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L’alimentazione della bovina da latte
G. Matteo Crovetto
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano
La selezione genetica da un lato e le sempre migliori tecniche alimentari dall’altro, frutto di
conoscenze sempre più approfondite in campo nutrizionale, sono stati i due fattori chiave dell’enorme
aumento produttivo e di efficienza registratosi nelle ultime decadi nell’allevamento bovino da latte
intensivo in Italia: ormai la media produttiva della Frisona in Lombardia è attorno ai 32 litri di latte
al giorno, con produzioni medie annue attorno alle 10 tonnellate di latte per capo. In diversi
allevamenti però la produzione media è superiore ai 40 litri al giorno (13 ton/anno). Per ottenere tali
performance produttive, oltre agli aspetti genetici, all’adeguatezza dei locali e delle strutture, alla cura
della tecnica di mungitura e all’attenzione agli aspetti riproduttivi e sanitari, è fondamentale applicare
piani alimentari adeguati. L’importanza di un’adeguata alimentazione va letta anche in chiave
economica, visto che essa incide per oltre il 60% sul costo di produzione del latte.
Ingestione d’acqua e di sostanza secca
L’acqua è il nutriente più importante per i bovini da latte, necessaria per tutti i processi vitali. Essa
costituisce dal 56 all’81% del peso corporeo dei bovini da latte e il 65% circa nella bovina in lattazione
e in asciutta. Mediamente, in una bovina da 33 kg di latte al giorno, la perdita d’acqua con il latte
rappresenta il 30% del totale, quella con le feci il 33% e quella con le urine il 18%. Le restanti perdite
sono dovute a sudore, saliva ed evaporazione.
Da quanto detto è evidente l’elevato fabbisogno idrico di una bovina, soprattutto se in lattazione:
mediamente 100 litri d’acqua al giorno per una produzione di 30 kg di latte/giorno. Ovviamente le
condizioni ambientali (temperatura e umidità in primis) condizionano fortemente tale fabbisogno. La
maggior parte di acqua la bovina la ottiene come acqua libera e come acqua contenuta negli alimenti,
soprattutto se rappresentati da foraggi (o sottoprodotti industriali) freschi o insilati. Una minima parte
è poi ricavata dal metabolismo dei nutrienti nell’organismo stesso (acqua metabolica). Mediamente
una bovina da 30-35 kg latte/giorno berrà circa 2,5-3,0 kg acqua/kg di latte, ovviamente con valori
più bassi in inverno e più alti in estate. Per diete unifeed umide (con insilati) aventi oltre il 50% di
SS, la bovina ricava l’acqua di cui abbisogna per l’80% circa dall’acqua di bevanda, ma l’ingestione
di acqua libera cala bruscamente (-33 kg/giorno) con diete al 30% di SS e diventa addirittura meno
del 40% del fabbisogno d’acqua totale per bovine al pascolo.
Da quanto detto appare quindi fondamentale che i bovini da latte e soprattutto le bovine in lattazione
abbiano sempre a disposizione acqua da bere a volontà, soprattutto subito dopo la mungitura. A tal
proposito sono preferibili i grandi abbeveratoi a vasca piuttosto che quelli a tazza, spesso mal
funzionanti o intasati di foraggio e quindi in grado di erogare flussi d’acqua limitati.
La sostanza secca – Per produrre molto latte la vacca deve mangiare molto, non vi è discussione al
riguardo. La bovina può solo temporaneamente, a inizio lattazione, sopperire a una ridotta ingestione
alimentare attingendo alle proprie risorse di riserva (grasso e tessuto muscolare), ma in modo limitato
e senza esagerare. Un forte calo della condizione corporea nei primi mesi di lattazione, per es. un
indice di condizione corporea (body condition score, BCS) che passi da 3,8 a 2,5, comporterebbe
forme patologiche cliniche o subcliniche che comprometterebbero la ripresa dell’attività ovarica, oltre
che la stessa produzione di latte.
Negli animali l’ingestione di SS è regolata soprattutto da due fattori: un fattore fisiologico e un fattore
fisico. In base al primo l’ingestione tende a diminuire all’aumentare della glicemia, cioè del contenuto
di glucosio nel sangue. Alimenti ricchi di amido, che a causa della elevata fermentescibilità e velocità
di digestione e assorbimento (3-5 ore), aumentano rapidamente la glicemia e il senso di sazietà,
tendono a diminuire il livello di ingestione; al contrario, alimenti ricchi di fibra (es. i foraggi)
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impiegheranno molto più tempo (giorni) a rilasciare la loro energia e ad aumentare la glicemia e
quindi l’animale tenderà ad ingerirne quantità maggiori per soddisfare il proprio appetito.
Nei ruminanti però prevale il controllo di tipo fisico, legato all’ingombro che un alimento o razione
determina a livello del digerente e soprattutto del rumine. Un volume eccessivo di alimento,
specialmente se a lenta fermentescibilità, riempie il rumine e deprime l’ingestione alimentare. Basti
pensare alla differenza di volume tra 10 kg di farina di mais e 10 kg di paglia lunga!
I due fattori coesistono nell’animale e la massima ingestione di SS si verifica in genere con razioni
che abbiano, sulla sostanza secca, il 30-33% di NDF proveniente da alimenti (concentrati in genere e
foraggi trinciati) a granulometria inferiore ai 2-3 cm. (fig. 1).
Fig.1 – Ingestione di sostanza secca (in % del
peso vivo) in funzione del contenuto in NDF
della dieta. ---- curva di regressione determinata
sperimentalmente (Mertens, 1986).
Tab.1 – Sostanza secca ingerita (SSI=kg/d) in funzione del peso vivo e della produzione di latte
corretto al 4% di grasso. Dati riferiti a bovine alla 20a settimana di lattazione.
Per massimizzare l’ingestione alimentare la bovina dev’essere in buona salute (senza dismetabolie
anche subcliniche e problemi podali), in un ambiente confortevole con temperatura e umidità non
troppo elevate, avere abbastanza spazio a disposizione, cuccette comode dove riposarsi, la possibilità
di accedere sempre alla corsia di alimentazione e agli abbeveratoi. Pertanto, per una stima accurata
dell’ingestione di SS, bisogna tenere in considerazione molti fattori: la taglia dell’animale, il suo
livello produttivo quanti/qualitativo, lo stadio di lattazione, le condizioni climatico/ambientali, ecc.
Tutto ciò è calcolato nei principali software di razionamento oggi disponibili sul mercato.
