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62 PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE E ACCORDO DI CONCILIAZIONE | SCIENZE E RICERCHE L’onere della mediazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo… e negli altri giudizi «oppositori». Note a margine di un persistente conflitto interpretativo DAMIANO MICALI * vo 2 , ad un momento in cui la domanda giudiziale (con cui si esercita un’azione di condanna «in forma speciale» 3 ) sia 2 La bibliografia sul procedimento monitorio è amplissima, sicché mi limito a richiamare i principali interventi, rassegnati perlopiù in opere monografiche o enciclopediche: V. Andrioli, Commento al codice di pro- cedura civile, IV, Napoli, 1964, 5 ss.; G. Arieta, Le tutele sommarie, in Trattato di diritto processuale civile, X, Padova, 2010, 90 ss.; P. Calaman- drei, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1926; F. Carnelutti, Nota intorno alla natura del processo monitorio, in Riv. dir. proc. 1924, 270 ss.; G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, 215 ss.; L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 243 ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Mi- lano, 1991; C. Balbi, Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur. Trec- cani, Roma, 1997, 1 ss.; R. Poggeschi, Ingiunzione, in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, 666 ss. e Noviss. Dig., App., 253 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Procedimento ingiuntivo, in Treccani.it, 2012; A. Proto Pisani, Il procedimento di ingiunzione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1987, 291 ss.; R. Sciacchitano, Ingiunzione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 666 ss.; A. Segni, L’opposizione del convenuto nel processo monito- rio, in Scritti giuridici, II, Torino, 1965, 977 ss.; G. Tomei, Procedimento d’ingiunzione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 559 ss.; A. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000; Id., Il pro- cedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali, S. Chiarloni-C. Consolo (a cura di), I, Torino, 2005, 2 ss.; A. Valitutti-F. De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008; B. Capponi (a cura di), Il procedimento di ingiunzione, Bologna, 2009. 3 La problematica della natura dell’azione esercitata in sede monitoria – che si collega, peraltro, al tema dei rapporti tra fase sommaria e fase a cognizione piena – è questione risalente e tuttora dibattuta, della quale non posso ripercorrere l’intero svolgimento. A giustificazione dei brevi cenni che farò, basti precisare che la sua risoluzione non ha diretta inci- denza sul problema indagato, che trae ragione (e soluzione) dal concreto modo in cui sono normativamente regolati i rapporti tra decreto ingiuntivo emesso e attività successive. E’ dunque sufficiente ricordare, quanto alla natura dell’azione esercitata dal creditore, che i più la considerano un’a- zione «speciale di condanna», o, meglio, una «azione ordinaria, esercitata in forme speciali» (E. Garbagnati, op. cit., 27 ss.; C. Balbi, op. cit., 13); altri, con terminologia che è entrata nell’uso comune, la ritengono un’azio- ne «sommaria» funzionale ad un «accertamento con prevalente funzione esecutiva» (G. Chiovenda, op. loc. cit.); altri, più radicalmente, la quali- ficano come «istanza puramente processuale», cui è correlato un «puro comando di prestazione» (G. Tomei, op. loc. cit.); altri ancora, in maniera più comprensiva, vedono nel procedimento ingiuntivo una combinazione tra l’azione ordinaria e l’azione sommaria, e nell’opposizione un giudizio a natura mista, impugnatoria e ordinaria (V. Andrioli, op. cit., 4 ss., 67). D’altra parte, il dibattito sui rapporti tra fase sommaria e fase di oppo- Sommario: 1. Premessa. – 2. Il (persistente) contrasto in materia di mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo. – 3. Le ragioni e i supporti normativi. – 4. La soluzione condivisa. – 5. L’estensione del principio agli altri giudizi «oppositori». 1. PREMESSA I l tema della mediazione obbligatoria, e quindi della necessaria esperienza di un «filtro» (stragiudiziale) all’azione civile, non è che la manifestazione più recente di un fenomeno che risale a parecchi de- cenni orsono, quando, già a partire dagli anni ’70, il Giudice delle leggi iniziava a pronunciarsi sulla coeren- za costituzionale della previsione di tentativi obbligatori di conciliazione in materia di locazione, rapporti agrari, con- troversie lavoristiche etc. Il compito che mi pongo in que- ste pagine, lungi dal voler riaffrontare questo (assai lungo e complesso) dibattito 1 , ruotante attorno al fondamentale prin- cipio di tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 24, 111 Cost.), è relativo, si parva licet componere magnis, alla (auspica- ta) risoluzione delle difficoltà interpretative che sorgono nel caso in cui l’applicazione del filtro non avvenga in limine litis, bensì pendente iudicio, e cioè quando la necessità di passare attraverso la parentesi stragiudiziale «compositiva» (che si auspica risolutiva della lite) si ponga non in una si- tuazione «vergine», ma in un momento della vita giuridica (e processuale) in cui il diritto controverso abbia già ricevuto una prima, seppur provvisoria, regolamentazione. E’ quello che si verifica quando l’onere di attivare la me- diazione per la conciliazione della controversia venga (crono) logicamente posticipato all’emanazione del decreto ingiunti- * Avvocato; Dottorando in «Diritto processuale civile» presso l’Universi- tà «Sapienza» di Roma. 1 Sul tema dei rapporti tra mediazione e processo, v. il contributo di R. Saija, Mediazione e processo. Vecchio e nuovo dopo la legge 98/2013, in questo volume, 45 ss.

L’onere della mediazione nell’opposizione a decreto …...62 62DAMINOM CDLINLOMIN*3ND MLML*AAD2IDLINLAD AN4N*3ND ML5L7ANM 3MLML2NAM2A8M L’onere della mediazione nell’opposizione

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PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE E ACCORDO DI CONCILIAZIONE | SCIENZE E RICERCHE

L’onere della mediazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo… e negli altri giudizi «oppositori». Note a margine di un persistente conflitto interpretativo DAMIANO MICALI *

vo2, ad un momento in cui la domanda giudiziale (con cui si esercita un’azione di condanna «in forma speciale»3) sia

2 La bibliografia sul procedimento monitorio è amplissima, sicché mi limito a richiamare i principali interventi, rassegnati perlopiù in opere monografiche o enciclopediche: V. Andrioli, Commento al codice di pro-cedura civile, IV, Napoli, 1964, 5 ss.; G. Arieta, Le tutele sommarie, in Trattato di diritto processuale civile, X, Padova, 2010, 90 ss.; P. Calaman-drei, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1926; F. Carnelutti, Nota intorno alla natura del processo monitorio, in Riv. dir. proc. 1924, 270 ss.; G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, 215 ss.; L. Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 243 ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Mi-lano, 1991; C. Balbi, Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur. Trec-cani, Roma, 1997, 1 ss.; R. Poggeschi, Ingiunzione, in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, 666 ss. e Noviss. Dig., App., 253 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Procedimento ingiuntivo, in Treccani.it, 2012; A. Proto Pisani, Il procedimento di ingiunzione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1987, 291 ss.; R. Sciacchitano, Ingiunzione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 666 ss.; A. Segni, L’opposizione del convenuto nel processo monito-rio, in Scritti giuridici, II, Torino, 1965, 977 ss.; G. Tomei, Procedimento d’ingiunzione, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIV, Torino, 1996, 559 ss.; A. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000; Id., Il pro-cedimento per decreto ingiuntivo, in I procedimenti sommari e speciali, S. Chiarloni-C. Consolo (a cura di), I, Torino, 2005, 2 ss.; A. Valitutti-F. De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008; B. Capponi (a cura di), Il procedimento di ingiunzione, Bologna, 2009.3 La problematica della natura dell’azione esercitata in sede monitoria – che si collega, peraltro, al tema dei rapporti tra fase sommaria e fase a cognizione piena – è questione risalente e tuttora dibattuta, della quale non posso ripercorrere l’intero svolgimento. A giustificazione dei brevi cenni che farò, basti precisare che la sua risoluzione non ha diretta inci-denza sul problema indagato, che trae ragione (e soluzione) dal concreto modo in cui sono normativamente regolati i rapporti tra decreto ingiuntivo emesso e attività successive. E’ dunque sufficiente ricordare, quanto alla natura dell’azione esercitata dal creditore, che i più la considerano un’a-zione «speciale di condanna», o, meglio, una «azione ordinaria, esercitata in forme speciali» (E. Garbagnati, op. cit., 27 ss.; C. Balbi, op. cit., 13); altri, con terminologia che è entrata nell’uso comune, la ritengono un’azio-ne «sommaria» funzionale ad un «accertamento con prevalente funzione esecutiva» (G. Chiovenda, op. loc. cit.); altri, più radicalmente, la quali-ficano come «istanza puramente processuale», cui è correlato un «puro comando di prestazione» (G. Tomei, op. loc. cit.); altri ancora, in maniera più comprensiva, vedono nel procedimento ingiuntivo una combinazione tra l’azione ordinaria e l’azione sommaria, e nell’opposizione un giudizio a natura mista, impugnatoria e ordinaria (V. Andrioli, op. cit., 4 ss., 67). D’altra parte, il dibattito sui rapporti tra fase sommaria e fase di oppo-

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il (persistente) contrasto in materia di mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo. – 3. Le ragioni e i supporti normativi. – 4. La soluzione condivisa. – 5. L’estensione del principio agli altri giudizi «oppositori».

1. PREMESSA

Il tema della mediazione obbligatoria, e quindi della necessaria esperienza di un «filtro» (stragiudiziale) all’azione civile, non è che la manifestazione più recente di un fenomeno che risale a parecchi de-cenni orsono, quando, già a partire dagli anni ’70,

il Giudice delle leggi iniziava a pronunciarsi sulla coeren-za costituzionale della previsione di tentativi obbligatori di conciliazione in materia di locazione, rapporti agrari, con-troversie lavoristiche etc. Il compito che mi pongo in que-ste pagine, lungi dal voler riaffrontare questo (assai lungo e complesso) dibattito1, ruotante attorno al fondamentale prin-cipio di tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 24, 111 Cost.), è relativo, si parva licet componere magnis, alla (auspica-ta) risoluzione delle difficoltà interpretative che sorgono nel caso in cui l’applicazione del filtro non avvenga in limine litis, bensì pendente iudicio, e cioè quando la necessità di passare attraverso la parentesi stragiudiziale «compositiva» (che si auspica risolutiva della lite) si ponga non in una si-tuazione «vergine», ma in un momento della vita giuridica (e processuale) in cui il diritto controverso abbia già ricevuto una prima, seppur provvisoria, regolamentazione.

