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L’Italia e l’aggressione hitleriana alla Polonia nel 1939 Il conflitto polacco-tedesco, che precedette lo scoppio della II guerra mon- diale, è molto spesso oggetto di analisi degli storici italiani che si occupano della politica estera dell’Italia fascista. La situazione della Polonia viene però trattata apparentemente in termini adeguati e rivela generalmente un’interpre- tazione sintomatica. È vista cioè, quasi unicamente come oggetto della rivalità delle grandi potenze mentre raramente la si considera soggetto attivo della po- litica europea. Per tale motivo in questo studio — che tiene conto della storio- grafia italiana —- si è assegnato maggiore valore ai risultati, meno noti in Italia, raggiunti dagli storici polacchi h La maggior mole delle informazioni è stata at- tinta dai documenti pubblicati e ripresa dai materiali d’archivio polacchi1 2 e ita- liani 3. L ’atteggiamento dell’Italia nei confronti dell’aggressione del Reich hitleriano contro la Polonia, avvenuta nel 1939, deve essere esaminato in un più ampio contesto internazionale. Particolare importanza ha l’avvicinamento fra l’Italia e la Germania basato su comuni scopi politici e su presupposti ideologici gene- rali. Non di rado questi elementi s’intrecciano tanto strettamente fra di loro che alle volte è difficile stabilire a quale assegnare un ruolo motore. Un’importante tappa del processo, graduale — pur se non privo di esitazioni e conflitti — per giungere alla subordinazione dell’Italia alla politica espansioni- stica tedesca, fu l’iniziativa coloniale di Mussolini e il successivo intervento armato in Spagna. La convergenza degli scopi politici del fascismo e del nazismo, che si manifestava gradualmente ma pur sempre con maggiore intensità, non provocò reazioni particolarmente negative in Polonia; questa, nella sua politica internazionale, cercava di garantire i propri confini rispettando rigorosamente le decisioni del Trattato di Versailles. La diplomazia polacca dava particolare importanza agli accordi bilaterali che garantivano l’intangibilità delle due fron- tiere con l’URSS e la Germania e ottenne un successo con la firma di un patto di non aggressione polacco-sovietico. Questo trattato, firmato nel 1932 con validità di tre anni, venne, nel 1934, prolungato a dieci anni4. Una delle ragioni 1 I punti di vista presentati in questo articolo sono stati ampliati nel mio libro Stosunki polsko-wloskie 1918-1940, Warszawa, 1975 [Rapporti italo-polacchi 1918-1940]. 2 Le ricerche d’archivio sono state estese agli archivi polacchi ed in particolare all’Archi- wum Akt Nowych [AAN], 3 Altre ricerche sono state condotte negli archivi romani: Archivio' Centrale dello Stato [ACS] e Archivio Storico Diplomatico presso il ministero degli Esteri [ASD], 4 Cfr. m . leczyk, Polityka II Rzeczypospolitej wobec ZSRR u latach 1929-1934, Warszawa, 1976 [La politica della II Repubblica nei confronti dell’URSS negli anni 1925-1934].

L’Italia e l’aggressione hitleriana alla Polonia nel 1939 · 2019. 3. 5. · La stampa fascista italiana li commentò in tono quanto mai favorevole. Il 7 gennaio 1939 venne inoltre

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L’Italia e l’aggressione hitleriana alla Polonia nel 1939

Il conflitto polacco-tedesco, che precedette lo scoppio della II guerra mon­diale, è molto spesso oggetto di analisi degli storici italiani che si occupano della politica estera dell’Italia fascista. La situazione della Polonia viene però trattata apparentemente in termini adeguati e rivela generalmente un’interpre­tazione sintomatica. È vista cioè, quasi unicamente come oggetto della rivalità delle grandi potenze mentre raramente la si considera soggetto attivo della po­litica europea. Per tale motivo in questo studio — che tiene conto della storio­grafia italiana —- si è assegnato maggiore valore ai risultati, meno noti in Italia, raggiunti dagli storici polacchi h La maggior mole delle informazioni è stata at­tinta dai documenti pubblicati e ripresa dai materiali d’archivio polacchi1 2 e ita­liani 3.L ’atteggiamento dell’Italia nei confronti dell’aggressione del Reich hitleriano contro la Polonia, avvenuta nel 1939, deve essere esaminato in un più ampio contesto internazionale. Particolare importanza ha l ’avvicinamento fra l ’Italia e la Germania basato su comuni scopi politici e su presupposti ideologici gene­rali. Non di rado questi elementi s ’intrecciano tanto strettamente fra di loro che alle volte è difficile stabilire a quale assegnare un ruolo motore.Un’importante tappa del processo, graduale — pur se non privo di esitazioni e conflitti — per giungere alla subordinazione dell’Italia alla politica espansioni­stica tedesca, fu l ’iniziativa coloniale di Mussolini e il successivo intervento armato in Spagna. La convergenza degli scopi politici del fascismo e del nazismo, che si manifestava gradualmente ma pur sempre con maggiore intensità, non provocò reazioni particolarmente negative in Polonia; questa, nella sua politica internazionale, cercava di garantire i propri confini rispettando rigorosamente le decisioni del Trattato di Versailles. La diplomazia polacca dava particolare importanza agli accordi bilaterali che garantivano l ’intangibilità delle due fron­tiere con l ’URSS e la Germania e ottenne un successo con la firma di un patto di non aggressione polacco-sovietico. Questo trattato, firmato nel 1932 con validità di tre anni, venne, nel 1934, prolungato a dieci anni4. Una delle ragioni

1 I punti di vista presentati in questo articolo sono stati ampliati nel mio libro Stosunki polsko-wloskie 1918-1940, Warszawa, 1975 [Rapporti italo-polacchi 1918-1940].2 Le ricerche d ’archivio sono state estese agli archivi polacchi ed in particolare all’Archi- wum Akt Nowych [AAN],3 Altre ricerche sono state condotte negli archivi romani: Archivio' Centrale dello Stato [ACS] e Archivio Storico Diplomatico presso il ministero degli Esteri [ASD],4 Cfr. m . leczyk, Polityka I I Rzeczypospolitej wobec ZSRR u latach 1929-1934, Warszawa, 1976 [La politica della I I Repubblica nei confronti dell’URSS negli anni 1925-1934].

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che avevano spinto ad estendere il trattato nel tempo fu l ’accordo di non ag­gressione stipulato tra Germania e Polonia nel gennaio 1934. Questo docu­mento, privo di protocolli supplementari e di clausole segrete, aveva validità per dieci anni. Come punto centrale in entrambi i documenti si affermava che le parti non avrebbero fatto ricorso alla forza per definire aventuali contro­versie 5.Idea costante della politica estera polacca era di mantenere un atteggiamento di equidistanza con le due potenze confinanti. Una posizione che veniva sotto- lineata non soltanto nelle dichiarazioni ufficiali, ma anche nei colloqui confi- denzali. Józef Beck, ministro degli Affari esteri polacco, parlando a Venezia nel 1937, con il suo segretario Pawel Starzénski disse che fino alla « caduta » di Hitler non si sarebbero avuti mutamenti nella politica polacca. Aggiunse tut­tavia che « [...] oltre al patto di non aggressione non andremo mai. Ugualmente con i sovietici. Analogamente dalle due parti » 6.La popolazione e gli uomini politici polacchi erano continuamente assillati dalla politica della Germania hitleriana. I timori erano aumentati seriamente nel 1938, anno gravido di eventi internazionali, quando le mire territoriali del Reich furono per allora soddisfatte con l ’inglobamento dell’Austria e della Ce­coslovacchia. Si cominciò allora a supporre che la Polonia sarebbe stata la suc­cessiva tappa della politica espansionistica nazista.Nondimeno a Varsavia si cercava di tenere calma l ’opinione pubblica. Del resto all’inizio del 1939 i rapporti polacco-tedeschi continuavano a mantenersi for­malmente irreprensibili. Il pubblicista polacco Kazimierz Smogorzewski, nel numero di Capodanno della « Gazeta Polska » — portavoce del ministero degli Affari esteri — suggeriva ai lettori di considerare con tutta calma lo « spaurac­chio » agitato dagli osservatori stranieri secondo i quali « Hitler in breve ri­chiederà la restituzione di Danzica, Gdynia e del cosiddetto < corridoio > ». La visita del ministro Józef Beck a Monaco e a Berchtesgaden doveva in un certo modo servire a dimostrare che non c’era nessun mutamento sulla linea Varsavia- Berlino. I discorsi di Hitler e di Ribbentrop ebbero grandi ripercussioni in tutta Europa e in particolare in Italia. La stampa fascista italiana li commentò in tono quanto mai favorevole. Il 7 gennaio 1939 venne inoltre annunciata la visita che il ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano avrebbe fatto a Var­savia nella seconda metà del febbraio. La connessione fra questi due viaggi provocò una ondata di calorosi commenti che sembravano suggerire l ’ipotesi di un avvicinamento della politica della Polonia a quella degli stati dell’Asse.Ottimistiche furono anche le informazioni sul significato della visita di Beck, trasmesse a Roma attraverso i canali diplomatici. Esse erano in realtà lontane dagli accenti di preoccupazione che si trovano invece nelle istruzioni inviate da Beck il 3 gennaio all’ambasciatore polacco a Roma Boleslaw Wieniawa Dlu- goszowski. Il ministro constatava che, dopo la crisi cecoslovacca, il problema dei rapporti polacco-tedeschi, che la Polonia voleva mantenere nei limiti della politica di buon vicinato con la Germania, era balzato in primo piano nelle relazioni internazionali dell’Europa centrale ed orientale. Beck chiedeva tuttavia di far presente « a titre personel » a Ciano che fino alla crisi cecoslovacca il

5 Fra l ’ampia letteratura polacca su tale problema cfr. m . wojciechowski, Stosunki polsko-niemieckie 1933-1938, Póznan, 1965 [Rapporti polacco-tedeschi 1933-19381.6 p. starzénski, Trzy lata z Beckiem, London, 1972, p. 83 [Tre anni con Beck],

