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1 L’alimentazione della bovina da latte G. Matteo Crovetto Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano La selezione genetica da un lato e le sempre migliori tecniche alimentari dall’altro, frutto di conoscenze sempre più approfondite in campo nutrizionale, sono stati i due fattori chiave dell’enorme aumento produttivo e di efficienza registratosi nelle ultime decadi nell’allevamento bovino da latte intensivo in Italia: ormai la media produttiva della Frisona in Lombardia è attorno ai 32 litri di latte al giorno, con produzioni medie annue attorno alle 10 tonnellate di latte per capo. In diversi allevamenti però la produzione media è superiore ai 40 litri al giorno (13 ton/anno). Per ottenere tali performance produttive, oltre agli aspetti genetici, all’adeguatezza dei locali e delle strutture, alla cura della tecnica di mungitura e all’attenzione agli aspetti riproduttivi e sanitari, è fondamentale applicare piani alimentari adeguati. L’importanza di un’adeguata alimentazione va letta anche in chiave economica, visto che essa incide per oltre il 60% sul costo di produzione del latte. Ingestione d’acqua e di sostanza secca L’acqua è il nutriente più importante per i bovini da latte, necessaria per tutti i processi vitali. Essa costituisce dal 56 all’81% del peso corporeo dei bovini da latte e il 65% circa nella bovina in lattazione e in asciutta. Mediamente, in una bovina da 33 kg di latte al giorno, la perdita d’acqua con il latte rappresenta il 30% del totale, quella con le feci il 33% e quella con le urine il 18%. Le restanti perdite sono dovute a sudore, saliva ed evaporazione. Da quanto detto è evidente l’elevato fabbisogno idrico di una bovina, soprattutto se in lattazione: mediamente 100 litri d’acqua al giorno per una produzione di 30 kg di latte/giorno. Ovviamente le condizioni ambientali (temperatura e umidità in primis) condizionano fortemente tale fabbisogno. La maggior parte di acqua la bovina la ottiene come acqua libera e come acqua contenuta negli alimenti, soprattutto se rappresentati da foraggi (o sottoprodotti industriali) freschi o insilati. Una minima parte è poi ricavata dal metabolismo dei nutrienti nell’organismo stesso (acqua metabolica). Mediamente una bovina da 30-35 kg latte/giorno berrà circa 2,5-3,0 kg acqua/kg di latte, ovviamente con valori più bassi in inverno e più alti in estate. Per diete unifeed umide (con insilati) aventi oltre il 50% di SS, la bovina ricava l’acqua di cui abbisogna per l’80% circa dall’acqua di bevanda, ma l’ingestione di acqua libera cala bruscamente (-33 kg/giorno) con diete al 30% di SS e diventa addirittura meno del 40% del fabbisogno d’acqua totale per bovine al pascolo. Da quanto detto appare quindi fondamentale che i bovini da latte e soprattutto le bovine in lattazione abbiano sempre a disposizione acqua da bere a volontà, soprattutto subito dopo la mungitura. A tal proposito sono preferibili i grandi abbeveratoi a vasca piuttosto che quelli a tazza, spesso mal funzionanti o intasati di foraggio e quindi in grado di erogare flussi d’acqua limitati. La sostanza secca – Per produrre molto latte la vacca deve mangiare molto, non vi è discussione al riguardo. La bovina può solo temporaneamente, a inizio lattazione, sopperire a una ridotta ingestione alimentare attingendo alle proprie risorse di riserva (grasso e tessuto muscolare), ma in modo limitato e senza esagerare. Un forte calo della condizione corporea nei primi mesi di lattazione, per es. un indice di condizione corporea (body condition score, BCS) che passi da 3,8 a 2,5, comporterebbe forme patologiche cliniche o subcliniche che comprometterebbero la ripresa dell’attività ovarica, oltre che la stessa produzione di latte. Negli animali l’ingestione di SS è regolata soprattutto da due fattori: un fattore fisiologico e un fattore fisico. In base al primo l’ingestione tende a diminuire all’aumentare della glicemia, cioè del contenuto di glucosio nel sangue. Alimenti ricchi di amido, che a causa della elevata fermentescibilità e velocità di digestione e assorbimento (3-5 ore), aumentano rapidamente la glicemia e il senso di sazietà, tendono a diminuire il livello di ingestione; al contrario, alimenti ricchi di fibra (es. i foraggi)

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1

L’alimentazione della bovina da latte

G. Matteo Crovetto

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano

La selezione genetica da un lato e le sempre migliori tecniche alimentari dall’altro, frutto di

conoscenze sempre più approfondite in campo nutrizionale, sono stati i due fattori chiave dell’enorme

aumento produttivo e di efficienza registratosi nelle ultime decadi nell’allevamento bovino da latte

intensivo in Italia: ormai la media produttiva della Frisona in Lombardia è attorno ai 32 litri di latte

al giorno, con produzioni medie annue attorno alle 10 tonnellate di latte per capo. In diversi

allevamenti però la produzione media è superiore ai 40 litri al giorno (13 ton/anno). Per ottenere tali

performance produttive, oltre agli aspetti genetici, all’adeguatezza dei locali e delle strutture, alla cura

della tecnica di mungitura e all’attenzione agli aspetti riproduttivi e sanitari, è fondamentale applicare

piani alimentari adeguati. L’importanza di un’adeguata alimentazione va letta anche in chiave

economica, visto che essa incide per oltre il 60% sul costo di produzione del latte.

Ingestione d’acqua e di sostanza secca

L’acqua è il nutriente più importante per i bovini da latte, necessaria per tutti i processi vitali. Essa

costituisce dal 56 all’81% del peso corporeo dei bovini da latte e il 65% circa nella bovina in lattazione

e in asciutta. Mediamente, in una bovina da 33 kg di latte al giorno, la perdita d’acqua con il latte

rappresenta il 30% del totale, quella con le feci il 33% e quella con le urine il 18%. Le restanti perdite

sono dovute a sudore, saliva ed evaporazione.

Da quanto detto è evidente l’elevato fabbisogno idrico di una bovina, soprattutto se in lattazione:

mediamente 100 litri d’acqua al giorno per una produzione di 30 kg di latte/giorno. Ovviamente le

condizioni ambientali (temperatura e umidità in primis) condizionano fortemente tale fabbisogno. La

maggior parte di acqua la bovina la ottiene come acqua libera e come acqua contenuta negli alimenti,

soprattutto se rappresentati da foraggi (o sottoprodotti industriali) freschi o insilati. Una minima parte

è poi ricavata dal metabolismo dei nutrienti nell’organismo stesso (acqua metabolica). Mediamente

una bovina da 30-35 kg latte/giorno berrà circa 2,5-3,0 kg acqua/kg di latte, ovviamente con valori

più bassi in inverno e più alti in estate. Per diete unifeed umide (con insilati) aventi oltre il 50% di

SS, la bovina ricava l’acqua di cui abbisogna per l’80% circa dall’acqua di bevanda, ma l’ingestione

di acqua libera cala bruscamente (-33 kg/giorno) con diete al 30% di SS e diventa addirittura meno

del 40% del fabbisogno d’acqua totale per bovine al pascolo.

