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LANTERNA MAGICA CINEMA DESSAI LICEO POERIO DICIAMO IL FILM | proiezione del 24 ottobre 2017 | Scholé. Di cosa parliamo quando parliamo di scuola?

LANTERNA MAGICA - Liceo "Carolina Poerio" · dibattere sulle tematiche affrontate dai vari film, per recuperare la capacità di ... Questo film, che affronta il tema della scuola,

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LANTERNA MAGICA CINEMA D’ESSAI LICEO POERIO

DICIAMO IL FILM | proiezione del 24 ottobre 2017 |

Scholé. Di cosa parliamo quando parliamo di scuola?

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| STUDIO DEL FILM |

CHIARA BETTONI, IV B LINGUISTICO: LA SETTIMA ARTE. Il cinema è l'insieme delle arti, delle tecniche e delle attività industriali (produttive e distributive) il cui risultato finale è il film. Il cinema è anche, nella sua accezione più ampia, l'insieme dei film che, nel loro complesso, rappresentano un'espressione artistica che spazia in vari campi della comunicazione e della narrazione: creatività, informazione, divulgazione del sapere. È la “settima arte”, secondo la definizione coniata dal critico Ricciotto Canudo nel 1921, quando pubblicò il manifesto “La nascita della settima arte”, prevedendo che il cinema avrebbe unito in sintesi l'estensione dello spazio e la dimensione del tempo. “Lanterna Magica” segna la nascita del “Cinema d’essai” dedicato a noi ragazzi del Liceo Poerio. Il progetto non è stato certamente ideato per gli scansafatiche, ma

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per coloro che vogliono studiare la settima arte. Gli scopi sono molteplici: il primo è quello di imparare a vedere un film, a leggere la sua forma. Noi siamo abituati a seguire il semplice scorrere delle immagini, guardiamo il film in modo imperfetto. Vedere un film significa imparare a vedere come un regista, come una macchina da presa. Attraverso la visione dei film di “Lanterna Magica” finalizzeremo il nostro sguardo, riusciremo ad accedere ai significati più profondi e gusteremo meglio un’opera cinematografica. Il secondo scopo è quello di incontrarci e dibattere sulle tematiche affrontate dai vari film, per recuperare la capacità di esprimersi, la capacità di dialogare con l’altro, imparare ad ascoltarsi reciprocamente. Attraverso il cinema, dovremmo imparare a controllare il nostro linguaggio, ad aver maggior dominio di noi stessi, poiché sappiamo tutti quanto sia difficile accettare un’opinione diversa dalla nostra. L’ultimo scopo, ma non il meno importante, riguarda l’educazione dello spettatore. Un cinefilo non può essere educato solo a comprendere il linguaggio cinematografico, ma deve pensare che il cinema è anche un “luogo collettivo”, dove bisogna avere un adeguato e corretto comportamento. Il cinema ha bisogno di spettatori educati al silenzio. In uno studio psicoanalitico sul cinema lo spettatore è stato paragonato a un

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sognatore. Il fluire delle immagini, del tempo e dello spazio all’interno di un film è simile a un sogno, e lo spettatore deve essere capace di abbandonarsi totalmente a quell’esperienza onirica che avviene nel buio di una sala, in un silenzio totale. Solo così si può entrare pienamente nell’universo filmico che, uno studioso francese, Roland Barthes, ha chiamato “festival delle emozioni”.

MARTA CLINCA, IV B LINGUISTICO: BIOFILMOGRAFIA DEL REGISTA Tony Kaye è un regista britannico che, prima di girare dei lungometraggi, ha diretto prevalentemente spot pubblicitari. Nato a Londra nel 1952 in una famiglia di ebrei ortodossi, entra molto presto nel mondo della pubblicità. Tra i suoi spot più famosi ricordiamo quelli girati per Adidas, Volvo, Tiscali e Guinness. Ha inoltre diretto video musicali, tra cui “Dani California” dei Red Hot Chili Peppers e “What God Wants” di Roger Waters. Nel 1998

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ha diretto il suo primo film, “American History X”, interpretato da Edward Norton. “Detachment-Il distacco”, del 2011, è interpretato da Adrien Brody, James Caan, Christina Hendricks, Lucy Liu, Sami Gayle e Betty Kaye (figlia del regista). PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE Il film è stato girato a Long Island (New York), nella Mineola High School. È stato presentato in anteprima il 25 aprile 2011 al TriBeCa Film Festival ed è uscito nelle sale statunitensi il 16 marzo 2012. In Italia è stato distribuito dal 22 giugno 2012 da Officine UBU. IL FILM Lacerato da una tragedia che ne ha segnato l’infanzia, Henry Barthes è un uomo solitario e introverso che insegna letteratura nelle scuole superiori. Quando un nuovo incarico lo conduce in una degradata scuola pubblica della periferia americana, in cui vi è un clima violento e assurdo, il supplente deve fare i conti con una realtà opprimente: giovani senza ambizioni e speranze per il futuro, genitori disinteressati e assenti, colleghi disillusi e demotivati. La diversità di Henry è evidente sin dal primo impatto con questo universo allo sbando, disperso tra vertigine e dolore. Il distacco e l’assenza di coinvolgimento emotivo gli consentono di conquistare il rispetto e la partecipazione

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di ragazzi difficili, che ben presto sconvolgeranno il mondo apparentemente controllato del docente. E proprio questo distacco emotivo nasconde quella ferita che si riapre quando incontra una giovanissima prostituita di nome Erica e un’allieva sensibile e dotata di talento artistico, ma tormentata da un padre oppressivo e ferita dall’ arroganza dei compagni, di nome Meredith. Mentre afferra queste isole alla deriva, Henry salva se stesso e la propria anima. MORFOLOGIA DEL FILM Questo film, che affronta il tema della scuola, ambientato appunto in una scuola degradata e in perdizione, è come una poesia malinconica in cui possiamo avvertire un senso di squilibrio, espresso visivamente da inquadrature inclinate e mosse. L’intero cast artistico è all’altezza di una sfida impegnativa: capire quali sono i difetti del sistema di istruzione americano e le tragiche conseguenze che poi si riflettono sulle vite di insegnanti e alunni. Il regista ritrae la realtà seguendo uno stile personale con un avvio da “falso documentario” (con inserti di interviste video che imprimono un senso di realismo, e con la voce fuori campo del professor Barthes che si racconta nell’intervista) e con uno svolgimento via via più drammatico. Sono notevoli anche le soluzioni visive: il contrasto tra il bianco e il nero degli

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inserti iniziali e una fotografia a colori con toni caldi. Spesso si vedono delle sequenze mosse, fotograficamente “sporche”, che somigliano a vecchie riprese in super 8: sono immagini che rappresentano ciò che è nell’animo del protagonista. Ogni immagine ha molteplici significati. Il regista utilizza una sorta di gioco di ambiguità parziale per costruire un senso che dobbiamo intuire attraverso il montaggio. Ad esempio, in una delle scene iniziali l’unione delle inquadrature genera ambiguità e un significato metaforico: abbiamo un primo piano del professor Barthes che piange seduto in un autobus, e subito dopo un particolare del ginocchio di Erica che si sta prostituendo. Si crea una sorta di malinteso e sembra che i due siano associati, il montaggio li avvicina e soprattutto evidenzia la frantumazione della realtà che coincide con il monologo dei personaggi. Tony Kaye lavora molto sui primissimi piani, soprattutto del professor Barthes; essi ci mostrano il “detachment”, questo distacco dalla realtà espresso senza il bisogno di parole dal volto di Adrien Brody, l’attore protagonista.

