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CHIRURGIA ROBOTICA Italia all’avanguardia TERAPIA CHIRURGICA MININVASIVA DELL’EMICRANIA L’appendicite deve essere trattata chirurgicamente? PROFESSIONAL EDITION C L I N I C A L L E A D E R G I U L I A V E R O N E S I mininvasiva Chirurgia ERNIE ADDOMINALI Blocco TAP riduce il dolore

L’appendicite deve essere trattata chirurgicamente? Chirurgia...L’appendicite può presentarsi come non complicata ed acuta, oppure essere complicata da una perforazione, da un

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Chirurgia robotiCaitalia all’avanguardia

Terapia chirurgica mininvasivadell’emicrania

L’appendicite deve essere trattata chirurgicamente?

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sommario

SCIENCE SHOT

8 L’APPendiCiTe deve essere TrATTATA ChirurgiCAmenTe?

10TrAPiAnTo di renerara la paratiroidectomia

12rigurgiTo miTrALiCo efficace l’annuloplastica percutanea

HIGHLIGHTS

14ChirurgiA generALesicura per le donne in gravidanza

15 infezioni inTrA-AddominALi4 giorni di antibiotici potrebbero bastare

16 un nuovo inTervenTo rimuove LA vesCiCAsenza condannare al ‘sacchetto’ esterno

17isTereCTomiA ToTALe e LAPArosCoPiA roBoTiCAora si può

18 ernie AddominALiBlocco taP riduce dolore

19esofAgeCTomiA mininvAsivAsuperiore a quella a cielo aperto

EVIDENCE BASED MEDICINE

22anestesia locale o generale per l’endoarteriectomia carotidea

22Chirurgia laparoscopia o a cielo per il morbo di Crohn dell’ intestino tenue

23stoma di copertura nella resezioneanteriore per carcinoma rettale

23linfadenectomia per la gestione dei tumori endometriali

INSIDE

24 TerAPiA ChirurgiCA mininvAsivAsuLL’emiCrAniAtecnica personale di edoardo raposio

THE CLINICAL GAME

28 fai la tua diagnosi e scopri se è esatta

CLINICAL LEADER

32 A Tu Per Tu Con giuLiA veronesi

Professional E dit ionC h i r u r g i A m i n i n vA s i vA

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direttore responsabile francesco Maria avitto

direttore editoriale Vincenzo Coluccia

direttore scientifico lucia limiti

e d i T o r i a l s Ta F Fmedical editor Patrizia Maria Gatti, sara raselli, leonardo scalia,magazine editor Marco landucciWeb editor Marzia Caposio, Manuela Biello

a r Tart director francesco Moriniimpaginazione niccolò iacovelliWeb developer roberto Zanetti, Paolo Cambiaghi, Paolo Gobbi

i T & d i g i Ta licT manager Giuseppe riccidigital operation manager davide Battaglino

disTriBuZione digiTale

supplemento al n°4 di popular scienceluglio 2015

www.kekoa.it

redaZione• Via Boncompagni, 16

00187 (roma)• Viale Monza, 133

20125 (Milano)[email protected]

Viale Zara, 129 a20159 (Milano)

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* Dati aggiornati al 31.01.2015

© Kekoa Publishing S.r.l.REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N. 82/2014 DEL 24/04/2014

Iscritta al Registro degli Operatori di Comunicazione in data 28/05/2013 con numero 23556.Via Mantova 44, 00198 ROMA

Cardiochirurghi 953

Chirurghi apparato digerente 2.005

Chirurghi generali 16.236

Chirurghi maxillo-facciali 649

Chirurghi pediatrici 781

Chirurghi plastico facciali 1.744

Chirurghi vascolari 4.164

Neurochirurghi 1.113

Anestesisti 13.016

Ortopedici 7.275

Ginecologi 10.990

Farmacisti ospedalieri 2.275

mininvasivaChirurgia

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L’appendicite deve essere trattata chirurgicamente?

Il trattamento antibiotico dei pazienti con appendicite non compli-cata confermata alla TC può risultare efficace quanto l’appendicecto-mia. In un recente studio, la maggior parte dei pazienti a cui è stato somministrato un trattamento antibiotico non ha richiesto l’intervento nell’arco di un anno di monitoraggio e coloro che sono stati sottoposti poi ad appendicectomia non sono andati incontro a complicazioni significative.Nonostante ciò, quando i due trattamenti sono stati paragonati in uno studio di non-inferiorità, è stato constatato che il trattamento antibiotico non corrispondeva ai criteri pre-specificati per la non inferiorità. Lo studio, denominato APPAC, è stato effettuato da Paulina Salminen dell’Ospedale Universitario di Turku (Finlandia). Alcuni studi precedenti avevano tentato di definire il ruolo della terapia antibiotica nell’appendicite ma questi studi erano limitati per via del fatto che si affidavano alla diagnosi clinica di appendicite acuta, nonché alla durata della terapia antibiotica e alla scarsa determinazione degli esiti primari, portando così a risultati non univoci.L’appendicite può presentarsi come non complicata ed acuta, oppure essere complicata da una perforazione, da un ascesso intra-addomi-nale o da appendicolite. Uno studio precedente, ad esempio, ha ri-scontrato che i pazienti con appendicolite hanno maggiori probabilità di presentare appendicite acuta non complicata e di andare incontro a fallimento del trattamento antibiotico, ma l’uso della TC consente di identificare i casi non complicati trattati con soli antibiotici.I ricercatori propongono di offrire al paziente stesso la scelta fra chi-rurgia e terapia antibiotica, dato che molti esperti convengono che, grazie alle precise capacità diagnostiche della TC ed all’efficacia degli antibiotici ad ampio spettro, l’appendicectomia potrebbe non essere necessaria nei casi non complicati, che oggi rappresentano la maggior parte dei casi di appendicite.