Da quanto detto appare quindi fondamentale che i bovini da latte e soprattutto le bovine in lattazione

abbiano sempre a disposizione acqua da bere a volontà, soprattutto subito dopo la mungitura. A tal

proposito sono preferibili i grandi abbeveratoi a vasca piuttosto che quelli a tazza, spesso mal

funzionanti o intasati di foraggio e quindi in grado di erogare flussi d’acqua limitati.

La sostanza secca – Per produrre molto latte la vacca deve mangiare molto, non vi è discussione al

riguardo. La bovina può solo temporaneamente, a inizio lattazione, sopperire a una ridotta ingestione

alimentare attingendo alle proprie risorse di riserva (grasso e tessuto muscolare), ma in modo limitato

e senza esagerare. Un forte calo della condizione corporea nei primi mesi di lattazione, per es. un

indice di condizione corporea (body condition score, BCS) che passi da 3,8 a 2,5, comporterebbe

forme patologiche cliniche o subcliniche che comprometterebbero la ripresa dell’attività ovarica, oltre

che la stessa produzione di latte.

Negli animali l’ingestione di SS è regolata soprattutto da due fattori: un fattore fisiologico e un fattore

fisico. In base al primo l’ingestione tende a diminuire all’aumentare della glicemia, cioè del contenuto

di glucosio nel sangue. Alimenti ricchi di amido, che a causa della elevata fermentescibilità e velocità

di digestione e assorbimento (3-5 ore), aumentano rapidamente la glicemia e il senso di sazietà,

tendono a diminuire il livello di ingestione; al contrario, alimenti ricchi di fibra (es. i foraggi)

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impiegheranno molto più tempo (giorni) a rilasciare la loro energia e ad aumentare la glicemia e

quindi l’animale tenderà ad ingerirne quantità maggiori per soddisfare il proprio appetito.

Nei ruminanti però prevale il controllo di tipo fisico, legato all’ingombro che un alimento o razione

determina a livello del digerente e soprattutto del rumine. Un volume eccessivo di alimento,

specialmente se a lenta fermentescibilità, riempie il rumine e deprime l’ingestione alimentare. Basti

pensare alla differenza di volume tra 10 kg di farina di mais e 10 kg di paglia lunga!

I due fattori coesistono nell’animale e la massima ingestione di SS si verifica in genere con razioni

che abbiano, sulla sostanza secca, il 30-33% di NDF proveniente da alimenti (concentrati in genere e

foraggi trinciati) a granulometria inferiore ai 2-3 cm. (fig. 1).

Fig.1 – Ingestione di sostanza secca (in % del

peso vivo) in funzione del contenuto in NDF

della dieta. ---- curva di regressione determinata

sperimentalmente (Mertens, 1986).

Tab.1 – Sostanza secca ingerita (SSI=kg/d) in funzione del peso vivo e della produzione di latte

corretto al 4% di grasso. Dati riferiti a bovine alla 20a settimana di lattazione.

Per massimizzare l’ingestione alimentare la bovina dev’essere in buona salute (senza dismetabolie

anche subcliniche e problemi podali), in un ambiente confortevole con temperatura e umidità non

troppo elevate, avere abbastanza spazio a disposizione, cuccette comode dove riposarsi, la possibilità

di accedere sempre alla corsia di alimentazione e agli abbeveratoi. Pertanto, per una stima accurata

dell’ingestione di SS, bisogna tenere in considerazione molti fattori: la taglia dell’animale, il suo

livello produttivo quanti/qualitativo, lo stadio di lattazione, le condizioni climatico/ambientali, ecc.

Tutto ciò è calcolato nei principali software di razionamento oggi disponibili sul mercato.

La formula proposta dal NRC (2001) per il calcolo della SS ingerita da bovine in allevamenti intensivi

alimentate con tecnica unifeed, è:

SSI (kg/d) = (0,372 FCM + 0,0968 PV0,75) (1-e(-0,192 (WOL + 3,67)))

dove FCM=latte corretto al 4% di grasso (kg/d) e PV=peso vivo (kg)

FCM=kg latte x (0,4 + 0,15 x % di grasso del latte)

FCM (kg/d)

PV kg 20 25 30 35 40 45 50

500 17,6 19,4 21,2 23,0 24,9 26,7 28,5

550 18,3 20,1 22,0 23,8 25,6 27,5 29,3

600 19,1 20,9 22,7 24,5 26,4 28,2 30,0

650 19,8 21,6 23,4 25,3 27,1 28,9 30,8

700 20,5 22,3 24,2 26,0 27,8 29,6 31,5

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E=numero di Eulero (2,718…)

WOL=week of lactation (settimana di lattazione)

Rispetto alle ingestioni ricavabili e riportate in tabella 1, l’ingestione effettiva sarà in realtà inferiore

nelle prime fasi di lattazione (-37% nelle prime 2 settimane e -25% nella 3a e 4a settimana dopo il

parto) quando la bovina deve attingere alle riserve adipose per sostenere la produzione lattea a fronte

di una capacità di ingestione ancora bassa, anche se in ripresa. Il livello di ingestione alimentare

aumenta poi gradualmente nel corso della lattazione portandosi a -16% del livello massimo al secondo

mese di lattazione, -7% al terzo, -3% al quarto, fino a raggiungere il massimo previsto dal 5° mese di

lattazione in poi. I valori di tabella 1 rispecchiano la realtà di stalle ben gestite in termini di

management in generale e di alimentazione in particolare.

Poiché è noto che a parità di taglia e di livello produttivo di latte esiste una grande variabilità

individuale nell’ingestione di SS, è stato sviluppato un metodo interessante per valutare gli animali

più efficienti, e quindi impiegarli per la selezione genetica: il Residual Feed Intake (RFI), dato dalla

differenza tra l’ingestione effettiva di SS e quella stimata in base alla taglia (meglio: al peso

metabolico, PM=PV0,75) e al livello produttivo dell’animale. Nonostante l’ereditabilità del carattere

RFI ai fini della produzione lattea sia piuttosto contenuta (15-18%) e inferiore a quella per la

produzione di carne, l’impiego di animali con bassi RFI tende ad aumentare la sostenibilità economica

ed ambientale (per es. meno metano emesso/kg latte) dell’allevamento.

Caratteristiche alimentari e nutritive della dieta

Dal punto di vista nutrizionale molti dei programmi di razionamento oggi disponibili (per es. CNCPS,

CPM Dairy, NDS Light e Professional, Supermix, Plurimix) consentono un approccio “dinamico”

alla formulazione della dieta più adatta all’animale in funzione di molti parametri ambientali, della

tipologia dell’animale, della sua produzione lattea e degli alimenti disponibili (foraggi e concentrati).

Esamineremo, a titolo d’esempio, alcune razioni per vacche in lattazione, in asciutta, in transizione e

per il bestiame da rimonta. Tuttavia, prima di un commento specifico di tali razioni, riteniamo utile

fare alcune considerazioni generali di approccio al razionamento stesso e ai piani alimentari del

bestiame da latte.

