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Lanterna #30 “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati” “Dove andiamo?” “Non lo so, ma dobbiamo andare” (Jack Kerouac, Sulla strada) periodico dell’associazione studentesca La Terna Sinistrorsa

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Il 30° numero del giornalino de La Terna Sinistrorsa, il sistema di riferimento del Politecnico di Milano!

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“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”“Dove andiamo?”“Non lo so, ma dobbiamo andare”

(Jack Kerouac, Sulla strada)

periodico dell’associazione studentesca La Terna Sinistrorsa

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Questo  numero del  Lanterna raccoglie  le  foto più  belle  scattate durante la gita alla Biennale di Venezia organizzata  dalla Terna Sinistrorsa.Con la stessa espressione con la quale

Bruce Chatwin apre il primo capito del suo libro che dedica a spiegare la sua teoria sul nomadismo, apriamo il nostro Lanterna, dedicato al tema che abbiamo voluto identificare nella “condizione nomade dei giovani di oggi”.

Nomadismo, che come si può immaginare non è inteso nel senso più ortodosso della parola, ma racchiude in sé diversi significati. Innanzitutto non possiamo che parlare della sempre maggiore quantità di luoghi che una persona, soprattutto giovane attraversa nella vita: i bassi costi di trasporto e le sempre maggiori opportunità di mobilità consentono infatti una vita che sempre meno si concentra in un unico luogo. E allora per studio, per lavoro, per cultura, per svago spostarsi è ormai pratica comune.

Nomadismo è anche semplicemente viaggiare. “Tutte le nostre attività sono collegate all’idea di viaggio” - scrive Chatwin, nello stesso testo citato poc’anzi, dal titolo “Anatomia dell’irrequietezza”

– “E mi piace pensare che i nostri cervelli abbiamo un sistema di informazioni che

It’s a nomad nomad worldeditorialeDalla redazione, Denis Gervasoni

ci informa riguardo la via da seguire, e lì si trova la causa prima della nostra irrequietezza”. Sempre a proposito dello spostamento, scrive Pascal “tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera”. “Diversità, distrazione, fantasia”

– per tornare a Chatwin – “cambio di moda, di cibo, di amore e di paesaggio. Abbiamo bisogno di queste cose come dell’aria che respiriamo”.

E veniamo al senso che abbiamo voluto dare al nomadismo riguardo la società contemporanea, sempre più precaria, o quantomeno instabile e caratterizzata dall’incertezza sul futuro. Da qui l’orizzonte si apre su temi sociali, piuttosto che ambientali, che semplicemente relativi

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Luca Gioiosano

alla condizione di studente, della quale facciamo parte.

Lanterna è ormai giunto al trentesimo numero!

Trenta edizioni che con continuità hanno informato gli studenti del Politecnico delle conquiste e delle vicende che hanno interessato la rappresentanza, e quindi gli studenti stessi, senza mai mancare di commentare eventi di attualità con il giusto occhio critico di chi non guarda da spettatore ai processi sociali ma vuole nel suo piccolo contribuire al miglioramento del proprio ambiente di vita.

Un giornalino che ormai viene stampato regolarmente in 5000 copie ogni tre mesi e rappresenta la principale voce dell’associazione La Terna Sinistrorsa, che da ormai 13 anni rappresenta non solo

idee di sinistra, ma gli studenti tutti al Politecnico di Milano.

Quest’anno ci aspettano diverse sfide. Da quelle generali per l’università, come le possibili conseguenze del disegno di legge di riforma del sistema universitario presentato dal governo, a quelle in particolare per il nostro Ateneo, che ha intrapreso un processo di riforma del proprio statuto, a quelle che riguardano la rappresentanza studentesca, che con il vostro aiuto a maggio 2010 proveranno ad eleggere un proprio candidato al CNSU, il consiglio nazionale degli studenti universitari per portare a Roma la nostra visione di Università.

E allora cogli l’occasione, partecipa e vienici a trovare!

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MexicoRiflessioni dopo un viaggioElena Argolini

Nel mese di Aprile ho avuto la possibilità di visitare il Mexico del sud. In particolare ho toccato la terra dell’ Oaxaca, del Chiapas e del Quintana Roo.

Lo scopo del viaggio era quello di entrare in contatto con le popolazioni indigene che da anni lottano (certi con le armi e molti senza) per mantenere in vita la loro cultura, in grave difficoltà dall’epoca della colonizzazione. Per farlo devono confrontarsi contro un governo corrotto che non garantisce loro diritti come la sanità, l’accesso all’istruzione e all’acqua.

Ho avuto di recente una discussione con una ragazza del “Mexico ricco” in visita a Milano, che mi ha fatto riflettere su quanto sia importante sviluppare un senso di appartenenza verso il proprio paese e verso il genere umano nel suo insieme. Fernanda non sapeva nulla della situazione di abbandono e di emarginazione che interessa una grandissima fetta dei cittadini Mexicani. Ho provato a raccontarle quello che avevo imparato andando nelle comunità

ed ascoltando le storie delle famiglie massacrate e perseguitate. La sua risposta era una sola; “Gli Zapatisti uccidono e non vogliono parlare spagnolo”.

La questione è molto più ampia e articolata; le comunità non sono solo Zapatiste e non è vero che non vogliono parlare spagnolo. E’ vero invece che intendono mantenere le loro lingue originarie, sapendo tuttavia che lo spagnolo, imposto durante la colonizzazione europea, è una ricchezza che gli permette, ad esempio, di raccontare ai visitatori le loro storie e i loro obiettivi.

Riconoscevo, in primis a me stessa, una spiccata ignoranza sulla questione e ho cercato di lasciar perdere l’aspetto specifico della lotta per la dignità indigena, cercando di spostarmi sulla motivazione che avrebbe dovuto portare Fernanda e me a informarsi su quello che succede nel nostro tempo sulla Terra.

Fernanda in tutta risposta sosteneva che il nostro informarci non avrebbe cambiato niente. E allora mi chiedo: “Che senso

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Diego Montiel

ha studiare? Quale possono essere i sogni e gli orizzonti per un ventenne dei nostri giorni?”.

Apparteniamo alla fetta del mondo ricco. Possiamo informarci, abbiamo i mezzi culturali e mediatici per capire meglio e più criticamente, quello che succede nel resto del mondo.

Credo fermamente che il mio interesse verso varie aspetti della società mondiale, oltre ad essere un dovere morale, contribuisca a far si che certe ingiustizie diminuiscano, fino a scomparire. Non lo credo solo perché sono una sognatrice, illusa ed avvantaggiata, lo affermo perché la storia ha dimostrato che tutto è possibile, quando la causa per cui si combatte è nobile e l’impegno è comune e condiviso.

