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Maturità 2014-2015
Istituto di Istruzione Superiore “Vincenzo
Dandolo” Sede di Lonato
5^ M
Tesina di Clelia Amanda Favaretto
“L’APICOLTURA E IL”
MIELE BIOLOGICO
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Indice:
Storia e sociologia: La storia dell’apicoltura 3
Tecniche di allevamento: Le api e l’apicoltura 6
Educazione fisica: I benefici del miele di Manuka nell’alimentazione 35
Agronomia: L’ape come bioindicatore ecologico 37
Valorizzazione attività produttive: Il biologico 38
Economia dei mercati: L’autocontrollo e l’HACCP 41
Inglese: Organic farming 43
Italiano: Giovanni Verga 44
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STORIA E SOCIOLOGIA:
LA STORIA DELL’APICOLTURA
La storia dell'apicoltura inizia con le prime attività umane ed arriva ai giorni nostri:
L'uomo utilizza il miele forse da 12.000 anni. È attestato che l'uomo praticasse la raccolta del miele in epoca
preistorica dalla pittura rupestre di epoca neolitica, risalente a circa il 5000 a.C.: in una grotta (la grotta del
ragno) a Valencia, in Spagna, si vede raffigurata una persona appesa a delle liane che, circondata da api in
volo, infila una mano in un tronco d'albero alla ricerca del favo pieno di miele, mentre con l'altra mano regge
il paniere in cui deporrà il raccolto. Un'altra interessante testimonianza che risale anch'essa a una cultura
preistorica è data da un graffito di Matobo Hills, nello Zimbabwe, nel quale è rappresentato un uomo che af-
fumica un nido di api per prelevarne il miele, e potrebbe essere la più antica documentazione dell'uso del fu-
mo nel trattare le api.
Non sappiamo a quando risale la vera e propria apicoltura, ma certamente era un'attività normale in Egitto
durante l'Antico Regno. Scene di raccolta e conservazione del miele sono raffigurate infatti in un bassorilie-
vo del tempio solare del sovrano della V dinastia Niuserra ad Abu Gurab, risalente a circa il 2400 a.C., nel
quale appare anche la prima rappresentazione nota di un alveare. L'importanza dell'apicultura nella cultura
egiziana è testimoniata anche dal fatto che il simbolo del Basso Egitto era appunto l'ape, e il faraone era detto
"Colui che regna sul giunco e sull'ape", per intendere che era re sia dell'Alto, che del Basso Egitto. Altre raf-
figurazioni di api eseguite a Creta testimoniano come anche in quella civiltà esse rivestissero un ruolo impor-
tante.
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Nell'antichità classica, non si conoscevano dolcificanti alternativi al miele e si usava la cera per numerosi
scopi, l’apicultura era un’attività di grande rilevanza economica. L’importanza rivestita dall’apicultura nella
cultura greca è testimoniata dal culto di Aristeo, che si riteneva avesse insegnato agli uomini l’apicultura in-
sieme alla pastorizia e alla produzione del formaggio. Dal punto di vista scientifico le migliori trattazioni
greche che ci sono rimaste sulle api sono quelle di Aristotele. Sappiamo però che in epoca ellenistica era fio-
rita una vasta letteratura sull'argomento, tutta perduta, sia poetica che in prosa.
Nell'Europa medievale l'apicultura continuò ad essere praticata, e particolare cura fu dedicata a quest'attività
da parte di vari ordini monastici, anche per la necessità di procurarsi la cera indispensabile per le candele e i
ceri usati anche nelle chiese .Nel basso medioevo riappaiono anche trattazioni teoriche sull'argomento, come
quella inclusa nell'opera di agronomia di Pietro de' Crescenzi.
Nel 1800, in tutto il mondo, il settore apistico registra un fermento nuovo. L'arnia in paglia con favi mobili di
tipo greco aveva ispirato nel corso dei secoli alcuni sviluppi, che però si erano tutti arenati. Nel 1851 Lang-
stroth fa proprie alcune esperienze precedenti e inventa il favo mobile, che apre la strada a numerose inven-
zioni, molte delle quali abortiscono o non vengono raccolte. Da alcune di queste, tuttavia, si determina in po-
chi anni un'autentica rivoluzione, che porta all'arnia moderna. A differenza dell'arnia di antica concezione, la
nuova struttura è costituita da un modulo base contenente favi mobili e da un sistema modulare di melari,
contenenti favetti, sempre mobili, per il periodo di raccolto. Seguono nel 1857 i fogli cerei, e nel 1865 lo
smielatore centrifugo, che portano alla nascita della moderna apicoltura. Ci vorrà quasi un secolo però per
soppiantare completamente le antiche arnie e l'apicoltura di tipo più tradizionale.