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Cancelliere non aveva precisato le linee della sua futura politica nell’Europa orientale 7.Analoghe preoccupazioni Beck esprime nelle annotazioni stese dopo la visita in Germania, nelle quali si legge che il colloquio di Obersalzberg del 5 gennaio 1939 « [ . . . ] mi ha permesso di sentire nuovi accenti nel modo di parlare di Hitler ». I colloqui avuti quello stesso giorno a Berchtesgaden permisero a Beck di « [...] scorgere in Hitler l ’ambizione ad organizzare non soltanto la Ger­mania ma anche l ’Europa e, forse, anche tutto il mondo » 8.L ’8 gennaio al ritorno del ministro Beck a Varsavia si svolse la riunione delle massime personalità dello stato e, in quel circolo ristretto9, Beck parlò « di fatti allarmanti che possono portare alla guerra ». I presenti alla riunione giun­sero alla conclusione che « a) se la Germania continuerà a fare pressioni per problemi per essa tanto secondari quali Gdansk e l ’autostrada [che doveva unire la Prussia occidentale con il resto del territorio del Reich passando attra­verso il territorio polacco — da qui il problema del « corridoio » — n.d.A.], dobbiamo convincerci di essere minacciati da un conflitto di grande stile e che queste richieste sono soltanto un pretesto; b) di fronte a ciò un atteggiamento irresoluto da parte nostra ci porrebbe inevitabilmente su un piano inclinato che porta alla perdita dell’indipendenza e al ruolo di vassalli della Germania » 10.Questa analisi venne riservata esclusivamente al gruppo ristretto dei più alti funzionari dello stato, mentre all’opinione pubblica si fornivano ampie infor­mazioni sul previsto arrivo del ministro degli Esteri italiano Ciano e in tal modo si suggeriva indirettamente che i rapporti degli stati dell’Asse con la Polonia continuavano a svilupparsi correttamente. La stessa cosa faceva la stampa ita­liana, che parlava ampiamente dei buoni rapporti polacco-tedeschi. Virginio Gayda, ad esempio, sul « Giornale d ’Italia » del 25 febbraio, ricordava che due grandi uomini di stato, cioè Hitler e Pilsudski avevano trovato la strada comune per giungere all’accordo e che Pilsudski non aveva creduto alla Germania di Weimar, mentre aveva avuto fiducia in Elider e nella nuova Germania. A parte gli elementi propagandistici, che tendevano fra l ’altro a sottolineare come non fossero in primo luogo divergenze di regime interno che potevano turbare i rapporti tedesco-polacchi, da un simile discorso apparivano chiari anche gli orientamenti di una linea di politica estera.Beck rimase chiaramente deluso della visita del ministro Ciano svoltasi fra il 25 febbraio e il primo marzo. Si era aspettato da quel viaggio di Ciano, accom­pagnato in Italia da tanto battage pubblicitario, risultati ben maggiori e non soltanto uno scambio d ’opinioni. A Varsavia si era forse voluto vedere in quella visita un segno della volontà italiana di operare una mediazione fra Polonia e Germania. Ciano, al contrario, evitò qualunque discorso politico impegnativo, tanto che Beck nella lettera all’ambasciatore a Roma Wieniawa Dlugoszowski, scrisse che quando Ciano parlava della politica del Reich nell’Europa orientale

AAN, Ambasciata Roma, segn. 34, p. 104; cfr. anche il rapporto dell’ambasciatore po­lacco a Roma pubblicato in: Z raportów ambasadorskich Wieniawy Dlugoszowskiego, War­szawa 1957, p. 34, [Dai rapporti dell’ambasciatore 'Wieniawa Dlugoszowski].* j. beck, Preliminaria polityczne do wojny 1939 r., in « Zeszyty Historyczne », 1971, n. 30, p. 78 ss. [Preliminari politici alla guerra del 1939].9 Alla riunione presero parte: il presidente, il primo ministro e il vice primo ministro, l ’ispettore generale dell’esercito, il ministro degli affari esteri.10 Sulla diplomazia europea negli anni 1938-1939 cfr. h . batowski, Kryzys dyplomatyczny w Europie - jesien 1938 - wiosna 1939, Warszawa, 1962, [Crisi diplomatica in Europa - au­tunno 1938 - primavera 1939],

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aveva «paura della sua stessa om bra». Il ministro polacco concludeva dicendo che, oltre a gesti di cortesia e di sentimentalismo, Ciano a Varsavia non era stato in grado di esprimere nessun concetto politico H.Questi giudizi trovano conferma nelle stesse annotazioni di Ciano che si era unicamente preoccupato di informare Beck sullo stato dei legami che univano l ’Italia alla Germania, cosa per la quale il ministro polacco non aveva espresso alcuna reazione. Ciano in quel momento era consapevole dell’avvicinarsi del pericolo di guerra pur non essendo incline a considerare la Polonia come origine o causa di un conflitto internazionale. Nel rapporto al capo del governo sulla sua visita esprimeva l ’opinione che, in caso di guerra fra due schieramenti, la Polonia si sarebbe dichiarata neutrale per poter poi, nella fase finale, unirsi al vincitore. Ciano considerava persino coraggiosa questa posizione, rendendosi con­to che la Polonia aveva molti amici, ma anche nemici in entrambi i cam pi11 12.Tuttavia in Italia, anche per gli stretti legami con la Germania, ci si rendeva conto che i rapporti fra i due paesi confinanti andavano peggiorando. L ’amba­sciatore Piero Arone di Valentino, alcuni giorni dopo che la Cecoslovacchia aveva perduto l ’indipendenza, aveva informato Palazzo Chigi che questo avve­nimento aveva sollevato l ’entusiasmo della minoranza etnica tedesca tendente a raggiungere per la Polonia la stessa soluzione raggiunta per i Sudeti. Questa reazione di irredentismo tedesco aveva suscitato allarme in Polonia 13 * e Ciano manifestava timori, del resto fondati, per l ’acutizzarsi del contrasto polacco­tedesco. I timori erano dovuti alla convinzione che l ’azione tedesca contro la Polonia avrebbe avuto effetti catastrofici e non delimitabili. Ciano prevedeva che un conflitto armato polacco-tedesco si sarebbe esteso dal momento che il Reich aveva già più volte violato le assicurazioni e le promesse di cooperazione con la Polonia. Questi timori di Ciano vennero confermati il 31 marzo quando l ’ambasciatore Wieniawa Dlugoszowski gli disse, fra le altre cose, che se la Germania avesse inteso estendere alla Polonia i sistemi arbitrali già esperiti in altre occasioni, i polacchi avrebbero rifiutato e accettato di battersiu. Alcuni giorni dopo il ministro Ciano leggera un rapporto dell’ambasciatore italiano a Varsavia che confermava la decisa e univoca reazione dell’opinione polacca alle richieste territoriali della Germania. L ’ambasciatore riteneva che la nazione polacca, mostrando fiducia nella cooperazione della Francia e dell’Inghilterra, avrebbe lottato creando così la minaccia dello scoppio di una guerra generale 15.Roma, nello stesso tempo, era stata informata che la Polonia andava sempre più avvicinandosi al blocco formato dalla Gran Bretagna e diretto contro la politica espansionistica del Reich. Queste informazioni vennero confermate da un discorso di Neville Chamberlain alla Camera dei Comuni il 31 marzo sulle ga­ranzie date da Gran Bretagna e Francia alla Polonia. La diplomazia fascista fu sorpresa da queste iniziative occidentali, tanto da attendere da Berlino le prime prese di posizione e allinearsi agli argomenti della politica estera nazista che accusava Londra di condurre una politica di accerchiamento della Germania e di opporsi alla pace con mosse provocatorie. Non si attaccava la Polonia rite­

11 jó sef beck, Dernier rapport, Neuchâtel, 1944, p. 187; Preliminaria, cit., p. 70; Z ra- portow ambasadorskìch, cit., p. 89. Beck a Wieniawa, Varsavia, 10 maggio 1939.12 Galeazzo ciano, L’Europa verso la catastrofe, Verona, 1947, p. 415; Diario 1939-1943, Milano, 1950, vol. I, p. 47.13 ASD, Polonia 1939, busta 15, Rapporto del 24 marzo 1939.

G. ciano, Diario, cit., vol. I, p. 71.ASD, Polonia 1939, busta 15, Valentino a Ciano, 31 marzo 1939.1S

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nendo che le garanzie inglesi fossero un atto da questa non richiesto. Tuttavia si consigliò alla Polonia come fece il « Regime fascista » del 3 aprile, di avere fiducia in Hitler poiché soltanto lui avrebbe potuto assicurarle la pace. Nello stesso tempo si rendeva noto che un’eventuale alleanza polacco-britannica sa­rebbe stata considerata come una alleanza offensiva antitedesca. Gayda, « senza voler dare consigli alla Polonia », ricordava quasi senza volerlo la sorte della Cecoslovacchia, della Cina e dell’Etiopia, cioè di tutte quelle nazioni che in precedenza erano state amiche di Londra e di Parigi.In tale situazione il viaggio di Beck a Londra dei giorni 4-6 aprile incontrò la reazione ostile della stampa italiana. Il primato era tenuto dalle corrispondenze inviate da Berlino nelle quali si ripetevano, quasi parola per parola, le argo­mentazioni tedesche, accompagnate da consigli frutto, si diceva, della benevo­lenza e della simpatia che l ’Italia da anni nutriva verso la Polonia. General­mente si esprimeva la speranza che la Gran Bretagna avesse abbastanza giudizio politico da non rischiare una guerra in difesa della « tedesca Danzica ».Questo atteggiamento diventava più evidente nelle corrispondenze giornalistiche da Londra e da Parigi, qui si sottolineavano, ingigantendole, le difficoltà delle trattative polacco-britanniche e se ne ascriveva il merito al ministro degli Esteri Beck che si opponeva all’introduzione di elementi antitedeschi nell’accordo po­lacco-britannico. Quando si seppe che a Londra non sarebbe stato firmato nessun documento, come in effetti avvenne, la stampa per parecchi giorni insistè sul « fiasco » dell’iniziativa inglese. In queste corrispondenze Beck non fu mai oggetto di attacchi diretti. Semmai, ci si limitiva piuttosto a rilevare che Beck aveva deluso le speranze degli inglesi. Se questo atteggiamento della stampa, e quindi del regime fascista, era suggerito dal desiderio italiano di poter operare una mediazione nel contrasto polacco-tedesco, questa speranza cadde di fronte all’aspro tono con cui la stampa polacca giudicò l ’aggressione dell’Italia all’Al­bania. Ciano, in un colloquio con Wieniawa Dlugoszowski, disse che l ’atteg­giamento assunto dalla stampa polacca era « il più sfavorevole di tutta l ’Eu­ropa ». Poco dopo il ministro Dino Alfieri avvertì l ’ambasciatore polacco delle conseguenze che avrebbe potuto avere la campagna antiitaliana svolta da alcuni giornali polacchi16. Sulle orme di tale avvertimento Gayda, nel « Giornale d ’Italia » pubblicò una serie di articoli nei quali attaccava brutalmente l ’ingrati­tudine della Polonia e dei polacchi, accusati di essere totalmente al servizio degli interessi della Francia. Si deve ricordare che in quel periodo la Francia era trattata con infinito disprezzo, considerata solo come fedele portavoce di Londra e pertanto indegna persino di particolare attenzione da parte dell’Italia.La polemica italo-polacca sulla stampa non era però altro che una conseguenza della divergenza che andava già chiaramente delineandosi fra i fini politici ita­liani e quelli polacchi.