In estrema sintesi e semplificazione, sotto il profilo alimentare la razione deve avere mediamente le

caratteristiche riportate in tabella 2.

Tab. 2 – Principali caratteristiche nutritive delle razioni per bovine da latte.

NB: I dati riportati sono da intendersi come valori medi e indicativi.

Caratteristiche nutritive razioni per bovini da latte

<20 20-30 30-40 >40 ASC. TRANSIZ. 1-3 sett. Manzette Manze Manze

kg latte kg latte kg latte kg latte (preparto) lattaz. (3-7 mesi) 8-15 mesi gravide

PG (% s.s.) 13-14 14-15 15-16 16-17 11-12 13-14 17-18 15-16 14-15 13-14

EE (% s.s.) 3,0 3,5 4,0 4,5 2,5 3,0 3,5 3,5 3,0 2,5

NDF (% s.s.) 40-45 35-40 32-35 30-32 60-70 45-50 35-40 40-45 40-50 50-60

peNDF (% s.s.) 33-37 28-32 24-28 22-25 50-60 40-45 25-30 30-35 37-42 45-50

Amido (% s.s.) 15-20 20-25 25-28 28-30 5-10 15-20 20-25 20-25 15-20 10-15

NFC (% s.s.) 30-34 34-37 37-40 40-43 15-20 28-32 35-38 28-32 26-30 22-26

NEl (Mcal/kg SS) 1,36 1,50 1,62 1,70 1,19 1,45 1,53 1,53 1,36 1,28

UFL/kg SS 0,80 0,88 0,95 1,00 0,70 0,85 0,90 0,90 0,80 0,75

Ca (% s.s.) 0,60 0,65 0,70 0,75 0,40 0,45 0,70 0,70 0,50 0,45

P (% s.s.) 0,32 0,34 0,36 0,38 0,30 0,30 0,34 0,38 0,33 0,30

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Fibra e amido

Particolare attenzione va data al tenore in fibra neutro detersa (neutral detergent fibre, NDF) e alla

sua “struttura”: almeno 1/3 dell’NDF è bene sia a fibra “lunga e strutturata” (NDF-FLS), cioè

apportata soprattutto da foraggi trinciati a non meno di 2 cm, anche se pubblicazioni recenti indicano

4 mm come il valore minimo di lunghezza delle particelle alimentari per considerare la fibra come

“fisicamente effettiva” (physically effective NDF, peNDF). In tal modo si garantirà il buon

funzionamento del rumine e dell’apparato digerente in generale, limitando però l’effetto “ingombro”

che i foraggi lunghi determinano nel rumine, con conseguente minor ingestione alimentare da parte

della bovina, come prima ricordato.

Un altro aspetto essenziale e complementare al tenore in fibra è il contenuto di amido, il principale

dei carboidrati non fibrosi (non fibrous carbohydrates, NFC) che, assieme a pectine (la cosiddetta

“fibra solubile”), zuccheri e beta-glucani, costituisce la fonte di energia rapidamente disponibile per

il ruminante. Fino a produzioni giornaliere di circa 30 litri di latte il tenore in amido della dieta può

essere limitato, ma per produzioni superiori deve essere del 25-29% s.s. (pari a un contenuto di NFC

del 38-43% s.s.) per assicurare un adeguato apporto energetico. Il problema infatti, per bovine da latte

ad alta produzione, non è solo il contenuto di energia netta dell’alimento, ma anche il tempo richiesto

dai processi digestivo/metabolici affinché tale energia si renda disponibile per l’animale. In tal senso,

pur avendo un contenuto di energia netta latte (net energy for lactation, NEl) analogo (0,90 UFL/kg

SS, dove 1 unità foraggera latte=1,7 MCal o 7,113 MJ NEl), c’è una sostanziale differenza tra 1 kg

di polpe di bietola e 1 kg di farinaccio di frumento: le polpe, ricche di una fibra ottima (mediamente

55% NDF e 1% ADL s.s.), impiegheranno comunque oltre 24 ore per rilasciare completamente la

loro energia, mentre l’energia netta del farinaccio, ascrivibile soprattutto al suo contenuto di amido

(circa 40% s.s.), si renderà disponibile per la bovina nel giro di qualche ora. Tale differenza non è

fondamentale per produzioni medio/basse, ma lo diventa per produzioni alte dove alla mammella

devono arrivare in continuazione elevate quantità di nutrienti con il sangue. Non a caso l’apparato

mammario della bovina ad alta produzione è estremamente vascolarizzato e per ogni litro di latte

prodotto vi devono transitare circa 600 litri di sangue; per una produzione di 50 l di latte al giorno ciò

significa 30.000 litri di sangue che passano dalla mammella ogni giorno, pari a 1 litro di sangue ogni

3 secondi!

Il rapporto “amido/NDF” è bene si attesti su valori attorno a 0,9 per le alte produzioni, anche

nell’ottica di ridurre il più possibile l’emissione di metano (CH4, uno dei principali gas a effetto serra)

per kg di latte. Infatti è soprattutto la fermentazione delle frazioni fibrose, emicellulosa e cellulosa

non lignificate, a orientare le fermentazioni ruminali a favore dell’acido acetico con conseguente

liberazione di ioni idrogeno nel rumine. Per contro, l’amido favorisce la produzione di acido

propionico che sottrae H+ all’ambiente ruminale e alla reazione chimica di riduzione del carbonio nel

processo di metanogenesi.

I bovini sono comunque ruminanti e come tali necessitano di fibra a livello sia nutritivo sia dietetico

per un buon funzionamento dell’apparato gastro-intestinale, a partire dal rumine. Un eccesso di NFC

e di amido in particolare comprometterebbe tutto ciò favorendo l’insorgenza dell’acidosi ruminale.

Ecco il motivo per cui nella lattifera, anche se ad alta produzione, non bisogna scendere sotto il 30%

di NDF s.s. nella dieta assicurando che almeno 1/3 di essa sia apportata da foraggi a fibra lunga e

strutturata (possibilmente anche fieni, non solo insilati) per stimolare la ruminazione e la

concomitante produzione di saliva, il tampone naturale contro l’acidità ruminale. Viene così garantito

un pH medio del fluido ruminale di 6,3-6,6 che consente un ambiente idoneo allo sviluppo anche dei

microrganismi cellulosolitici, i più a rischio in caso di acidosi subclinica. Per razioni molto ricche in

insilati e in amido e con scarsa fibra è opportuno integrare la dieta con sali ad azione tampone come

il bicarbonato di sodio e il carbonato di calcio.