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Prime tecniche usate
Il primo apiario nacque raccogliendo un tronco cavo contenente uno sciame. Più tardi, man mano che si pa-
droneggiarono le tecniche di "accasamento" delle api, comparvero i primi alveari artificiali, fatti di tronchi
cavi o di scorza di sughero. Nella storia dell'apicoltura, particolare importanza riveste l'arnia in cesta di pa-
glia o di vimini, che veniva impermeabilizzata con una copertura in creta o in creta e sterco. In tale caso i fa-
vi venivano spesso costruiti dalle api appesi ai legni mobili posti superiormente e la sfasatura delle pareti,
analoga a quella naturale dei favi, non provocava la saldatura alle pareti tipica altrimenti di questi “bugni vil-
lici”: erano le antesignane delle arnie moderne a favi mobili. Si afferma poi sicuramente un tipo di arnia o
“bugno villico”, costituito da quattro assi poste a formare un parallelepipedo vagamente piramidale con un
imbocco leggermente più piccolo rispetto alla parte terminale. Quest'ultima veniva chiusa da uno sportellino
rimovibile. L'origine di tali ricoveri per le api si perde nei secoli, ed il loro utilizzo è continuato fino a qual-
che decina di anni fa.
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TECNICHE DI ALLEVAMENTO:
LE API E L'APICOLTURA
L'ape è un insetto imenottero e glicifago, ovvero che vive nutrendosi di liquidi zuccherini e di polline. Vive
in colonie numerose dette "famiglie". Ogni famiglia è composta da un numero elevato di individui: da 10.000
a 70.000 operaie e una sola regina. Essa cresce dalla fine dell'inverno (febbraio), si moltiplica in primavera
grazie alla sciamatura (aprile-maggio), e si nutre accumulando riserve per passare la cattiva stagione (tardo
autunno-inverno). Questo animale è caratterizzato da straordinarie capacità organizzative, che consentono a
tutti gli individui della famiglia di collaborare come “cellule” in un singolo “organismo”, detto alveare, e
l’uomo trae vantaggio da esso.
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LA FAMIGLIA
La famiglia delle api è composta da:
un'ape regina, che è l'unica che possiede le ovaie per riprodursi ed è molto più grande rispetto alle altre
femmine: presenta l'addome più lungo e di colore uniforme (marrone). L'ape regina vive fino a 5 anni,
ma per l'apicoltura è produttiva fino a 2-3 anni, dopo di che la produzione delle uova tende a diminuire e
nella covata opercolata (chiusa) compaiono sempre di più cellette vuote, cioè cellette dove la regina ha
"dimenticato" di deporre l'uovo. Questo segno di invecchiamento della regina dà all'apicoltore lo spunto
per procedere alla sua sostituzione. Egli può procedere in due modi: uccidere la regina vecchia e
sostituirla con una nuova, già fecondata, ponendola nell'alveare in gabbia con alcune sue ancelle, può
averla acquistata oppure preparata lui stesso, o uccidere la regina e lasciare che in presenza di covata
giovane (cioè con meno di tre giorni) le operaie allevino una nuova regina, in questo caso si perdono
circa 25 giorni di tempo utile per la deposizione e quindi per la crescita e per il lavoro della famiglia.