Lo scopo della propaganda fascista era quello di indebolire gradualmente il sentimento di simpatia della popolazione italiana verso i polacchi, in previsione di uno sviluppo degli avvenimenti internazionali che avrebbe costretto Mussolini ad intervenire a fianco dei nazisti contro la Polonia, da molti anni ritenuta un’a­mica provata e tradizionale dell’Italia. Anche il totale silenzio della stampa italiana su temi polacchi dopo l ’intervento dell’ambasciata polacca per chiedere che si ponesse fine alla campagna iniziata da Gayda conferma questo indirizzo 14

14 AAN, Ministero Affari esteri, segn. 4328, f. 266 ss., Wieniatva al capo della Sezione stampa, Roma, 25 aprile 1939; G. ciano, Diario, voi. I, p. 87.

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della propaganda italiana. Anche se gli articoli del « Giornale d ’Italia » non erano apparentemente antipolacchi, sempre più spesso tuttavia insistevano nella giustezza delle richieste tedesche e pertanto mostravano ugualmente la loro osti­lità nei confronti della Polonia. Si scriveva apertamente della necessità del ri­torno di Danzica alla Germania, si lasciava supporre che i colloqui polacco­tedeschi sulla costruzione dell’autostrada erano stati portati a termine, si accen­nava alla condiscendenza del ministero degli Affari esteri polacco alle richieste tedesche riguardanti le minoranze, ecc. Insomma si andò gradualmente e pro­gressivamente operando per creare un’atmosfera antipolacca per cui diviene facilmente comprensibile come il discorso di Hitler al Reichstag, nel quale, il 28 aprile, si denunciavano il patto di non aggressione tedesco-polacca e il trat­tato sulle minoranze fosse immediatamente accettato dal governo fascista a Roma come una propria posizione. La dichiarazione di Hitler venne considerata come la reazione naturale del Reich alla politica polacca di « accerchiamento ». In altre parole era responsabilità della Polonia, che aveva respinto le « sensate proposte tedesche » e stretto un accordo con l ’Inghilterra, se il Fiihrer aveva deciso di agire in quel modo. Insistendo sulla fondatezza delle richieste tedesche si avvertiva il governo polacco di riflettere seriamente prima di respingere defi­nitivamente le proposte tedesche. A Varsavia simili consigli vennero dati da più parti. Non ne furono avari nemmeno i diplomatici degli stati occidentali. L ’am­basciatore britannico — Howard Kennard — il 3 maggio disse al viceministro Jan Szembek che tutto il mondo attendeva con la massima attenzione la risposta del ministro Beck, risposta che avrebbe comportato la responsabilità della guerra o della pace. Kennard esprimeva la speranza generale che il discorso di Beck al parlamento non precludesse ogni possibilità di distensione. Si spinse anche più avanti informando che Ribbentrop si sarebbe recato in Italia per ascoltare insieme a Ciano la risposta polacca e analizzare « le conseguenze che derivano da questo discorso per la politica dei paesi dell’Asse » 17.Naturalmente Ribbentrop non andò in Italia per ascoltare insieme al ministro Ciano il discorso di Beck e tanto meno per stabilire una linea comune dei paesi dell’Asse, ma per portare a termine le trattative per il patto d ’Acciaio. Sotto tale aspetto la visita di Ribbentrop si riconnetteva con l ’attesa risposta di Beck, risposta che Ciano, a Milano, definì come non aggressiva e neppure intransi­gente 1S. Questa opinione non mutò neppure dopo l ’arrivo dei rapporti dell’am­basciatore Valentino che segnalava una raggiunta unità di tutta la nazione. Rilevava inoltre che il discorso di Beck creava un’evidente minaccia di conflitto armato tanto più che le precedenti richieste territoriali non avevano incontrato una così decisiva resistenza nei governi e nelle popolazioni dell’Austria e della Cecoslovacchia. L ’ambasciatore faceva ancora notare quanto fosse eloquente l ’unanimità raggiunta nelle votazioni alla Dieta e al Senato sulla legge che tra­smetteva al presidente i pieni poteri. L ’unità del parlamento, dicevano le infor­mazioni, esprimeva l ’atteggiamento assunto dai partiti politici. All’ambasciatore

17 jan szembek, Diario e cartoteca di ]an Szembek, London, 1972, voi. IV, p. 587 [ci­tato D TJS],I!_ G. ciano, Diario, cit., voi. I, p. 94; il ministro polacco rispondendo a Hitler il 5 mag­gio alla Dieta chiese più volte: « [...] di che cosa in realtà si tratta? Della libertà della popolazione tedesca di Gdansk, che non è minacciata affatto, o sono questioni di prestigio oppure si vuole allontanare la Polonia dal Baltico, da dove la Polonia non si lascerà allon­tanare [...] Noi polacchi non conosciamo il concetto di pace ad ogni costo. Vi è solo una cosa inestimabile nella vita degli uomini, delle nazioni e degli stati: questa cosa è l ’onore ». Cfr. jó sef beck, Przemówienia, deklaracje, wywiady, Warszawa, 1939, [Discorsi, dichiara­zioni, interviste].

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italiano era servito da esempio l ’atteggiamento dei socialisti polacchi che ave­vano revocato le manifestazioni e le dimostrazioni in occasione del Io maggio invitando la classe operaia a lavorare in quella giornata « per rafforzare la di­fesa nazionale ».Terminando l ’analisi dei rapporti dell’ambasciatore Valentino che parlavano dell’atteggiamento assunto dalla Polonia di fronte alle richieste tedesche, vale rilevare che egli aveva dato il giusto valore agli sforzi fatti da Varsavia per al­lacciare un contatto con Berlino. Si voleva « uscire dalla pericolosa situazione di reciproca e totale ignoranza che si protrae già dalla fine di marzo ». Riteneva persino che il governo polacco fosse propenso a fare certe concessioni che però non dovevano riguardare né Danzica né il corridoio, « ma il Fuhrer è deciso a guadagnare molto ». L ’ambasciatore Valentino, come si intuisce anche dalla formulazione delle relazioni, non mostrava grandi simpatie verso la politica nazista. L ’uso stesso del lessico lo dimostra come in questo caso: « L ’annessione di Danzica al Reich, la concessione extraterritoriale di un’arteria di comunica­zione attraverso il corridoio polacco [...] » 19. Ciò spiega in un certo modo un’osservazione fatta da Mussolini a Ciano al ritorno di quest’ultimo da Var­savia il 3 marzo quando gli disse di avere l ’intenzione di richiamare l ’ambascia­tore a Varsavia che non appoggiava troppo premurosamente le richieste anti­polacche del Reich. Il non averlo fatto condannò l ’ambasciatore a sopportare la diffidenza sempre più evidente degli uomini politici polacchi nei confronti delle iniziative di Roma. Era infatti difficile attendersi che le rinnovate dichia­razioni di Palazzo Chigi sulla unione politica con il Reich provocassero soddi­sfatte reazioni di Varsavia. I rappresentanti della diplomazia italiana venivano invariabilmente informati che i polacchi non avrebbero permesso nessuna ri­nuncia ai loro diritti sovrani. Ciano, consigliando alla Polonia una certa mode­razione, si sentì dire, a metà maggio, dall’ambasciatore polacco, che la guerra era inevitabile e che perciò egli sarebbe tornato in Polonia dove meglio e con maggiore utilità avrebbe potuto servire il suo paese nelle file dell’esercito. Dopo il colloquio ufficiale ci fu una conversazione amichevole. Secondo la rela­zione di Wieniawa, Ciano appariva ora convinto che non ci fosse nessun peri­colo di un conflitto armato. Non si doveva temere che la Germania intrapren­desse una guerra a causa di Danzica o del corridoio. Wieniawa condivise questa opinione ma aggiunse che la politica del Reich mirava a costringere la Polonia a rinunciare ai suoi diritti sovrani. Ogni concessione, anche la più pic­cola, se ne sarebbe portata dietro altre fino alla totale perdita delle sovranità. Ciano consigliava ancora moderazione poiché, indipendentemente dallo svi­luppo del conflitto, sarebbe stata la Polonia a pagarne le spese. Nel suo Diario annotò le parole dirette a Wieniawa dalle quali traspare quanto desiderasse convincere la Polonia a fare delle concessioni, essendo questa una delle alter­native che la preservavano dalla prospettiva di divenire « una provincia del bolscevismo internazionale. Nessun aiuto franco-britannico è possibile almeno nella prima fase della guerra: la Polonia sarà in breve ridotta un cumulo di macerie ». Wieniawa gli aveva dato in molti punti ragione ma credeva nel successo definitivo che avrebbe dato alla Polonia nuove forze. Ciano temeva che le sue illusioni fossero « [...] purtroppo condivise da molti, troppi suoi con­nazionali » 20.

” ASD, Polonia 1939, busta 15, Valentino a Ciano, Varsavia 5 e 19 maggio 1939; Valen­tino a Palazzo Chigi, Varsavia, 12 maggio 1939.zo II rapporto di Wieniawa è stato pubblicato da « Kultura », 1952, n. 6; dichiarazione di Ciano riportata sul Diario, voi. I, p. 101.