Fonte: JAMA. 2015; 313:

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Sono molto pochi i pazienti sottoposti a trapianto di rene con iperparatiroidismo terziario che vengono sottoposti a paratiroidectomia, anche se la chirurgia rap-presenta l’unica cura per questa condizione e non sembra danneggiare il rene trapiantato. Ciò deriva da uno studio retrospettivo condotto da Irene Lou dell’Università del Wisconsin condotto su dati raccolti fra il 2004 ed il 2012.A seguito di un trapianto renale di successo, si riportano li-velli di PTH persistentemente elevati nel 30% dei pazienti e, circa il 5% dei soggetti, presenta sia elevati livelli di PTH che ipercalcemia. Secondo l’autrice, questi soggetti sono sottotrattati e potrebbero trarre beneficio da un ulteriore intervento in termini di calcemia, livelli di PTH e salute ossea.Il declino osservato nell’impiego della chirurgia parati-roidea nell’arco del periodo di studio è coinciso con un incremento dell’uso di calciomimetici. Benché alcuni studi sull’uso di cinacalcet in questi pazienti abbiano sugge-rito dei benefici, essi sono stati di breve durata e, uno di essi ha anche dimostrato che i livelli di PTH tendono ad aumentare nuovamente con la sospensione della terapia. Si tratta dunque di un’opzione molto costosa e che lega il paziente ad un farmaco per molti anni.Secondo alcuni esperti, però, alcune evidenze suggeri-scono che l’iperparatiroidismo possa di fatto essere utile nei pazienti nefrotrapiantati se associato a livelli di calcio normali e, inoltre, l’iperparatiroidismo terziario spesso si corregge da solo nel tempo. Prima di suggerire l’incremen-to dell’impiego della paratiroidectomia, dunque, andreb-be effettuato uno studio randomizzato e controllato che copra almeno un anno dopo il trapianto in cui si registri un elevato livello di calcio nel siero e possibilmente anche nelle urine, tenendo conto di esiti eclatanti come fratture, eventi cardiovascolari, stato del trapianto e sopravvivenza del paziente.

Fonte: American Association of Endocrine Surgeons. 2015

Trapianto di reneRara la paratiroidectomia

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Una procedura di riparazione della valvola mitralica nota come annuloplastica percutanea potrebbe costitu-ire un’alternativa efficace alla chirurgia nei pazienti con rigurgito mitralico e grave insufficienza cardiaca. Questo dato proviene da una ricerca preliminare di Karl-Heinz Kuck dell’Ospedale St. Georg di Amburgo, che descrive la procedura come un semplice intervento di banding cardiaco in quattro fasi, molto sicuro e simile all’uso della clip e che, di fatto, consiste nella pratica dell’annulopla-stica attraverso un catetere.Benché nello studio siano stati arruolati soltanto 40 pazienti, l’intervento ha avuto pieno successo in tutti, facendo riscontrare riduzioni costanti sia nel rigurgito che nelle dimensioni settolaterali, con miglioramenti clinici evidenti a 6 mesi ed una mortalità correlata al dispositivo pari allo 0%.Nell’ambito del trattamento dell’insufficienza cardiaca si sperimentano diversi dispositivi per la riduzione del rigurgito, dato che si tratta di una popolazione ad elevato rischio chirurgico. Secondo gli autori, è necessaria una tecnologia affidabile, semplice e riproducibile per mi-gliorare la prognosi del paziente e, questa tecnica, offre un metodo terapeutico completamente nuovo per una categoria di pazienti che sostanzialmente non poteva sinora essere trattata.I pazienti con insufficienza cardiaca e grave rigurgito mitralico trattati in modo non chirurgico vanno incontro ad una prognosi infausta, con un tasso di mortalità ad un anno del 20% ed a 5 anni del 50%, ed un tasso molto elevato di ricoveri per insufficienza cardiaca. Gli autori hanno inteso ricreare “interventisticamente” il vero e proprio intervento chirurgico. La procedura comprende una puntura trans-settale, inserzione del sistema, posi-zionamento dell’impianto e correzione delle dimensioni dell’anello impiantato tramite stringhe anulari.

Fonte: Heart Failure Congress 2015, Siviglia

rigurgito mitralico Efficace l'annuloplastica percutanea

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highlights

Dopo un intervento di chirurgia gene-rale, le donne in gravidanza rispetto a quelle non gravide, non presentano al-cuna differenza significativa per quanto riguarda le complicazioni post-operato-rie .Secondo Hunter Moore dell’Univer-sità del Colorado, autore di uno studio in materia su 2.764 pazienti, la gravidanza è associata a cambiamenti fisiologici nella forma corporea, nella coagulazione e nei sistemi cardiovascolare, polmonare ed immunitario, che rappresentano una sfida diagnostica e terapeutica per i chirurghi, in quanto i dati dell’esame obiettivo e dei test di laboratorio sono diversi da quelli riscontrati di solito.

Chirurgia generale sicura per le donne in gravidanza

Pertanto ci si potrebbe attendere che le complicazioni post-operatorie nelle donne gravide siano maggiori rispetto alle altre, ma la realtà smentisce questa ipotesi.Circa una donna in gravidanza su 500 richiede interventi di chirurgia non oste-trica. Ad oggi, i dati di studi precedenti sulla frequenza degli esiti indesiderati dopo questi interventi nelle donne in gravidanza sono stati conflittuali e ciò potrebbe essere correlato all’insuffi-ciente considerazione delle differenze presentate dalle donne in gravidanza rispetto alle altre.Nelle loro conclusioni, gli autori dello

studio non tengono conto delle com-plicazioni fetali e non dichiarano che i dati raccolti possano essere estesi anche alle situazioni di chirurgia elettiva che possono essere rimandate al periodo post-parto. Ma i riscontri supportano quanto pre-cedentemente riportato nel sostenere che le donne in gravidanza con patologie acute di pertinenza chirurgica dovreb-bero essere sottoposte alla procedura se un ritardo nel trattamento definitivo del problema dovesse portare a una progressione della patologia.

Fonte: JAMA Surg online 2015

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secondo uno studio nordamericano (Stati Uniti e Canada) condotto su 518 casi, molti casi complicati di infezione intra-ad-dominale potrebbero essere tenuti sotto controllo sommi-nistrando al paziente quattro giorni di antibiotici. “Questi dati sostengono il concetto che, dopo un’adeguata procedura di controllo della sorgente dellì’infezione, gli effetti benefici della terapia antimicrobica sistemica sono limitati ai primi giorni dopo l’intervento”, hanno riferito i ricercatori. Lo studio randomizzato, conosciuto come STOP-IT e pubblicato sul New England Journal of Medicine online a maggio, ha preso in esame i pazienti di 23 ospedali di Stati Uniti e Canada. Curare le infezioni intra-addominali, in cui la morbidità può raggiungere quasi il 50% negli anziani o nelle persone gravemente malate, può essere difficoltoso e non esistono linee guida chiare in merito alla durata della parte antibiotica della terapia. Alcuni esperti sostengono che prima bisognerebbe risolvere tutte le evidenze riguardo la sindrome da risposta infiammatoria sistemica (SIRS). Altri, invece, suggeriscono che potrebbe essere corretto somministrare dai tre ai cinque giorni di antibiotico, invece che dai sette ai quattordici.Tuttavia, l’uso eccessivo di antibiotici pone dei problemi in termini di costi e resistenza.Nello studio specifico, un gruppo di pazienti ha ricevuto quat-tro giorni di terapia antibiotica, dopo il controllo della fonte di infezione. I pazienti nel gruppo del trattamento standard, invece, hanno assunto antibiotici fino a due giorni dopo la scomparsa dei problemi causati dalla SIRS (ciò significa che i soggetti non avevano avuto la febbre per un giorno intero, i glo-buli bianchi erano meno di 11.000/ mm3 e riuscivano a mangiare senza problemi) o per un massimo di 10 giorni.L’infezione era localizzata nel colon o retto nel 34% dei casi, nell’appendice e nell’intestino tenue nel 14%.I ricercatori non hanno controllato il tipo di antibiotici usati, sebbene i medici dovessero attenersi alle linee guida pubblicate congiuntamen-te dalla Surgical Infection Society e dalla Infectious Diseases Society of America.Tuttavia, hanno richiesto che tutti i partecipanti ricevessero un adeguato controllo della fonte di infezione. Ciò è stato effettuato nel 33% dei casi tramite drenaggio percutaneo, nel 27% attraverso resezione chirurgica e anastomosi o chiusura e nel 21% con il solo drenaggio chirurgico. Dallo studio è emerso che il 21,8% dei pazienti sottoposti a terapia breve sviluppavano

