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ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STORIA ECONOMICA “F. DATINIPRATO Serie II – Atti delle “Settimane di Studi” e altri Convegni 36 L’EDILIZIA PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE SECC. XIII-XVIII Atti della “Trentaseiesima Settimana di Studi” 26-30 aprile 2004 a cura di Simonetta Cavaciocchi Le Monnier

L’EDILIZIA PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE SECC. …ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STORIA ECONOMICA “F. DATINI” PRATO Serie II – Atti delle “Settimane di Studi” e altri

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  • ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STORIA ECONOMICA “F. DATINI”

    PRATO

    Serie II – Atti delle “Settimane di Studi” e altri Convegni 36

    L’EDILIZIA PRIMA DELLA

    RIVOLUZIONE INDUSTRIALE SECC. XIII-XVIII

    Atti della “Trentaseiesima Settimana di Studi”

    26-30 aprile 2004

    a cura di Simonetta Cavaciocchi

    Le Monnier

  • Ivana Ait, Manuel Vaquero Piñeiro

    Costruire a Roma fra XV e XVII secolo∗

    Da quando, con il Concilio di Costanza del 1407, i papi trasferirono la sede della curia a Roma, la città fu lo scenario di una radicale trasformazione urbanistica ed architettonica. Per quasi due secoli lo spazio urbano si riempì di cantieri edili destinati in alcuni casi alla trasformazione di vecchi edifici, ancora tipicamente medievali, in altri, ed è la maggioranza, alla costruzione di nuove fabbriche religiose e civili, pubbliche e private, in sintonia con la nuova dimen-sione spirituale e temporale acquisita dalla capitale dello Stato della Chiesa.

    Passare in rassegna, anche a puro titolo indicativo, la lunga lista di tali edi-fici porterebbe a delineare in larga parte la storia dell’architettura europea dal Rinascimento al Barocco. Non è necessario, dunque, soffermarsi sulle eviden-ze artistiche di queste opere quanto piuttosto sull’ampia e diversificata tipolo-gia di costruzioni che fa balzare in modo evidente come affrontare lo studio dell’edilizia a Roma in questo periodo significhi di fatto confrontarsi con la realtà socio-economica che rese possibile tali realizzazioni.

    Nel caso specifico della città papale avremmo potuto riservare l’atten-zione al solo grande cantiere della basilica di S. Pietro1, la cui durata e com-plessità progettuale permette di affrontare con dovizia di particolari molte delle questioni che di solito vengono racchiuse all’interno di quello che è de-finito il settore edilizio. La nostra scelta invece è stata quella di andare oltre il singolo, seppure importante cantiere vaticano, per penetrare nell’articolata

    ∗ Il saggio è il risultato di una stretta collaborazione fra i due autori, così come la premes-sa, tuttavia sono di Ivana Ait i paragrafi 1 e 2 del I capitolo e il paragrafo 1 del II capitolo, cor-rispondenti alle pp. 232-248, 252-262; sono di Manuel Vaquero Piñeiro i paragrafi 3 e 4 del I capitolo, il paragrafo 2 del II capitolo e il III capitolo, corrispondenti alle pp. 248-251, 262-284.

    1 L’architettura della basilica di San Pietro. Storia e costruzione, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma, 7-10 novembre 1995, a c. di G. SPAGNESI, Roma 1997; E. FRANCIA, 1506-1606. Storia della costruzione del nuovo San Pietro, Roma 1977; IDEM, Storia della costruzione del Nuovo San Pietro. Da Michelangelo a Bernini, Roma 1989.

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    struttura produttiva cittadina dalla quale, in ultima analisi, dipendeva l’andamento e la realizzazione di una qualsiasi fabbrica, fosse grande o piccola. In questo scenario e in funzione delle esigenze del mercato edilizio divenne prioritario lo sfruttamento delle risorse del territorio mentre il tessuto sociale cittadino si arricchiva per l’arrivo di consistenti flussi di manodopera forestiera.

    Sebbene importanti contributi alla conoscenza del cantiere storico siano venuti dalle scelte di carattere finanziario e operativo da parte dei committen-ti2 e si concentrino sulle soluzioni tecniche adottate3, il nostro interesse è ri-volto verso altre angolature. L’osservatorio privilegiato è l’organizzazione e la retribuzione della manodopera e la produzione dei materiali. Tale scelta è sta-ta dettata dallo scarso rilievo che questi aspetti hanno finora avuto negli studi di settore e nella convinzione che questo taglio permetta di valutare la ricadu-ta che su un determinato sistema economico avevano le spese di carattere edi-lizio. Partendo dall’avviso che le spese edilizie siano un importante fattore di redistribuzione dei redditi4 sorge la necessità di porsi il problema, almeno dal punto di vista teorico, di capire in che modo il processo produttivo edilizio divenisse concreto fattore di crescita economica per i differenti operatori coinvolti, pur risultando difficile riuscire a quantificare l’incidenza, all’interno del complesso delle ricchezze cittadine, del movimento del denaro attivato dal settore edile.

    Purtroppo, per il periodo pre-industriale, non sono molti, anzi sono una vera rarità, i casi di ritrovamento di quaderni, registri e altri strumenti contabi-li appartenenti agli architetti, ai maestri e agli operatori coinvolti a vario titolo nei progetti architettonici. In mancanza di un approccio diretto, non rimane che interrogarci sui meccanismi di funzionamento del settore edilizio dal di fuori, cioè osservarndolo attraverso l’ottica di altri soggetti in esso coinvolti, a cominciare dagli enti finanziatori. Possediamo, infatti, una grande quantità di informazioni e dati desunti dai libri delle fabbriche compilati dai committenti, ma sebbene si tratti – come è stato opportunamente ricordato5 - di una do-cumentazione di fondamentale importanza per svelare molti aspetti di caratte-

    2 E. FERRETTI, Appunti per la conoscenza del cantiere storico: Bernardo Buontalenti e la fabbrica del

    palazzo di Bianca Cappello a Firenze (1576-1578), in “Ricerche storiche”, 32, 2002, 1, pp. 47-79 3 D. LAMBERINI, All’ombra della cupola: tradizione e innovazione nei cantieri fiorentini quattro e cin-

    quecenteschi, in “Annali di Architettura. Rivista del centro internazionale di studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza”, 10-11, 1998-99, pp. 276-287; S. DELLA TORRE, Tecnologia edilizia e organizzazione del cantiere nella Milano del secondo Cinquecento, ibid., pp. 209-309.

    4 Si vedano le considerazioni di A. GROHMANN, L’edilizia e la città. Storiografia e fonti, in que-sto stesso volume.

    5 J.-P. SOSSON, Le “bâtiment”. Sources et historiographie acquis et perspectives de recherches (moyen âge- débuts des temps modernes), in questo stesso volume.

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    re amministrativo-organizzativo, questa fonte risulta del tutto insufficiente a definire in maniera puntuale il modo di agire e il comportamento in chiave economica della vastissima schiera di maestri e manovali edili che affollavano le città europea.

    È stato, fra l’altro, evidenziato da chi si è occupato delle finanze papali nel periodo rinascimentale, come dagli stessi bilanci camerali risulti problematico dedurre le spese attinenti alla realizzazione dei lavori pubblici6. Abbiamo in-fatti una documentazione frammentaria che, se permette di cogliere la dimen-sione complessiva del fenomeno, non consente di effettuare dei calcoli statistici sicuri. Tuttavia, pur dovendo muoverci per grandi linee, ci sembra che si possano trarre utili indicazioni da alcuni documenti molto significativi. Così, ad esempio, per gli anni 1585-1589 risulta che la Camera Apostolica e-rogò somme per oltre un milione di scudi destinate a coprire le spese derivan-ti da una trentina di cantieri. Il principale destinatario di questa consistente spesa sostenuta dal papa fu l’architetto Domenico Fontana il quale da solo ricevette ben oltre 300.000 scudi, una voce di spesa questa che rappresenta il 30% del totale. Accanto troviamo altre figure destinatarie di somme di un cer-to livello: un maestro muratore, Matteo da Castello, con 124.000 scudi, lo scalpellino Lorenzo Bassani e compagni con 77.000 scudi, Carlo Nebbi e compagni pittori, 29.000 scudi, solo per fare alcuni nomi7.

    Queste cifre pongono due principali quesiti: il primo riguarda la possibile quantificazione dell’incidenza della spesa edilizia sull’impiego delle risorse e-conomiche papali; il secondo, per noi più foriero di nuovi indirizzi di ricerca, sorge quando si cerca di conoscere la realtà produttiva alla quale queste som-me fanno riferimento. Si possiedono serie contabili provenienti dai commit-tenti o da chi era incaricato di finanziare l’opera mentre di tutti quei registri di cui abbiamo notizie indirette non rimane che qualche sporadica e labile trac-cia. Tale fattore è di maggiore incidenza nel caso di Roma dove, come si ve-drà, determinante è la presenza di lavori svolti attraverso il ricorso a compagnie di maestri sia nell’arte muraria che in altre specialità. Rimane l’interesse per noi a sviluppare soprattutto l’analisi sugli elementi dinamici di questa realtà romana nel lungo periodo sullo sfondo del grande cantiere della basilica di S. Pietro che costituisce come sempre un imprescindibile punto di riferimento.

    6 P. PARTNER, Finanze e urbanistica a Roma (1420-1623), in “Cheiron”, 2, 1983, pp. 59-71, p. 64. 7 E. GUIDONI – A. MARINO – A. LANCONELLI, I “libri di conti” di Domenico Fontana. Riepilo-

    go generale delle spese e Libro I°, in “Storia della città”, 40, 1986, pp. 45-76, pp. 57-58.

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    1. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO 1.1. Manodopera in movimento

    Il movimento di manodopera edile incentrato su Roma si inserisce all’interno di una più ampia circolazione che, partendo dalle aree settentriona-li, si distendeva progressivamente verso le regioni centrali. Anche se appare difficile quantificare la presenza di questa “riserva” di operai, utili elementi di valutazione offre un episodio, riportato dal Vasari, circa un contrasto sorto tra il Brunelleschi e alcuni muratori in relazione ad un aumento del salario. Non risolvendosi la trattativa il famoso architetto decise “un sabato sera di licen-ziarli tutti” ed “il lunedì seguente messe in opera dieci Lombardi, e...gl’istruì un giorno tanto, che ci lavorarono molte settimane”. A questo punto i fiorentini “veggendosi licenziati, e tolto il lavoro... non avendo lavori tanto utili quanto quello” si raccomdandarono al Brunelleschi il quale peraltro “li tenne molti dì in su la corda de non li voler pigliare: poi li rimesse con minor salario che eglino non avevano prima: e così dove pensarono avanzare, persono”8. Due aspetti emergono: l’incidenza sulla contrattazione salariale a seguito dell’arrivo di ma-estri lombardi nelle città toscane, dove di fatto crearono una situazione di concorrenzialità rispetto alle maestranze locali; la posizione egemone, per non dire monopolistica dell’architetto fiorentino. Comunque a Firenze come a Siena la conflittualità sorgeva a seguito di un differente modo di intendere l’organizzazione del lavoro da parte dei nuovi arrivati. La forte immigrazione dalle aree settentrionali, infatti, metteva in crisi le tradizionali strutture corpo-rative nella misura in cui imponevano un modello di lavoro più autonomo, incentrato sul singolo maestro con alle sue dipendenze un gruppo, più o me-no articolato, di lavoratori. Per quanto riguarda Roma, ma anche altri impor-tanti centri laziali, chiare indicazioni in questo senso vengono dalla normativa statutaria tesa a regolamentare l’attività dei muratori e dei maestri di pietra. Rinviando ad altra sede un’analisi più analitica al riguardo, preme qui sottoli-neare la non chiusura di questi corpi di mestiere verso l’elemento forestiero, anzi, al contrario il notevole contributo dato dalle maestranze lombarde oltre che da quelle toscane all’organizzazione corporativa9.