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le operaie, che sono api femmine nelle quali non si sono sviluppate le ovaie, per il fatto che dal 4°
giorno di vita da larva non sono più state nutrite con la pappa reale. L’ape operaia vive circa 40 giorni se
nasce nella bella stagione (primavera-estate): l’attività cui è dedicata è intensa, specialmente nelle ultime
tre settimane in cui è bottinatrice, se invece nasce in autunno, vive circa 6 mesi: la sua attività è ridotta e
si svolge soprattutto all’interno dell’alveare, nel quale forma il glomere con le altre consorelle, con lo
scopo di riscaldare la regina e permettere alla famiglia di passare il periodo freddo e arrivare alla nuova
stagione vegetativa. Dalla schiusura dell’uovo ci vogliono 21 giorni affinché l’operaia esca dalla sua
celletta, rompendone l’opercolo con le mandibole. In 8 giorni vi era cresciuta come larva. Evoluzione
nelle sue mansioni:
Spazzina: appena nata e durante i primi 5 giorni di vita l’ape fa le pulizie proprio partendo dalla celletta
dalla quale è appena uscita: in questo modo ha la possibilità di vedere come è organizzato il suo alveare.
Nutrice: nella sua testa si sono sviluppate delle ghiandole che producono la pappa reale, una gelatina
bianca e acidula, molto nutriente, con la stessa funzione che ha il latte nei mammiferi.
Ceraiola: si sviluppano le ghiandole della cera e quindi l’ape costruisce e ripara la casa.
Guardiana: Quando non produce più la cera, ha ormai imparato bene come è fatto l’alveare e come
funziona, sul davanti dell’alveare, da dove può provenire un eventuale minaccia, scopre così un nuovo
mondo, impara a volare, fa i primi voli di orientamento e riconosce il sole come riferimento sicuro.
Bottinatrice: Passa così a svolgere la sua mansione definitiva, ovvero raccoglitrice di nettare (o altri
liquidi zuccherini), di polline e di propoli, fino ad esaurimento delle proprie forze.
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i fuchi, compaiono in primavera, ad aprile, quando inizia il periodo delle sciamature, e scompaiono a
fine estate, quando non hanno più ragione di esistere, ma li possiamo trovare fino al tardo autunno. Lo
scopo della loro presenza è quello di fecondare le nuove regine durante il loro volo nuziale. Dalla
schiusura dell’uovo allo sfarfallamento impiegano 24 giorni: il periodo più lungo, dato che sono 21giorni
per l’operaia e 17 per la regina. Sono più grandi e questo non permette loro di passare attraverso
l’escludi regina che separa il nido dal melario. Hanno grandi antenne e grandi occhi che quasi si
congiungono sopra il capo: servono per seguire meglio le nuove regine in volo. Nascono da uova non
fecondate che la regina depone in cellette più grandi che le operaie hanno preparato sulla periferia di
alcuni favi: nel deporre l’uovo la regina immette l’addome nella celletta, e se questa è di dimensioni
grandi, l’addome non subisce il massaggio che permette allo spermatozoo di passare dalla spermateca
all’uovo e fecondarlo. La regina si accoppia una sola volta all’inizio della vita. Prima di insediarsi
nell’alveare la regina nuova fa il volo nuziale e l’accoppiamento con i fuchi avviene in volo: soltanto i 4-
10 fuchi più forti hanno il privilegio di affidare alla regina il loro seme affinché si manifesti nelle
caratteristiche della progenie. Il fenomeno della colonia orfana si verifica quando un uccello (gruccione)
mangia la regina durante il volo nuziale. Se non si provvede a sostituire la regina perduta, la colonia si
esaurirà ed i favi diventeranno presto sede di saccheggio da parte di operaie di altri alveari. La regina non
va assolutamente sostituita mentre si effettuano i trattamenti per la varroa con il timolo, poiché le api
sono già disorientate per il trattamento intensamente profumato. Nell’eventualità che nasca una
generazione tutta di fuchi la vita dell’alveare si interrompe perché col tempo vengono a mancare le api
operaie. Questo può succedere quando la regina viene a mancare in una fase dove non è più presente
covata giovane (larve con meno di 3 giorni); e le larve anche se nutrite meglio, non possono più essere
regine. Compaiono così le api fucaiole, cioè api operaie appena un po’ più grosse che però depongono
uova non fecondate dalle quali possono nascere solo fuchi.
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L’ARNIA
L’arnia è la casa preparata dall’uomo per le api. Quando è abitata dalla famiglia l’insieme prende il nome di
alveare. Un gruppo di alveari prende il nome di apiario.
