sone amano o no la vita, se hannopaura, se hanno speranza. Se credo-no o no in quello che dicono»3.Oltre a quanto appena richiamato, sipossono aggiungere altri spunti con-creti per l’intervento educativo.È importante che l’adulto abbia anzi-tutto una percezione corretta e quin-di realistica della sofferenza delbambino, così da essere in grado dicogliere i suoi reali vissuti e le moda-lità concrete con cui egli vive la sof-ferenza. Ciò può significare, adesempio, tenere presente che le pau-re infantili a noi possono sembrare‘infondate’, senza però che ciò signi-fichi che il bambino non stia di fattosoffrendo; inoltre, sarà importanteche si eviti di ‘minimizzare’ la soffe-renza infantile (‘sono bambini..., si 23

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tratta di piccoli problemi’). I versi diMontale sottolineano in modo poeti-co questa verità: “Nulla paga il pian-to del bambino / a cui fugge il pallonetra le case”.È pure importante rispettare il dirittodel bambino ad avere i suoi senti-menti. Una preoccupazione frequen-te dell’adulto di fronte ad un bambi-

no turbato o in preda al dolore, comepotrebbe essere ad esempio la per-dita di una persona cara o anche diun animale a cui il bambino stesso èmolto legato, è quella di ‘proteggerlo’,nel senso di fare il possibile per ri-sparmiargli il dolore. Spesso si trattadi adulti buoni e pieni di dedizione, iquali si sentono interiormente scossio anche sconvolti da ogni normalemanifestazione di sconforto, di dolo-re o di ansietà da parte dei bambini eil primo impulso è quello di accorrere

prontamente in loro aiuto e ‘fare’qualcosa per impedire che soffrano(offrire, ad esempio, qualche oggettoparticolare, una distrazione o un di-vertimento che possa fornire un im-mediato sollievo). Tentano di educareil bambino a non piangere, a non fareattenzione al dolore e pensare subitoa qualcosa d’altro. Probabilmente

qualsiasi adulto ricorrequalche volta a questatattica per aiutare unbambino ad affrontareun’esperienza spiacevole– e ciò di per sé non pre-giudica il futuro sviluppodella personalità infantile;quando, però, questa mo-dalità educativa viene ap-plicata in modo generaliz-zato e sistematico, allorasi possono creare seriproblemi al bambino stes-

so. Freud afferma che “chi è capacedi soffrire può ancora crescere”.L’amore per un bambino si chiama, aquesto punto, rispetto per il suo di-ritto ad avere dei sentimenti. S. Frai-berg4 propone a questo riguardo con-siderazioni di grande saggezza chemeritano di essere riprese. Ella sot-tolinea, ad esempio, che nei nostrisforzi per proteggere i bambini dalleemozioni dolorose potremmo privarlidei mezzi migliori di cui dispongonoper dominare le esperienze penose.

Offrire al bambino la possibilitàdi verbalizzare e condividere ilsuo dolore è spesso la primamodalità con cui si può andare inaiuto al bambino che soffre.

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Supponiamo che ad un bambino siamorto un animaletto domestico a cuilui era molto affezionato (ad esempioun criceto) e il genitore tenta di im-pedire al figlio di soffrire cercandomagari di sostituire subito l’anima-letto. Ci si può chiedere con quale di-ritto l’adulto può privare il bambinodei suoi sentimenti: perché il bambi-no non deve avere diritto al suo dolo-re per la morte del suo animalettotanto amato? Perché non deve pian-gere e perché non deve provare lapienezza di dolore che gli deriva dal-la scoperta che la morte èuna fine e che il suo anima-letto preferito non c’è più? Il‘lutto’, anche se si tratta so-lo di un criceto, è necessa-rio per riuscire a superaregli effetti della morte. Unbambino a cui non sonoconsentiti sentimenti di do-lore per un suo animalettotanto adorato o per unaperdita più importante ècostretto a ripiegare sumezzi di difesa più primiti-vi, per esempio a negare il dolore del-la perdita e a non provare nulla. Seun bambino venisse allevato conse-guentemente su questa base, privatodella possibilità di avere esperienzadel dolore, si impoverirebbe comepersona e potrebbe sviluppare unavita emotiva priva di qualità o di pro-