infezioni intra-addominali 4 giorni di antibiotici potrebbero bastare

un’infezione del sito chirurgico, un’infezione intra-addomina-le ricorrente o morivano entro 30 giorni rispetto al 22,3% dei soggetti che ricevevano una terapia più lunga (P=0.92). 47 dei 258 pazienti del gruppo della terapia breve hanno ricevuto un prolungamento del trattamento: 16 a causa dell’elevato numero di globuli bianchi, 2 per febbre e 12 a causa di problemi gastrointestinali in corso che non gli permettevano di mangiare normalmente. Infine, 10 hanno sviluppato una nuova infezione.Tre pazienti del gruppo sperimentale e due del gruppo di con-trollo sono morti. La causa di tutti i decessi è stata attribuita a un problema coesistente come cancro o malattia cardiovascola-re e non all’infezione. Un trattamento più breve potrebbe essere migliore poiché i dati sperimentali “suggeriscono che una SIRS prolungata potrebbe essere più un riflesso dell’attività immuni-taria dell’ospite che un’indicazione della presenza di microrga-nismi vitali”, hanno detto i ricercatori, guidati da Michael Choti, primario di Chirurgia all’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas (USA), e da Christopher Guidry, del Dipartimento di Chirurgia della University of Virginia Health System di Charlottesville (USA).I nuovi risultati offrono un’evi-denza a sostegno di questo concetto. Inoltre, anche altri studi più piccoli hanno supportato questa tesi. I risultati suggerisco-no anche che “un vero miglioramento clinicamente significativo nella gestione della patologia probabilmente attende interventi più efficaci di carattere tecnico o che modificano la risposta immunitaria”, ha affermato il team di Guidry.

Fonte: New England Journal of Medicine 2015

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È possibile rimuovere la vescica sen-za essere condannati poi a portare un sacchetto esterno. Lo stanno per di-mostrare, per la prima volta in Italia, gli urologi del Regina Elena di Roma e della University of Southern Cali-fornia, che dal mese di giugno stanno eseguendo interventi di cistectomia radicale robotica con derivazione cutanea continente totalmente intra-corporea, per un totale di 10 resezioni.L’intervento, che viene effettuato con il robot Da Vinci, non prevede incisioni e, una volta effettuato, da un piccolo catetere si potrà svuotare la “pouch”, la tasca intracorporea, situata all’altezza dell’ombelico. “Da alcuni anni – spiega michele Gallucci, direttore dell’Urologia dell’Istituto Regina Elena – abbiamo avviato una fantastica collaborazione Italia-Usa che ci consente di mettere a punto e standardizzare nel mondo innovative tecniche chirurgiche robotiche. Sia-mo partiti dalla chirurgia conserva-tiva e mininvasiva del rene, abbiamo poi messo a punto la rimozione della vescica con la ricostruzione robotica completamente intracorporea utiliz-zando un’ansa intestinale”.“Ora facciamo un’ulteriore espe-rienza, nei casi dove non e’ possibile ricostruire la vescica creiamo un sac-chetto intracorporeo che sostituisca a tutti gli effetti il sacchetto esterno, preservando l’immagine corporea del paziente”. Ogni anno in Italia si registrano 27 mila casi di tumore alla

Un nuovo intervento rimuove la vescica Senza condannare al ‘sacchetto’ esterno

vescica. Nell’80% dei casi la patolo-gia si cura localmente, mentre nel 20% bisogna rimuovere la vescica e ricostruirla.

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si chiama Telelap alf-X ed è il nuovo sistema di chirurgia robotica tele assistita - 100% Made in Italy -che permette di effettuare con successo un intervento di isterectomia totale robotica e laparoscopica. Il disposi-tivo, è stato presentato in occasione della decima edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Endoscopia Ginecologica (SEGI), che si è tenuto presso l’Università Catto-lica di Roma a Maggio.Come recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Surgical Endoscopy, sono 146 gli interventi in laparoscopia ginecologica realizzati con l’innovativa piattaforma robotica Telelap Alf-X nelle Unità Operative Complesse di Ginecologia Oncolo-gica e di Ostetricia e Ginecologia al Policlinico Gemelli di Roma. La nuova tecnologia è stata utilizzata su pazienti, con un’età media di 52

anni, affette da patologia annessiale benigna o “borderline”, o da tumore uterino benigno o maligno in stadio iniziale. Secondo Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento per la tutela della salute della donna e del

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isterectomia totale e laparoscopia roboticaOra si può

bambino del Policlinico Gemelli, "è stato eseguito con Telelap Alf-X un numero considerevole di interventi, tutti i giorni in una sala operatoria, riscontrando notevoli vantaggi.Interessanti anche i dati clinici de-rivanti dall’impiego di Telelap Alf-X: dopo uno o due giorni di ospedalizza-zione le pazienti sono state dimes-se e nel 92,5% l’operazione è stata portata a termine con successo, senza richiedere alcuna conversione ad altra procedura chirurgica. Al termine dell’intervento, tutte le pazienti han-no mostrato soddisfazione e il dolore post-operatorio è stato rapidamente controllato. Anche i tassi di infezione nell’immediato post-operatorio e le perdite ematiche stimate sono risulta-ti sovrapponibili con quelli registrati con la laparoscopia tradizionale."