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ALESSIA CAVALLO, IV B LINGUISTICO: IL VALORE DEL TEMPO NEL CINEMA Uno dei temi principali che aiuta a comprendere meglio il film "Detachment " è il tempo. In questo film il tempo non è concepito come un semplice scorrere lineare di passato, presente e futuro, ma come qualcosa di più complesso che la filosofia di Bergson può aiutarci a comprendere a fondo. Il filosofo francese distingue tra tempo della scienza e tempo della vita. Il primo è costituito da innumerevoli istanti che vengono considerati solo quantitativamente e perciò è paragonabile a una collana di perle identiche tra loro; il secondo, invece, si basa su istanti qualitativi e soggettivi che non sono affatto misurabili. É il tempo dalle mille sfaccettature della nostra anima. È come un gomitolo, il cui filo si intreccia continuamente, così come i vari momenti vissuti si intrecciano con la vita reale. Bergson definisce "durée" (durata) il tempo

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interiore che ci fa rivivere i momenti perduti della nostra esistenza. Un po' come Marcel Proust, che nella “Recherche” vive il presente rimembrando ogni singolo attimo della sua infanzia e dell’adolescenza. Un tempo vissuto, ricco di imprevedibilità che, rievocando le tante esperienze, riaccende le intermittenze del nostro cuore. Tale divisione del tempo ha un ruolo decisivo nella cinematografia. Grazie alle teorie di Bergson il cinema ha presto abbandonato la concezione classica della percezione del tempo. Soprattutto grazie all'introduzione di alcuni progressi tecnici del montaggio e a diversi procedimenti narrativi come il ”flashback”, il “flashforward” e le “ellissi”, la dimensione temporale cambia. In “Detachment” ho notato che il tempo assume connotazioni differenti. In molte scene in cui c'è il professor Barthes emerge una dimensione temporale spesso soggettiva. Infatti, attraverso i vari flashback (nello specifico “cut back”) abbiamo una visione completa dell’interiorità del professore. Si tratta di ricordi che il regista usa in una chiave psicologica, sono cioè funzionali a chiarire la vita intima del protagonista e chiariscono, a seconda dei casi, i vari comportamenti che egli ha con gli altri. Grazie al professor Barthes, in particolare nella scena in cui egli confida la sua tragica storia a Enrica, si capisce l'essenza del tempo qualitativo, inteso come

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esperienza vissuta che permane nel ricordo. Egli, infatti, in virtù dei frammenti del suo passato, capisce gli altri offrendo loro l’aiuto e gli insegnamenti che sono stati completamente assenti nella sua vita. Inoltre, ogni situazione di degrado che incontra, dalla ragazza che si prostituisce alla povera Meredith sola e depressa, porta il professore a rivivere il suo doloroso passato. Non a caso Barthes è l'unico dei tanti professori che, avendo avuto un passato difficile, comprende l'instabilità e la crisi interiore che affligge i suoi alunni. Dall'altra parte invece ci sono personalità più deboli, estranee a tutto ciò che le circonda, che non sanno provvedere all'educazione degli alunni, che agiscono in preda agli istinti, lontani dal tempo. Un esempio è la dirigente della scuola. Una donna autoritaria che si occupa solo dei suoi interessi e di altri aspetti meccanici, più astratti. Pensa alla durata del contratto del professore, si preoccupa della fine della sua carica di dirigente. Non pensa assolutamente che il professor Barthes possa avere le qualità per migliorare la pessima educazione degli studenti: tutto ciò che sa dirgli è di attenersi ai programmi della scuola. Anche suo marito, come lei, sottovaluta l'importanza del tempo. Infatti mentre i due discutono, egli rompe la caraffa di vetro che avevano acquistato durante un viaggio a Venezia, come se volesse distruggere

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un'esperienza poco importante, ormai passata. Un altro esempio è il professor Seaboldt: un uomo impaziente, che non sopporta l'instabilità degli alunni e che spera di accelerare il tempo, o quasi dimenticarlo, prendendo psicofarmaci. É un uomo egoista che vuole scappare dal tempo. In tal modo il tempo narrativo si colloca in una dimensione d'assurdo che rispecchia l'identità dei personaggi. É una assurdità che il regista presenta attraverso la contrapposizione di immagini sfocate ad altre “a fuoco”, più chiare e limpide. Quale modo migliore per riflettere sul tempo, se non la visione di “Détachement”?

ANNAMARIA GALULLO, IV B LINGUISTICO: ALBERT CAMUS PER PROIETTARSI NEL FILM «Et jamais je n’ai senti, si avant, à la fois mon détachement de moi-même et ma présence au monde.» “Non mi sono mai sentito così profondamente

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distaccato da me e così presente nel mondo nello stesso momento.” È la frase con cui il regista apre il film, tratta da uno dei saggi contenuti in "Noces" (1938) di Albert Camus, intitolato Le vent à Djémila, in cui si parla della solitudine e dell’assurdo destino dell’uomo. Il motivo che ricorre in tutto il film è tipicamente esistenzialista, e non è un caso che il film cominci con le parole di Camus, grande scrittore e filosofo, uno degli esponenti più importanti dell’esistenzialismo francese. In “Lo straniero”, uno dei suoi romanzi più noti, Camus racconta di un uomo distaccato dalla realtà che lo circonda. Da questa condizione di distacco deriva anche il titolo del film, “Detachment”. La realtà per Camus non ha alcun senso; gli eventi accadono, avvengono senza che il pensiero possa coglierne motivi e significati plausibili: ecco perché l'uomo si trova ad essere straniero nel mondo. L’assurdo dell’esistenza corrisponde ad un sentimento di incommensurabilità: l’uomo si pone delle domande sulla sua esistenza, ma il mondo non è in grado di fornirgli delle risposte. È in questa condizione che ritroviamo il protagonista del nostro film: un professore che, vittima dei ricordi del suo passato, non riesce a trovare la chiave della sua esistenza. Nello sviluppo della trama egli incontrerà delle persone, in particolare una sua alunna, che gli faranno scoprire perché vivere è così importante.