    Tale andamento sembra conseguenza di due importanti elementi di novi-tà: la volontà papale di destinare delle risorse per trasformare la fisionomia

    8 G. VASARI, Le Vite dei più celebri pittori, scultori e architetti, I-II, La Spezia 1988, I, p. 227. 9 Una chiara testimonianza è offerta dagli statuti dei marmorai e dei maestri di pietra di

    Roma e di Viterbo, cfr. ARCHIVIO SEGRETO VATICANO (d’ora in avanti ASV), Monasteri femminili romani soppressi, SS. Domenico e Sisto, vol. 630, alle cc. 62r-75r; Statuto dei maestri di Pietra (1461), in Biblioteca degli Ardenti della città di Viterbo. Studi e ricerche nel 150º della Fondazione, Viterbo 1960, pp. 3-60.

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    cittadina; il conseguente arrivo di operatori che si erano venuti formando per decenni sui cantieri dell’Italia centro-settentrionale10, i quali si inserirono in un tessuto produttivo caratterizzato da uno scarso peso delle strutture corporati-ve locali. Il capitale pubblico sempre di più nel corso del XV secolo viene uti-lizzato per la costruzione o l’abbellimento di chiese, di palazzi, un processo nel quale ben presto si inseriscono anche i privati. Uomini di curia, mercanti forestieri, ma naturalmente anche le famiglie dell’aristocrazia romana, deside-rosi di proiettare la loro immagine a livello internazionale investirono nella costruzione di nuovi, più grandi edifici, o nell’abbellimento e nella sistema-zione di quelli esistenti, nell’attrezzare botteghe, in una città che, tornata ad essere la sede papale con i connotati di capitale della cristianità, richiamava un’ampia e variegata fascia di persone: dagli ambasciatori, al nutrito personale che gravitava intorno alla curia11, ai mercanti forestieri che si insediarono nelle aree centrali della città12. Tale processo, alimentato ovviamente anche dalla crescente domanda di affitti e, dunque, dal desiderio di entrare nel circuito delle nuove opportunità di profitto, provocava l’aumento del valore dei terre-ni e degli immobili all’interno delle mura13.

    Pertanto risulta agevole comprendere il motivo del rapido e agevole inse-diamento in città di lavoratori forestieri che introdussero una prassi edilizia impostata prevalentemente, o quasi esclusivamente, sull’intervento di mae-stranze che dimostrarono una spiccata capacità, fra le altre cose, di adattarsi ai nuovi canoni stilistici imposti dal Rinascimento.

    Nel tentativo di individuare quella linea di confine che separa un’impostazione prettamente medievale dell’organizzazione cantieristica edile da un’altra che appare anticipatrice di nuove e diverse modalità si analizzeran-

    10 Sullo spostamento della manodopera si veda R. COMBA, Emigrare nel Medioevo. Aspetti eco-

    nomico-sociali della mobilità geografica nei secoli XI-XVI, in Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, a c. di R. COMBA, G. PINTO, G. PICCINNI, Napoli 1984, pp. 45-74 e i recenti studi di L. GIORDANO, I maestri muratori lombardi. Lavoro e remunerazione, in Les chantiers de la Renaissance, Actes des colloques di Tours, 1983-1984, Tours 1991, pp. 165-173 e di L. FONTAINE, Pouvoir, identités et migrations dans les hautes vallees des Alpes occidentales: 17-18 sièecle, Grenoble 2003.

    11 Non si hanno dati precisi sugli abitanti di Roma nel periodo medievale, anzi le opinioni a questo riguardo sono discordanti, comunque è certo che nel corso del XV secolo la popola-zione ebbe una crescita esponenziale, grazie soprattutto alla forte immigrazione, si veda quanto riporta A. ESPOSITO, Note sulla popolazione romana dalla fine del secolo XV al Sacco (1527), in EA-DEM, Un’altra Roma. Minoranze nazionali e comunità ebraiche tra Medioevo e Rinascimento, Roma 1995, pp. 20-23.

    12 I. AIT, Mercato del lavoro e forenses a Roma nel XV secolo, in Popolazione e società a Roma dal medioevo all’età contemporanea, a c. di E. SONNINO, Roma 1998, pp. 335-358.

    13 Una sintesi di questo aspetto per il periodo qui preso in esame in L. PALERMO, L’economia, in Roma del Rinascimento, a c. di A. PINELLI, Roma-Bari 2001, pp. 49-91, alle pp. 66-73.

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    no in primo luogo i dati offerti dalla contabilità della fabbrica di S. Pietro che a partire dal XIV secolo, epoca alla quale risalgono le prime testimonianze al riguardo, fino almeno alla grande realizzazione brunellesca, fu senza dubbio il principale polo di attrazione per un’ampia e diversificata tipologia di lavoratori del settore14.

    Per quanto riguarda i primi restauri e le sistemazioni, anche di parti strut-turali, effettuati tra il gennaio 1339 e il dicembre 1341, alla basilica e ai palazzi vaticani15, la dislocazione ad Avignone della curia papale fu senza dubbio de-terminante nella scelta del responsabile del cantiere, nella figura di maestro Tommaso Giraldi di Ponte Surgiae16. Non stupisce, quindi, che la stessa impo-stazione del cantiere romano risulti improntato sul modello avignonese17: Tommaso Giraldi si occupò personalmente degli acquisti di materiale, assunse la manodopera, sia maestri che manovali, tutti salariati a giornata18, mentre solo lui usufruì di una forma contrattuale annuale che gli garantiva una stabili-tà di lavoro e la retribuzione dei giorni festivi o comunque non lavorativi19.

    La marcata centralizzazione di tutte le attività connesse a queste opere è altresì evidenziata dalla struttura amministrativa della fabbrica a capo della quale fu nominato l’altarario Pietro Lauretii che, nella sua funzione di tesorie-re, aveva il compito di revisionare i conti20. L’altarario, insieme al notaio, e ad

    14 Tale compito è agevolato dalla documentazione pervenutaci, in particolare dai registri della serie Fabbriche, conservati nell’Archivio di Stato di Roma, che, pur con diverse lacune, permettono di gettare luce per un lungo periodo sull’attività edilizia cittadina, per quanto ri-guarda questa documentazione si rinvia a I. AIT, Salariato e gerarchie del lavoro nell’edilizia pubblica romana del XV secolo, in “Rivista Storica del Lazio”, 5, 1996, pp. 101-130, alle pp. 101-102.

    15 Fu il papa, Benedetto XII, che, come afferma lo SCHÄFER, (Die Ausgaben derApostolischen Kammer unter Benedict XII., Clemens VI. Und Innocenz VI., Paderborn 1914) per gli interventi ef-fettuati alla Basilica vaticana spese 13.000 fiorini; il Cerrati concorda sostanzialmente con que-sta cifra, cfr. Il tetto della Basilica Vaticana rifatto per opera di Benedetto XII, in “Mélanges d'Archéologie et d'Histoire”, 35, 1915, p. 85, n. 1. Mentre dai calcoli da me effettuati, relativi alle spese sostenute sia riguardo al materiale e sia alla manodopera, si ricava la somma di 16.130 fiorini, cfr. I. AIT, Il Manuale Expensarum Basilice Sancti Petri, 1339-1341. Contributo per lo stu-dio del salariato edile a Roma nel Trecento, in Maestranze e cantieri edili a Roma e nel Lazio. Lavoro, tecni-che, materiali nei secoli XIII-XV, a c. di A. LANCONELLI e I. AIT, Manziana (Roma) 2002, pp. 29-37, p. 22 e nota 9.

    16 Pons Surgiae= Sorgues, località del distretto di Avignone. 17 Cfr. F. PIOLA CASELLI, La costruzione del Palazzo dei Papi di Avignone (1316-1367), Milano 1981. 18 ASV, Camera Apostolica, Introitus et Exitus (d’ora in poi I. E.), 180, cc. 146v-148r. Sulla

    precarietà del lavoro edile si vedano le considerazioni di R.A. GOLDTHWAITE, La costruzione della Firenze rinascimentale. Una storia economica e sociale, Bologna 1984, pp. 419-424.

    19 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, a c. 145r si trova la copia della bolla di nomina e le rate di pagamento dello stipendio di maestro Tommaso Giraldi: per un totale di ben 180 fiorini l’anno.

    20 Petrus Laurentii canonicus Atrebatensis era succeduto a Joannes Piscis nella carica di altarario di S. Pietro, ASV, Bullar. Vatic. I, 291, 307-308, cfr. CERRATI, Il tetto, cit., p. 83 n.1. Sull’altariato

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 235

    un segretario, faceva parte dell’équipe che, con il Giraldi, doveva decidere om-nes expensas oportunas et necessarias…pro dicto opere.

    «Per fare questo tetto furono adunati tutti li savi maestri li quali avero se potiero drento de Roma e fora»21, nella maggiore parte dei casi si trattava di persone residenti in città soprattutto per quel che riguarda la manodopera qualificata. Non mancano tuttavia, sempre fra le maestranze, operatori prove-nienti da città della Toscana, della Campania, al cui interno si rileva la presen-za di veri e propri gruppi familiari22, e dai centri d’Oltralpe23. Quando si faceva impellente la necessità di portare a termine i lavori, la manovalanza ve-niva per lo più reperita tra coloro che, soprattutto nel periodo invernale, dai vari centri del Patrimonio si recavano in città in cerca di un’occupazione. Nel complesso, comunque, emerge l’apporto fondamentale di manodopera quali-ficata residente a Roma.

    Tuttavia il nucleo più consistente di lavoratori era formato dalla manodo-pera non qualificata e nell’arco dei tre anni nel cantiere di S. Pietro furono impiegati in media annualmente circa 100 operai. È superfluo ricordare come la manodopera edile non costituisse un gruppo chiuso, avulso dal resto del mondo del lavoro. Tale dato è confermato dalla presenza nel cantiere della basilica di operai stagionali, il cui reddito dipendeva anche, o soprattutto, da altre fonti. In particolare era dal mondo rurale che proveniva il nucleo più consistente dei salariati ed il ritmo stagionale dei lavori nei campi si riflette chiaramente nell’ingaggio più o meno numeroso di manovali, legati, dunque, al mondo dell’agricoltura. Ne consegue che le vicende, le condizioni di vita, il livello delle retribuzioni degli operai edili risultano ancora strettamente vinco-lati alle condizioni generali dell’economia, specie del settore agricolo. Così, se durante la stagione invernale vennero ingaggiati anche 50-60 lavoratori gior-nalieri, durante il periodo primaverile-estivo le presenze nel cantiere diminui-vano drasticamente, sia fra i maestri muratori e carpentieri, sia soprattutto fra i manovali. Tale riduzione, oltre alla già accennata possibilità di un maggiore ricorso ad altre forme contrattuali che sfuggono alla contabilità in nostro pos-sesso, si può indubbiamente ascrivere alla maggiore o minore disponibilità di

    della basilica vaticana, su Joannes Piscis e sui lavori eseguiti alla basilica costantiniana, si veda E. DUPRÈ THESEIDER, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, alle pp. 498-500.