La formula proposta dal NRC (2001) per il calcolo della SS ingerita da bovine in allevamenti intensivi
alimentate con tecnica unifeed, è:
SSI (kg/d) = (0,372 FCM + 0,0968 PV0,75) (1-e(-0,192 (WOL + 3,67)))
dove FCM=latte corretto al 4% di grasso (kg/d) e PV=peso vivo (kg)
FCM=kg latte x (0,4 + 0,15 x % di grasso del latte)
FCM (kg/d)
PV kg 20 25 30 35 40 45 50
500 17,6 19,4 21,2 23,0 24,9 26,7 28,5
550 18,3 20,1 22,0 23,8 25,6 27,5 29,3
600 19,1 20,9 22,7 24,5 26,4 28,2 30,0
650 19,8 21,6 23,4 25,3 27,1 28,9 30,8
700 20,5 22,3 24,2 26,0 27,8 29,6 31,5
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E=numero di Eulero (2,718…)
WOL=week of lactation (settimana di lattazione)
Rispetto alle ingestioni ricavabili e riportate in tabella 1, l’ingestione effettiva sarà in realtà inferiore
nelle prime fasi di lattazione (-37% nelle prime 2 settimane e -25% nella 3a e 4a settimana dopo il
parto) quando la bovina deve attingere alle riserve adipose per sostenere la produzione lattea a fronte
di una capacità di ingestione ancora bassa, anche se in ripresa. Il livello di ingestione alimentare
aumenta poi gradualmente nel corso della lattazione portandosi a -16% del livello massimo al secondo
mese di lattazione, -7% al terzo, -3% al quarto, fino a raggiungere il massimo previsto dal 5° mese di
lattazione in poi. I valori di tabella 1 rispecchiano la realtà di stalle ben gestite in termini di
management in generale e di alimentazione in particolare.
Poiché è noto che a parità di taglia e di livello produttivo di latte esiste una grande variabilità
individuale nell’ingestione di SS, è stato sviluppato un metodo interessante per valutare gli animali
più efficienti, e quindi impiegarli per la selezione genetica: il Residual Feed Intake (RFI), dato dalla
differenza tra l’ingestione effettiva di SS e quella stimata in base alla taglia (meglio: al peso
metabolico, PM=PV0,75) e al livello produttivo dell’animale. Nonostante l’ereditabilità del carattere
RFI ai fini della produzione lattea sia piuttosto contenuta (15-18%) e inferiore a quella per la
produzione di carne, l’impiego di animali con bassi RFI tende ad aumentare la sostenibilità economica
ed ambientale (per es. meno metano emesso/kg latte) dell’allevamento.
Caratteristiche alimentari e nutritive della dieta
Dal punto di vista nutrizionale molti dei programmi di razionamento oggi disponibili (per es. CNCPS,
CPM Dairy, NDS Light e Professional, Supermix, Plurimix) consentono un approccio “dinamico”
alla formulazione della dieta più adatta all’animale in funzione di molti parametri ambientali, della
tipologia dell’animale, della sua produzione lattea e degli alimenti disponibili (foraggi e concentrati).
Esamineremo, a titolo d’esempio, alcune razioni per vacche in lattazione, in asciutta, in transizione e
per il bestiame da rimonta. Tuttavia, prima di un commento specifico di tali razioni, riteniamo utile
fare alcune considerazioni generali di approccio al razionamento stesso e ai piani alimentari del
bestiame da latte.
In estrema sintesi e semplificazione, sotto il profilo alimentare la razione deve avere mediamente le
caratteristiche riportate in tabella 2.
Tab. 2 – Principali caratteristiche nutritive delle razioni per bovine da latte.
NB: I dati riportati sono da intendersi come valori medi e indicativi.
Caratteristiche nutritive razioni per bovini da latte
<20 20-30 30-40 >40 ASC. TRANSIZ. 1-3 sett. Manzette Manze Manze
kg latte kg latte kg latte kg latte (preparto) lattaz. (3-7 mesi) 8-15 mesi gravide
PG (% s.s.) 13-14 14-15 15-16 16-17 11-12 13-14 17-18 15-16 14-15 13-14
EE (% s.s.) 3,0 3,5 4,0 4,5 2,5 3,0 3,5 3,5 3,0 2,5
NDF (% s.s.) 40-45 35-40 32-35 30-32 60-70 45-50 35-40 40-45 40-50 50-60
peNDF (% s.s.) 33-37 28-32 24-28 22-25 50-60 40-45 25-30 30-35 37-42 45-50
Amido (% s.s.) 15-20 20-25 25-28 28-30 5-10 15-20 20-25 20-25 15-20 10-15
NFC (% s.s.) 30-34 34-37 37-40 40-43 15-20 28-32 35-38 28-32 26-30 22-26
NEl (Mcal/kg SS) 1,36 1,50 1,62 1,70 1,19 1,45 1,53 1,53 1,36 1,28
UFL/kg SS 0,80 0,88 0,95 1,00 0,70 0,85 0,90 0,90 0,80 0,75
Ca (% s.s.) 0,60 0,65 0,70 0,75 0,40 0,45 0,70 0,70 0,50 0,45
P (% s.s.) 0,32 0,34 0,36 0,38 0,30 0,30 0,34 0,38 0,33 0,30
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Fibra e amido
Particolare attenzione va data al tenore in fibra neutro detersa (neutral detergent fibre, NDF) e alla
sua “struttura”: almeno 1/3 dell’NDF è bene sia a fibra “lunga e strutturata” (NDF-FLS), cioè
apportata soprattutto da foraggi trinciati a non meno di 2 cm, anche se pubblicazioni recenti indicano
4 mm come il valore minimo di lunghezza delle particelle alimentari per considerare la fibra come
“fisicamente effettiva” (physically effective NDF, peNDF). In tal modo si garantirà il buon
funzionamento del rumine e dell’apparato digerente in generale, limitando però l’effetto “ingombro”
che i foraggi lunghi determinano nel rumine, con conseguente minor ingestione alimentare da parte
della bovina, come prima ricordato.