Ai nostri giorni il problema è legato, forse, alla difficoltà di accettare che miseria, speculazione ed opportunismo abbiano potuto fare così tanta strada. Eppure la realtà non è così grigia come sembra.

Alle volte il messaggio che arriva dai media è che le guerre per l’acqua, le guerre civili, gli sfruttamenti siano la prassi e siano inevitabili. Perché interessa la nostra disillusione?

In Mexico ho conosciuto tante persone che non si sono arrese, non hanno accettato l’amara realtà; non si sono voltati; hanno deciso di parlarsi, si sono confrontati, hanno unito le loro forse per raggiungere quegli obiettivi che li facevano sentire parte di un gruppo, pacifico, coeso, organico, positivo e deciso. I risultati sono attimi!

Dopo questa esperienza ho capito che anche io faccio parte di un gruppo dove le persone si confrontano e dove tutti cercano di imparare condividendo. Vorrei ringraziare tutti queste persona (amici, compagni della Terna, famiglia, persona conosciute per caso…)le quali mi hanno dimostrato attraverso i loro interessi e le loro attività che un mondo migliore è possibile, e lo stiamo già costruendo.

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Il ponte in cifreL’impalcato  del  Ponte  di  Messina  sarà  realizzato  in  acciaio  e  sarà  composto  da  3  cassoni indipendenti, sarà largo 60 m . Il sistema di sospensione della trave sarà costituito da 4 enormi cavi del diametro di circa 1,24 m, disposti su due coppie a una distanza di 52 m, che saranno lunghi ciascuno 5.300 m e partiranno da due ancoraggi (in Sicilia e in Calabria) su due torri alte 376 m l’una. Questi piloni delle torri, tra l’altro, pericolosamente siti  in una zona sismica, supererebbero il record mondiale attuale di altezza detenuto dal Viadotto di Millau in Francia con 341 metri l’una e,  inoltre, sarebbero più alti dell’Empire State Building di New York.  Il Ponte di Messina sarà  in grado di resistere ad un sisma pari a una magnitudo di 7,1 gradi della scala Richter, esattamente pari al tremendo terremoto del 1908 e di affrontare venti con velocità superiore a 216 chilometri all’ora, avrà una vita di servizio di 200 anni.

Il Ponte sullo Stretto o la Stretta sul Ponte…Cronaca e descrizione di un progetto controverso Andrea Ruscio

È notizia del Gennaio 2009 la volontà dell’attuale governo di realizzare il progetto preliminare firmato nel 2006, per un ponte sullo Stretto di Messina. Qualora venisse realizzato, sarebbe un collegamento stabile tra Calabria e Sicilia, mediante un ponte sospeso a campata unica. Tutta la struttura sarà lunga 3660 m, mentre la luce centrale sarà di 3300 m. In tutto conterrà 6 corsie autostradali (3 per senso di marcia) e 4 corsie ferroviarie che possono consentire il transito di 140.000 automezzi e 200 treni al giorno. Gli accessi al Ponte di Messina saranno localizzati, per la Sicilia in un’area contigua alla periferia nord di Messina; per la Calabria in un’area della periferia nord di Villa S. Giovanni. Verranno realizzati collegamenti stradali all’aperto e in galleria per un totale di 24 km per sponda.

Ma come si è giunti a questa opera favolosa o spaventosa, secondo i punti di vista? Eccovi una breve storia…

Fin dai tempi più antichi, gli uomini favoleggiarono di collegare, in modo più o meno stabile, la Sicilia alla Calabria, per cercare di vincere quel braccio di mare, largo appena tre miseri chilometri tra Ganzirri e Cannitello, ma dotato di fondali profondi anche 2000 m e spazzato da venti fortissimi, che separa tra loro due zone fortemente sismiche, che in passato furono dilaniate da terremoti tanto violenti da generare maremoti.

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Il Ponte sullo Stretto o la Stretta sul Ponte…

Le prime memorie scritte di un tentativo di materializzare questi sogni di unire, anche se solo provvisoriamente, la Sicilia alla Calabria si hanno da parte di Plinio il Vecchio che, nel 251 a.c., testimoniò la realizzazione di un provvisorio ponte di barche da parte di Metello, per trasportare in Sicilia gli elefanti catturati ai cartaginesi dello sconfitto Annibale.

Questo collegamento rimase l’unica azione degna di nota fino all’Unità d’Italia, quando, sugli impulsi di nuove e rivoluzionarie

scoperte scientifiche nell’ambito dell’ingegneria ferroviaria, con particolare riguardo alle costruzioni, furono molte le persone che scelsero di dedicare la loro opera allo studio della fattibilità o meno di un collegamento.

Particolarmente notevole, in quanto fortissimo specchio dei sentimenti dell’epoca, è la frase dell’onorevole Zanardelli: “Sopra i flutti o sotto i flutti la

Sicilia sia unita al Continente!”.

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Sulla spinta di quanto detto sopra, furono presentati numerosissimi progetti, anche grazie al concorso indetto nel 1865, fino al 1890 circa, anno in cui pressoché terminò la spinta conoscitiva per la realizzazione di queste opere di collegamento.

Tra i progetti presentati in questi 25 anni, due spiccano maggiormente, uno per l’alto valore tecnico, e per una straordinaria somiglianza con l’attuale progetto, l’altro per la sua totale chimericità e irrealizzabilità, pur essendo stato ripescato come ispirazione negli anni ’70 dello scorso secolo.

Il primo riguardava la creazione di un collegamento ferroviario, con un ponte sospeso a cinque campate, progettato secondo i più moderni criteri del tempo, il secondo la creazione di un tunnel sottomarino di 22 km di lunghezza, a modello di quello fortemente voluto sotto la Manica da Napoleone.

Fino al Secondo Conflitto Mondiale, fu un susseguirsi di studi geognostici, anche al riguardo dei profondissimi fondali e progetti, tra i più variegati, seguiti poi da infinite smentite sulla loro realizzabilità, tra cui spicca una proposta del 1934 di creare un tunnel sottomarino con tubi d’acciaio, sostenuto dalla spinta idrostatica di Archimede e insensibili ad ogni eventuale terremoto e/o maremoto.

Del 1950, invece, è una tra le soluzioni più innovative mai proposte, ovvero la creazione di un ponte, le cui pile di sostegno avrebbero dovuto poggiare su due isole artificiali, e che

avrebbe garantito una luce dal livello del mare di 50 m, tale da permettere il transito di ogni tipo di nave, dotato di sistemi di controllo avveniristici per l’epoca, tra cui ascensori all’interno delle pile e sensori che agivano in caso di avvicinamento alle pile stesse da parte delle navi.