E’ quello che si verifica quando l’onere di attivare la me-diazione per la conciliazione della controversia venga (crono)logicamente posticipato all’emanazione del decreto ingiunti-

* Avvocato; Dottorando in «Diritto processuale civile» presso l’Universi-tà «Sapienza» di Roma. 1 Sul tema dei rapporti tra mediazione e processo, v. il contributo di R. Saija, Mediazione e processo. Vecchio e nuovo dopo la legge 98/2013, in questo volume, 45 ss.

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pore emesso. E’ però necessario chiarire una cosa, per evitare che que-

sto dibattito possa essere ascritto alla responsabilità della mediazione obbligatoria, spesso vituperata dagli interpreti. In realtà, bisogna distinguere le implicazioni che nascono dall’esistenza di «filtri obbligatori» all’esercizio dell’azione da quelle che, invece, discendono dalla pedestre e assai più vituperabile formulazione della littera legis da parte di un legislatore sempre meno «mitico»6 e sempre più pericolosa-mente insipiente, di cui abbiamo un esempio proprio nell’art. 5, comma 4°, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Forse, è stata proprio la consapevolezza di questa insipienza, che ha generato così tante complicazioni, a suggerire al legislatore del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, di adottare una formula diversa per escludere l’obbligatorietà della c.d. «ne-goziazione assistita», prevedendo che questa non si applichi nei procedimenti d’ingiunzione, «inclusa l’opposizione» (v. art. 3, comma 3°, lett. a), e dunque per tutto il corso del pro-cedimento monitorio (in senso lato).

2. IL (PERSISTENTE) CONTRASTO IN MATERIA DI

MEDIAZIONE OBBLIGATORIA E OPPOSIZIONE A

DECRETO INGIUNTIVO

Il pomo della discordia è costituito, per quello che inte-ressa, dal citato art. 5, comma 4°, lett. a, d.lgs. n. 28/2010, il quale dispone l’esclusione dell’applicazione dei commi 1° bis e 2° dello stesso articolo – i.e. l’obbligatorietà della mediazione preventiva nei casi previsti per legge e nei casi di mediazione «delegata» dal giudice – «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione».

Con tale previsione, il legislatore ha espresso una (pur ne-bulosa) volontà di derogare al regime ordinario della media-zione obbligatoria come «condizione di procedibilità della domanda giudiziale» (v. art. 5, commi 1° bis e 2°), adattando il «filtro» al peculiare iter e ai fondamenti dello «speciale» procedimento monitorio7, processo sommario autonomo (non necessario)8, che Chiovenda qualificava «accertamen-to con prevalente funzione esecutiva»9. Tale procedimen-to, come lo conosciamo oggi, è la risultante di una lenta e progressiva evoluzione, iniziata con l’art. 379 c.p.c. 1865 e proseguita con la prima formalizzazione del procedimento avvenuta con il regio decreto 24 luglio 1922, n. 1036, che

6 Il famoso epiteto risale a V. Andrioli, Presunzioni (diritto civile e pro-cessuale civile), in Noviss. dig. it., XIII, Torino, 1966, 767.7 Nella relazione illustrativa allegata allo schema del d.lgs. n. 28/2010, l’esclusione della mediazione viene giustificata «per il fatto che (…) ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente fun-zione esecutiva. Il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio dif-ferito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapida-mente un titolo esecutivo. Appare pertanto illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo».8 Per questa qualificazione e la relativa classificazione, v. L. Montesano, La tutela, cit., 243 ss., spec. 248-249.9 G. Chiovenda, Istituzioni, cit., 216.

già stata proposta, e addirittura accolta, e tuttavia la lite (da «pretesa insoddisfatta», per dirla con Carnelutti4), provviso-riamente risolta dal provvedimento monitorio, sia suscettibi-le di perpetrarsi (trasformarsi in «lite da pretesa contestata», per usare la medesima terminologia) in caso di opposizione del debitore ingiunto, niente affatto disponibile ad acquie-tarsi alla lex specialis disposta dal giudice ex art. 641 c.p.c.

Il tratto caratteristico di questa fattispecie sta nella cir-costanza che, essendo già pendente un processo (cfr. art. 644 c.p.c.) ed essendo già stato emanato un provvedimen-to giudiziale, trova applicazione quel naturale corollario del fenomeno processuale che è rappresentato dal principio di «preclusione»5, il cui meccanismo può determinare l’intan-gibilità del decreto emesso, in caso di mancata opposizione (art. 641, 645, 647 ss. c.p.c.).

Ciò stimola le brevi riflessioni che intendo rassegnare a proposito delle conseguenze che la mancata mediazione ob-bligatoria possa produrre sul decreto ingiuntivo medio tem-

sizione vede «contrapposti» coloro i quali assegnano valore preminente al decreto ingiuntivo, come provvedimento autonomo, strutturalmente e funzionalmente, e dunque interpretano l’opposizione alla stregua di una «impugnazione» (v., su tutti, E. Garbagnati, op. cit., 135 ss.), e quelli che, al contrario, ponendo l’attenzione sulla mera inversione dell’onere pro-cessuale, considerano il procedimento monitorio come «unitario» (per tali considerazioni, v. A. Ronco, Il procedimento, cit., 68 ss.). Pur a fronte del-le perplessità teoriche, il sistema normativo introdotto dal codice di rito del 1940-42 consente comunque alcuni inconfutabili rilievi, tra cui quello che «il procedimento ingiuntivo, lungi dal costituire l’esercizio di una mera azione, dà ingresso alla tutela di un pieno diritto soggettivo, che costitui-sce l’oggetto dell’ingiunzione giudiziale. È dunque legittimo ricondurre al decreto ingiuntivo la cognizione sul diritto sostanziale» (E. Zucconi Galli Fonseca, op. loc. cit.); sicché, anche considerata l’efficacia (di accertamen-to) che deriva dalla mancata opposizione al decreto ingiuntivo, è ragione-vole ammettere che «il procedimento monitorio dà ingresso ad un’azione ordinaria (e non ‘speciale’, intesa come finalizzata ad un risultato diverso dalla sentenza di accertamento e condanna (…), con forme processuali speciali» (ibidem). Sicuramente, poi, l’attuale impostazione dei rapporti tra decreto ingiuntivo e opposizione esclude che il primo, al momento del-la sua emanazione, sia, più che un provvedimento, una mera «possibilità di provvedimento» (P. Calamandrei, op. loc. cit.), avendo invece una diretta efficacia, che non è ipso facto caducata dalla mera opposizione, la quale è anzi resa necessaria proprio dall’esistenza del decreto monitorio. A tal proposito, posso ripetere le parole di chi aveva riconosciuto, pur in un’ot-tica allora (nella vigenza del procedimento monitorio c.d. puro) differente, che «il creditore che ottiene dal giudice l’emanazione di un’ingiunzione è praticamente in condizioni ben diverse dal creditore che spicca una citazio-ne», e che «l’ingiunzione ha un valore pratico anche prima che essa diventi definitiva per il trascorrere dei termini per l’opposizione» (A. Segni, op. cit., 1007-1008).4 Per questa nomenclatura, v. F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli, 1958, 53 ss.5 Sul concetto di «preclusione» è d’obbligo rinviare all’opera iniziatrice di G. Chiovenda, Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civi-le, II, Milano, 1993, 399 ss.; Id., Cosa giudicata e competenza, ivi, 411 ss.; Id., L’idea romana nel processo civile moderno, in Saggi di diritto proces-suale civile, III, Milano, 1993, 77 ss.; Id., Cosa giudicata e preclusione, ivi, 231 ss. Tale nozione, nella sua primaria configurazione, è infatti rife-ribile alla «perdita o estinzione o consumazione, che dir si voglia, di una facoltà processuale per il solo fatto che si sono raggiunti i limiti dalla legge segnati al suo esercizio» (G. Chiovenda, Cosa giudicata e preclusione, cit., 232), ma è stata estesa fino a giungere alla soglia della preclusione che vale pro iudicato (su questa nozione, esemplificativamente, E. Redenti, Diritto processuale civile, I, Milano, 1957, 65 ss.; L. Montesano, La tutela, cit., 218 ss.; E. Fazzalari, Cosa giudicata e convalida di sfratto, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1956, 1304 ss.).

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ha portato, passando per il regio decreto 7 agosto 1936, n. 153110, alla istituzionalizzazione di uno strumento proces-suale attraverso cui il creditore (di somme di denaro, cose fungibili o della consegna di cose mobili) può, ove munito di una (pur peculiare) prova scritta del credito, ottenere un provvedimento giurisdizionale, emesso inaudita altera par-te, immediatamente efficace – salvo che per l’esecutività, la cui concessione dipende da ulteriori circostanze (artt. 642 e 648 c.p.c.) –, se non altro in quanto atto che istituisce un «onere di impugnazione» a carico del debitore, il quale, per evitare la stabilità del decreto, ha il solo rimedio della op-posizione (artt. 645 e 650 c.p.c.), azione giudiziale a natura composita, in parte (lato sensu) «impugnatoria» del decreto ingiuntivo, di cui si chiede il controllo dei presupposti forma-li, e in parte «accertativa» del diritto di credito riconosciuto nel decreto, nelle forme di un’azione di accertamento negati-vo esperita dall’ingiunto11.

Poiché, come detto, il decreto ingiuntivo è un provvedi-mento giurisdizionale, il suo regime è quello degli atti pro-

10 Sulle principali evoluzioni in tema, v. A. Izzo, sub art. 633 c.p.c., in Commentario del codice di procedura civile, L.P. Comoglio-C. Consolo-B. Sassani-R. Vaccarella (a cura di), VII, I, Torino, 2013, 537 ss.; A Ron-co, Il procedimento, cit. 19 ss.11 Per questi aspetti, riassuntivamente, A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, 558 ss.

cessuali (cfr. artt. 156 ss., 641 ss. c.p.c.), in particolare quan-to al principio di preclusione che governa il processo conten-zioso, tale per cui le attività delle parti sono formalizzate e soggette a termini, decorsi i quali la parte inattiva subisce la decadenza dalla possibilità di esercizio del potere. Nel caso del decreto ingiuntivo, l’attività che l’ordinamento rende «onerosa» è l’opposizione dell’ingiunto al decreto stesso, da esercitare entro quaranta giorni dalla ricevuta notificazione, a pena di «esecutività» del decreto (artt. 641 e 647 c.p.c.), i.e. con l’effetto del passaggio in giudicato della pronuncia monitoria12.