Un altro aspetto essenziale e complementare al tenore in fibra è il contenuto di amido, il principale
dei carboidrati non fibrosi (non fibrous carbohydrates, NFC) che, assieme a pectine (la cosiddetta
“fibra solubile”), zuccheri e beta-glucani, costituisce la fonte di energia rapidamente disponibile per
il ruminante. Fino a produzioni giornaliere di circa 30 litri di latte il tenore in amido della dieta può
essere limitato, ma per produzioni superiori deve essere del 25-29% s.s. (pari a un contenuto di NFC
del 38-43% s.s.) per assicurare un adeguato apporto energetico. Il problema infatti, per bovine da latte
ad alta produzione, non è solo il contenuto di energia netta dell’alimento, ma anche il tempo richiesto
dai processi digestivo/metabolici affinché tale energia si renda disponibile per l’animale. In tal senso,
pur avendo un contenuto di energia netta latte (net energy for lactation, NEl) analogo (0,90 UFL/kg
SS, dove 1 unità foraggera latte=1,7 MCal o 7,113 MJ NEl), c’è una sostanziale differenza tra 1 kg
di polpe di bietola e 1 kg di farinaccio di frumento: le polpe, ricche di una fibra ottima (mediamente
55% NDF e 1% ADL s.s.), impiegheranno comunque oltre 24 ore per rilasciare completamente la
loro energia, mentre l’energia netta del farinaccio, ascrivibile soprattutto al suo contenuto di amido
(circa 40% s.s.), si renderà disponibile per la bovina nel giro di qualche ora. Tale differenza non è
fondamentale per produzioni medio/basse, ma lo diventa per produzioni alte dove alla mammella
devono arrivare in continuazione elevate quantità di nutrienti con il sangue. Non a caso l’apparato
mammario della bovina ad alta produzione è estremamente vascolarizzato e per ogni litro di latte
prodotto vi devono transitare circa 600 litri di sangue; per una produzione di 50 l di latte al giorno ciò
significa 30.000 litri di sangue che passano dalla mammella ogni giorno, pari a 1 litro di sangue ogni
3 secondi!
Il rapporto “amido/NDF” è bene si attesti su valori attorno a 0,9 per le alte produzioni, anche
nell’ottica di ridurre il più possibile l’emissione di metano (CH4, uno dei principali gas a effetto serra)
per kg di latte. Infatti è soprattutto la fermentazione delle frazioni fibrose, emicellulosa e cellulosa
non lignificate, a orientare le fermentazioni ruminali a favore dell’acido acetico con conseguente
liberazione di ioni idrogeno nel rumine. Per contro, l’amido favorisce la produzione di acido
propionico che sottrae H+ all’ambiente ruminale e alla reazione chimica di riduzione del carbonio nel
processo di metanogenesi.
I bovini sono comunque ruminanti e come tali necessitano di fibra a livello sia nutritivo sia dietetico
per un buon funzionamento dell’apparato gastro-intestinale, a partire dal rumine. Un eccesso di NFC
e di amido in particolare comprometterebbe tutto ciò favorendo l’insorgenza dell’acidosi ruminale.
Ecco il motivo per cui nella lattifera, anche se ad alta produzione, non bisogna scendere sotto il 30%
di NDF s.s. nella dieta assicurando che almeno 1/3 di essa sia apportata da foraggi a fibra lunga e
strutturata (possibilmente anche fieni, non solo insilati) per stimolare la ruminazione e la
concomitante produzione di saliva, il tampone naturale contro l’acidità ruminale. Viene così garantito
un pH medio del fluido ruminale di 6,3-6,6 che consente un ambiente idoneo allo sviluppo anche dei
microrganismi cellulosolitici, i più a rischio in caso di acidosi subclinica. Per razioni molto ricche in
insilati e in amido e con scarsa fibra è opportuno integrare la dieta con sali ad azione tampone come
il bicarbonato di sodio e il carbonato di calcio.
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Proteine
Il tenore proteico delle razioni delle bovine in lattazione è stato abbassato rispetto ad anni fa quando
non si teneva conto della proteina metabolizzabile (metabolizable protein, MP) e dell’impatto
dell’escrezione azotata a livello ambientale. I livelli di proteina grezza riportati in tabella 2 (che
corrispondono a un tenore in MP del 9-11% s.s. per bovine in lattazione tra i 20 e i 40 litri/giorno,
rispettivamente) sono conciliabili con le produzioni ad essi associati purché il contenuto di amido
nella razione sia adeguato. Infatti, mediamente il 60% circa della proteina metabolizzabile che la
bovina ottiene deriva dalla componente microbica del rumine e “solo” il 40% deriva dalla proteina
alimentare che non viene degradata nel rumine, la cosiddetta proteina bypass o proteina indegradabile
nel rumine (rumen undegradable protein, RUP). Pertanto è fondamentale che i microrganismi del
rumine (batteri e protozoi) abbiano a disposizione, oltre all’azoto, anche energia per poter crescere e
moltiplicarsi. Tale energia deriva dai carboidrati digeribili, quindi NFC (amido, pectine, zuccheri) e
NDF (emicellulose e cellulosa non lignificate).
Per produzioni di latte medio-basse una fonte di energia alimentare prevalentemente da fibra non è
un problema, ma per produzioni elevate una carenza di energia da alimenti rapidamente
fermentescibili lo sarebbe: nel rumine si avrebbe infatti un accumulo di ammoniaca (NH3) e della sua
forma solubile ione ammonio (NH4+) derivanti dal processo di proteolisi: rottura del legame peptidico
tra due aminoacidi della catena proteica delle proteine alimentari e successivo distacco del gruppo
amminico NH2 dagli aminoacidi stessi. L’ambiente riducente del rumine, ricco di ioni idrogeno (H+),
converte poi rapidamente i gruppi amminici in ammoniaca. Quest’ultima, se in quantità eccessiva,
viene in parte assorbita dalla parete ruminale ed entra in circolo sanguigno, giungendo al fegato che
la trasforma in urea. Tale conversione è fondamentale in quanto l’ammoniaca è tossica, mentre l’urea
non lo è, anche se rappresenta una molecola di scarto che va comunque eliminata, principalmente con
le urine e in piccola parte anche con il latte o riciclata tramite la saliva che la riporta nel rumine.
Vi è un’altissima correlazione tra i contenuti di urea nel sangue e nel latte e ciò semplifica il
monitoraggio nutrizionale della bovina in lattazione in quanto l’analisi dell’urea del latte di ogni
vacca è ormai fatta di routine e valori superiori ai 28-30 mg urea/100 cc di latte indicano
tendenzialmente un eccesso proteico nella razione associato magari a una carenza di energia da
substrati rapidamente fermentescibili. Ecco perché nella dieta della bovina ad alta produzione di latte
il rapporto “amido/proteina grezza” deve tendere a 1,8.
Un tenore proteico della razione contenuto favorisce anche l’efficienza di utilizzazione dell’azoto
alimentare che verrà convertito in azoto del latte in ragione del 30-35%, riducendo così la quota di
azoto escreto con feci e urine, a tutto vantaggio dell’ambiente, quindi con meno nitrati nelle acque
superficiali e del sottosuolo e ammoniaca in atmosfera.