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il blocco del piano trasverso dell’ad-dome (TaP-block) riduce il dolore nei pazienti sottoposti ad intervento lapa-roscopico per riparazione di un’ernia ventrale (LVHR). Questa conclusione deriva da una ricerca su 100 pazienti di Celia Divino del Mount Sinai Medical Center di New York, secondo cui il TAP garantisce un’efficace analge-sia post-operatoria dopo una LVHR, riducendo sia l’impiego di oppiacei a breve termine che il dolore a carico del paziente.La LVHR è divenuta il trattamento standard per queste lesioni, ma l’ap-proccio in questione implica un consi-

Ernie addominaliBlocco TAP riduce dolore

derevole dolore post-operatorio, che la terapia medica e le pompe percutanee hanno limitatamente alleviato. Il TAP block si è dimostrato efficace nel controllare il dolore post-operatorio in una varietà di interventi laparoscopici addominali.Nel protocollo proposto, dopo l’inter-vento il paziente viene ricoverato in un’unità PACU e trattato come di rou-tine con boli endovenosi di fentanyl al bisogno e, se trattenuto per la notte, viene aggiunta morfina o idromorfone mediante sistemi di somministrazione controllati dal paziente.Dopo 24 ore dall’intervento non è stata

più riscontrata alcuna differenza fra i livelli di dolore dei pazienti che hanno riceuto il TAP block e quelli trattati in modo tradizionale, ma il consumo di morfina nel gruppo trattato con TAP block è risultato ridotto del 40%. Sono ovviamente necessari ulteriori studi in materia, ma secondo i ricercatori i dati riscontrati hanno importanti impli-cazioni per quanto riguarda la durata delle degenze ospedaliere e la velociz-zazione del recupero per il paziente.

Fonte: J Am Coll Surg online 2015

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Esofagectomia mininvasivaSuperiore a quella a cielo aperto

i pazienti affetti da tumori dell’eso-fago e della giunzione gastroesofagea sottoposti ad esofagectomia mini-in-vasiva (MIE) potrebbero sopravvi-vere più a lungo rispetto a quelli sottoposti alle forme a cielo aperto o ibride dell’intervento (OHE: Open and Hybrid Esophagectomy).Secondo Francesco Palazzo della Thomas Jefferson University di Philadelphia, autore di un’indagine in materia, la MIE sta divenendo sempre più comune per il trattamento di que-sti tumori e lo studio condotto su 172 pazienti supporta il suo impiego quale

procedura superiore in termini di sopravvivenza complessiva, mortalità peri-operatoria e gravità delle compli-cazioni postoperatorie. Benchè questi risultati confermino la sicurezza degli esiti peri-operatori e post-operatori della MIE e si vadano ad aggiungere alle attuali conoscenze sull’efficacia oncologica di questi interventi, le fasi di monitoraggio degli studi più recen-ti apporteranno informazioni ancora più dettagliate.Secondo l’autore, oggi tutti i pazienti dovrebbero essere considerati can-didati alla MIE, e solo ai pazienti con

vere controindicazioni, come inter-venti chirurgici estensivi precedenti, andrebbe offerta la procedura a cielo aperto: ad esempio, una precedente terapia neoadiuvante non rappresen-ta una controindicazione alla MIE. Benchè lo studio sia retrospettivo, esso fornisce comunque dati di valore sui vantaggi della MIE in termini di sopravvivenza, in quanto il materiale in merito presente in letteratura è scarso.

Fonte: J Am Coll Surg online 2014

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IN EDICOLAE SU TABLET

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a = elevaTa abbiamo molta fiducia nel fatto che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale negli esiti con-siderati. le evidenze accumulate presentano deficit scarsi o nulli. e’ nostra opinione che i dati siano stabili, ossia che un nuovo studio non porterebbe ad un cambiamen-to nelle conclusioni.

B = moderaTasiamo moderatamente certi che la stima dell’efficacia sia vicina alla re-ale efficacia per gli esiti considerati. le evidenze accumulate presentano alcuni deficit. e’ nostra opinione che i dati siano probabilmente stabili, ma permangono alcuni dubbi.

c = Bassala certezza del fatto che la stima dell’efficacia sia vicina alla reale efficacia per gli esiti considerati è limitata. le evidenze accumulate presentano deficit numerosi o importanti (o entrambi). e’ nostra opinione che siano necessarie ulteriori evidenze prima di poter concludere che i dati siano stabili o che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale.

d = insuFFicienTenon abbiamo evidenze, non siamo in grado di stimare l’efficacia, o non abbiamo fiducia nella stima dell’ef-ficiacia per quanto riguarda l’esito considerato. non sono disponibili evidenze, oppure le evidenze accu-mulate presentano deficit inaccetta-bili, precludendo il raggiungimento di una conclusione.

solidità delle evidenze: gradi e definizioni

evidence Based medicine

eBm

cosa sono?

L’EBm, in italiano “medicina basata sulle prove di efficacia”, ha come obiettivo quel-lo di assicurare che le decisioni cliniche siano informate dai risultati della ricerca, in particolare della ricerca clinica. Tra le sue funzioni chiave c’è quella di forni-re uno strumento di lettura rispetto ai dati della ricerca e di ricondurli al singolo paziente. Per accresce-re la credibilità delle deduzio-ni di un medico – rispetto, per esempio, all’utilità di un test o all’efficacia di una terapia o per una corretta prognosi – e per trasformare tali deduzioni in nozioni condivisibili dai colleghi e dall’intera comunità scientifica, diventa imprescindibile lo sforzo di standardizzare e validare le osservazio-ni maturate nel contesto della pratica medica. E per interpretare la letteratura scientifica esistente su eziologia, diagno-si, prognosi ed efficacia delle strategie terapeutiche è necessario comprendere e condividere le regole metodologiche di base. Non tutti gli studi clinici forniscono informazioni di uguale affidabilità, quin-di nella decisione clinica le prove di effi-

cacia avranno un peso maggiore a secon-da della robustezza della fonte che le ha prodotte. La visualizzazione più efficace di questa gerarchia è quella della pirami-de delle evidenze, che posiziona al pro-

prio vertice le prove sperimentali più af-fidabili e alla base quelle aneddotiche.

Sebbene esistano diverse varianti di piramide delle evidenze, la scala ge-rarchica di ciascuna pone al primo posto le informazioni desunte da revisioni sistematiche che inclu-dono studi clinici controllati di buona qualità; all’opposto, il pa-

rere degli esperti senza supporto di studi empirici occupano l’ultima

posizione. Nelle posizioni intermedie si trovano gli studi di popolazione e gli

studi osservazionali, nei quali la relazione tra l’intervento e l’effetto (o tra l’esposizio-ne a un fattore di rischio e l’effetto) non è causale e le inferenze di associazione sono spesso esposte a errori sistematici.