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Proteine

Il tenore proteico delle razioni delle bovine in lattazione è stato abbassato rispetto ad anni fa quando

non si teneva conto della proteina metabolizzabile (metabolizable protein, MP) e dell’impatto

dell’escrezione azotata a livello ambientale. I livelli di proteina grezza riportati in tabella 2 (che

corrispondono a un tenore in MP del 9-11% s.s. per bovine in lattazione tra i 20 e i 40 litri/giorno,

rispettivamente) sono conciliabili con le produzioni ad essi associati purché il contenuto di amido

nella razione sia adeguato. Infatti, mediamente il 60% circa della proteina metabolizzabile che la

bovina ottiene deriva dalla componente microbica del rumine e “solo” il 40% deriva dalla proteina

alimentare che non viene degradata nel rumine, la cosiddetta proteina bypass o proteina indegradabile

nel rumine (rumen undegradable protein, RUP). Pertanto è fondamentale che i microrganismi del

rumine (batteri e protozoi) abbiano a disposizione, oltre all’azoto, anche energia per poter crescere e

moltiplicarsi. Tale energia deriva dai carboidrati digeribili, quindi NFC (amido, pectine, zuccheri) e

NDF (emicellulose e cellulosa non lignificate).

Per produzioni di latte medio-basse una fonte di energia alimentare prevalentemente da fibra non è

un problema, ma per produzioni elevate una carenza di energia da alimenti rapidamente

fermentescibili lo sarebbe: nel rumine si avrebbe infatti un accumulo di ammoniaca (NH3) e della sua

forma solubile ione ammonio (NH4+) derivanti dal processo di proteolisi: rottura del legame peptidico

tra due aminoacidi della catena proteica delle proteine alimentari e successivo distacco del gruppo

amminico NH2 dagli aminoacidi stessi. L’ambiente riducente del rumine, ricco di ioni idrogeno (H+),

converte poi rapidamente i gruppi amminici in ammoniaca. Quest’ultima, se in quantità eccessiva,

viene in parte assorbita dalla parete ruminale ed entra in circolo sanguigno, giungendo al fegato che

la trasforma in urea. Tale conversione è fondamentale in quanto l’ammoniaca è tossica, mentre l’urea

non lo è, anche se rappresenta una molecola di scarto che va comunque eliminata, principalmente con

le urine e in piccola parte anche con il latte o riciclata tramite la saliva che la riporta nel rumine.

Vi è un’altissima correlazione tra i contenuti di urea nel sangue e nel latte e ciò semplifica il

monitoraggio nutrizionale della bovina in lattazione in quanto l’analisi dell’urea del latte di ogni

vacca è ormai fatta di routine e valori superiori ai 28-30 mg urea/100 cc di latte indicano

tendenzialmente un eccesso proteico nella razione associato magari a una carenza di energia da

substrati rapidamente fermentescibili. Ecco perché nella dieta della bovina ad alta produzione di latte

il rapporto “amido/proteina grezza” deve tendere a 1,8.

Un tenore proteico della razione contenuto favorisce anche l’efficienza di utilizzazione dell’azoto

alimentare che verrà convertito in azoto del latte in ragione del 30-35%, riducendo così la quota di

azoto escreto con feci e urine, a tutto vantaggio dell’ambiente, quindi con meno nitrati nelle acque

superficiali e del sottosuolo e ammoniaca in atmosfera.

Lipidi

Il tenore lipidico delle razioni per ruminanti, espresso in genere come “estratto etereo” (dal metodo

di analisi dei grassi, estratti dal campione con solventi organici come l’etere etilico e/o etere di

petrolio), è in genere assai contenuto, nell’ordine del 2-3% sul secco per bestiame da rimonta

(manzette e manze) e bovine in asciutta e del 3-4% s.s. per vacche in lattazione. Per queste ultime,

specie se ad alta produzione, nella prima metà della lattazione e soprattutto in condizioni di elevate

temperature e umidità ambientali che tendono a deprimere l’ingestione alimentare, si può arrivare al

5-6% di estratto etereo s.s., includendo nella razione fonti lipidiche con una naturale bassa lipolisi

ruminale o fisicamente/chimicamente rumino-protette (es. grassi idrogenati, acidi grassi salificati con

Ca, Na o K, lipidi micro-incapsulati). In natura gli erbivori si nutrono quasi esclusivamente di foraggi

aventi un basso tenore lipico (1-3% s.s.) e il rumine non è certo un ambiente idoneo alla digestione

di elevate quantità di grassi e oli.

I lipidi ingeriti con gli alimenti (costituiti soprattutto da trigliceridi e, in misura assai minore, da

fosfolipidi e glicolipidi), una volta nel rumine vanno incontro per lo più a lipolisi, venendo in buona

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parte idrolizzati, con rottura del legame estere, a glicerolo e acidi grassi. Il glicerolo è rapidamente

metabolizzato ad acidi grassi volatili (AGV), poi assorbiti attraverso la parete ruminale per entrare in

circolo ematico, mentre gli acidi grassi liberi, se insaturi (quindi con presenza di doppi legami tra

atomi di carbonio), vengono per lo più idrogenati: in pratica i doppi legami esistenti tra alcuni dei

loro atomi di carbonio vengono ridotti a legami semplici, previa inserimento di ioni idrogeno (H+) di

cui il rumine è ricco, essendo un ambiente riducente. Così, per es. l’acido linolenico (C18:3) diventa

prima acido linoleico (C18:2), poi acido oleico (C18:1) e infine acido stearico (C18:0), privo di doppi

legami e quindi “saturo”.

Quanto detto è una semplificazione estrema, in quanto il metabolismo lipidico ruminale è in realtà

assai complesso e le vie metaboliche possibili sono molte. Limitiamoci a dire che i doppi legami tra

gli atomi di C vengono contati a partire dalla parte della catena dell’acido grasso dove è presente il

metile (CH3) e che la disposizione spaziale degli H+ rispetto ai due atomi di C può essere dalla stessa

parte (cis) o da parti opposte (trans). Quindi, per es. nell’acido rumenico (cis9, trans11 C18:2) il

primo doppio legame si trova tra gli atomi C 9 e C 10 a partire dal metile e avrà i due H+ dallo stesso

lato della catena, mentre il secondo doppio legame si troverà tra gli atomi C 11 e C 12 e avrà i due

H+ in posizione opposta rispetto all’asse della catena carboniosa.

Buona parte dell’acido linoleico (cis9, cis12 C18:2) viene isomerizzazione a livello del doppio

legame in posizione cis12 e trasformato così in acido rumenico (cis9, trans11 C18:2) e quest’ultimo

idrogenato poi ad acido vaccenico (trans 11 C18:1). L’idrogenazione finale dell’acido vaccenico ad

acido stearico (C18:0) è una reazione che avviene lentamente e ciò consente all’acido vaccenico di

sfuggire in larga parte al processo di bioidrogenazione e di accumularsi nel rumine per poi passare a

valle nell’apparato digerente, essere assorbito in duodeno, entrare in circolo e raggiungere la

ghiandola mammaria dove, per azione dell’enzima delta nove (∆9) desaturasi, è desaturato tornando

nuovamente ad acido rumenico, il principale isomero dell’acido linoleico coniugato (CLA) nel latte

vaccino.

Tali azioni metaboliche sono molto importanti, stante l’azione nutraceutica di sostanze come gli stessi

CLA e gli Omega-3 (Ω3), acidi grassi come l’acido linolenico C18:3, l’acido eicosapentaenoico

(EPA) C20:5 e l’acido docosaesaenoico (DHA) C22:6 con il primo doppio legame sul carbonio n° 3.