Lipidi
Il tenore lipidico delle razioni per ruminanti, espresso in genere come “estratto etereo” (dal metodo
di analisi dei grassi, estratti dal campione con solventi organici come l’etere etilico e/o etere di
petrolio), è in genere assai contenuto, nell’ordine del 2-3% sul secco per bestiame da rimonta
(manzette e manze) e bovine in asciutta e del 3-4% s.s. per vacche in lattazione. Per queste ultime,
specie se ad alta produzione, nella prima metà della lattazione e soprattutto in condizioni di elevate
temperature e umidità ambientali che tendono a deprimere l’ingestione alimentare, si può arrivare al
5-6% di estratto etereo s.s., includendo nella razione fonti lipidiche con una naturale bassa lipolisi
ruminale o fisicamente/chimicamente rumino-protette (es. grassi idrogenati, acidi grassi salificati con
Ca, Na o K, lipidi micro-incapsulati). In natura gli erbivori si nutrono quasi esclusivamente di foraggi
aventi un basso tenore lipico (1-3% s.s.) e il rumine non è certo un ambiente idoneo alla digestione
di elevate quantità di grassi e oli.
I lipidi ingeriti con gli alimenti (costituiti soprattutto da trigliceridi e, in misura assai minore, da
fosfolipidi e glicolipidi), una volta nel rumine vanno incontro per lo più a lipolisi, venendo in buona
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parte idrolizzati, con rottura del legame estere, a glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo è rapidamente
metabolizzato ad acidi grassi volatili (AGV), poi assorbiti attraverso la parete ruminale per entrare in
circolo ematico, mentre gli acidi grassi liberi, se insaturi (quindi con presenza di doppi legami tra
atomi di carbonio), vengono per lo più idrogenati: in pratica i doppi legami esistenti tra alcuni dei
loro atomi di carbonio vengono ridotti a legami semplici, previa inserimento di ioni idrogeno (H+) di
cui il rumine è ricco, essendo un ambiente riducente. Così, per es. l’acido linolenico (C18:3) diventa
prima acido linoleico (C18:2), poi acido oleico (C18:1) e infine acido stearico (C18:0), privo di doppi
legami e quindi “saturo”.
Quanto detto è una semplificazione estrema, in quanto il metabolismo lipidico ruminale è in realtà
assai complesso e le vie metaboliche possibili sono molte. Limitiamoci a dire che i doppi legami tra
gli atomi di C vengono contati a partire dalla parte della catena dell’acido grasso dove è presente il
metile (CH3) e che la disposizione spaziale degli H+ rispetto ai due atomi di C può essere dalla stessa
parte (cis) o da parti opposte (trans). Quindi, per es. nell’acido rumenico (cis9, trans11 C18:2) il
primo doppio legame si trova tra gli atomi C 9 e C 10 a partire dal metile e avrà i due H+ dallo stesso
lato della catena, mentre il secondo doppio legame si troverà tra gli atomi C 11 e C 12 e avrà i due
H+ in posizione opposta rispetto all’asse della catena carboniosa.
Buona parte dell’acido linoleico (cis9, cis12 C18:2) viene isomerizzazione a livello del doppio
legame in posizione cis12 e trasformato così in acido rumenico (cis9, trans11 C18:2) e quest’ultimo
idrogenato poi ad acido vaccenico (trans 11 C18:1). L’idrogenazione finale dell’acido vaccenico ad
acido stearico (C18:0) è una reazione che avviene lentamente e ciò consente all’acido vaccenico di
sfuggire in larga parte al processo di bioidrogenazione e di accumularsi nel rumine per poi passare a
valle nell’apparato digerente, essere assorbito in duodeno, entrare in circolo e raggiungere la
ghiandola mammaria dove, per azione dell’enzima delta nove (∆9) desaturasi, è desaturato tornando
nuovamente ad acido rumenico, il principale isomero dell’acido linoleico coniugato (CLA) nel latte
vaccino.
Tali azioni metaboliche sono molto importanti, stante l’azione nutraceutica di sostanze come gli stessi
CLA e gli Omega-3 (Ω3), acidi grassi come l’acido linolenico C18:3, l’acido eicosapentaenoico
(EPA) C20:5 e l’acido docosaesaenoico (DHA) C22:6 con il primo doppio legame sul carbonio n° 3.
Gli acidi grassi della serie Ω3 (n-3) e Ω6 (n-6, con il primo doppio legame sul C n° 6 della catena,
come per es. l’acido linoleico C18:2) sono considerati essenziali e vitali per la salute perché non
possono essere sintetizzati dagli organismi superiori (uomo incluso) e devono quindi essere assunti
attraverso gli alimenti. Da qui l’importanza di poter ottenere, anche grazie a tecniche alimentari, un
latte più ricco in CLA e Ω3.
Le versioni più recenti del sistema “Cornell” (CNCPS, Cornell Net Carbohydrate and Protein System)
tengono conto, tramite specifiche equazioni, dei sei passaggi fondamentali riguardanti il metabolismo
ruminale e l’assorbimento intestinale degli acidi grassi a lunga catena (LCFA): 1) ingestione dei lipidi
alimentari; 2) lipolisi ruminale dei lipidi alimentari; 3) bio-idrogenazione degli LCFA nel rumine; 4)
sintesi di nuovi LCFA nel rumine; 5) passaggio degli LCFA a valle del rumine; 6) digestione
intestinale degli LCFA. Il CNCPS distingue quindi 3 frazioni di lipidi per i bovini da latte: 1) i lipidi
alimentari che non vanno incontro a lipolisi ruminale; 2) i lipidi alimentari che vengono idrolizzati
nel rumine e sono poi bio-idrogenati in varia misura prima di passare a valle del rumine; 3) i lipidi
sintetizzati ex novo nel rumine stesso dalla popolazione microbica a partire da precursori carboniosi;
tali lipidi transitano a loro volta a valle del rumine. I lipidi che arrivano nel duodeno sono quindi
composti da acidi grassi di origine sia alimentare che microbica.
Minerali e vitamine
I fabbisogni minerali e vitaminici delle principali categorie di bovini da latte sono riportate in tabella
3. Delle vitamine vengono riportate solo quelle liposolubili in quanto le idrosolubili sono prodotte
dalla popolazione microbica ruminale e non serve di norma una loro aggiunta nella razione. Solo in
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qualche caso può essere utile l’inclusione di alcune vitamine del gruppo B (per es. la niacina, la colina,
l’acido ascorbico) che però devono essere rumino-protette, per es. mediante micro-incapsulazione in
matrici lipidiche.