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Evidence summaries7/3/2014LiVELLo EViDENZE = C

Il rischio di ictus e mortalità probabilmente non differi-sce fra l’anestesia locale e quella generale durante l’en-doarteriectomia carotidea.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 14 studi per un totale di 4596 inter-venti, dei quali 3526 proven-gono dal singolo studio più ampio fra quelli considerati (GALA). Gli studi hanno pa-ragonato l’anestesia locale (blocco cervicale in 13 studi e blocco epidurale in uno studio) con l’anestesia gene-rale per l’endoarteriectomia carotidea. Non è stata rile-vata alcuna differenza nel rischio di ictus o mortalità entro 30 giorni dall’intervento fra i gruppi considerati. È sta-ta rilevata una tendenza verso una riduzione della mortalità entro 30 giorni dall’intervento con l’anestetico locale, ma né lo studio GALA, né l’analisi complessiva erano abbastanza potenti da rilevare in modo affidabile un effetto sulla morta-lità. Non è stata rilevata alcuna differenza significativa negli infarti miocardici entro 30 giorni dall’intervento fra i gruppi considerati.Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via della qualità dello studio (occultamento dell’allocazione ina-deguato o poco chiaro e design in cieco poco chiaro) e dei ri-sultati imprecisi (ampi intervalli di confidenza).

Bibliografia: Vaniyapong T, Chongruksut W, Rerkasem K. Lo-cal versus general anaesthesia for carotid endarterectomy. Co-chrane Database Syst Rev 2013;(12):CD000126

Anestesia locale o generale per l’endoarteriectomia carotidea

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Evidence summaries29/9/2011LiVELLo EViDENZE = C

La chirurgia laparoscopica potrebbe risultare sicura quanto quella a cielo aperto per il morbo di Crohn dell’in-testino tenue.

La qualità delle evidenze risulta ridotta per via dei risultati imprecisi (dimen-sioni degli studi limitate per ciascun raffronto) e dei po-tenziali errori di esposizio-ne (solo pochi piccoli studi inclusi).Riassunto: Una revisione del database Cochrane ha inclu-so due SRC per un totale di 120 pazienti per determinare se vi sia una differenza negli esiti perioperatori e nei tassi di re-intervento per recidiva

della malattia a seguito di chirurgia laparoscopica o a cielo aperto nel morbo di Crohn dell’intestino tenue. Non è stata rilevata alcuna differenza statisticamente signi-ficativa in nessuno degli esiti posti a raffronto fra chirurgia laparoscopica ed a cielo aperto. La chirurgia laparoscopica sembrava associata ad una riduzione del numero di infezioni della ferita chirurgica (1/61 vs 9/59) e dei tassi di re-intervento per complicazioni non correlate alla malattia (3/57 vs 7/54), ma le differenze non erano statisticamente significative.Commenti clinici: I tassi di complicazioni nelle procedure la-paroscopiche potrebbero differire in base al grado di esperien-za del chirurgo che le pratica.

Bibliografia: Dasari BV, McKay D, Gardiner K. Laparoscopic versus Open surgery for small bowel Crohn's disease. Cochra-ne Database Syst Rev 2011;(1):CD006956

Chirurgia laparoscopica o a cielo aperto per il morbo di Crohn dell’intestino tenue

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Evidence summaries21/5/2010LiVELLo EViDENZE = B

Lo stoma di copertura sembra prevenire le diastasi anastomo-tiche e i re-interventi d’urgenza nei pazienti sottoposti a rese-zione anteriore bassa per tumori rettali.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 6 studi per un totale di 648 soggetti. Sono stati inclusi studi che hanno paragonato l’impiego o il mancato impiego di uno stoma non funzionale protettivo temporaneo nei pazienti sottoposti a re-sezione anteriore bassa per tumori rettali. Rispetto ai soggetti di controllo, l’uso dello stoma di copertura ha ridotto le diasta-si anastomotiche (RR 0.33, 95% CI 0.21 - 0.53) ed i re-interventi d’urgenza (RR 0.23, 95% CI 0.12 - 0.42). Non è stata rilevata al-cuna differenza significativa in termini di mortalità (RR 0.58, 95% CI 0.14 - 2.33). Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via della qualità degli studi (occultamento delle allocazioni ina-deguato o poco chiaro ed inadeguata aderenza al designi in-tention-to-treat).

Bibliografia: Montedori A, Cirocchi R, Farinella E, Sciannameo F, Abraha I. Covering ileo- or colostomy in anterior resection for rectal carcinoma. Cochrane Database Syst Rev 2010 May 12;(5):CD006878.

Stoma di copertura nella resezione anteriore per carcinoma rettale

Evidence summaries17/4/2010LiVELLo EViDENZE = B

La linfadenectomia sembra non diminuire il rischio di morte o re-cidiva della malattia rispetto alla mancata linfadenectomia nelle donne con tumore endometriale al presunto stadio I.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 2 studi per un to-tale di 1945 donne con carcinoma endometriale allo stadio I. Non sono state rilevate differenze significative su un monitoraggio di 3-4 anni fra le donne che hanno ricevuto linfadenectomia e quelle che non l’hanno ricevuta per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva e libera da recidive (HR complessivo 1.07, 95% CI 0.81 - 1.43 ed HR 1.23, 95% CI 0.96 - 1.58 rispettivamente; 2 studi, n=1851). Non sono state rilevate differenze significative nel rischio di mor-bidità chirurgica diretta fra i gruppi. In ogni caso, il rischio di ef-fetti collaterali è risultato significativamente maggiore nelle don-ne che hanno ricevuto linfadenectomia (formazione di linfedemi e linfocisti, RR 8.39, 95% CI 4.06 - 17.33; n=1922). Nessuno studio ha riportato dati sulla qualità della vita.Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via dei risultati indiretti (monitoraggio breve).