Nel 1969 fu indetto un ulteriore “Concorso Internazionale di Idee” in cui vinsero ex-aequo sei progetti, dei quali il più interessante era costituito da un ponte strallato con tre grandi luci, la maggiore di 1300 m, più alcune campate di riva, grazie alle quali risultava meno deformabile di un analogo ponte sospeso e più facilmente costruibile.

E’ nel 1971 che fu creata l’apposita Società, la “Stretto di Messina S.p.A”, che indisse vari concorsi e valutò vari progetti, per arrivare nel 2003, dopo ben 22 anni di studi, a bandire il concorso per il progetto preliminare, di cui ancora oggi si parla.

La firma del progetto definitivo avverrà il 27 marzo 2006, per venire tutto, poi bloccato dal governo Prodi, dubbioso sull’effettiva realizzabilità dell’opera, in particolare riguardo all’impegno finanziario e tecnico. Ora è storia di questi mesi…

Le ragioni del dibattito “Il ponte sarà un insostituibile fattore di sviluppo per la Sicilia, perché la renderà più accessibile e competitiva,  con effetti benefici  su  tutta  la  sua economia”. Con questa giustificazione viene generalmente motivato l’investimento (calcolato attualmente in 4,7 mld di Euro) che garantirebbe accessibilità stradale e ferroviaria in modo celere, nonché opportunità occupazionali durante la sua costruzione. Chi  invece è contrario all’opera sottolinea  l’alto  impatto ambientale,  le scarse garanzie sul fronte della stabilità della struttura, l’eccessivo costo dell’opera (che verosimilmente sarà  a  carico  della  collettività  nonostante  i  presunti  finanziamenti  privati)  rispetto  ai  benefici, questi ultimi di dubbia entità a  causa delle precarie  condizioni del  sistema  infrastrutturale che connette il ponte alle città siciliane e al continente. 

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Guerra: una pratica vecchia quanto l’uomo

Riflessioni a partire dal cineforumVeronica Frattini

Happy birthday Cineforum! Quest’anno il cineforum organizzato dai ragazzi della Terna Sinistrorsa, che si tiene in via Pascoli e consente la visione gratuita di numerosi film, ha compiuto dieci anni.

Prosegue come tutte le migliori tradizioni del Politecnico e presenterà una rassegna molto interessante di film, non vi diciamo altro per non rovinarvi la sorpresa.

Nell’ultima rassegna cinematografica, tenutasi tra novembre e dicembre, sono stati proposti quattro film-documentari: “Valzer con Bashir”, “Zeitgeist Addendum”, “Domani torno a casa” e “Turtles can fly” toccando un tema controverso, forse non molto popolare tra gli studenti del Politecnico: la guerra.

“Che cos’è la guerra?” chiede il maestro della piccola scuola nei pressi di Khartoum ai bambini provenienti da diverse aree del Sudan e dell’Africa, in fuga dalla violenza.

“ La guerra crea morte, distruzione delle cose, delle persone e delle infrastrutture”. (tratta dal film- documentario di Emergency “Domani torno a casa”). Aggiunge esortando i piccoli alunni, sottolineando quanto sia importante la loro istruzione: spetterà a loro il compito di ricostruire ciò che è andato distrutto.

Che cos’è la guerra? È l’esperienza peggiore che si possa vivere, in quanto comporta sofferenza e morte. Chi vorrebbe vivere in

una condizione di insicurezza e violenza, che altera il rispetto di ogni diritto?

Nel mondo sono in corso 25 conflitti (fonte: Peace Reporter); a differenza di quanto avveniva in passato, il 90% di essi coinvolge la popolazione civile, e in particolare i bambini, la cui percentuale arriva al 30%.

Come è vissuta questa realtà da un popolo, come quello italiano, che non la subisce in prima persona? La sua eco ci arriva dalle varie aree del mondo attraverso diversi media, nel peggiore delle ipotesi ridotta ad una breve notizia, condita con immagini cruente tra uno spot televisivo ed un altro. Così rimane un rumore di sottofondo cui siamo abituati, sappiamo che esiste ma viene dimenticata , collocata in luoghi lontani.

“La guerra non arriverà mai qui” così scrisse Orwell nel suo libro più profetico “1984”. Forse è un argomento che spaventa affrontare perché implica una riflessione che vada oltre concetti spesso basati su pregiudizi. Si dà per scontato di essere impotenti, di non poter fare nulla. Ma è veramente così?

Un volontario di Emergency presente alla proiezione del film-documentario “Domani torno a casa” ha ricordato una canzone che diceva “ La rivoluzione inizia al mattino, ogni mattino quando ti alzi e ti guardi allo specchio” Quello che mi colpisce è l’ossimoro che sposta il concetto della Rivoluzione dall’esterno alla sfera individuale e intima.

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Ali Maghsoumi

Parafrasando queste parole si potrebbe dire che “la guerra inizia dal mattino”: la guerra intesa nella sua accezione meno comune. Nelle tradizioni di diverse culture la guerra è infatti legata ad simbolismo importante, come archetipo rappresenta la lotta contro sé stessi , al fine di trovare un possibile equilibrio. Per fare alcuni esempi si può citare il concetto presente nella cultura islamica di “jihad”, guerra santa, dove il vero conquistatore (“jine”) è quello che ricerca la pace interiore. Un simbolismo affine si trova nei testi cristiani: la guerra santa è intesa come una battaglia nell’uomo tra le tenebre e la luce e si compie nel passaggio dall’ignoranza alla conoscenza.

Così la scena iniziale del film “Valzer con Bashir” si apre su un paesaggio notturno: delle figure umane si alzano dalle acque del mare su cui si specchia una Beirut spettrale, non ancora toccata dalle prime luci del mattino. Un gruppo di cani selvaggi corre per le strade della città deserta; sono ventisei e hanno un aspetto quasi famelico. La loro corsa finisce sotto le finestre di un palazzo, si mettono ad ululare, fino a

Generale, il tuo carro armato

è una macchina potente 

Spiana  un  bosco  e  sfracella cento uomini. 

Ma ha un difetto: 

ha bisogno di un carrista. 

Generale,  il  tuo bombardiere  è potente. 

Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante. 

Ma ha un difetto: 

ha bisogno di un meccanico. 

Generale, l’uomo fa di tutto. 

Può volare e può uccidere. 

Ma ha un difetto: 

può pensare.

