15
DOMENICA 20 LUGLIO 2008 D omenica La di Repubblica LONDRA H einrich Z., 41 anni, svizzero dei Grigioni, è l’incubo degli italiani alla pompa del distributore e lo spettro che turba i sonni sempre più agitati di Ben Bernanke, il presidente della Fed, e di George Bush. Lui è una persona tranquil- la («mi creda, con il lavoro che faccio è necessario»). Sul biglietto da visi- ta — oltre al suo nome e a quello della banca d’affari dove lavora a Londra («le parlo volentieri, ma la prego di tenerli riservati, deve capirmi...») — c’è anche la sua professione: Commodity Trading Desk. Tradotto: team operativo sui mercati delle materie prime. Fino a qualche anno fa una sor- ta di noiosa Caienna dove le merchant bank anglossassoni confinavano i loro trader meno talentuosi. Da qualche mese a questa parte invece, a dar retta ai critici, una specie di Tortuga popolata di pericolosissimi pira- ti in cravatta. Una Spectre telematica dove speculatori con tanto pelo sul- lo stomaco giocano sui future del petrolio (e sulla pelle della gente) spin- gendo il barile verso i 200 dollari e il mondo verso il baratro. (segue nelle pagine successive) cultura L’amore ai tempi del comunismo ALEKSANDRA KOLLONTAJ, MIRIAM MAFAI e AMBRA SOMASCHINI spettacoli Wall-E, ultimo robot sulla Terra VITTORIO ZUCCONI i sapori Giochi di coppia per l’estate LICIA GRANELLO e MARINO NIOLA ETTORE LIVINI PIERGIORGIO ODIFREDDI FOTO CORBIS il racconto L’italiano che Mao mandò a morte BERNARDO VALLI la società Vite da film al tavolo da biliardo GIAN LUCA FAVETTO Scommettere crac sul RYE BROOK (Stati Uniti) S econdo Aristotele i contratti a opzione, in cui si ac- quista oggi il diritto di poter acquistare («call») o vendere («put») domani un certo bene a un certo prezzo, erano già usati nell’antica Grecia. Non so- no però diventati popolari fino in tempi recenti, a causa del- la difficoltà di determinare il prezzo da pagare nel presente per un’opzione futura. La situazione è cambiata drasticamente nel 1973, con la pubblicazione da parte di Fischer Black e Myron Scholes della celeberrima «Formula di Black e Scholes», che ha risolto il pro- blema e viene da allora usata regolarmente in tutti i mercati fi- nanziari. La formula è poi stata generalizzata in vari modi da Robert Merton, che per questo ha condiviso nel 1997 il premio Nobel per l’economia con Scholes (Black era invece prematu- ramente morto nel 1995). (segue nelle pagine successive) Nel chiuso dei loro uffici, gli operatori finanziari giocano sui “future” del petrolio. E sugli incubi dei nostri bilanci famigliari Repubblica Nazionale

Laomenica Vite da film al tavolo da biliardo DOMENICA

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

DOMENICA 20 LUGLIO 2008

DomenicaLa

di Repubblica

LONDRA

Heinrich Z., 41 anni, svizzero dei Grigioni, è l’incubo degliitaliani alla pompa del distributore e lo spettro che turbai sonni sempre più agitati di Ben Bernanke, il presidentedella Fed, e di George Bush. Lui è una persona tranquil-

la («mi creda, con il lavoro che faccio è necessario»). Sul biglietto da visi-ta — oltre al suo nome e a quello della banca d’affari dove lavora a Londra(«le parlo volentieri, ma la prego di tenerli riservati, deve capirmi...») —c’è anche la sua professione: Commodity Trading Desk. Tradotto: teamoperativo sui mercati delle materie prime. Fino a qualche anno fa una sor-ta di noiosa Caienna dove le merchant bank anglossassoni confinavanoi loro trader meno talentuosi. Da qualche mese a questa parte invece, adar retta ai critici, una specie di Tortuga popolata di pericolosissimi pira-ti in cravatta. Una Spectre telematica dove speculatori con tanto pelo sul-lo stomaco giocano sui future del petrolio (e sulla pelle della gente) spin-gendo il barile verso i 200 dollari e il mondo verso il baratro.

(segue nelle pagine successive)

cultura

L’amore ai tempi del comunismoALEKSANDRA KOLLONTAJ, MIRIAM MAFAI e AMBRA SOMASCHINI

spettacoli

Wall-E, ultimo robot sulla TerraVITTORIO ZUCCONI

i sapori

Giochi di coppia per l’estateLICIA GRANELLO e MARINO NIOLA

ETTORE LIVINI PIERGIORGIO ODIFREDDI

FO

TO

C

OR

BIS

il racconto

L’italiano che Mao mandò a morteBERNARDO VALLI

la società

Vite da film al tavolo da biliardoGIAN LUCA FAVETTO

Scommetterecracsul

RYE BROOK (Stati Uniti)

Secondo Aristotele i contratti a opzione, in cui si ac-quista oggi il diritto di poter acquistare («call») ovendere («put») domani un certo bene a un certoprezzo, erano già usati nell’antica Grecia. Non so-

no però diventati popolari fino in tempi recenti, a causa del-la difficoltà di determinare il prezzo da pagare nel presenteper un’opzione futura.

La situazione è cambiata drasticamente nel 1973, con lapubblicazione da parte di Fischer Black e Myron Scholes dellaceleberrima «Formula di Black e Scholes», che ha risolto il pro-blema e viene da allora usata regolarmente in tutti i mercati fi-nanziari. La formula è poi stata generalizzata in vari modi daRobert Merton, che per questo ha condiviso nel 1997 il premioNobel per l’economia con Scholes (Black era invece prematu-ramente morto nel 1995).

(segue nelle pagine successive)

Nel chiuso dei loro uffici,gli operatori finanziarigiocano sui “future”del petrolio. E sugli incubidei nostri bilanci famigliari

Repubblica Nazionale

la copertinaScommettere sul crac

Molti vedono in loro gli untori della “peste del secolo”,come dice il ministro Tremonti: speculatori irresponsabiliche giocando d’azzardo spingono il barile di greggioverso i duecento dollari e il mondo verso il baratroMa loro non ci stanno: ecco l’autoritratto (e l’autoassoluzione)degli uomini che negano di essere i responsabili della crisi

26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

(segue dalla copertina)

Heinrich, nel suo piccolo, è alla guida di uncentinaio di questi filibustieri finanziaridel terzo millennio. Se Giulio Tremonti haragione — «la speculazione è la peste diquesto secolo» sostiene il ministro al Te-soro — lui è l’untore. Uno (tra l’altro uno

dei più importanti) delle migliaia di anonimi operatoriche ogni giorno si scambiano sul mercato dei derivatimilioni di barili di petrolio immaginari. Scommettendo— al rialzo o al ribasso, vale in tutte le direzioni — sul fu-turo del prezzo dell’oro nero e dando uncontributo fondamentale, dicono in molti,a gonfiare i prezzi del greggio e a far correrel’inflazione in tutto il globo.

Un identikit che non va giù ad Heinrich:«I pirati lasciamoli ai Caraibi. Qui a Londrain ufficio con me c’è solo gente perbene,normale. Certo, oggi qui lavorano centopersone contro le cinquanta di un anno fa.E ogni giorno compriamo e vendiamo nel-la nostra sala trading circa trenta milioni dibarili virtuali. Ma questo è il mercato. Noiportiamo liquidità, stabilizziamo i prezzi,smorziamo i picchi. Altro che speculatori.Se il pieno degli italiani costa 80 euro e seWall Street va a catafascio la colpa non è no-stra. È la legge della domanda e dell’offerta.Il mondo consuma sempre più petrolio esottoterra se ne trova sempre meno. Tuttoqui».

Un’autoassoluzione che pecca un po’ dimodestia. I numeri raccontano una storiapiù complessa: dai pozzi mondiali siestraggono ogni giorno 86 milioni di barilidi greggio (con una domanda pericolosa-mente vicina agli 84). Sul mercato dei futu-re, invece, passano di mano ogni venti-quattr’ore contratti per un miliardo di bari-li. Petrolio di carta. Una marea nera che al-laga i circuiti telematici della finanza mon-diale ma che non esiste nei giacimenti del-l’Opec. Buona solo, come ormai hateorizzato anche il Congresso Usa, a droga-re artificiosamente il prezzo della materiaprima e le bollette dei consumatori. «Que-sta è una leggenda metropolitana», rispon-de Heinrich. «Vuole la prova? Le scorse set-timane le posizioni “lunghe” al Nymex diNew York, quelle che puntano sul rialzo delgreggio tanto care ai presunti speculatori,erano ai minimi da dieci mesi. Eppure ilmercato ha continuato a bruciare recordun giorno dopo l’altro».

I pirati in cravatta, insomma, si chiama-no fuori. Il copione del caro-greggio però hatante somiglianze con l’imbroglio male-detto dei subprime, quelle strane alchimieper cui la finanza inventa prodotti sempre più sofistica-ti e lontani dalla realtà in grado (nascono per questo) digarantire alle banche commissioni sempre più grasse.Bombe ad orologeria che finiscono per scoppiare — ba-sta leggere le cronache di questi giorni — nei portafoglidegli investitori o delle banche travolgendo in un per-verso effetto domino le Borse e le economie di interi Pae-si. «Anche questa è una lettura fuorviante», si arrabbiaHeinrich dal quartiere generale della sua banca. «Noinon giochiamo alla roulette. Abbiamo modelli econo-mici precisi, algoritmi sofisticati che guidano i nostri in-vestimenti partendo dalla realtà, non dal nulla! E poi lagran parte delle operazioni sui future sono solo “poliz-ze”, ordini dei nostri clienti che si assicurano bloccandoil prezzo di acquisti reali che dovranno fare più avanti. Sela prendono con noi perché siamo l’anello più deboledella catena...».

A Washington non la pensano così. Nei mesi scorsi Ca-pitol Hill ha avviato un’ampia indagine per capire la ra-gione dei rialzi del petrolio. E il risultato è impressionan-te: nel 2000 la quota di mercato dei derivati del greggio inmano a operatori finanziari (gente che opera quindiquasi solo in modo virtuale) era pari al 37 per cento. Og-gi questa percentuale è salita al 71. Il peso della specula-zione secondo un decano di Wall Street, Fadel Gehit diOppenheimer, ascoltato dal Congresso, «è oggi stimabi-le in 50 dollari sui 140 del greggio». E anche in questo ca-so attorno ad Heinrich e ai vari commodity trading deskc’è puzza di bruciato. La partita di giro è semplice — è lateoria del Parlamento Usa —: gli hedge fund, i fondi so-vrani e gli speculatori hanno perso miliardi in Borsa perla bufera dei subprime. E per rifarsi, forti della loro mas-sa d’urto, sono entrati in forze sul mercato delle materieprime spingendo artificiosamente in alto i prezzi non so-

lo del petrolio ma anche dell’oro, del frumento, dellozolfo e dell’alluminio. E finché speculi e perdi sulla fi-nanza, per dirla con Tremonti, «sono affari tuoi», ma seper speculare fai volare il prezzo della benzina, del panee della pasta «a pagare il conto è tutto il mondo».

«Il boom degli scambi è inevitabile», si difende Hein-rich. «Lo ripeto. Noi con il caro-greggio non c’entriamo.Se vuole glielo dico anche in tedesco. A me non va di pas-sare come l’uomo che toglie il cibo di bocca ai Paesi piùpoveri. Le teorie di trame organizzate sui future sono ro-ba da fanta-finanza». E allora da dove arrivano questi vo-lumi impressionanti sul mercato? «Semplice. Sarò cru-

do. Lo speculatore non sono io. Magari è lei.Magari sua moglie, o i suoi fratelli...». Diffi-cile a dire il vero, ad occhio e croce, siamotutti indebitati... «Ma è così. Una volta que-sto mercato era un clan esclusivo, riservatoai professionisti. Oggi la volatilità del petro-lio ha attirato tanti nuovi attori. Ci sono tan-ti ordini che arrivano pure dal Golfo, propriodagli stessi Paesi che sul caro-petrolio han-no costruito la loro fortuna. Ci sono i fondipensione, molti privati mettono soldi negliindici che riproducono il grafico del greggioo di altre materie prime. Roba che chiunquepuò acquistare in banca e dove ormai sonoinvestiti oltre duecento miliardi di dollari».

Il problema, dicono i critici, è che percomprare un future sul petrolio non biso-gna pagare l’intero importo per l’eventualeacquisto reale (peraltro quasi impossibile,l’unico porto Usa disponibile per consegnefisiche è quello di Cushing in Oklahoma conuna capacità di venti milioni di barili, 40 vol-te in meno degli scambi giornalieri a NewYork). Il deposito in contanti per acquistareil barile di carta è pari solo al 5 per cento delvalore totale. Con cifre irrisorie, insomma, sipossono comprare intere petroliere — fan-tasma, va da sé — grondanti greggio. E i con-traenti del future, in genere, compensano alsaldo solo la differenza tra il prezzo previstodal derivato e quello reale. Senza che unagoccia d’oro nero passi di mano.

Non a caso il primo giro di vite anti-spe-culazione in arrivo dal Congresso Usa (aparte alcuni limiti al trading) dovrebbe es-sere una norma che alza il costo della spe-culazione. Ipotesi cui stanno lavorando an-che la politica e i mercati del Vecchio Conti-nente. «Cosa crede che cambi? Poco o nien-te», minimizza Heinrich. «Su questi merca-ti operano persone con le spalle grosse. Enon è certo portando i margini anche al 50per cento che si calmiererà il mercato».