    21 ANONIMO ROMANO Cronica, ed. critica a c. di G. PORTA, Milano 1979, VII, p. 31. 22 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, c. 15v. . È il caso, tanto per fare un esempio del mae-

    stro Giovanni di Napoli e dei suoi tre figli, Matteo, Iacopo, Pietro, e di un nipote Andreotius, figlio di Pietro, tutti con la qualifica di magistri .

    23 Si tratta di lavoratori provenienti dall’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Germania e dalla Francia.

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    manodopera nei diversi mesi dell’anno; fra l’altro, data la tipologia dei lavori da eseguire, per il cantiere sarebbe stato di maggior profitto accelerare i lavori nei mesi estivi essendo le giornate più lunghe e per di più non ostacolate dal maltempo.

    Presente, anche se meno rilevante, il ricorso sia a lavori pagati «a opera», il coctimus seu stallum (extallum), sia ad accordi che agganciavano la paga sulla base di una tariffa a unità di misura, stipulati con i secatores o con i maestri murato-ri24, o con due o più maestri carpentieri consociati, come nel caso dei due ma-gistri recoperitores per aiutare i quali vennero assunti sette manovali25. Resta il fatto che, secondo tali contratti, conclusi da Tommaso Giraldi, i maestri si impegnavano a facere o fieri facere i lavori pattuiti. Dietro questa formula gene-rica si potrebbe intravedere il ricorso da parte del gruppo dirigente del cantie-re anche a contratti di appalto che, stipulati con i maestri, erano finalizzati ad abbreviare i tempi di esecuzione di alcune parti del progetto. In tale caso il capomastro si assumeva ogni responsabilità e soprattutto doveva essere in grado di anticipare i costi sia del materiale sia della manodopera specializzata e non, alle sue dirette dipendenze26. Tale dato è confermato anche dall’esbor-so di forti somme in fiorini d’oro a singoli magistri, che, plausibilmente, per eseguire opere di un certo impegno, si avvalsero non di rado di un numero consistente di lavoratori27.

    Si intravede pertanto come, accanto all’assunzione «a giornata», che rima-neva prevalente, si facessero strada altri tipi di pattuizioni di lavoro, attraverso

    24 Pro quinque paxibus quadratis de tabulis per eos secatis a soldi otto per paxum, ASV, Camera

    Apostolica, I. E., 180, c. 88r; e, come viene specificato la misura del passo est octo palmorum, (c. 90r); secaverunt de tabulis palmos quadratos… a denari 12 per palmum, (c. 89r); è anche il caso dei maestri Nicola Madii e Paolo Iude, muratori, retribuiti soldi 35 per compactum, (c. 99r). In Toscana è ampiamente documentato l’uso del cottimo a misura lineare, cfr. R.A. GOLDTHWAITE, La costruzione, cit., pp. 190-197 e G. PINTO, Qualche considerazione sull’attività edilizia nell’Italia medievale, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena”, IV, 1983, pp. 165-184. Circa i metodi usati a Roma per costruire pareti in muratura si rinvia allo studio di D. AN-DREWS, L’evoluzione della tecnica muraria nell’Alto Lazio, trad. it. di C. Comodi, in “Biblioteca e Società”, IV, 1982, pp. 13-16

    25 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, c. 100r, si vedano a questo proposito le considerazioni di CH.M. DE LA RONCIÈRE, Prix et salaires à Florence au XIVe siècle (1280-1380), Rome 1982, p. 321., e R.A. GOLDTHWAITE, La costruzione, cit., pp. 185 ss.

    26 Vi è una sola registrazione riguardante due magistri recoperitores che con sette manovali la-vorarono per due giornate (il venerdì e il sabato 19 maggio 1341) per i maestri Ballo e Nicola, de coctimo eorum, ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, c. 100r.

    27 Per le opere eseguite da Ballo e Nicola per un periodo di sette mesi, dal marzo al set-tembre 1341, furono impiegati in totale 327 fiorini d’oro; mentre a ben 100 fiorini d’oro am-monta la retribuzione dei due mesi di lavoro di maestro Lando Rubeo, ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, rispettivamente a c. 95r e c. 109r.

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    il ricorso a diversificate forme contrattuali. Tale fenomeno, pur prefigurando nuove modalità di rapporti, in questo periodo è certamente da mettere in re-lazione sia alla tipologia delle opere da portare a termine, che richiedevano una particolare qualificazione, aspetto questo chiaramente attestato dall’alta percentuale, specie in determinati periodi, di manodopera specializzata, sia alla necessità di accelerare i tempi di esecuzione.

    L’importanza e l’ampiezza raggiunta dalle iniziative dei pontefici del Quattrocento per la trasformazione della struttura urbanistica romana è stata oggetto di numerosi studi28. Questi contributi permettono di ricostruire la crescita architettonica della città e di evidenziare il determinante apporto ve-nuto in questo contesto dalle grandi fabbriche papali, da quella di S. Pietro a quella di S. Marco, con il contiguo omonimo palazzo, oltre ai numerosi inter-venti effettuati a S. Maria Maggiore, a S. Giovanni con il palazzo Lateranense. La crescente domanda pubblica, intendendo con questo termine le iniziative papali che riguardarono opere di rappresentanza e di utilità generale, la cui voce di spesa gravò sulle entrate erariali papali29 o su quelle cittadine, allorchè si trattava di opere effettuate su strutture municipali30, rendeva dunque neces-

    28 Gli interventi di edilizia urbana sono stati oggetto di numerosi ed approfonditi studi, in

    particolare per il programma di riforma avviato da papa Martino V si veda G. CURCIO, “Nisi celeriter repararetur totaliter est ruitura”. Notazioni su struttura urbana e rinnovamento edilizio in Roma al tempo di Martino V, in Alle origini della nuova Roma. Martino V, a c. di M. CHIABÒ, G. D’ALESSAN-DRO, P. PIACENTINI, C. RANIERI, Roma 1992, pp. 537-554 (con ulteriore bibliografia); e per il pontificato di Nicolò V, T. MAGNUSON, The Project of Nicholas V for Rebuilding the Borgo Leonino in Rome, in “The Art Bulletin”, 26, 1954, pp. 89-115; C.W. WESTFALL, In this Most Perfect Paradise: Alberti, Nicholas V and the Invention of Conscious Urban Planning in Rome 1447-1455, The Pen-nsylvania State University Press 1974, ed. it. L’invenzione della città, introduzione di M. TAFURI, Roma 1984; per la seconda metà del XV secolo, L. SPEZZAFERRO, La politica urbanistica dei Papi e le origini di via Giulia, in L. SALERNO, L. SPEZZAFERRO, M. TAFURI, Via Giulia, una utopia urbani-stica del 500, Roma 1979, pp. 15-64; G. CURCIO, I processi di trasformazione edilizia, in Un pontificato ed una città. Sisto IV, a c. di M. MIGLIO, F. NIUTTA, D. QUAGLIONI, C. RANIERI, Roma 1986, pp. 706-732; F. BENZI, Sisto IV renovator Urbis. Architettura a Roma 1471-1484, Roma 1990; si vedano inoltre i lavori di P. TOMEI, L’architettura a Roma nel Quattrocento, Roma 1942; T. MAGNUSON, Studies in Roman Quattrocento Architecture, Stockholm 1958; G. ALCIATI, I papi costruttori. Storia e arte a Roma dall’Umanesimo al Barocco, Roma 1991; M. TAFURI, Ricerca del Rinascimento. Principi, città, architetti, Torino 1992; V. FRANCHETTI PARDO, Storia dell’urbanistica. Dal Trecento al Quattro-cento, Bari 1994.

    29 E’ quanto individuato a proposito dell’impresa del palazzo di S. Marco da C.L. FROM-MEL, Francesco del Borgo: Architekt Pius’ II und Paulus II. II. Palazzo Venezia, Palazzetto Venezia und San Marco, in “Romisches Jahrbuch fur Kunstgeschichte”, 21, 1984, pp. 71-164, alla p. 109.

    30 Per i resturi di porte, mura la spesa veniva a gravare sui maggiori cespiti cittadini, cfr. I. AIT, Il finanziamento dello Studium Urbis nel XV secolo: iniziative pontificie e interventi dell’élite municipa-le, in Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia de “La Sapienza”, a c. di L. CAPO-M. R. DE SIMONE, Roma 2000, pp. 35-69, in particolare p. 43.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 238

    sario il ricorso ad una molteplicità di cantieri che offrivano nuovi spazi opera-tivi alle maestranze forestiere. Fu certamente per rispondere in maniera ade-guata alle esigenze del cantiere della basilica vaticana che, proprio intorno alla metà del XV secolo, prese forma quell’organismo che, dotato di una specifica struttura preposta ad occuparsi della gestione finanziaria e amministrativa, as-sunse il titolo di Fabbrica di S. Pietro31; e la lunga e corposa lista di maestri ed operai semplici addetti alla realizzazione dei progetti papali del ’400, è la chia-ra testimonianza dell’importanza delle iniziative papali che divennero un for-midabile laboratorio di preparazione e acquisizione di nuove esperienze e conoscenze oltre che un bacino di reclutamento. Da questo osservatorio pri-vilegiato è possibile, dunque, seguire in modo chiaro il peso che, all’interno di questi cantieri, venne ad assumere il personale forestiero nelle sue varie arti-colazioni: se intorno agli anni 30 del ’400 l’immigrazione rappresentava il 51% del totale dei lavoratori, qualche anno dopo, sotto Pio II, si raggiungeva la punta massima dell’82,9%, per attestarsi in seguito intorno al 60%. Tale an-damento riflette anche la diversa composizione della manodopera in relazione alla tipologia dei lavori, con un’elevata percentuale di immigrati senza qualifica e specializzazione. All’interno di questo gruppo la forza lavoro più consisten-te proveniva dall’area settentrionale impegnata ad eseguire i lavori più pesanti all’interno delle squadre di marmorai operanti al Colosseo e al palazzo della Zecca vecchia o ancora al al «ponte di S. Pietro» e «a lo Trullo»32, dove intere squadre di lapicidi provenienti per lo più dall’area settentrionale erano utiliz-zate nel gravoso compito di estrazione del materiale occorrente per la scalina-ta della basilica. Nei registri contabili è riportato solo il nome del caposquadra, mentre non vengono menzionati gli altri appartenenti al grup-po, i generici “compagni”, un gruppo di cui purtroppo sfugge anche il nume-ro dei componenti: Galeotto di Novara; Giglietto lombardo; Giovanni da Reggio; messer Pietro da Castiglione; Giovanni Granda tedesco; Bernardo di Parma; Marco di Parma solo per fare alcuni nomi33. Nell’opera di abbattimen-to delle case sulla piazza antistante la basilica per far posto alla nuova ampliata scalinata si trovano impiegati soprattutto lavoratori lombardi, quali Giovanni

    31 Risulta, infatti, chiaramente dalle annotazioni la presenza di un depositario che, oltre al

    notaio e al tesoriere, pur agendo in nome e su ordine del papa, secondo quello che era l’iter dei mandati della Camera Apostolica, operava all’interno di un organismo a parte, che si interessa-va solo al movimento di capitali, di uomini e di merci, inerenti a questa impresa, cfr. I. AIT, S. Pietro: i cantieri della seconda metà del ’400, in L’architettura della basilica di S. Pietro. Storia e costruzione, a c. di G. SPAGNESI, Roma 1997, pp. 123-128.