Bertolt Brecht 

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svegliare l’abitante della casa con i loro angoscianti latrati. Questo è l’incubo ricorrente che un amico racconta di avere ad Ari Folman, il quale, seduto ad un bar ascolta con curiosità. L’incubo è ricollegato a dei fatti del passato che entrambi hanno vissuto, quando in gioventù avevano fatto parte delle forze militari che condussero la guerra in Libano del 1982. Ari è stupito da quanto poco riesca a ricordare di quel periodo; così inizia la ricerca della memoria degli avvenimenti vissuti decenni prima, andata perduta in un atto di rimozione personale e collettiva. Ari va alla ricerca dei suoi ex commilitoni. Le storie dei suoi ex compagni soldati si intrecciano ai suoi ricordi facendo luce sulle vicende della storia, conducendo lui, i suoi amici e lo spettatore a ricostruire gli avvenimenti della guerra condotta da Israele in Libano nel 1982, fino alla strage di Sabra e Shatila. La verità dei ricordi lo induce ad assumersi parte delle responsabilità nelle vicende che hanno visto le milizie cristiano falangiste di Elie Hobeika compiere il massacro avvenuto dal 16 al 18 settembre del 1982, sotto gli occhi chiusi dell’esercito israeliano. Ari infatti si trovava su uno dei tetti vicini al campo palestinese, allo scopo di sorvegliarlo. L’esercito israeliano, dopo aver invaso Beirut ovest in seguito all’uccisione di Bashir Gemayel, non rispose al crepitio costante degli spari né alla vista dei camion pieni di corpi che venivano portati via dai campi. Alla fine il film documentario abbandona la tecnica d’animazione e la grafica realistica per mostrare le immagini dei video fatti nel campo all’indomani dei fatti avvenuti.

Uno stile ben diverso caratterizza il secondo documentario presentato: “Zeitgeist Addendum”, un web film no profit diretto da Peter Joseph, che tocca disparati argomenti, dall’economia alla politica alla religione. In particolare tratta delle guerre, condotte dagli U.S.A direttamente o indirettamente in diversi Stati del modo, riconducendone le cause alle logiche affaristiche dei maggiori cartelli bancari statunitensi e al ruolo principale della stessa Federal Reserve. La guerra è presentata come uno

strumento che le potenze mondiali usano per appropriarsi delle risorse e del territorio in modo indiscriminato e selvaggio.

Cambia ancora stile il terzo film: “Domani torno a casa” di Fabio Lazzaretti e Paolo Santolini. Questo è infatti frutto di riprese fatte nel nuovo centro cardiochirurgico di Khartum e quello presente a Kabul di Emergency. Il film racconta le vicende di Yagoub, quindicenne sudanese con problemi cardiaci che trova una speranza di vita nell’unico centro di assistenza sanitaria gratuito presente nel Sudan e di Murtaza, un bambino afghano mutilato da una mina raccolta per terra.

Vengono mostrati due dei tanti centri Emergency che forniscono assistenza sanitaria gratuita alla popolazione contribuendo a costruire una cultura di pace che si ponga come alternativa alla logica di sopraffazione propria delle operazioni belliche.

Questa catena di pensieri si chiude volgendo lo sguardo alle vicende d’attualità che vedono coinvolta l’Italia: In che misura l’Italia contribuirà alla missione in condotta in Afghanistan sotto l’egida Nato, come assicurato da Berlusconi a Barack Obama?

Quali sono le motivazioni che giustificano l’intervento militare? Lotta al terrorismo, difesa dell’occidente, promozione delle democrazia, liberazione della donna. Questo è il ventaglio dei motivi addotti negli ultimi otto anni d’invasione per legittimare l’intervento armato in quest’area. Una regione dell’Asia che è stata da sempre un crocevia fondamentale tra la

Cina, l’ India, l’Asia centrale e l’Europa, il cui controllo è stato oggetto di una contesa plurisecolare e che ora vede come attori Russia, U.S.A e le nuove potenze asiatiche emergenti.

Mezzo secolo fa Tolstoj scriveva:”.. ebbe inizio la guerra, vale a dire divenne realtà un fenomeno contrario alla ragione umana e a tutto ciò in cui la ragione umana consiste”.

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lo studente entra all’università e la vive,

perché ci sono le strutture sufficienti (e più) che

glielo permettono

Erasmus in SpagnaL’esperienza di una studentessa che ha studiato un anno a ValenciaElena Stopelli

Erasmus!che cosa significa essere erasmus?! Chi di voi non ha, per almeno una volta, considerato l’idea di partire per l’erasmus? Se dicessi una piccola minoranza forse non mi sbaglierei di tanto. A me la pulce nell’orecchio la misero dei miei carissimi amici con una gran voglia di fuggire, dopo la triennale, all’estero, incuriositi, come me, dai meravigliosi racconti degli altri erasmus rientrati da poco. Restia all’idea di partire fino all’ultimo minuto, il destino ha voluto che prendessi il volo, in tutti i sensi!

Meta: VALENCIA, Spagna.

Ora, trascorso più di un anno dalla mia partenza, mi rendo conto dell’importanza di quella scelta e anche io, come molti altri, sono fiera di essere stata parte del mondo degli erasmus.

Stiamo parlando di un mondo sempre più in espansione, e ve ne potete rendere conto quando, camminando per i corridoi del poli, ascoltate parlare inglese, spagnolo, francese, cinese, russo... Provate a scrivere in Google e anche Wikipedia vi darà la definizione di : “ERASMUS programme”!

Ma cosa è l’Erasmus? Sempre più spesso questa parola sta diventando sinonimo di festa e divertimento ma..è davvero così?!?

Beh la risposta è si, MA non solo.

Erasmus significa conoscenza, confronto, nuove lingue, nuovi orizzonti, adattamento, mettersi in gioco, viaggiare, indipendenza

… e non basta, ognuno di voi alla stessa domanda mi risponderebbe in modo diverso.

Vivere con i 5 sensi un’esperienza del genere ti può cambiare radicalmente la vita: c’è chi trova la sua città e vi si trasferisce in modo permanente, c’è chi trova opportunità di lavoro, c’è chi si innamora, c’è chi non riesce a smettere più di viaggiare.

Per me è stato tutto questo e molto di più, in Spagna, a Valencia, ho ritrovato la voglia di scoprire con gli occhi di un bambino; storie da raccontare non mancherebbero ma quello di cui voglio parlarvi sono i pregi del Politecnico di Valencia.

Le strutture universitarie del Poli, cosi lo chiamano anche gli spagnoli, si sviluppano lungo un corridoio verde, con palme e prati, dove è uso fare la conosciutissima ‘siesta’. Al di là delle aule e dei laboratori, quello

che lo caratterizza sono gli spazi di cultura e sport forniti gratuitamente agli studenti: non si va in università solo per studiare, si vive in università.