Collocandosi entro questa cornice, e confrontandosi con le problematiche operative sollevate dall’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, la giurisprudenza, chiamata a individuare la parte onerata alla proposizione della mediazione nel procedimento monitorio e le relative conseguenze in caso di inadempimen-to, ha fornito interpretazioni contrastanti, coagulate in due opposti orientamenti, con il rispettivo conforto di alcune voci

12 In tal senso, su tutti, E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, A.A. Romano (a cura di), Milano, 2012, 6 ss.; L. Lanfranchi, Profili si-stematici dei provvedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1987, 126; nel più «limitato» senso della preclusione pro iudicato, L. Montesano, La tutela, cit., 219 ss., 248. In giurisprudenza, ex multis, Cass., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360, in CED Cassazione 2010; Cass., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791, in CED Cassazione 2009.

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Secondo un primo orientamento, la lettera della legge do-vrebbe interpretarsi nel senso che l’onere di proporre la me-diazione è meramente posticipato all’emissione del decreto ingiuntivo, senza alcuna variazione delle posizioni sostan-ziali, con la conseguenza che, dopo tale provvedimento, sarà il creditore a doversi attivare ai sensi del comma 1° bis e, dunque, proporre la mediazione, pena la perdita di efficacia ex tunc della domanda proposta con il ricorso monitorio, con effetto caducatorio del decreto ingiuntivo medio tempore emesso16.

Stando a un secondo e contrapposto orientamento, il le-gislatore, escludendo l’applicazione obbligatoria della me-diazione nella fase sommario-monitoria del procedimento ex artt. 633 ss. c.p.c., fino all’eventuale pronuncia dei prov-vedimenti sull’efficacia esecutiva del decreto in costanza di opposizione (artt. 648 e 649 c.p.c.), avrebbe inteso onerare l’opponente, in quanto parte attiva (e interessata) dell’op-posizione, alla proposizione della mediazione, in mancanza della quale, al più tardi entro il termine perentorio all’uopo fissato dal giudice dell’opposizione nel provvedimento preso in prima udienza (v. nt. 14), sarà l’opposizione a divenire

di conciliazione in materia lavoristica, a proposito non solo della necessità (generalmente esclusa) di proporre la conciliazione quando si fosse inteso agire in via monitoria, ma anche, conseguentemente all’esclusione di que-sta premessa, riguardo a chi fosse onerato, in seguito all’emanazione del decreto ingiuntivo, ad introdurre la conciliazione, e con che conseguenze; sul dibattito, v. A. Ronco, L’art. 646 c.p.c.? (procedimento monitorio e tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro), in Riv. dir. proc. 1999, 1069 ss., che, (anche?) sulla base dell’art. 646 c.p.c., aveva concluso nel senso che l’onere spettasse all’opponente, dopo che lo stesso avesse proposto l’opposizione; contra, R. Conte, Tentativo obbli-gatorio di conciliazione in materia di lavoro, giurisdizione condizionata e finalità del procedimento monitorio, in Riv. dir. proc. 2000, 1226 ss., il quale, sulla scorta delle indicazioni fornite da Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276, aveva ritenuto, similmente ad altri autori ivi richiamati, che il ten-tativo obbligatorio fosse del tutto escluso anche nella fase di opposizione.16 Così, Trib. Varese 18 maggio 2012, in Giur. it. 2012, 2620 ss., con nota di A. Tedoldi; Trib. Firenze 17 marzo 2014, in Questionegiustizia.it (senza l’espressa indicazione delle conseguenze in ipotesi di improcedibi-lità); Trib. Ferrara 7 gennaio 2015, in Altalex.com; Trib. Cuneo 1 ottobre 2015, in Arcadiaconcilia.it; Trib. Ferrara 4 novembre 2015, in Pluris-ce-dam.utetgiuridica.it; Trib. Firenze 12 novembre 2015, in Pluris-cedam.utetgiuridica.it; da ultimo, dopo l’intervento della Corte di cassazione, ancora in senso contrario, GdP Taranto 21 dicembre 2015, in Laleggeper-tutti.it.; Trib. Firenze 17 gennaio 2016, cit.; Trib. Benevento 23 gennaio 2016, in Arcadiaconcilia.it; Trib. Busto Arsizio 3 febbraio 2016, n. 199, in Expartecreditoris.it; Trib. Firenze 15 febbraio 2016, in 101mediatori.it. Trib. Lamezia Terme 19 aprile 2012, in Ilcaso.it, pur assegnando il termine «a pena di improcedibilità», dopo il diniego dell’istanza ex art. 648 c.p.c., non precisa quali ne sarebbero le conseguenze; analogamente, Trib. Ve-rona 28 ottobre 2014, in Dirittobancario.it, si limita ad affermare che, nel caso di decreto ingiuntivo, «per attore deve intendersi l’attore in senso so-stanziale, ossia l’opposto»; più chiaramente, Trib. Pavia 18 gennaio 2016, in 101mediatori.it, pone «l’onere dell’avvio della procedura a carico della convenuta opposta e avvisa le parti che, per l’effetto, il corretto e tempesti-vo avvio della procedura e la corretta partecipazione alla mediazione sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale». In dottrina, nel sen-so indicato nel testo, A. Tedoldi, Mediazione obbligatoria e opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. it. 2012, 2621 ss.; V. Violante, Opposizione a decreto ingiuntivo e onere della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.lgs 4 marzo 2010, n. 28, in Judicium.it. 2016; G. Reali, La mediazione come condizione di procedibilità della domanda tra dubbi interpretativi e incer-tezze applicative, in Il giusto proc. civ. 2015, 979 ss., spec. 991 ss.; in que-sto senso, v. pure F. Santagada, La mediazione, Torino, 2012, 73, nt. 125.

dottrinali13-14-15.

13 E’ qui opportuna una precisazione: discutendo dell’onere di proporre la mediazione, si dà per premesso che, anteriormente o contestualmente a questa, ma comunque entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto, sia stata proposta l’opposizione ex art. 645 c.p.c., giacché pare che il termine perentorio previsto dall’art. 641 c.p.c. possa essere rispettato solo con l’effettiva proposizione dell’opposizione, non essendo sufficiente la domanda di mediazione. E tuttavia, sebbene l’argomento esuli dall’og-getto d’indagine, credo che la proposizione della domanda di mediazione entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c. possa sostituire, per il debitore, l’obbligo di proporre opposizione (salvi i casi in cui il debitore voglia chiedere l’immediata sospensione dell’esecutività del decreto ex art. 649 c.p.c.), impedendone «la decadenza per una sola volta» (art. 5, comma 6°, d.lgs. n. 28/2010), e cioè impedendo (il decorso del termine ai fini del)la decadenza di cui all’art. 647 c.p.c., il cui termine potrebbe nuovamente decorrere dall’esito (in ipotesi) infausto della mediazione. Tale soluzione, tuttavia, è osteggiata dalla giurisprudenza reperibile sinora, tra cui v. Trib. Firenze 17 gennaio 2016, in Mondoadr.it. Il problema è stato poi affronta-to in giurisprudenza con riguardo ai rapporti tra provvedimento cautelare ante causam e giudizio di merito, e tale attitudine è stata esclusa da Trib. Brindisi-Francavilla Fontana 9 gennaio 2012, in Giur. it. 2012, 1099 ss., e invece (sostanzialmente) ammessa da Trib. Reggio Emilia 13 ottobre 2012, in Ilcaso.it, che ha riconosciuto la sospensione del termine per pro-porre il giudizio di merito nella pendenza della mediazione. La dottrina, occupandosi della norma di cui all’art. 5, comma 6°, d.lgs. n. 28/2010, ha fornito soluzioni variegate, da quella più rigorosa, che richiede il ne-cessario compimento dell’attività processualmente prevista, a quella più concessiva, che ha proposto la sospensione del termine in pendenza della mediazione, passando per varie soluzioni intermedie (per un saggio del pa-norama, v. G. Fanelli, «Interferenze» ancor più qualificate tra mediazione e processi dopo il c.d. ‘decreto del fare’ e la legge n. 98/2013, in Judicium.it 2014, 36 ss.; indicazioni altresì in Giur. it. 2012, 1100 ss.).14 Un altro chiarimento si rende opportuno, anche per il collegamen-to con la tematica affrontata nella nota precedente. La lettera dell’art. 5, comma 4°, lett. a, d.lgs. n. 28/2010, richiama i provvedimenti assunti, dal giudice dell’opposizione al decreto, ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c.: si tratta, com’è noto, dell’eventuale concessione della provvisoria esecuti-vità al decreto che ne era sfornito, in caso di opposizione non fondata su prova «di pronto uso» (art. 648 c.p.c.), e, per converso, della sospensione, per gravi motivi, dell’esecutorietà provvisoria del decreto monitorio (art. 649 c.p.c.); si può ragionevolmente escludere, invece, il richiamo dell’art. 642 c.p.c., poiché in questo caso la esecutorietà viene provvisoriamente concessa prima ancora che vi sia l’opposizione, e dunque la fattispecie esula dai presupposti applicativi dell’art. 5, comma 4°, lett. a, d.lgs. n. 28/2010, come risultanti pure dalla lettura della relazione illustrativa (in questo senso, v. D. Ravenna, L’opponente o l’opposto, questo è il dilem-ma, in Immobili e proprietà 2016, 243). Tali provvedimenti sono «inclusi» in quella fase processuale esentata dalla mediazione obbligatoria, anche per via della loro natura (para?)cautelare, e anzi segnano il momento in cui l’obbligatorietà della mediazione riprende ad applicarsi. Ebbene – fermo restando che, nel caso in cui tali provvedimenti non vengano richiesti, la mediazione è immediatamente obbligatoria, e cioè contestualmente alla proposizione dell’opposizione –, il fatto che la mediazione venga posti-cipata a quelli, ove presenti (come solitamente accade), unitamente al fatto che i giudici di merito richiedono che venga innanzitutto proposta l’opposizione entro il termine perentorio (v. nt. precedente), consente (e l’analisi della giurisprudenza lo conferma) di collocare normativamente il fenomeno che si esamina nell’ipotesi prevista dall’art. 5, comma 1° bis, penult. inciso, d.lgs. n. 28/2010, secondo cui il giudice fissa una successiva udienza, nel rispetto del termine di almeno tre mesi dalla stessa, «quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazio-ne». E così, nel nostro caso, sarà lo stesso giudice dell’opposizione, in pri-ma udienza o con separata ordinanza, e subito dopo l’eventuale pronuncia dei provvedimenti ex artt. 648-649 c.p.c., a rinviare la causa ad un’udienza successiva, per consentire la trattazione della mediazione, assegnando alle parti un termine per la relativa introduzione. A tale scopo, peraltro, sareb-be opportuno che lo stesso giudice indicasse nel provvedimento la parte che ritiene onerata all’introduzione del procedimento mediatorio, così da anticipare le conseguenze dell’eventuale dichiarazione di improcedibilità.15 Analogo dibattito si era svolto, nella vigenza del tentativo obbligatorio

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riamente (ma forse troppo lapidariamente) affermando che la norma di cui all’art. 5 «è stata costruita in funzione deflat-tiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costi-tuzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. (…) Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. (…) E’ l’oppo-nente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’o-nere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga»19.