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La dichiarazione di Ciano rifletteva la tendenza generale della diplomazia ita­liana, il cui punto centrale era la fiducia nel successo della politica d ’espansione condotta al fianco della Germania. Su tali basi si poggiavano tutte le ragioni dell’interessamento dimostrato verso la Polonia, interessamento tendente a influire su di essa per ottenere la soddisfazione delle richieste del Reich e al­lontanare il rischio di un conflitto generale.La politica estera fascista mostrava, da una parte, di tenere conto delle nume­rose assicurazioni dei politici nazisti i quali dichiaravano di desiderare ancora alcuni anni di pace, dall’altra però criticava aspramente l ’avvicinamento della Polonia ai paesi occidentali, vedendo in questo la fonte di una reale minaccia per la pace. Gli italiani avevano compreso che il nodo dei problemi europei era proprio la resistenza decisa e generale della Polonia alle richieste della Germa­nia; la Polonia, intraprendendo la lotta e fermando per qualche tempo la pres­sione dell’esercito hitleriano, poteva indurre la Gran Bretagna e la Francia ad agire con determinazione. A Roma si era convinti che i polacchi avrebbero combattuto. Dubbi a tale proposito non erano stati diffusi da nessun polacco che si trovasse a Roma. Ciano, dopo i suoi colloqui con Goering, annotava nel suo Diario che i tedeschi si sbagliavano se ritenevano di poter trattare la Polonia come avevano fatto con l ’Austria e la Cecoslovacchia. « I polacchi saranno travolti ma non abbasseranno le armi prima di aver duramente combattuto ». Il giorno seguente, dopo un successivo colloquio con Goering, ritornava su tale argomento su cui lo stesso Mussolini concordava. « Ma non credano, i tedeschi che potranno anche in Polonia fare una marcia trionfale: se attaccati i polacchi si batteranno » 21.La consapevolezza di tale fatto consigliava di convincere la Polonia a fare con­cessioni. Era questo un concetto generale che ispirava Mussolini e Ciano. Tutta la loro attività nei mesi che precedettero la guerra si propose tale scopo e una serie di atti dimostra che la Polonia era diventata oggetto importante del loro interessamento.Molte informazioni sull’atteggiamento di Mussolini verso il conflitto polacco­tedesco ci sono date dalla lettera che il 30 maggio venne portata a Hitler dal generale Cavallero. Il capo del governo fascista fra le altre cose, faceva osser­vare che « l’Asse non riceverà niente di più dal resto del mondo » e che ogni successiva richiesta poteva provocare una guerra. Volendola evitare si dovevano persuadere la Polonia e gli stati garanti ad acconsentire « da soli » alle conces­sioni convincendosi che potevano essere paralizzati prima che giungesse un aiuto concreto anche dal confine orientale della Polonia22. In altre parole l ’unico metodo per evitare la guerra poteva essere quello di estorcere collettivamente alla Polonia concessioni che avrebbero assunto la forma di una « seconda Mo­naco ».

Tale era l ’indirizzo seguito non soltanto dall’iniziativa diplomatica ma anche dalla propaganda e dalla stampa. Questa assunse, nel periodo precedente il settembre, vari toni ma il fine era sempre lo stesso. Dopo il discorso di Beck il 5 maggio alla Dieta, sulla stampa italiana si cominciò a ricordare l ’amicizia con la Polonia, amicizia che imponeva all’Italia di aiutare la Polonia a ricercare una

21 G. ciano, Diario, cit., vol. I, pp. 81-82; gli aspetti internazionali del problema sono trattati da i. benoit, Mourir pour Dantzig, Paris, 1970.22 DDI, serie 8, vol. 12, doc. 59, pp. 49-50; il memoriale è stato pubblicato da Mario toscano, in Le origini del Patto d’acciaio, Firenze, 1948.

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soluzione pacifica del contrasto con la Germania. Ugo d ’Andrea, nel « Lavoro fascista » (6 maggio 1939) ricordava alla Polonia che grazie agli stati dell’Asse aveva ottenuto la Slesia di Cieszyn e una frontiera in comune con l ’Ungheria. Non voleva « presentare il conto alla Polonia », ma l ’invitava a contraccam­biare e a dare il suo consenso per una giusta soluzione della questione di Dan- zica, cioè di accettare le richieste tedesche.Il tono quasi suadente della stampa italiana mutò radicalmente dopo il 22 mag­gio quando Ciano e Ribbentrop firmarono il patto d ’Acciaio. Nei primi com­menti la parola che più spesso s ’incontrava era « pace ». Non vi era pertanto posto per ricordare il conflitto polacco-tedesco. Pochi giorni dopo tuttavia la stampa italiana attaccava violentemente la Polonia. Era la reazione ai com­menti poco favorevoli della stampa polacca. Quello che più irritava l ’ambiente fascista erano le osservazioni che dimostravano la definitiva subordinazione di Roma alla politica del Reich. Ne scriveva, per esempio, l ’organo dei socialisti polacchi « Robotnik » (« L ’operaio ») del 26 maggio 1939 richiamando l ’at­tenzione sul fatto che il patto italo-tedesco era giunto a conclusione nel mo­mento in cui « la Germania si è ben < installata > in Italia. La Germania attacca l ’Italia al suo cocchio di guerra e la obbliga a tirarlo. I tedeschi dirigono in Italia la stessa economia bellica come dirigono la loro e terranno in pugno l ’Italia fino all’ultimo istante della guerra ». Le reazioni della stampa italiana furono molto violente e accusarono la Polonia di stoltezza, di arroganza e persino di tradimento. Infatti la Polonia si era schierata con la Francia e l ’Inghilterra e pertanto aveva affondato la tradizionale posizione di stato che cercava di mantenere l ’equidistanza fra i campi totalitari e le grandi democrazie. Parti­colare oggetto di odio divenne il ministro Beck fino a poco prima ancora te­nuto in rispettosa considerazione.La questione polacco-tedesca ormai occupava le prime pagine dei giornali ed era il problema numero uno delle informazioni di politica estera. L ’azione con­centrata della campagna antipolacca, nonostante i continui interventi e le proteste dei rappresentanti dell’ambasciata di Roma, aveva lo scopo di far rica­dere sulla Polonia tutta la responsabilità della tensione che dominava in Eu­ropa. Tale intenzione è rilevabile anche per il fatto che insieme alla Polonia non veniva attaccato nessun altro sistema del fronte « che accerchiava il Reich ». Era questo uno degli elementi della diversione psicologica in Europa, che po­tevano provocare delle brecce nelle popolazioni che avevano un atteggiamento antitedesco, fra le quali era anche la popolazione italiana.La stampa italiana, che operando in regime totalitario non esprimeva altro che la politica fascista, cercava di presentare i polacchi come frutto di una società accesamente sciovinista. Si sosteneva che le passioni rinfocolate dal governo fossero non soltanto difficili da mantenere, ma addirittura pericolose per il governo stesso. « Il regime fascista » del 22 giugno riteneva che l ’unico scopo delle masse, dominate dalla smania delle lotte, fosse la guerra qualunque ne fosse il risultato. Felice Bellotti, autore di un articolo in tal senso, contrap­poneva questo quadro di isteria polacca alle reazioni moderate e ponderate degli stati dell’Asse.

Le ragioni dell’animosità della stampa italiana verso la Polonia erano molto diverse e non ci si può limitare ad affermare che fosse solo l ’effetto del completo inserimento dell’Italia nell’orbita della politica tedesca. L ’accanimento della campagna antipolacca e gli speciosi argomenti che la stampa fascista usava sem­brano essere suggeriti dall’ipocrita atteggiamento del governo di Mussolini che tende a mostrarsi sostenitore di una politica di pace di fronte a un paese che

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vede ostilmente il rischio di una guerra; ma la campagna antipolacca può es­sere suggerita dalla preoccupazione di vedere l ’alleata Germania avviarsi a una guerra di conquista mentre il fascismo sa che l ’Italia è ancora impreparata a si­mili avventure.Molto poco potevano fare, in una situazione simile, gli interventi dei diploma­tici polacchi che indefessamente tentavano di richiamare alla moderazione Pa­lazzo Chigi e la direzione della stampa estera del ministero della Cultura po­polare. La diplomazia polacca cercava di spiegare che le divergenze politiche fra i due stati non giustificavano « quell’eccesso » di ostilità e gli accenti d ’odio, manifestati dalla stampa italiana contro la Polonia, che veniva attaccata con un violenza non rintracciabile nella polemica contro le altre nazioni non favo­revoli all’Asse. Durante uno dei passi diplomatici esperiti il consigliere Jan Sze- linski tentò di convincere un alto funzionario del ministero della Cultura popo­lare che di fronte all’assoluta assenza di contrasti reali fra Polonia e Italia, la campagna antipolacca poteva da sola dare l ’impressione che tutto nascesse da un’assoluta dipendenza dell’Italia dalla Germania. Alla fine del colloquio Sze- linski fece presente che i rapporti italo-polacchi si erano sempre basati su prin­cipi di reciprocità e pertanto anche in questo caso ci si doveva attendere una campagna di risposta da parte della stampa polacca competente23.I rapporti italo-polacchi, come ben documentava la stampa, erano giunti d ’altra parte a un punto tale che si rendeva quasi impossibile il normale funzionamento della rappresentanza diplomatica a Roma. Beck, alla fine di maggio, aveva per­sino avuto l ’intenzione di richiamare Wieniawa. Alla fine rinunciò a un tal passo pur consigliando ai diplomatici di mantenere il più stretto riserbo nei confronti delle sfere ufficiali ed essere invece più attivi nei riguardi della popo­lazione e degli ambienti militari24.Questo suggerimento dimostrava che il governo polacco aveva rinunciato al tentativo di neutralizzare l ’Italia. Inoltre le rinnovate manifestazioni di soli­darietà con il Reich, e principalmente il richiamarsi ad una « seconda Monaco », venivano interpretati a Varsavia come espressione del desiderio di umiliare la Polonia paragonandola alla Cecoslovacchia, all’Austria e persino all’Albania. Molte rimostranze a tale riguardo dovette ascoltare l ’ambasciatore Valentino tanto che, nel rapporto della metà di giugno, si permise di fare un bilancio della situazione generale nei rapporti polacco-italiani. Egli scriveva al ministro Ciano che nel momento in cui il contrasto polacco-tedesco era divenuto più aspro, erano radicalmente peggiorati anche i rapporti italo-polacchi. Ciò era do­vuto all’atteggiamento assunto dalla stampa italiana che « nella difficile e peri­colosa situazione attuale di questo stato esacerba gli animi e provoca profondi risentimenti ». Più avanti, sempre in questo rapporto non privo di coraggio, si affermava che per lungo tempo la politica dell’Italia nel quadro dell’Asse aveva trovato in Polonia un terreno favorevole. Neppure negli ultimi mesi era­no mancate calorose manifestazioni di simpatia nel campo politico, economico e culturale. La firma del patto d ’Acciaio era stata accolta in Polonia con acredine per il fatto che si era giunti ad esso in un periodo di aspra tensione nei rapporti polacco-tedeschi. Vi si diceva che molto spesso giungevano all’ambasciata voci secondo le quali la provata amicizia fra Polonia e Italia, non turbata nel passato da conflitti d ’interessi, poteva influire positivamente sui rapporti fra Berlino

23 AAN, Ministero Affari esteri, segn. 4328, p. 84, Wieniawa al capo della Sezione stam­pa, Roma, 1 giugno 1939.24 DTJS, voi. IV, p. 617 e 634, Colloqui con Beck, 1 e 30 giugno 1939.