Tra l’incudine della speculazione e ilmartello della carenza di greggio, però, al-la fine a rimanere fregati sono i consuma-tori. Pagano di più la benzina, vedono sa-

lire l’inflazione e i tassi d’interesse dei loro mutui. Madove si fermerà davvero la corsa del petrolio? «È unadomanda da un miliardo di dollari», conclude Heinri-ch. «Le ripeto che i nostri clienti, gente che di oro nerone capisce qualcosa, pensano che non si possa scen-dere molto dai livelli attuali. Comunque non sono unastrologo e non voglio sbilanciarmi. È difficile, con unmondo come quello di oggi, leggere il futuro». In teo-ria, a voler essere sinceri, lo pagano fior di quattrini perfare proprio questo. «Il mio stipendio? Cosa c’entra? Èalto, ma alla mia banca ho fatto guadagnare una va-langa di soldi. Il bonus 2007? Non lo confesso nem-meno sotto tortura. L’unica cosa che posso dirle è cheè a sei cifre (in sterline, ndr)». Capire il futuro del pe-trolio sarà forse difficile, ma giocare sui suoi future —se si è dalla parte giusta della barricata — rende di si-curo molto bene.

“Noi, pirati in cravatta e computerche compriamo petrolio di carta”

GRIDAIn alto, operatori al lavoro alla Borsa di New York; qui sopra, l’andamento dei titoli

“La colpa del caro-benzinanon è nostra”, si difendonoi trader, “ma della legge

della domanda (che cresce)e dell’offerta (che cala)”

ETTORE LIVINI

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27DOMENICA 20 LUGLIO 2008

(segue dalla copertina)

Per Scholes e Merton fu il coronamento nonsoltanto del successo intellettuale, ma an-che di quello economico: insieme all’agen-te di borsa John Meriwether essi avevanoinfatti fondato nel 1994 la LTCM, LongTerm Capital Management (Gestione di

capitali a lungo termine), racimolando con la loro fa-ma miliardi di dollari da investire per conto terzi e ar-rivando a produrre profitti astronomici, ma anche adesporsi per più di un trilione di dollari.

Con la crisi economica iniziata nel 1997in Thailandia e culminata nel 1998 inRussia, la LTCM incominciò però a per-dere denaro al ritmo di centinaia di mi-lioni di dollari al giorno e fallì in qualchemese, minacciando di trascinare con sé ilmercato finanziario mondiale. Fu neces-sario un intervento governativo della Fe-deral Reserve dell’ordine dei tre miliardie mezzo di dollari, che costò caro a molti(ad esempio, alla Banca d’Italia, che per-se 200 milioni di dollari in fondi pensio-nistici).

Sull’ascesa e la caduta di Scholes sonostati scritti libri come Anche i Nobel per-dono di Nicholas Dunbar (Egea, 2003) eprodotti documentari come La scom-messa da un trilione di dollari della Pbs, oLa formula di Mida della Bbc. Noi siamoandati a sentire la sua storia nel suo uffi-cio di Rye Brook, vicino a New York.

Dove stava il problema, per quanto ri-guarda le opzioni?

«Nel fatto che non si riusciva a calco-larne il valore senza fare assunzioni arbi-trarie. Black e io invece trovammo un’e-quazione per trovare il valore previstodell’opzione: un’equazione che in segui-to scoprimmo essere come quella per iltrasferimento del calore. Ma non riu-scimmo subito a risolverla, e la cosa ci ri-chiese molto tempo».

È vero che aveste problemi a pubbli-care il vostro lavoro?

«Sì, per un paio d’anni. Black ed io lo fa-cemmo nel 1970, ma sia il Journal of Poli-tical Economyche laReview of Economicsand Statistics lo rifiutarono, perché era“troppo ristretto e senza applicazionieconomiche”. I recensori pensarono chedoveva esserci qualcosa di sbagliato, inuna formula che risolveva cosí precisa-mente un problema tanto complicato:era una cosa troppo nuova, e troppo di-versa da tutto ciò che era stato tentato fi-no ad allora».

Un cambiamento di paradigma?«Sì, ma un cambiamento che agli inizi fu rifiutato!

Fummo percepiti come dei giovani turchi, che nonavevano niente da perdere e volevano distruggere lostatus quo: eravamo come intrusi che cercavano dipenetrare nel sistema, e la vecchia guardia si difese di-cendo che erano tutte cose senza senso».

Dopo un po’, invece, la vostra formula fu addirit-tura inserita nei calcolatori tascabili.

«E non solo non ci diedero dei diritti, perché la for-mula era di pubblico dominio, ma la Texas Instru-ments non ci regalò neppure un calcolatore: mi disse-ro di comprarmelo, se ne volevo uno».

Perché non avevate brevettato la formula?«All’epoca non si poteva». Oggi si potrebbe, invece?«Credo di sì, visto che ormai si sono brevettate le co-

se più strane».

Potevate non pubblicarla, però, e usarla per contovostro.

«Se uno sa che c’è una formula del genere, e lo saperché l’ha trovata, sa anche che qualcun altro puòtrovarla: alla fine qualcuno la pubblicherà, e chi nonl’ha fatto rimarrà a bocca asciutta. Dopo il nostro arti-colo, c’è stato chi ha effettivamente detto che la nostraformula la conosceva già: ma peggio per lui se non l’a-veva pubblicata, appunto».

A proposito di applicazioni, ha voglia di parlaredella LTCM?

«La sua richiesta mi fa venire in mente la storia, pub-blicata nei giornali locali, di una tale chenel 1944 era stata falsamente accusata diaver assassinato il marito con un’ascia: re-centemente ha fatto una festa per alcuniamici, e nonostante fossero passati ses-sant’anni, si è ancora parlato di quell’e-vento. Io avevo deciso che non avrei ri-sposto a domande sul crac della LTCMprima di cinque anni, ma ormai sono pas-sati: dunque, dica pure».

Sarebbe lei, a dover dire!«Allora dico, anzitutto, che il fallimento

della LTCM non ha niente a che vederenon solo con la formula di Black e Scholes,ma nemmeno con le opzioni! E se anchefosse, le domando: se qualcuno si schian-ta guidando una macchina da corsa, unaFerrari ad esempio, questo significa chel’auto non è buona?»

Nemmeno se a guidarla è il signor Fer-rari?

«Nemmeno, perché lui non era appun-to un pilota. Comunque sia, non ero io cheguidavo la LTCM: erano Meriwether e ilsuo gruppo».

Lei era solo un consulente? «No, ero direttamente coinvolto. Ma

l’organizzazione era strutturata in manie-ra tale che la gente non stava a sentire, onon voleva stare a sentire, perché inten-deva fare le cose a modo suo. E visto chenon stavano a sentire, sia io che Merton cidefilammo sempre più: soprattutto quan-do, dopo il premio Nobel, incominciam-mo a girare il mondo per fare conferenzeovunque».

Pensa che vi avrebbero dato il premiougualmente, se il crac fosse successo unanno prima?

«Questo non lo so, perché ci sarebberostati effetti psicologici. Ma il testamento diNobel parla del valore applicativo dellescoperte o invenzioni da premiare, e lanostra teoria ha stimolato un numeroenorme di lavori e di applicazioni, e con-tinua ad essere usata in maniera incredi-bile anche oggi».

Nella sua lezione Nobel lei citò Un canto di Natale

di Dickens, dicendo che non voleva però suggerire,come Mr. Scrooge, che «il passato brilla di speranzee innocenza, il presente è buio e pieno di cattivi pre-sentimenti, e il futuro si presenta tetro». Non è statoproprio così, invece?

«Certamente allora non avevo cattivi presentimenti, ecomunque vorrei dire chiaramente una cosa: l’episodiodella LTCM è stato soltanto un intoppo nella mia carrie-ra, in seguito ho continuato a fare ricerca e affari con suc-cesso. Nella vita ci sono sempre cose che funzionanomeglio e altre peggio, o cose che funzionano e altre no».

Non le sembra di sminuire un po’ troppo, però, leenormi proporzioni di quell’episodio?

«Ma non ero io il responsabile! E non ho problemi adire che molte delle cose fatte da chi prendeva le deci-sioni erano sbagliate, sia in teoria che in pratica».

Dialogo matematicoper scoprire i prezzi futuri

PIERGIORGIO ODIFREDDI

RIBASSOIn questa pagina, ancora uomini e computer al New York Stock Exchange

FO

TO

CO

RB

IS

I premi Nobel Scholese Merton ottenneroprofitti astronomici

grazie alla loro equazionePoi venne il crollo

0

30

60

90

120

150

Repubblica Nazionale

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

la societàGiochi di sponda

Per cinquant’anni Eddie lo Svelto con il voltodi Paul Newman è stato il personaggio più amato nei bare nelle sale dove c’era il panno verde. Ora esceil libro di Walter Tevis che ha dato origine al mitopiù imitato da oscuri eroi che giravano con la loro steccapaesi e campagne per vivere o fare il colpaccio

nerabile edificio. «Di mattina una sala da biliardoè un luogo strano. Subisce vari cambiamenti nelcorso della giornata, quasi una metamorfosi quo-tidiana, una muta della sua pelle a scacchi», scriveTevis. Le vetrate colorate, le tende, il mogano mas-siccio e senza tempo dei tavoli, il panno verde na-scosto sotto incerate grigie, le sputacchiere d’otto-ne, le seggiole dai sedili in pelle, il soffitto a cupola:la sala da biliardo alle nove del mattino sembra unsantuario, una cattedrale in rovina.

Tu leggi e vedi entrare Paul Newman che s’infilauna sigaretta in bocca, si guarda attorno e con ariabeffarda dice: «Sembra una sacrestia». Si sente undiavolo in sacrestia, lui. Il suo compare, MyronMcCormick, cappello in testa e broncio da malvis-suto, ribatte: «A me sembra più un obitorio. Queibiliardi sembrano lastre su cui stendere cadaveri».È il regno di Minnesota Fats, il Grasso, fazzolettonel taschino, fiore all’occhiello, sigaretta fra le lab-bra, anello al mignolo sinistro, un tipo che con lastecca non lo batte nessuno da vent’anni, il più for-te giocatore d’America. Su quei biliardi Paul New-man finirà quasi cadavere. Cade, poi si rialza. Ci la-scia un pezzo di sé, quel che nascondeva di uma-no, poi si rimette in piedi e se ne va.

Li vedi che si scontrano, la gente attorno, i com-menti, le ore che scivolano al rallentatore, l’aria tu-mefatta, sigaretta dopo sigaretta, colpo dopo col-po, sguardo dopo sguardo. E ciò che vedi è provin-cia, oltre che cinema. Ovunque sia, anche in cen-tro città, anche nel cuore di Chicago, il mondo delbiliardo è provincia. È lentezza, rito, concentra-zione e fatalismo. Lo abitano viaggiatori che pas-sano di provincia in provincia per mettere insiemeil pasto con la cena. Sognano una vittoria che nonsarà mai abbastanza. In America si chiamano FastEddie o Minnesota Fats. Da noi si chiamano lo Scu-ro, e stanno anche loro nei film come Io, Chiara elo Scuro di Francesco Nuti, Il signor Quindicipalle,e se la portano dietro, la provincia. Non perché siabella o sia meglio, ma perché è il modo di essere diquelli che girano con la stecca in mano: interna-zionali di provincia.

Se non sono come lo Scuro, sono come GerryCanùn. Gerry sta per Giacomo e Canùn per can-none, per fenomeno. Uno che ha battuto il Cana-vese per trent’anni tirando su cinque, diecimila li-re a partita, e ogni tanto faceva il colpo, centomilain una notte. Allora non lo tenevi più con le storie,continuava a parlare e a offrire da bere, e poi cene.Sapeva perdere con dignità, in fondo; sapeva me-

no vincere. Sembrava un pescatore per comeprendeva all’amo i malcapitati e raccontava le sueimprese a carambola, alla goriziana — il gioco piùraffinato, secondo lui— o all’americana con lequindici palle colorate che gli davano una stranaeuforia. Buttarle in buca era come ammazzare bi-sonti, diceva. Mai a boccette. Gerry Canùn non siabbassava a giocare con le mani. Era un musicista,lui. Aveva bisogno dello strumento. E lo strumen-to si compone di tre parti: stecca, palle e tavolo.Quando si accordano, da loro sale una musicastruggente, fatta di silenzio, fruscii, passi, colpi erimbalzi. Con ogni probabilità, c’è un Canùn inogni paese italiano, più o meno.

Sosteneva che sul biliardo ci si sporge ed è comesporgersi dal parapetto di una nave. Dà ebbrezza evertigini. Non è la nave, il biliardo. La nave è la sa-la, il biliardo è il mare. Un mare verde. Un tappetoverde. Un tappeto volante. Dove volano le palle e,dietro le palle, voli tu. Lo diceva in dialetto e suo-nava bene. Suonava concreto, non retorico. Dice-va che quella era la sensazione da provare per es-sere un giocatore perfetto. E adesso viene vogliadel rettangolo, del campo da gioco: un tappeto ver-de con sopra una luce livida e potente, e il buio in-torno. L’atmosfera è morbida e fumosa. La steccaè a metà fra una lancia e un pennello. La curi, l’ac-carezzi, la prepari. Calma e gesso. Molto gesso ce-leste, che passa sulla punta e stride; e molta calma,che non fa rumore. La calma non fa mai rumore, ri-paga in leggerezza, concede grazia. Armato di gra-zia e leggerezza, puoi prendere bene la mira e col-pire. Colpi secchi o carezze, effetti o siluri. E la pal-la rotola. Prende la strada che tu gli destini. Fa il suodovere. Abbatte castelli o va in buca.