All’interno dell’arnia troviamo dei telai di legno al centro dei quali l’apicoltore ha posto un foglio di cera
dove sono impresse le celle esagonali con le misure adatte all’ape. Le api ceraiole cominciano a costruire su
questi fogli le cellette, e così prende forma il favo. Nei favi del nido le cellette che vengono occupate dalla
covata diventano scure: la cera viene sporcata dalle esuvie delle larve. Questo avviene soprattutto al centro
del favo, proprio perché al centro viene organizzata la covata, mentre tutto intorno viene immagazzinato il
polline e più esternamente il miele: si tratta della scorta di cibo che serve per allevare le larve.
Proprio per avere favi non inscuriti dall’uso a covata ed averne un utilizzo dedicato per il miele, l’alveare è
composto da due parti:
Il nido, con telaini più grandi, è il modulo di base dove la famiglia vive ed alleva la covata.
Il melario con telaini più piccoli, è il modulo superiore e funge da magazzino per lo stoccaggio del
miele. Qui le cellette piene vengono chiuse con un opercolo di cera che è una sostanza grassa e perciò
materiale idrorepellente, in grado di proteggere il miele dall’umidità.
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Tra il nido ed il melario viene interposta una griglia, generalmente di metallo, chiamata “escludi regina” in
quanto impedisce alla regina e ai fuchi di salire nel melario, mantenendo i favi al solo scopo di stoccaggio
del miele. L’apicoltore estrae il miele esclusivamente rimuovendo i favi dal melario. Quello contenuto nel
nido rimane come scorta per l’alimentazione delle api durante l’inverno. Se tale scorta dovesse essere
insufficiente e l’apicoltore non intervenisse con un integrazione artificiale (miele o candito), la famiglie
potrebbe morire di fame, e molte api vengono trovate morte con la testa dentro la celletta dove si erano
affacciate alla ricerca di cibo. I moduli di melario possono essere sovrapposti per aumentare, mano a mano
che le api ne riempiono i favi, il volume di stoccaggio. Sulla sommità dell’arnia c’è il coprifavo, ovvero un
coperchio di legno che presenta un rialzo periferico tale da ricavare, una volta appoggiato il tetto sull’arnia,
una intercapedine nella quale può essere collocato un nutritore, ovvero un contenitore fatto appositamente
per la somministrazione di sciroppo (per nutrire le api nelle giornate piovose di primavera), oppure può
essere appoggiato un panetto di candito (per nutrire le api in inverno a fronte di scarse scorte naturali).
L’accesso tra nutritore o panetto di candito, ed alveare è permesso da un foro nella tavola di legno del
coprifavo, apertura regolabile tramite un disco di plastica o di ferro zincato, che può essere girato su varie
posizioni: chiusura completa, griglie per presa d’aria, apertura completa per l’accesso al nutrimento. L’uso
del candito a base di zucchero come alimento di soccorso deve essere limitato in quanto porta
all’invecchiamento precoce delle api, si è visto infatti che le api nutrite a zucchero vivono appena 20 giorni,
cioè solo la metà di quelle che si nutrono di miele.
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Tipi di arnie:
A fondo mobile, per l’apicoltura stanziale e una facile manutenzione .
A fondo fisso, per l’apicoltura nomade.
Col portichetto, per avere un’entrata più riparata. In caso di trasporto viene chiuso con una griglia
apponibile.
Senza portichetto, più adatta per il trasporto in quanto occupa minor volume.
Con fondo antivarroa (ormai molto diffuse), cioè dotate di un cassettino estraibile dal retro dell’arnia
che permette il controllo dei residui caduti dai favi attraverso la rete che fa da pavimento. La varroa è un
acaro che si posiziona sotto le ali delle api e ne succhia l’emolinfa, il sangue dell’insetto. Per eliminarla
bisogna somministrare sostanze che siano efficaci contro il parassita e lo faccia cadere sul fondo
dell’arnia. Guardando il cassettino dopo un trattamento antivarroa ci si rende conto del grado di
infestazione presente nell’alveare.
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FLOW HIVE
Flow hive è una speciale e recente tipologia di
arnia, ideata e immessa sul mercato dagli
australiani Cedar e Stuart Anderson. Padre e
figlio hanno rivoluzionato l’apicoltura con
quest’innovativa invenzione, dopo aver
lavorato dieci anni su un prototipo. Flow hive è
costituita da telai con cellette mobili, che le api
completano con la cera, riempiono di miele, ed
infine tappano. Quando i telaini sono pieni e
pronti, le cellette che vengono aperte creano dei
canali nei quali il miele fluisce verso il basso, e
sgorga infine in un rubinetto, permettendone
la raccolta immediata. È una sorta di
distributore automatico per ottenere miele
fresco alla spina, dall’alveare al barattolo.