Gli acidi grassi della serie Ω3 (n-3) e Ω6 (n-6, con il primo doppio legame sul C n° 6 della catena,

come per es. l’acido linoleico C18:2) sono considerati essenziali e vitali per la salute perché non

possono essere sintetizzati dagli organismi superiori (uomo incluso) e devono quindi essere assunti

attraverso gli alimenti. Da qui l’importanza di poter ottenere, anche grazie a tecniche alimentari, un

latte più ricco in CLA e Ω3.

Le versioni più recenti del sistema “Cornell” (CNCPS, Cornell Net Carbohydrate and Protein System)

tengono conto, tramite specifiche equazioni, dei sei passaggi fondamentali riguardanti il metabolismo

ruminale e l’assorbimento intestinale degli acidi grassi a lunga catena (LCFA): 1) ingestione dei lipidi

alimentari; 2) lipolisi ruminale dei lipidi alimentari; 3) bio-idrogenazione degli LCFA nel rumine; 4)

sintesi di nuovi LCFA nel rumine; 5) passaggio degli LCFA a valle del rumine; 6) digestione

intestinale degli LCFA. Il CNCPS distingue quindi 3 frazioni di lipidi per i bovini da latte: 1) i lipidi

alimentari che non vanno incontro a lipolisi ruminale; 2) i lipidi alimentari che vengono idrolizzati

nel rumine e sono poi bio-idrogenati in varia misura prima di passare a valle del rumine; 3) i lipidi

sintetizzati ex novo nel rumine stesso dalla popolazione microbica a partire da precursori carboniosi;

tali lipidi transitano a loro volta a valle del rumine. I lipidi che arrivano nel duodeno sono quindi

composti da acidi grassi di origine sia alimentare che microbica.

Minerali e vitamine

I fabbisogni minerali e vitaminici delle principali categorie di bovini da latte sono riportate in tabella

3. Delle vitamine vengono riportate solo quelle liposolubili in quanto le idrosolubili sono prodotte

dalla popolazione microbica ruminale e non serve di norma una loro aggiunta nella razione. Solo in

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qualche caso può essere utile l’inclusione di alcune vitamine del gruppo B (per es. la niacina, la colina,

l’acido ascorbico) che però devono essere rumino-protette, per es. mediante micro-incapsulazione in

matrici lipidiche.

Tab. 3 – Fabbisogni minerali e vitaminici delle principali categorie di bovini da latte.

Dato lo scarso contenuto in oligoelementi e vitamine dei foraggi conservati (fieni, paglie e insilati) e

degli alimenti concentrati, spesso sottoposti poi a trattamenti termici che ne limitano ulteriormente la

biodisponibilità vitaminica, conviene effettuare una somministrazione di tali nutrienti tramite

integratori specifici dove i singoli nutrienti (vitamine e oligoelementi) possono essere inclusi in parte

in forma libera e in parte in forma rumino-protetta (micro-incapsulati/chelati). In tal modo si

garantisce l’apporto vitaminico e oligominerale sia alla popolazione microbica del rumine, sia

direttamente alla bovina stessa. Essendo i fabbisogni calcolati sulla bovina, è bene che le quantità di

vitamine e oligoelementi apportate con la dieta siano leggermente superiori ai fabbisogni stessi.

Normalmente ciò viene conseguito somministrando qualche ettogrammo di un integratore

appositamente formulato. Per esempio, 0,3 kg/capo giorno di un integratore vitaminico minerale

contenente, per kg, 1000 mg Fe, 650 mg Cu, 3000 mg Zn, 1000 mg Mn, 40 mg I, 23 mg Se, 300.000

UI vit. A, 70.000 UI vit. D, 2.000 mg vit. E, garantiranno un apporto vitaminico e oligominerale che

sommato a quello apportato dalle materie prime (foraggi, concentrati e sali minerali) della razione

coprirà i fabbisogni nutritivi in tali nutrienti nella vacca in lattazione.

Razioni per vacche in lattazione

A – 40 kg latte/giorno

La tabella 4 riporta una razione per un gruppo di bovine frisone, mediamente di seconda lattazione,

di 630 kg di peso, alla fine del 4° mese di lattazione, con produzione giornaliera di 40 kg di latte al

LATTAZIONE ASCIUTTA MANZE

Ca (% s.s.) 0,65 0,40 0,50

P (% s.s.) 0,34 0,30 0,33

Mg (% s.s.) 0,20 0,11 0,12

K (% s.s.) 1,00 0,50 0,48

Cl (% s.s.) 0,25 0,13 0,11

Na (% s.s.) 0,22 0,11 0,08

S (% s.s.) 0,20 0,20 0,20

Fe (mg/kg SS) 15 13 40

Cu (mg/kg SS) 11 12 10

Zn (mg/kg SS) 48 21 30

Mn (mg/kg SS) 14 16 20

I (mg/kg SS) 0,5 0,4 0,3

Se (mg/kg SS) 0,3 0,3 0,3

Co (mg/kg SS) 0,1 0,1 0,1

Vit. A (UI/kg SS) 3500 6000 4000

Vit. D (UI/kg SS) 900 1600 1200

Vit. E (mg/kg SS)* 25 65 30

* 1 mg vit E = 1,5 UI vit E

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3,8% di grasso e 3,3% di proteine. Alimentazione con tecnica unifeed e condizioni ambientali

standard di temperatura e umidità. Ovviamente ci sarà una variabilità tra le bovine del gruppo di cui

dovrò tenere conto in sede di razionamento, non impostando una dieta per la media produttiva

aritmetica, ma privilegiando le bovine più produttive, anche a rischio di dare un po’ più del dovuto a

quelle meno produttive del gruppo stesso. Ciò in realtà trova una giustificazione nel fatto che le

vacche meno produttive sono in genere quelle più avanti di lattazione, in una fase fisiologica in cui

devono recuperare le riserve corporee (tessuti adiposo e muscolare) a cui hanno attinto a inizio

lattazione, quando l’ingestione alimentare era insufficiente a soddisfare i fabbisogni energetici e

proteici. È normale e corretto, quindi, che la bovina aumenti di peso nella seconda metà della

lattazione arrivando alla messa in asciutta con un BCS di 3,5-3,8, purché poi non ingrassi più durante

la fase di asciutta, pena il rischio di chetosi nelle prime settimane dopo il parto.

Gli alimenti scelti per la razione di tabella 4 sono tra quelli solitamente a disposizione di un’azienda

da latte intensiva della pianura padana. L’ingestione di SS prevista è di 23,4 kg/d, di cui il 53% da

foraggi. Tra questi il silomais rappresenta oltre la metà in termini di SS apportata nella razione, in

ragione della sua elevatissima produzione di SS e di UFL ad ettaro. Ricordiamo che circa metà della

SS apportata dal silomais deriva dalla granella in stadio di maturità cerosa e che il tenore in amido

dell’intera pianta raccolta in questo stadio è del 30-35% s.s. La maggior parte delle UFL del silomais

derivano quindi dall’amido che esso apporta con la granella; la qualità della fibra delle foglie e ancor

più dello stocco è invece mediocre.