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Nella sua opera più importante, “Il mito di Sisifo”, Camus affronta un argomento che considera fondamentale per l’esistenza e per la filosofia: il suicidio. Tema presente anche nel film: il suicidio di una studentessa, Meredith, che precedentemente aveva chiesto aiuto al professor Barthes, finendo per essere allontanata. Proprio il suicidio di Meredith farà capire al professore che aiutare e farsi aiutare non sono segni di debolezza. Nella sua opera intitolata “L’uomo in rivolta”, Camus afferma che l’esistere è una forma di ribellione all’assurdo della vita. La rivolta è intesa come solidarietà e la gioia di vivere tipica della cultura mediterranea. È ciò che Camus chiama “pensiero meridiano”, che si fonda sul concetto di misura: rivolta e misura, misura e dimensione umana, dimensione umana e naturalità, solarità e mediterraneità. Ricerca della bellezza. Forse non è un caso che il regista del film abbia tratto la citazione d’apertura da uno degli scritti raccolti in "Noces", che lo stesso Camus definiva "saggi solari". La speranza è un altro argomento fondamentale per Camus. Sperare significa sacrificare il presente per il futuro. Ma perdere la speranza è per lui un'ambizione. Significa investire il proprio potenziale mentale, fisico ed emotivo sul presente. E questo è quello che riesce a capire il professore che instaura un rapporto padre-

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figlia con quell’alunna che stava vivendo un periodo difficile della sua vita. La loro amicizia, la compensazione reciproca dei vuoti esistenziali sono la chiave per uscire dal buio dell’assurdo. L’abbraccio tra Henry Barthes ed Erica nella scena finale del film sembra avere questo valore di “uscita dal buio”. E proprio sulla scorta di Camus il regista Tony Kaye ci propone una soluzione che va in una direzione opposta al suicidio di Meredith, e auspica un’etica fondata sul “vivere” più intensamente. Bisogna fare, secondo lo scrittore francese, il massimo delle esperienze possibili. Per questo morire, suicidarsi, è un errore imperdonabile.

FEDERICA ANDREANA, IOLANDA ARACE, V B LINGUISTICO: PIÙ DELLE PAROLE. LA MUSICA PROTAGONISTA A differenza di molte altre pellicole, la musica del film “Detachment” non funge solo da accompagnamento, ma è protagonista; e ciò grazie alla bravura dei due musicisti che

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hanno collaborato con il regista: Andy e Taylor Newton. “The Newton Brothers” fanno parte del mondo della musica sin dalla gioventù, istruita e ispirata da influenze ampie come le opere di Puccini, i film musicati da John Williams e gli album dei “Kraftwerk” e dei “Nine Inch Nails”. I due suonano pianoforte, chitarra, basso, clarinetto, flauto, fisarmonica, sax, armonica, percussioni, organo, kazoo e violoncello, e sono molto abili nell’uso dell’elettronica. Fin dalle prime immagini, con la frase di Albert Camus che apre il film, la musica è protagonista: la melodia abbastanza malinconica non sembra essere adatta alla scena poiché il film inizia con l’intervista di alcuni insegnanti che parlano delle proprie esperienze; quindi non si tratta di una scena malinconica, ma i musicisti e il regista vogliono annunciare l’evoluzione e l’atmosfera che il film intende trasmettere. Pianoforte e archi aprono con una nota ribattuta seguita da una melodia che alterna momenti statici ad altri armonici, quindi crea una sorta di confusione data dalla sovrapposizione di più voci. Dopo circa un minuto abbiamo nuovamente il movimento iniziale caratterizzato da una sola nota ribattuta che dona alla scena un senso di stabilità e tranquillità. Un’altra scena musicata perfettamente è quella dell’intervento dei servizi sociali. Henry è costretto a chiamarli per salvare

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la vita di Erica da un destino incerto, e la musica rappresenta proprio la delusione di Erica nei confronti del gesto di Henry, che non comprende; infatti la melodia è molto “lenta e adagio”, segue la scena per pochi strazianti secondi ed esprime tutta la disperazione della ragazza. Un’altra melodia interessante è quella che accompagna la morte del nonno di Henry, che inizia con strumenti diversi da quelli utilizzati in altre sequenze. La presenza dell’arpa con toni gravi e malinconici è alternata a quella acuta degli altri strumenti: sono come due elementi separati che si completano perfettamente. Segue un momento di accelerazione e quasi angoscia: è la stessa melodia ma eseguita più adagio. La molteplicità degli strumenti rappresenta anche lo stato d’animo di Henry dopo la morte del nonno. C’è un momento in particolare che si differenzia dagli altri per la leggera sfumatura di spensieratezza e allegria: a partire dalla scena in cui Erica prepara la colazione ad Henry, fino a quando i due escono da un supermercato, quello che ci viene mostrato è il legame affettivo che si è creato tra i due, che è pressoché un rapporto padre-figlia, ma anche madre-figlio, che nei ricordi di Henry è paragonato a quello che lui aveva con sua madre quando era bambino. In queste scene si ascolta per la prima volta in sottofondo una canzone e non solo una melodia di

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accompagnamento. La canzone in questione è “Empty” di Ray Lamontagne. Il testo si riflette nelle scene che scorrono come se fosse l’inconscio di Henry a parlare. Alcune delle frasi più significative della canzone sono, ad esempio: “Continuo a camminare giù per la collina/Attraverso l’erba cresciuta e scura/E in qualche modo non riesco ancora a liberarmi del mio dolore”; e ancora: “Mi sentirò sempre in questo modo?/Così vuoto, così separato da te”. Sono parole che chiaramente rimandano ai sentimenti contrastanti di Henry. La bravura del regista è quella di saper conciliare le inquadrature, gli sguardi, le circostanze con le musiche che intensificano le scene e che talvolta parlano al posto dei personaggi, in particolare del protagonista, facendo vivere allo spettatore il sentimento nostalgico del ricordo in conflitto con il senso di affettività che Henry ha represso durante la sua vita, che ora deve affrontare.

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SONYA VITALE, V B LINGUISTICO: LA PAROLA INTERIORE Ci sono certe cose che diamo per scontate nella vita, poiché fanno parte di noi da quando ne abbiamo memoria. La nostra esistenza stessa, ad esempio, il nostro pensiero. Cos'è il pensiero? L'azione di pensare? Abbiamo questa vocina in noi che non si zittisce mai, parla senza alcuna interruzione anche quando non vorremmo, anche nei momenti di più profondo silenzio. Qualcosa di così personale che tuttavia accomuna l'intera umanità, ha creato interrogativi sulla propria origine fin dall'antichità, ed è oggetto di studio di psicologi contemporanei. Abbiamo numerose testimonianze: Socrate, che descriveva una voce che solo lui poteva sentire, che attribuiva a un dio; Montaigne, che considerava ciò che identificò con la “parola interiore” il mezzo necessario per la parola esteriore. Nel Novecento, Victor Egger ha definito nel suo “Essai de psychologie déscriptive” la parola interiore come “il linguaggio del pensiero attivo, personale, che cerca e trova e s'arricchisce attraverso il suo proprio lavoro. […] Questa parola interiore, silenziosa, segreta, che solo noi sentiamo, è soprattutto evidente quando leggiamo: leggere, infatti, è tradurre la scrittura in parola, e leggere a bassa voce, è tradurre in parola interiore.”