Una folta schiera di creditori, e forse l’intera categoria degli operatori pratici, che dovrebbe beneficiare della cer-tezza del diritto, poteva così dedicarsi più serenamente alle incipienti festività natalizie, contenta del «regalo» offerto dal Supremo Consesso. Se non che il principio non è sta-to condiviso da tutti, e il Giudice di Pace di Taranto, con una pronuncia del 21 dicembre 201520, affatto intimorito dal precedente di legittimità, giudicato «non convincente», ha ribadito l’orientamento del «favor debitoris», ritenendo che l’onere di proporre l’istanza di mediazione «non può non ri-cadere che sulla parte opposta, che rimane sempre il soggetto che inizialmente ha inteso esercitare in giudizio un’azione». Dopo breve tempo, la stessa posizione è stata riproposta dal «coriaceo» Tribunale di Firenze, con due ordinanze del 17 gennaio 2016 e del 15 febbraio 2016, che ritiene «non con-divisibile» la decisione della Corte di cassazione, a testimo-nianza di un contrasto interpretativo anche interno allo stesso ufficio giudiziario21; dal Tribunale di Benevento, con sen-tenza del 23 gennaio 2016, e dal Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 3 febbraio 2016, che disattendono la pro-nuncia del Supremo Consesso con analoghe argomentazioni, così rinnovando un conflitto giurisprudenziale con ulteriori e contrapposte pronunce, che invece abbracciano l’approdo raggiunto dai Giudici di legittimità, come fatto dal Tribunale di Monza, con sentenza del 21 gennaio 2016, dal Tribunale di Trento, con sentenza del 23 febbraio 2016, e dal Tribunale di Napoli, con sentenza del 21 marzo 2016.

3. LE RAGIONI E I SUPPORTI NORMATIVI

E’ ora necessario, per potersi orientare in questo caleido-scopio di opinioni, scendere più a fondo di quanto non si sia finora fatto con queste indicazioni generali, che rischia-no di rimanere petitiones principii, ed esaminare i supporti logici e normativi richiamati da ciascuna delle contrapposte posizioni, iniziando proprio da quella del «favor debitoris», da ultimo ribadita dai giudici di Taranto, Benevento e Busto Arsizio e Firenze.

Il principale riferimento per questo orientamento è lo stes-so art. 5, comma 1° bis, d.lgs. n. 28/2010, secondo cui è one-

19 Cass., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629, cit.20 V. nt. 16.21 V. ntt. 16-17.

improcedibile, con le conseguenze fissate dall’art. 653 c.p.c., e dunque con l’irrevocabile stabilità del decreto ingiuntivo emesso17.

A fronte dell’inestricabile garbuglio, e visti gli effetti della manchevole lettera normativa – latrice, piuttosto che dell’au-spicata riduzione, di una moltiplicazione delle controver-sie –, da più parti si attendeva una pronuncia della Corte di cassazione, che, sebbene sfornita di efficacia giuridicamen-te vincolante, è (dovrebbe essere) nel nostro ordinamento quantomeno tributaria di un fattivo rispetto, dovuto alla sua posizione apicale e, soprattutto, al suo potere di controllo di ultima istanza sulle decisioni definitive del giudizio, in cui la pronuncia sull’improcedibilità si risolve18.

E la Suprema Corte era finalmente intervenuta, perento-

17 In questo senso, Trib. Prato 18 luglio 2011, in Adrintesa.it; Trib. Sie-na 25 giugno 2012, in Mondoadr.it; Trib. Rimini 5 agosto 2014, in Mon-doadr.it; Trib. Firenze 30 ottobre 2014, in Giur. it. 2015, 1124 ss., con nota di E. Benigni; Trib. Bologna 20 gennaio 2015, in Giuridica.net; Trib. Nola 24 febbraio 2015, in Giur. it. 2015, 1123 ss., con nota di E. Benigni; Trib. Monza 31 marzo 2015, in Pluris-cedam.utetgiuridica.it; Trib. Firen-ze 21 aprile 2015, in Osservatoriomediazionecivile.blogspot.it, il quale si caratterizza per l’aver dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione, pur a fronte dell’introduzione (da parte dell’opposto) della fase di mediazione, a causa della mancata partecipazione effettiva del debitore ingiunto al pri-mo incontro (per alcuni rilievi, v. infra, nt. 50); Trib. Genova 15 giugno 2015, in Pluris-cedam.utetgiuridica.it; Trib. Chieti 8 settembre 2015, in Professionegiustizia.it., e Cass., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629, in Cortedicassazione.it, e in Giur. it. 2016, 71 ss., con nota di E. Benigni; dopo la pronuncia della Suprema Corte, in questo senso, Trib. Monza 21 gennaio 2016, n. 156, in Neldiritto.it; Trib. Trento 23 febbraio 2016, in Iu-sexplorer.it; Trib. Napoli 21 marzo 2016, n. 3738, in Iusexplorer.it. Tra gli autori, questa posizione è sostenuta da G. Balena, Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto proc. civ. 2011, 338 ss., 355; M.A. Lupoi, Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile, in Judicium.it, 2012, 13 ss.; M.P. Gasperini, Rapporti tra mediazione e giudizio contenzioso nel d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in Judicium.it, 2012, 13 ss.; E. Benigni, Incombe sull’opponente ex art. 645 c.p.c. l’onere di proporre l’istanza di mediazione, in Giur. it. 2015, 1125 ss.; E. Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, A.A. Romano (a cura di), cit., 245; F. Cuomo Ulloa, La nuova mediazione. Profili applicativi, Bologna, 2013, 193 ss.; M. Vac-cari, Questioni controverse in tema di mediazione, in Questione giustizia 2015, 134 ss.; D. Ravenna, op. cit., 241 ss.; C. Cipriani, Il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in Eclegal.it 2016; F. Ferrari, Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione: l’ultima parola della Suprema Corte, in Eclegal.it 2016. A metà strada, sostanzial-mente, si colloca la posizione di G. Minelli, sub art. 5, in La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, M. Bove (a cura di), Padova, 2011, 139 ss., spec. 191, secondo cui l’obbligo di in-trodurre la mediazione spetterebbe, alternativamente, al creditore, in caso di sospensione dell’esecutività del decreto ai sensi dell’art. 649 c.p.c., al debitore, in caso di concessione dell’esecutività, ai sensi dell’art. 648 c.p.c. E tuttavia, l’impostazione mi pare inaccettabile, non solo per l’irritualità di una soluzione secundum eventum litis, ma anche perché limitata a un dato occasionale come la pronuncia dei provvedimenti di sospensione o concessione dell’efficacia esecutiva, ferme restando le argomentazioni che rassegnerò infra.18 Non è possibile esaminare in dettaglio la questione della natura della dichiarazione di «improcedibilità della domanda», al fine di valutarne gli effetti sul diritto dedotto in giudizio, ma è sufficiente chiarire che essa rappresenta una pronuncia di rito, che rileva l’assenza di una «condizione per la decisione di merito», da assumersi in forma di sentenza (v. art. 279, comma 2°, n. 2, c.p.c.), con cui si determina, a seconda dei casi, la chiusura definitiva del processo senza decisione nel merito, salvo l’appello (v. art. 339 c.p.c.), ovvero, in caso di cumulo di domande (non tutte soggette a me-diazione), una decisione non definitiva (perché parziale) di rito (v. art. 279, comma 2°, n. 4, c.p.c.), soggetta a impugnazione immediata o a riserva di impugnazione (v. artt. 339-340 c.p.c.).

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fronte del quale «vi sarà almeno una parte (…) poco incline a conciliare la lite»27, si richiama (simbolicamente) l’antico ritornello per cui, con l’opposizione, il provvedimento mo-nitorio «resolvitur in vim simplicis citationis»28. E, poiché l’esperimento del tentativo di mediazione spetta a «chi inten-de esercitare in giudizio un’azione», nel procedimento per decreto ingiuntivo «chi propone l’azione è il creditore che deposita il ricorso in via monitoria», ed è perciò questi l’one-rato alla mediazione, in mancanza della quale «l’opposizione si chiuderà in mero rito con sentenza che, dichiarando l’im-procedibilità della domanda monitoriamente azionata, revo-cherà il decreto ingiuntivo opposto e condannerà l’opposto alle spese»29.

Di contro, l’orientamento che onera l’opponente fa sostan-zialmente affidamento sull’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), rilevando che «l’interesse concreto alla presentazione della istanza di mediazione debba essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte appunto ‘interessata’ ad evi-tare il prospettabile ‘passaggio in giudicato’ dell’opposto decreto»30.

Secondo questa impostazione, l’art. 5, comma 4°, lett. a, d.lgs. n. 28/2010, andrebbe letto nel senso che «si è inteso escludere (…) che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione (…) siano condizionate da tale incomben-te», per l’incompatibilità della previa mediazione obbligato-ria «con le peculiari caratteristiche del procedimento moni-torio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attiva-zione del contraddittorio (…)», sicché, «in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e lato sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monito-rio emesso»31.