Sfogliando nella memoria, ci sono due facce dagiocatori perfetti, oltre a Canùn. Chi non vorrebbevedere al biliardo Orson Welles e Robert De Niro,uno com’è nel Terzo uomo e l’altro con tutto il sor-riso e la stanchezza di C’era una volta in America.Canùn sarebbe in prima fila. E anche lo Scuro, coni suoi commenti rauchi, e Eddie Felson e Minne-sota Fats, e Walter Tevis buonanima, e FrancescoNuti che ritornerebbe da dove si trova adesso, e pu-re Tom Cruise che, nel seguito dello Spaccone, Il co-lore dei soldi— il romanzo è sempre di Tevis, il filmdi Scorsese— ha preso lezione di vita e biliardo dalvecchio Newman. Anche quelli che giocano in te-levisione la notte verrebbero a vedere una partitacosì. Si fermerebbero come tu ti fermi davanti a lo-ro. E alzerebbero la stecca in segno di saluto.

GIAN LUCA FAVETTO

CARAMBOLA

Si gioca su un biliardo senza buche, con tre sole bilie

(bilie non biglie). La biancae la gialla fungono da bilia

battente, la rossa da pallinoScopo del gioco è colpire

la bilia battente in modo chequesta nella sua traiettoria

caramboli prima sull’altra biliae poi sul pallino

Una variante della carambolaè la carambola a tre sponde

In questa specialitàil giocatore deve far toccare

alla bilia battente almeno tre sponde prima

di colpire le altre due bilie

Il biliardo, vite da filme spacconi di provincia

Ci passi davanti e ti fermi. È una sortad’incanto, di malia. Conquista. Atti-ra. Ti fa sporgere. Guarda un po’, ti di-ce, vieni, vieni qui con me. E non è ne-cessario che tu sia lì di persona, bastache ti affacci alla televisione. Figurati

poi se lo incontri, se ti ritrovi nella stessa stanza,nella sala dove è piazzato, se puoi toccarlo e girar-ci intorno, prendere le misure, allungarti e appog-giare il bacino. La scena è questa: notte, casa vuo-ta e televisione accesa, sintonizzata su un canaleRai. Precisamente su Raitre, già oltre la prima, laseconda e anche la terza serata. Ormai nel giornodopo. Magari sei appena rientrato. Che tu abbiabevuto o non abbia bevuto, non ha importanza. Sehai mangiato, forse è meglio. Oppure ti prepari unpanino sul momento, formaggio, salame, pro-sciutto. E tiri fuori dal frigo una birra. O ti versi unbicchiere di vino. O sorseggi un ultimo bicchierinodi alcol, volendo. O anche niente. E accendi la tele-visione. E fai zapping. E a un certo punto capiti lì.

Passano varie pubblicità, varie chiacchiere, an-cora chiacchiere, sempre chiacchiere sullo scher-mo, varie televendite, vari telefilm, vari film, qual-cuno anche d’azione. Se capiti in mezzo a un filmd’azione, lo stordimento è immediato, ci sonocaos, sparatorie, tafferugli, inseguimenti, coloricupi, montaggio rapido, adrenalina in forma di im-magini, musica incalzante: sembra succedere tut-to e non succede niente. Zampetti ancora sul tele-comando, schiacci il tasto giusto e capiti dentro,dove sembra non succedere niente e invece succe-de tutto.

Non ricordi che sia in programma, ma se ci pas-si con lo zapping e lo vedi, ti fermi. Meglio di un filmd’azione. Lì c’è il tempo e ci sono gesti lenti e pre-cisi che te lo danno, il tempo, e allora tu in cambiogli concedi il tuo. Sarà per questo che rimani aguardare. E che cosa guardi? Che cosa vedi? Vedi il

silenzio, e delle palle che rotolano, delle bilie lu-cide scivolare o schizzare, e delle facce

che studiano, delle espressioni con-centrate, e dei corpi in gilè che si

muovono lungo le sponde di untavolo, e delle stecche che oscil-lano e colpiscono, e delle in-quadrature dall’alto, e delle ca-rambole, e delle rotazioni, etraiettorie di figure geometri-che. Anche se non capisci, enessuno ti ha spiegato le rego-le, segui attento e curioso. Am-mirato. Vorresti essere lì, dove

circolano sguardi che sono lia-ne, sono progetti, sguardi che

sono cinema. In effetti, è come se fossi al cine-

ma, come se fossi dentro un cinema,dentro un film, non davanti alla televi-

sione. Perché questo è veramente il biliardo:è cinema e provincia. E poi è anche notte: a qua-lunque ora lo giochi o lo frequenti, ha sempre lanotte con sé, la porta in dote: nella stanza sul retrodel bar, diventavano notti anche le mattine in cuifinivi a giocare dopo aver tagliato da scuola. Ed èpure un po’ letteratura, per tutte le storie che rie-sce a concimare. Colpi da maestro, miracoli escommesse. Un gran giro di storie cresce intornoal gioco del biliardo, che qualcuno chiama sport,qualcuno hobby, e per qualcuno è professione, perqualcun altro semplice diletto. Un gran giro di leg-gende prospera attorno a stecche, bilie, gessetti,birilli e buche.

Un po’ storia, un po’ leggenda, un po’ letteratu-ra e un po’ cinema è la lunga vita “biliarda” di Ed-die Felson, Fast Eddie, lo Svelto. L’incorreggibileFelson è quello che da quasi cinquant’anni ha lafaccia di Paul Newman. E con la faccia di Paul New-man è invecchiato. All’inizio è nato come libro. Loha scritto Walter Tevis, autore di culto e miscono-

sciuto. Un romanzo con il biliardo dentro, cherode l’anima, che è frontiera, ambizione,

piacere e rovina, dove si perdono ami-cizie, amori e anche la stima in se stes-

si: The Hustler, il titolo. Uscito nel1958, è diventato un film tre annidopo, Lo spaccone, con la regia diRobert Rossen, e Piper Laurie eJackie Gleason ad affiancareNewman, spaccone perché ribel-le. minimum fax lo riporta in li-breria in questi giorni, pubbli-candolo nella collana Classics con

la traduzione di Tullio Dobner e laprefazione di Fabio Stassi. Comin-

cia alle nove del mattino con un uo-mo curvo e zoppicante che apre una

porta, una massiccia tavola di quercia, incentro a Chicago, all’ultimo piano di un ve-

ITALIANA

Nella specialità “all’italiana”si utilizzano tre bilie,

di colore bianco, giallo e rosso (il pallino), e cinque

birilli, disposti al centrodel tavolo (castello) Lo scopo è colpire

con la propria bilia quelladell’avversario in modo

che quest’ultima o il pallinoabbattano il castello. In base

ai birilli abbattuti si fannopunteggi diversi. Vince

la squadra o il giocatore che raggiunge

per primo i cinquantao sessanta punti

GORIZIANA

Identica alla specialità“all’italiana”, ma al centro

del tavolo da gioco a formareil castello sono disposti

perpendicolarmente novebirilli anziché cinque

Si gioca con tre bilie, le duebattenti (la bianca e la gialla),

e il pallino (la rossa)Ad ogni colpo (bisogna

sempre colpire prima la biliadell’avversario),

si fanno punti in baseai birilli abbattuti. Vince

chi raggiunge il punteggioprestabilito (solitamente

duecento o trecento punti)

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 20 LUGLIO 2008

POOL

Specialità del biliardo“all’americana” (pool). Sonogiochi a tiri dichiarati, dove si utilizzano una bilia battentee quindici bilie numerateNella “palla otto”un giocatore deve imbucarele bilie del gruppo 1-7, l’altroquelle del gruppo 9-15Vince chi imbuca primale bilie del suo gruppo,poi la numero 8. Nel “poolcontinuo”, arrivati all’ultimotiro si riposizionanole quattordici bilie sul tavolo e la rimanente a metàdella linea di fondo

PALLA NOVE

Specialità “all’americana”che si gioca con nove bilienumerate e una bilia battenteA ogni tiro la prima biliacolpita dalla battentedeve essere quella con il numero più basso, ma non è necessarioche le bilie vengano imbucatein ordine numericoPer ultima va imbucatala bilia numero noveSe si effettua un tiro a vuoto,il giocatore entrantedeve tirare dalla posizione in cui la bilia battentesi è fermata

SNOOKER

Gioco molto diffusoin Gran Bretagna e in IrlandaSi disputa su un tavolopiù grande rispetto a quellousato per le altre specialità,con sei buche, quattroagli angoli e due nel mezzodelle sponde lungheNel gioco si utilizzano moltebilie: quindici rosse, seidi vari colori e una biancaLo scopo è imbucare tuttele bilie, prima le rosse,poi quelle colorateQueste ultime devono essereimbucate in modo ordinatodalla gialla alla nera

Minimum fax mandain libreria in questi

giorni Lo spacconedi Walter Tevis

(introduzione di FabioStassi,320 pagine,

11 euro), il romanzoda cui è tratto il filmcon Paul Newman

Tevis è autore anchede L’uomo che caddesulla terra e La regina

degli scacchi,pubblicati entrambi

da minimum fax

Repubblica Nazionale

il raccontoTeorie del complotto Antonio Riva, classe 1896, era stato un asso dei duelli aerei

nella Grande Guerra. Inviato in missione in Cina nel 1919,vi rimase. Non se ne andò nemmeno quarant’anni dopo,quando a Pechino arrivarono i comunisti vittoriosiChe lo fecero processare e condannare a morte con l’accusainfondata di aver tramato per uccidere il loro condottiero

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

L’esecuzione di Antonio Riva avvenneil 17 agosto 1951 fuori dalle mura me-ridionali di Pechino, oltre il Tianqiao,il vecchio Ponte del Cielo. L’italiano,il cui nome cinese era Li Andong, erain ginocchio, con le mani legate die-

tro la schiena, e accanto a lui, nella stessa posizione,c’era Ruichi Yamaguchi, un giapponese, il cui nomecinese era Shan Kou Long Yi. Quando i soldati si avvi-cinarono alle spalle dei due condannati con le Mau-ser puntate sulle loro teste, le poche persone presen-ti, una manciata di comparse portate sul posto, smi-sero di scandire slogan contro gli agenti dell’imperia-lismo accusati di avere voluto uccidere Mao. Dopo idue secchi colpi alla nuca da un altoparlante esplo-sero le note di Oriente Rosso.

Vent’anni dopo si parlava spesso, nella Pechinomaoista, di Antonio Riva, il solo occidentale condan-nato a morte nella giovanissima Repubblica popola-re, e il solo straniero insieme a Yamaguchi ad esserestato giustiziato in seguito alla sentenza di un tribu-nale. Era una storia piena di ombre, raccontata in tan-te, troppe versioni, sulla quale i cinesi preferivanonon soffermarsi. Quando la Rivoluzione culturalenon si era del tutto spenta, e gli occidentali in Cina era-no rari, nell’attesa di essere ricevuto dall’allora primoministro Zhou Enlai, nell’ingresso del Palazzo del Po-polo, chiesi a un funzionario cinese se conoscesse lastoria di Antonio Riva. Non ebbi una risposta perchéun diplomatico italiano presente intervenne brusca-mente cambiando argomento, come per rimediare auna mia gaffe. Per lui evocare il nome di Riva potevanuocere ai rapporti appena diventati ufficiali tra la Ci-na comunista e l’Italia (che fino ad allora riconoscevala Cina nazionalista, relegata nell’isola di Taiwan). Inrealtà la tragica vicenda dell’italiano e del giappone-se, e degli altri condannati a pene detentive nello stes-so processo, apparteneva ormai a un passato remo-to, a uno dei precipitosi e confusi capitoli della storiadel comunismo cinese.

Nelle rivoluzioni l’immaginario e il reale si acca-vallano. Le passioni, i fanatismi, le esigenze politichedel momento dettano, impongono azioni di giustiziasommaria, hanno bisogno di sacrifici simbolici. Rea-li erano i due cadaveri sul prato bruciato dalla roven-te estate pechinese, oltre la Porta del Cielo. Navigava-no invece nell’immaginario i motivi che avevanocondotto al processo, alla sentenza, all’esecuzione.

Sia il prudente diplomatico italiano sia il taciturnofunzionario cinese, nel palazzo affacciato sulla Tia-nanmen, ignoravano quel giorno che lo stesso ZhouEnlai, dal quale stavamo per essere ricevuti, avevasmentito indirettamente l’accusa rivolta ai condan-nati vent’anni prima dal tribunale di Pechino. InfattiZhou Enlai aveva invitato nel frattempo il colonnelloamericano David D. Barret a ritornare in Cina, da do-ve se ne era andato assai prima del processo del 1951.E Barret era un personaggio chiave nella vicenda. Erastato indicato come il mandante del supposto, pro-gettato attentato a Mao del quale Riva e Yamaguchierano stati ritenuti colpevoli. Nel 1944 Barret avevaguidato la missione americana presso la base comu-nista di Yenan, quando americani e cinesi (naziona-listi e comunisti) avevano un unico nemico: il Giap-pone. L’invito di Zhou Enlai rivolto al vecchio alleatoera un’implicita ammissione dell’infondatezza dellasentenza che aveva condotto all’esecuzione nell’a-gosto di vent’anni prima. Zhou non avrebbe mai in-vitato in Cina l’istigatore di un attentato a Mao.

Tutto resta in verità un po’ fluido nella vicenda. Edè per questo che Barbara Alighiero, giornalista e sino-loga, definisce «romanzo» la storia da lei ricostruitanei vent’anni trascorsi in Cina e recentemente pub-blicata col titolo L’uomo che doveva uccidere Mao(ex-celsior 1881, 200 pagine, 16,50 euro). La storia è quel-la di Antonio Riva, raccontata il più fedelmente pos-sibile, attraverso testimonianze e documenti, ma conla consapevole necessità narrativa di dover ricorrereall’immaginario nei momenti in cui il reale si rivelainafferrabile.