Questo sistema consente il risparmio del 95%
del lavoro di raccolta impiegato solitamente
nell’apicoltura tradizionale, rispetta e protegge
le colonie di api, ma garantisce anche sicurezza
all’apicoltore che svolge operazioni a stretto
contatto con l’apiario. L’estrazione tradizionale
infatti comporta diverse fasi delicate: sedare le
api con il fumo, aprire l’arnia, ripulirla dalle
api, raschiare il favo e, infine, estrarre il miele e
filtrarlo, il tutto, ovviamente indossando
una tuta protettiva. Flow hive invece, richiede
un intervento umano limitato e semplice, tutto
ciò che si deve fare per raccogliere il miele, è
girare un rubinetto. È inoltre possibile osser-
vare l’attività delle api nell’arnia attraverso una
finestra trasparente. I prezzi vanno da 290 $ per
l’arnia più piccola, a 600$ per quella più com-
pleta, ma sono disponili anche pezzi da applica-
re ad arnie già esistenti. Questa interessante
proposta nel mondo dell’apicoltura, dolce per
le api e semplice per l’apicoltore, si sta collau-
dando e diffondendo velocemente, non solo tra
gli esperti, ma anche nei giardini di semplici
cittadini, ed ha già fatto guadagnare più di 5
milioni di dollari, superando l’obbiettivo di 70
mila dollari nei primi cinque giorni.
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IL COMPORTAMENTO DELLE API
Il comportamento delle api è influenzato dai seguenti fattori:
La temperatura: vengono disturbate sia dal freddo che dal caldo intenso. In primavera e in autunno è
preferibile visitare le api dalle ore 11.00 alle ore 13.00, mentre in estate dalle ore 8.00 alle ore 10.00.
Lo stato d’animo dell’apicoltore: se è nervoso le api escono fuori dall’alveare e si agitano, in questo
caso l’apicoltore deve lasciarle stare, non aprire l’arnia e spruzzare un po’ d’acqua.
I rumori forti: ne sono disturbate.
I fattori genetici: la docilità e l’aggressività sono caratteristiche ereditarie della famiglia. In presenza di
famiglie particolarmente aggressive si consiglia preliminarmente l’eliminazione in caso di apicoltori
principianti, e solo in caso di apicoltori esperti si può provare a cambiare la regina almeno 5-6 volte per
ottenere il ricambio genetico per l’aggressività. Le api africane (A.m. scutellata e A.m. adansonii) sono
più aggressive rispetto all’ape mellifera europea (A.m. mellifera).
Lo stato di salute della famiglia: se il microclima dell’alveare è tale da favorire le malattie o c’è un
livello di infestazione (varroa, piralide, ecc.) per le operaie incontrollabile, la famiglia risulta irritabile.
Le condizioni metereologiche: in caso di pioggia, o in periodi di siccità è meglio evitare le visite
all’alveare in quanto le api sono irritate dalla difficoltà di reperire cibo.
Al contrario le condizioni ideali per visitare gli alveari sono:
Le giornate calde senza vento o leggermente ventilate, con temperatura ottimale (18°-20°).
Le ore centrali della giornata (11.00-14.00), ed evitare le visite serali quando manca l’orientamento del
sole.
Durante i periodi di massimo approvvigionamento di scorte, dato che le bottinatrici sono impegnate
in tale operazione, bisogna infatti evitare le visite nei periodi di carestia, visto che le bottinatrici sono
inoccupate e irritabili per le mancanza di cibo.
Moderare l’uso dell’affumicatore, evitare i profumi troppo forti, ed indossare abiti puliti.
È necessario l’uso di attrezzature e abbigliamento per la visita: tuta con maschera, guanti,
affumicatore, spazzola per api, e leva da apicoltore.