La “ casa del alumno” è uno spazio su tre piani: a pian terreno ci sono divani, televisione, giochi (biliardo, calcetto etc), tavoli per mangiare, microonde e macchinette varie, ai piani superiori aule studio e informatiche. E’ aperta SEMPRE, 24h su 24h meno due giorni all’anno: Natale e Capodanno, si può stare anche la notte (ovviamente è sorvegliata). Inutile dire che è sempre piena, figuratevi poi in periodo esami!!! È un luogo di incontro dove vengono organizzate attività per gli studenti che spaziano dal ballo, al cineforum, conferenze, campionato di scacchi e vi è persino il servizio di un avvocato per soli studenti!

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Natalia Irazustabarrena

Dietro a questo edificio è presente il servizio medico, sempre gratuito, prenotabile on-line dalla pagina personale del politecnico (equivalente al nostro poliself).

Parliamo dell’efficiente servizio sportivo: tutte le strutture, e con tutte mi riferisco a : piscina, palestre, campo da calcio, da basket, da pallavolo, beach-volley, atletica, tiro con l’arco, rock-climbing ….. la lista sarebbe infinita è GRATIS! Basta prenotare per esempio il campo da calcio con lo stesso comodo e veloce servizio on-line.

Inoltre ci sono decine e decine di corsi , compresa la pesca, a cui ci si può iscrivere, sempre tramite lo stesso servizio, in un giorno a inizio semestre; quel giorno bisogna essere pronti perché è come comprare un biglietto di una prima della Scala: apertura iscrizioni ore 12, ore 12.03 minuti tutto completo!

Per concludere, nell’Agorà, cioè il centro dell’università, ci sono bar, mense

(4.50 un pranzo completo di antipasto, primo, secondo, dolce, pane, acqua!!), parrucchiere, farmacia, copisterie varie, giornalaio, librerie! Insomma lo studente entra all’università e la vive, perché ci sono le strutture sufficienti (e più) che glielo permettono.

Il mio obiettivo non è di criticare ma di offrire uno spunto di riflessione per il nostro futuro e di tutti gli studenti che verranno dopo di noi; magari ora pensate che il poli di Valencia sia tutto rose e fiori, non è così. Ogni paese ha delle potenzialità diverse e le sfrutta a suo modo. Noi potremmo sfruttare l’enorme risorsa che possediamo sotto gli occhi: noi stessi; parlare delle nostre esperienze all’estero, renderne partecipe la nostra università, conoscere i giovani stranieri che girano con noi nei corridoi. Loro sono fonte di guadagno per noi e per la città in cui studiamo.

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Page 14: Lanterna 30

La sede dell’accademiaL’Accademia di Brera e il piano nazionale di deculturazioneSilvia De RosaRappresentante degli studenti nel Consiglio di Amministrazione Accademia di Belle Arti

Nel 1776 nasceva, per volere dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, l’Accademia di Milano costruita per

“sottrarre l’insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati, per sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio”.

L’Accademia di Belle Arti di Brera per più di duecento anni ha segnato la storia dell’arte italiana, famosa a livello internazionale, collocata all’interno di Palazzo Brera assieme ad altre cinque Istituzioni storiche compresa la Pinacoteca, museo dell’Accademia e inizialmente aula della stessa. Negli anni

’70 iniziò un processo che avrebbe portato l’Accademia da prestigiosa scuola d’arte a ostacolo per il museo, il quale in previsione dell’Expo 2015 dovrebbe estendersi negli spazi ora concessi dal Demanio alla didattica, costringendo gli studenti ad andarsene dal quartiere degli artisti.

La controversa vicenda della sede vede accordi firmati e non mantenuti, progetti mai attuati, finanziamenti inesistenti, valanghe di articoli di giornale che negli anni hanno demolito la reputazione della storica scuola d’arte portandola ad inutile feticcio, vecchio e impolverato.

L’ultima soluzione, proposta dall’ex-Sottosegretario Dalla Chiesa, vede in

alcuni stabili della Caserma Magenta di via Mascheroni la futura locazione, posizione condivisa e promossa anche dall’attuale Governo e da tutti gli esponenti politici, dal Sindaco Letizia Moratti al Presidente della Regione Roberto Formigoni, compresa la Sovrintendente Sandrina Bandera e il Presidente dell’Accademia Gabriele Mazzotta.

Nel 2008 venne firmato il primo accordo per il trasferimento con un costo di 800.000 euro e la promessa di 15.000 mq, che attualmente non risulta rispettato dato che i costi per l’operazione sono lievitati fino a diversi milioni e i mq diminuiti. In tutta questa storia, dai problemi di Palazzo Brera e del patrimonio lasciato a marcire dalla Sovrintendenza, all’errore da parte della precedente Direzione dell’Accademia di aprire corsi inutili, far entrare un gran numero di studenti e alzare le tasse, si nasconde un piano nazionale atto a smantellare la cultura italiana che va dal patrimonio delle Istituzioni alla svalutazione dei titoli ai tagli dei finanziamenti.

Altre Istituzioni del Comparto dell’Alta Formazione subiscono da anni lo stesso trattamento e ben presto la maggior parte di esse verrà spostata in sedi non idonee per far posto ai musei o addirittura verranno soppresse.

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Arrigo Cirio

Eppure per l’Accademia di Brera ci sarebbe una soluzione per valorizzare la Pinacoteca insieme all’Orto Botanico, all’Osservatorio, alla Biblioteca Nazionale Braidense e all’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ovvero i due splendidi palazzi che affacciano su via Brera, Palazzo Cusani e Palazzo Citterio.

Pare purtroppo che queste due sedi non siano idonee per l’Accademia, dato che servono al Ministero della Difesa e alla Pinacoteca, anche se concedendoli sarebbe possibile attuare un complesso culturale di enorme prestigio che porterebbe valore alla città di Milano, molto più di un museo. Risulta poi esserci un altro palazzo proprio di fronte all’Accademia nel quale poter collocare un dormitorio con una mensa, ma a quanto pare tutte le proposte non sono attuabili, lo è però un trasloco in stabili di completamente da ristrutturare, inadeguati per la cubatura e per la locazione.

La Direzione, insieme a docenti e studenti, ha espresso la sua contrarietà alla Caserma come soluzione a tutte le problematiche dell’Accademia, ma senza esito. All’ultimo tavolo di discussione, lo stesso Direttore Mariani è stato volutamente escluso. Risulta grave perciò la spaccatura tra Direzione e

Presidenza, infatti il Presidente si muove autonomamente senza tener conto del parere del Consiglio Accademico, omettendo ogni tipo di informazione utile. Questo suo atteggiamento aveva portato il Consiglio a sfiduciarlo, cosa che poi era stata ritirata a patto che il Presidente seguisse la linea proposta della Direzione, cosa che però non è avvenuta.