E questo accade quando si fruga nell’intimità del-le tragedie umane o si entra nei convulsi, remoti av-venimenti di una rivoluzione. Una rivoluzione cheha come teatro la Cina è spesso un panorama stori-co nebbioso per i miopi occhi degli spettatori occi-dentali. Ho fatto il Chinawatcher (cioè l’osservatoredell’allora enigmatica vita politica cinese, durante laRivoluzione culturale, per alcuni anni, quando vive-vo in Estremo Oriente) e spesso avevo l’impressionedi muovermi in un banco di nebbia, anche se in de-finitiva ad infittire la nebbia eravamo proprio noi,inclini a rendere ancor più difficile quel che era giàuna lotta di potere di non agevole lettura. Un gran-de sinologo, Jonathan Spence, sostiene che chi nonè mai stato in Cina a volte la capisce meglio; e per av-valorare il paradosso cita tre grandi scrittori: Kafka,Calvino e Borges.

Ammantato da un velo romanzesco, il libro diBarbara Alighiero è un ottimo esempio di giornali-smo narrativo, arricchito dalla conoscenza di una si-nologa che ha dedicato gran parte della vita profes-sionale alla Cina. Gli occidentali a Pechino si divide-vano un tempo in due categorie: chi aveva letto Vic-tor Segalen e gli altri. Nel René Leys, un capolavoroletterario ispirato da fatti reali, Segalen vive nella Pe-chino del 1911 in cui muore la dinastia manciù e na-sce la Repubblica. E il suo professore di cinese gli rac-conta (non si sa se millantando o dicendo la verità)la vita a corte, che frequenta di notte, così dice, so-stenendo di essere l’amante dell’imperatrice. Dovefinisce il reale e comincia l’immaginario? Confinevago anche in un altra celebre storia cinese quale èL’Eremita di Hugh Trevor-Roper.

Nel libro di Barbara Alighiero si vive una vicendapiù brutale, ma svoltasi anch’essa in un gioco di luci eombre. Il giorno successivo all’esecuzione vicino alPonte del Cielo, il Quotidiano del Popolo dedicò tre

pagine all’avvenimento, con un titolo a caratteri cu-bitali: «Il caso delle spie americane che preparavanola ribellione armata». Non mancavano i dettagli sulcomplotto ordito per attentare alla vita di Mao, in oc-casione della festa nazionale. Su una piantina dellaTiananmen erano indicati il luogo in cui doveva es-sere collocato il «cannone» e la parabola del proietti-le destinato a Mao, mentre si rivolgeva al popolo diPechino dalla grande tribuna affacciata sulla piazza.La stessa sulla quale era apparso un anno prima do-po la conquista di Pechino. Il piano veniva attribuitoal latitante colonnello Barret, ma l’esecutore eraidentificato nell’italiano Antonio Riva: descritto co-me un astuto capobanda, un fascista, una spia, unmercante d’armi, un avventuriero che con una mis-sione areonautica del suo Paese aveva servito i nazio-nalisti di Chiang Kai-shek per uccidere i comunisti.Non mancavano le fotografie e le copie di documen-ti compromettenti.

La piantina della Tiananmen col «cannone» e latraiettoria del proiettile, attribuita ai cospiratori, erapresentata come una prova irrefutabile. Tutto appa-riva chiaro nel resoconto del Quotidiano del Popolo.Anche se era abbastanza inverosimile, per un osser-vatore obiettivo, che delle persone, sia pure avventu-rose ma con un minimo di buon senso, avessero pro-gettato di attentare alla vita di Mao il giorno della fe-sta nazionale. Proprio sulla Tiananmen, mentre par-lava a centomila persone, protetto da migliaia di po-liziotti e soldati. E con un «cannone» che in realtà eraun vecchio tubo di mortaio, trovato accartocciato, in-sieme a delle munizioni, in casa di Antonio Riva. Il

quale era stato nella sua lunga vita in Cina anche unmercante d’armi.

Antonio Riva fu, almeno in parte, quello che ilQuo-tidiano del Popolo scriveva il giorno dopo la sua ese-cuzione: fascista, mercante d’armi, avventuriero. Fuanche una spia? Questo ritratto deve essere inqua-drato nella Cina in cui l’italiano trascorse grande par-te della sua vita. E allora il significato delle parole ri-sulta molto più fluido. Racconta Barbara Alighieroche quando fu arrestato, il 26 settembre 1950, Anto-nio Riva si trovava nella sua casa di vicolo della DolcePioggia, a Pechino. Il quartiere era addobbato con de-cine di bandiere rosse a cinque stelle gialle, cucite infretta per festeggiare il primo anniversario dell’arrivodei comunisti al potere. Antonio Riva era in bibliote-ca. Aspettando la moglie Catherine, un’americana, ementre i quattro figli giocavano nella stanza accanto,sfogliava un libro della sua biblioteca, ricca di migliaiadi volumi, da Platone alla storia moderna, in latino, ingreco, in italiano, in inglese. E ascoltava una sonata diBeethoven. Aveva cinquantaquattro anni. Era alto,magro, con un portamento militare. I capelli eranogià grigi. Gli occhi grandi. L’espressione era quella diun uomo energico.

Nel 1949 Riva aveva visto arrivare i soldati di Mao,con le loro divise sdrucite e le scarpe di pezza, senzascomporsi, anzi non senza un certo rispetto e unapunta di simpatia. Il nuovo regime avrebbe forse ri-sanato la Cina dalla corruzione e dal disordine. Men-tre quasi tutti gli occidentali se ne erano andati quan-do la disfatta dei nazionalisti era ormai vicina, lui erarimasto. Amava la Cina. Si sentiva a casa. Era nato nel1896 a Shanghai in una famiglia proveniente da Gor-gonzola. Il padre era un commerciante di seta. A do-dici anni Antonio era stato mandato a Firenze, a stu-diare al liceo La Quercia. Finito il liceo era partito vo-lontario ed era stato ferito due volte durante la Gran-de guerra. Era stato decorato della medaglia d’argen-to ed era stato fatto cavaliere dell’Ordine di Savoia.Dal World Aviation Directory, in cui sono elencate leimprese dei piloti distintisi in quel conflitto mondia-le, si sa che conseguì sette vittorie aeree.

Capitano di complemento, nel 1919 era stato man-dato in Cina per preparare i campi d’atterraggio per

un raid Roma-Tokyo, progettato da Gabriele D’An-nunzio e dal poeta giapponese Shimoi. L’impresa fupoi realizzata con due sgangherati aerei da ArturoFerrarin e Guido Masiero. I quali furono chiamati«Marco Polo alati» dagli italiani e «samurai del cielo»dai giapponesi.

Antonio Riva non ritornò in Italia. Rimase a Pechi-no dove aprì una società commerciale, The AsiaticImport and Export, con la quale cercò di vendere unpo’ di tutto, armi e aerei compresi. L’aeronautica ita-liana ebbe un momento di notorietà, se non propriodi gloria, quando Galeazzo Ciano diventò console aShanghai. Con la moglie Edda, il genero di Mussolinidette un forte contributo alla vita mondana della me-tropoli più occidentale di Cina e al tempo stesso in-crementò l’importazione di armi italiane. Creò unamissione aeronautica con un pilota della Grandeguerra, il colonnello Roberto Lordi, che finì col di-ventare capo di Stato maggiore dell’aviazione nazio-nalista cinese, prima di essere richiamato in patriacon l’accusa di corruzione. Lordi aveva conosciutoRiva in guerra e l’aveva fatto segretario della missio-ne. La quale formò una sessantina di piloti cinesi pri-ma nella base di Nanchang, nella provincia di Jiangki,e poi in quella di Luoyang, nella provincia dello He-nan. Secondo il capitano americano Claire Chen-nault, comandante delle Flying Tigers e consiglieredell’aviazione nazionalista durante la guerra contro igiapponesi, gli aerei italiani erano delle trappole e i pi-loti formati dagli italiani erano notoriamente incapa-ci. Questo non impedì che partecipassero ai bom-bardamenti contro le basi comuniste durante laguerra civile. Azioni di cui si ricordarono i giudici delprocesso del 1951.

Non era poi tanto complicato costruire un atto diaccusa per spionaggio contro un occidentale comeAntonio Riva. La sua navigazione politica era statainevitabilmente zigzagante, Aveva venduto armi allaCina nazionalista, il governo ufficiale della Repubbli-ca, e non aveva certamente trascurato i numerosi si-gnori della guerra. I nazionalisti si erano poi alleaticon i comunisti per combattere gli occupanti giap-ponesi, e avevano infine ripreso la guerra civile con icomunisti dopo la sconfitta dei giapponesi. Durante

L’italiano giustiziatonel nome di Mao

BERNARDO VALLI

La vicenda è riportataalla luce da un librodella giornalistae sinologaBarbara Alighiero

Repubblica Nazionale

La moglie americanaCatherine e le molteparentele e conoscenzeinsospettironoi rivoluzionari

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 20 LUGLIO 2008

il Secondo conflitto mondiale Riva era diventato uninevitabile alleato degli occupanti giapponesi, poi-ché l’Italia fascista era alleata del Giappone imperia-le. Era stato arrestato dai nazionalisti alla liberazionee a tirarlo fuori dal carcere era stato il colonnello Bar-ret, accreditato presso Chiang Kai-shek, ma cono-sciuto anche dai comunisti, con in quali aveva colla-borato durante la guerra contro i giapponesi. Barretera un amico di Antonio Riva. Era americano comesua moglie Catherine. E Bettina, sorella di Catherine,era una scrittrice americana sposata con un diplo-

matico inglese. Per i comunisti cinesi appena arriva-ti al potere tante parentele e conoscenze di AntonioRiva erano compromettenti.

Tarcisio Martina, vescovo della diocesi di Yixian eprefetto apostolico di Pechino, fu arrestato insieme aRiva e fu imputato nello stesso processo. Non fu giu-stiziato. Quando fu liberato nel 1954 muoveva frene-ticamente senza sosta le mani come se stesse ancorariempiendo le scatole di fiammiferi. Mille, duemilascatole, tante ne doveva riempire ogni giorno quan-do era in prigione. I cinesi avevano la memoria lunga

e non avevano dimenticato che il Vaticano aveva ri-conosciuto di fatto il regime fantoccio del Man-ciukuo, creato dai giapponesi durante l’occupazio-ne. Anche il tedesco Walter Genthner, un commer-ciante, il francese Henri Vetch, un editore, e l’italianoQuirino Vittorio Gerli, un tempo responsabile delledogane cinesi, tutti processati insieme ad Antonio Ri-va e al giapponese Yamaguchi per il supposto atten-tato a Mao, furono rilasciati pochi anni dopo. Comese la giustizia rivoluzionaria cinese volesse sbaraz-zarsi della vicenda.

ILLU

ST

RA

ZIO

NE

DI G

IPI

Henri Bergson

L’energia spiritualeUn classico del Novecento filosofico

BernhardWaldenfels

Fenomenologiadell’estraneoIl paradosso dell’esperienza estranea

Eugen Fink

Oasi del giocoIl gioco come oasinella nostra inquietudine

Enrico Jones

L’azione terapeuticaUna guida alla terapia psicoanalitica

Alberto Oliverio

Geografia della menteTerritori cerebralie comportamenti umani

C.G.Cortese, A.Del Carlo

La selezione del personaleDalla ricerca all’inserimento in azienda:come scegliere il candidato migliore

Novità

www.raffaellocortina.itwww.raffaellocortina.it

Clifford Geertz

IslamLo sviluppo religioso in Maroccoe in Indonesia

Repubblica Nazionale

Aleksandra Kollontaj, prima donna ministro nel governodei Soviet, prima donna ambasciatrice, teorica dei rapportitra sessi per il nuovo Stato. Bollata come “incendiaria”

dai nemici, come vera rivoluzionaria dai solidali e come restauratricedai detrattori, in questi scritti inediti in Italia tenta la sintesi dialetticatra “l’insana libidine” della società borghese e il vero affetto dei bolscevichi

CULTURA*

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

comunista metterà sempre gli interessidel collettivo. «Per quanto grande sia l’a-more che lega i due sessi, per quanto nu-merosi siano i legami di cuore e di spiritoche intesse fra loro, i vincoli dello stessotipo con l’intera collettività debbono es-sere ancora più forti, più numerosi, piùorganici. La morale borghese esigeva:tutto per l’essere amato. La morale prole-taria prescrive: tutto per il collettivo».

Il tempo smussa il tono e il senso dellepolemiche. In qualche caso, le rende ad-dirittura incomprensibili. Questa letteradella Kollontaj al suo «giovane amico» ri-sale al 1923, l’anno in cui, con il lancio del-la Nep (Nuova politica economica) il re-gime sovietico tentava di mettere riparoagli eccessi dei primi anni della Rivolu-zione, Luigi Cavallaro, in una stimolanteprefazione al testo della Kollontaj nonesita a definire questo testo «incendia-rio» tanto da provocare all’autrice criti-che durissime del suo partito e una fama,che dura nel tempo, di femminista antelitteram. A distanza di quasi un secolo, èpossibile anche, al contrario, leggerequesto breve testo come l’invito, rivolto auna gioventù irrequieta, a chiudere la fa-se del disordine sentimentale e sessualeche aveva contrassegnato gli anni dellaprima fase rivoluzionaria, e a “rientrarenei ranghi”, rinunciando al disordinesessuale, pericoloso per il fisico e per lospirito, mettere al primo posto l’impe-

gno per il collettivo.La data, del resto, è significativa.Con le prime leggi emanate dal

potere sovietico era stata san-cita l’assoluta uguaglianza

tra uomo e donna nella so-cietà e nella famiglia,

era stato reso legalel’aborto, il matri-

monio, registra-to o sciolto di

fronte a unqualun-

que uf-f i -

cialedi sta-to civile,non com-portava alcunimpegno dei co-niugi tra loro e as-sai limitati nei con-fronti dei figli. Fu un pe-riodo dunque di assolutalibertà individuale e disordi-ne. Con la introduzione dellaNep, tuttavia, se non si veniva an-cora a proporre una revisione delleleggi sulla famiglia e sull’aborto (revi-sione che giungerà negli anni successi-vi) si riconosceva tuttavia l’importanza diuna vita familiare più regolare e regolata.Il testo della Kollontaj non va ancoraesplicitamente in questa direzione, ma ilsuo ripetuto appello all’esigenza di met-tere sempre al primo posto gli interessidel collettivo sembra indicare quellastrada.