fondità. Dobbiamo rispettare il dirit-to del bambino a sentire, rispetto al-la morte, con pienezza e profonditàdi sentimento. Per stare ancora all’e-sempio citato, anche la scelta di cor-rere subito in un negozio di animaliper cercarvi un sostituto del cricetomorto potrebbe essere una svaluta-zione dell’affetto del bambino; sa-rebbe come dirgli di non addolorarsipoiché ogni animaletto può esseresostituibile e lui può amare l’uno ol’altro indifferentemente. Se tutte lecose amate vengono prontamente

sostituite, che cosa impara il bambi-no riguardo all’amore e alla morte?Offrire al bambino la possibilità diverbalizzare e condividere il suo do-lore è spesso la prima – e in diversicasi è già di per sé sufficiente! – mo-dalità con cui si può andare in aiutoal bambino che soffre. Ciò presuppo-

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ne una persona che sappia ascolta-re...: abilità alquanto rara negli edu-catori. L’autentico ascolto empaticorichiede sia la capacità di rivolgerel’attenzione al messaggio che il sog-getto vuole comunicarci (tenendosotto controllo l’impulso a fare qual-cosa, a consolare, a generalizzare, aincoraggiare...) sia la capacità di ri-

correre ad espressioni verbali – la ‘ri-sposta riflesso’ (Rogers) – che meta-comunicano ascolto e comprensionereali di ciò che l’altro vuole comuni-care.Il dolore sarà sopportato con mag-giore forza dal bambino se avremocreato in lui alcuni indispensabili at-teggiamenti positivi come la fiduciain se stesso, la gioia di vivere, la fidu-cia nella vita e nel mondo, una sicu-rezza emozionale di fondo. Ciò di-pende fondamentalmente dall’aver

sperimentato protezione, fiducia,amore accogliente da parte dei geni-tori e di altri adulti significativi, che aloro volta sanno affrontare la vitacon animo fiducioso e sicuro. “I bam-bini sani non hanno paura della vitase i loro genitori hanno abbastanzaintegrità da non temere la morte” (E.Erikson).

In alcune situazioni di sof-ferenza sperimentate dalbambino (ad esempio unadisgrazia famigliare) puòessere possibile e oppor-tuno, per chi crede, ricor-rere esplicitamente a con-siderazioni religiose. È im-portante, in questo caso,che i riferimenti che sipossono fare alla religionesiano sobri, rispettosi del-la verità rivelata e soprat-tutto autentici (dire ciò di

cui si è veramente convinti, non in-dulgere a luoghi comuni e ad espres-sioni retoriche e vuote).Una modalità a cui gli adulti ricorro-no quando si trovano di fronte unbambino che soffre è quella di cerca-re di ‘distrarlo’ (offrendogli oggetti,cercando di farlo divertire, coccolan-dolo, ricorrendo alla presenza di psi-cologi o clown...). Ciò può essere uti-le sia quando si tratta di sofferenzedi breve durata (ad esempio, unbambino che cade e si fa male), sia

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quando si presentano situazioni checausano sofferenze improvvise emolto intense (ad esempio, disgrazieo calamità naturali). In casi simili,“distrarre’ il bambino può avere il si-gnificato di ‘allargare il suo campopercettivo’ e fargli vedere la situazio-ne in modo diverso, oppure può ser-vire a ‘contenere’ e limitare gli effettidi un impatto violento che la situa-zione dolorosa può avere sul bambi-no. In ogni caso, comunque, questamodalità di intervento non deve pre-scindere dalle osservazioni fatteprecedentemente, altrimenti ancorauna volta si corre il rischio di manca-re di rispetto al bambino; in secondoluogo – e ciò vale soprattutto in si-tuazioni di traumi violenti ed improv-visi –, non si deve dimenticare chequesta modalità di intervento rap-presenta soltanto una ‘prima’ tempo-ranea forma di aiuto, a cui dovrà se-guire nelle fasi successive un’atten-zione adeguata che si esplicherà informe diverse a seconda delle situa-zioni.Infine, sarà necessario metterci difronte al dolore – anche quello deibambini che, vale pena di richiamare,non deve essere minimizzato – conmolto rispetto, discrezione, delica-tezza. Anzi, pur non negando l’effica-cia e l’importanza della parola, si de-ve dire che in certe situazioni la sof-ferenza rende muti, frena il flusso