    32 ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (d’ora in avanti ASR), Camerale I, Fabbriche, 1503, cc. 1r, 25v-26r, 37v-38r, passim.

    33 Ibid., cc. 1r-v, 28r-v, 34r-v e passim.

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    d’Antonio del Lago Maggiore, Bartolomeo del Lago Maggiore, Tommaso da Treviso, Giovanni da Bergamo34. Il rifornimento dei materiali, pozzolana e calce, in questi anni fu attuato attraverso un duplice canale: l’acquisto e la produzione in maniera centralizzata35. In quest’ultimo caso si fece ricorso alla realizzazione di calacare sia nel cantiere di S. Pietro36 e sia nei pressi del palaz-zo di S. Marco37. In tal modo si ovviava anche alla necessità del controllo della qualità potendo verificare direttamente la perfetta esecuzione del prodotto38. Tuttavia polo ulteriore di importanti rifornimenti furono anche i calcarenses che operavano nel Tiburtino, in questo caso si trattava della calce provvista per lo più da Monticelli, oltre che da Tivoli39. Ma è soprattutto nella fornitura di laterizi che le maestranze forestiere apportarono ulteriori elementi di novi-tà, come si dirà in seguito.

    Tuttavia se l’immigrazione di manodopera generica appare in crescita per tutta la seconda metà del XV secolo, più discontinua risulta invece la presenza di personale forestiero all’interno delle categorie qualificate, muratori, scalpel-lini, marmorai, essendo strettamente connessa alle specificità delle prestazioni e quindi soggetta alle oscillazioni della domanda. A questo riguardo va notata la forte incidenza di personale di Settignano, Fiesole e Firenze fra gli scalpelli-ni, di toscani, oltre che lombardi, tra i maestri di muro e gli architetti. Difficile risulta appurare quanti di questi immigrati, in cerca di nuove e migliori oppor-tunità di lavoro, si stabilissero in modo più o meno definitivo a Roma; tale difficoltà aumenta in modo esponenziale nel caso della manodopera non spe-cializzata, la cui incidenza nel vivace movimento di uomini che ruotava intor-no ai cantieri cittadini rimane senza dubbio sottostimata proprio per quell’uso di registrarli in gruppo, elemento che rende impossibile l’individuazione di ogni singolo partecipante all’impresa. Tali difficoltà sono in parte superabili nel caso delle maestranze sia per la maggiore stabilità di impiego del personale specializzato, sia per la migliore visibilità di questo tipo di manodopera.

    34 Ibid., c. 1v. Anche maestro Manfredino, il muratore cui venne affidato l’incarico di co-

    struire il muro lungo la scalinata, era lombardo, cc. 15v-16r, 57v-58r. 35 E’ quanto attestano alcuni pagamenti «per cavatura di pozzolana», ASR, Camerale I, Fab-

    briche, 1505, cc. 86r, 97v. 36 Come si evince da alcuni mandati di pagamento a favore di Domenico de Lucarno, lom-

    bardo, calcararo ASR, Camerale I, Fabbriche, 1503, cc. 26v-27r. 37 Ibid., c. 96r. 38 Al maestro Pietro di Domenico de Roncha, responsabile dell’impianto nel 1471, l’11 lu-

    glio viene retribuito con 10 fiorini, essendogli stato detratto 1 ducato perché «fu male cotta», ibid., 1505, c. 96r.

    39 Veniva pagata tra i 20 e i 22 bolognini il rubbio, ibid., 1503, cc. 26v-27r.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 240

    Va anzi osservato da un lato la frequente stabilizzazione, seppur non de-finitiva, di singoli lavoratori il cui iter si snoda all’interno dei vari cantieri pa-pali che spesso divennero un bacino di reclutamento privilegiato a cui attinsero in primo luogo cardinali e uomini di curia che nel corso del XV se-colo avviarono la costruzione dei loro palazzi; da un altro lato la presenza, spesso in uno stesso cantiere, di maestranze appartenenti allo stesso nucleo familiare, venute sia al seguito di consanguinei o familiari sia richiamate in un momento successivo40.

    Il netto cambiamento rispetto al ruolo di primo piano rivestito dalla ma-nodopera romana almeno fino agli inizi del ’400, va, dunque, ascritto alla con-sistente immigrazione di maestranze come di semplici operai provocata dall’aumento esponenziale, nel corso del secolo, della domanda nel settore edile per la frenetica attività che investì la città dal momento in cui stava dive-nendo la capitale dello stato della Chiesa: un’impressionante sequenza di pa-lazzi, chiese, ospedali, acquedotti, fino alle centinaia di case d’abitazione che nel corso dei secoli XV-XVII furono costruite man mano che cresceva la po-polazione urbana che, va ricordato, passò dai circa 30.000 abitanti degli inizi del ’400 ai 100.000 della fine del secolo successivo41. Tutto ciò portava adun’edilizia dominata certo dalla quantità ma anche fortemente condizionata da una precisa e ben determinata volontà di costruire da parte di una pluralità di committenti sorretti da un’ingente disponibilità di risorse finanziarie42. Ol-tre alle iniziative pontificie non va sottovalutata l’incidenza della domanda privata sostenuta dai capitali dei cardinali, delle famiglie dell’aristocrazia citta-dina ma anche di illustri personaggi stranieri, fra questi i mercanti toscani de-siderosi di lasciare una traccia di più o meno forte incidenza nel tessuto cittadino43. Le facies degli edifici della nobiltà municipale e curiale erano in sintonia con il cambiamento in atto dei valori della società romana improntati alla visibilità esteriore delle costruzioni che di solito si affacciavano su piazze, slarghi o strade di maggior traffico. Roma città universale diveniva, fra l’altro, specchio della propria nazione in grado di riflettere l’immagine dei nuovi poteri.

    40 Cfr. I. AIT, Aspetti dell’attività edilizia a Roma : la Fabbrica di S. Pietro nella seconda metà del

    ’400, in Maestranze e cantieri, cit., pp. 39-53, p. 49.41 Si veda la bibliografia citata alle note 11 e 12. 42 Un significativo squarcio si trova in M. ANTONUCCI, Una committenza romana della prima

    metà del Cinquecento: il palazzetto tra via dei Gigli d’oro e vicolo dei Soldati nel rione Ponte, in “Quaderni di palazzo Te”, 10, 2002, pp. 35-47.

    43 A questo riguardo va notato come solo il palazzo del cardinale Raffaele Riario, ossia il palazzo della Canecelleria, assimilabile ai palazzi pontifici, è considerato un esemplare unico per il «superamento del modello tradizionale romano», cfr. S. VALTIERI, Il palazzo del principe. Il palazzo del cardinale. Il palazzo del mercante nel Rinascimento, Roma 1988, p. 33.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 241

    Cosa significasse per il mercato dell’edilizia cittadino quale impatto ebbe l’arrivo di questi gruppi di lavoratori si cercherà ora di capire meglio.

    1.2. «Chè così ne fu fatto merchato»44: le imprese edili nel XV secolo

    É senza dubbio nel corso del ’400 che l’attività edilizia si profila come un settore chiave per lo sviluppo economico di Roma, capace di creare una viva-ce circolazione di capitali e di uomini. Quando nel 1460 l’architetto Francesco di Benedetto Cereo da Borgo S. Sepolcro, noto come Francesco del Borgo, fu incaricato di sovrintendere la fabbrica di S. Pietro, egli era già da qualche anno a Roma. Sappiamo infatti che lavorò presso il cantiere del palazzo di S. Marco fin dal momento in cui fu iniziata l’edificazione del palazzo, dove lo si ritrove-rà qualche anno più tardi45. Indubbiamente la sua posizione di responsabile della fabbrica vaticana costituiva un innegabile avanzamento di carriera che lo portava a coprire un ruolo di particolare importanza e responsabilità: da Francesco del Borgo dipendeva, infatti, il funzionamento del cantiere. L’insieme degli incarichi affidatigli, non da ultimo, l’incombenza di stipulare i contratti con le maestranze46, fanno ritenere che siamo di fronte ad un perso-naggio dotato non solo di particolari capacità e specializzazioni professionali ma anche di una ben precisa fisionomia grazie all’attività che, già da diversi anni, stava svolgendo all’interno dell’amministrazione finanziaria pontificia47. Egli, infatti, si profila come un “tecnico” o “professionista della gestione” nel ramo amministrativo e finanziario, oltre che nel settore architettonico48.

    44 Si tratta della formula usata nell’accordo stipulato nel 1471 fra Meo del Caprina, Anto-

    nello di Albano e frate Cola con maestro Marco e compagni, maestri di legname, ASR, Camerale I, Fabbriche, 1505, c. 83v e c. 90r; su questo personaggio si veda S. BORSI, F. QUINTERIO, C. VA-SIC VATOVEC, Maestri fiorentini nei cantieri romani del Quattrocento, a c. di S. DANESI SQUARZINA, Roma 1989, pp. 163-176.

    45 Sull’attribuzione a Francesco del palazzo di S. Marco, la cui opera fu avviata nel 1455, si veda A.M. CORBO, Bernardo di Lorenzo da Firenze e Palazzo Venezia, in “Commentarii”, 1971, pp. 92-96 e C. L. FROMMEL, Francesco del Borgo: Architekt Pius’ II und Paulus II. II. Palazzo Venezia, Palazzetto Venezia und San Marco, in “Romisches Jahrbuch fur Kunstgeschichte”, 21, 1984, pp. 71-164; e IDEM, Der Palazzo Venezia in Rom, Oplanden 1982.

    46 E. MÜNTZ, Les Arts à la cour des papes pendant le XV et le XVI siècle: Recueil de documents iné-dits, I-III, Paris 1878-82, II, 1879, p. 289.

    47 Egli, infatti, era stato un ufficiale camerale almeno dal 1451 al 1453, come si evince dalla lista degli ufficiali della dogana e castellani della rocca di Ostia riportata nel lavoro di L. PA-LERMO, Il porto di Roma nel XIV e XV secolo. Strutture socio-economiche e statuti, Roma 1979 (Fonti e Studi per la storia economica e sociale di Roma e dello Stato Pontificio nel Tardo Medioevo –II), appendice VIII, in particolare alla p. 335.