Compagna femministanel partito dell’ordineMIRIAM MAFAI

Una spregiudicata femmi-nista ante litteram? Unadisinvolta teorica del “li-bero amore”? Una soste-nitrice di quella riprove-vole teoria del “bicchier

d’acqua” (si beve quando si ha sete, si haun rapporto sessuale quando lo si desi-dera), che già venne condannata a suotempo da Lenin come «antimarxista eantisociale»? Niente di tutto questo, aleggere il testo di Aleksandra Kollontajche oggi ci viene riproposto con il suo ti-tolo originale Largo all’Eros alato e già iltitolo anticipa il tono e il contenuto diqueste pagine, un centinaio appena, conle quali la dirigente bolscevica, l’amica diBucharin e di Lenin, prima donna mini-stro nel governo dei Soviet, prima donnaad assumere l’incarico di ambasciatore,si rivolge a un giovane compagno perspiegargli, con attenzione pazienza e te-nerezza, cos’è l’Eros, nelle sue varie de-clinazioni. C’è infatti l’Eros alato, «intes-suto di una sottile trama di svariatissimeemozioni d’ordine spirituale e morale» el’Eros senz’ali, «attrazione sessuale sen-za radici spirituali e morali». E non esita a«storicizzare» il sentimento d’amor, aspiegare che anche questo sentimentopuò evolvere e cambiare, come in effettievolve e cambia a seconda delle epoche edella struttura della società.

«Mio giovane compagno, mi chiedetequale sia il ruolo che l’ideologia proleta-ria assegna all’amore. Quel che vi turba èche la gioventù lavoratrice sia attual-mente più occupata dall’amore e da tut-te le questioni connesse che dai grandicompiti con i quali la repubblica dei la-voratori deve misurarsi». E allora, pa-zientemente, la dirigente bolscevica rac-conta al suo giovane interlocutore lemolte forme che può assumere, che con-cretamente ha assunto nel corso dellastoria dell’umanità quello che si defini-sce «l’enigma dell’amore». Nelle diffe-renti tappe del suo sviluppo storico, l’u-manità ha tentato di risolvere «la que-stione della relazione tra i sessi in diversimodi. Le chiavi cambiano, ma l’enigmarimane tale. Esse dipendono dall’epoca,dalla classe, dallo spirito del tempo (lacultura)».

Come esempio dell’amore «determi-nato dai vincoli del sangue», la Kollontajricorda Antigone che, rischiando la pro-pria vita, fa sotterrare il corpo del fratello;come esempio dell’amore-amicizia ri-corda la gloria di Castore e Polluce; comeesempio dell’amore-cavalleresco ricor-da quel sentimento platonico che spingeil cavaliere non tanto verso l’amata quan-to verso gesta eroiche. E così, man manolungo i secoli, cambia, il sentimento d’a-more, spiega la dirigente bolscevica, an-che a seconda delle esigenze, della cultu-ra delle varie società, dalle società primi-tive a quelle feudali fino a quando «gliideologi rivoluzionari della borghesia inascesa produssero un nuovo ideale del-l’amore: quello che unisce in sé due prin-cipi, uno carnale, l’altro morale». Siamodunque alla famiglia borghese «fondatasulla volontà di impedire la dispersionedel capitale tra i figli naturali e di assicu-rare la concentrazione del capitale».

Ma se con il cambiare delle strutturesociali, nel corso dei secoli, cambia, assu-mendo sempre nuove forme, il senti-mento d’amore, cosa accadrà di Erosquando, finalmente sconfitta la borghe-sia capitalistica, il proletariato avrà con-quistato il potere? È esattamente la con-dizione in cui si trova l’Urss in quegli an-ni e la Kollontaj, autorevole dirigente delpartito che ha conquistato il potere, spie-ga al giovane ignoto compagno che si è ri-volto a lei, quali debbano essere, quali sa-ranno le caratteristiche di questo nuovo«amore da compagni». Con la conquistadel potere da parte del proletariato, assi-cura, verrà superata, anche in amore, lacultura fondata sull’istinto di proprietà,sull’idea di possesso totale ed esclusivodell’altro (in genere dell’altra) che ha rag-giunto il suo massimo nella società bor-ghese. Non si andrà, tuttavia, si badi be-ne, né verso «l’insana libidine» né verso lapoligamia o la poliandria (ambedue dan-nose per il fisico e per lo spirito) ma versouna «complessa e intrecciata rete di vin-coli spirituali e morali, grazie ai quali siconsoliderà la collettività sociale dei la-voratori».

Al primo posto, comunque, un buon

L’immaginegrandeè la locandinadi un filmsovieticodel 1926, Il delittodella contessaShirvanskaya(tratto dal libroStenbergBrothers:Constructinga Revolutionin Soviet Design,The Museumof Modern Art,New York)A sinistra,AleksandraKollontaj

La militante scrive a un giovaneinterlocutoreimmaginario:“Le chiavi cambiano,ma l’enigma rimaneEsse dipendonodall’epoca,dalla classe,dalla cultura”

Ed

izio

ni

Ded

alo

ww

w.e

diz

ion

ide

da

lo.it

In una raccolta di saggi,che vanno dal 1942 al1962, l’originalissima e fe -conda ricerca sull’imma-ginazione, l’inconscio, lapaura, i sogni, di uno deifilosofi che più pro fon da -men te hanno segnato lacul tura del nostro tempo.

Gaston Bachelard

Il dirittodi sognare

nuova edizione

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 20 LUGLIO 2008

Qual è dunque l’ideale amoroso dellaclasse operaia? Quali sono i sentimen-ti e le emozioni che l’ideologia proleta-ria pone alla base dei rapporti tra i ses-si? Abbiamo già constatato, mio giova-ne compagno, che ogni epoca ha il suo

ideale di amore, che ogni classe, nel proprio inte-resse, vuole introdurre nella nozione morale del-l’amore i contenuti che le sono propri. Ogni faseculturale, portando con sé le più ricche emozioniumane nel campo spirituale e morale, ridipingecon i propri colori i toni delicati delle ali di Eros. [...]

Sotto l’azione delle forze economiche e sociali,l’istinto biologico di riproduzione, che ha determi-nato i rapporti sessuali nei primi stadi dello svilup-po dell’umanità, ha subito due degenerazioni in di-rezioni diametralmente opposte. Da un lato, peruno scopo riproduttivo, sotto la spinta di rapportisocio-economici abnormi, e in particolare sotto ildominio del capitalismo, il normale istinto sessua-le, la normale attrazione tra i sessi, sono degenera-ti in malsana libidine. L’atto sessuale si è trasfor-mato in uno scopo a sé stante, in strumento perprocurarsi un “godimento supplementare”, inconcupiscenza esacerbata da eccessi e perversio-ni, sotto la spinta di un’artificiale esaltazione dellacarne. Se un uomo si lega a una donna, non è piùperché una sana inclinazione sessuale lo ha forte-mente attratto verso quella donna in particolare; alcontrario, senza provare ancora alcun bisogno ses-suale, l’uomo cerca la donna la cui presenza risve-gli in lui l’attrazione sessuale e gli permetta così digodere attraverso l’atto sessuale fine a se stesso. Suquesto è costruita la prostituzione. [...] Nella suaforma attuale, l’amore è uno stato d’animo estre-mamente complesso, che si è da molto tempo al-lontanato dalla sua primitiva fonte (l’istinto biolo-gico di riproduzione) e spesso si trova perfino innetto contrasto con essa. L’amore è una sorta di

Ideologia proletariae collettivismo dell’Eros

ALEKSANDRA KOLLONTAJ

Non erano proprio possibili liberazione ses-suale, uguaglianza e parità negli anni Ven-ti della Nep, la Nuova politica economica

leninista che reintroduceva alcuni elementi delcapitalismo e ripristinava la centralità della fa-miglia. Largo all’Eros alato, (Il Melangolo, 70 pa-gine, 9 euro, dal 25 luglio in libreria) di Aleksan-dra Kollontaj — rivoluzionaria russa che sischierò con Lenin diventando commissario delpopolo ma poi, polemica con il partito, fu estro-messa dall’incarico e avviata alla carriera diplo-matica — infuoca gli animi e spiega perché. L’E-ros alato (di cui anticipiamo qualche passaggioin queste pagine), pubblicato nel’23 su una rivi-sta e duramente criticato dal partito comunista,è il potere che libera, è la forza a cui le donne pos-sono attingere per ottenere la parità dei diritti: di-vorzio, riconoscimento delle unioni di fatto, pa-rificazione dei figli legittimi e di quelli nati fuoridel matrimonio, aborto e piena libertà sessuale.Ma l’Eros alato, secondo Kollontaj, è anche unatesi più “globale“, è una possibilità di riscatto perl’intera umanità.

(Ambra Somaschini)

Libertà sessuale

conglomerato, un complesso insieme formato dipassione, di amicizia, di tenerezza materna, di in-clinazione amorosa, di comunanza di spirito, dipietà, di ammirazione, di abitudine, e di molte al-tre sfumature sentimentali ed emotive. Di fronte auna simile complessità, è sempre più problemati-co stabilire un nesso diretto tra voce della natura,Eros senz’ali (l’attrazione fisica dei sessi), ed Erosalato (l’attrazione carnale mista a emozioni spiri-tuali e morali). L’amore-amicizia, nel quale non v’èalcuna componente fisica, l’amore spirituale peruna causa o un’idea, l’amore impersonale per lacollettività: tutti questi fenomeni sono la testimo-nianza di quanto il sentimento d’amore si sia di-staccato dalla sua base biologica, di quanto si sia“spiritualizzato”.

[...] Per millenni, una cultura fondata sull’istintodi proprietà ha inculcato negli uomini la convin-zione che il sentimento d’amore aveva anch’essocome base il principio della proprietà. L’ideologiaborghese ha messo in testa alla gente l’idea che l’a-more, compreso l’amore reciproco, dava il dirittodi possedere interamente e senza spartizioni il cuo-re dell’essere amato. Quest’ideale, questo esclusi-vismo nell’amore, derivava naturalmente dallaforma di unione coniugale stabilita e dall’idealeborghese di “amore totale ed esclusivo” tra gli spo-si. Ma può forse un simile ideale corrispondere agliinteressi della classe operaia? [...]

L’essere esclusivi in amore, l’essere “totalmenteassorbiti” dall’amore, non può costituire l’idealedei rapporti tra i sessi dal punto di vista dell’ideolo-gia proletaria. Al contrario, lo scoprire che Eros ala-to è multiforme e multicorde non produce nel pro-letariato né orrore né indignazione, come avvieneper l’ipocrita morale borghese. Al contrario il pro-letariato tenterà con tutte le sue forze di indirizzarequesto fenomeno (risultato di complesse cause so-ciali) nella direzione corrispondente ai suoi compi-ti di classe in un dato momento della lotta, in un da-to momento della costruzione della società comu-nista. [...] L’ideale d’amore della classe operaia, chediscende dalla cooperazione nel lavoro e dalla soli-darietà di spirito e di volontà dei membri di questaclasse, uomini e donne, si differenzia naturalmen-te, sia per la forma che per il contenuto, dalle no-zioni dell’amore proprie alle altre epoche culturali.Ma cos’è l’amore da compagni? Significa forse chel’austera ideologia della classe operaia, elaboratanell’atmosfera arroventata delle lotte per la dittatu-ra del proletariato, vorrà scacciare senza pietà il te-nero e fremente Eros alato dai rapporti sessuali? As-solutamente no. Non solo l’ideologia della classeoperaia non ha intenzione di abolire Eros alato, maal contrario essa libera la strada al riconoscimentodel valore dell’amore come forza psico-sociale. Lamorale ipocrita della cultura borghese ha strappa-to senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgar-gianti di Eros, obbligandolo a frequentare unica-mente le “coppie legittime”. Al di fuori del matri-monio, l’ideologia borghese lascia posto unica-mente a un Eros senza piume e senza ali: l’unionesessuale momentanea, sotto forma di carezze com-perate (prostituzione) o rubate (adulterio).

La morale della classe operaia invece, nella mi-sura in cui ha già iniziato a cristallizzarsi, trascuracompletamente la forma esteriore che possono as-sumere i rapporti d’amore tra i sessi. Per ciò checoncerne gli obiettivi di classe del proletariato, è deltutto indifferente che l’amore assuma la forma diun’unione duratura e legalizzata o che si esprimasemplicemente in una relazione passeggera. L’i-deologia della classe operaia non impone alcun li-mite formale all’amore. Al contrario, fin da ora es-sa guarda soprattutto al contenuto dell’amore, del-le sfumature sentimentali ed emozionali che uni-scono i due sessi. [...] Eros senz’ali è contrario agliinteressi della classe operaia. In primo luogo, con-duce inevitabilmente a degli eccessi, e di conse-guenza a un esaurimento fisico che non può che di-minuire l’energia lavorativa dell’umanità. In se-condo luogo, rende l’animo sterile, ostacolandocosì lo sviluppo e il rafforzamento dei legami spiri-tuali e dei “sentimenti di simpatia”. In terzo luogo,è di solito basato sull’ineguaglianza dei diritti neirapporti sessuali, sulla dipendenza della donna neiconfronti dell’uomo, sulla fatuità e sulla rozzezzamaschili, il che può unicamente frenare lo svilup-po del sentimento di solidarietà fra compagni.