Tab. 4 - Esempio di razione per una bovina da 40 kg di latte/giorno, analisi chimica e profilo nutrizionale.

% s.s. pH rum 6,5

Peso vivo, kg 630 Cen. 6,8 Urea latte 26 mg/dL

N° lattazione 2 PG 15,9 Prot solub. 31 % della PG

Giorni di lattazione 120 MP 11,4 RDP 62 % della PG

Latte/d, kg 40 EE 4,3 MP microb. 1533 g/d (=57%)

Grasso del latte, % 3,8 NDF 31,9 MP da RUP 1136 g/d (=43%)

Proteine del latte, % 3,3 peNDF 24,3

ADF 21,1 Latte potenz. da ME=41,8 kg/d

kg TQ kg SS Lignina 3,5 Latte potenz. da MP=39,6 kg/d

Silomais 20,0 6,4 NFC 43,2

Prato stabile insilato 5,0 2,2 Ac. org. 3,0 Crescita microbica (g/d):

Medica insilata 2,9 1,8 Zucch. 6,3 Amil. Cellul. Totale % s.s.

Loiessa fieno 1,4 1,2 Amido 28,2 SS 3351 738 4089

Medica fieno 1,0 0,9 Pectine 5,8 PG 2095 461 2556 63

Mais farina 6,0 5,3 NEl 1,73 MP 1257 277 1534 38

Soia semi tostati 1,7 1,6 UFL 1,02 CH2O 707 156 863 21

Soia far. estraz. 1,3 1,2 Ca 0,81 EE 402 88 490 12

Lino panello 1,0 0,9 P 0,37 Cen 148 32 180 4

Farinaccio di frum. 1,0 0,9 Mg 0,25

Melasso di canna 1,0 0,7 K 1,54 Bilancio

Calcio carbonato 0,2 0,2 S 0,21 g/d % g/d %

Sodio bicarbonato 0,1 0,1 Na 0,24 Ingerito 593 100,0 86 100,0

Cloruro di sodio 0,04 0,04 Cl 0,48 Tessuti 1 0,2 0,3 0,3

Totale 42,6 23,4 Latte 207 34,9 40 46,51

SS razione, % 55 Met * 2,0 Feci 250 42,2 45 52,33

Foraggi su SS totale, % 53 Lys * 6,6 Urine 135 22,8 1 1,2

* % MP Tot escreto 385 64,9 46 53,49

N P

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Tra gli altri foraggi presenti nella razione ci sono sia fieni sia insilati: i primi stimolano molto la

ruminazione e la produzione di saliva (potere tampone), i secondi sono in genere di valore nutritivo

maggiore, avendo normalmente meno perdite durante l’appassimento in campo (se effettuato) e la

conseguente conservazione in silo, rispetto ai medesimi foraggi conservati con fienagione

tradizionale che prevede l’essiccazione completa in campo.

Tra i concentrati abbiamo scelto singole materie prime, anziché un mangime composto, per dare

maggiormente l’idea dei vari componenti della razione. Per semplicità abbiamo omesso di includere

l’integrazione micro-minerale e vitaminica, facilmente realizzabile con l’aggiunta di circa 100 g di

un integratore composto.

Nella colonna centrale di tabella 4 è riportata l’analisi chimica della razione: da sottolineare il

contenuto proteico relativamente contenuto (PG 15,9% e MP 11,4% s.s.) per il livello produttivo

considerato. Anche il tenore in NDF è basso (31,9% s.s.), ma ¾ di essa è strutturata: la peNDF citata

prima e data dalla quantità di alimento che si ferma in tre setacci sovrapposti aventi pori di 19, 8 e 4

mm, moltiplicata per il contenuto di NDF del foraggio. Dall’analisi di tabella 4 si nota anche il basso

tenore in lignina (3,5% s.s.) e alti contenuti in amido (28,2% s.s.) e in NFC (43,2% s.s.). Ne consegue

un’alta concentrazione energetica della dieta (1,02 UFL/kg SS). I minerali sono nei limiti usuali per

questo livello produttivo, così come metionina e lisina, i due aminoacidi normalmente limitanti per

la vacca da latte ad alta produzione (2,0% e 6,6% della proteina metabolizzabile, rispettivamente).

Sempre in tabella 4 si nota che il pH ruminale stimato dal programma di razionamento per questa

dieta è 6,5, quindi un pH normale per tali livelli produttivi e per una razione ricca di amido e di NFC

in genere. Dal punto di vista proteico la proteina solubile è il 31% della proteina grezza totale e la

proteina rumino-degradabile (RDP) il 62%. Il rapporto tra le due componenti è ottimale e garantisce

una pronta disponibilità azotata a livello ruminale da parte della frazione solubile, mentre il resto

della frazione rumino-degradabile rilascia l’azoto in tempi più lunghi evitando un accumulo eccessivo

di ammoniaca. Interessante anche notare che della proteina metabolizzabile (MP, in pratica quella

assorbita sotto forma di aminoacidi nell’intestino tenue), quella derivata dalla proteina microbica

ruminale rappresenta il 57%, mentre quella derivata dalla proteina alimentare non degradata nel

rumine (RUP, la cosiddetta proteina “by-pass”) è il 43%. Si conferma quindi, anche per le alte

produzioni, l’importanza cruciale dell’attività ruminale che porta da un lato a fornire energia alla

bovina sotto forma di acidi grassi volatili (acetico, propionico e butirrico, assorbiti dalla parete

ruminale) e dall’altro lato a fornire una massa microbica (batteri e protozoi) ricchissima di proteina e

di aminoacidi essenziali che vengono poi assorbiti nell’intestino tenue della bovina.

La disponibilità di nutrienti apportati dalla massa microbica ruminale è riportata in tabella 4:

giornalmente oltre 4 kg di SS tra microrganismi amilolitici (la maggior parte) e cellulosolitici, e oltre

2,5 kg di proteina grezza e 1,5 kg di proteina metabolizzabile!

Il programma di razionamento avverte poi (tab. 4) che, con questa razione e per l’animale considerato,

l’energia metabolizzabile della dieta consentirebbe di arrivare a 41,8 kg di latte/d, mentre la proteina

metabolizzabile “solo” a 39,6 kg/d. In questo caso quindi il fattore limitante sembra essere la proteina,

anche se la produzione si attesta comunque sui 40 litri previsti.

Infine, la tabella 4 riporta i bilanci dell’azoto e del fosforo, i due principali fattori di possibile

inquinamento di acque (nitrati, fosfati ed eutrofizzazione) e atmosfera (ammoniaca, con piogge acide

e polveri sottili): l’efficienza di utilizzazione dell’azoto è del 34,9% e la sua escrezione giornaliera

pari a 385 g. L’escrezione di fosforo, ascrivibile quasi interamente alle feci, è invece pari a 46 g/d.

La stima dell’escrezione azotata è utile per cercare di limitarla il più possibile, minimizzando

l’impatto ambientale ai sensi della Direttiva Nitrati dell’UE e delle conseguenti normative nazionali

e regionali.