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e Varsavia. Cosa ancora più importante i funzionari dell’ambasciata avevano raccolto opinioni simili nei più vari ambienti politici dove non venivano messe in dubbio le oneste intenzioni dell’Italia di voler giungere ad una giusta solu­zione della questione polacco-tedesca. In realtà Valentino aveva capito come i rapporti interstatali dipendessero sempre dalla volontà di due partners, tut­tavia, nell’atmosfera di tensione polacco-tedesca allora dominante « la loro formazione dipende da noi » 25.L ’ambasciatore Valentino doveva far parte del gruppo abbastanza numeroso degli uomini politici italiani ai quali era invisa l ’alleanza degli stati dell’Asse. Molte riflessioni suscita la visita a Varsavia di Fulcieri Paolucci, ex vice segre­tario della Lega delle Nazioni, allora presidente del monopolio cinematografico statale, il quale, alla presenza dell’ambasciatore Valentino, parlò al viceministro Szembek deU’impopolarità della propaganda antipolacca imperversante in Italia. Questa campagna non trovava eco non soltanto nella popolazione, ma nemmeno fra tutti i membri del gabinetto26. Importante, in questo caso, fu il fatto che una simile opinione venne esposta alla presenza di un rappresentante ufficiale del governo il cui fine era di difendere quella politica verso la quale invece ci si mostrava contrari. Sicuramente Paolucci e Valentino erano riusciti a con­cordare in precedenza i loro reciproci atteggiamenti. D ’altra parte è difficile non scorgere che sia l ’ambasciata polacca presso il Quirinale sia quella italiana a Varsavia avevano cessato di avere un ruolo nella questione polacco-tedesca. L ’Italia non poteva proporre alla Polonia che di accedere alle richieste territo­riali tedesche. A Varsavia invece nessuno accettava una simile soluzione e a priori venivano respinte tutte le proposte di negoziato che potessero avere come fine cessioni territoriali.Wieniawa nondimeno continuava a tenersi in contatto con Ciano cercando di offrire argomenti ai crescenti timori degli italiani dovuti alla politica d ’aggres­sione della Germania. In ogni possibile occasione faceva presente la volontà polacca di non capitolare e di rispondere con una resistenza implacabile in caso di aggressione. Il governo fascista sapeva ufficialmente che il Reich era pronto all’offensiva, nondimeno sconsigliava energicamente alla Polonia di approntare mezzi di difesa. Quando il 14 agosto Wieniawa informò confidenzialmente Ciano sulla azione di mobilitazione condotta nel Reich, e che non era escluso che una simile decisione fosse presa anche dal governo polacco, il ministro ita­liano « visibilmente allarmato » lo pregò di non intraprendere nessun « passo che potesse minacciare un inasprimento dell’atmosfera già tanto nervosa », come scrisse Wieniawa. « Con questa richiesta si rivolge piuttosto ai suoi alleati. Non siamo stati noi a dare inizio a tutta questa questione, ma non possiamo restare passivi di fronte alla sempre crescente minaccia che ci viene dalla parte tedesca ». Ben diverso appare però il tono di questo colloquio nelle annota­zioni di Ciano. Egli riconosce di aver consigliato a Wieniawa una certa mode­razione, ma si disse anche convinto che « questa gente domani sarà massacrata dal ferro germanico. E non avrà colpa alcuna. Il mio cuore è con loro » 27.Queste parole ci mostrano un Ciano di sentimenti antitedeschi rafforzati dopo i colloqui che aveva avuto l ’i l e il 13 agosto con Elider e Ribbentrop a Sa­lisburgo. L ’Italia aveva chiesto incontri personali sperando di riuscire a inter-

25 ASD, Polonia 1939, busta 15, Valentino a Ciano, 16 giugno 1939, anche DDI, serie 8, voi. 12, doc. 225, p. 217-218.26 D TJS, voi. IV, p. 639-640, Colloqui con l ’ambasciatore Paolucci, Varsavia, 28 giugno 1939.

Z raportów ambasadorskich, cit., p. 48; G. ciano, Diario, cit., voi. I, p. 142.27

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rompere i preparativi di un conflitto armato di cui era giunta notizia per via indiretta da più parti. Mussolini, prima della partenza di Ciano, gli aveva con­sigliato di fare ogni sforzo perché i tedeschi evitassero un conflitto dato che sarebbe stato impossibile localizzarlo ed una guerra generale sarebbe stata la catastrofe di tutti. « Mai come oggi il Duce ha parlato con calore e senza riserva della necessità della pace » — annota Ciano nel suo Diario. Dal successivo colloquio con Hitler, Ciano dedusse che il Fuhrer aveva deciso di iniziare la guerra e che gli argomenti italiani non lo avrebbero fermato. Nel suo Diario scrisse di essere tornato a Roma nauseato dai tedeschi i quali stavano per tra­scinare l ’Italia in un’avventura pericolosa. « Il popolo italiano fremerà di orrore quando conoscerà l ’aggressione contro la Polonia e caso mai vorrà im­pugnare le armi contro i tedeschi » 28.La stampa riprende in questo frangente una campagna in posizione di media­zione tendente però alla necessità del soddisfacimento delle richieste tedesche. I motivi della campagna sono evidenti: la preparazione militare dell’Italia è insufficiente, i negoziati e l ’uso del ricatto militare erano, esaminando le cose dal lato pratico, l ’unico modo per lasciare fuori l ’Italia da un conflitto armato. Anche per questo motivo gli incontri di Ciano a Salisburgo coincisero con un attacco della stampa, naturalmente a esclusivo beneficio tedesco. Gli articoli di fondo erano orchestrati sul tema di Danzica e le prospettive di una soluzione del conflitto polacco-tedesco. Due erano i problemi dominanti:1. la necessità di convocare una conferenza internazionale che esaminasse le « giuste » richieste della Germania;2. la Polonia indifesa e sola avrebbe dovuto considerare seriamente la potenza militare del Reich, che, in caso di guerra, era in grado di annientare la nazione vicina.

I giornali italiani — chiaramente ispirati — ora con blandizie, ora con mi­nacce, esprimevano la speranza che la Polonia e l ’occidente avrebbero accettato una conferenza internazionale ed una seria azione mediatrice. Da quanto riferito dai corrispondenti — in una campagna orchestrata — risultava che l ’Inghilterra e la Francia avrebbero senz’altro accettato una soluzione pacifica tanto più che la Polonia, secondo i giornali, si era rivolta a Mussolini chiedendogli di assu­mersi un ruolo di mediazione. Questa notizia, una patente menzogna, spari subito dalle colonne della stampa dopo la ferma smentita dell’ambasciatore Wieniawa apparsa il 16 agosto. Non erano cessate però le pressioni sulla Polonia e le richieste di risolvere il problema di Danzica erano divenute il pretesto per postulare una soluzione globale del problema della Pomerania. Ben si sapeva che il corridoio non era più sufficiente per la Germania. Già il 25 giugno la « Gazzetta del popolo » aveva anticipato il crescente appetito tedesco affer­mando, come se si trattasse di fatto del tutto naturale, che la Germania non si sarebbe accontentata soltanto di Danzica, ma avrebbe chiesto il ritorno alle frontiere del 1914.

Un mutamento radicale del tono della stampa si osserva il 19 agosto. Sono scomparsi gli insulti, i pesanti oltraggi e appaiono, presentate in un tono quasi civile, proposte di considerare i terribili effetti di una guerra dalla quale la Polonia « deve uscire annientata », come prevedeva Gayda nel « Giornale d ’Ita­lia ». Le nuove proposte di mediazione, che sono in realtà avvertimenti mano­vrati più dalla propaganda che dalla diplomazia si argomentano con l ’impotenza

G. ciano, Diario, cit., voi. I, p. 141.

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dell’Inghilterra e della Francia e con le conseguenze della firma dell’accordo commerciale fra l ’Unione Sovietica e il Reich. Poco dopo, il 23 agosto, venne firmato il patto tedesco-sovietico di non aggressione. Questo ulteriore impor­tante successo della diplomazia tedesca fu una sorpresa generale. Gli avveni­menti provocarono a Varsavia una comprensibile inquietudine. A Roma, al contrario, si manifestò una certa soddisfazione anche se dominata dalla sorpresa per il patto Ribbentrop-Molotov. E tuttavia in Italia si ebbero ripercussioni opposte che fecero aumentare il numero di coloro che erano contrari a una stretta collaborazione con la Germania e proprio fra questi c’erano i fascisti di atteggiamento anticomunista più intransigente i quali facevano rilevare che l ’amicizia italo-tedesca era stata originata da un patto anti-komintern.In tale atmosfera era nato il documento, consegnato il 21 agosto da Ciano a Mussolini e successivamente inviato all’ambasciatore italiano a Berlino, Atto- lico, sullo stato dei rapporti italo-tedeschi. Scopo fondamentale di questo docu­mento era di dimostrare che l ’Italia, pur dichiarando la neutralità nel caso di un conflitto polacco-tedesco, avrebbe continuato ad operare in totale accordo con gli obblighi assunti nei confronti del Reich29. Questo ampio memoriale influì sul contenuto della nota lettera di Mussolini a Hitler, scritta il 25 agosto, in cui si precisavano le tesi principali della politica italiana di fronte al previsto inizio della guerra:1. Se la Germania attaccasse la Polonia e il conflitto rimanesse locale, l ’Italia fornirebbe ogni aiuto richiesto.2. Se la Polonia e i suoi alleati attaccassero il Reich, l ’Italia interverrebbe a favore della Germania.3. Se la Germania attaccasse la Polonia e la Francia e l ’Inghilterra entrassero nel conflitto, l ’Italia resterebbe neutrale data l’impreparazione militare già co­municata a suo tempo al Führer e a Ribbentrop.4. Se eventuali negoziati finissero con un insuccesso a causa dell’inflessibilità degli altri stati e, in caso la Germania volesse risolvere la questione con le armi, l ’Italia si unirebbe allo stato germanico 30.Nei presupposti della sua politica Mussolini si dibatteva fra la volontà di col­laborare con il Reich e i timori di politica interna dovuti alla nota avversione del popolo italiano alla partecipazione a una guerra e allo stato di imprepara­zione materiale e morale dell’esercito. Stando così la cose era costretto ad esor­dire come messaggero di pace. Il 23 agosto autorizzò il ministro Ciano a pro­porre alla Gran Bretagna un negoziato ed una conferenza internazionale prece­duta però dall’impegno di accettare l ’assegnazione della città libera di Danzica al Reich. Questa proposta ottenne una rapida risposta da Londra nel senso che la Gran Bretagna avrebbe accettato soltanto quelle proposte che avessero in­contrato l ’approvazione della Polonia aggiungendo che se la Polonia fosse stata attaccata, l ’Inghilterra le avrebbe dato aiuto. Un atteggiamento analogo fu as­sunto dalla Francia. André François Poncet ambasciatore francese a Roma cercò