delle parole, perché nessuna parolaumana può colmare l’abisso che ildolore ci spalanca davanti. Partendoda questa considerazione, D. Bon-hoeffer afferma:“Di fronte alla soffe-renza mi sembra più saggio fare si-lenzio e non tentare di risolvere quel-lo che è senza soluzione”. Non è in-differente, per un educatore, farequesto rilievo: il rendersi conto, in-fatti, che non si è sempre e comun-que ‘obbligati’ a fare immediatamen-te qualcosa o a trovare una soluzioneimmediata al dolore dell’altro rendel’educatore più sereno e rilassato. Incerti casi, l’aiuto migliore che l’adultopuò offrire ad un bambino che si tro-va ad affrontare un grande dolore (adesempio un evento tragico che scon-volge la vita dei suoi cari) può essereun abbraccio tenero ed affettuosoaccompagnato da poche parole chedicano la fiducia di sentirsi semprenelle mani e nel cuore di Dio.

Il bambino e la morteNella scuola dell’infanzia si dedicaabitualmente tempo e attenzione altema della vita: si spiega ai bambinicome nasce la vita, come essi erano‘vicini’ alla mamma prima di nascere,si invitano a portare fotografie e fil-mati che ritraggono i primi momentidella loro vita, si fa notare loro unamamma incinta che aspetta un bam-

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bino... Non c’è, invece, altrettanta at-tenzione al tema della morte – anzi,in qualche caso, in base a testimo-nianze esplicite delle insegnanti, so-no i genitori stessi che le ‘sconsiglia-no’ di affrontare questo tema -, an-che se già nei primi anni di vita ilbambino ha più volte occasione difarne esperienza. Egli, infatti, ne

sente parlare, vede scene di mortealla televisione, può essere diretta-mente coinvolto in prima personanella morte di persone care (fami-gliari o parenti), assiste alla morte dianimaletti a lui particolarmente cari.Se educare significa introdurre pro-gressivamente il bambino nella real-tà, in tutti i suoi aspetti, allora è faci-le comprendere come non sia giusti-ficato sul piano pedagogico il tenta-tivo di quegli adulti che vogliono, inqualche modo, ‘nascondere’ al bam-

bino la realtà della morte – ammes-so che ciò sia realmente possibile. Inquesti casi è molto probabile che ilbambino colga immediatamentequesto metamessaggio: ‘è meglioche non chieda niente ai miei genito-ri a proposito della morte, perché aloro non fa piacere’.Le domande che l’educatore si pone

di fronte al bambino chevive l’esperienza dellamorte sono diverse: è op-portuno parlare dellamorte al bambino (in fa-miglia, a scuola)? È op-portuno permettere che ilbambino sia precocemen-te ‘esposto’ a scene o si-tuazioni di morte (adesempio. vedere la perso-na cara morta)? Qual è lacapacità del bambino dicomprendere il significato

della morte? Quali domande nasco-no nel bambino di fronte alla morte?Quali modalità adottare per esseredi aiuto ad un bambino che speri-menta l’esperienza della morte?Quali conseguenze possono deter-minarsi in un bambino al quale, du-rante i suoi primi anni di vita, è venu-ta a mancare una persona cara? Lerisposte a queste e ad altre eventua-li domande non sono certamentesemplici: troppi fattori sono in giocoe troppo diverse sono le situazioni