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Egger lega dunque la parola interiore a un altro concetto: il flusso di coscienza. Esso consiste nel libero fluire dei pensieri nella mente, in modo confusionario e disorganizzato, che accumulano prima di prendere corpo in parole e frasi dette o scritte. Traendo ispirazione dall'opera di Victor Egger, numerosi scrittori hanno trattato l'argomento in questione, tra cui Luigi Pirandello, Virginia Woolf, Italo Svevo e James Joyce. Con loro si afferma il flusso di coscienza come nuova tecnica narrativa, divenendo la principale caratteristica dei romanzi psicologici in cui i conflitti interiori dei personaggi divengono protagonisti, così come emozioni e sentimenti, sensazioni e passioni. Si ha una vera e propria fusione di percezione reale e rielaborazione mentale, come si può osservare in “Ulisse” e in “Gente di Dublino” di James Joyce. Questo modo di scrivere è ciò che conosciamo come “monologo interiore”. Nel corso del film, assistiamo a scene in cui il protagonista dà espressione al proprio flusso di coscienza attraverso il monologo interiore (che nel cinema prende il nome di “voce fuori campo”). In quelle scene si può notare come la parola interiore e il flusso di coscienza siano strettamente collegate al processo di scrittura. Henry Barthes è un professore di letteratura, e crede che la scrittura sia di

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vitale importanza per l'espressione di sé e per il ricordo. Nella parte iniziale del film, soltanto attraverso i brevi momenti in cui il professore si dedica al componimento di poesie, lasciando che tutti i propri sentimenti fluiscano, è possibile intravedere il punto di debolezza che fa crollare il personaggio, costruito sul concetto del distacco emotivo. Si può notare dunque come la figura del professore sia presentata come due personaggi distinti e separati, quasi diametralmente opposti, e a giostrare il paradosso che li costituisce non è che la delicatezza del pensiero. Eppure, nel corso del film il protagonista subisce una forte evoluzione che si traduce nell'esplosione finale di tutto il dolore accumulato: il professore scaraventa banchi, grida, tralascia per la prima volta in modo evidente la razionalità. Solamente in quel punto, tuttavia, si comprende come il flusso di coscienza sia trattato cinematograficamente, e si ritorna all'inizio del film, quando il professore afferma di esprimere tutto ciò che gli passa per la mente senza filtrarlo, gioca con la propria spontaneità e ne fa un'arma. È allora che tutto si chiarisce: l'intero film si rivela essere il flusso di coscienza del protagonista. Non vi è più distinzione tra parola interiore ed esteriore: i pensieri fluiscono liberamente dall'interno all'esterno e viceversa.

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| DIBATTITO |

RIM BEL-YAMANI, IV B LINGUISTICO: “Detachment” è un capolavoro drammatico che è riuscito a far riflettere e sensibilizzare tutti. È la prima volta che vedo un film che riesce a comprendere il malessere di una generazione intera e anche di un uomo, il professor Barthes, che ha una visione completamente differente da quella degli altri insegnanti. I dialoghi, l’intervista al professore, hanno messaggi profondi dietro ogni parola, ed insieme alle immagini (in particolare quelle fotografiche) costruiscono il senso del film. Dopo la proiezione, in solitudine, mi sono ritrovata ad analizzare molti dei temi del film, in particolare quello della lettura. Durante una delle sue lezioni, il professor Barthes afferma: “Dobbiamo leggere, per stimolare la nostra immaginazione, per coltivare la nostra consapevolezza, il nostro sistema di

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convinzioni, tutti abbiamo bisogno di questa abilità per difendere e preservare le nostre menti.” La lettura, oltre ad essere un rifugio per tanti, è anche un modo di crescere, di conoscere la realtà e di allontanarci dalle tante bugie che ingombrano la nostra società: è tutto così meccanico e non-umano. In una scena del film, il professor Barthes, durante uno shopping con Erica, sfoglia un libro di istruzioni sul “come insegnare”, cosa impossibile e meccanica che non fa parte del metodo di insegnamento del professore. Questa meccanicità porta ad un distacco nell’ambito scolastico, nel luogo in cui i giovani passano i loro anni più importanti di crescita e di conoscenza. Mi sembra che il film affermi con forza che bisogna abbattere i muri tra professori e alunni e bisogna condividere l’interesse per il sapere, abbandonare ogni pregiudizio per crescere, essere capaci di svuotarsi (come il “bicchiere di tè” della storia del maestro giapponese Nan-in1), per poter cogliere la

1 Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji, ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare. Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. "È ricolma. Non ce n'entra più!". "Come questa tazza," disse Nan-in, "tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?". (Nyogen Senzaki e Paul Reps (a cura di). 101 storie Zen, Adelphi.

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profondità della conoscenza. Ciò mi porta a pensare ancor di più all’importanza che ha un professore nella vita degli alunni. Dopo aver visto questo film, come possiamo considerare un professore? Cos’è un professore? “Detachment” prova a spiegarlo, a mostrarlo. Il professore non è soltanto colui che insegna materie scolastiche, ma è anche un amico, un persona vicina come un parente, una fonte di ispirazione e magari, per alcuni, un esempio da seguire. E se, come nel film, ci sono genitori che non posseggono queste doti, un professore potrebbe colmare quelle mancanze. Il film ci porta fino in fondo nella riflessione su tali temi, ci spinge a porci delle domande fondamentali, a migliorare. E, per percorrere questa strada, i libri sono preziosi. Il film si apre con una citazione di Albert Camus, e si conclude con la lettura dell’incipit del “Crollo della casa degli Usher” di Edgar Allan Poe; e lì ho particolarmente compreso che, a volte, per descrivere la malinconia, il dolore, il vuoto, è meglio usare parole di chi ha saputo farlo meglio. Ecco un motivo forte che ci spinge a dover leggere. Leggere per trovare se stessi.

VALENTINA FRUNZIO, IV A MUSICALE: La visione del film “Il distacco” mi ha permesso di riflettere e di confrontarmi con i miei coetanei riguardo al sempre più distorto

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concetto di Persona e di vita e riguardo alla costruzione estremamente sbagliata, da parte di un gran numero di noi adolescenti, del nostro stesso futuro. Mi guardo intorno e vedo una gioventù svogliata e totalmente disinteressata per il proprio futuro perché seguace di una società da cui non nascondo di essere spaventata. Una società in cui si decide cosa è normale e cosa non lo é secondo schemi prestabiliti dai mass media ridicolizzando, escludendo, e talvolta uccidendo moralmente chi invece conserva la propria umana unicità e si distacca dalla massificata "perfezione" che di perfetto ha ben poco. Una società in cui il valore di una Persona e quindi il suo diritto di meritare rispetto è calcolato in base al costo di ciò che indossa e a quanto riesce a omologarsi al gregge, svalutando e disprezzando ciò che invece davvero valorizza un essere umano, la propria capacità di amare. Una cultura, quella odierna, del corpo a dispetto dell'anima. Una cultura che sta portandoci alla morte di quel dono meraviglioso che ci è stato fatto, la vita.