Bibliografia: May K, Bryant A, Dickinson HO, Kehoe S, Morrison J. Lymphadenectomy for the management of endometrial cancer. Cochrane Database Syst Rev 2010 Jan 20;(1):CD007585

Linfadenectomia per la gestione dei tumori endometriali

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RTerapia chirurgica mininvasiva dell’emicraniaTecnica personale

di Edoardo Raposio, Dipartimento di Scienze Chirurgiche,

Università degli Studi di Parma

Recenti teorie relative alla patogenesi dell’emicrania ne hanno confermato la correlazione con un mecca-nismo di ipereccitabilità e infiammazione neuronale dovuto alla compressione di alcuni nervi periferici cranio-facciali da parte di strutture vascolari o musco-lari circostanti, oppure in seguito all’infiammazione dei turbinati e/o dei seni nasali e paranasali. Questi trigger points possono essere eliminati mediante un intervento chirurgico.In questo studio riportiamo l’eliminazione di questi trig-ger points mediante la decompressione chirurgica dei nervi sovratrocleare e sovraorbitario (branche periferi-che del nervo trigemino) effettuata attraverso miotomie selettive condotte per via endoscopica video-assistita dei muscoli iperattivi del gruppo glabellare: corrugatore, depressore del sopracciglio e muscolo procero. La decompressione chirurgica di questi nervi è effettuata mediante una tecnica innovativa minimamente invasi-va, utilizzando un unico strumento chirurgico, ovvero un endoscopio specificamente modificato, con l’ausilio dell’anestesia locale e con un’unica incisione per l’acces-so chirurgico, al fine di ridurre l’invasività della tecnica endoscopica oggi correntemente utilizzata.

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L’esperienzaSono stati considerati idonei all’intervento 22 pazienti - tutti in buono stato di salute, tra i 18 e i 75 anni, 17 di sesso femminile e 5 di sesso maschile - che soffrivano di un’emicrania cronica senz’aura, una cefalea di tipo tensivo cronico o una cefalea croni-ca quotidiana, con un numero di attacchi al mese superiore a 15. Sono stati esclusi dal trattamento invece pazienti con cefalea a grappolo, cefalea tensiva episodica, cefalee secondarie e i pazien-ti che presentavano un disturbo psichiatrico maggiore. Tutti i pazienti erano stati precedentemente diagnosticati da neurologi certificati, come evidenziato nei criteri descritti dalla Classifica-zione Internazionale delle Cefalee (ICHD-II)7. Essi sono poi stati sottoposti ad una attenta valutazione per confermare la frequenza, la durata, l’intensità degli attacchi e per identificare i principali siti trigger degli attacchi. È stato poi chiesto ai pazienti di compilare un questionario della cefalea prima e sei mesi dopo l’intervento, per valutare l’efficacia di questa procedura chirurgica e per ottenere un valido confronto di risultati del trattamento chirurgico con i protocolli preceden-temente utilizzati. Il consenso informato è stato firmato da tutti i pazienti prima dell’intervento.

La proceduraTutte le procedure sono state eseguite sotto anestesia locale come interventi in one-day surgery. Una volta posizionato il paziente in posizione supina e il capo in posizione neutrale, sono stati identificati i punti di repere dei nervi periferici da trattare. Il disegno preoperatorio, caratterizzato da due linee verticali per ciascun lato lungo la proiezione del decorso dei nervi Sovratro-cleare e Sovraorbitario, è stato effettuato nella regione glabellare, lungo la linea emipupillare, (repere del n. sovraorbitario) e 1 cm mediamente ad essa (repere del n. sovratrocleare) bilateralmen-te.Dopo il blocco anestetico selettivo bilaterale dei nervi Sovratro-cleare e Sovraorbitario, l’intera regione frontale è stata infiltrata con carbocaina all’1% e sodio bicarbonato all’8.4%. Sebbene in passato la procedura effettuata presso la nostra UO prevedesse l’utilizzo di due incisioni nello scalpo di 2 cm, posizionate 1 cm posteriormente alla linea anteriore del cuoio capelluto, lungo la linea emi-pupillare, il nostro approccio oggi correntemente utilizzato prevede l’utilizzo di una singola incisione di 1 cm lungo la linea dell’emi-scalpo, sempre 1 cm posteriormente alla linea anteriore del cuoio capelluto.Dopo la sezione della galea aponeurotica sono stati posizionati tre fili da sutura (nylon 3-0) per lato nella regione sopracciliare, medialmente e lateralmente ai nervi interessati, al fine di mante-nere sollevata la cute frontale durante la procedura endoscopica per visualizzare ed esporre in modo ottimale i nervi e i muscoli glabellari. Sono state quindi effettuate le miotomie selettive dei muscoli Corrugatore del Sopracciglio, Depressore del Sopracciglio e Procero per via endoscopica video-assistita, utilizzando un endoscopio modificato per decomprimere i nervi Sovraorbitario

e Sovratrocleare, che non sono stati mai danneggiati durante la procedura .L’endoscopio modificato (Karl Storz, Tuttlinger, Germania) utilizzato nella procedura è costituito da un trocar di 9 mm con una tripla valvola (aria/insufflazione/aspirazione), un telescopio rigido (Hopkins) a fibre ottiche, una camicia operativa (Witt-möser) connessa con un sistema diatermico ad alta frequenza e un’ansa metallica specificatamente progettata a punta ellittica per l’elettrocauterizzazione.Completata la procedura di miotomie, sono state posizionate suture cutanee a livello delle due incisioni dello scalpo (Nylon 4-0) ed una medicazione compressiva nella regione frontale

i risultatiDei 22 pazienti inclusi nello studio, otto (36,4%) hanno riporta-to una completa eliminazione della propria cefalea, 10 (45,4%) hanno riferito una riduzione di almeno il 50% in intensità e/o frequenza e/o durata degli attacchi, e quattro (18,2%) non hanno notato alcun cambiamento. L’approccio chirurgico proposto ha ottenuto risultati positivi in 18 su 22 pazienti (81,8%), conferman-do la validità della procedura. Questi risultati sono stati rilevati somministrando un questionario ai pazienti a distanza di sei mesi dall’intervento. Tutti i pazienti sono stati inoltre sottopo-sti ad un follow-up di sei mesi, con controlli (orali o telefonici) al primo, al terzo e al sesto mese dall’intervento per verificare l’andamento degli attacchi e le variazioni nell’intensità e nella frequenza degli stessi.

Eventi avversi Tutti i pazienti hanno riferito qualche grado di parestesia fron-tale, limitato a circa due o tre mesi dopo l’intervento. Tre pazienti hanno riportato piccole (1 cm) cicatrici cutanee frontali, come risultato del danno termico nella regione dei muscoli glabellari.