    48 Cfr. L. PALERMO, L’approvvigionamento granario della capitale. Strategie economiche e carriere cu-riali a Roma alla metà del Quattrocento, in Roma capitale (1447-1527), a c. di S. GENSINI, Pisa 1994

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    Dal punto di vista organizzativo il modello seguito appare simile a quello della fabbrica di S. Marco, centralizzata e con una forte incidenza di salariato giornaliero, dipendente direttamente dalla committenza49. Questa d’altronde era ancora la formula di accordo più diffusa e semplice, in quanto consisteva nel reclutare la manodopera secondo un salario calcolato in base ad una tarif-fa giornaliera50. Il costante controllo papale affidava ad esperti la verifica dell’esatta esecuzione finale del lavoro. Tale delicato incarico, che richiedeva specifiche competenze, veniva pertanto attribuito a persone che godevano di particolare stima, come nel caso di frate Giacomo da Gaeta, nominato sopra-stante alla fabbrica delle scale della basilica fra il 1460 e il 1464. Tuttavia anco-ra una volta va segnalato come non di rado a rivestire queste funzioni prestigiose si trovino personaggi che già da diversi anni risultano operare a Roma in imprese di carattere “pubblico” all’interno delle quali svolgevano l’attività muratore, di fornciaio o ancora di scalpellino. È il caso di maestro Francesco di Bartolomeo Lori che, evidentemente distintosi nelle sue prece-denti prestazioni, veniva promosso a soprastante e «misuratore delle fabbriche di papa Paolo», funzione che continuò ad esercitare anche dopo la morte del pontefice51; un avanzamento di carriera che comportò il suo inserimento tra le fasce salariali più elevate52.

    Ai soprastanti era infatti affidata la sorveglianza dei diversi settori del can-tiere. Si trattava di personale di provata esperienza e in possesso

    (Centro di Studi sulla Civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, Collana di Studi e Ricerche 5), pp. 194-195.

    49 C.L. FROMMEL, Francesco del Borgo: Architekt Pius’ II und Paulus II. I. Der Petersplatz und wei-tere romische Bauten Pius’ II Piccolomini, in ”Romisches Jahrbuch fur Kunstgeschichte”, 2, 1983, pp. 127-174; IDEM, Francesco del Borgo: Architekt Pius’ II und Paulus II. II. Palazzo Venezia, Palazzet-to Venezia und San Marco, in “Romisches Jahrbuch fur Kunstgeschichte”, 21, 1984, pp. 71-164; e IDEM, Der Palazzo Venezia in Rom, Oplanden 1982.

    50 Specie quando si tratta di manodopera generica l’unità di misura è l’opera per indicare la forza-lavoro ceduta nell’arco della giornata, si veda a questo proposito quanto rileva PINTO, L’organizzazione del lavoro, cit., pp. 86-87 e IDEM, I lavoratori salariati nell’Italia bassomedievale: mercato del lavoro e livelli di vita, in Travail et travailleurs en Europe au Moyen Age et au début des Temps Moder-nes, a c. di C. DOLAN, Toronto1991 (Papers in Mediaeval Studies 13), pp. 47-62, alle pp. 51-52; anche nei registri in esame si evince la stretta coincidenza tra opera e giornata lavorativa.

    51 Per questo suo ufficio egli vantava un credito nei confronti della Camera Apostolica di 60 fiorini, ASR, Camerale I, Fabbriche, 1504, 5/a, c. 13r; si veda anche ibid., Mandati Camerali 1471-77, cc. 52v-53r, c. 54r-v e c. 93v, cfr. MÜNTZ, Les arts à la cour des papes, cit., 1879, II, pp. 21-22 e nota 6. Per un profilo dell’attività di questo personaggio si rimanda a BORSI, QUINTE-RIO, VASIC VATOVEC, Maestri fiorentini, cit., pp. 223-226.

    52 Fra i soprastanti vanno ricordati Giovanni Destro da Bologna, soprastante della muni-tione della fabbrica e Giovanni Borgognione, soprastante delle carrette, ossia degli addetti al trasporto del materiale, ASR, Camerale I, Fabbriche, 1505, cc. 80v, 81r, 96v.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 243

    dell’indispensabile talento professionale, in tutti i casi erano persone di fiducia del pontefice, in grado di reperire le maestranze idonee e di controllarne la produzione, ma che non provvedevano al loro pagamento, se non in modo del tutto casuale e saltuario. Spettava ai soprastanti il controllo della stessa manodopera non qualificata che in cantiere lavorava sotto la direzione di figu-re, come si è gia notato, la cui funzione è assimilabile a quella del caposqua-dra. Tale funzione, che si viene a delineare con molta precisione nel ’500, veniva assolta da operatori di solito ben conosciuti in ambito cittadino e si ri-vela tanto più importante in presenza di alti numeri di personale forestiero: al caposquadra era demandato l’incarico di scegliersi gli uomini adatti e di con-trollarne la redditività sul posto del lavoro. Un caso abbastanza significativo è quello di un certo Nicolò tedesco il quale, l’8 marzo 1462, veniva rimborsato della somma di uno fiorino d’oro, da lui anticipata per la retribuzione di 19 giornate a due manovali definiti semplicemente come lo “Spagnolo” e il “Francioso”, «li quali forono liberati dal carcere per lavorare a dette scale»53. Si trattava della costruenda scalinata della basilica di S. Pietro, ma quello che appare chiaro è la situazione nella quale si poteva trovare il committente costretto a ricorrere ad una manodopera sottoqualificata, povera, instabile e probabilmente poco avvezza alla disciplina54 e alla puntualità; tutti fattori che consigliavano dunque il ricorso a dei caposquadra che avessero pieni poteri su di essa, in grado, cioè, di assumere i lavoratori ma anche, probabilmente, di licenziarli e con un forte controllo sulla retribuzione, talvolta da loro stessi anticipata, come si evince dal documento citato. In tal modo il caposquadra diveniva l’unico in grado di ottenere il massimo rendimento da un personale non facilmente inquadrabile e privo di quell’incentivo a lavorare bene prove-niente da un rapporto di impiego regolare e stabile.

    I caposquadra insime ai soprastanti erano ai vertici del cantiere, trattando-si per lo più di personale qualificato dotato di particolari requisiti che li con-notano come dei “tecnici” di quei settori che dovevano coordinare55.

    Nel corso del XV secolo i grandi cantieri pubblici romani si trasformaro-no in un luogo privilegiato di incontro di personale di diversa provenienza e preparazione tecnica nonchè di sperimentazione di diverse tipologie di orga-nizzazione del lavoro. In particolare si nota, accanto al lavoro salariato, il ri-corso ad un numero sempre più consistente di poli produttivi autonomi.

    53 Si trattava per l’appunto delle scale della basilica di S. Pietro, ASR, Camerale I, Fabbriche, 1503, cc. 34v-35r.

    54 Il malcontento poteva sorgere specie in caso di lavori particolarmente gravosi e pesanti come risulta chiaramente da alcune “diserzioni” registrate nei libri contabili relativi alla costru-zione della flotta di Callisto III, cfr. AIT, Mercato del lavoro e “forenses”, cit.

    55 I. AIT, Salariato e gerarchie del lavoro cit., p. 43.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 244

    Piccole imprese con le quali i soprastanti delle fabbriche papali avevano ampia facoltà di stipulare direttamente i capitolati per l’esecuzione di parti dell’opera: dal maestro di scalpello Meo del Caprina di Settignano che, venuto a Roma nel 1464, dopo un periodo trascorso a Ferrara plausibilmente a seguito del fratello Luca, troviamo impegnato già dal 1460 presso il cantiere di S. Marco, a Francesco Lori da Firenze, qualificato come fornaciaio, muratore nonchè scalpellino, il quale operò a Roma almeno dal 1465 al 1482, o ancora allo scul-tore, Hieronimus de Richardi. I contratti conclusi fanno intravedere, accanto a modalità di intervento basate sul conteggio del lavoro “a giornata”, il ricorso sempre più frequente a pattuizioni di lavori che possiamo definire a “cotti-mo”, in quanto la tariffa veniva fissata “a misura” o ad esecuzione di “opera”, casi per i quali il pagamento era effettuato in base ad unità di misura lineari o di superficie, o a pezzi o parti di manufatto56. Non di rado dietro questi capi-tolati si celano accordi e patti di tipo societario fra le maestranze oppure fra un operaio specializzato e un non meglio precisabile numero di manodopera generica per condurre a termine il lavoro. Più volte per opere murarie effet-tuate al palazzo di S. Marco o in S. Pietro, il maestro muratore Giuliano di Francesco da Firenze, forse identificabile con il Sangallo, risulta essere a capo di imprese di discrete proporzioni57. Così, tanto per fare un esempio, nel 1469 è ricordato il pagamento a Giuliano «et 12 eius sociis muratoribus ac 73 eo-rum manualium» per i lavori effettuati a S. Marco58, cantiere presso il quale il gruppo operò fino al luglio del 1470, dopo di che si spostava presso la fabbri-ca di S. Pietro59.

    D’altra parte le impellenti necessità di restauro ma anche di edificazione di nuovi fabbricati imponevano il ricorso a maestri in grado di organizzare delle vere e proprie imprese: «habere vult plures magistros architectos», stabi-liva Paolo II allorchè, nel 1466, voleva procedere all’ampliamento del palazzo Venezia60.

    Il funzionamento di questi poli produttivi autonomi, di cui si avverte il maggior peso nel corso della seconda metà del ‘400, rimane, tuttavia, pressoc-chè in ombra nella contabilità delle grandi fabbriche papali. Meritano perciò

    56 Cfr. G. PINTO, L’organizzazione del lavoro nei cantieri edili (Italia centro-settentrionale), in Arti-

    giani e salariati: il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV, Atti del X Convegno Internazionale del Centro Italiano di Studi di storia e d’arte (Pistoia, 9-13 ottobre 1981), Pistoia 1984, pp. 69-101, alle pp. 92-96.

    57 Cfr. BORSI, QUINTERIO, VASIC VATOVEC, Maestri fiorentini, cit., pp. 156-163, in particola-re alle pp. 157-158

    58 ASR, Camerale I, 1504, 4, c. 110v. 59 ASR, Camerale I, 1504, c. 134v. 60 ASV, Div. Cam. 34, c. 91, il capitolato con maestro Bernardo di Lorenzo è del 25 marzo 1466.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 245

    particolare attenzione alcuni documenti che permettono di penetrare all’interno della sommersa realtà di questi elementi dinamici dell’edilizia ro-mana. Si tratta di due piccoli quadernetti, finora inediti, scritti da uno scalpel-lino operante a Roma nei primi decenni del ’500, che aprono interessanti squarci sia sul mondo del lavoro che gravitava intorno al mondo dei cantieri edili sia sulla struttura e il funzionamento della corporazione61. In questa sede tuttavia mi limiterò a indicare alcuni degli aspetti più significativi.