La situazione attuale presenta l’intenzione di togliere da Palazzo Brera una delle istituzioni che occupa più metratura per far posto ad un progetto che andrebbe a snaturare un complesso storico, costruito per fini didattici e non museali, senza peraltro presentare alcuna soluzione razionale per l’Accademia.

E mentre l’Europa va verso le Facoltà d’Arte e la valorizzazione del titolo e la tutela degli artisti e operatori del campo, tramite sindacati, fondi specifici di finanziamento e associazioni, in Italia si va nel verso opposto, ovvero la privatizzazione, l’annullamento del titolo oltre alla perdita di identità storica, trasformando il Processo di Bologna che doveva concludersi entro il prossimo anno, in una lenta agonia per gli studenti e futuri disoccupati.

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Stefano SaccàIn merito alla riforma del servizio

ristorazione ed alla chiusura della mensa in

via Golgi sono stati certamente commessi

errori sul versante della comunicazione,

dall’Ateneo e dai rappresentanti.

Ho preferito attendere un chiarimento

istituzionale, che ha tardato ad arrivare

in attesa della conclusione del conclusione

del processo di riforma, per sgombrare il

campo da supposizioni e fraintendimenti

che le diverse voci avrebbero creato.

Questo silenzio ha logorato anche noi

rappresentanti, per le pressanti e legittime

richieste di chiarimento da parte degli

studenti. Con il CDA del 24 novembre è stata

approvata la delibera definitiva, correttivi

tra cui il posticipo di 6 mesi della chiusura e

importanti garanzie per i lavoratori.

Già nei primi mesi del 2009 l’Ateneo, insieme ai rappresentanti degli studenti, ha avviato i lavori per una riforma del servizio di ristorazione. Tale riforma si è resa necessaria a seguito di un controllo effettuato sul sistema che allora regolava il servizio: tale controllo ha messo in luce una serie di criticità non trascurabili.

Negli anni precedenti l’amministrazione e gli stessi rappresentanti erano raggiunti in continuazione da mail di protesta di studenti del Politecnico che lamentavano una scarsa qualità del servizio, declinata in vari aspetti. Contestualmente i residenti degli studentati sono stati promotori di diverse iniziative volte a riformare il sistema di ristorazione di alcune strutture, lamentando problemi analoghi.

Con questi presupposti la direzione amministrativa ha cominciato a sondare il problema, facendo emergere un primo dato inaspettato e preoccupante relativo all’utilizzo del servizio da parte degli studenti idonei ed assegnatari di una borsa di studio con relativi buoni pasto: pur avendone il diritto, di questi studenti solo il 17% usufruisce del servizio. Le ragioni per cui molti studenti sceglievano di non usufruire del servizio riguardavano principalmente la limitatezza degli esercizi presso cui spendere

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Mensa di via Golgi e riforma della

ristorazioneLe ragioni della chiusura e le novità

nei servizi di ristorazioneMauro Brivio

i buoni pasto e la qualità o la tipologia delle pietanze servite.

Come rappresentanti abbiamo ritenuto intollerabile una situazione del genere, poiché di fatto il diritto di tanti studenti era compromesso. Insieme all’Amministrazione abbiamo quindi costruito un sistema di convenzioni con 50 esercizi di ristorazione distribuiti attorno a tutti i poli dell’Ateneo: si tratta di un sistema in espansione, in quanto 50 è il numero minimo, da ampliarsi decisamente (su questo gli amministratori sono già al lavoro per ulteriori convenzioni, su segnalazione degli studenti). Questo per consentire agli studenti di avere un’offerta più varia cui accedere in un numero di locali di ristoro convenzionati più ampio.

Affinché poi il sistema fosse sostenibile finanziariamente, ovvero in grado di consentire a tutti gli studenti idonei ed assegnatari di usufruire del servizio con le risorse a disposizione, la cifra del buono pasto è stata ridimensionata tenendo conto da una parte delle risorse derivanti dalle trattenute sulle borse per il servizio ristorazione, comunque insufficienti (il Politecnico investirà più di un milione di euro per compensare la limitatezza dei fondi erogati dalla regione); dall’altra si è fatta un’indagine di mercato per essere certi di poter effettivamente garantire agli studenti il consumo di “pacchetti di spesa/menu”

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adeguati. Frutto di questa mediazione è la nuova quota fissata per i buoni pasto, declinata per le varie tipologie di studenti (residenti in Milano, pendolari etc.).

Contestualmente gli studenti della casa dello studente in via Pascoli, attraverso i loro rappresentanti, hanno scelto di ampliare e potenziare la mensa interna allo studentato, che è oggi sottoutilizzata per quanto riguarda le cucine. In seguito a questa decisione l’amministrazione ha previsto e sta elaborando un progetto di ampliamento che porterà il numero di posti a più del doppio rispetto a quelli attuali.

Le mense interne al Politecnico di fatto sono sempre state aperte a tutti gli studenti, e a tutti hanno sempre garantito un pasto dignitoso a prezzo a portata di studente: per questa ragione insieme alle 50 convenzioni per idonei e borsisti strutturate con “pacchetti di consumo/menu”, i rappresentanti degli studenti insieme all’amministrazione stanno studiando altre convenzioni (che siano distribuite attorno a tutti i poli dell’Ateneo, in modo da garantire per ciascun polo almeno una convenzione, e anch’esse strutturate con pacchetti di consumo) accessibili non solo agli studenti borsisti, ma a tutti gli studenti.

La decisione di chiudere la mensa in via Golgi, condivisa anche dai rappresentanti degli studenti, si colloca certamente in questo quadro di riforma, ma si colloca anche in un contesto più ampio che vede una complessiva riduzione dei fondi destinati alle università. Tale riduzione innegabilmente sta inducendo l’Ateneo a razionalizzare quanto più possibile le risorse a disposizione.

Sarebbe sbagliato interpretare la chiusura della mensa in via Golgi come un taglio per fare cassa, poiché in effetti di pura razionalizzazione si tratta: questo intervento è infatti compensato da tre ulteriori iniziative volte a compensare la perdita. Di questi tre interventi, due sono già definiti,

mentre il terzo è in fase di progettazione: si tratta dell’ampliamento e potenziamento della mensa in via Pascoli (nella casa dello studente) -che vedrà più che raddoppiare i posti- e dell’ampliamento del bar collocato in prossimità della mensa in via Golgi, il quale non solo verrà mantenuto, ma sarà ampliato e trasformato in bar-tavola calda. L’ultimo intervento, allo studio degli uffici, riguarda un possibile ampliamento della mensa del campus Leonardo collocata di fronte all’acquario.