Traduzione Claudio Fracassi© 2008 Il nuovo Melangolo Srl, Genova

Repubblica Nazionale

Appena uscito nelle sale degli Stati Uniti il piccolospazzino meccanico creato dalla Pixar ha spaccatoil Paese. C’è chi accusa il film di animazione

di essere un manifesto antiamericano e chi approva la sua morale ecologistaMa “Wolli” è soprattutto un irresistibile eroe che, solo in un mondo distruttoe abbandonato dall’uomo, continua a fare il suo lavoro: pulire il pianeta

SPETTACOLI

Con quegli occhionistrappacuoreche ci guardano in silenziocon la malinconiadi un E.T., è un pugnoallo stomacoper il consumismo

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

Creaturina ammaccata che sembranata dall’amore tra una raccolta dif-ferenziata e un termovalorizzatore,con quegli occhioni strappacuoreche ci guardano in silenzio con la ma-linconia di un E.T. e la disponibilità

del robottino numero 5 di Corto circuito, Wall-E èil più tenero, doloroso, abile pugno nello stomacodell’ecoscetticismo e del consumismo che la fan-tasia della Pixar Disney e l’arte della computer ani-mation potessero produrre. Se Juno, la fiaba edifi-cante della ragazza che in extremis rifiuta l’abortoe accetta la propria gravidanza, fu assunto comel’improbabile manifesto dei crociati pro-vita, cosìle avventure dell’ultimo abitante meccanico dellaTerra trasformata da noi umani in un’immensa einabitabile discarica fa quello che neppure milledocumentari ecologisti con le loro prediche e sta-tistiche riuscirebbero a fare. Ci costringe, passan-do attraverso i bambini ai quali è fintamente desti-nato per arrivare in realtà agli adulti, a vergognar-ci per quello che stiamo facendo di noi e a noi.

Era probabilmente dal 1968, dall’uscita di 2001:Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e ArthurClarke, che un film di pura fantasia pseudoscienti-fica, e in questo caso addirittura di animazione pu-ra, non aveva costretto i critici e il pubblico a tor-nare a casa dai multisala avvolti in una inquietudi-ne mescolata a confusione, e poi a tornare sopra al-le immagini e alle sequenze cercando di capire e diinterpretare. Come il film di Kubrick cadde pro-prio alla vigilia dello sbarco sulla Luna, nutrendo-si quindi dell’ansia per una realtà imminente, cosìquesto cade nel grembo di nazioni lacerate tra lavoglia di continuare spensieratamente a consu-mare e sporcare e il timore di scoprire che stiamodavvero bruciando la casa nella quale abitiamo.

Wall-E è un robot del Ventottesimosecolo, set-tecento anni dopo di noi (abbiamo ancora un po’di tempo, dunque), un super trash compactor, co-me quella macchine che nelle cucine americane enei condomini nuovi raccolgono l’immondizia e lacompattano, per renderla più trasportabile e me-no ingombrante. Il suo nome, che si pronuncia co-me «Wally», è il realtà l’acronimo composto dallasua complicata e arida designazione tecnica (im-

maginaria): Waste Allocation Load Lifter — EarthClass, sostanzialmente un automa-scopa per ri-fiuti terrestri, pronipote di quei robottini che i do-cumentari futuristi degli anni Cinquanta mostra-vano nelle cucine e nella case, come servizievoli edefficientissime colf per sollevare casalinghe già al-lora disperate dalle faccende domestiche.

Ma non ci sono più né padrone di casa cotona-te né papà imbrillantinati che escono all’alba perandare al lavoro, né bambini, né animali, eccettol’ultimo essere sopravvissuto alla devastazionedel pianeta, il proverbiale e inestirpabile scara-faggio, attorno a Wall-E che continua diligente-mente, nonostante le ammaccature, la ruggine ela solitudine, a raccattare, spostare e ammontic-

chiare rifiuti, secondo il proprio programma. E aguardare verso il cielo con quegli occhi tristi a bi-nocolo e con l’espressione del cane che attendeun padrone che non tornerà più. Dove sia andatoa finire il padrone, se ancora esista da qualche par-te della Galassia, lo scoprirà chi andrà a vedere ilfilm, ma non ci si aspettino happy ending rassicu-ranti a questa favola.

Ci si possono invece attendere migliaia di “per-ché” a papà e mamme chiesti dai bambini che an-dranno a vederla, come migliaia di “perché” si so-no chiesti prima i critici cinematografici, poi icommentatori in vena di socio-ecologia sul LosAngeles Times, il New York Times, la Village Voice ela foresta di blog, prima sorpresi, poi turbati, poi

VITTORIO ZUCCONI

L’ultimo robot rimasto sulla Terra

MARIAÈ il primo robot della storia

del cinema nel film

Metropolis di Fritz Lang

(1927). Creato con fattezze

femminili, guida gli operai

alla rivolta contro i padroni

Finirà sul rogo

GORTRobot metallico gigante

del film Ultimatum alla Terra(1951). Guardia del corpo

dell’alieno Klaatu, quando

questi viene ucciso scatena

la sua furia distruttrice

È fermato solo da una donna

ROBBYFra i protagonisti del film

Forbidden Planet, il robot

Robby è una delle creazioni

del dottor Morbius. All’epoca

(1956) costò la cifra

mai raggiunta per il cinema

di 125 mila dollari

R2-D2 (ARTOO-DETOO)Astrodroide della saga

di Star Wars (1977-2005),

è specializzato

in riparazioni

e nell’interfacciarsi

con qualunque computer

È dotato di un fine umorismo

IL PROTAGONISTAÈ l’acronimo di WasteAllocation Load Lifters -Earth Class. Nel film

d’animazione della Pixar,

che uscirà in Italia

il prossimo 17 ottobre,

è un instancabile robottino

creato con la missione

di ripulire dai rifiuti una Terra

ormai invivibile. Dopo

settecento anni di servizio

Wall-E si ritrova solo

Gli uomini sono fuggiti

C-3POÈ un droide protocollare

della saga di Star WarsHa un aspetto antropomorfo

e un portamento elegante

Compagno inseparabile

di R2-D2, è in grado

di tradurre il suo linguaggio

agli esseri umani. Proviene

dal pianeta Tatooine

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 20 LUGLIO 2008

«love conquers all», amor omnia vincit. Non il Set-timo cavalleria dei vecchi western fasulli o qualchemuscoloso eroe anabolizzato alla maniera del “Go-vernator” Arnold Schwarzenegger.

Noi stessi, invece. Quegli esseri umani oggiipnotizzati dalla pubblicità, storditi tra i richiamidei supermegastore diffusi dalle supermegacor-poration, ingolfati da merendine e bibite zucche-rose ingurgitate davanti allo schermo piatto Lcdche lentamente atrofizza il cervello come i mu-scoli, che abbiamo a portata di mano, se lasciassi-mo cadere il telecomando e la lattina, la stessa ca-pacità di risolvere quei problemi che abbiamocreato, con la nostra creatività. Espressa dallaquella vite e quel bullone che il robot Wall-E por-ta con sé come souvenir prezioso di un’umanitàche a lui pare straordinariamente ingegnosa e del-la quale ha l’inconsolabile nostalgia dell’orfano.Soluzione e perdizione, annientamento o salvez-za sono alla portata del nostro ingegno, ci implo-ra con quello sguardo da “E.T. chiama Al Gore” ilrobot. Se sceglieremo la strada del di più, dell’an-cora, del più comodo, del più grosso, il futuro è in-vece questo. Una terra morta e fuligginosa abita-ta soltanto da un “operatore ecologico” artificialeche passa il proprio tempo ostinatamente a spo-stare la monnezza da qua a là, da sopra a sotto, dadestra a sinistra, da una discarica all’altra, per na-sconderla agli occhi. Neanche il futuro fosse già ilpresente.

anche irritati, dalla morale anticapitali-sta, anticonsumista, antiscettica, che ilrobottino fa, pur senza dire quasi maiuna parola per i primi quaranta minuti,neppure nel suo linguaggio da R2D2 diGuerre Stellari. «Se questo film l’avessefatto un Michael Moore o qualche regi-sta europeo con la puzza sotto il nasoavremmo gridato al manifesto di sini-stra antiamericano», ha scritto il Los An-geles Times citando un blogger. «Non c’è

dubbio che sia una parabola ecologistasincera e seria, ma non semplicistica», ha

capito il critico del New York Times al qua-le è piaciuto moltissimo.E se l’idea della macchina antropomorfa e

dell’apocalisse autoinflitta attinge a un oceanodi letteratura e di cinema di genere — da A.I. di

Spielberg all’I am legend di Francis Lawrence pas-sando per tutti i film sulla morte delle città, per leleggi della robotica di Isaac Asimov e per Io, Robotdel 2004 — l’ipotesi di un’umanità soffocata dalproprio successo, sconfitta dalla propria inconti-nenza, e alla fine esiliata dalla propria casa ormaiinabitabile, arriva per la prima volta ai bambini. Macon una proposta implicita e ambigua, che potreb-be essere l’ipotesi di un lieto fine e di una soluzio-ne. Non l’amore, che sarebbe troppo comodo, an-che se il nostro struggente cassonetto automa tro-verà pure quello, perché comunque, a Hollywood,

ROBOCOPCyborg umanoidedel film omonimo

del 1987, è costruitocon parti organiche

umane del poliziottoAlex Murphy (fra cui

il cervello), protesimetalliche e un sistema

informatico

OPTIMUS PRIMENel film Transformers (2007),è il capo degli Autobotdi Cybertron, giuntisulla Terra alla ricercadella potente energia AllsparkIl suo nemico è Megatron,capo dei malvagi Decepticon

Quando caldo e faticati buttano giù, scegli

la forza del numero uno

Repubblica Nazionale

Giochicoppiadi

i saporiAffinità elettive

La tradizione: pane e salame, prosciutto e melone, mozzarellae pomodoro, formaggio e pere... L’innovazione: riso e pinomugo, carota e ricciola cruda, seppie e latte di cocco...È questa la stagione degli abbinamenti sorprendentiche promettono leggerezza e piacere

A metà strada tra i piatticonsacrati e quelli nuovissimistanno le suggestioni “world”:ostriche e birra dall’Irlanda,gamberi e avocado dal Messico

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

LICIA GRANELLO

«Mangiamo pane e salame…», cantava Francesco De Grego-ri, immortalando in musica uno dei tandem golosi più tra-dizionali, trasversali, irresistibili. Fette ruvide di pane cafo-ne (non è un insulto classista, ma uno dei pani contadinipiù buoni del mondo) o sfiziosi panini alle cipolle, finoc-chiona (non è un insulto sessista, ma il salame fiorentino

aromatizzato col finocchietto selvatico) o cacciatorini, più che l’ingrediente singolopoté l’interazione dei sapori.

Pane e salame — o con la meravigliosa mortadella — è di per sé un’icona dei tandemad alto tasso di piaciosità. Perché dà pari dignità a entrambi gli ingredienti, come te-stimonia la “e” che li congiunge. Certo, il pane buono si sbocconcella volentieri ancheda solo. Il salame, poi, è (apparentemente) più pregiato. Ma che sarebbe di lui senza ilpane? Puoi rubarne una fettina, addentarne un’altra, ma subito dopo — spesso ancheprima! — lo sguardo cerca l’agognato cestino.

In cucina, come nella vita, gli incontri del cuore avvengono per affinità elettive (caffèe cioccolato amaro) o per complementarietà (burro e alici). Accertato che in bocca idue non litigheranno né si ignoreranno, provocando smorfie disgustate («è orribile»)o espressioni perplesse («ma questo piatto non sa di niente»), tutto è possibile, dal-l’accostamento più strampalato a quello ipertradizionale.

Se la storia della cucina si porta appresso una scia di ingredienti abbinati per neces-sità o goduria, l’esplosione dell’estate — caldo irritante per i forzati della città, pranzilievi e cene sfiziose per i vacanzieri — coincide con l’esplosione delle nuove coppie ga-stronomiche, nate per mettere insieme appetibilità e sali minerali, leggerezza e pala-ti felici. Così, i giochi di coppia fondono la sapidità del prosciutto con la dolcezza di fi-chi e meloni, il delizioso acidulo dei frutti di bosco si acquieta nella morbida grassez-za della panna (liquida per i palati più fini), i sentori piccanti e robusti dei formaggi sta-

gionati vengono magicamente avvolti dalla rugosa dolcezzadelle pere.

Ma la tradizione non basta. O meglio: se la tradizione non èche l’innovazione sedimentata nel tempo, a volte è sufficientevolerla riscoprire e ripensare. Da questo punto di vista, lo smi-surato allargamento dei confini del mondo è di grande aiuto.Per esempio, ostriche&birra, ovvero il cuore stesso del secola-re menù di Capodanno in Irlanda: fusione setosa di salmastroe amaricante (la birra è rigorosamente stout). Gamberi e avo-cado, inseguimento di dolcezze made in Mexico. In quanto aiménages à trois, dai russi abbiamo imparato che caviale e pan-na acida necessitano comunque di un supporto farinaceo —patate o focaccine (blinis) —; dai giapponesi che il pesce cru-

do si esalta con soia e wasabi (rafano verde).I protagonisti della nuova cucina mandano a memoria storia e tecniche, poi riela-

borano, adattano, inventano. L’atesino Norbert Niederkofler, innamorato di gusti eprofumi delle Dolomiti, ha scelto il pino mugo — l’odore intenso e resinoso che tutti ibambini di ieri ricordano come Viks Vaporub — per accompagnare a braccetto il riso.Il siciliano Ciccio Sultano in un’alba di attesa dei pescatori sulla spiaggia di Ragusa hascoperto l’incredibile soavità della carota con la ricciola cruda. Paolo Lopriore, nellasplendida Certosa alle porte di Siena, associa gli gnocchi di patate al limone candito.E Ferran Adriá ha costruito un pezzetto della sua gloria elaborando un raviolo con laseppia tirata a sfoglia, ripieno di latte di cocco, pronto a esplodere al primo morso.