D’altra parte, l’onere in capo all’opponente sarebbe l’uni-ca soluzione in armonia con i «principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento di mediazione», poiché il mancato esperi-mento della mediazione, nei casi in cui questa sia obbligato-ria, non sarebbe altro che «una forma qualificata di inattività delle parti»32, la cui conseguenza è l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307 c.p.c., che, peraltro, non travolgerebbe i provvedimenti di merito medio tempore emessi (art. 310 c.p.c.).

Nel caso del decreto ingiuntivo, in particolare, bisogne-rebbe tenere presente che l’inattività del debitore comporta le conseguenze di cui agli artt. 647 e 653 c.p.c., e cioè la

27 A. Tedoldi, op. ult. cit., 2622.28 Così scriveva, con riferimento a istituti ormai superati (il praeceptum cum clausula iustificativa), Baldo, ad C. 7, 57 princ., n. 4: «refert aut cita-tus compareat et resolvitur in simplicem citationem – aut non compareat et stat praeceptum firmum». Per il graduale superamento di questo principio, v. G. Tomei, op. loc. cit.29 Gli ultimi brani sono tratti da A. Tedoldi, op. ult. cit., 2622-2623.30 Trib. Chieti 8 settembre 2015, cit.31 Id.32 Id.

rato della proposizione della mediazione «chi intende eser-citare in giudizio un’azione»: nel procedimento monitorio, si assume, «la domanda azionata è quella del creditore con ricorso per decreto ingiuntivo»22.

Questo criterio viene poi combinato al principio, accolto dalla giurisprudenza, secondo cui l’opposizione al decreto introduce un ordinario giudizio di cognizione, che prosegue quello monitorio, investendo il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda di ingiunzione, il che implica un duplice ogget-to dell’opposizione: da una parte, giudizio di legittimità dell’emessa ingiunzione, dall’altra, giudizio di accertamento sull’esistenza (e persistenza) del credito azionato23.

Ne deriverebbe, secondo questo pensiero, che l’attore «in senso sostanziale» rimane il creditore, nonostante l’inversio-ne delle posizioni formali, determinata dal giudizio opposi-torio. L’atto di opposizione, infatti, non costituirebbe «una iniziativa processuale autonoma, ma la reazione difensiva all’impulso procedimentale altrui»24. E così, onerare lo stesso ingiunto dell’introduzione della mediazione determinerebbe «uno squilibrio irragionevole ai danni del debitore, che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria viene pure gravato di un altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui»25.

Analogamente, in dottrina, concordandosi sulle «conse-guenze esiziali per l’opponente»26 di un’interpretazione che lo oneri della conduzione della mediazione, e pur rilevando (condivisibilmente) la poca presa di un tentativo di conci-liazione posticipato a un provvedimento giurisdizionale, a

22 Trib. Ferrara, 7 gennaio 2015, cit. Ritiene V. Violante, op. cit., 6 che «la dovuta valorizzazione dell’oggetto del giudizio di opposizione a de-creto ingiuntivo (…) dovrebbe implicare che la declaratoria di improce-dibilità, in difetto della istanza di mediazione obbligatoria, debba avere ad oggetto la domanda sostanziale siccome proposta in via monitoria dal creditore opposto»; nello stesso senso, G. Reali, op. cit., 995-996.23 A tal proposito, v. Cass., sez. III, 24 settembre 2013, n. 21849, in Cortedicassazione.it; Cass., sez. lav., 17 ottobre 2011, n. 21432, in Corte-dicassazione.it: «(i)l giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (…) si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, e non a quello, anteriore, della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione».24 Trib. Varese 18 maggio 2012, cit. Afferma V. Violante, op. cit., 7, che «il diverso modus procedendi per conseguire un titolo – ricorso per decreto ingiuntivo in luogo, ad es., di una citazione ordinaria – non deve alterare il dato oggettivo e fondamentale della proposizione di una doman-da giudiziale (quale che sia l’atto introduttivo e la procedura scelti dalla parte attrice)»; G. Reali, 995, pone l’accento sul fatto che «la citazione in opposizione (…) sotto il profilo del contenuto è equiparabile ad una comparsa di risposta».25 Trib. Varese 18 maggio 2012, cit.26 A. Tedoldi, op. ult. cit., cit., 2621; dalla prospettiva opposta, G. Reali, op. cit., 996-997, evidenzia che, «considerato che, se la pretesa fosse stata azionata in via ordinaria, l’onere di attivarsi alla mediazione sarebbe stato pacificamente a carico del creditore, non c’è ragione di ritenere che costui, soltanto perché abbia optato per la via sommaria e ottenuto un provvedi-mento di condanna inaudita altera parte (…), debba poi avere pure il van-taggio di essere sollevato dall’onere di avvio della mediazione che l’art. 5 d.lgs. 28 pone su chi formula domanda».

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neanche la giurisprudenza «restrittiva» richiede che l’intro-duzione della mediazione preceda la stessa opposizione38; ad essere in contestazione, piuttosto, è solo chi, dopo la proposi-zione dell’opposizione – evidentemente da parte del debitore – debba iniziare la mediazione, e con che conseguenze in caso di inottemperanza.

In dottrina si evidenzia l’impossibilità di «far ‘retroagire’ l’improcedibilità ex art. 5 all’azione esercitata con il ricor-so originario», specie considerando che la fase sommaria si chiude «con provvedimenti che diventano definitivi ove la successiva fase di merito non venga coltivata»39, sicché l’obbligo di procedere alla mediazione «diviene attuale nel corso del giudizio, e più precisamente nella fase (eventuale) a cognizione piena», e pertanto «graverà proprio sulla parte interessata alla instaurazione e/o prosecuzione di tale fase a cognizione piena (… il debitore, nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo)»40; la soluzione contraria sarebbe infon-data, «anche perché applica un regime speciale alla improce-dibilità non contemplato dal decreto n. 28 e in contrasto con il disposto dell’art. 647 c.p.c.»41

Ebbene, poiché, nonostante le critiche medio tempore ri-cevute e il citato intervento della Corte di cassazione, le più recenti e dissonanti pronunce del Giudice di Pace di Taranto e dei Tribunali di Firenze, Benevento e Busto Arsizio non apportano sostanziali novità agli indici interpretativi già of-ferti dai primi commenti, non mi resta che vagliare la tenuta di tali fondamenti, non prima di avere confessato – ove non fosse ancora chiara – la mia adesione all’orientamento che individua la parte onerata nel debitore opponente, come si deduce dal sistema normativo vigente in tema di opposizione a decreto ingiuntivo.

4. LA SOLUZIONE CONDIVISA

La confessione mi solleva dal dover criticamente riprende-re gli spunti già offerti dall’orientamento qui condiviso, an-che se non mancherò di richiamare e approfondire i relativi fondamenti logici e normativi.

Ciò premesso, e per cominciare, è da confutare l’appunto secondo cui la mediazione spetterebbe al creditore per il fat-to che essa è qualificata come condizione di «procedibilità della domanda giudiziale» (corsivo mio), che sarebbe quella proposta dal creditore con il ricorso per decreto ingiuntivo, in quanto esso è non solo debole, poiché fondato su un ar-gomento letterale (in una legge che, per ogni altro profilo, non si esita a criticare per la mala scrittura), ma soprattutto

38 Anzi, come già riferito in nt. 13, pare che la giurisprudenza parta dalla premessa opposta, e quindi che, nel nostro caso, si debba prima di ogni al-tra cosa proporre l’opposizione, e solo dopo agire in mediazione. In questo senso, di recente, Trib. Firenze 17 gennaio 2016, cit.39 M.P. Gasperini, op. cit., 14.40 G. Balena, op. loc. cit.41 M.A. Lupoi, op. cit., 22. In questi termini, v. anche F. Cuomo Ulloa, op. loc. cit., per il rilievo che la conclusione contraria, «per quanto coerente con la distribuzione dei ruoli sostanziali – appare tuttavia problematica: in quanto presuppone una dichiarazione di revoca o di nullità del decreto ingiuntivo non prevista da alcuna norma processuale».

stabilizzazione del decreto, in maniera sostanzialmente as-similabile all’efficacia di giudicato ex artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.33, nel caso in cui il debitore non proponga l’opposizione nei termini o nel caso in cui, pur avendola proposta, lasci poi estinguere il giudizio di opposizione. Ragionare al contrario «comporterebbe che, in contrasto con le regole processuali proprie del rito, si porrebbe in capo all’ingiungente opposto l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò contraddicendo la ratio del giudizio di opposizione, che ha la propria pecu-liarità nel rimettere l’instaurazione del giudizio – e, quindi, la sottoposizione al vaglio del giudice della fondatezza del cre-dito ingiunto – alla libera scelta del debitore»; e «del resto, se solo si considera che l’opposto è già munito di titolo che, come visto, è destinato a consolidarsi nel caso di mancata opposizione, appare evidente che è proprio l’opponente la parte più interessata all’esito del giudizio di opposizione»34.

Ancora, affermano questi interpreti, immaginare un one-re per l’opposto, a pena d’inefficacia del decreto ingiuntivo, porterebbe alla configurazione di «una singolare ‘improcedi-bilità postuma’ che dovrebbe colpire un provvedimento giu-diziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorché sub judice», con buona pace dell’intento deflattivo, atteso che «il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo ‘improcedibile’ non esite-rà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda»35, già ritenuta fondata, e caducata per mere ragioni procedimentali.

Di queste ragioni la Suprema Corte si è limitata a suggel-lare la validità, evidenziando la ratio deflattiva dell’art. 5, che intende il processo come «l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse», sicché «l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo», la quale, di fronte al decreto ingiuntivo, non può che essere l’opponente, senza che abbia alcun pregio l’«errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rap-porto processuale) la parte sulla quale grava l’onere»36.

Riservando ogni ulteriore considerazione al paragrafo successivo, devo subito esprimere il mio disaccordo con il rilievo, che ritengo inco(nf)erente, per cui sarebbe illogica e inefficiente «una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di media-zione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo»37 (corsivo mio), poiché, in realtà, non solo l’art. 5 d.lgs. n. 28/2010 non prevede (come confer-mano la formulazione e il rinvio agli artt. 648-649 c.p.c.), ma

33 V. nt. 12.34 I brani citati sono tratti da Trib. Nola 24 febbraio 2015, cit.35 Gli ultimi due estratti sono di Trib. Chieti 8 settembre 2015, cit.36 Così si legge nella motivazione di Cass. 3 dicembre 2015, n. 24629, cit.37 Id. Per considerazioni critiche sulle «argomentazioni» utilizzate dai Giudici di legittimità per difendere una soluzione pur ritenuta condivisibi-le, v. E. Benigni, Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: onerato dell’avvio è l’opponente, in Giur. it. 2016, 71 ss.