Tab. 3 – Fabbisogni minerali e vitaminici delle principali categorie di bovini da latte.
Dato lo scarso contenuto in oligoelementi e vitamine dei foraggi conservati (fieni, paglie e insilati) e
degli alimenti concentrati, spesso sottoposti poi a trattamenti termici che ne limitano ulteriormente la
biodisponibilità vitaminica, conviene effettuare una somministrazione di tali nutrienti tramite
integratori specifici dove i singoli nutrienti (vitamine e oligoelementi) possono essere inclusi in parte
in forma libera e in parte in forma rumino-protetta (micro-incapsulati/chelati). In tal modo si
garantisce l’apporto vitaminico e oligominerale sia alla popolazione microbica del rumine, sia
direttamente alla bovina stessa. Essendo i fabbisogni calcolati sulla bovina, è bene che le quantità di
vitamine e oligoelementi apportate con la dieta siano leggermente superiori ai fabbisogni stessi.
Normalmente ciò viene conseguito somministrando qualche ettogrammo di un integratore
appositamente formulato. Per esempio, 0,3 kg/capo giorno di un integratore vitaminico minerale
contenente, per kg, 1000 mg Fe, 650 mg Cu, 3000 mg Zn, 1000 mg Mn, 40 mg I, 23 mg Se, 300.000
UI vit. A, 70.000 UI vit. D, 2.000 mg vit. E, garantiranno un apporto vitaminico e oligominerale che
sommato a quello apportato dalle materie prime (foraggi, concentrati e sali minerali) della razione
coprirà i fabbisogni nutritivi in tali nutrienti nella vacca in lattazione.
Razioni per vacche in lattazione
A – 40 kg latte/giorno
La tabella 4 riporta una razione per un gruppo di bovine frisone, mediamente di seconda lattazione,
di 630 kg di peso, alla fine del 4° mese di lattazione, con produzione giornaliera di 40 kg di latte al
LATTAZIONE ASCIUTTA MANZE
Ca (% s.s.) 0,65 0,40 0,50
P (% s.s.) 0,34 0,30 0,33
Mg (% s.s.) 0,20 0,11 0,12
K (% s.s.) 1,00 0,50 0,48
Cl (% s.s.) 0,25 0,13 0,11
Na (% s.s.) 0,22 0,11 0,08
S (% s.s.) 0,20 0,20 0,20
Fe (mg/kg SS) 15 13 40
Cu (mg/kg SS) 11 12 10
Zn (mg/kg SS) 48 21 30
Mn (mg/kg SS) 14 16 20
I (mg/kg SS) 0,5 0,4 0,3
Se (mg/kg SS) 0,3 0,3 0,3
Co (mg/kg SS) 0,1 0,1 0,1
Vit. A (UI/kg SS) 3500 6000 4000
Vit. D (UI/kg SS) 900 1600 1200
Vit. E (mg/kg SS)* 25 65 30
* 1 mg vit E = 1,5 UI vit E
8
3,8% di grasso e 3,3% di proteine. Alimentazione con tecnica unifeed e condizioni ambientali
standard di temperatura e umidità. Ovviamente ci sarà una variabilità tra le bovine del gruppo di cui
dovrò tenere conto in sede di razionamento, non impostando una dieta per la media produttiva
aritmetica, ma privilegiando le bovine più produttive, anche a rischio di dare un po’ più del dovuto a
quelle meno produttive del gruppo stesso. Ciò in realtà trova una giustificazione nel fatto che le
vacche meno produttive sono in genere quelle più avanti di lattazione, in una fase fisiologica in cui
devono recuperare le riserve corporee (tessuti adiposo e muscolare) a cui hanno attinto a inizio
lattazione, quando l’ingestione alimentare era insufficiente a soddisfare i fabbisogni energetici e
proteici. È normale e corretto, quindi, che la bovina aumenti di peso nella seconda metà della
lattazione arrivando alla messa in asciutta con un BCS di 3,5-3,8, purché poi non ingrassi più durante
la fase di asciutta, pena il rischio di chetosi nelle prime settimane dopo il parto.
Gli alimenti scelti per la razione di tabella 4 sono tra quelli solitamente a disposizione di un’azienda
da latte intensiva della pianura padana. L’ingestione di SS prevista è di 23,4 kg/d, di cui il 53% da
foraggi. Tra questi il silomais rappresenta oltre la metà in termini di SS apportata nella razione, in
ragione della sua elevatissima produzione di SS e di UFL ad ettaro. Ricordiamo che circa metà della
SS apportata dal silomais deriva dalla granella in stadio di maturità cerosa e che il tenore in amido
dell’intera pianta raccolta in questo stadio è del 30-35% s.s. La maggior parte delle UFL del silomais
derivano quindi dall’amido che esso apporta con la granella; la qualità della fibra delle foglie e ancor
più dello stocco è invece mediocre.
Tab. 4 - Esempio di razione per una bovina da 40 kg di latte/giorno, analisi chimica e profilo nutrizionale.
% s.s. pH rum 6,5
Peso vivo, kg 630 Cen. 6,8 Urea latte 26 mg/dL
N° lattazione 2 PG 15,9 Prot solub. 31 % della PG
Giorni di lattazione 120 MP 11,4 RDP 62 % della PG
Latte/d, kg 40 EE 4,3 MP microb. 1533 g/d (=57%)
Grasso del latte, % 3,8 NDF 31,9 MP da RUP 1136 g/d (=43%)
Proteine del latte, % 3,3 peNDF 24,3
ADF 21,1 Latte potenz. da ME=41,8 kg/d
kg TQ kg SS Lignina 3,5 Latte potenz. da MP=39,6 kg/d
Silomais 20,0 6,4 NFC 43,2
Prato stabile insilato 5,0 2,2 Ac. org. 3,0 Crescita microbica (g/d):
Medica insilata 2,9 1,8 Zucch. 6,3 Amil. Cellul. Totale % s.s.