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alle quali ci si potrebbe riferire. Ci sipuò limitare, quindi, ad alcune sem-plici considerazioni di caratterepiuttosto generale.Quali possono essere le conseguen-ze psicologiche in un bambino chesperimenta la morte di una personacara (in particolare un genitore)? Ri-prendo da J. Viorst5 alcune conside-razioni assai utili per tentare di tro-vare qualche risposta a questo in-terrogativo. Il prezzo della separa-zione da figure significative durantel’infanzia (in particolare la figuramaterna) può essere moltoalto. Le perdite nella primainfanzia ci sensibilizzanoverso le perdite che incon-treremo in seguito. E così,più avanti nella vita, la no-stra risposta ad un lutto infamiglia, a un divorzio, allaperdita del lavoro, può es-sere una grave depressio-ne – la risposta di quelbambino disperato, arrab-biato e impotente. Soprat-tutto si potrebbero avereconseguenze assai negative se ilbambino dovesse ‘interpretare’ laperdita (morte) della persona caracome un abbandono in quanto è cat-tivo e non merita l’amore (si è sentitodire, ad esempio, dal genitore: ‘mi faimorire con i tuoi capricci e le tuedisobbedienze, sei proprio cattivo’).

La risposta potrebbero essere senti-menti di inutilità e/o di colpa e/o diassoluto terrore e/o di rabbia. “Tuttiquelli che perdono una madre o unpadre nella prima infanzia sono daallora tormentati dalla disperazione,rovinati per sempre? Tutte le perditepiù importanti avvenute nell’infanziaprovocano malattia? La risposta ècertamente no, nonostante i moltistudi che mostrano che il rischio èpiù alto. I bambini che per natura so-no robusti lo saranno anche di frontealla perdita. Ma anche i bambini più

fragili possono venire aiutati daadulti che li sostengono nell’accet-tare la perdita attraverso un luttocostruttivo”6.Un tema importante che va conside-rato a questo punto è quello del luttoe della eventuale capacità del bam-bino di sperimentarlo. Il lutto è il pro-

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cesso di adattamento alle perditedella vita. “Viviamo perdendo e ab-bandonando e lasciando andare. Epresto, o tardi, con maggiore o minordolore, tutti noi dobbiamo riconosce-re che la perdita è veramente ‘unacondizione che dura per tutta la vi-ta’... Il modo con cui manifestiamo illutto e il modo in cui si avvia, se si av-

via, al suo esaurimento, dipenderàdal modo in cui percepiamo le perdi-te, dipenderà dalla nostra età e dal-l’età di quelli che piangiamo, dipen-derà da quanto noi eravamo prepa-rati, dipenderà dal modo in cui lorohanno dovuto soccombere alla mor-te, dipenderà dalle nostre risorse in-terne e dall’aiuto esterno, e certa-mente dipenderà anche dalla nostrastoria precedente – dalla nostra sto-ria con la persona morta e dalla no-stra storia personale di amore e di

perdita”7. Uno dei problemi più con-troversi tra gli esperti è se il bambinosia capace di lutto oppure no. Viorst,in una nota del testo appena citato8,afferma: “Alcuni (come MelanieKlein) sostengono che anche i bam-bini possono elaborare il lutto, men-tre altri (Martha Wolfenstein) so-stengono che il lutto non è possibile

prima dell’adolescenza.Parte della confusione haa che fare con il modo didefinire il lutto. Ma se lut-to non significa solo la ca-pacità di provare doloreper la morte di qualcunoche si ama, ma anche lacapacità di confrontarsicon la perdita e di soste-nerne il dolore (e gli altrisentimenti) e poi, nel tem-po, staccarsi interiormen-te dallo scomparso, sem-

bra verosimile che il bambino trovipiù difficile dell’adulto elaborare illutto e che abbia, nell’occasione,l’aiuto dei grandi”.Come avviene di norma per altre si-tuazioni dolorose, anche di fronte al-la morte il bambino non ha tanto bi-sogno di ‘spiegazioni’ (anche se più diun’educatrice di scuola dell’infanziapone la domanda: ‘come spiegare lamorte ai bambini?’...), quanto piutto-sto di sperimentare una presenzache non lo faccia sentire solo e che lo