ANNA BARBARA BALDUCCI, V B LINGUISTICO: “Detachment” è un film attuale che mette in evidenza i problemi della società odierna in cui noi giovani ci stiamo formando. Penso che il regista abbia scelto volutamente un’insegnante come protagonista

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del film per dare un insegnamento morale in un momento in cui stanno cambiando radicalmente i nostri ideali, le nostre aspirazioni e le mentalità, ed è sempre più diffusa una concezione dei rapporti umani sempre più contraddistinta dal conflitto e dall’incomprensione. In una scena che ritengo fondamentale, il protagonista del film, il professor Barthes, dice ai suoi studenti: “In quest'epoca, l'immagine della donna è ridotta a un oggetto di consumo: prostitute, corpi da scopare, da picchiare, da scegliere. È l'olocausto del marketing, ogni minuto della nostra vita, 24 ore su 24, le entità del potere lavorano sodo per annientarci il cervello. E allora, per difendere la nostra identità e preservare i nostri processi mentali dall'assimilazione passiva di un mare di merdose idiozie la sola cosa è leggere, per stimolare l'immaginazione e la libertà di pensiero, e coltivare la nostra coscienza secondo il nostro sistema di credenze. Fidatevi, l'unico modo per sopravvivere è poter preservare la nostra mente!” L’intero senso del film è racchiuso nelle parole del professor Barthes. Preservare la nostra mente significa andare oltre le ideologie che ci vengono imposte, oltre gli schemi, ed essere solo noi stessi, accettarci senza avere la paura di essere diversi. Saremo noi a cambiare il mondo solo quando metteremo in discussione noi stessi; solo in

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quel momento riusciremo a vedere la vita diversamente. Un personaggio del film che mette in evidenza il degrado della società è la figura di Meredith, vittima di bullismo. Il regista rappresenta in modo dettagliato la sua disperazione, che nasce dal non essere né compresa né apprezzata, ma solo giudicata per il suo aspetto fisico. La mancanza di empatia dei compagni di classe nei confronti della ragazza, persino quella di suo padre, mi ha fatto soffrire molto. Nessuno, tranne il professore è riuscito a capire il suo problema e il suo stato d’animo.

RITA LOPRIORE, V B LINGUISTICO: Dopo aver visto il film ho avuto conferma di ciò che pensavo da tempo: per poter insegnare è necessaria la vocazione. Ho apprezzato molto il fatto che il professore protagonista della storia raccontata nel film sia

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riuscito a tenere separata la sua vita privata da quella professionale; inoltre, è stato capace di commisurare la sua professionalità e la sua umanità lasciando ai ragazzi qualcosa in più rispetto alle classiche lezioni scolastiche. E’ un film molto forte, che consiglio di vedere soprattutto ai professori.

ANTONELLA BONNI, IV B LINGUISTICO: Il film mi è piaciuto molto, non avrei mai pensato di piangere così tanto, ha toccato dei temi che vedo ogni giorno nella mia vita. Anche mio nonno soffre di demenza senile, è una brutta malattia per chi la vive, ma anche per chi la vive da fuori, perché vedi la persona spegnersi a poco a poco e arrivi ad un punto in cui pensi che la vita è troppo bella per essere sprecata. Ci sono stati tre momenti del film che secondo me sono le parti più toccanti, ma anche quelle più significative: la morte del nonno; la scena in cui gli operatori dei servizi sociali prendono in custodia Erica; e infine la morte di Meredith.

La scena della morte del nonno, quando il professor Barthes finge di essere la mamma per poter liberare il nonno da un peso che ormai lo opprimere da tempo, la reputo una scena coraggiosa, perché lì capiamo che la mamma del professore ha subito delle molestie dal proprio padre; quindi Barthes ha avuto coraggio sia quando era piccolo, con la morte della mamma, sia nel lasciare il nonno libero, fingendosi la mamma.

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Altra scena di coraggio: chiamare i servizi sociali per far vivere in modo migliore Erica, per toglierla dalla strada e dalla prostituzione. La scena di lei che viene portata via mi ha letteralmente scioccata. Ragionando su ciò che aveva fatto Barthes capisco che ha fatto la cosa giusta per Erica, era l’unico modo di salvarle la vita. Il suicidio di Meredith è una delle ultime scene del film, sicuramente la più toccante. Nel film prevale l’uso dei “primi piani”, uno stile che ho molto apprezzato perché possiamo vedere la forza delle emozioni dei personaggi in ogni momento. Ritengo questo film pieno di significati: è diventato uno dei miei film preferiti.

MONJA RUGGIERO, IV B LINGUISTICO: La visione del film ci ha insegnato che aiutare gli altri e se stessi è un passo che migliorerebbe il mondo. Se il professor Barthes avesse sostenuto maggiormente Meredith, la

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ragazzina non si sarebbe suicidata. Se Henry Barthes fosse stato più sicuro di sé, non si sarebbe mai reputato una “non persona”. Uno dei temi fondamentali del film è il distacco, un sentimento che ritroviamo in più contesti. Il distacco che il professor Barthes subì da sua madre all’ età di sette anni; quello che Erica subisce da Henry che considera “la sua unica famiglia“; e il distacco dalla realtà che prova Meredith. La fotografia è un altro tema importante in questo film: Meredith ha una vena artistica notevole, fotografa tutto ciò che la incuriosisce per poi personalizzarlo tramite il collage e la pittura. Nelle ultime scene del film possiamo vedere Meredith alle prese con la sua ultima opera d’ arte: il professor Barthes nel ritratto fatto da Meredith ha gli occhi ricoperti da pittura bianca. Questo gesto simboleggia la debolezza del professore che la ragazzina ha percepito. L’ attrice che più ho apprezzato è stata Sami Gayle, che in questo film ha interpretato Erica. Questa giovane attrice molto versatile è riuscita ad esprimere molti sentimenti: tristezza, indifferenza, fragilità e felicità. La scuola in questo contesto è una specie di fabbrica che tende ad omologare tutti cercando di non educare all’ intelligenza. Henry invece introduce un metodo differente per insegnare : coinvolge tutti, persino se stesso.

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Il regista Tony Kaye in questo film ha voluto mettere in evidenza le espressioni e i sentimenti dei personaggi tramite “primissimi piani”, per esempio quello del professor Barthes nelle prime sequenze del film; o nella scena del pianto liberatorio di Meredith.