    Andrea, questo è il nome dello scalpellino, risulta essere a capo di una impresa con alle sue dipendenze almeno due manovali ed un apprendista, re-tribuito anche con un salario, si riforniva direttamente del materiale, di cui ri-porta quantità, prezzo e modalità di pagamento. Egli aveva acquisito una posizione di primo piano, infatti nel 1521 era il camerlengo della corporazio-ne dei marmorai ed è plausibilmente in tale veste che riporta in uno dei suoi quaderni, oltre a notazioni di carattere personale, sia gli statuti dell’arte, risa-lenti al 150862, sia un elenco di botteghe di marmorai. Pur non essendo chiaro il motivo di questa stesura è presumibile che egli volesse stilare un elenco di attività del settore che operavano in quell’anno a Roma. Pur nell’incertezza della completezza dei dati, tuttavia questa commistione di pubblico e privato all’interno delle scritture di Andrea di Matteo permette di penetrare in un mi-crocosmo finora sconosciuto. La presenza dei nomi dei maestri scalpellini, con relativa provenienza, presenti al momento dell’approvazione dello statuto, fornisce, infatti, una prima indicazione circa la composizione del gruppo. Ri-sultono così ben 23 scalpellini che esercitavano a Roma agli inizi del XVI se-colo di cui 11 erano toscani e tre lombardi. Di questi solo quattordici avevano una propria bottega e in taluni casi anche dei lavoranti al proprio servizio. A questo proposito, assente ogni riferimento alle individualità dei dipendenti, rimane solo il loro numero, che oscilla da un minimo di tre ad un massimo di tredici63, fornendo un riscontro sulle dimensioni di ognuna delle botteghe di afferenza. In particolare si distingue l’impresa che faceva capo alla bottega di Lante con 13 lavoranti, solo due contavano 6 dipendenti mentre le restanti avevano in media tre lavoranti ognuna. Va tuttavia notato cinque botteghe ri-

    61 ASV, Monasteri femminili romani soppressi, SS. Domenico e Sisto, 630 e 631. Il primo quader-

    nuccio riporta da c. 1r a 57r annotazioni relative agli anni 1519-1521, che non seguono tuttavia un rigoroso ordine cronologico, fa seguito, alle cc. 62r-75r, la copia degli statuti dei marmorai; il secondo, contiene alle cc.1r-4v, ricordi personali del 1516, per poi passare a succinti rendiconti della sua attività nel 1523.

    62 Si tratta della prima redazione statutaria pervenutaci; per un primo approccio al tema in A. KOLEGA, L’archivio dell’università dei marmorai di Roma (1406-1957), in “Rassegna degli Archivi di Stato”, 52/3, 1992, pp. 509-568.

    63 Ibid., 630, cc. 31r-32v, l’elenco è datato 10 novembre 1521.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 246

    sultano prive di sottoposti. Pur rimanenendo alcuni punti oscuri, sull’effettiva rispondenza di questi dati e soprattutto sulla loro completezza, rimane l’impressione della vivacità del settore, offerta dal numero di botteghe e di personale dipendente, e dall’incidenza in questo ambito di manodopera fore-stiera64. Siamo in presenza di operatori in grado di inserirsi nell’organiz-zazione di mestiere, all’interno della quale occupano le cariche più importanti e, pertanto, essi erano fra i pochi ai quali era concesso di partecipare alle gare di appalto per le opere pubbliche, aspetto questo sul quale si tornerà in segui-to.

    La nuova posizione assunta dalle piccole aziende, la cui genesi fu favorita dall’intensa attività dei cantieri papali ma la cui crescita si deve ai sempre maggiori spazi offerti dalle opere attivate dai capitali privati, trova conferma in documenti della seconda metà del XV secolo. La diversa modalità operativa appare improntata alla dimensione “mercantile” del maestro che da solo, o in società con altre maestranze, si possono formulare solo delle ipotesi a questo riguardo, era in grado di anticipare capitali, sotto forma di reperimento dei materiali, acquista ma spesso anche entra nel processo di produzione degli stessi, e/o di retribuzione ai manovali, in modo da rispondere alla domanda di una committenza qualificata. Un esempio di questo sistema di intervento è offerto dal fiorentino Giacomo di Antonio detto Gallo. Nel suo testamento, redatto nel 1481, enumera in modo puntuale e singolare soprattutto cose e persone legate a lui da rapporti di lavoro65. Indiscutibile risulta la capacità di Giuliano di approntare l’intero ciclo di attività indispensabili al buon funzio-namento di un piccolo cantiere. Egli dunque parte dall’organizzazione di una fornace, per il cui funzionamento si era dotato di una notevole quantità di materiale, cioè marmo e pietre varie, verosimilmente travertino66, e legname, necessario alla trasformazione del materiale in una calcara che aveva nella zo-na chiamata per l’appunto “Calcararii”. Per poter effettuare il trasporto egli si era dotato di ben sette animali da soma, tra muli e cavalli. L’impresa di Giu-liano Gallo inoltre contava una decina di dipendenti, di cui almeno sette erano

    64 Un aspetto inedito rispetto a quanto finora verificato per altre aree, cfr. CH. KLAPISCH-

    ZUBER, Les maîtres du marbre. Carrare 1300-1600, Paris 1969. 65 ASR, Collegio dei Notai Capitolini, 1292, c. 219r. 66 Dopo la parentesi medievale i primi palazzi rinascimentali dove di nuovo si trova impie-

    gato il travertino furono quelli di S. Marco e della Cancelleria, cfr. N. PAGLIARA, Antico e Medioe-vo in alcune tecniche costruttive del XV e XVI secolo, in particolare a Roma, in “Annali di architettura”, 10-11, 1998-99, pp. 233-260, p. 237.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 247

    i manovali e tre i famuli67. La poliedricità e la dimensione di questo maestro scalpellino e della sua bottega emerge con maggiore evidenza dall’enumera-zione dei crediti da lui vantati e dalle loro motivazioni che si concretizzano negli interventi eseguiti in importanti edifici: oltre a lavori effettuati nel palaz-zo e nella torre ai Santi Apostoli su commissione di Giuliano della Rovere68, cardinale titolare di S. Pietro in Vincoli, nipote di Sisto IV e futuro papa (Giu-lio II), egli prestò la sua opera per la costruzione di case e botteghe per conto di famiglie dell’aristocrazia cittadina, come i de Sanguineis, i Bonadies, in zone centrali della città: piazza Navona e Campo dei Fiori. Appare evidente che queste abitazioni dovevano rispondere, fra l’altro, alle esigenze del sempre più nutrito gruppo mercantile romano di trasmettere l’immagine del nuovo status sociale ed economico della casata.

    Senza entrare nel dettaglio di questo particolare documento, ricco di spunti, appare interessante notare il margine di autonomia raggiunta da que-sto come da altri operatori. Una simile organizzazione si può infatti supporre anche nel caso di due architetti Pietro Muraccione e maestro Graziadei. Il primo, a conclusione della costruzione del nuovo carcere a Tor di Nona, dota-to di un numero imprecisato di camere, avrebbe ricevuto 279 fiorini d’oro, mentre il Graziadei veniva retribuito con ben 3.000 ducati d’oro per, non me-glio specificate, realizzazioni effettuate nei palazzi apostolici69. La precisazione che tali lavori erano stati portati a termine suis sumptibus et expensis fa riflettere sull’esistenza di imprese più o meno grandi, agli ordini di questi operatori, in grado di svolgere lavori di diversa entità.

    Rimbalza, dunque, da un lato la perizia e l’abilità operativa di alcune mae-stranze, alle cui dipendenze accanto a un numero variabile di garzoni non di rado si trovano anche degli apprendisti, dall’altro la loro capacità di anticipare le spese per l’acquisto del materiale, e del relativo trasporto, e, non da ultimo, di assumersi anche l’onere di mantenere la manodopera a giornata.

    L’evoluzione del sistema fu dovuta ad una serie di fattori, fra i quali, plausibilmente, un ruolo non secondario dovette avere la forte domanda, so-prattutto da parte dei cardinali e uomini di curia, cioè di persone dotate di ca-

    67 Si tratta di quei dipendenti che, al momento della redazione del testamento, sono ricor-

    dati fra i creditori per un periodo lavorativo che va dai quattro ai cinque mesi, ASR, Collegio dei Notai Capitolini, 1292, c. 219r..

    68 Su questo palazzo, del quale finora non si conosce nè chi lo progettò e/o realizzò, si rinvia al saggio di A. VANEGAS RIZO, Il palazzo cardinalizio della Rovere ai SS. Apostoli a Roma, in “Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura”, XXIV, 1977-78, pp. 3-12.

    69 Riguardo a Petrus Muraccionus si vedano i due atti dell’11 agosto 1490 e del 28 giugno 1492, in ASV, Camera Apostolica, Div. Cam., rispettivamente reg. 47, c. 202v, e reg. 48, c. 119r-v; per Graziadei, ibid., 48, c. 39r-v, atto del 21 novembre 1491

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    pitali liquidi, di abitazioni che rispondessero all’esigenza di rappresentarne il ruolo rivestito all’interno degli apparati ecclesiastici. Grandi mecenati essi in-dubbiamente non potevano, o non erano in grado, di sovrintendere di perso-na i lavori, a differenza di quanto avveniva in altre realtà urbane, basti pensare al caso di Firenze, dove personaggi anche altrettanto importanti, provenienti dal mondo mercantile, erano ben addestrati alla gestione in economia.

    Dall’altra parte i committenti si trovarono in presenza di artigiani dal marcato senso mercantile, confermato dalle stesse modalità messe in atto per finanziare le loro imprese sia attraverso il ricorso al sistema di debiti-crediti in cui secondario non erano i legami con i banchieri fiorentini operanti a Roma, sia dietro cessione delle entrate della Camera Apostolica; maestranze che in-dubbiamente prepararono il terreno all’affermazione di un nuovo personag-gio: l’imprenditore edile dei primi anni del ’500. 1.3. Capitale mercantile e edilizia nel primo Cinquecento: Giuliano Leni

    Con Giuliano Leni l’edilizia romana, dopo quasi mezzo secolo di impe-tuosa crescita, raggiunse un punto di estrema maturità. Non si tratta più, co-me era accaduto in passato, dell’inserimento di una figura proveniente dalle file dei mestieri più o meno connessi al variegato mondo artistico-artiginale dell’arte di costruire; non siamo quindi in presenza di un muratore, di uno scalpellino, di un falegname formatosi presso qualche bottega di famiglia o a contatto diretto con i problemi di una cava o di un cantiere, con Giuliano Le-ni invece si assiste alla dominante posizione acquisita da un mercante, tipico esponente dell’oligarchia municipale romana del Rinascimento70. Come è sta-to affermato per le città del Brabante71, Giuliano Leni ha saputo utilizzare al meglio le possibilità offerte dal Verlagssystem a vantaggio del capitale mercanti-le. Come tanti altri mercanti romani cresciuti nel corso del XV secolo, il suo profilo economico si delinea grazie alle attività legate allo sfruttamento di a-ziende agricole, all’allevamento di bestiame, all’inserimento nel sistema degli appalti, alle operazioni di prestito; il salto di qualità si compie allorché nel 1515 papa Leone X nominava Giuliano “curatore” della fabbrica di San Pie-

    70 I. AIT, M. VAQUERO PIÑEIRO, Dai casali alla fabbrica di San Pietro. I Leni. Uomini d’affari del

    Rinascimento, Roma 2000; M. VAQUERO PIÑEIRO, Affari e architettura architettura: Giuliano Leni nel cantiere del nuovo S. Pietro prima del 1530, in L’architettura della basilica di San Pietro, pp. 157-160.

    71 R. VAN UYTVEN, Economie et financement des travaux publics des villes brabançonnes au moyen age et au XVIe siècle, in questa stessa sede.

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    tro72, una scelta che se da un lato ridimensiona i poteri decisionali che fino ad allora avevano avuto gli architetti, dall’altra colloca il mercante romano in po-sizione centrale per quanto riguarda il funzionamento della fabbrica.