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portare avanti il processo sino alla decisione di merito (v. artt. 641, 647 e 653 c.p.c.); e, inoltre, ciò non toglie che, al momento in cui si propone l’opposizione, la domanda moni-toria abbia già comportato la pronuncia di un provvedimento giudiziale, che una parte ben precisa (il debitore) ha interesse (e onere) ad opporre, pena la «esecutività» del decreto.

Confutate le premesse, rimango poi sorpreso dal proposto riconoscimento di una regola (eccezionale?) di inefficacia tale per cui la mancata proposizione della mediazione sareb-be addirittura suscettibile di determinare l’immediata cadu-cazione del decreto ingiuntivo emesso, in spregio al principio per cui ogni provvedimento giudiziale (invalido o) ingiusto deve essere «impugnato» nelle forme previste (cfr. artt. 161 e 323 c.p.c.), non potendo altrimenti essere revocato.

Al contrario, esclusa per tabulas l’idea che alla mediazio-ne non debba procedersi neanche in sede di opposizione46, ritengo che la soluzione in virtù della quale la mediazione debba essere attivata dal debitore opponente sia perfettamen-te coerente con lo svolgimento dell’iter processuale monito-rio, la cui prima fase, fino alla pronuncia del decreto, è carat-terizzata dall’assenza di contraddittorio, con la conseguenza che sia proprio l’opponente, al momento dell’apertura del contraddittorio, e per contrastare la pretesa già riconosciuta dal provvedimento ingiuntivo, a (dover) richiedere la media-zione per il credito vantato47.

Questo, mi sembra, è chiaramente dimostrato dall’impo-stazione normativa che presiede il decreto ingiuntivo nel nostro ordinamento, che sancisce una serie di oneri a cari-co dell’ingiunto, tanto che questi deve non solo introdurre (tempestivamente) il giudizio di opposizione (art. 647 c.p.c.), ma anche – ed è questo l’aspetto principale – coltivarlo fino alla pronuncia (auspicabilmente favorevole) della sentenza (art. 653 c.p.c.), pena l’esecutività, e perciò il passaggio in giudicato, del decreto ingiuntivo.

Proprio quest’ultima norma, prevedendo che, in caso di rigetto (anche in rito) o di estinzione dell’opposizione, la conseguenza non sia la perdita di efficacia del decreto, ma al contrario la sua esecutività, ammonisce del fatto che nelle more sia stato emesso un provvedimento giudiziale, la cui esistenza non può essere posta nel nulla senza l’attivazione del rimedio di controllo (in questo caso, l’opposizione ex art. 645 c.p.c.), il che non può che invertire le posizioni di «inte-resse» a proporre la mediazione, evidentemente a carico del debitore.

In questi ristretti termini, si comprende l’analogia, se non strutturale, perlomeno funzionale, che la giurisprudenza pro-pone tra la dichiarazione di improcedibilità, che si traduce in

46 Per questa idea, a proposito dei rapporti tra ex conciliazione stragiu-diziale e processi lavoristici, v. nt. 15, e lo scritto ivi citato di R. Conte.47 E ciò, va precisato, varrà anche nel caso in cui il giudice dell’opposizione abbia provvisoriamente sospeso l’esecutività del decreto per la sussistenza di gravi motivi, in attesa della delibazione dell’opposizione stessa (art. 648 c.p.c.), poiché manca, per il procedimento monitorio, una disposizione analoga a quella prevista, per l’esecuzione forzata, dall’art. 624, comma 3°, c.p.c., che, in caso di sospensione dell’esecuzione, onera la parte più diligente ad introdurre il giudizio di merito dell’opposizione, pena l’inefficacia del pignoramento.

rischia di provare troppo.Da una parte, infatti, mi sembra improprio discutere di

«procedibilità» in relazione a una domanda che, dopo la pronuncia del decreto ingiuntivo, ha già proceduto, anzi, ha proceduto così tanto da aver completato con successo l’inte-ro ciclo processuale che il legislatore le assegna. Dall’altra parte, ove si ritenga che l’onerato alla mediazione sia non l’attore «in senso formale», bensì quello «in senso sostanzia-le», e cioè il titolare del diritto dedotto, per logica dovrebbe richiedersi lo stesso in ogni caso in cui, anche al di là dei giudizi oppositori come il nostro (v. infra, § 5), una parte eserciti un’azione di accertamento negativo, e così dovrebbe ritenersi che, in tali casi, ad agire in mediazione debba essere il convenuto, titolare del diritto dedotto in giudizio42, eppure non mi risulta (e giustamente!) che la dottrina sia giunta a tali approdi43.

Più ragionevolmente, l’onere di proporre la mediazione spetta, in via generale, a chi introduce la controversia, cioè a chi deduce la lite dinanzi al giudice, a chi esprime nel proces-so la situazione contenziosa che sta fuori del processo, a chi, in ultima analisi, ha «interesse ad agire» (o ad impugnare). Così intesa la questione, non è conferente il richiamo alla teoria del procedimento monitorio come procedimento uni-tario44, ove l’opposizione non è tecnicamente una impugna-zione, ma la prosecuzione contenziosa della fase monitoria, né tantomeno a quella che l’attore «in senso sostanziale» è il creditore, né ancora il richiamo all’altra teoria, alla prima collegata, e che pure condivido, secondo cui l’oggetto del giudizio di opposizione non è limitato al controllo di vali-dità del decreto ingiuntivo, ma riguarda la fondatezza della domanda già introdotta con il ricorso monitorio45, poiché ciò non ha nulla a che vedere con l’individuazione della parte che, concretamente, deduce la controversia in giudizio nel-le forme del contraddittorio, e che è tenuta a proporre op-posizione entro un termine perentorio (art. 645 c.p.c.) ed a

42 Per questo aspetto, di recente, v. C. Cariglia, Profili generali delle azioni di accertamento negativo, Torino, 2013, 92, e A.A. Romano, L’a-zione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 263 ss., 275 ss. 43 Senza contare che l’assolutizzazione dell’idea che la funzione del-la mediazione obbligatoria sia di sottoporre l’esercizio del diritto al filtro conciliativo non è in grado di spiegare la funzione della c.d. «mediazione delegata» (art. 5, comma 2°, d.lgs. n. 28/2010), il cui esperimento può essere disposto non solo nel corso del giudizio di primo grado, ma anche in appello, dopo la pronuncia della sentenza, e mi domando se, a fronte dell’eventuale dichiarazione di improcedibilità dell’appello per mancata mediazione, gli interpreti che contesto penserebbero di sostenere che, in tal caso, dovrebbe venir meno la sentenza di primo grado. Ciò, in realtà, dovrebbe dimostrare che la ratio dell’istituto non è semplicisticamente le-gata all’idea del «filtro» all’azione, bensì manifesta la volontà di favorire una soluzione «autonoma», «anticipata» e, soprattutto, «negoziale» della lite, sgravando il meccanismo processuale.44 Per qualche riferimento sul tema, v. G. Vignera, La relazione strut-turale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, in Riv. dir. proc. 2000, 751 ss.45 Per una sintesi, v. A. Proto Pisani, Opposizione a decreto ingiunti-vo, continenza e connessione: una grave occasione mancata dalle Sezioni Unite, in Foro it. 1992, I, 3286 ss. Per indicazioni, A. Tedoldi, sub art. 645, in Commentario del codice di procedura civile, L.P. Comoglio-C. Consolo-B. Sassani-R. Vaccarella (a cura di), vol. VII, I, Torino, 2013, 704 ss. La tesi è oggi pacifica in giurisprudenza, per cui v. nt. 23.

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5. L’ESTENSIONE DEL PRINCIPIO AGLI ALTRI

GIUDIZI «OPPOSITORI»

La logicità della soluzione proposta, che è l’unica coeren-te con l’impostazione sistematica dei rapporti tra le (attività delle) parti nel procedimento monitorio, può forse beneficia-re di qualche ulteriore considerazione che, nata dallo speci-fico caso del procedimento per ingiunzione, è suscettibile di trovare adeguata collocazione e, anzi, può riceverne svi-luppo ove sia applicata anche ad altre fattispecie disciplinate dallo stesso comma 4° dell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, per cui il legislatore analogamente prevede che la mediazione sia obbligatoria non in limine litis (fase sommaria), ma in un momento successivo (fase a cognizione piena): fattispecie che possono qui riassuntivamente denominarsi come «giu-dizi oppositori»51.

Non posso dedicarmi funditus all’argomento, che pure è di grande interesse al fine di cogliere la capacità (e la necessità) di adattamento degli schemi formali del processo alle diverse situazioni sostanziali, ai diversi rapporti giuridici tra le parti che vengono volta a volta in iudicio deducti, e tuttavia è utile fornire qualche rapidissimo cenno intorno a questo fenome-no, con cui – mi sia perdonata la semplificazione – si può indicare l’insieme dei giudizi nati da quella reazione proces-suale che consiste nell’esercizio di un «rimedio», ossia di uno strumento attraverso cui una parte «reagisce» all’azione processuale o alla situazione di potere sostanziale della con-troparte, al fine di preservare il proprio interesse52. La prin-cipale caratterizzazione di questi giudizi, rispetto a un «ordi-nario» procedimento di cognizione, è data dall’esistenza, in capo a una parte, di un «titolo»53, e cioè di uno strumento di