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B – 20 kg latte/giorno

In tabella 5 si riporta un’altra razione, questa volta per una produzione medio/bassa (20 kg

latte/giorno). Rispetto alla razione precedente, l’ingestione di SS è ovviamente inferiore (18,1 kg/d)

e la quota di SS apportata dai foraggi superiore (73%). Chimicamente la dieta ha, sul secco: 14 ,2%

PG, 42% NDF, 21,9% amido e 0,93 UFL/kg. L’urea del latte è molto bassa (17 mg/dL) e la proteina

rumino-degradabile elevata (70%). La popolazione microbica del rumine apporta il 67% della

proteina metabolizzabile e quest’ultimo fattore sembra essere il fattore limitante per la produzione

lattea (max 18,7 kg/d), mentre l’energia metabolizzabile è in esubero e consentirebbe una produzione

di 22,8 kg/d. La crescita microbica a livello ruminale vede sempre la prevalenza degli amilolitici, ma

l’apporto dei cellulosolitici, con questa razione più fibrosa della precedente, aumenta (dal 18 al 27%).

Il bilancio dell’azoto vede una minor efficienza di utilizzazione (26,9%) rispetto alla razione

precedente, il che è in linea con il fatto che il costo fisso del mantenimento pesa proporzionalmente

di più in una bovina da 20 che non in una da 40 kg di latte al giorno. L’azoto escreto passa quindi da

9,6 g N/kg latte (per la produzione di 40 litri) a 14,9 g N/kg latte per la produzione di 20 litri.

Razioni per vacche in asciutta e in transizione e per manze

Asciutta

Non producendo più latte, i fabbisogni nutritivi della bovina in asciutta sono drasticamente più bassi

di quella in lattazione (tab. 2). Fondamentalmente, la bovina nelle prime 5-6 settimane di asciutta non

Tab. 5 - Esempio di razione per una bovina da 20 kg di latte/giorno, analisi chimica e profilo nutrizionale.

% s.s. pH rum 6,5

Peso vivo, kg 650 Cen. 6,5 Urea latte 17 mg/dL

N° lattazione 2 PG 14,2 Prot solub. 39 % della PG

Giorni di lattazione 240 MP 9,4 RDP 70 % della PG

Latte/d, kg 20 EE 3,2 MP microb. 1129 g/d (=67%)

Grasso del latte, % 4,0 NDF 42,0 MP da RUP 565 g/d (=33%)

Proteine del latte, % 3,5 peNDF 34,5

ADF 28,3 Latte potenz. da ME=22,8 kg/d

kg TQ kg SS Lignina 4,5 Latte potenz. da MP=18,7 kg/d

Silomais 22,0 7,0 NFC 36,5

Prato stabile insilato 3,0 2,7 Ac. org. 3,7 Crescita microbica (g/d):

Loiessa fieno 3,0 1,3 Zucch. 5,1 Amil. Cellul. Totale % s.s.

Medica insilata 2,0 1,2 Amido 21,9 SS 2194 818 3012

Medica fieno 1,0 0,9 Pectine 5,9 PG 1371 511 1882 62

Mais farina 2,0 1,8 NEl 1,58 MP 823 307 1130 38

Crusca di frumento 1,0 0,9 UFL 0,93 CH2O 463 173 636 21

Soia far. estraz. 1,0 0,9 Ca 0,64 EE 263 98 361 12

Lino panello 1,0 0,9 P 0,38 Cen 96 36 132 4

Melasso di canna 0,5 0,4 Mg 0,28

Calcio carbonato 0,05 0,05 K 1,67 Bilancio

Cloruro di sodio 0,06 0,06 S 0,21 g/d % g/d %

Totale 36,6 18,1 Na 0,18 Ingerito 409 100,0 68 100,0

SS razione, % 49 Cl 0,65 Tessuti 0,3 0,1 0,1 0,1

Foraggi su SS totale, % 73 Latte 110 26,9 20 29,4

Met * 2,1 Feci 200 48,9 47 69,1

Lys * 6,9 Urine 98 24,0 1 1,5

* % MP Tot escreto 298 72,9 48 70,6

N P

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deve ingrassare e la sua dieta standard è a base di fieno di graminacee o di prato stabile, con inclusione

eventuale di paglia, e una modesta integrazione di mangime, sali minerali e vitamine. Se non si vuole

effettuare un razionamento con sali anionici, la razione può essere quella riportata nella seconda

colonna della tabella 6.

L’ingestione media di SS si attesta sui 12 kg/d con il 90% circa di foraggi a base prevalente di fieno

di graminacea, apportatore di tanta NDF di discreta qualità. In asciutta meglio evitare sia il silomais

(per il suo alto valore energetico che potrebbe far ingrassare la bovina in questa fase) e l’erba medica,

eccessivamente ricca in proteine e soprattutto in calcio (1,5% s.s.), pericoloso per l’insorgenza

dell’ipocalcemia (collasso puerperale o febbre da parto). In questa prima fase di asciutta la dieta deve

quindi essere “spartana”, ricca di NDF e bassa in proteine, amido ed energia netta latte.

Tab. 6 - Esempi di razioni per vacche in asciutta, in transizione e per bestiame da rimonta.

Asciutta Pre-parto Post-parto Manzette Manze Manze gravide

kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ kg TQ

Silomais 10,0 5,0 4

Prato stabile insilato 5,0 3

Loiessa fieno 10,0 6,0 1,0 1,0 2,5 4

Triticale insilato 5,0 5,0

Medica insilata 2,5 2,0

Medica fieno 1,0 1,0 2,0 1

Paglia di frumento 1

Mais farina 1,0 2,3 4,0 1,0 0,5 0,7

Crusca di frumento 1,0 1,0 1,3

Soia far. estraz. 0,4 0,8 1,5 0,2 0,4 0,5

Soia seme int. tostato 1,3

Lino panello 0,5

Melasso di canna 0,5

Integratore vit/min 0,10 0,10 0,17 0,03 0,03 0,03

Totale TQ 16,5 14,2 27,5 6,2 11,4 15,5

Totale SS, kg 12,1 10,1 15,7 5,0 7,3 10,2

Foraggi su SS totale, % 89 72 55 60 77 78

ANALISI (% s.s.)