In questo processo di riforma si è anche tenuto conto dei diritti dei lavoratori della

struttura di via Golgi. C’è stata una concertazione tra i loro sindacati e la direzione amministrativa del Politecnico che ha portato all’approvazione di una delibera del

Consiglio di Amministrazione che di fatto garantirà un transitorio agli studenti ed ai dipendenti della mensa di 8 mesi, in quanto la chiusura è stata posticipata al 31 luglio 2010. L’ampliamento ed il potenziamento delle strutture per la ristorazione inoltre creerà nuove opportunità lavorative.

In seguito alla chiusura inoltre la mensa sarà utilizzata per collocarvi a turno le aule degli edifici Nave e Trifoglio e dei padiglioni Nord e Sud, che saranno oggetto di intervento di ristrutturazione al fine di adeguare gli impianti alle normative vigenti, e che saranno dotati di un impianto per il raffrescamento nella stagione estiva, che ancora manca.

Evidentemente l’obiettivo è quello di recuperare i posti perduti in via Golgi nell’ampliamento delle altre strutture, e in generale è quello di consegnare agli studenti un servizio ristorazione migliore di quello attuale: questa è la sfida che come rappresentanti abbiamo voluto accettare. Può darsi che nel tempo questa sfida richieda ancora qualche aggiustamento, ma questa è una condizione che sempre bisogna accettare quando si trasformano le cose per cambiarle in meglio.

Sarebbe sbagliato interpretare la chiusura della mensa in via Golgi

come un taglio per fare cassa

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Marco Zaccaria

Architettura, eppur si muove...

Le questioni discusse in questi mesi in Consiglio di Facoltà

che interessano gli studenti di Architettura Leonardo

Denis Gervasoni

“Architettura Malata”, così intitolava una campagna portata avanti 4 anni fa dai rappresentanti della Terna Sinistrorsa. Spazi insufficienti, aule affollate, assenza di prese per portatili, didattica frammentata, piani di studio in continuo cambiamento, assenza di adeguati laboratori, erano i problemi allora sollevati.

Dopo quattro anni qualcosa è cambiato, altri problemi permangono: la biblioteca è stata ristrutturata, resa a scaffale aperto con ampliamento delle postazioni per studio,

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è stato inoltre realizzato il laboratorio di modellistica. Le prese, anche se ancora insufficienti, sono ormai da 4 anni nelle aule.

Altri problemi rimangono. Gli spazi non sono ancora sufficienti, mentre dal punto di vista della didattica i piani di studio continuano ad essere frammentati, anche se migliorati grazie alle disposizioni dell’ordinamento 270.

Sempre riguardo la didattica, i piani di studi continuano a cambiare di anno in anno, tra modifiche della normativa e riforme interne gli studenti ancora quest’anno per alcuni corsi non hanno un quadro complessivo del loro futuro percorso di studi.

Ma di cosa si discute in questi mesi in Consiglio di Facoltà? I temi sono sempre diversi e generalmente comprendono dalla politica universitaria nazionale, a quella di Ateneo relativamente alla riforma in corso dello statuto del Politecnico, alla didattica nella facoltà, a questioni sollevate da noi studenti, a faccende più burocratiche. Cercherò di sintetizzare le questioni più rilevanti per gli studenti.

Riforma Laurea magistrale in ArchitetturaSi sta operando in questi mesi una riforma degli orientamenti della laurea magistrale in Architettura: già l’anno scorso è stata consolidata la sezione in inglese, che non è più riferita ad uno specifico orientamento, ma è generale, mentre dal prossimo anno accademico il numero degli stessi orientamenti dovrebbe calare a tre o quattro. Lo schema, che ci ha visti partecipi con alcune indicazioni riassunte in un documento che trovate sul nostro sito, nelle quali abbiamo chiesto di evitare sovradimensionamenti improduttivi dei laboratori e corsi opzionali da 8 crediti.

Riforma Laurea magistrale in PianificazionePer ora se ne è discusso in consiglio di corso di studi, ipotizzando una riduzione del peso dei laboratori, una ridefinizione dei temi

caratterizzanti nei due orientamenti con maggiore attenzione posta sul progetto urbano, il rafforzamento di alcune discipline come quelle ambientali, energetiche e quelle trasportistiche (maggiori informazioni sempre sul nostro sito).

InternazionalizzazioneLa nostra facoltà ha diversi corsi internazionali attivi: un orientamento nella laurea magistrale in Architettura, uno in quella in Pianificazione e da quest’anno accademico una sezione delle lauree triennali in Architettura e Urbanistica, con risultati soddisfacenti, seppur con problemi anche importanti. Nella primavera scorsa abbiamo presentato un documeno che chiedeva alla facoltà maggiori sforzi per migliorare la qualità della didattica fornita in lingua inglese chiedendo di facilitare l’inserimento di studenti stranieri, di utilizzare più casi studio e esperienze internazionali quali oggetti di studio e progetto, con benefici per tutti gli studenti (anche in questo caso maggiori informazioni sul nostro sito). Grazie anche all’interessamento di un’altra lista è stata costituito un fondo per attrarre temporaneamente a Milano docenti di università estere. Il primo risultato è stato uno stanziamento di circa 60.000 € da parte della facoltà per sostenere la presenza di docenti stranieri per brevi periodi, anche se al momento le richieste di utilizzo di queste risorse da parte dei docenti sono ancora scarse.

Calendarizzazione annuale degli esamiInfine una buona notizia: è di fine ottobre il documento con cui il Preside di Facoltà, in attuazione della “carta dei diritti e dei doveri dello studente” chiede ai docenti di calendarizzare di anno in anno le date degli esami, invece che pochi mesi prima delle sessioni come è sempre avvenuto fino a recenti sperimentazioni, oggi istituzionalizzate, con benefici per gli studenti che potranno meglio programmare i propri esami.

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Passi avanti, Dubbi, ma molto Dissenso

Tra tagli e riforme la politica universitaria del governo. Quali

impatti avrà sulle nostre università? Denis Gervasoni

Nell’autunno 2009 è arrivato l’atto secondo degli interventi del ministro Gelmini sull’università italiana. Per riassumere i passi precedenti, un anno fa circa fu approvata la legge 133, che oltre a varie misure di contenimento della spesa pubblica prevedeva un taglio generale alle risorse destinate agli Atenei italiani, accompagnata da un blocco consistente del turnover. Tali tagli, anche se generalizzati, erano presentati con la giustificazione della necessità di ridurre gli sprechi presenti nel sistema universitario, senza però intervenire sulle regole di utilizzo dei finanziamenti.