Loiessa fieno 1,4 1,2 Amido 28,2 SS 3351 738 4089
Medica fieno 1,0 0,9 Pectine 5,8 PG 2095 461 2556 63
Mais farina 6,0 5,3 NEl 1,73 MP 1257 277 1534 38
Soia semi tostati 1,7 1,6 UFL 1,02 CH2O 707 156 863 21
Soia far. estraz. 1,3 1,2 Ca 0,81 EE 402 88 490 12
Lino panello 1,0 0,9 P 0,37 Cen 148 32 180 4
Farinaccio di frum. 1,0 0,9 Mg 0,25
Melasso di canna 1,0 0,7 K 1,54 Bilancio
Calcio carbonato 0,2 0,2 S 0,21 g/d % g/d %
Sodio bicarbonato 0,1 0,1 Na 0,24 Ingerito 593 100,0 86 100,0
Cloruro di sodio 0,04 0,04 Cl 0,48 Tessuti 1 0,2 0,3 0,3
Totale 42,6 23,4 Latte 207 34,9 40 46,51
SS razione, % 55 Met * 2,0 Feci 250 42,2 45 52,33
Foraggi su SS totale, % 53 Lys * 6,6 Urine 135 22,8 1 1,2
* % MP Tot escreto 385 64,9 46 53,49
N P
9
Tra gli altri foraggi presenti nella razione ci sono sia fieni sia insilati: i primi stimolano molto la
ruminazione e la produzione di saliva (potere tampone), i secondi sono in genere di valore nutritivo
maggiore, avendo normalmente meno perdite durante l’appassimento in campo (se effettuato) e la
conseguente conservazione in silo, rispetto ai medesimi foraggi conservati con fienagione
tradizionale che prevede l’essiccazione completa in campo.
Tra i concentrati abbiamo scelto singole materie prime, anziché un mangime composto, per dare
maggiormente l’idea dei vari componenti della razione. Per semplicità abbiamo omesso di includere
l’integrazione micro-minerale e vitaminica, facilmente realizzabile con l’aggiunta di circa 100 g di
un integratore composto.
Nella colonna centrale di tabella 4 è riportata l’analisi chimica della razione: da sottolineare il
contenuto proteico relativamente contenuto (PG 15,9% e MP 11,4% s.s.) per il livello produttivo
considerato. Anche il tenore in NDF è basso (31,9% s.s.), ma ¾ di essa è strutturata: la peNDF citata
prima e data dalla quantità di alimento che si ferma in tre setacci sovrapposti aventi pori di 19, 8 e 4
mm, moltiplicata per il contenuto di NDF del foraggio. Dall’analisi di tabella 4 si nota anche il basso
tenore in lignina (3,5% s.s.) e alti contenuti in amido (28,2% s.s.) e in NFC (43,2% s.s.). Ne consegue
un’alta concentrazione energetica della dieta (1,02 UFL/kg SS). I minerali sono nei limiti usuali per
questo livello produttivo, così come metionina e lisina, i due aminoacidi normalmente limitanti per
la vacca da latte ad alta produzione (2,0% e 6,6% della proteina metabolizzabile, rispettivamente).
Sempre in tabella 4 si nota che il pH ruminale stimato dal programma di razionamento per questa
dieta è 6,5, quindi un pH normale per tali livelli produttivi e per una razione ricca di amido e di NFC
in genere. Dal punto di vista proteico la proteina solubile è il 31% della proteina grezza totale e la
proteina rumino-degradabile (RDP) il 62%. Il rapporto tra le due componenti è ottimale e garantisce
una pronta disponibilità azotata a livello ruminale da parte della frazione solubile, mentre il resto
della frazione rumino-degradabile rilascia l’azoto in tempi più lunghi evitando un accumulo eccessivo
di ammoniaca. Interessante anche notare che della proteina metabolizzabile (MP, in pratica quella
assorbita sotto forma di aminoacidi nell’intestino tenue), quella derivata dalla proteina microbica
ruminale rappresenta il 57%, mentre quella derivata dalla proteina alimentare non degradata nel
rumine (RUP, la cosiddetta proteina “by-pass”) è il 43%. Si conferma quindi, anche per le alte
produzioni, l’importanza cruciale dell’attività ruminale che porta da un lato a fornire energia alla
bovina sotto forma di acidi grassi volatili (acetico, propionico e butirrico, assorbiti dalla parete
ruminale) e dall’altro lato a fornire una massa microbica (batteri e protozoi) ricchissima di proteina e
di aminoacidi essenziali che vengono poi assorbiti nell’intestino tenue della bovina.
La disponibilità di nutrienti apportati dalla massa microbica ruminale è riportata in tabella 4:
giornalmente oltre 4 kg di SS tra microrganismi amilolitici (la maggior parte) e cellulosolitici, e oltre
2,5 kg di proteina grezza e 1,5 kg di proteina metabolizzabile!
Il programma di razionamento avverte poi (tab. 4) che, con questa razione e per l’animale considerato,
l’energia metabolizzabile della dieta consentirebbe di arrivare a 41,8 kg di latte/d, mentre la proteina
metabolizzabile “solo” a 39,6 kg/d. In questo caso quindi il fattore limitante sembra essere la proteina,
anche se la produzione si attesta comunque sui 40 litri previsti.
Infine, la tabella 4 riporta i bilanci dell’azoto e del fosforo, i due principali fattori di possibile
inquinamento di acque (nitrati, fosfati ed eutrofizzazione) e atmosfera (ammoniaca, con piogge acide
e polveri sottili): l’efficienza di utilizzazione dell’azoto è del 34,9% e la sua escrezione giornaliera
pari a 385 g. L’escrezione di fosforo, ascrivibile quasi interamente alle feci, è invece pari a 46 g/d.
La stima dell’escrezione azotata è utile per cercare di limitarla il più possibile, minimizzando
l’impatto ambientale ai sensi della Direttiva Nitrati dell’UE e delle conseguenti normative nazionali
e regionali.
10
B – 20 kg latte/giorno
In tabella 5 si riporta un’altra razione, questa volta per una produzione medio/bassa (20 kg
latte/giorno). Rispetto alla razione precedente, l’ingestione di SS è ovviamente inferiore (18,1 kg/d)
e la quota di SS apportata dai foraggi superiore (73%). Chimicamente la dieta ha, sul secco: 14 ,2%
PG, 42% NDF, 21,9% amido e 0,93 UFL/kg. L’urea del latte è molto bassa (17 mg/dL) e la proteina
rumino-degradabile elevata (70%). La popolazione microbica del rumine apporta il 67% della
proteina metabolizzabile e quest’ultimo fattore sembra essere il fattore limitante per la produzione
lattea (max 18,7 kg/d), mentre l’energia metabolizzabile è in esubero e consentirebbe una produzione
di 22,8 kg/d. La crescita microbica a livello ruminale vede sempre la prevalenza degli amilolitici, ma
l’apporto dei cellulosolitici, con questa razione più fibrosa della precedente, aumenta (dal 18 al 27%).