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aiuti a vivere questa esperienza dellaperdita senza cadere nell’angoscia econ un atteggiamento di accettazio-ne. Ancora una volta, la domanda chedeve porsi l’educatore non è: ‘comespiegare la morte al bambino?’ o:‘che cosa si deve dirgli?’, quanto piut-tosto: ‘a quali condizioni si può stareaccanto ad un bambino che si trovaad affrontare l’esperienza della mor-te?’. Diverse considerazioni fatte pre-cedentemente possono essere quiriprese ed approfondite. In particola-re, si può aggiungere che ciò di cui unbambino ha bisogno – e, volendo es-sere realisti, si deve dire che non ègeneralmente facile – è un buon rap-porto con la famiglia prima dellamorte; una persona fidata che si oc-cupi affettuosamente di lui dopo lamorte; informazioni pronte ed accu-rate sulla morte, a mano a mano cheil bambino mostra di volere sapere;un incoraggiamento ad unirsi al do-lore famigliare. Questi atteggiamentipossono essere molto importanti,anche se non si deve dimenticareche i bambini vivono sia nel mondosia dentro la loro mente, per cui pos-sono elaborare sentimenti e consi-derazioni che l’adulto ben difficil-mente potrebbe immaginare. In que-sto senso, “non tutti i bambini amati,e trattati con grande comprensione,invitati a prendere il lutto possonofare quel che va fatto per lasciare

che la persona defunta se ne vada, epotrebbero non farlo fino ad un’etàadulta, e potrebbero non farlo senzal’aiuto di un professionista. Ma a vol-te succede. Nella scena descritta quisotto, la dottoressa Raphael suggeri-sce il tipo di risposta che può aiutareun bambino a prendere il lutto e aportarlo a compimento. “Jessica ave-va cinque anni. Mostrò alla mammache cosa aveva dipinto. C’erano nu-vole nere, alberi cupi e grosse mac-chie rosse. ‘Accipicchia’, le disse lamamma, ‘raccontami un po’ che cosasono Jess.’. Jessica indicò le macchierosse. ‘È sangue’, disse. ‘E queste so-no nuvole’. ‘Oh’, replicò la madre. ‘Ve-di’, continuò Jessica, ‘gli alberi sonomolto tristi. Le nuvole sono nere. An-che loro sono tristi’. ‘Perché sono tri-sti?’, chiese la madre. ‘Sono tristi per-ché il loro papà è morto’, disse Jessi-ca, mentre le lacrime le scendevanogiù per le guance. ‘Sono tristi come losiamo noi da quando il papà è morto’,disse sua madre, e la strinse a sé, einsieme piansero”9. Come già sottoli-neato, una perdita subita nell’infan-zia può renderci difficile affrontaregli incontri futuri con la separazionee la perdita. Nell’episodio appena ci-tato, diventano decisivi gli atteggia-menti della madre di fronte alla mor-te (accettazione, fiducia, speranza,smarrimento, rassegnazione, dispe-razione, angoscia...), i quali vengono

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metacomunicati sia attraverso le sueparole che i comportamenti non ver-bali – atteggiamenti che si fondanosui valori (compresi naturalmenteanche quelli religiosi) che stanno allabase del suo modo di guardare allavita e alla realtà in genere(‘la filoso-fia di vita’).

L’adulto di fronte al dolore e allamorteIl tema che stiamo affrontando è, co-me facilmente si può desumere daquanto fin qui è stato detto, un ‘temadi confine’ e interessa non solo lapsicologia e la pedagogia, ma anchela filosofia e la religione. Da questopunto di vista, la riflessione sarebbeincompleta se non si facesse almenoun accenno, se pure molto sobrio,per inquadrare le considerazioni fat-te in un orizzonte più vasto che ri-guarda il problema del senso: il sen-

so dell’esistenza umana. Natural-mente, in questa riflessione ci simuove all’interno di un orizzonte va-loriale cristiano.Il tema della sofferenza e della mor-te rimandano inevitabilmente al pro-blema del senso: la sofferenza ci ap-pare come qualcosa di non giustifi-