In caso foste a corto di idee, ricordate che frutta fresca e pesce crudo, frutta sec-ca e selvaggina (ma anche maiale), verdure crude e latticini si danno facilmentedel tu, coppie in fieri che vanno semplicemente scelte, interscambiate, godute. Senon funziona, potete sempre tornare agli antichi amori: tutto sommato, pane e sa-lame non delude mai.

Cacio& pereRivisitando il classicoabbinamento contadino,la compagnadel pecorino stagionatoviene servitaa mo’ di gelatinaLa chef maremmanaValeria Piccini assemblai due come farcitura nei tortelli serviticon salsa di rape

Prosciutto & meloneAltro tandem ad altotasso galenico (scuolamedica salernitana):secco e umido, caldoe freddo. Da Parmae San Daniele le fetteche assecondanola soavità della frutta,mentre i salumi umbri,toscani e avellinesi fannorisaltare il contrasto

Fragole & pannaGolosissimol’accostamento fruttidi bosco-crema di latte,montata o liquida. Pressol’Abbaye St. Ambroixdi Bourges, FrançoisAdamski offre un biscottocon fragole e pannaal pepe con bonbondi cioccolato biancoal peperone

Pizza& fichiCosì banalmente buonada essere usata in modoriduttivo (mica pizzae fichi!) Al contrario,alternando bocconidi focaccia calda,croccante, salatacon sale grosso, e i fichipiù dolci d’estate,il risultatoè davvero godurioso

Pomodoro & mozzarellaGli ingredientidella Caprese spessosono trasformatiin ricette sfizioseNel suo locale sul Navigliomilanese, NicolaCavallaro serve dei tortellifarciti con pomodoroconfit, su dadinidi mozzarella tiepidae schiuma di basilico

Gamberi& ciliegieI crostacei sono amati dai cuochiper la loro capacità di sposarsicon sapori insoliti. Strepitosala zuppa fredda di ciliegiecon gamberi e gelato di zenzero,ideata dal catalano Joan Roca,del Celler de Can Roca, a Girona

Avventure d’estatedestinate a durare

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 20 LUGLIO 2008

itinerariNato in Campania,ma trapiantatonel cuoredella Lombardia,il giovane IlarioVinciguerraha affascinato

i giurati dell’ultimo “Mejorde la gastronomia”con l’abbinamentotra gin tonic e gamberi,ricetta che gli è valsail primo premio

A un passodalla capitalelombarda, la casabella e coltadi Maurizio Galliganie Giovanna Cantonipropone piattidella storia culinariatoscana in versionemodernae mai banale,

come nel caso della pappa col pomodoroe della minestra col pane

DOVE DORMIREHOTEL QUATTRO STRADEVia Montenero 124Tel. 02-99026464Camera doppia da 85 euro

DOVE MANGIARELA REFEZIONEVia Milano 166Tel. 02-9958942Chiuso domenica, menù da 50 euro

Marco Dallabonasi è guadagnatostella Micheline clientelasuper affezionataricercandocon passioneil megliodella gastronomiaregionaleTra i suoi piatti,

la polentina morbida con fonduta di formaggioe la crema cotta di Parmigiano con pere

DOVE DORMIRELOCANDA DEL LUPOVia Garibaldi 64 Tel. 0524-597100Camera doppia da 110 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARESTELLA D’ORO (con camere)Via Mazzini 8Tel. 0524-597122 Chiuso lunedì, menù da 40 euro

Nella terradei tradizionalitandemgastronomicicon le verdureprotagoniste, Ettoredi Giulio Cesareoffre una capresedi grande intensità,a base di pomodori“cuore di bue”

di Sorrento, basilico, extravergine e mozzarellafiordilatte tutti di produzione locale

DOVE DORMIRETORRE BARBARACorso Caulino 77 (S.S. per Vico Equense)Tel. 08-8029209Camera doppia da 100 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARESTONES.S. Sorrentina 145, chilometro 11Tel. 081-8712816Senza chiusura estiva, menù da 40 euro

Garbagnate (Mi) Castellamare di Stabia (Na)Soragna (Pr)

Matrimoni, coppie di fatto, convivenze riconosciute, unioni irregolari. Le associazioni tra i ci-bi sono varie e variabili, come quelle tra le persone. Se mozzarella e pomodoro è diventata or-mai un esempio ideale di matrimonio all’italiana, se cacio e pere formano una strana coppia

ormai accettata, fegato e bietole sono per il momento una coppia di fatto. E gamberi e ciliege sembrala classica liaison estiva destinata a durare poco. Spesso è il tempo, che come è noto è galantuomo, amettere a posto le cose e a far accettare a tutti una convivenza che all’inizio appariva scandalosa. Sicomincia come coppia clandestina e poi, se l’attrazione iniziale diventa amore vero e duraturo, il ma-trimonio riparatore arriva immancabilmente e sistema ogni cosa. È questa la storia dei piatti in dero-ga. Di quelle novità che almeno all’inizio spaventano i conservatori perché sono al di fuori dell’unio-ne consacrata dall’abitudine e benedetta dalla tradizione. Ed è sempre quel galantuomo del tempo astendere un pietoso velo d’oblio su combinazioni improbabili, fuochi di paglia gastronomici comel’imbarazzante risotto con le fragole o gli ininfluenti farfalloni col salmone.

Siano dunque benedette le strane coppie perché rappresentano la provvidenziale smentita dellanaturalità e dell’immutabilità delle tradizioni alimentari. In realtà le associazioni tra i cibi, esatta-mente come le unioni tra le persone, non obbediscono a nessuna legge naturale ma sono frutto del-la storia. E dipendono da una serie di valori sociali che cambiano col tempo, con la disponibilità, conle conoscenze, con gli usi, con l’influenza della pubblicità e delle mode, con l’immagine di sé. A tavo-la, come in amore, nulla è più mutevole del gusto, del desiderio, della curiosità.

Spesso i sapori stranieri, gli ingredienti esotici, come il cocco, lo zenzero, il cardamomo, il curryhanno sul nostro modo di mangiare lo stesso effetto del bacio del principe alla bella addormen-tata. Servono a svegliare l’immaginario gastronomico che tende a dormire sui suoi allori. Facen-doci scoprire piaceri che solo la nostra pigrizia un po’ abitudinaria ci impediva di sperimentare.Evviva le coppie miste. Latte di mandorle sulle ostriche, ma come abbiamo fatto a non pensarciprima? Perché ci abbiamo messo tanto a scoprire le delizie di un accoppiamento che teniamo dasempre sulla punta della lingua, la cui fondatezza giaceva implicita sotto le nostre papille. In fon-do le ostriche, soprattutto quelle piccole e nervose, come certe turgidissime Belon, non sono chedelle mandorle di mare. E per converso certe mandorle ci ricordano improvvisamente la dolcez-za salata dei venti di costa. E che dire di insalata russa e caramello? In fondo si tratta solo di unacrème brulée alle verdure che il sale al posto dello zucchero è sufficiente a far risalire dalla codaalla testa del pasto, trasformandola da dessert in entrée.

Spesso sono proprio le strane coppie alimentari, autentici e rivoluzionari pacs del famolo stra-no, a ridare smalto anche alle tradizionali unioni irregolari di casa nostra. Quelle che avevamodimenticato, o regionalizzato, come cacio e pere, pizza e fichi, fagioli e cozze. Del resto perfinoun abbinamento come pomodoro e mozzarella, che ormai sembra preistoria a chi ha la memo-ria corta, conosce la sua consacrazione come piatto unico sotto il nome di Caprese a partire daisincretici anni Settanta. Quando insieme alla famiglia fondata sull’autorità paterna e sulla cuci-na materna, entra in crisi anche l’associazione obbligata: pastasciutta fettina e contorno. Ovve-ro il simbolo trinitario della tavola domestica. È cambiata l’antropologia degli Italiani, è natura-le che cambino anche i loro usi e costumi alimentari. E quel che un tempo sembrava un’eresia di-venta una nuova frontiera della gastronomia nostrana. Che passa trionfalmente da pane amoree fantasia a scampi cocco e malvasia.

A tavola come in amoreil gusto e il desiderio sono mutevoli

MARINO NIOLA

Ostriche& latte di mandorlaDue tra i cibi più seducenti abbinati in una salsa setosa, messa a puntoda Marco Sacco al Piccolo Lago di Verbania, alto Piemonte, per accompagnare il tortellodi stoccafisso con trippa di baccalàal profumo di menta

Asparagi& caffèIl caffè coltivato a Chickmagalur,nel sud dell’India (con bassa aciditàe sentori di cacao) e gli asparagisono l’abbinamento di Pier Busseti(Locanda Mongreno, Torino)La polvere di caffè insaporiscela vellutata con uovo di quaglia

Insalata russa& caramelloÈ una fine dadolata di patate, piselli,carote, maionese, arricchitada ingredienti di stagione,l’antipasto evergreeen che CarloCracco nel ristorante-culto di Milanotrasforma in sandwich, chiusa tra cialde di zucchero caramellato

Fegato& vanigliaIl gusto dolce-sapido della carneha ispirato al modenese MassimoBottura l’idea di un incredibile“gelato da passeggio”. La terrinadi fegato grasso viene iniettatadi balsamico e cosparsa di granelladi mandorle e nocciole

Repubblica Nazionale

le tendenzeNati per vincere

A meno di un mese dall’apertura dei Giochi di Pechinoè già febbre da sportswear ipertecnologicoIdee, materiali e accessori che arrivano direttamentedalle tenute da gara studiate per eliminare l’attrito,guadagnare preziosi decimi di secondo e ridurreil consumo di ossigeno. E le tossine da stress

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 20 LUGLIO 2008

L’Arena, che per il suo Powerskin R-evo-lution ha messo in sinergia specialisti eatenei vari dal Politecnico di Milano al-l’Ecole Polytechnique federale di Losan-na, ha rimediato in poco tempo, aggiun-gendo un “+” al nome del suo gioiello euna serie di pannelli in poliuretano suaree identificate con criteri biomeccani-ci: lo scopo è ottenere livelli ancora mi-

gliori di scivolamento in acqua e com-pressione muscolare. Peso di appena 99grammi per metro quadrato, unico pez-zo di tessuto in stealth costruito con ter-mosaldature ultrapiatte (bonding tech-nology).

La Speedo ha lavorato per tre anni conla Nasa e vari altri laboratori oltre che conuno specialista in squali del Museo di sto-

ria naturale di Londra, Oliver Crimmen,per realizzare il suo Lzr Racer, costumerazzo. Quello che indossa Michael Phel-ps, ogni volta che si tuffa è record. Ultra-leggero, a basso attrito, no cuciture, as-semblato con ultrasuoni. Pannelli aifianchi che strizzano il corpo per farloidrodinamico. I ricercatori hanno com-piuto complicati calcoli di fluido-termo-

dinamica. I risultati: cinque per centodi risparmio di consumo di ossigeno,

un guadagno in velocità del quattroper cento e la diminuzione dell’attrito

del corpo rispetto al precedente costu-me del ventiquattro per cento. Correggepersino eventuali posture sbagliate, mi-gliorando le velocità di un ulteriore dieciper cento. Quello dell’Adidas, il TechfitPowerweb, ha fasce ancorate a cosce ospalle, funzionano come molle: la ridu-zione della vibrazione dei muscoli dimi-nuisce la dispersione di energia. Aumen-to medio del 5,3 per cento della potenzaemessa, mentre sui trenta metri è statoregistrato uno sprint più veloce dell’1,1per cento, una riduzione del consumo diossigeno dell’1,3 per cento.

Non solo nuoto. Lotto utilizza il finis-saggio delle fibre a nanosfere, magliettein microfibra traforate a laser, scarpe dacalcio con tacchetti rotanti. I ciclisti diDiadora calzano Proracer Carbon Evo,regolazione di stabilità e suole in carbo-nio. Tecnologia che ammortizza la Infi-nity Wave delle sneaker Mizuno, Pumaporta le chiodate Theseus II, missili suicento e duecento metri. La tuta integraledella Nike Swift Suit, si evolve: attrito delsette per cento inferiore rispetto ad Ate-ne, fornisce un vantaggio di circa duecentesimi di secondo sui cento metri.Niente cuciture niente orli, l’ha già sfog-giata la regina dei quattrocento Sanya Ri-chards. Sempre Nike in Cina porta scar-pe in tecnologia Flywire, leggere come lacarta, non più spesse di due micron: i fi-lati funzionano come cavi di un ponte so-speso. E quelle con Lunar Foam, schiu-ma di luna, nata alla Nasa, dice già tutto:passi in orbita. Il sudore è anticaglia, ètempo di ultracorpi dai piedi mercuriali.

ALESSANDRA RETICO

Biosensori e microfibre stealthl’invasione degli ultracorpi

AUTOMODELLANTETomaia traspirante e automodellante,

fodera Dri-Lex® Climate per controllarela temperatura e tenere fuori

l’umidità. Sono le scarpe FilaAlfa

PROTETTIVOIl modello Infini-T Long Sleeve di PearlIzumi, leader nell’abbigliamento runnerTessuto ultraleggero Ultrasensorper correre nel freddo del mattino

SCATTANTELa nuotatriceFederica Pellegriniindossa il TechfitPowerwebdi Adidas: fasce“ancorate”sui muscoliche funzionanocome molle

VELOCEUltraleggero,a basso attrito,senza cuciture,assemblatocon ultrasuoniIl costume LZRRacer di Speedopromette velocitàaccresciuta

ANTISCIVOLOGuanti da portieri professionisti: inserti

in gel di diversa densità applicabilisul polso, lattice naturale, tessuto

elasticizzato, ventilazione brevettata

VENTILATOLe Asics Gel 1130, traspiranti, ventilate

Gambale rinforzato, ammortizzantein Eva, sottile e sagomata, gel visibile

su tallone e punta

CHICAnche la borsa pensata per le sneakerdiventa accessorio a sé. La shoe bag

di Puma accosta leggerezza della retee sofisticate rifiniture dorate

C’erail sudore sottole maglie di lana, ilvento che frenavala corsa, l’acquache sporcava lebracciate. Adesso gli

atleti sembrano superman: tute così lisceda lubrificare lo spazio, polverizzare iltempo. Sport col turbo, molecole e bit.Tanto che sono venuti dubbi: doping tec-nologico? In effetti dentro ai materiali c’èl’ingegneria della Nasa, le migliori uni-versità e anche gli effetti speciali di Ma-trix. Dalla forbice al mouse, dai rocchettidi filo al clic del computer. Ne è passato ditempo dalle tenute da atletica in pelo difoca degli anni Trenta, dai mutandoni dabagno in maglia di lana (1910) e dalle ma-gliette che pungevano della nazionale diBearzot ai Mondiali in Argentina del ’78.Ora i capi sono bodymapping, mappanoil corpo per controllarlo climaticamente,i costumi anti-attrito, le maglie con bio-sensori, gli indumenti ionizzati per au-mentare il flusso sanguigno.