SARA MOREO, V B LINGUISTICO: “Il Distacco” è un film molto istruttivo, capace di spiegare e trattare temi che spesso sono sottovalutati, come ad esempio il ruolo dell’insegnante o l’importanza della presenza dei genitori, i quali dovrebbero essere una guida nel percorso di crescita dei loro figli. Si parla anche di bullismo, di depressione, di solitudine, di problemi nel relazionarsi con gli altri. Spesso le scene sono molto crude e forti. Un esempio è la scena in cui un alunno della scuola accarezza un gattino dolcemente, mentre un attimo dopo è ripreso

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nel momento in cui tortura l’animale con una ferocia inaudita. E quando poi gli viene chiesto quali sono stati i suoi sentimenti in quel momento, egli risponde di sentirsi in gabbia, così come il gatto. Un’altra scena particolarmente drammatica è quella del suicidio di Meredith. La ragazza ha mandato più volte dei messaggi di aiuto tramite le fotografie da lei scattate. Ma nessuno ne ha recepito l’importanza. È bene sottolineare che il suicidio non è mai la giusta soluzione, ma la ragazza, sola e abbandonata a se stessa, ha visto nella morte l’unica via per salvarsi dal suo dolore. Guardando il film, mi è sembrato di far parte del film stesso, poiché i brani musicali sono molto coinvolgenti e rendono la storia molto più profonda e verosimile. Inoltre, i primissimi piani aiutano il pubblico ad osservare meglio le espressioni facciali, che lasciano trasparire tutte le emozioni provate dai personaggi.

SARA DI STASIO, V B LINGUISTICO: "Il Distacco" tratta temi affrontati anche in altri film, ma usa uno stile diverso; è girato e recitato in maniera sublime, e in più è accompagnato da una colonna sonora stupenda. Ogni scena mi ha colpita, specialmente quelle riguardanti i personaggi secondari, i quali, al contrario di molte altre pellicole cinematografiche,

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rivestono dei ruoli fondamentali anche se compaiono solo in poche scene del film. Molto significativa è la mancanza di comunicazione evidenziata nella scena in cui il professor Wiatt (dai grandi e vistosi occhiali) torna a casa e quasi non viene visto dalla famiglia, più interessata a vuoti programmi TV che alla sua presenza. Credo che noi ragazzi ci possiamo identificare nel ragazzo che si ribella al professore urlandogli contro: la rabbia che traspare, la collera che si mostra attraverso le parole del giovane, è un chiaro appello al bisogno di riconoscimento e attenzione che hanno gli adolescenti, spesso lasciati soli nel mondo, alcuni con un vissuto duro e atroce, senza una guida. L'assenza di empatia che caratterizza l'atmosfera del film, mi ha dato modo di pensare alla poca attenzione che nella nostra società si dà all'altro, e mi ha permesso di riflettere sui valori cardinali che dovrebbero essere alla base dei rapporti interpersonali: empatia, attenzione verso l’altro, limpida e pura comunicazione.

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V A SCIENZE UMANE: A volte si pensa erroneamente che gli insegnanti e gli alunni possano svolgere il proprio lavoro all’interno delle mura scolastiche in maniera serena e lontana dalle afflizioni della vita privata. Formare un alunno non è semplice, nella situazione presentata dal film, in cui si nota l’assenza della figura genitoriale; gli insegnanti non bastano anche se ce la mettono tutta e fanno del loro meglio per aiutare i propri ragazzi. La scuola non è solo interrogazioni, spiegazioni, non è solo un luogo di crescita culturale ma dovrebbe anche essere una seconda casa dove potersi sentire compresi e non derisi (come succede a Meredith), esser sostenuti e incoraggiati ogni giorno nonostante le difficoltà della vita. Un insegnante, con un atteggiamento professionale e con il giusto distacco emotivo, può cambiare qualcosa, può dare

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insegnamenti di vita e far ragionare un alunno sulle proprie situazioni o sulle azioni che commette. Durante il corso della vita, può capitare che si subisca un trauma. Quando incontriamo una persona ci facciamo un’idea su di essa ma spesso questa prima idea non si evolve a causa di pregiudizi che portano ogni persona a diffidare dell'altro; vediamo le differenze, ciò che non ci piace e categorizziamo una persona solo sotto un singolo aspetto: grasso, “nero”, ignorante... Facendo questo noi decidiamo di isolarci dal mondo creando una bolla dentro cui nessuno può entrare. Noi siamo il mondo, vogliamo essere compresi ma mai comprendere, giudichiamo ma non vogliamo essere giudicati, la bellezza del protagonista del “distacco” sta proprio nel distruggere un muro fra lui e il prossimo. Con la sua valigia piena di debolezze e fragilità, ma allo stesso tempo con gioia, voglia di vivere e amare decide di andare incontro all' altro, di conoscerlo, farsi conoscere e di fargli vedere che la vita non è tutta nera ma è piena di tante sfumature di colore, e quindi viviamo per scoprire quale colore vedremo domani. Non bisogna vedere con negatività le nostre fragilità ma al contrario, imparare ad accettarle e su di esse costruire i nostri punti di forza.

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Un tema secondario ma molto presente e importante è quello della prostituzione minorile. È la ragazzina Erica che si ritrova costretta a vendere il suo corpo per continuare a vivere. La prostituzione è sempre stato un problema che per secoli ha caratterizzato la società e che la caratterizza ancora. Vendere il proprio corpo a qualcun altro per soldi è forse il modo più facile di trovare un qualche tipo di sostentamento. Invece è più difficile di quel che si pensi, perché in un modo o nell’altro tutte le esperienze vissute da donne e uomini che si prostituiscono segnano profondamente non solo i loro corpi ma anche i loro animi e le loro menti. E se vogliamo la prostituzione minorile è un male ancora più grande. L’età dell’adolescenza è un’età che si dovrebbe vivere in modo spensierato e felice e non affrontando cose molto più grandi di sé. Un’età in cui non si dovrebbero conoscere certi contesti e in cui non si dovrebbero fare certe esperienze sessuali, e infine non si dovrebbe crescere troppo in fretta e prima che il tempo lo richiede.

DALILA DIPAOLO, IV B LINGUISTICO: Quest'esperienza nuova al cinema con la scuola è iniziata con il piede giusto! Il film "Detachment" è pieno di insegnamenti e non si deve perdere nessun particolare per carpire anche la morale più nascosta. Ciò che mi ha colpito

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di più è il carattere del professor Barthes. Viene mostrato come un uomo solitario e introverso (caratteri solitamente visti come dei difetti), ma lui si sente comunque bene con se stesso e non sente il bisogno di cambiare. Inizialmente si può notare come non voglia nessun legame con nessuno, ed invece in quella scuola incontra la professoressa Madison con cui vive una breve storia d’amore. Penso che a farlo aprire completamente sia stata la convivenza con Erica, una giovane ragazza prostituta, che conosce su un autobus e decide di aiutarla a cambiare la sua vita. Con lei passerà l'unico vero momento felice del film, nel negozio dove vanno a comprare regali, in cui si possono notare luci più calde rispetto ai toni freddi della scuola. Barthes si affeziona ad Erica ma decide comunque di allontanarla da sé, pur soffrendone molto. Il finale del film è una sorpresa, tanto per noi spettatori, quanto per il protagonista.