cato, non logico; di frontealla morte ci ribelliamo,perché sentiamo di esserefatti per la vita. È inevita-bile, dunque, porci le do-mande fondamentali cheriguardano il senso gene-rale dell’esistenza, il futu-ro, la morte, l’aldilà, Dio.La pedagogia contempo-ranea è portata ad ignora-re il problema del senso,mentre quella che si ispiraa valori cristiani lo consi-

dera centrale. Si aggiunga a ciò cheuno degli aspetti qualificanti e speci-fici del Progetto educativo dellascuola di ispirazione cristiana è pro-prio l’attenzione particolare riservataal tema della ‘ricerca del senso’10.L’educatore cristiano, di fronte allasofferenza che può colpire in modoviolento anche l’infanzia, come difronte alla sofferenza in generale -che tanta parte ha nell’esistenzaumana -, alla fine si rivolge a Dio, Lointerpella come già fece Giobbe,guarda il volto di Gesù, perché Dio ha

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il volto di Gesù. Quale ‘risposta’ gliviene data?Anzitutto il Dio che risponde all’uomoche soffre è un Dio che a sua voltasoffre, è un Dio crocefisso. È una pri-ma ‘risposta’, silenziosa ma misterio-samente eloquente.In secondo luogo, Gesù non apparemai come Colui che ama la sofferen-za e gode di essa. Al contrario, sicommuove e piange di fronte allepersone che soffrono, esercita laSua misericordia guarendo personeche soffrono, chiede al Padre che –se è possibile – allontanida Lui il calice del dolore.In terzo luogo c’è in Lui unatteggiamento di accetta-zione e di obbedienza difronte alla sofferenza: èpronto a fare la volontà mi-steriosa del Padre secondola quale “era necessarioche il Figlio dell’uomo sof-frisse”.Infine Egli vive la sofferen-za come via alla gloria. Lacroce rappresenta il pas-saggio buio e misterioso verso la lu-ce della glorificazione.Naturalmente tutte queste conside-razioni non intendono ‘spiegare’ inmodo chiaro e convincente il proble-ma della sofferenza. Afferma R.Sauer: “Per quanto la fede nel ‘Diocrocifisso’ possa avere per noi un ef-

fetto consolante e confortante, essanon può tuttavia impedire l’ango-scioso interrogativo sulla necessitàdi questa lunga e gravosa via traver-sa, lastricata di immensi sacrifici.Non possiamo evitare l’interrogati-vo...: ‘anche se la lacerazione è desti-nata a rimarginarsi, perché essa de-ve aver luogo?’... Noi non sappiamorispondere e questo ci angoscia. An-che il grande teologo R. Guardini si èconfrontato con questa domandasenza trovare una risposta soddisfa-cente. Ormai in punto di morte, egli

dichiarò al suo amico W. Dirks:‘Quando mi presenterò all’angelo delgiudizio, sarò da lui interrogato e glidovrò rispondere; ma poi gli farò, amia volta, una domanda: Dio, perchéqueste terribili vie traverse?’ ”11.A questo punto potrebbe sorgere ladomanda: cosa dice un credente, a

Egli vive la sofferenza come viaalla gloria. La crocerappresenta il passaggio buio emisterioso verso la luce dellaglorificazione.

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proposito della sofferenza e dellamorte, a chi non crede in Dio? Il card.C.M. Martini, abituato a dialogarecon i non credenti, offre lo spunto peruna risposta rispettosa e capace dispingere ciascuno verso la verità:“Avrei molte domande da porgli. A co-sa attribuisce importanza? Quali so-no i suoi ideali? Quali valori ha? Èquesto che vorrei scoprire. Non in-tendo convincerlo di nulla, ma solodirgli che deve provare a vivere senzafede in Dio e, nello stesso tempo, ri-flettere su se stesso. Forse in alcuniperiodi della vita avvertirà una spe-ranza, si accorgerà di cosa dà sensoe gioia alla vita. Gli auguro di dialoga-re con persone in cerca della fede econ credenti. Forse Dio gli donerà lagrazia di riconoscere che esiste”12.Si deve concordare con J. Guitton