ingiuntivo (inammissibile per i motivi esposti nel testo) e l’improcedibilità dell’opposizione (parimenti inammissibile per il fatto che la legge ricolle-ga l’improcedibilità alla sola ipotesi di mancata instaurazione del tentativo di mediazione), mi sembra che l’unica soluzione ragionevole sia quella di consentire la prosecuzione in sede giudiziale dell’opposizione, e di tenere conto del comportamento della parte nei termini previsti dall’art. 8, com-ma 4° bis, d.lgs. n. 28/2010 (così, ad esempio, lo stesso Trib. Firenze 11 febbraio 2015, in Pluris-cedam.utetgiuridica.it).51 Per indicazioni, anche bibliografiche, sul tema, cfr. C. Cariglia, op. cit., 11 ss.; F. Bucolo, Variazioni sulla nozione di ‘opposizione’ nell’or-dinamento processual-civilista vigente, in Studi in onore di Enrico Tullio Liebman, III, Milano, 1979, 1823 ss.52 F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, definitiva il rimedio (da re medeor, richiamo metaforico alla medicina) come il mezzo di reazione (ivi, 329) adoperato al fine di far valere le devianze dell’atto dai parametri di legalità, convenienza e giustizia (ivi, 325 ss.); similmente, S. Satta, Diritto processuale civile, Padova, 1973, 352; in argomento, v. anche R. Provinciali, Delle impugnazioni in generale, in Trattato del pro-cesso civile, F. Carnelutti (diretto da), Napoli, 1962, 12 ss., 25 ss.53 Tale nozione, le cui oggettivizzazioni più note sono il «titolo di cre-dito» (artt. 1992 ss. c.c.) e il «titolo esecutivo» (art. 474 ss. c.p.c.), risale a un principio generale, in virtù del quale l’ordinamento riconosce a una determinata fattispecie una peculiare efficacia giuridica, valevole a con-sentire la messa in atto di poteri, procedimenti e attività suscettibili di con-durre alla realizzazione, anche coattiva, di un certo interesse, a scapito del soggetto passivo del rapporto. Sul concetto di titolo in generale, tra i tanti, ricordo le parole di S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 71 ss., che riconosce una «esecutività intrinseca al titolo, per ciò solo che è titolo, che consiste in una immediatezza di godimento della situazione indicata nel titolo stesso, e che può essere la più svariata, in genere una legittimazione, una prerogativa, uno stato, e via dicendo. Ti-

una pronuncia di rito, e la dichiarazione di estinzione del pro-cesso per inattività delle parti (art. 307 c.p.c.), cui la prima sarebbe in parte qua assimilabile, ove vi sia coincidenza tra oggetto del processo e oggetto della (mancata) mediazione48. E tuttavia, anche al di là di questa analogia49, sulla cui condi-visione mantengo qualche riserva, a giustificare l’applicazio-ne diretta dell’art. 653 c.p.c. basta la considerazione che la dichiarazione di improcedibilità dell’opposizione comporta la chiusura in rito della stessa, per carenza di un presupposto processuale, analogamente ai casi di improcedibilità delle impugnazioni (cfr. artt. 358, 387 c.p.c.)50.

48 V. in particolare Trib. Firenze 30 ottobre 2014, cit., e Trib. Nola 24 febbraio 2015, cit.49 Proposta in dottrina da L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d. lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc. 2010, 586; F. Santaga-da, in Aa.Vv., Mediazione e conciliazione nel nuovo processo civile, B. Sassani-F.Santagada (a cura di), Roma, 2011, 16 ss.; contra, v. C. Ripepi, Fase introduttiva del procedimento di mediazione obbligatoria ex lege e rapporti col processo, in questo volume, 55.50 E’ doveroso, in chiusura, fare un accenno all’ipotesi particolare, che ha costituito oggetto delle pronunce di Trib. Ferrara 4 novembre 2015, cit., e Trib. Firenze 12 novembre 2015, cit., in cui, dopo la proposizione dell’opposizione e della mediazione (da parte del creditore, visto l’orien-tamento seguito dai tribunali citati), l’opposto non si presenti all’incontro (Trib. Ferrara, cit.) o, pur presentandosi, non si dichiari disponibile alla mediazione (Trib. Firenze, cit.), rendendo impossibile l’attività del me-diatore (sul rilievo dell’attività delle parti nel primo incontro di media-zione v. il contributo di C. Ripepi, op. cit., 53 ss.). In tali casi, i giudici hanno dichiarato l’improcedibilità della domanda di condanna accolta con la pronuncia del decreto ingiuntivo, conseguentemente revocato. In senso opposto, ma sulla base della medesima premessa, Trib. Firenze, 21 aprile 2015, cit., ha dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione per non avere il debitore (ritenuto l’onerato, nel caso di specie) partecipato al pri-mo incontro. Ebbene, non nascondo che queste ipotesi rappresentino un momento di frizione delle contrapposte esigenze rappresentate nel testo, e mettano alla prova la soluzione proposta. E tuttavia, l’accettazione di tali conseguenze richiede la condivisione della premessa, pur diffusa in giurisprudenza (sul punto, v. M. Gradi, in C. Punzi, Il processo civile. Si-stema e problematiche. Le riforme del quinquennio 2010-2014, G. Ruffini (coordinato da), Torino, 2015, 418 ss.), in virtù della quale la mancata partecipazione «fattiva» all’attività di mediazione (presenza fisica e/o di-sponibilità alla mediazione) sarebbe parificabile alla mancata introduzione della mediazione ai sensi dell’art. 5 (in questo senso, di recente, proprio in un caso di opposizione a decreto ingiuntivo, Trib. Firenze 15 febbraio 2016, cit.); premessa che, personalmente, mi lascia perplesso, mentre ri-tengo piuttosto che tali comportamenti vadano ascritti al campo operativo dell’art. 8, comma 4° bis, d.lgs. n. 28/2010, che prevede conseguenze solo in termini di prova e spese (in questo senso, esaustivamente, Trib. Chieti 8 settembre 2015, cit.). In ogni caso, pur ammettendo tale premessa, biso-gnerebbe limitare l’improcedibilità della domanda ai soli casi di mancata collaborazione della stessa parte ritenuta ex ante onerata all’introduzione della mediazione, per il principio per cui il vizio dell’attività di una parte non può ricadere sull’altra. E tuttavia, al di là dell’opinabilità di una tesi che riconduca il medesimo comportamento a due norme diverse, a seconda della parte inattiva (nell’un caso, all’art. 5, nell’altro caso, all’art. 8), mi sembra che la mancata «introduzione» e la mancata «coltivazione attiva» della mediazione non siano attività processualmente parificabili, dovendo restare ferma la libertà di determinazione della parte, dopo aver adempiuto all’onere di cui all’art. 5, in ordine alla partecipazione fattiva o meno alla mediazione. D’altra parte, ritenere che le fattispecie sopra citate possano portare all’improcedibilità ex art. 5 è in contraddizione con la stessa esi-stenza dell’art. 8: se quest’ultima norma prevede, per la «mancata parteci-pazione (…) al procedimento di mediazione», conseguenze in termini di prova e spese, evidentemente applicabili solo a patto che il giudizio prose-gua, come si può affermare che, invece, questi casi darebbero luogo all’im-procedibilità della domanda, che implicherebbe la chiusura del processo? Si tratterebbe di una vera interpretatio abrogans dell’art. 8, a mio parere inammissibile. E così, di fronte all’alternativa tra la revoca del decreto

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precisa (seppur provvisoria) regolamentazione dei rapporti giuridici tra le parti, di cui il meccanismo processuale non può non tenere conto, poiché suscettibile di invertire le posi-zioni sostanziali delle parti e, conseguentemente, di traslare l’interesse «ad agire» (art. 100 c.p.c.), istituendo posizioni di soggezione e di onere (processuale di reazione).

A questo punto, è necessaria una precisazione. L’avere individuato una comune matrice di «onere processuale» in tutte queste fattispecie, non a caso parificate (con l’unica ec-cezione dei provvedimenti cautelari, per cui v. art. 5, comma 3°, d.lgs. n. 28/2010) dalla legge, se certamente consente di individuare la parte «interessata» alla (prosecuzione del pro-cesso per l’ottenimento della) decisione a cognizione piena in senso contrario al «titolo», e dunque alla instaurazione, ove obbligatorio, della fase di mediazione, non significa anche che le conseguenze dell’inattività della parte interessata deb-bano essere analoghe a quelle viste in tema di decreto ingiun-tivo non opposto. Esse, piuttosto, dipendono dalla concreta disciplina dell’efficacia del provvedimento considerato, che è variamente regolata dal legislatore processuale: l’ordinan-za provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c., ad esempio, non può ex se passare in giudicato, essendo un «provvedimento sommario-semplificato-esecutivo»58; la misura interdittale ex art. 703 c.p.c., in difetto della trattazione del c.d. «merito possessorio» (art. 703, comma 4°, c.p.c.), mantiene la pro-pria efficacia esecutiva, ma difetta di un accertamento con efficacia di giudicato59; il provvedimento cautelare anticipa-torio, se può essere pienamente attuato nelle forme previste dall’art. 669 duodecies c.p.c., è tuttavia munito di un’autorità che «non è invocabile in un diverso processo» (art. 669 oc-ties, ult. cpv., c.p.c.)60.

Ad ogni modo, se tutto ciò implica certamente la persisten-za di un interesse anche in capo al titolare del provvedimento – ove questi non ambisca alla «semplice» vis executiva, ma voglia l’accertamento con efficacia di giudicato (art. 2909 c.c.) –, tuttavia non comporta che l’eventuale sua inattività sia in grado di caducare l’efficacia del provvedimento già ottenuto, per la cui eliminazione è comunque necessaria la reazione del soggetto passivo, attraverso i «rimedi» all’uo-po predisposti (in tutti i casi sopra visti, l’introduzione del giudizio di merito a cognizione piena ex artt. 667, 703, 669 octies c.p.c.): non si può, infatti, dubitare che, pur in mancan-za dell’instaurazione della fase di merito ex art. 667 c.p.c., il locatore potrà ancora beneficiare dell’efficacia esecuti-va dell’ordinanza di rilascio immediato ex art. 665 c.p.c.61; allo stesso modo, non mi sembra in contestazione che, an-

58 Per indicazioni, v. G. Trisorio Liuzzi, I procedimenti sommari e spe-ciali. Procedimenti sommari, Torino, 2005, 789 ss.; A. Proto Pisani, Le-zioni, cit., 567 ss.59 Sul tema, v. funditus G. Basilico, Efficacia dell’interdetto possessorio, in I procedimenti possessori, A. Carratta (a cura di), Torino, 2015, 207 ss., spec. 225 ss.60 A tal riguardo, v. S. Recchioni, Il processo cautelare uniforme, in I procedimenti sommari e speciali, S. Chiarloni-C. Consolo (a cura di), cit., 49 ss.61 V. P. D’Ascola-F. Panetta, sub art. 665, in Commentario al codice di procedura civile, C. Consolo (a cura di), III, Torino, 2013, 201 ss.

legittimazione rappresentativo di un diritto, che attribuisce al possessore un potere nei confronti del debitore, che si trova in una posizione di «soggezione»54, e che è perciò «onerato» ad attivare il rimedio appositamente predisposto, in mancan-za del quale deve subire l’attività del «titolato». In questa luce, appare la funzionalizzazione tipica dell’opposizione come strumento di reazione processuale, e perciò caratteriz-zato dal suo essere «successivo» rispetto al «titolo».