L’8 agosto inizieranno le Olimpiadi diPechino. Se ne vedranno di tecno-operein pista, abitini dove dentro si agita unascienza del tessuto che scalda, cura, cheuccide i batteri e pure lo stress. Carbonioe titanio, kevlar, cordura, nomex, nomi difibre che già si capisce che sono spaziali,fanno i corpi leggeri, resistenti, aerodina-mici, ossigenati, fluidi. Vincenti. Certo,qualche strappo capita, come è successoal costume dell’Arena che indossa anchela Manadou, provocando polemiche eincertezze (di Magnini si saprà a breve selo utilizzerà). Alla concorrente Speedo eal suo LZR Racer sono stati imputati trop-pi record (trentotto dal febbraio scorso).

AERODINAMICAPeso ridotto del 31%, jerseypiù aerodinamico nella divisa

Nike tecnologia Swift, per il cestistaLeBron James

PEZZO UNICOUn unico pezzodi tessuto,due termosaldature per il PowerskinR-evolution+indossatoda Roland SchoemanÈ la nuova versionedel costume Arena

FLESSIBILETecnologia Wave

di Mizuno:onda integratanell’intersuola

da runningper rendere

la scarpapiù bilanciata,

leggera, flessibile

Repubblica Nazionale

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 LUGLIO 2008

l’incontroMuse discrete

BELPORT (Stati Uniti)

Da più di un anno IsabellaRossellini ha spostato lapropria residenza a Bel-port, un villaggio di pe-

scatori situato a metà strada traManhattan e gli Hamptons nella lungaisola della quale fanno parte i quartierinewyorkesi di Queens e Brooklyn, e cheprende il nome tautologico di LongIsland. Si tratta di un’isola che alternalocalità elegantissime ad altre popolari,ritrovi esclusivi per artisti e miliardariad agglomerati urbani senza alcunapretesa, nati intorno ai campi di patateche per tutto il secolo scorso hanno at-tirato contadini provenienti dalle mi-grazioni irlandese e nordeuropea. An-che nelle zone più eleganti, e immedia-tamente a ridosso delle spettacolarispiagge oceaniche, si vedono tuttoradei granai coloratissimi, che testimo-niano la matrice agricola della popola-zione originaria di Long Island. In unodi questi granai, riadattato dall’archi-tetto italiano Pietro Cicognani, ha deci-so di trasferirsi l’attrice in compagniadel figlio quindicenne Robertino.

«In realtà si è trattato di una sua deci-sione», racconta senza alcun rimpiantol’attrice. «In origine Belport era il luogoin cui noi passavamo il weekend, maogni volta che tornavamo a New Yorkc’erano delle strazianti scene di pianto.Mio figlio adora la campagna e con iltempo ne ho capito anch’io la bellezzaed il fascino. Quando ho scoperto chenella zona c’era una scuola di buon li-vello ho deciso di trasferirmi, tenendotuttavia il nostro appartamento nel-l’Upper West Side. Il progetto origina-rio era quello di invertire lo schema con-venzionale e passare il fine settimana incittà ma poi la piacevolezza della vita aBelport ci ha portato a diradare sensi-

bilmente le visite a Manhattan. È pro-babile che si tratti dell’entusiasmo del-la novità, e quest’anno mi sono impe-gnata a frequentare maggiormente unacittà che rimane straordinaria comeNew York».

Questa scelta bucolica nasce proba-bilmente in reazione alla ripetitivitàdella vita sociale newyorkese, ma esi-stono anche altri fattori ed in particola-re un personaggio che più di ogni altroha svolto al riguardo un ruolo fonda-mentale: Guy Maddin. È il regista cana-dese con il quale Isabella Rossellini hastretto negli ultimi anni un importantesodalizio artistico e per il quale ha inter-pretatoLa canzone più triste del mondo,che sarà distribuito in Italia dalla Fan-dango. «Non posso negarlo: Guy mi hacambiato la vita. È cominciato tutto percaso, in maniera molto avventurosa.Qualche anno fa mandò il copione delfilm al mio agente, insieme ad alcunicortometraggi che aveva girato. Né ioné il mio agente avevamo la più pallidaidea di chi fosse, e le poche informazio-ni raccolte indicavano che era un regi-sta d’avanguardia che viveva relegatonella zona di Winnipeg, in Canada. Lasceneggiatura mi sembrava incredibil-mente barocca e troppo piena di de-scrizioni, così decisi di vedere i corto-metraggi: una folgorazione. Ce n’erauno in particolare, intitolato The heartof the world, che mi sembrava straordi-nario. C’erano riferimenti al cinemamuto ed una infinità di invenzioni ori-ginalissime. Il tutto realizzato con mez-zi decisamente poveri, utilizzati sem-pre in maniera estremamente creativa.Decisi di chiamare questo regista sco-nosciuto, e lui mi disse subito di andarea trovarlo, spiegandomi che bastavaandare a Toronto e poi fare un’altra tra-svolata di un’ora e mezza con un picco-lo aereo. Non era affatto vero: il secon-do tragitto era più di quattro ore, e at-terrai nel mezzo della tundra canadesecon 40 gradi sotto zero. Ovviamentel’arrivo per me rappresentò uno shock,ma trovai di fronte a me un uomo sim-paticissimo, che credeva in maniera as-solutamente coinvolgente nei propriprogetti. Cominciò a parlarmi a lungodel progetto di film e del fatto che il per-sonaggio avrebbe dovuto indossare co-stantemente delle pellicce, per indicarequalcosa di lussuoso ed insieme pateti-co. Accettai quasi immediatamente esolo in un secondo momento mi resiconti che il personaggio che avrei dovu-to interpretare non aveva le gambe.Quando comunicai la mia decisione almio agente e gli spiegai anche dei mon-cherini, lui mi disse letteralmente che sisarebbe “tagliato le vene”. Era terroriz-zato da una scelta così eterodossa, manon mi lasciai dissuadere, ed ora ne so-no molto orgogliosa: il film è diventatodi una pellicola di culto».

«Ma l’incontro con Guy Madden nonè stato soltanto un’esperienza artisti-ca», prosegue Isabella Rossellini. «Devoin gran parte a quell’avventura canade-

sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico,il mio rapporto col cinema italiano èquasi inesistente. Non nascondo che sitratta di qualcosa che mi ha dato del di-spiacere e sulla quale ho cercato di in-terrogarmi. In passato c’era chi mi di-ceva che avrei dovuto trovarmi degliagenti italiani e per un periodo ci ho an-che provato, ma non sono mai riuscitaa farli andare d’accordo con chi mi rap-presentava negli Stati Uniti. Non possosottovalutare il fatto che mi sono abi-tuata ad un’impostazione americanaed industriale, ma credo che la realtàpiù profonda sia altra: penso che permolto tempo ci sia stato nei miei con-fronti un pregiudizio negativo dovutoal fatto di avere dei genitori così impor-tanti per il cinema, e di essere nello stes-so tempo associata ad un mondo estre-mamente glamorous, soprattutto acausa della mia attività di modella. Inpoche parole non ero presa sul serio, ea questa situazione già complicata siaggiunse anche la controversia relativaa Velluto blu. È un film che mi ha se-gnato molto e del quale vado fiera, mac’è chi scrisse che avevo interpretatoun ruolo vergognoso per la memoria dimia madre».

Il sodalizio artistico con Guy Maddinha portato recentemente anche allarealizzazione di Papà compie cent’an-ni, ricordo ed omaggio a Roberto Ros-sellini e indirettamente alla serie GreenPornorealizzata con Jody Shapiro, pro-duttore di Guy Maddin. In quest’ulti-mo caso è entrata in gioco la grande starhollywoodiana che più di ogni altra haaiutato il cinema indipendente di ricer-ca: Robert Redford. «Avevo sempre am-mirato Redford sia nella sua attività diattore e regista che in quella di ideatoree motore inarrestabile del SundanceInstitute. Redford ha intuito meglio diogni altro che il cinema americano ri-schiava di proporre soltanto idee com-mercialmente proficue, riducendosiad essere un’industria come un’altra.Sono la prima a comprendere che il ci-nema non può non avere un’anima in-dustriale, ma nello stesso tempo deveessere in grado di proporre idee, imma-gini e sogni. Si deve principalmente alsuo lavoro la nascita di un’intera gene-razioni di autori che si sono espressicon voci nuove ed assolutamente origi-nali. Nel caso dei Green Porno ha finan-ziato personalmente con 70 mila dolla-ri la prima seria, il cui budget comples-sivo era di 80 mila, scommettendo sul-la possibilità di realizzare dei film brevie semplici da vedere direttamente sul-la nuova generazione di telefoni cellu-lari. Ovvio che sarebbe impossibile ap-prezzare una pellicola come Apocaly-pse Now su uno schermo così piccolo,ma questo non vuol dire che non si pos-sa egualmente comunicare e ancherealizzare qualcosa di artisticamentevalido. Mi sono appassionata conRedford a questo tipo di sperimenta-zione, realizzando per la serie di GreenPorno dei film a bassissimo costo, con

se la riscoperta del piacere del vivere acontatto diretto con la natura e una ri-flessione continua sulle cose essenzialie quelli superflue. Si tratta di insegna-menti che ho avuto la fortuna di averesin da piccola, ma forse per me la svoltaè avvenuta grazie a quell’esperienzainaspettata e rivoluzionaria. Col tem-po, ho scoperto che Guy ha molte cosein comune con mio padre: sono due ci-neasti che hanno molta più importan-za per i registi che il pubblico, e, che, so-prattutto, vivono il cinema con assolu-ta e ammirevole libertà».

Fa una certa impressione sentir par-lare di cinema italiano la figlia di Ro-berto Rossellini e di Ingrid Bergman.Uno dei paradossi della sua carriera èche nonostante sia diventata per unperiodo l’icona e la musa di un registadel calibro di David Lynch, oltreché lamoglie di un altro gigante quale MartinScorsese, Isabella Rossellini ha lavora-to pochissimo in Italia. «Se si eccettuail ruolo che ho interpretato per Paolo eVittorio Taviani ne Il prato, e per il qua-le voglio ancora esprimere loro la miagratitudine, e più recentemente quellone Il cielo cade dei fratelli Frazzi con

costumi di carta, e utilizzando lo studiofotografico di Fabrizio Ferri a titolo deltutto amichevole. Ora siamo pronti al-la seconda serie con un budget che finoa qualche settimana fa era per noi im-pensabile: 250 mila dollari per un grup-po di trenta brevi film che ognuno po-trà vedere nell’ordine che riterrà».

Mentre Isabella Rossellini parla conentusiasmo di cifre estremamente bas-se per un budget cinematografico, èimpossibile non pensare all’attività diattrice per registi come Peter Weir, Ro-bert Zemeckis e Lawrence Kasdan e allavoro da modella, a cui ha fatto segui-re quello di manager. «È un periododella mia vita che mi ha dato moltissi-mo, ma in particolare per quanto ri-guarda il mio ruolo nell’industria dellamoda e dei cosmetici c’è stato un mo-mento in cui ho capito con chiarezzache il mio interesse è nell’aspetto crea-tivo di ogni attività. Oggi sono felice divedere mia figlia Elettra sulle copertinedi riviste importanti ed ho il massimorispetto per quel mondo. Tuttavia misento molto più stimolata dall’avereun’idea, o almeno un’intuizione, cheprima non esisteva. Ho dedicato questiultimi anni proprio a questo tipo di at-tività, assumendomi più di un rischio.Sono aiutata certamente dal fatto cheho raggiunto una certa sicurezza eco-nomica e non mi nascondo che unadonna della mia età riceve nel mio set-tore meno richieste di lavoro. Ma credodi poter dire con onestà che questo nontoglie nulla alla mia passione. Per do-cumentarmi sul nuovo progetto GreenPorno ho deciso di iscrivermi alla NewYork University, a un corso che haun’enfasi particolare sulla zoologia, emolti amici mi hanno detto che è diffi-cilissimo. Ancora una volta non mi so-no arresa, ma poi ho visto il programmae mi sono resa conto che dovrò studia-re chimica e biologia. Devo dire chequesta ho volta ho paura».

Il mio rapportocol cinema italianoè quasi inesistentePenso che ci sia statoun pregiudizionegativo perché sonofiglia di genitoricosì importanti

Ha lasciato Manhattanper la campagna di Long IslandHa realizzato con Robert Redforduna serie di corti a bassissimo costoin formato da videofonino.Sarà

sugli schermi italianiin un film di GuyMaddin, registad’avanguardiacanadese che, dice,“mi ha cambiatola vita”. La figliadi Ingrid Bergman

conosce adesso la sua vera passione:“Avere un’idea, un’intuizione,che prima non esisteva”

ANTONIO MONDA

‘‘

‘‘

FO

TO

OLY

CO

M

Isabella Rossellini

Repubblica Nazionale