29 DDI, serie 8, voi. 12, doc. 130, p. 89 ss., Nota al ministro Ciano, Roma, 21 agosto 1939.30 Ibid., doc. 136, p. 92, Mussolini a Hitler, Roma, 21 agosto 1939; Wieniawa doveva avere numerosi ed efficienti informatori se proprio quello stesso giorno telegrafò a Varsavia che « s i sente sempre più spesso dire [...] che Mussolini abbia deciso che l ’Italia resterà neutrale nel caso dello scoppio di una guerra per Gdansk» - AAN, ministero Affari esteri, segn. 4328, p. 130, Wieniawa al Ministro, Roma, 21 agosto 1939.

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di convincere il ministro italiano che Danzica non poteva essere annessa alla Germania poiché costituiva « il simbolo della libertà in Europa » 31In una situazione simile ogni iniziativa di mediazione di Mussolini veniva a tramontare rapidamente e prima ancora di iniziare. È difficile ritenere che il governo fascista non sapesse vedere obiettivamente l ’assurdità di tali proposte. Presentandole del resto sapeva molto bene che:1. la Polonia non avrebbe accettato di fare nessuna cessione territoriale a favore del Reich;2. che i contatti fino allora avuti con gli uomini politici del Reich provavano che questi: a) non si sarebbero accontentati di mezze soluzioni nel conflitto con la Polonia; b) agognavano la guerra ed erano decisi ad arrivarci indipendente­mente da ogni suggerimento di pace; c) non tenevano in nessun conto il parere dell’Italia, nei cui confronti conservavano una fraseologia amichevole, agendo però del tutto indipendentemente;3. la Francia e l ’Inghilterra, dopo gl’insuccessi della politica delle concessioni nei confronti della Germania, si dicevano fermamente decise a fermare l ’ulte­riore aumento della potenza territoriale della « Grande Germania ».Tenendo presenti tali elementi, le rinnovate proposte di pace di Mussolini non potevano incontrare nessuna condizione per essere realizzate, e tuttavia vennero presentate con ostinazione alla fine di agosto e ai primi di settembre, benché egli sapesse con quanta ostilità a Berlino si vedessero le sue iniziative di pace, inac­cettabili contemporaneamente a Varsavia e a Berlino. Inoltre, va aggiunto, Mussolini mostrava di temere Hitler, come riferisce Ciano nel suo Diario, in data 18 agosto, al punto di ritenere che se si fosse arrivati a un’eventuale de­nuncia dell’alleanza Hitler avrebbe potuto lasciare da parte la questione polacca per regolare i suoi conti con l ’Italia32.Nonostante questi fatti incontrovertibili Mussolini riuscì a farsi la fama, or­chestrata dalla stampa fascista europea, ma anche dai giornali moderati conser­vatori dei regimi democratici occidentali, di uomo politico che ricercava ogni mezzo per impedire lo scoppio della guerra. Quando l ’aggressione hitleriana alla Polonia divenne un fatto compiuto, usò ancora le sue arti per impedire che il conflitto si estendesse a più di due stati. Ciò non significa naturalmente che Mussolini agisse per pacifismo o perché fosse convinto della necessità della pace, o perché pensasse a crearsi, dopo Monaco, la figura del mediatore poli­tico. Il suo desiderio di non inasprire i contrasti, ormai insanabili, in Europa e di localizzare il conflitto isolandolo era dovuto a ragioni ben precise:1. La sua morbosa ambizione di essere considerato il « primo fascista » del mondo, l ’ideatore e il capo di un movimento « risanatore », era stata sottoposta ad una difficile prova, quando si era reso conto che l ’Italia non era preparata alla guerra. D ’altra parte assisteva a un crescendo di successi del nazismo, la cui affermazione in Germania era molto più recente che non quella del fa­scismo in Italia. Era evidente il fastidio e lo sdegno di Mussolini per i successi riportati dal nazismo ed era pronto ad agire per non aumentare il distacco nei successi tra fascismo e nazismo. La prevista vittoria sulla Polonia avrebbe au­mentato le sproporzioni già esistenti provocando automaticamente la subor­dinazione dell’Italia alla Germania. Mussolini si rendeva conto che tali muta­menti non potevano non avere influenza sul suo prestigio personale, in Italia e all’estero. Da questo punto di vista la sua sensibilità era acutissima.

31

32andré francois-poncet, Au palais Farnese, Paris, 1961, p. 125 sgg. g. ciano, Diario, cit., voi. I, p. 144.

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2. Mussolini, essendo deciso a portare l ’Italia in guerra, come dimostra tutta la sua politica estera e interna, aveva capito che la partecipazione alla guerra contro la Polonia non avrebbe incontrato la comprensione del paese. La pro­paganda antipolacca nella penisola non aveva nessuna tradizione e non aveva fatto breccia. Si potrebbe parlare di fiasco completo della propaganda fascista, limitatamente a questo periodo, nel cercare di convincere la popolazione italiana che la guerra era necessaria. Ma i tentativi reiterati di Mussolini per « salvare la pace » possono essere visti con motivazioni di politica interna e fornire una suggestiva arma alla propaganda, ponendo in rilievo come l ’incendio della guer­ra, che si sarebbe estesa sempre più, fosse il risultato del fatto che l ’occidente non aveva accettato le proposte di Mussolini.Risulta chiaro quindi che la Polonia è usata dal fascismo come oggetto di una politica espansionistica e territoriale e pretesto, nel braccio di ferro fra i regimi fascisti e le democrazie occidentali, per la preparazione della guerra mondiale. Una politica che si evidenzia sempre più man mano che si stringono i legami fra gli stati dell’Asse Roma-Berlino. Nel caso della Polonia Mussolini d’altra parte aveva già fin dall’inizio del manifestarsi del conflitto tedesco-polacco espresso la sua comprensione per gli scopi che si era proposto Hitler in quella parte d ’Europa. Nella lettera del 25 agosto al cancelliere tedesco, il duce scriveva: « Per quanto concerne la Polonia, io ho la perfetta comprensione della posi­zione germanica e del fatto che una situazione così tesa, non può durare al­l ’infinito » 33.Quello stesso 25 agosto giunse a Berlino la notizia dell’accordo polacco-britan­nico, che prevedeva un immediato aiuto nel caso di aggressione subita da uno dei due stati. H. Betowski, insigne studioso polacco, analizzando con scrupolosa minuziosità le giornate immediatamente precedenti lo scoppio della II guerra mondiale, richiama l ’attenzione sul fatto che Hitler fermò l ’attacco contro la Po­lonia, previsto per il 26 agosto, proprio in seguito agli avvenimenti del 25 agosto. « Non si può con sicurezza stabilire cosa abbia influito maggiormente a tratte­nere Hitler: il rifiuto di recargli aiuto di Mussolini o la notizia dell’accordo polacco-britannico. Si deve ritenere che i due fatti in un certo modo si congiun­sero, ma innanzitutto fu importante la diserzione italiana ». Un po’ più avanti il rifiuto di Mussolini viene definito « infausto » per poi porre in rilievo, nel­l ’insieme delle argomentazioni, l ’importanza della decisione italiana che diede così alla Polonia ancora una settimana di pace.E difficile non essere d ’accordo sull’influenza che la decisione di neutralità di Mussolini ebbe sul rinvio dell’inizio delle operazioni belliche, previsto per il 26 agosto. Non si può tuttavia sopravvalutare ponendola a confronto con l ’ac­cordo polacco-britannico che, in pratica, annullava i calcoli fatti dal Reich di mantenere isolato il conflitto a oriente. E questo era stato lo scopo principale delle iniziative della diplomazia hitleriana che era giunta persino alla firma di quel patto con l’Unione Sovietica che sconcertò il mondo. Hitler non si atten­deva — né ricercava — l ’aiuto dell’Italia nel conflitto con la Polonia, mentre ne comprendeva l ’importanza nel caso di intervento diretto della Gran Bretagna e della Francia. In altre parole il ruolo dell’Italia nella politica d ’aggressione del Reich si riduceva nel tenere in scacco l ’occidente ed assicurare eventualmen­te la copertura alle spalle dell’armata che combatteva ad est. Tutto dipendeva

33 DDI, serie 8, voi. X III, doc. 250; ampiamente lo analizza h . batowski, Agonia pokoju i poczatek wojny, Poznan, 1969, [Agonia della pace e inizio della guerra].