Ebbene, questa situazione – che ho dovuto descrivere con sacrificio dei particolari – è quella che, in buona misura, si realizza non solo nell’opposizione a decreto ingiuntivo (art. 5, comma 4°, lett. a, d.lgs. n. 28/2010), ma anche «nei proce-dimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile» (art. 5, comma 4°, lett. b, d.lgs. n. 28/2010), nonché «nei pro-cedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile» (art. 5, comma 4°, lett. d, d.lgs. n. 28/2010), ai quali, mutatis mutandis, si potrebbero pure aggiungere i provve-dimenti cautelari anticipatori soggetti a «strumentalità at-tenuata» (art. 5, comma 3°, d.lgs. n. 28/2010; cfr. art. 669 octies, comma 6°, c.p.c.), e cioè quei provvedimenti «idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali», per i quali il titolare non ha l’obbligo (a pena d’inefficacia della misura, cfr. art. 669 novies c.p.c.) di introdurre il giudizio di merito, potendo già beneficiare di una misura lato sensu esecutiva (v. art. 669 duodecies c.p.c.)55.

Anche in questi casi, infatti, l’ordinamento esclude la me-diazione nella prima fase del percorso processuale, caratte-rizzata dalla «sommarietà», ed il cui scopo primario è quello di far «conseguire rapidamente un titolo esecutivo»56 o in-terdittale57, e la trasferisce al momento successivo all’otteni-mento di questo titolo (decreto ingiuntivo ex art. 641 c.p.c., ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., provvedimento inter-dittale ex art. 703 c.p.c., misura cautelare anticipatoria ex art. 669 octies, comma 6°, c.p.c.), dalla cui esistenza deriva una

tolo anzi è proprio questa esecutività, questo godimento, ne è l’espressione simbolica, si immedesima con esso e senza di esso non avrebbe neppure senso» (ivi, 75); e di F. Mazzarella, Contributo allo studio del titolo esecu-tivo, Milano, 1965, 1 ss., ove l’a. riconnette il concetto di titolo all’idea di «fondamento giuridico».54 Per qualche notizia sulla nozione di soggezione, si v. F. Carnelut-ti, Teoria generale, cit., 169 ss., G. Sperduti, Contributo alla teoria delle situazioni giuridiche soggettive, Milano, 1944, 91 ss.; ove specialmente riferita all’attività esecutiva, E.T. Liebman, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Roma, 1936, 126 ss.; F. Carnelutti, Lezioni di di-ritto processuale civile. Processo di esecuzione, I, Padova, 1929, 68 ss.; S. Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, 141 ss.55 Per recenti considerazioni sul tema, v. G. Basilico, Considerazioni sull’attuazione delle misure cautelari soggette a strumentalità attenuata, in Riv. esec. forz. 2014, 240 ss.56 Così la relazione al d.lgs. n. 28/2010 in merito al procedimento moni-torio (artt. 633 ss. c.p.c.) e a quello per convalida di licenza o sfratto (artt. 657 ss. c.p.c.).57 Non condivisibilmente, la relazione al d.lgs. n. 28/2010 richiama, a giustificazione dell’esenzione dalla mediazione per i procedimenti posses-sori, la medesima ratio del trattamento dei procedimenti cautelari, senza considerare che per i primi non rilevano il periculum in mora né il fumus boni iuris, il che ne esclude la natura cautelare.

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PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE E ACCORDO DI CONCILIAZIONE | SCIENZE E RICERCHE

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con quanto sopra detto che un’altra decisione, pronunciata ancora in tema di convalida, abbia individuato la parte one-rata all’introduzione della fase di merito ex art. 667 c.p.c. nel locatore, a pena d’improcedibilità della sua domanda di risoluzione contrattuale66, proprio perché in tal caso la fase sommaria si era conclusa senza l’emissione dell’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c., il che implicava la co-agulazione dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (e quindi dell’onere alla mediazione) in capo al solo locatore.

Questa logica (di inversione dell’onere processuale) non è affatto peregrina, ed è anzi coerente manifestazione di quell’atteggiamento dell’ordinamento per cui, allo scopo (costituzionalmente garantito) di facilitare il diritto di azio-ne ed evitare gli abusi del diritto di difesa e le diseconomie della cognizione piena, laddove non necessarie, si attribuisce ad una parte una tutela immediata e sommaria, e si onera il controinteressato a introdurre o proseguire il contraddittorio per ottenere la modifica o la revoca del «titolo» ex adverso posseduto67.

più chiaramente, nello stesso senso, Trib. Bologna 17 novembre 2015, in Pluris-cedam.utetgiuridica.it, secondo cui «è l’intimato, nei cui confronti il locatore può far valere l’ordinanza di rilascio (immediatamente esecuti-va e non impugnabile), ad avere effettivo interesse a coltivare il giudizio a cognizione piena derivato dalla sua opposizione. E’ dunque l’intimato ad essere significativamente onerato della instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria (una volta che il termine sia stato assegnato dal giudice) al fine di evitare che l’ordinanza di rilascio si stabilizzi. Certa-mente anche il locatore intimante può avere interesse a coltivare la me-diazione obbligatoria, ma ciò è vero non con riguardo al provvedimento esecutivo già conseguito e non impugnabile (condanna con riserva delle eccezioni del convenuto), bensì unicamente con riguardo alle ulteriori do-mande che il locatore abbia proposto».66 Trib. Lamezia Terme 22 giugno 2012, in Ilcaso.it.67 V. A. Proto Pisani, Lezioni, cit., 548 ss., ove, con specifico riguardo al procedimento monitorio, cui è assimilato il procedimento per convalida di sfratto, i quali insieme rappresentano «l’archetipo dei processi civili sem-plificati in funzione di esigenze di economia processuale» (ivi, 562), gli si attribuisce la «funzione di evitare (…) il costo del processo a cognizione piena quando esso non sia giustificato da una contestazione effettiva; que-sta funzione è realizzata per un verso consentendo che il giudice emani un provvedimento di condanna in assenza di contraddittorio e per altro verso spostando sul convenuto (cioè sulla parte nel cui interesse è predisposto il contraddittorio) il giudizio sulla opportunità di determinare la instaurazio-ne del processo a cognizione piena» (ivi, 551).

che laddove il titolare del provvedimento interdittale abbia richiesto la concessione del termine per l’instaurazione del giudizio sul merito possessorio (art. 703, comma 4°, c.p.c.) e non l’abbia poi introdotto, o l’abbia lasciato estinguere, ciò non comporti la revoca dell’ordinanza di accoglimento della domanda possessoria, a cui non si applica l’art. 669 novies, comma 1°, c.p.c.62; infine, è unanimemente riconosciuto che il beneficiario di un provvedimento cautelare anticipatorio a «strumentalità debole» non sia tenuto ad introdurre il giudi-zio di merito, ove gli basti l’efficacia «esecutiva» della mi-sura cautelare, che non è travolta dall’assenza della fase a cognizione piena63.

Da tutto ciò mi sembra possa conseguire il rilievo che, nei casi sopra indicati, la parte (principalmente interessata e quindi) «onerata» a introdurre la fase di mediazione è pur sempre il soggetto passivo della misura, il cui onere va tut-tavia inteso in un senso diverso rispetto a quello visto per l’opposizione a decreto ingiuntivo: la mancata mediazione e, dunque, l’eventuale dichiarazione di improcedibilità del-la domanda di merito a cognizione piena introdotta, ma non seguita dalla mediazione, non comportano una modifica (raf-forzativa) dell’efficacia del provvedimento sommario, e però non impediscono la conservazione di questa efficacia (pur deminuta rispetto al giudicato), l’interesse alla cui elimina-zione non può che essere, pertanto, del soggetto passivo64.

Non deve sorprendere, dunque, che laddove la fase som-maria del procedimento sommario locatizio si sia conclusa con l’emissione dell’ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni, si sia affermato che, «dichiarata l’improcedibili-tà della domanda, va precisato che non viene meno l’effi-cacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio ex art. 665 c.p.c. emessa all’esito della fase sommaria del procedimento di convalida»65. Analogamente, e per converso, è coerente

62 V. G. Basilico, Efficacia dell’interdetto, cit., 225 ss.; C. Consolo-C. Petrillo, sub art. 703, in Commentario al codice di procedura civile, C. Consolo (a cura di), cit., 828 ss.63 V. C. Consolo-M.P. Gasperini-S. Recchioni, sub art. 669 octies, in Commentario al codice di procedura civile, C. Consolo (a cura di), cit., 299 ss.64 Dall’individuazione della parte concretamente onerata alla mediazio-ne dovrebbe dipendere la stessa identificazione della parte tenuta al paga-mento delle spese processuali in caso di improcedibilità della domanda per mancata mediazione. E tuttavia, nei casi sopra esposti, credo che, per via della differenza con l’ipotesi del decreto ingiuntivo (ove solo il debitore è effettivamente «interessato» alla prosecuzione del giudizio), che comporta una sorta di «equivalenza» dell’interesse a proseguire il giudizio, le spese non possano essere imputate a una parte a titolo di condanna, per l’impos-sibilità (inopportunità) di individuare una parte responsabile della chiusura in rito del processo (che può essere evitata dall’azione della «parte più diligente»), e debbano essere invece regolate con applicazione analogica dell’art. 310, comma 4°, c.p.c., per cui le spese rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate; v. M.A. Lupoi, op. cit., 21 ss.65 Trib. Busto Arsizio-Gallarate 15 giugno 2012, in Ilcaso.it. Il giudi-ce continua ricordando che «è principio recepito in giurisprudenza quello secondo cui l’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c., eventualmente emessa nei confronti del conduttore che si sia opposto alla convalida dell’intimazione di sfratto, rientra nella categoria dei provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, e quindi l’estinzione del giudizio di merito o la sua improcedibilità non ne determina l’ineffi-cacia, salva restando la facoltà del conduttore di far valere, nel termine di prescrizione, le sue eccezioni in un nuovo autonomo processo». Ancora