DiscussioneQuesto studio dimostra che le tecniche descritte hanno permes-so un significativo miglioramento o l’eliminazione dei sintomi dell’emicrania/cefalea in 18 su 22 dei pazienti (81,8%): un motivo per cui la totale guarigione non è stata ottenuta in tutti i pazienti potrebbe essere che l’operazione è stata effettuata su un singolo sito trigger dominante, che poteva non essere l’unico. La tecnica endoscopica mininvasiva utilizzata inoltre, risulta essere sem-plice, rapida ed economicamente efficace, basandosi sull’utilizzo di un singolo strumento, e dovrebbe teoricamente ridurre le possibilità di danno ai fasci neuro-vascolari. Questi risultati sono stati rilevati effettuando un questionario ai pazienti a distanza di tre-sei mesi dall’intervento: considerando che alcuni pazienti hanno mostrato un miglioramento graduale della sintomatolo-gia, è lecito pensare che questi risultati possano ulteriormente migliorare col passare del tempo. Sarà pertanto necessario effet-tuare un follow-up a distanza di tempo maggiore dall’intervento per rielaborare i dati ottenuti e confrontarli con quelli presenti in letteratura.

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1. Disegno preoperatorio: identificazione dei punti di repere dei nervi sovra-orbitario e sovratrocleare.

3. Nervo sovraorbitario destro liberato dalla compressione muscolare

2. Unica incisione (2 cm) cutanea di accesso chirurgico endoscopico lungo la linea dell’emi-scalpo.

4. Endoscopio utilizzato per eseguire la procedura minimamente invasiva di miotomie selettive

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GAME

THECLINICAL

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La risposta corretta è: sUrrENaLECTomia LaParosCoPiCa destra

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PaZiENTEUna donna di 64 anni asintomatica giunge all’osservazione del chirurgo per una massa surrenalica dx

aNamNEsi FamiLiarENulla di rilevante

aNamNEsi PaToLoGiCa rEmoTaStoria positiva per cancro al seno per il quale era stata mastectomizzata.

aNamNEsi PaToLoGiCa ProssimaPaziente asintomatica con una massa surrenalica dx accidentalmente diagnosticata all’eco-grafia.

EsamE oBiETTiVo Paziente vigile e orientata. Asintomatica. Ecografia: massa surrenalica dx confermata dalla TC: massa di 3 × 4 cm ben sagomata, omo-genea, a bassa densità (27 unità Hounsfield).Si prepara la paziente per intervento di resezione surrenalica laparoscopica.

Quale procedura, tra le seguenti, ha un più alto tasso di conversione e complicazioni? A. Surrenalectomia laparoscopica destra B. Surrenalectomia laparoscopica sinistraC. I rischi sono uguali

mininvasivaChirurgia

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Le ghiandole surrenali, anche se di piccole dimensioni, con una portata stimata di circa 5 ml/min, sono tra gli organi più estesamente vascolarizzati. L'apporto di sangue di ogni ghiandola è mantenuto fino a 50 rami arteriosi surrenali che derivano direttamente dall’aorta, dalle arterie renali e dalle arterie freniche inferiori. Il sangue viene incanalato dalle arterie surrenali nel plesso arteriolare subcapsulare e successi-vamente distribuito ai sinusoidi, che forni-scono le surrenali (corticale e midollare).La differenza anatomica, tra le ghiandole surrenali di destra e di sinistra, consiste nel modello del drenaggio venoso. Il sangue dalle ghiandole surrenali drena attraverso la vena surrenale alla vena renale sinistra o direttamente alla vena cava inferiore sul lato destro. Generalmente si ritiene più difficile la surrenalectomia laparoscopi-ca di destra a causa della vicinanza della dissezione della vena cava inferiore e del duodeno e della vena surrenalica breve, ma una recente revisione in proposito non ha riportato differenze nei tassi di complican-ze o di conversione, per la destra, con brevi tempi operatorii.L’adrenalectomia laparoscopica è ampia-mente accettata come tecnica gold-stan-dard per i tumori ormonalmente attivi, come aldosteronoma, feocromocitoma e tumori surrenalici producenti cortisolo. Le dimensioni della massa surrenalica sono importanti, perché più piccolo è il carcino-ma adrenocorticale al momento della dia-gnosi, migliore è la prognosi complessiva, e il diametro massimo della massa surrenale è predittivo di malignità. In uno studio retrospettivo su 62 pazienti con carcinoma adrenocorticale, la sopravvivenza a 5 anni è stata di circa il 16% nel complesso, ma era molto più elevata (42%) in pazienti con tumori più piccoli (fasi I e II, confinati alla ghiandola surrenale) che sono stati mag-giormente soggetti a resezione curativa. Gli approcci mini-invasivi per rimuovere una ghiandola surrenale sono il transad-dominale e l'approccio retroperitoneale. Ciascuno è associato a vantaggi e limita-zioni. L’accesso transaddominale fornisce una migliore esposizione, che è conve-niente per i tumori di grandi dimensioni. I chirurghi generali mostrano di solito più

familiarità con l'approccio transaddomi-nale. L'approccio retroperitoneale offre un accesso diretto alle ghiandole surrenali per i pazienti con tumori bilaterali, come quelli ritrovabili nella sindrome di Cushing allo stadio terminale, e non richiede il ri-posizionamento del paziente e di rientrare l'addome nel quadrante controlaterale per la rimozione della ghiandola controlatera-le. L'obesità, una manifestazione classica della sindrome di Cushing e, in questi casi, le operazioni intra-addominali con prece-denti difficoltà tecniche per la resezione laparoscopica intraddominale possono essere ovviate utilizzando l'approccio retroperitoneale. In una recente revisione di 22 studi, con 2 studi randomizzati e 1966 pazienti totali, non ci sono state differenze statisticamen-te significative tra surrenalectomia retro-peritoneale e laparoscopia convenzionale nel tasso di conversione in addome aperto, perdita di sangue, durata di funzionamen-to, nella deambulazione e nell’assunzione orale postoperatoria.Alcuni chirurghi utilizzano un approccio laparoscopico robot-assistito per rimuove-re la ghiandola surrenale. E’ stato riportato che questo approccio ha i consueti vantag-gi della chirurgia robotica assistita (miglio-re visualizzazione, miglioramenti mecca-nici, maggiore ergonomia per il chirurgo), nonché gli stessi svantaggi (costi, tempo, formazione), ma questo approccio non è, per ora, considerato come gold-standard. L'approccio transtoracico, infine, è una procedura rara e viene utilizzata nelle rare occasioni di coinvolgimento diaframmatico o nell’estensione di tumori nel torace. In conclusione; la chirurgia minimamente invasiva è diventata la tecnica di prima scelta per la maggior parte delle lesioni surrenali a causa del suo rapporto ottimale costo-beneficio, rispetto all'approccio in aperto. In questa direzione, vi è consenso generale rispetto alla resezione di tumori surrenalici ormonale attivi, tumori non funzionanti, tumori più grandi di 6 cm, e tumori più piccoli con una crescita rapida e progressiva. L'approccio operativo po-trebbe essere retroperitoneale o transad-dominale. Il primo è altamente raccoman-dato per i tumori bilaterali, come nella

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BiBLioGraFia

http://www.medscape.com/viewarticle/805759laparoscopic adrena-lectomy: a step-by-step GuideJuly 11, 2013- Candidates for adrenalectomy

open and laparoscopic adrenalectomy: analysis of the national surgical Quality improvement Program. J am Coll surg. 2008;206:953-959.