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pertanto direttamente dalla posizione che avrebbero preso, di fronte alla guerra polacco-tedesca, la Francia e soprattutto la Gran Bretagna. Hitler aveva cercato in maniera particolarmente insistente di conquistare l ’appoggio di quest’ultima, il che confermerebbe l ’opinione secondo la quale la Gran Bretagna era proprio il paese maggiormente temuto. In una simile situazione, al possibilità, presa in esame a Berlino, della neutralità italiana nel caso di un conflitto armato con la Polonia, avrebbe potuto far rinviare la decisione già presa se Londra non si fosse obbligata, con un patto ufficiale, a difendere l ’indipendenza della Polonia? Non ci sembra possibile. Un tale ruolo poteva derivare soltanto dal fatto che Londra avesse interpretato la neutralità italiana in senso sfavorevole per Hitler. La Polonia, fra l ’agosto e il settembre, fu oggetto e pretesto di una politica internazionale, fu, per i singoli stati, l ’occasione per cristallizzare le loro posizioni nei confronti della guerra e della pace. Il governo italiano, pren­dendo il 1 settembre la decisione di non partecipare alle operazioni belliche, soltanto apparentemente mostrava simpatia per la Polonia. Oggettivamente questa decisione serviva a Hitler che poteva così puntare, per il momento a localizzare il conflitto. Era infatti chiaro che la presenza dell’Italia al fronte avrebbe reso possibile considerare lo scontro polacco-tedesco come una guerra locale. Le speranze del resto si dissolsero già il 3 settembre quando la Francia e la Gran Bretagna iniziarono « la dròle guerre ». Ma Mussolini insisteva tanto nel tentativo di svolgere il ruolo di mediatore, che riteneva ora tanto più im­portante dal momento che, dopo il 3 settembre, avrebbe dovuto « mettere d ’accordo » le potenze europee che si fronteggiavano e non più soltanto Ger­mania e Polonia. Tuttavia per poter compiere questa mediazione era neces­sario far terminare al più presto la guerra.Gli esponenti fascisti avevano rilevato più volte che la Polonia, in un conflitto armato con il Reich, non sarebbe stata certo dalla parte vincente. Ciò non si­gnificava che gli uomini politici italiani — principalmente Ciano, ma anche Mussolini — fossero pronti ad accettare una totale eliminazione dello stato e10 sterminio del popolo polacco. Sono pochissime infatti le annotazioni che di­rettamente potrebbero confermare questa tesi. Forse, questo, appare con mag­giore evidenza nella lettera scritta a Hitler il 4 gennaio 1940, da Mussolini, nella quale, fra le altre cose, si rileva la necessità di reagire alla propaganda britannica e francese che si sono servite con successo dell’argomento della « causa polacca ». Il primo ministro italiano pronunciò allora anche calorose parole all’indirizzo del popolo polacco che, abbandonato dai suoi comandanti, aveva continuato a combattere valorosamente. Secondo Mussolini la creazione di una modesta Polonia, disarmata e unicamente polacca (ossia liberata dagli ebrei che pensava di raggruppare in un enorme ghetto a Lublino) non avrebbe potuto ostacolare il grande e potente Reich. Una simile soluzione avrebbe invece portato enormi profitti, liberando il popolo polacco dall’influenza della propaganda del governo polacco in emigrazione, appoggiato dalla Francia e dall’Inghilterra « [...] io penso che la creazione di uno stato polacco sotto l ’egida tedesca sarebbe un elemento risolutivo della guerra e una condizione sufficiente per la pace » scrisse Mussolini34.

11 progetto di formare uno stato polacco, del tutto subordinato al Reich, si ricollegava ai tentativi allora intrapresi da Mussolini di trovare un compromesso con i paesi occidentali. A questo fine egli si permise un unico suggerimento, sin-

34 h . batowski, Agonia, cit., p. 74.

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golare nel suo genere, e cioè che lo spazio vitale per la Germania si doveva ricercare soltanto in Russia33 * 3S.Questa lettera che può essere considerata l ’espressione della massima autonomia italiana rispetto alla Germania, indignò Hitler che fece attendere la sua risposta più di due mesi. Non permise neppure i colloqui diretti che Mussolini richiedeva con sempre maggiore urgenza, visto il silenzio di Berlino. Nonostante l ’arrivo di Ribbentrop a Roma e il successivo incontro di Hitler con Mussolini al Bren­nero il 18 marzo, il capo del Reich continuò a non avere fiducia negli italiani ricusando, per esempio, di fornire a Roma le annotazioni dei colloqui che si erano svolti. « Non si sa mai — disse Hitler al suo interprete P. Schmidt -—• chi, dalla parte italiana, leggerà questi documenti e a quali diplomatici degli alleati ne comunicherà il contenuto » 36.Uno dei motivi della cattiva disposizione del Fiihrer verso gli ambienti politici e diplomatici italiani, fra il 1939 e il 1940, era la simpatia che questi dimostra­vano verso la Polonia e ancora di più verso i polacchi. Agli inizi di settembre — pur manifestato con discrezione dalle due parti — un tale atteggiamento ver­so la Polonia sembrò persino accentuarsi. Con comprensibile soddisfazione a Varsavia si apprese la notizia della « non belligeranza » italiana. Nello stesso tempo l ’ambasciatore Valentino informava il ministro Beck che il governo italiano non escludeva di portare a termine le consegne del materiale militare ordinato dalla Polonia. Lasciò anche capire che il trasporto di tale materiale « non sarebbe stato impossibile a certe condizioni » 37.La situazione della Polonia in guerra destava grande interesse in Italia. Oltre ai comunicati ufficiali giungevano a Mussolini e a Ciano — seppure più rara­mente — rapporti e informazioni sui metodi dell’occupazione hitleriana. È dif­ficile calcolare quanta parte dei documenti conservati negli archivi italiani sia pervenuta al capo del governo. Sicuramente però ebbe tra le mani il rapporto, preparato alla fine del novembre 1939, dall’italiano Volpato. In seguito a pro­tezioni straordinarie — fra l ’altro quella di Grandi — costui ottenne il per­messo delle autorità tedesche per un breve soggiorno a Poznàn dove fece visita ad una famiglia con la quale era imparentato. Effetto della sua settimana di soggiorno fu il rapporto che l ’ambasciatore Attolico inviò al ministro Ciano con l ’annotazione che Volpato era l ’unico straniero che fino a quel momento era stato fatto entrare a Poznàn. Leggendo le sue impressioni — scriveva Atto­lico — si possono capire i motivi per i quali nessuno, che non sia tedesco, può recarsi in quella regione. È evidente che non si vogliono testimoni! ».L ’ampio rapporto, reso noto dalla pubblicazione nei Documenti diplomatici ita­liani, era scritto da un uomo profondamente colpito dall’orrore di uccisioni in massa, della totale distruzione e di aver visto calpestare la dignità umana e il terrore seminato dalla Gestapo e dalle SS 38.

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33 DDI, serie 9, voi. II , doc. 33.16 p . Schmidt, Statist auf diplomatischer Bühne, traduzione polacca, Cracovia, 1965, p. 465.37 J. beck, Dernier rapport, cit., p. 323. Tra i materiali del ministero della Cultura popo­lare, ACS, Crisi europea, busta 1, fase. 1, troviamo il seguente telegramma in data 19 set­tembre 1939 pervenuto dal consigliere Carissimo tramite l ’ambasciata a Parigi: «D ata im­possibilità corrispondere direttamente prego V.E. comunicare Roma che tutti i funzionari ambasciata Italia Varsavia e 80 cittadini italiani rifugiati nella ambasciata trovansi buona salute. Situazione tutti i cittadini stranieri è sempre pericolosa. Corpo diplomatico sta stu­diando mezzi per farli evacuare e cerco entrare in contatto con Comandi militari due parti belligeranti ».38 DD I, serie 9, voi. II , annesso 7, pp. 636-638, Attolico a Ciano, Berlino, 30 settembre 1939.

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Ciano presentò questo documento a Mussolini e annotò nel suo diario che il Duce, indignato, aveva consigliato di trasmettere quelle informazioni per via indiretta ai giornali francesi e inglesi, convinto che il mondo dovesse essere messo a conoscenza di quei fatti39.Le informazioni sul sistema del terrore sparso dall’aggressore in Polonia non trovarono ovviamente posto sulle colonne della stampa italiana. Anche per questo motivo i funzionari delle ambasciate polacche presso il Quirinale e la Santa Sede cercarono di far circolare le notizie sulla situazione esistente nel loro paese. Già il 4 settembre apparve il primo numero, due pagine, del « Noti­ziario polacco » 40. Usciva tutti i giorni in 150-200 copie ciclostilate ed era in­viato alle redazioni dei giornali e consegnato « privatamente » ai pubblicisti e agli uomini politici, amici della Polonia. L ’ultimo bollettino ritrovato porta il n. 75 e fu pubblicato il 6 maggio 1940. Il « Notiziario » ebbe certamente un ruolo nel lavoro di informazione di certi ambienti politici italiani e indubbia­mente alcune delle informazioni pubblicate giungevano, attraverso altri canali, a più destinatari. Mussolini dovette esserne seriamente irritato se, telefonando il 9 settembre al ministro Alfieri, espresse la sua soddisfazione perché questi ave­va emesso un ordine che proibiva di pubblicare notizie prese da documenti forniti dall’ambasciata polacca. Durante il colloquio il capo del governo con­sigliò di ricordare a Wieniawa che il governo italiano, essendo neutrale in quel conflitto, avrebbe reso pubblici soltanto i comunicati ufficiali, dei relativi stati maggiori ricevuti dal fronte. Inoltre, con l ’usuale scarso senso del ridicolo Mus­solini affermava che le informazioni pubblicate dal « Notiziario », dato che provenivano, per la maggior parte, dall’ascolto di radio straniere, presentavano un’insufficiente credibilità. In conclusione Alfieri doveva chiedere all’ambascia­tore la cessazione della pubblicazione del bollettino poiché, con le sue notizie, forniva armi all’attività dei nemici del regime e particolarmente agli ebrei41. Wieniawa potè permettersi di non tener conto degli ordini di Mussolini dato che non erano stati presentati in maniera categorica. In caso contrario Wieniawa non avrebbe rischiato di venire in conflitto con Palazzo Chigi, conflitto che inevitabilmente si sarebbe concluso con la dichiarazione di « persona non grata » per molti diplomatici e funzionari polacchi.Ma inizia anche a questo punto un capitolo anomalo della politica estera fa­scista che finisce per dare aiuto ed esprimere in molti modi solidarietà ai nemici vinti dal migliore e più stretto alleato europeo. Il ministro degli Esteri del go­verno fascista il 17 settembre, assicurò l ’ambasciatore Wieniawa che i profughi polacchi avrebbero trovato « ospitalità » e assistenza in terra italiana42. Si deve ricordare a questo punto che i rapporti italo-polacchi, nel periodo fra le due guerre, erano stati caratterizzati da numerose dichiarazioni di simpatia e soprattutto da promesse per lo più mantenute dagli italiani. Al contrario del passato quest’ultima promessa del ministro Ciano fu rispettata aldilà di ogni speranza. Ciano, nei numerosi colloqui che ebbe con Wieniawa non assunse mai un atteggiamento di sufficienza con il rappresentante di un paese sconfitto che al

39 G. ciano, Diario, cit., voi. I, p. 194.40 I singoli numeri del « Notiziario polacco » si trovano in varie pratiche dell’ACS, mini­stero della Cultura popolare e ministero degli Interni-Pubblica Sicurezza e dell’ASD, Po­lonia 1939, busta 15.11 ACS, ministero della Cultura popolare, Gabinetto, busta 1, fase. 2, Annotazione sui col­loqui di Mussolini con Alfieri, 9 settembre 1939.42 marian romeyko, Wspomnienia o Wieniawie i rzymskich czasach, London, 1969, [Ri­cordi di Wieniawa e dei tempi romani].