quando afferma che l’assurdo e il mi-stero sono le due possibili soluzionidell’enigma che l’esperienza della vi-ta ci propone. “Assurdo e mistero so-no i due poli opposti tra i quali oscillail pensiero. Quando esamino mestesso nel profondo, ascolto questadoppia voce. Ma nel perpetuo motopendolare dell’oscillazione, l’assurdi-tà dell’assurdo mi conduce in dire-zione del mistero”13.In definitiva, anche di fronte al mi-stero profondo (vedi le parole di Gio-vanni Paolo II citate all’inizio) dellasofferenza e della morte il bisognocosì umano di voler sapere e spiega-re deve cedere il passo alla contem-plazione e all’ascolto. E anche allapreghiera.

Aldo Basso

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1 Jean Guitton, Lettere aperte, Milano, Mondadori, 1995, p. 38.2 Per s. Tommaso la pazienza è un necessario elemento integrante della virtù cardi-

nale della fortezza. “Non è paziente – afferma il santo – chi non fugge il male, machi non si lascia trasportare per questo ad una tristezza disordinata” (II, IIae, 136, 4ad 2). J. Pieper, sulla scorta del pensiero di s. Tommaso, così si esprime: “Esser pa-ziente significa non lasciarsi togliere la serenità e la lucidità dell’anima dalle feriteche nascono dalla realizzazione del bene. La pazienza consiste... precisamente edespressamente nell’escludere la tristezza e lo smarrimento del cuore [cf s. Tomma-so, I, IIae, 66, 4 ad 2; II, IIae, 128, 1]. Essa fa sì che la tristezza non spezzi lo spiritodell’uomo e che egli non perda la sua grandezza [cf s. Tommaso, II, IIae, 128, 1]: “nefrangatur animus per tristitiam et decidat a sua magnitudine)” (Sulla fortezza, Bre-scia, Morcelliana, 1956, p. 37).

3 Conferenza Episcopale Italiana, “Catechismo della Conferenza Episcopale Italianaper la vita cristiana. 4.1/ Lasciate che i bambini vengano a me”, n. 123. La denomi-nazione Catechismo dei bambini è ormai di uso corrente ed è utilizzata dallo stes-so card. Ruini nell’Introduzione (p. 4).

4 Selma Fraiberg, Gli anni magici, Roma, Armando, 1972, pp. 332-333.5 Judith Viorst, Distacchi, Milano, edizioni Frassinelli, 1987.6 Judith Viorst, Ibidem, p. 259.7 Judith Viorst, Ibidem, pp. 241-242.8 p. 396.9 Judith Viorst, Ibidem, pp. 259-260.10 Conferenza Episcopale Italiana, La scuola cattolica oggi in Italia, n.26.11 R. Sauer, I bambini interrogano sulla sofferenza, Torino, LDC, 1991, p. 53.12 C.M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme, Milano, Mondadori, 2008, p. 9.13 J. Guitton, L’assurdo e il mistero

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Buone Vacanze

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periodico delle

suore discepole di gesù eucaristico

anno LII - supplemento al nnnn .... 2222 ---- 3333 - 2009

Poste italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma

Non una mattina senza preghiera.

Non un lavoro senza una buona intenzione.

Non una gioia senza uno sguardo di riconoscenza a Dio.

Non una buona azione senza umiltà.

Non una offesa senza indulgente perdono.

Non una riunione tra parenti, amici,

colleghi senza un ricordo della presenza di Dio.

Non una colpa osservata negli altri senza un giudizio attenuante.

Non una sofferenza senza conforto.

Non un povero senza aiuto

Non un torto senza sollecita riparazione.

Non un proposito senza fedele esecuzione.

Non una sera senza esame di coscienza.

Non un giorno senza meditazione

Non una settimana senza Ora di adorazione.

Omnia et in omnibus Jesus Christus.don Felice Canelli