Nell’estate 2009 è stata approvata una modifica alla regolamentazione sulla distribuzione di una percentuale del fondo di finanziamento ordinario (i finanziamenti statali alle Università pubbliche) in termini redistributivi, per premiare le università più virtuose e penalizzare le più inefficienti. Una misura che in linea di principio è positiva, ma che non può essere valutata positivamente se non sono chiari i criteri con cui si valuta il grado di eccellenza di un Ateneo. A inizio settembre il ministro Gelmini ha inviato a tutti i Rettori delle Università italiane una circolare, in cui con un’insolita modalità anticipava le successive mosse del governo in campo universitario. In particolare ciò che ci interessa è la previsione di un tetto massimo di ore di

didattica che ciascun Ateneo avrebbe potuto erogare, che secondo il provvedimento ipotizzato dovrebbero essere basate sul numero di docenti strutturati presenti in ciascun Ateneo. Al momento in cui andiamo in stampa tale norma non è ancora stata approvata, anche se fonti autorevoli dicono che presto diverrà decreto legge.

Per quanto riguarda il Politecnico se questo provvedimento fosse attuato significherebbe dover tagliare un’ingente quantità di ore di didattica, che nella pratica potrebbe trasformarsi - per mantenere una qualità simile a quella attuale - in un possibile

taglio del numero di studenti, con effetti preoccupanti anche sul diritto allo studio. Ciò che più colpisce è che nell’impostazione descritta dal ministero il

tetto sulle ore di didattica è dimensionato sulla base del numero di professori in organico, per cui si creerebbe l’effetto perverso per il quale un Ateneo virtuoso (che generalmente lo è perché ha meno docenti di ruolo) verrebbe penalizzato doppiamente rispetto ad uno meno responsabile! Tornando all’ultimo atto, a fine ottobre 2009 il Consiglio dei Ministri ha approvato il tanto atteso disegno di legge di riforma del sistema universitario, che questa volta interviene principalmente con politiche regolative, modificando due aspetti importanti: il governo interno delle università (la c.d.

un ateneo virtuoso verrebbe penalizzato doppiamente

rispetto ad un Ateneo meno responsabile

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“Governance”) e il reclutamento della docenza, con in aggiunta alcune nuove misure riguardanti borse di studio di cui spiegherò in seguito.

Il testo prevede, per quanto riguarda la governance, l’ingresso di membri esterni nel Consiglio di Amministrazione, che di per sé non sarebbe un problema, se non fosse che lo stesso CDA si trasformerebbe nel massimo organo decisionale, con la responsabilità ultima sulle politiche dell’Ateneo. Di contro il Senato Accademico – oggi il massimo organo – si trasformerebbe in un comitato di “saggi” scelti tra i docenti, ma vietato ai Presidi e Direttori di dipartimento, con ruolo meramente consultivo e quasi ininfluente, senza raccordo con Facoltà e Dipartimenti. La critica principale a queste norme è quella di voler “aziendalizzare” l’Università, per quanto questa espressione significhi qualcosa.

Certo è che l’intenzione è quella di dare agli Atenei una struttura verticistica, che, a parere di molti, sarebbe stata caldeggiata da quei rettori di università in condizioni dissestate che, non riuscendo a regolare i conti con il solo potere politico, invocano poteri prefettizi, che anche se ipotizzabili per alcune realtà problematiche, svuoterebbero l’Università della sua forma democratica che in condizioni normali è difficilmente rinunciabile.

La riforma inoltre prevede la cancellazione delle attuali Facoltà per dare tutte le funzioni, di didattica e di ricerca, ai Dipartimenti, ai quali verrebbero affiancate delle strutture non obbligatorie di coordinamento. Tale scelta risulterebbe interessante e avanzata, se fosse attuata in modo differenziato tra diversi dipartimenti sulla base della loro sovrapposizione con le attuali Facoltà, mentre così come prevista – senza distinzioni - potrà invece comportare svuotamento delle funzioni di coordinamento nella didattica laddove i dipartimenti sono monodisciplinari, delegando molte delle questioni ai singoli corsi di studio.

Per quanto riguarda il reclutamento, vorrei soffermarmi sulla norma che abolisce la figura del ricercatore a tempo indeterminato, per sostituirlo con contratti a termine per una durata massima di sei anni, alla fine dei quali il ricercatore potrà essere abilitato al

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Giovanni Nardigrado di docente associato, oppure escluso definitivamente dalla carriera universitaria. Non è negativo il fatto che ad un’età non troppo avanzata un ricercatore possa diventare di ruolo oppure si debba affacciarsi sul mercato del lavoro senza attendere anni e anni nell’incertezza tra temporanei assegni di ricerca. Ma questa politica si scontra con un fatto empirico: tra blocchi del turnover e mancati concorsi, il rischio serio è quello che ad intere generazioni sia negata questa opportunità, vedendosi escluse automaticamente dalla carriera universitaria, meritevoli o meno che siano!

Ci sarebbe ancora molto da dire, ma per esigenze di sintesi farò solo un cenno al

“fondo per il merito”, destinato agli studenti più meritevoli selezionati con una prova a livello nazionale. Non si tratta, come invece appare, di uno strumento per il diritto allo studio, ma di un semplice premio ai migliori studenti, probabilmente al fine di incentivare gli studenti con migliori risultati a proseguire la carriera in Italia. Uno strumento di per sè utile, ma dalla dubbia consistenza in quanto non sono conosciute le risorse a disposizione (probabilmente poche), ne da dove provengano (sarà finanziato con le risorse del diritto allo studio?) né del resto l’effettiva fattibilità della prova unica su base nazionale.

In generale si tratta di una riforma che solleva questioni reali e le tratta in modo talvolta interessante, ma spesso superficiale e molte volte incompleto. Il governo, con una semplicizzazione e una politica che troppe volte è “urlata” (à la Brunetta, per intenderci) identifica un problema, un presunto colpevole, e individua soluzioni più apparenti e simboliche che effettive. Intendiamoci: il sistema universitario italiano è tutt’altro che invidiabile, poche università virtuose e tante in dissesto finanziario e malgestite. Una riforma è quantomeno indispensabile, ma la deriva verticistica e semplificante che questo disegno di legge vuole assumere per l’Università, non è a mio avviso sempre la soluzione adeguata e comprensiva a questi problemi.

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Rohit Perla

[email protected]

tel. 02.2399.2639

DOVE SIAMOLEONARDO: Aule rappresentanti (vicino V.2)

BOVISA-LAMASA: Aula rappresentanti accanto alla CLUP

BOVISA-DURANDO: Aule rappresentanti vicino all’ovale

RIUNIONITutti i mercoledì alle 18 nell’Aula Terna in Interfacoltà a Leonardo

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www.ternasinistrorsa.it

RedazioneDenis Gervasoni, Elena Argolini, Andrea

Ruscio, Mauro Brivio, Veronica Frattini,

Elena Stopelli

Grafica Giulia Pasetti

Interamente finanziato dal Politecnico di M

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