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ILARIA LIGUORI, IV B LINGUISTICO: Il film “Detachment” mi ha dato sicuramente alcuni spunti di riflessione. Ritengo che quasi tutti i personaggi presenti nel film abbiano qualcosa da dire, di positivo o di negativo a seconda delle situazioni. Per esempio, mi sono resa conto che gli altri ragazzi presenti in sala non hanno notato nulla di buono nei professori della scuola in cui la vicenda è ambientata, professor Barthes a parte. Invece io trovo che, pur essendo personaggi pieni di difetti, siano comunque portatori di un messaggio positivo. Ad esempio, il professor Seaboldt, protagonista di una scenata divertente, ma in realtà raccapricciante, durante la quale si abbassa al livello di un alunno che lo aveva insultato, si dimostra una persona molto umana nel momento in cui cerca di far capire ad una ragazza, vestita in maniera decisamente succinta, che sta dando alla gente un’immagine sbagliata di sé e che dovrebbe vestirsi in modo più adeguato almeno in ambito scolastico. Oppure la dottoressa Parker, che appare per gran parte del film come una persona totalmente priva di carattere ed incapace di risolvere qualsiasi problema, che tenta di far ragionare Missy, una delle tante alunne ribelli della scuola, sul fatto che nella vita la determinazione e l’impegno sono indispensabili se davvero si vogliono raggiungere dei risultati importanti.

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Un altro personaggio positivo, che però nel finale ha un po’ deluso le aspettative (almeno le mie), è senza dubbio quello di Meredith, un’alunna del professor Barthes innamorata della fotografia, ma depressa a causa di tutte le prese in giro ricevute dai compagni e dal padre per colpa della sua obesità. Ovviamente non può che essere una ragazza che attira l’attenzione e la simpatia dello spettatore, ma il fatto che alla fine non riesca a superare i suoi problemi decidendo di suicidarsi, non la rende certamente un modello da seguire. Cosa che invece si può dire di Erica, la prostituta che Barthes era riuscito a “salvare” una sera tornando a casa dopo il lavoro. Dopo quest’episodio, infatti, la vita della ragazza cambia completamente. Erica decide di condurre una vita normale e si affeziona talmente tanto al protagonista da andare addirittura a trascorrere un’intera giornata in ospedale accanto a suo nonno. Sarà proprio lei a cambiare il professore alla fine del film. Barthes, in effetti, fino alle ultime scene non aveva dato ancora particolari segni di evoluzione, anzi, aveva agito sempre con una certa distanza nei confronti di Erica, tanto da consegnarla ai servizi sociali dicendole che non avrebbe potuto vivere con lui per sempre. E spezzandole il cuore. Ma in una delle ultime scene, il rapporto tra i due si risana grazie ad un abbraccio che mette fine al loro distacco.

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ANNA SALVATORE, IV B LINGUISTICO: “Detachment” è ormai tra i miei film preferiti. È uno di quei film che ti rimane dentro, che lascia un insegnamento, una morale. Credo che se lo vedessi una seconda volta mi stupirebbe di nuovo come la prima. Sì, perché mi ha colpito molto: le inquadrature, le sfocature, le scene, i personaggi, i luoghi…tutto! Mi è piaciuto davvero. Sono stata costantemente attenta durante la proiezione, ci tenevo a notare tutti i particolari di cui avevamo discusso in classe tempo prima; talvolta commentavo e facevo piccole riflessioni su ciò che accadeva, su ciò che mi passava davanti agli occhi. Tony Kaye, oltre ad essere un regista, è anche un fotografo, quindi la fotografia è una tematica da non trascurare, conferisce al film originalità e soprattutto un nuovo modo di vedere le cose, le scene, i personaggi. C’è poi la figura della dolce Meredith (interpretata dalla figlia del regista), la quale è appassionata di fotografia.

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Questo film mi ha fatto capire quanto sia importante e difficile fare bene l’insegnante. Il protagonista, il professor Barthes, all’apparenza pacato, dotato di una pazienza impressionante nei confronti dei suoi alunni, riesce a lasciare fuori dalla scuola i suoi problemi esistenziali. Trovo davvero bello come egli si sia “amalgamato” con i ragazzi per poter stabilire un dialogo con loro e per ricevere maggiore attenzione. A mio avviso i protagonisti del film sono due: il professor Barthes ed Erica, interpretati da attori a dir poco ottimi. Questa esperienza mi ha insegnato che bisogna interessarsi al proprio futuro più di qualsiasi altra cosa; bisogna aiutare il prossimo e non giudicare gli altri dal loro aspetto esteriore. Bisogna andare ben oltre l’apparenza.

ROSANNA TELLA, IV B LINGUISTICO: “Detachment”

descrive il sistema scolastico americano, ma affronta temi che sono comuni anche al nostro Paese. L'autore narra i sentimenti e le reazioni che le persone hanno di fronte alle varie forme di distacco: distacco dalle persone amate, come nel caso del professore Henry Barthes, che non riesce a dimenticare il suicidio di sua madre avvenuto quando aveva sette anni; quello di Meredith, una ragazza incompresa dai compagni e dalla sua famiglia che si distacca da una realtà difficile da sopportare; e infine il distacco di Erica, una giovanissima prostituta, che prima viene accolta da Barthes,

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che le dà ospitalità ma poi l'affida ai servizi sociali; infine c’è il distacco dalla scuola dei genitori, totalmente assenti dalla vita scolastica dei propri figli. Il personaggio principale è il professor Henry Barthes, un supplente di lettere in una scuola superiore, che deve confrontarsi ogni giorno con i propri alunni, quasi tutti ragazzi difficili. E' una persona distaccata che non si lascia coinvolgere emotivamente dai suoi studenti, ma che riesce ad entrare in sintonia con loro, stimolandoli e conquistando il loro rispetto e la loro partecipazione alle lezioni.

Si tratta di ragazzi che non hanno esempi familiari o sociali positivi, vivono durante l'età dell'adolescenza una vita priva di affetti ed in una completa solitudine che potrebbe portarli nell'età adulta ad avere problemi relazionali e a divenire persone emarginate dalla società, o prepotenti o in lotta continua con essa. Da ciò si deduce l'importanza del ruolo della scuola e degli insegnanti nella formazione culturale ed etica degli adolescenti. Invece nel film la scuola viene vista come una prigione, una “trappola distruttiva” per tutti: studenti, insegnanti, assistenti e persino la preside. Un altro tema che traspare dalle vicende raccontate dal film è il dolore. Il dolore è visto dall'autore come un sentimento che pervade l’esistenza e la vita relazionale degli individui, che addirittura può divenire un elemento comportamentale che blocca la vita, almeno fino al momento in cui si riconosce la propria esistenza e lo

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si comunica agli altri, trovando in ciò un rimedio e una liberazione. Nel film vediamo come il dolore inespresso possa portare a gesti estremi: Meredith, offesa da alcuni compagni di classe e persino da suo padre, si suicida e il professore è colto dai sensi di colpa per non essere riuscito ad aiutarla. “Detachment” è un film dalle tinte forti che lascia l'amaro in bocca, perché ci mostra che la scuola non riesce ed aiutare i ragazzi più sensibili nel loro processo di crescita, ma ci fa anche riflettere e comprendere come potrebbe essere se avesse più mezzi a disposizione. Una scuola ed una società indifferenti possono provocare danni irrimediabili, fanno vittime tra i ragazzi, creano insegnanti sviliti nella loro professionalità, genitori assenti o arroganti, e frustrazioni diffuse. Mi ha colpito molto una frase del film: “È facile essere indifferenti, l'interesse richiede coraggio e il coraggio richiede carattere”.