Cen. 5,8 7,4 7,1 7,6 7,0 7,1

PG 11,7 13,6 17,9 15,6 14,5 13,1

MP 8,3 9,2 11,5 9,5 9,4 8,8

EE 3,5 3,7 4,4 3,4 3,1 3,1

NDF 59,3 49,1 32,5 41,3 47,7 53,3

peNDF 57,7 46,2 25,6 32,5 41,3 47,5

ADF 43,3 35,1 22,5 29,9 33,6 36,1

Lignina 4,6 3,8 3,7 5,5 5,1 5,5

NFC 21,0 28,9 40,5 35,1 30,6 26,4

Amido 8,1 17,4 24,6 18,2 15,1 12,6

Pectine 7,8 6,7 6,8 10,7 9,1 7,9

NEl 1,38 1,55 1,75 1,48 1,47 1,39

UFL 0,81 0,91 1,03 0,87 0,86 0,82

Ca 0,62 0,53 0,81 0,97 0,73 0,64

P 0,31 0,33 0,36 0,49 0,44 0,42

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Transizione

Il periodo del peri-parto (da 2 settimane prima a 3 settimane dopo il parto), detta comunemente fase

di “transizione” è un momento cruciale per la bovina da latte che va incontro a grandi cambiamenti

nell’assetto ormonale e metabolico che si riflettono inevitabilmente sul comportamento alimentare e

sulla necessità, da parte di chi effettua il razionamento, di adeguare la razione alle mutate condizioni

fisiologiche, preparando gradualmente la bovina alla dieta definitiva che avrà a disposizione dalla

quarta settimana dopo il parto. Transition cow la definiscono pragmaticamente gli statunitensi che

per primi hanno messo a punto le razioni più idonee in questa delicatissima fase di fine gravidanza-

inizio lattazione.

In estrema sintesi, la bovina, all’avvicinarsi del parto e subito dopo il parto stesso, perde sempre più

l’appetito, fa registrare un forte calo della glicemia e un concomitante rapido innalzamento ematico

degli acidi grassi liberi (free fatty acids, FFA) o acidi grassi non esterificati (non-esterified fatty acids,

NEFA) che dir si voglia. Tale fenomeno, imputabile a un’intensa lipolisi a carico dei tessuti adiposi,

porta a un sovraccarico epatico di acidi grassi e alla conseguente messa in circolo di corpi chetonici

(acetone, beta-idrossibutirrato, aceto-acetato) che predispongono la bovina alla chetosi.

Quanto più la vacca arriva grassa al parto, tanto maggiore è il rischio di chetosi. Ecco perché

l’alimentazione nei primi 40 giorni di asciutta dev’essere “spartana”: i fabbisogni di mantenimento

della bovina e quelli del feto sono perfettamente soddisfatti con una dieta ricca di fibra e a basso

contenuto proteico e amidaceo. Nelle ultime due settimane prima del parto, però la razione va

modificata tenendo conto della minor ingestione da parte della bovina e della necessità di non far

diminuire troppo la glicemia e la disponibilità aminoacidica: la razione “pre-parto” riportata in tabella

6 vede, rispetto a quella precedente di “asciutta”, un minor apporto di fieno e un concomitante

aumento del concentrato (farina di mais e di soia). In tal modo si riduce il tenore di NDF (49%), che

tende a ridurre il livello ingestivo, e si aumentano quelli in proteina (13,6% s.s.) e in amido e NFC

(17 e 29% s.s., rispettivamente) e quindi in energia (0,91 UFL/kg SS).

La razione delle vacche nelle prime 3 settimane dopo il parto (le cosiddette vacche “fresche”) vede

ancora un graduale adattamento (“transizione” appunto…) verso la razione definitiva in lattazione.

In tabella 6 si riporta un esempio di tale dieta “post partum” dove comincia a comparire il silomais,

in ragione però di soli 10 kg/giorno, oltre all’erba medica e a un foraggio di prato stabile. Gli insilati

hanno adesso la predominanza sui fieni, in virtù del loro maggiore valore nutritivo: ricordiamo infatti

che in queste prime settimane di lattazione il livello di ingestione alimentare è ancora molto basso

(circa 16 kg SS/d) e che diventa quindi fondamentale somministrare alla bovina alimenti (foraggi in

primis) di digeribilità e valore nutritivo elevati. Anche la concentrazione proteica della dieta

dev’essere alta in questa fase (18% circa s.s.) tenendo presente che la bovina ha molte più riserve

energetiche che non proteiche. Infine, per limitare i rischi di dismetabolie quali l’acidosi e la

dislocazione dell’abomaso, il tenore in NDF (32,5% s.s.) e in particolare di NDF a fibra lunga e

strutturata dev’essere abbastanza elevato per evitare uno “sgonfiamento” del rumine, e quello in

amido (24,6% s.s.) non eccessivo anche se sufficiente a fornire energia di pronto utilizzo che limiti

quindi i fenomeni di lipolisi e il rischio di acetonemia (chetosi). Diversi allevatori, in questa fase di

transizione, lasciano a diposizione delle bovine dell’ottimo fieno di prato stabile, in aggiunta

all’unifeed, e spesso gli animali si alimentano volontariamente di tale foraggio lungo.

Bestiame da rimonta

Dopo lo svezzamento la manzetta riceve un’alimentazione a base di foraggi e concentrati che a livello

analitico è simile a quella della bovina in lattazione per contenuto proteico, amidaceo e fibroso.

L’animale infatti in questo stadio (circa 3-7 mesi di età) ha ancora un apparato digerente e il rumine

in particolare poco sviluppato, bassi livelli di ingestione ma elevati fabbisogni di accrescimento.

Ricordiamo che per essere fecondata a 15 mesi, e quindi avere il primo parto a 2 anni, una manza

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deve avere raggiunto un peso di circa 380 kg il che equivale a un incremento medio giornaliero di

750 g; accrescimento che si ottiene solo somministrando buoni foraggi, integrati da concentrati e

integratori vitaminico-minerali. In molte stalle alle manzette viene distribuita una piccola quota della

razione formulata per le bovine in lattazione, integrata poi da fieno lungo a volontà per stimolare lo

sviluppo del rumine.

Crescendo poi la manza aumenta gradualmente il livello di ingestione alimentare e la razione contiene

quindi meno proteina e amido e più fibra. La quota di mangime, sul secco totale della razione, scende

dal 40 al 25% circa, ma bisogna verificare, pesando alcuni animali ogni 3/4 mesi, che l’accrescimento

ponderale sia quello desiderato, non superiore (altrimenti c’è il rischio che la manza ingrassi il che

non è certo desiderabile per un animale da latte), ma neanche inferiore, pena un posticipo della prima

fecondazione e quindi della carriera produttiva dell’animale.

Una volta gravida la manza riceverà una razione ancora più ricca in fibra e a minor contenuto proteico

ed amidaceo, in quanto il livello di ingestione sarà ulteriormente aumentato e l’animale potrà

beneficiare dell’anabolismo gravidico, con conseguente maggior capacità metabolica di utilizzare i

principi alimentari e nutritivi. In questa fase quindi, come del resto si può fare anche per l’asciutta, si

può includere nella dieta anche della paglia.

Sottolineiamo però che l’uso di alimenti grossolani e fibrosi, come paglia e fieni, per il bestiame da

rimonta e per le bovine in asciutta non equivale ad alimenti scadenti sotto il profilo della salubrità

(contenenti cioè muffe, micotossine on fase di irrancidimento o putrefazione). Questi ultimi non

vanno mai somministrati ad alcun tipo di animale. Il bestiame da rimonta poi va visto non come

qualcosa di improduttivo, ma come il futuro della mandria, ciò su cui si è puntato e si punta per

migliorare sempre di più l’efficienza di produzione (dairy efficiency, kg di latte/kg SS ingerita) e la

redditività dell’allevamento.

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