Il bilancio dell’azoto vede una minor efficienza di utilizzazione (26,9%) rispetto alla razione
precedente, il che è in linea con il fatto che il costo fisso del mantenimento pesa proporzionalmente
di più in una bovina da 20 che non in una da 40 kg di latte al giorno. L’azoto escreto passa quindi da
9,6 g N/kg latte (per la produzione di 40 litri) a 14,9 g N/kg latte per la produzione di 20 litri.
Razioni per vacche in asciutta e in transizione e per manze
Asciutta
Non producendo più latte, i fabbisogni nutritivi della bovina in asciutta sono drasticamente più bassi
di quella in lattazione (tab. 2). Fondamentalmente, la bovina nelle prime 5-6 settimane di asciutta non
Tab. 5 - Esempio di razione per una bovina da 20 kg di latte/giorno, analisi chimica e profilo nutrizionale.
% s.s. pH rum 6,5
Peso vivo, kg 650 Cen. 6,5 Urea latte 17 mg/dL
N° lattazione 2 PG 14,2 Prot solub. 39 % della PG
Giorni di lattazione 240 MP 9,4 RDP 70 % della PG
Latte/d, kg 20 EE 3,2 MP microb. 1129 g/d (=67%)
Grasso del latte, % 4,0 NDF 42,0 MP da RUP 565 g/d (=33%)
Proteine del latte, % 3,5 peNDF 34,5
ADF 28,3 Latte potenz. da ME=22,8 kg/d
kg TQ kg SS Lignina 4,5 Latte potenz. da MP=18,7 kg/d
Silomais 22,0 7,0 NFC 36,5
Prato stabile insilato 3,0 2,7 Ac. org. 3,7 Crescita microbica (g/d):
Loiessa fieno 3,0 1,3 Zucch. 5,1 Amil. Cellul. Totale % s.s.
Medica insilata 2,0 1,2 Amido 21,9 SS 2194 818 3012
Medica fieno 1,0 0,9 Pectine 5,9 PG 1371 511 1882 62
Mais farina 2,0 1,8 NEl 1,58 MP 823 307 1130 38
Crusca di frumento 1,0 0,9 UFL 0,93 CH2O 463 173 636 21
Soia far. estraz. 1,0 0,9 Ca 0,64 EE 263 98 361 12
Lino panello 1,0 0,9 P 0,38 Cen 96 36 132 4
Melasso di canna 0,5 0,4 Mg 0,28
Calcio carbonato 0,05 0,05 K 1,67 Bilancio
Cloruro di sodio 0,06 0,06 S 0,21 g/d % g/d %
Totale 36,6 18,1 Na 0,18 Ingerito 409 100,0 68 100,0
SS razione, % 49 Cl 0,65 Tessuti 0,3 0,1 0,1 0,1
Foraggi su SS totale, % 73 Latte 110 26,9 20 29,4
Met * 2,1 Feci 200 48,9 47 69,1
Lys * 6,9 Urine 98 24,0 1 1,5
* % MP Tot escreto 298 72,9 48 70,6
N P
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deve ingrassare e la sua dieta standard è a base di fieno di graminacee o di prato stabile, con inclusione
eventuale di paglia, e una modesta integrazione di mangime, sali minerali e vitamine. Se non si vuole
effettuare un razionamento con sali anionici, la razione può essere quella riportata nella seconda
colonna della tabella 6.
L’ingestione media di SS si attesta sui 12 kg/d con il 90% circa di foraggi a base prevalente di fieno
di graminacea, apportatore di tanta NDF di discreta qualità. In asciutta meglio evitare sia il silomais
(per il suo alto valore energetico che potrebbe far ingrassare la bovina in questa fase) e l’erba medica,
eccessivamente ricca in proteine e soprattutto in calcio (1,5% s.s.), pericoloso per l’insorgenza
dell’ipocalcemia (collasso puerperale o febbre da parto). In questa prima fase di asciutta la dieta deve
quindi essere “spartana”, ricca di NDF e bassa in proteine, amido ed energia netta latte.
Tab. 6 - Esempi di razioni per vacche in asciutta, in transizione e per bestiame da rimonta.
Asciutta Pre-parto Post-parto Manzette Manze Manze gravide
kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ
Silomais 10,0 5,0 4
Prato stabile insilato 5,0 3
Loiessa fieno 10,0 6,0 1,0 1,0 2,5 4
Triticale insilato 5,0 5,0
Medica insilata 2,5 2,0
Medica fieno 1,0 1,0 2,0 1
Paglia di frumento 1
Mais farina 1,0 2,3 4,0 1,0 0,5 0,7
Crusca di frumento 1,0 1,0 1,3
Soia far. estraz. 0,4 0,8 1,5 0,2 0,4 0,5
Soia seme int. tostato 1,3
Lino panello 0,5
Melasso di canna 0,5
Integratore vit/min 0,10 0,10 0,17 0,03 0,03 0,03
Totale TQ 16,5 14,2 27,5 6,2 11,4 15,5
Totale SS, kg 12,1 10,1 15,7 5,0 7,3 10,2
Foraggi su SS totale, % 89 72 55 60 77 78
ANALISI (% s.s.)
Cen. 5,8 7,4 7,1 7,6 7,0 7,1
PG 11,7 13,6 17,9 15,6 14,5 13,1
MP 8,3 9,2 11,5 9,5 9,4 8,8
EE 3,5 3,7 4,4 3,4 3,1 3,1
NDF 59,3 49,1 32,5 41,3 47,7 53,3
peNDF 57,7 46,2 25,6 32,5 41,3 47,5
ADF 43,3 35,1 22,5 29,9 33,6 36,1
Lignina 4,6 3,8 3,7 5,5 5,1 5,5
NFC 21,0 28,9 40,5 35,1 30,6 26,4
Amido 8,1 17,4 24,6 18,2 15,1 12,6
Pectine 7,8 6,7 6,8 10,7 9,1 7,9
NEl 1,38 1,55 1,75 1,48 1,47 1,39
UFL 0,81 0,91 1,03 0,87 0,86 0,82
Ca 0,62 0,53 0,81 0,97 0,73 0,64
P 0,31 0,33 0,36 0,49 0,44 0,42
12
Transizione
Il periodo del peri-parto (da 2 settimane prima a 3 settimane dopo il parto), detta comunemente fase
di “transizione” è un momento cruciale per la bovina da latte che va incontro a grandi cambiamenti
nell’assetto ormonale e metabolico che si riflettono inevitabilmente sul comportamento alimentare e
sulla necessità, da parte di chi effettua il razionamento, di adeguare la razione alle mutate condizioni
fisiologiche, preparando gradualmente la bovina alla dieta definitiva che avrà a disposizione dalla
quarta settimana dopo il parto. Transition cow la definiscono pragmaticamente gli statunitensi che
per primi hanno messo a punto le razioni più idonee in questa delicatissima fase di fine gravidanza-
inizio lattazione.