    A questo punto si assiste ad una clamorosa commistione tra “pubblico” e “privato” in quanto Giuliano da una parte doveva curare gli interessi della fabbrica e, quindi, il denaro stanziato dal potere pontificio, dall’altra interveni-va in qualità di mercante che produceva e vendeva il materiale necessario al buon andamento del grande cantiere. Certamente la capacità finanziaria ed un senso innegabile di imprenditorialità permise a Giuliano Leni di dominare la scena romana per quasi un decennio, periodo durante il quale la gestione dei principali cantieri pontifici risultò espressione di una logica mercantile assai diversifica. Rispetto al passato si trattava di un momento di forte rottura, non facile da accettare per tanti settori che continuavano a pensare che il governo dell’edilizia dovesse rimanere nelle mani soltanto degli addetti ai lavori, due posizioni in netto contrasto che portarono intorno agli anni 1526-27 all’allontanamento di Giuliano Leni dalla carica di “curatore” di San Pietro. Clemente VII, accogliendo le pressioni provenienti da più parti e vedendo che l’architettura così come era interpretata dal Leni si era trasformata in un vero e proprio affare con cui mercanteggiare, prese la decisione di cedere la dire-zione dei lavori di San Pietro all’architetto fiorentino Antonio da Sangallo “il Giovane”, una scelta nel solco della tradizione della cultura umanista. Il pro-blema, a questo punto, è quello di cercare di capire quanto la moltiplicazione dei cantieri durante la seconda metà del XVI secolo e la presenza incontrasta-ta di architetti con ampie competenze dirigenziali non abbiamo per converso spinto la forza lavoro dell’edi-lizia, prevalentemente attraverso compagnie e patti di società, a maturare un maggior livello di organizzazione. Tuttavia ap-pare indubbio ormai che questa realtà del mondo del lavoro romano affondi le sue radici già nella metà del XV secolo quando, contestualmente all’apertura dei primi grandi cantieri pontifici, si verificava il massiccio afflus-so di maestranze e produttori di materiali provenienti da varie parti della peni-sola.

    1.4. Le compagnie di capimastri tra XVI e XVII secolo Già evidenziata per i cantieri romani del Quattrocento la fitta ragnatela di

    patti di lavoro su cui poteva poggiare la costruzione delle fabbriche roma-

    72 Per la storia della basilica di San Pietro nei primi anni del XVI secolo, A. BRUSCHI, C.L.FROMMEL, F.G. WOLFF METTERNICH, C. THOENES, San Pietro che non c’è da Bramante a Sangallo il Giovane, Milano 1996.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 250

    ne73 emerge chiaramente nel caso del palazzo del cardinale Domenico Toschiin piazza di Montecitorio74. Secondo le informazioni desunte da un registro di conti75 e da alcune scritture private76 apprendiamo che Sebastiano Sardi, ca-pomastro per i lavori da muro nella fabbrica, aveva formato nel 1618 una so-cietà “a tutta roba” con Bartolomeo Ruggia, ottenendo per questo incarico un compenso di circa 1300 scudi, destinati a saldare i mercanti, i carrettieri, e a pagare i debiti contratti per poter finanziare i lavori. Contemporaneamente Sebastiano Sardi e Bartolomeo Ruggia, sempre in società, cominciarono a co-struire una casa per Tommaso e Francesco Serra77. In questa impresa parteci-pava, quale nuovo socio, anche Giovanni Domenico con un capitale di 150 scudi. Nei documenti relativi al funzionamento di questa società di maestri da muro si fa menzione a libri contabili in cui Bartolomeo, incaricato di ‘maneg-giare’ il denaro doveva riportare le spese sostenute. Per motivi non chiari la compagnia però si sciolse: la conduzione della fabbrica rimase a Bartolomeo il quale oltre a dare a Sebastiano la sua quota capitale, dovette provvedere a re-stituire i 600 scudi presi in prestito e per i quali era stata ipotecata ‘a censo’ una casa proprietà dello stesso Bartolomeo. Capillari operazioni di micro-credito sugli immobili che permettono altresì di individuare il meccanismo che in realtà consentiva a tanti capimastri romani di farsi carico dei lavori nelle fabbriche di maggiore impegno finanziario. Purtroppo la mancanza di conta-bilità riconducibile alle attività delle decine di muratori e scalpellini attivi a Roma costituisce un limite invalicabile allorchè si cerchi di conoscere nel det-taglio la dimensione degli investimenti che ruotavano intorno all’edilizia, un retroscena ancora tutto da indagare che, secondo quanto alcune testimonian-ze lasciano intravedere, avevano alla base l’acquisto di titoli del debito pubbli-co o la costituzione di società per la compera di qualche ufficio camerale dal quale provenivano rendite sicure78.

    73 B. AZZARO, L’arte di “maneggiare fabbriche” in un cantiere romano del Settecento: la presenza di

    Sardi e Fuga, “Palladio”, 17, 1996, pp. 51-66; ; per Roma, M. VAQUERO PIÑEIRO, Ricerche sui salari nell’edilizia romana (1500-1650), in “Rivista storica del Lazio”, 5, 1996, pp. 131-158

    74 F. BORSI, M. DEL PIAZZO, E. SPARISCI, Montecitorio. Ricerche di storia urbana, Roma 1972, pp. 53-54.

    75 ASR, Arciconfraternita dell’Annunziata, 73.76 ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 25, vol. 77, cc. 156r-169r. 77 ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 25, vol. 74, cc. 470r-472v, 476r-478r. 78 M. VAQUERO PIÑEIRO, Compagnie di muratori e scalpellini lombardi nei cantieri edili romani del

    XVII secolo, in Il giovane Borromini. Dagli esordi a San Carlo alle Quattro Fontane, a c. di M. KAHN-ROSSI, M. FRANCIOLLI, Milano 1999, pp. 231-236, pp. 233-234.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 251

    Sotto questo profilo, cioè quello dell’accesso ai capitali79 necessari per portare a termine i lavori appaltati a “tutta roba”, si colloca la crescita espo-nenziale di compagnie fra capomastri, perno intorno al quale, già dal pieno Quattrocento, ruotava l’intero ingranaggio organizzativo dell’architettura ro-mana. Come ben si può dedurre dai lavori condotti sotto la direzione di Carlo Maderno per la costruzione della facciata principale della basilica di San Pie-tro80, più grande era il programma architettonico, più strutturato si presentava lo schema organizzativo delle compagnie81. L’opera, dopo la sottoscrizione dei corrispondenti “capitoli e patti”, fu assegnata a dieci compagnie di scalpel-lini per un totale di 63 uomini impiegati82, ma come requisito principale si chiedeva che ogni capomastro dovesse possedere a Roma una bottega, facen-do esplicito divieto di assumere maestri già in forza ad altre fabbriche camera-li, come anche di subappaltare la parte avuta in assegnazione. A causa della dimensione straordinaria del lavoro la congregazione di San Pietro assunse l’onere di comperare e trasportare al cantiere il travertino necessario ma in molte altre circostanze il rifornimento del materiale rimaneva a carico dei ri-spettivi maestri83 che a questo punto dovevano godere di una pur minima ca-pacità di autofinanziamento.

    2. IL SALARIATO NELL’EDILIZIA ROMANA DAL XIV AL XVII SECOLO 2.1. La prima fase: Trecento e Quattrocento

    La realtà produttiva implicita al funzionamento delle compagnie dei ca-pimastri, di architetti, ossia di quel variegato mondo delle imprese di cui si è fatto ora qualche accenno, pur presentando aspetti di particolare interesse non basta a dar conto della complessità di questioni di carattere socio-economico che ruotava intorno ai cantieri edili. In particolare va notato la massiccia presenza e il contributo dato dalla manodopera salariata i cui con-

    79 L’inventario di beni appartenenti allo scalpellino Angelo Lando lascia intravedere una certa capacità di venire a capo di un discreto patrimonio: egli, nel 1596, possedeva una vigna, una casa, un magazzino destinato a bottega, un magazzino dove conservava marmo e altre pie-tre, tre luoghi di monte, e la parte di un ufficio di cursore, complessivamente 3280 scudi, ASR, Seg. e Canc. RCA, 372, c. 387r.

    80 Per i risvolti finanziari di questo ingente programma architettonico, F. PIOLA CASELLI, Public Finances and the Arts in Rome. The Fabbrica of St. Peter’s in the 17th Century, in Economic History and the Arts, a c. di M. NORTH, Wien 1996, pp. 53-66.

    81 Numerosi esempi di compagnie di maestri muratori e scalpellini impiegati nei cantieri pontifici del XVII secolo in Raguaggli borrominiani, a c. di M. DEL POZZO, Roma 1980.

    82 ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 38, vol. 6, cc. 448r-450v; vol. 7, cc. 74r-77r. 83 Secondo i patti per la costruzione del palazzo di Montecitorio lo scalpellino Pietro Vitale

    doveva acquistare dal principe Ludovisi il travertino a 28 giulii la carrettata, Montecitorio, pp. 59-66

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 252

    notati rischiano di sfuggire in mancanza dei libri contabili delle compagnie. Ci riferiamo in maniera specifica ai salari che percepivano le maestranze pagate a giornate, le quali, a fianco di quelle organizzate attraverso le compagnie, costi-tuivano il nervo di una forza lavoro cittadina la cui effettiva dimensione quanti-tativa purtroppo rischia di rimanere sottostimata. Un contributo alla cono-scenza di questa realtà e delle varie forme contrattuali che intercorrevano fra committenti e maestranze viene dai registri delle fabbriche papali che ci sono pervenuti. A questo riguardo le prime testimonianze risalgono al XIV secolo.

    Per quanto riguarda l’andamento dei salari nel periodo bassomedievale at-traverso la contabilità delle grandi fabbriche papali è stato possibile enucleare le serie84 relative alle tre categorie di lavoratori dell’edilizia: maestri (magistri), ap-prendisti (scolares) e manovali (manuales). In particolare per il XIV secolo la rico-struzione è stata effettuata attraverso le registrazioni delle spese sostenute per il rifacimento di parti strutturali della Basilica costantiniana e dei palazzi papali85. È risultato così che, fatta eccezione per il responsabile del cantiere di S. Pietro, maestro Tommaso Giraldi, il salario, sia delle maestranze sia dei manovali, veni-va calcolato sulla base di una tariffa giornaliera, anche se i conteggi relativi ai pagamenti venivano effettuati settimanalmente86. Al loro interno si notano delle variazioni che possono essere attribuite a diversi fattori. Le differenze stagionali del salario, che d’inverno registra una netta riduzione al punto che le retribuzio-ni potevano variare da un minimo di sei denari a un soldo, possono collegarsi sia alla maggiore offerta di manodopera nel periodo invernale, con il conse-guente crollo di valore, sia alla durata del giorno lavorativo, per cui si riscontra che i salari aumentano allorché le giornate si allungano87. A questo proposito, va notato, come emerga chiarmente il nesso fra retribuzione e tempo di lavoro effettivamente svolto. Cosa si intendesse per una giornata di lavoro, cioè a quante ore complessive di impegno corrispondesse, non è facile rispondere, certo è che puntualmente per i giorni incompleti corrisponde una retribuzione

    84 Si tratta dei salari nominali in quanto la mancanza di dati relativi ai costi dei generi di

    prima necessità impedisce di poter valutare il potere d’acquisto dei salari percepiti dai lavoratori del cantiere della basilica.