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robotic surgery Consen-sus Group. a consensus document on robotic surgery. surg endosc. 2008;22:313-325.

sindrome di Cushing allo stadio terminale, perché permette al chirurgo di usare una sola posizione per accedere a entrambe le ghiandole. Il secondo ha una limitata esposizione operativa che può richiedere l'accesso transperitoneale in presenza di tumori di dimensioni superiori a 8 cm. Un

approccio toracico può essere utilizzato quando è coinvolto il diaframma o il torace. Infine, l’assistenza robotica sembra miglio-rare la visualizzazione e l'ergonomia per il chirurgo, soprattutto se non ha sviluppato competenze laparoscopiche avanzate con gli strumenti standard.

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Dottoressa Veronesi, recentemente lei ha realizzato uno studio sulla lobectomia VaTs e robotica per i tumori ai polmoni. Esistono evidenze cliniche per stabilire che una delle due tecniche sia migliore dell'altra? Lo studio retrospettivo presentato a due convegni inter-nazionali, a Chicago e a Lisbona, confronta le due tecniche mininvasive video-toracoscopica e robotica. Il paper è focalizzato principalmente sulla curva d’apprendimento ed ha evidenziato che, almeno nell’esperienza dell’Istituto Europeo di Oncologia, la robotica ha una curva di appren-dimento a due fasi. Una prima fase dura circa 20 casi, quando si ha una riduzione della durata dell’operazione, poi un plateau, per poi raggiungere un risultato di durata dell’intervento molto più favorevole, due ore e mezza tre, dopo 70-90 pazienti operati. Rispetto alla video-toraco-scopia non ci sono grandi differenze in termini di curva d’apprendimento né di complicanze, quindi è una procedu-ra sicura e che si apprende rapidamente. La durata globale dell’intervento è solo di pochi minuti superiore alla vi-deo-toracoscopia: alla fine della curva di apprendimento si arriva a circa 150 minuti sia per la VATS che per la robotica. Secondo il nostro studio, il tasso di conversione (ovvero la necessità per motivi tecnici, anatomici o oncologici di passare alla tecnica tradizionale aperta) invece risulta più basso in chirurgia robotica. I vantaggi della tecnica robotica sono legati agli strumenti più sofisticati, alla maggior precisione dell’intervento e alle minori perdite ematiche; la via di accesso è molto simile alla VATS manuale, quindi con un’invasività sul paziente molto simile, come anche sono simili i risultati oncologici a parità di stadio.Un vantaggio della robotica è rappresentato dall’amplia-mento delle indicazioni della chirurgia mininvasiva a casi più complessi, proprio grazie alla visione migliore e agli strumenti più precisi di cui questa metodica dispone. Quindi è possibile realizzare linfoadenectomie radicali per tumori localmente avanzati o, al contrario, realizzare inter-venti più precisi per tumori molto piccoli.

Quali sono i limiti principali delle tecniche di chirurgia robotica? I limiti della chirurgia robotica, sono al momento rappre-sentati da i costi più elevati, dovuti al fatto che la tecnica è ancora molto recente e ha un mercato limitato. Inoltre ci sono dei limiti tecnici per lo strumento che utilizziamo noi, il Da Vinci, ovvero l’assenza del feedback tattile al chirurgo, comunque compensata dalla visione limpida e precisa delle strutture.Alcuni mesi fa, un gruppo di ricercatori dell'università di Washington (Bonaci-Chizeck) ha dimostrato che per un pirata informatico è possibile assumere il controllo remoto dei robot chirurgici. Qual è la sua opinione sulla sicurezza degli strumenti impiegati nella chirurgia mininvasiva?Gli ingegneri elettronici autori di questo studio, hanno semplicemente evidenziato che in un futuro, potenzialmen-te, si potrebbe verificare una problematica rappresentata da pirati informatici intenzionati a danneggiare persone o attività realizzate con la robotica. Questa ipotesi viene va-lutata dagli investigatori che propongono una metodica di sviluppo di un sistema di sicurezza. Per ora, quindi, è solo un’ipotesi, a mio avviso poco plausibile, e lo studio mira a prevenire l’eventualità che si verifichi.

secondo la sua esperienza, qual è la situazione della chi-rurgia mininvasiva robotica in italia?La situazione in Italia è buona, siamo all’avanguardia come paese a livello globale. Dopo gli Stati Uniti abbiamo il maggior numero di strumenti robotici diffusi sul territorio. Numerosi centri italiani stanno adottando questa metodi-ca: non tutti hanno già acquisito sufficiente esperienza, per via della curva di apprendimento, ma le prospettive sono ottime. I campi nei quali viene applicata la chirurgia robotica sono principalmente la ginecologia e l’urologia, meno frequen-temente la chirurgia generale e quella toracica, anche se queste due specialità ne stanno ampliando l’utilizzo e sembrano trarne benefici. Per quanto riguarda il torace, il

Chirurgia robotica, italia all’avanguardiaA tu per tu con Giulia Veronesi

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CLINICAL LEADER

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robot è impiegato in particolare per la resezione polmonare maggiore, per le lobectomie e le segmentectomie, per la re-sezione delle patologie mediastiniche sia benigne (iperpla-sia e miastenia) sia maligne (del timo, inferiori a cinque-sei centimetri) e per la chirurgia dell’esofago.

sempre secondo la sua opinione, quali passi devono ancora essere fatti, in particolare nel nostro Paese, per aumentare la diffusione della chirurgia robotica?Sicuramente sarà necessario sviluppare la formazione dei

chirurghi in quest’ambito. Si è acceso un dibattito, anche negli Stati Uniti, sui rischi di un approccio troppo rapido al robot senza un training adeguato. Ciò richiederà anche una standardizzazione delle metodiche di training e di qualifi-ca dei chirurghi che avranno accesso a questa tecnica. Per quanto riguarda lo sviluppo di robot alternativi a quello più diffuso sul mercato, esistono diversi prototipi in fase di valutazione. Anche in questo campo, l’Italia è molto all’avanguardia.

Giulia Veronesi è uno dei principali esperti italiani in tema di chirurgia robotica, in particolare per la chirurgia toracica. È attualmente respon-sabile della Sezione di Chirurgia Robotica dell’I-stituto Clinico Humani-tas di Rozzano.

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