In estrema sintesi, la bovina, all’avvicinarsi del parto e subito dopo il parto stesso, perde sempre più
l’appetito, fa registrare un forte calo della glicemia e un concomitante rapido innalzamento ematico
degli acidi grassi liberi (free fatty acids, FFA) o acidi grassi non esterificati (non-esterified fatty acids,
NEFA) che dir si voglia. Tale fenomeno, imputabile a un’intensa lipolisi a carico dei tessuti adiposi,
porta a un sovraccarico epatico di acidi grassi e alla conseguente messa in circolo di corpi chetonici
(acetone, beta-idrossibutirrato, aceto-acetato) che predispongono la bovina alla chetosi.
Quanto più la vacca arriva grassa al parto, tanto maggiore è il rischio di chetosi. Ecco perché
l’alimentazione nei primi 40 giorni di asciutta dev’essere “spartana”: i fabbisogni di mantenimento
della bovina e quelli del feto sono perfettamente soddisfatti con una dieta ricca di fibra e a basso
contenuto proteico e amidaceo. Nelle ultime due settimane prima del parto, però la razione va
modificata tenendo conto della minor ingestione da parte della bovina e della necessità di non far
diminuire troppo la glicemia e la disponibilità aminoacidica: la razione “pre-parto” riportata in tabella
6 vede, rispetto a quella precedente di “asciutta”, un minor apporto di fieno e un concomitante
aumento del concentrato (farina di mais e di soia). In tal modo si riduce il tenore di NDF (49%), che
tende a ridurre il livello ingestivo, e si aumentano quelli in proteina (13,6% s.s.) e in amido e NFC
(17 e 29% s.s., rispettivamente) e quindi in energia (0,91 UFL/kg SS).
La razione delle vacche nelle prime 3 settimane dopo il parto (le cosiddette vacche “fresche”) vede
ancora un graduale adattamento (“transizione” appunto…) verso la razione definitiva in lattazione.
In tabella 6 si riporta un esempio di tale dieta “post partum” dove comincia a comparire il silomais,
in ragione però di soli 10 kg/giorno, oltre all’erba medica e a un foraggio di prato stabile. Gli insilati
hanno adesso la predominanza sui fieni, in virtù del loro maggiore valore nutritivo: ricordiamo infatti
che in queste prime settimane di lattazione il livello di ingestione alimentare è ancora molto basso
(circa 16 kg SS/d) e che diventa quindi fondamentale somministrare alla bovina alimenti (foraggi in
primis) di digeribilità e valore nutritivo elevati. Anche la concentrazione proteica della dieta
dev’essere alta in questa fase (18% circa s.s.) tenendo presente che la bovina ha molte più riserve
energetiche che non proteiche. Infine, per limitare i rischi di dismetabolie quali l’acidosi e la
dislocazione dell’abomaso, il tenore in NDF (32,5% s.s.) e in particolare di NDF a fibra lunga e
strutturata dev’essere abbastanza elevato per evitare uno “sgonfiamento” del rumine, e quello in
amido (24,6% s.s.) non eccessivo anche se sufficiente a fornire energia di pronto utilizzo che limiti
quindi i fenomeni di lipolisi e il rischio di acetonemia (chetosi). Diversi allevatori, in questa fase di
transizione, lasciano a diposizione delle bovine dell’ottimo fieno di prato stabile, in aggiunta
all’unifeed, e spesso gli animali si alimentano volontariamente di tale foraggio lungo.
Bestiame da rimonta
Dopo lo svezzamento la manzetta riceve un’alimentazione a base di foraggi e concentrati che a livello
analitico è simile a quella della bovina in lattazione per contenuto proteico, amidaceo e fibroso.
L’animale infatti in questo stadio (circa 3-7 mesi di età) ha ancora un apparato digerente e il rumine
in particolare poco sviluppato, bassi livelli di ingestione ma elevati fabbisogni di accrescimento.
Ricordiamo che per essere fecondata a 15 mesi, e quindi avere il primo parto a 2 anni, una manza
13
deve avere raggiunto un peso di circa 380 kg il che equivale a un incremento medio giornaliero di
750 g; accrescimento che si ottiene solo somministrando buoni foraggi, integrati da concentrati e
integratori vitaminico-minerali. In molte stalle alle manzette viene distribuita una piccola quota della
razione formulata per le bovine in lattazione, integrata poi da fieno lungo a volontà per stimolare lo
sviluppo del rumine.
Crescendo poi la manza aumenta gradualmente il livello di ingestione alimentare e la razione contiene
quindi meno proteina e amido e più fibra. La quota di mangime, sul secco totale della razione, scende
dal 40 al 25% circa, ma bisogna verificare, pesando alcuni animali ogni 3/4 mesi, che l’accrescimento
ponderale sia quello desiderato, non superiore (altrimenti c’è il rischio che la manza ingrassi il che
non è certo desiderabile per un animale da latte), ma neanche inferiore, pena un posticipo della prima
fecondazione e quindi della carriera produttiva dell’animale.
Una volta gravida la manza riceverà una razione ancora più ricca in fibra e a minor contenuto proteico
ed amidaceo, in quanto il livello di ingestione sarà ulteriormente aumentato e l’animale potrà
beneficiare dell’anabolismo gravidico, con conseguente maggior capacità metabolica di utilizzare i
principi alimentari e nutritivi. In questa fase quindi, come del resto si può fare anche per l’asciutta, si
può includere nella dieta anche della paglia.
Sottolineiamo però che l’uso di alimenti grossolani e fibrosi, come paglia e fieni, per il bestiame da
rimonta e per le bovine in asciutta non equivale ad alimenti scadenti sotto il profilo della salubrità
(contenenti cioè muffe, micotossine on fase di irrancidimento o putrefazione). Questi ultimi non
vanno mai somministrati ad alcun tipo di animale. Il bestiame da rimonta poi va visto non come
qualcosa di improduttivo, ma come il futuro della mandria, ciò su cui si è puntato e si punta per
migliorare sempre di più l’efficienza di produzione (dairy efficiency, kg di latte/kg SS ingerita) e la
redditività dell’allevamento.
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=2