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ALESSIA DENISE CELENTANO, IV B LINGUISTICO: “Detachment” è una delle più minuziose opere d’arte che rappresentano l’odierna gioventù e i suoi comportamenti. Il film presenta una fitta rete di primissimi piani, fotografie, suoni che scavano nel profondo di ciascun personaggio, rendendolo unico ma allo stesso tempo identificabile, molto simile a qualunque adolescente dei giorni nostri. Tony Kaye ha ideato un’opera splendida che va “vista”, osservata con attenzione per comprenderne il fondo di verità e scorgerne la grande attualità. Guardando il film con un occhio attento mi sono resa conto che, in qualche modo, c’è un rapporto stretto tra la madre del professor Barthes e Meredith, una delle sue allieve. Innanzitutto, nei frame in cui la professoressa Madison entra nella classe mentre Meredith sta comunicando col professore e successivamente scappa, pervasa da un senso di abbandono da parte di

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Barthes; possiamo notare che quella scena viene alternata con dei frame della madre morente del protagonista, oppure riversa a terra. In secondo luogo, possiamo notare come entrambe si suicidano: una con delle pillole, l’altra con un dolcetto nero avvelenato. La reazione di Barthes è fortissima, in quanto egli sente di aver fallito e di aver lasciato che qualcuno d’importante per la sua vita morisse - come possiamo vedere nei frame del “falso documentario” in cui lo ammette esplicitamente, dopo la morte di Meredith. Ho molto riflettuto su questa scena del film, su quanto sia importante ascoltare le urla di aiuto di qualcuno, senza allontanarlo, rifiutarlo, scacciarlo via. Talvolta una parola di conforto o il semplice ascoltare lo sfogo di qualcuno può salvare una vita. Quest’opera cinematografica ci invita a fare del nostro meglio per ascoltare chi ci sta accanto.

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ROBERTA FRISOLI, V B LINGUISTICO: Il professor Barthes inizialmente ci appare come una figura enigmatica, grazie anche allo stile cinematografico del regista: tutto è sfuggente, perché si vuole andare oltre, non semplicemente raccontare e mostrare tematiche, ma farle apparire eteree, sfuggenti. In seguito, con il succedersi degli avvenimenti riusciamo ad analizzare e capire questo personaggio così complesso. Il professor Barthes si mostra sempre più capace di ascoltare i propri studenti. Nonostante il suo vissuto doloroso, egli porge sempre l'orecchio laddove nessuno ascolta, è capace di empatia, sa vedere l’invisibile. "Tu mi vedi" è forse una delle frasi più toccanti del film. Henry Barthes sa vedere il dolore altrui: quello di Erica, che si prostituisce, quello di suo nonno malato e morente. In diverse scene poi mostra come l'arte di essere fragili sia importante in una società dove

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progressivamente si stanno perdendo i valori etici e morali. Mi sembra che il messaggio forte del film sia quello della necessità di riconoscere le proprie debolezze, una cosa che richiede un grande coraggio. Sono sicura che ci sono molti professori come il protagonista di “Detachment” nelle nostre scuole, professori che svolgono il loro mestiere con amore e dedizione, che instaurano un dialogo con noi adolescenti senza giudicare con superficialità i nostri comportamenti. Forse sono loro gli eroi contemporanei che ci salvano un attimo prima di toccare il fondo, senza che noi ce ne accorgiamo. Dobbiamo imparare a immaginare il futuro con una prospettiva migliore, essendo più ottimisti, aperti al cambiamento. GRAZIA PALUMBO, IV B LINGUISTICO: A quanti di voi accade di riflettere su concetti profondi a cui non capita mai di pensare, fin quando non guardate un film che vi faccia capire e aprire la mente su certe cose? È proprio quello che mi è capitato con la visione del film “Detachment”. Ho trovato molto interessante la figura del professor Henry Barthes, soprattutto quando dice: “È una grande responsabilità quella di guidare i giovani e fare in modo che non crollino o gettino la spugna perché ormai si sentono delle ombre insignificanti private di

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qualsiasi speranza”. Le sue parole ci fanno capire quale ruolo fondamentale possa svolgere un insegnante nella nostra crescita. Ho molto apprezzato l’uso delle immagini sfocate, che nel film rappresentano il “Tempo Sfocato” delle esistenze dei personaggi. Un’immagine sfocata di solito è considerata un errore, ma il regista riesce a farne un’arte. Toni Kaye è riuscito a creare una forma che attribuisce un’atmosfera di mistero e intimità alle immagini del film, che allo stesso tempo sono forti e dolorose. Quelle riprese sfocate, che rappresentano le parti più scure della vita del protagonista, mi hanno toccato, non saprei dire il perché; è come se lui fosse distaccato ma allo stesso tempo legato al passato, come spesso ci capita quando ci domina il ricordo. La scena del film che non mi sarei mai aspettata che accadesse è quella del suicidio di Meredith. È molto triste assistere alla sua rinuncia della vita dopo averla vista fotografare in molte scene del film. Le sue fotografie molto belle mi lasciavano intravedere per lei un futuro che non ha avuto la possibilità nemmeno di iniziare. Mentre assistevo a quella scena pensavo che solo noi siamo artefici del nostro destino, solo noi siamo in grado di dire a noi stessi quello che possiamo farne di ogni istante della nostra vita, che è preziosa e va vissuta attimo per attimo.

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MONICA TENORE, MARIA IRENE VALENTE, EMANUELA

CIRCIELLO, IV A SCIENZE UMANE: La visione del film ''Il distacco'' è stata toccante. È un’opera molto profonda ed è riuscita ad arrivare nell'animo di noi tutti, suscitando emozioni forti. L'argomento affrontato nel film è presente nella quotidianità sia degli adolescenti sia degli adulti; entrambi con obiettivi e modi di agire differenti, ma che allo stesso tempo possono essere messi sullo stesso piano emotivo. Molte scene del film sono state abbastanza crude e toccanti, in particolare, il suicidio di Meredith, una delle allieve del professor Barthes, ormai persa nel suo mondo isolato, cupo e silenzioso. Nel film gli insegnanti sono “invisibili”; sono dei semplici uomini, che oltre ad avere il peso della famiglia, hanno un lavoro poco gratificante, e quotidianamente devono fare i conti con alunni che non rispettano minimamente la loro autorità. Grazie alla visione di “Detachment”, siamo riuscite a capire l’importanza del rapporto alunni-docenti, e anche quanto il modo in cui ci poniamo il problema sia fondamentale per la sua risoluzione.

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