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massimo poteva chiedere favori o cortesia. Wieniawa, dopo una delle sue visite a Palazzo Chigi, disse a Marian Romeyko, addetto militare a Roma, che Ciano « il ministro degli Affari esteri dell’Italia, pur essendo alleato con i nostri nemici [...] ha compreso i nostri bisogni e ha chiaramente detto di volerci venire in­contro » 43. L ’Italia non si pose certo il problema di riconoscere il nuovo go­verno sorto ad Angers con a capo il gen. W. Sikorski ma, come giustamente scrive il « Daily Telegraph » del 30 ottobre, « l’ambasciatore polacco a Roma ha conservato le sue prerogative diplomatiche ». In margine al telegramma dell’ambasciatore Bastianini a Londra, in cui si comunicava il contenuto del­l ’articolo citato, c’è un’annotazione che richiama la necessità di esaminare tale questione44. Se venne mai preso in esame tale fatto singolare, l ’effetto fu co­munque che il rappresentante della Polonia continuò a compiere le sue funzioni così come a Varsavia l ’ambasciata italiana proseguì la sua attività diretta dal­l ’addetto Alfredo Stendardo. Soltanto alla vigilia dell’entrata in guerra del­l ’Italia i funzionari dell’ambasciata presso il Quirinale vennero pregati di ces­sare la loro attività ufficiale. Con la partenza di Wieniawa, Romeyko, Sze- liski, Zawiska e di altri funzionari importanti dell’ambasciata, si pose fine ad un importante periodo della loro attività che, dall’inizio della guerra, consi­steva nell’aiutare i soldati dell’esercito polacco vinto a passare all’ovest. Ciò era tanto più importante in quanto, parallelamente alla formazione del governo in esilio presidiato da Sikorski, s’incominciò ad organizzare un nuovo esercito polacco. I soldati venivano reclutati fra i numerosi profughi polacchi, ma so­prattutto si contava sull’arrivo dall’Ungheria e dalla Romania dei resti dell’ar­mata di « settembre ». La strada più breve passava attraverso l ’amica Jugoslavia e l ’Italia.Si temeva che Roma avrebbe frapposto ostacoli dato che si trattava chiaramente di dare un aiuto alla Francia, in guerra con l ’alleata Germania. Quando tuttavia, alla fine del settembre, la questione del reclutamento divenne problema urgente, Wieniawa ottenne un aiuto certo maggiore di quello che si aspettava. Natural­mente si parlò ufficialmente di un certo numero di « operai » polacchi che, sotto la pressione delle truppe, avevano attraversato la frontiera ungherese e romena. Ciano sapeva benissimo che si trattava di un gran numero di persone dato che, di propria iniziativa, fece rafforzare il personale dei consolati italiani in Romania e in Ungheria per poter essere preparati a rilasciare numerosi visti. « Mio caro Wieniawa, La prego di contare su di me [...] la prego di farmi co­noscere le difficoltà che Lei incontra [...] sono sempre pronto ad aiutarLa [...] La prego unicamente di non crearci problemi di natura politica, Lei mi com­prende? »43.Lo stesso spirito ebbe il colloquio dell’addetto militare polacco con il generale Mario Roatta, allora vice capo dello stato maggiore, e si concretò nell’atteggia­mento positivo delle autorità ufficiali verso il transito degli « operai » polacchi. Questo ebbe inizio, ai primi di ottobre, con i passaggi individuali di frontiere, per lo più di ufficiali, naturalmente in civile forniti di documenti e di biglietto ferroviario. In un secondo tempo fu possibile far passare gruppi di soldati comprendenti anche 50-100 persone alla volta che, alla frontiera italo-jugoslava di Postumia, venivano fatti salire su speciali vagoni agganciati ai treni che an­davano verso Milano-Modane. Data la mancanza di fondi per l ’acquisto dei bi-

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Ibid.ASD, Volontà 1939, busta 15, Bastianini a Palazzo Chigi, Londra, 30 ottobre 1939. m . romeyko, Wspomnienia, cit., p. 143.

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ghetti le autorità ferroviarie di Trieste accettavano persino di rilasciare biglietti collettivi ad un prezzo molto più basso e persino a volte gratuitamente. Ro- meyko, descrivendo il corso dell’evacuazione, conclude che non ci si poteva aspettare maggiore aiuto da uno stato che — nonostante tutto — era alleato di H itler46. Un altro emigrato polacco J. Stempowski [P. Hostowiec] ricorda che nel 1940 nonostante già fosse ricercato dalla Gestapo il consolato italiano a Belgrado gli aveva rilasciato un visto in pochi minuti47.La cooperazione fra i consolati italiani e polacchi continuò anche dopo il giugno 1940. Non di rado l ’iniziativa partiva dai consoli italiani. Un caso del genere, per esempio, fu osservato dal console polacco a Monaco, Mieczyslaw Oxner, che aveva chiesto adeguate istruzioni al rappresentante del governo polacco in emigrazione. Nella risposta del 14 agosto 1940, inviata a Monaco dal console generale di Marsiglia, leggiamo che « [ . . . ] in ogni caso non è nel nostro inte­resse rompere i rapporti con gli italiani, ma proprio al contrario, speriamo in futuro in una collaborazione ». Ugualmente vedeva il problema il console po­lacco di Nizza, Zbigniew Szubert che informava il collega di Monaco che si dovevano mantenere rapporti con i consolati italiani per motivi politici generali del governo polacco rilevando che « nei rapporti polacco-italiani non c’è stata e non c’è ombra d ’inimicizia » 48. L ’assenza di inimicizia a livello popolare venne anche dimostrata dagli aiuti che dalla popolazione andò a singoli profughi po­lacchi di passaggio. E diffìcile tuttavia non scorgere come nel periodo che aveva preceduto lo scoppio della guerra vi fossero chiari segni di contraddizioni nelle reazioni dell’opinione pubblica italiana. Gli italiani temevano una guerra po­lacco-tedesca e desideravano che venisse evitata convinti che, a causa dell’esi­stenza dell’Asse, sarebbero stati costretti ad indossare la divisa. Anche per que­sto motivo il decisivo rifiuto della Polonia ad accettare le richieste tedesche non aveva incontrato il loro appoggio. Wieniawa scriveva a Beck il 16 giugno 1939 che, per liberarsi dall’incubo della guerra, « persino il mio autista Giu­seppe consegnerebbe la Polonia non soltanto alla Germania ma al diavolo stesso, a sangue freddo e con un grande senso di sohievo » 49. Giuseppe Pul- petta, ricordato in questa lettera, era un tipico rappresentante delle idee del­l ’italiano medio. Proprio lui, con grandi sacrifici, organizzò poi il passaggio dei soldati polacchi in Francia.L ’opinione di Wieniawa corrispondeva al modo di pensare di ampi gruppi di popolazione italiana. Non si può però non ricordare che, contemporaneamente al desiderio di giungere ad una soluzione pacifica del conflitto polacco-tedesco, i polacchi incontrarono espressioni di comprensione per il loro deciso atteggia­mento antitedesco. « L ’appoggio » dato alle richieste del Reich si accompagnava all’approfondirsi dell’ostilità del popolo italiano verso la Germania. Gli italiani erano tanto convinti della stragrande influenza del Reich che un impiegato statale di grado superiore, cercò di convincere il giornalista polacco Léonard Kociemski che nei ministeri vi erano elementi tedeschi i quali dovevano con­trollare che il lavoro degli impiegati seguisse la linea dell’Asse Berlino-Roma50.

46 Ibid., p. 146.47 j. stempowski [p. hostoweiec], Od Berdyczowa do Rzymu, Paris, 1971, p. 153, [Da Berdycz a Roma],48 AAN, Consolato onorifico a Monaco, segn. 30.49 Z raportów ambasadorskicb, cit., p. 52.50 AAN, Ambasciata a Roma, segn. 24, p. 224, Kociemski all’ambasciata a Roma, 3 di­cembre 1938.

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Al momento dello scoppio della guerra le remore che avevano consigliato all’ita­liano medio di valutare negativamente la decisa resistenza della Polonia, avevano perduto ogni significato. Egli già sapeva che non avrebbe dovuto combattere e morire « per Danzica ». Su tale sfondo venivano sempre più criticate le ini­ziative hitleriane e di ciò vi sono ampie registrazioni nei rapporti di polizia insieme a commenti di simpatia per la lotta de polacchi che non volevano se­guire le orme dell’Austria e della Cecoslovacchia.Secondo le centinaia di informazioni di polizia la lotta dei polacchi contro la Germania viene pienamente giustificata. Si rileva •— alle volte — che la simpa­tia per la Polonia era un modo di difendere uno stato di grandi tradizioni storiche e innanzitutto lo stato più cattolico dell’Europa centro-orientale. Nel corso dei pochi mesi di non belligeranza si scontravano nell’opinione pubblica italiana due principali indirizzi:1. Una propaganda antipolacca intrapresa dagli organi tedeschi che operavano nel territorio italiano e accettata — anche se con una certa moderazione — dai fautori dell’Asse. L ’appoggio dato a tale linea dalle autorità ufficiali era il risultato dell’alleanza italo-tedesca. In altre parole questo indirizzo dell’attività informativa trovava l ’appoggio della possente macchina statale burocratica e fascista.2. La propaganda antitedesca condotta dalla colonia polacca, dai funzionari delle ambasciate, dei consolati e di altre sedi a carattere economico, culturale, reli­gioso, ecc. che cercavano di fornire alla popolazione italiana notizie sulle atrocità commesse dall’occupante hitleriano in Polonia. Questi sforzi concordavano con i fini della propaganda degli stati occidentali ed erano appoggiati dai loro rap­presentanti sparsi nel territorio dell’Italia neutrale.E difficile giudicare l ’efficacia di questi due indirizzi, fondamentalmente contra­stanti, sulla popolazione italiana, sebbene questa si fosse resa sempre più chia­ramente consapevole della tragedia che si era andata avvicinando e che era sfociata come ultima tappa nell’invasione hitleriana della Polonia.

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