    85 I dati sono stati ottenuti anche dall’esame di due registri ove sono riportate le spese per la riparazione della basilica di S. Giovanni in Laterano e del campanile di S. Pietro, ed in questa sede saranno utilizzati per alcuni interessanti raffronti, ASV, Camera Apostolica, I.E., 180 e 212.

    86 Sistema usato probabilmente per semplificare la contabilità ma che poteva non corri-spondere ai pagamenti realmente eseguiti, cfr. B. GEREMEK, Salariati e artigiani nella Parigi medie-vale, trad. it., Firenze 1975, p. 70.

    87 Sul variare secondo le stagioni e dei periodi tanto del tempo di lavoro che del numero delle pause concesse, cfr. CH.M. DE LA RONCIÈRE, Prix et salaires, cit., p. 322 ss.; B. GEREMEK, Salariati, cit., pp. 63-66.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 253

    proporzionale alle ore di effettivo lavoro88. Così, ad esempio, nella seconda set-timana di settembre del 1339 non venne conteggiata mezza giornata perché, a causa del maltempo, i manovali «medio die laborare non potuerunt», ancora alla fine di quello stesso settembre gli operai si videro detrarre 6 denari dalla paga in quanto non lavorarono a vespero ultra89. Per quanto attiene alla regolamentazione dei ritmi di lavoro, erano i tocchi della campana a scandire le attività del cantie-re: que pulsatur, registra il notaio, «quando magistri debent venire ad laboran-dum»90.

    Il lavoro notturno retribuito indistintamente con due soldi sia che si trat-tasse di maestri o di semplici manovali, consisteva nella custodia del legname che, proveniente per lo più dalla Calabria, veniva depositato nei magazzini al porto di Ripa e a quello di S. Spirito91. Tra la manodopera utilizzata per il tra-sporto dei materiali compare anche l’elemento femminile presente nel cantiere in modo peraltro sporadico92, le donne, infatti, erano impiegate per svolgere lavori spesso pesanti e gravosi, come il trasporto della calce dalla calcara al cantiere, occupazione per la quale furono retribuite con la somma di due soldi a giornata93, o portare l’acqua per la preparazione della calce, in questo caso il sa-lario è leggermente inferiore, soldi 1 e denari 6, che risulta essere il livello più basso fra le paghe erogate ai lavoratori del cantiere, e che, fra l’altro, è attestata raramente anche fra gli stessi manovali94 (v. tab.1a). Nella maggior parte dei casi per trasportare i materiali il cantiere si serviva di un vetturale pagato a giornata; nel caso in cui il lavoro fosse stato eseguito con l’ausilio di una carrecta o carrotia

    88 Gli studi condotti sui cantieri edili pubblici per il XIV e XV secolo si soffermano so-

    prattutto sul numero delle giornate di lavoro, la loro distribuzione, N. BOTTARI SCARFANTONI, Il cantiere di San Giovanni Battista a Pistoia, Pistoia 1998, pp. 78-79.

    89 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, rispettivamente a c. 22v e c. 26v. 90 Ibid., c. 121v. Sulla «scomparsa del monopolio delle campane di chiesa per la misurazio-

    ne del tempo» e sul progressivo affermarsi della «campana del lavoro» v. J. LE GOFF, Il tempo del lavoro nella «crisi» del secolo XIV: dal tempo medioevale al tempo moderno, in Tempo della Chiesa e tempo del mercante e altri saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, Torino 1977, p. 33.

    91 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, c. 17v, c. 19r, c. 21r, c. 23r, c. 25r etc. Il maestro Rai-mondo Vaulari percepisce soldi 2 «ad custodiendum lingnamina in portu Sancti Spiritus» per una notte, ivi, c. 17r.

    92 Ibid., c. 104r. 93 Ibid., c. 48v. Certamente la città offriva alle donne la possibilità di incrementare il reddito

    famigliare impegnandosi in altre attività, quali il piccolo commercio e la manifattura, meno fati-cose e più gratificanti. Ben diversa è la realtà per le donne impegnate nei lavori della rocca di Frosinone come è attestato dallo studio di A. CORTONESI, Il lavoro edile, cit., p.

    94 Intorno a queste cifre oscilla il salario degli apprendisti, fra 1 e 2 soldi, da rilevare a pro-posito dei pochi apprendisti che compaiono nella contabilità, come è noto, si tratta di personale difficilmente identificabile, che venivano ingaggiati e retribuiti direttamente dai capomastri del cantiere.

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 254

    cum somario il compenso si basava sul numero di bestie e poteva variare fra i sol-di 1 e denari 6 e soldi 4 e denari 695; mentre i trasporti più pesanti, effettuati con carri trainati dai bufali, venivano retribuiti a carico96.

    I salari della manodopera qualificata presente in questi anni nel cantiere della Basilica appaiono personalizzati, legati, cioè, ad una maggiore specializ-zazione o esperienza, non dipendendo che eccezionalmente dal loro compito (Tab 1b). Le oscillazioni all’interno delle retribuzioni si possono spiegare in relazione al periodo dell’anno e all’elasticità della giornata di lavoro. Tuttavia i livelli dei salari dei manovali presentano un carattere di maggiore rigidità, me-no diversificati e variabili in assenza di una qualificazione specifica che com-porta una più accentuata uniformità di retribuzione che, dunque, si attesta su valori uniformi (Tab. 1a).

    In tutti i casi si denota una precarietà del loro ingaggio giornaliero. Sono, infatti, pochissimi i manovali stabili o che vengono riassunti a distanza di qualche mese. Su un totale di 118 operai presenti nel cantiere del 1339 solo 27 si ritrovano ancora nel 1340, corrispondente ad un 6 %; di questi, 16 com-paiono anche nel 1341, mentre nel successivo periodo, 1343-44, soltanto uno di loro risulta nuovamente ingaggiato. Siamo, dunque, di fronte a prestazioni estremamente rarefatte e a proporzioni nettamente inferiori a quelle della ma-nodopera qualificata. Inoltre la durata media della presenza nel cantiere nel corso dell’anno è bassissima e comunque più breve di quella dei maestri: solo tre intervengono per tutto il periodo mentre circa 60 operai furono ingaggiati nel 1343 per un solo giorno. La durata delle assunzioni non è quindi da met-tere in relazione con l’ampiezza o con l’intensità dei lavori, infatti si verifica che nei periodi di maggiore lavoro si fa piuttosto ricorso a dei nuovi, brevi, ingaggi, secondo una costante nelle assunzioni dei salariati in epoca medieva-le97, specie nei settori meno qualificati che più di altri dipendono dalle alterne vicende di un instabile mercato del lavoro (v. grafico 1).

    95 ASV, Camera Apostolica, I. E., 180, c. 118v. 96 Ibid., c. 137r. 97 Brevità e discontinuità degli ingaggi sono dati generali che si riscontrano nei cantieri

    edili dell’Italia medioevale, cfr. A. CORTONESI, Studi, cit., p.

  • COSTRUIRE A ROMA FRA XV E XVII SECOLO 255

    Grafico 1. Rapporto percentuale tra maestri e manovali nel cantiere della fabbrica di S. Pietro

    0102030405060708090

    1339 1340 1341 1343 1344

    %

    Maestri Manovali

    Tabella 1°. Salari dei manovali

    Anno soldi 1 s.1 d 6 soldi 2 sol. 2 d. 6 soldi 3 sol. 3 d. 6 soldi 4 sol. 4 d. 6 Totale1339 7 2 50 71 4 1 135 1340 1 77 37 8 123 1341 1 3 29 58 11 1 5 1 109 1343 6 1 12 14 1 1 35 1344 7 90 11 108

    Tabella 1b. Salari delle maestranze

    Anno soldi

    1 s.1 d

    6 soldi

    2 soldi

    3 s.3 d.6

    soldi 4

    s.4 d.6

    soldi 5

    s.5 d.6

    soldi 6

    s.6 d.6

    soldi 7

    s.7 d.6

    soldi 8

    Totale

    1339 3 1 1 5 15 2 13 1 1 3 45 1340 1 1 2 5 9 5 3 9 9 12 2 2 60 1341 2 8 3 8 18 2 2 43 1343 5 5 8 9 2 9 1 3 43 1344 5 2 4 6 3 9 3 31

    Nei primi decenni del XV secolo l’organizzazione del lavoro appare limi-

    tata forse da una domanda ancora circoscritta, forse anche da un’attenzione particolare ai costi del lavoro. Quello che si delinea nel cantiere di S. Pietro è

  • IVANA AIT, MANUEL VAQUERO PIÑEIRO 256

    la presenza di un gruppo di operai specializzati e non, ai quali, sotto la dire-zione di un maestro muratore, vennero affidati, nell’arco di circa un anno, la-vori per diverse ed articolate opere principalmente di ristrutturazione. Il responsabile, maestro Duccio, era il solo ad usufruire di un ingaggio annua-le98. Tuttavia trascorso il primo anno, pur continuando ad occuparsi di un’ampia gamma di operazioni relative anche alla manodopera, con la quale concordava alcune prestazioni, il suo rapporto di lavoro iniziò a basarsi sul conteggio mensile o addirittura su quello a giornata, nel qual caso il suo nome compare puntualmente annotato in cima alla lista delle maestranze che, al termine della settimana, ricevevano il loro compenso. Anche per altri due ma-estri la funzione non risulta definita, ma, poiché ricevevano un salario supe-riore a quello delle altre maestranze, si può ritenere probabile che svolgessero compiti di direzione e di sorveglianza all’interno del cantiere. Comunque sia, nel loro, come negli altri casi, la paga veniva corrisposta a scadenze variabili, solitamente settimanali, in base alle giornate lavorative effettuate tra il 15 maggio 1437 e il 7 dicembre 1438.

    Per quanto riguarda la dinamica dei salari percepiti dai 42 muratori per il periodo dei venti mesi coperti dalla fonte, (v. Tab. 2, nella quale sono riportati il numero delle giornate di effettivo lavoro per ogni mese e per livelli retribu-tivi, rappresentati dalla moda e media in bolognini e denari) appare chiaro come le 2770 giornate presentino un andamento retributivo molto omogeneo dal punto di vista statistico. Dalla data di inizio dei lavori alla fine dell’ottobre del 1437 la giornata lavorativa è retribuita bolognini 16 e denari 10, successi-vamente viene conteggiata a bolognini 16. Tranne alcune eccezioni, come nel caso di Giacomo de Andeozo e Antonio da Orvieto che percepiscono il sala-rio di bolognini 18 e denari 12, rivestendo un ruolo di caposquadra, eccezioni che, tuttavia, non sono in grado di far deviare la moda dai valori indicati.

    Per ciò che riguarda i livelli salariali degli altri lavoratori, assimilabili alle maestranze, i dati a disposizione sono scarsi e non consentono la costruzione di medie statisticamente significative. In linea generale si può affermare che le giornate di lavoro dei sei maestri, tre scalpellini e tre falegnami, vennero valu-tate in modo molto simile a quelle dei muratori anche se di un punto inferiori (bol. 15 e d.10).

    Dall’analisi emerge innanzitutto la stabilità delle retribuzioni di livello me-dio-alto durante il periodo esaminato. La diminuzione, riscontrabile a partire dal mese di novembre e che ha bruscamente interessato tutti i partecipanti, più che indicare una modificazione generale nella congiuntura dell’impiego, o una variazione legata a motivi stagionali, potrebbe trovare le sue origini in

    98 ASR., Cam