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LA SCIAMATURA
Lo sciame è per definizione “un gruppo di insetti migrante”. Lo sciame di api è formato da un gruppo di
bottinatrici e dalla regina vecchia. La famiglia viene detta sciame quando migra per formare una nuova
colonia ed il fenomeno dello spostamento viene chiamato sciamatura. Dalla stessa famiglia, appena uscita
dall'inverno, si possono originare due o più famiglie in modo naturale, grazie alle sciamature che si
susseguono. Si verifica annualmente in primavera, con lo scopo di procreare nuova prole. Nell'apicoltura,
l'uomo vuole controllare a proprio vantaggio questo fenomeno, sia per ottenere il numero di famiglie che
vuole allevare, sia per controllarne lo sviluppo e la produttività.
Per vari motivi a primavera inoltrata si arriva alla sciamatura:
Sovraffollamento e mancanza d’aria.
Mancanza di spazio per la covata per favi troppo piccoli e stipati di miele.
Favi troppo vecchi e quindi con cellette troppo strette per l’eccessivo accumulo di esuvie.
Mancanza di feromoni della regina che sta invecchiando.
Disponibilità di una nuova fonte di cibo.
Presenza di malattie.
Al verificarsi di una o più di queste condizioni, le api si prendono cura di un uovo fecondato (dunque
femmina) e alla larva che nasce danno da mangiare sempre e soltanto pappa reale. L’individuo che si origina
sviluppa in modo completo in un ciclo che dura 17 giorni: diventerà la nuova regina. In genere questa
operazione viene fatta contemporaneamente in più punti dell’alveare, perciò l’apicoltore potrà trovare in
un’ispezione in periodo di preparazione alla sciamatura più celle reali. La sciamatura della vecchia regina,
con le bottinatrici cariche di miele per formare una nuova colonia, avviene prima della nascita della nuova
regina. Nata la prima nuova regina, questa provvede ad eliminare le altre ancora prima che nascano,
pungendole all’interno della loro celletta può darsi che due regine nascano e si affrontino, quando si
incontrano sul favo, mentre girano per ispezionare il nido: rimane quella che riesce a uccidere la sorella con
più punture del pungiglione. Nella stessa stagione si possono avere anche due sciamature: sciame primario
con la vecchia regina e sciame secondario con la prima nuova regina.
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LA COMUNICAZIONE DELLE API
Le api hanno un preciso e sviluppato sistema di comunicazione, che fa parte della eccellente organizzazione.
La comunicazione delle api avviene, come per tutti gli insetti, attraverso l’emissione di molecole chimiche
chiamate feromoni, che emessi da un soggetto provocano una reazione comportamentale in uno o più simili.
L’acido chetododecenoico è il feromone emesso dalla regina, pertanto detto “sostanza reale”, che esercita un
livello di controllo profondo sulle attività della colonia, stimolandola o inibendola. Anche l’alveare è
contraddistinto da un particolare odore, che deriva da quello emesso dalle sue abitanti, il quale si fissa nella
cera è diventa di riferimento per le api guardiane, che riconoscono se un ape è di casa o estranea,
quest’ultima verrebbe accettata solo nel caso in cui portasse del cibo. La comunicazione avviene anche
attraverso un linguaggio simbolico che è stato decifrato nel 1973 da Karl Von Frisch ed è tuttora oggetto di
studi. L’ape con esso porta informazioni sull’ubicazione della fonte di cibo o le difficoltà che si possono
incontrare per raggiungerla. L’ape bottinatrice quando scopre una nuova fonte di nettare, ritorna all’alveare
per indicarne la posizione alle altre api con movimenti precisi, e questo modo di esprimersi viene paragonato
ad una danza: se la fonte di cibo si trova entro 35 metri di distanza dall’alveare, l’ape esegue una danza
circolare, alternando un giro in senso orario e uno in senso antiorario. Se invece essa si trova a una distanza
tra i 35 e i 100 metri, l’ape passa dalla danza circolare alla danza ondulante, ondeggiando l’addome. Per
distanze maggiori di 100 metri, l’ape esegue una danza diversa, vibrando descrive la figura di un otto
chiuso. Le altre api annusano il nettare sul suo corpo e si uniscono alla danza, per poi partire per trovare i
fiori con lo stesso odore dell’ape messaggera. Viene segnalata anche la posizione rispetto al sole: le api
volano riproducendo in una figura lo stesso angolo formato dagli assi arnia-fonte di cibo e arnia-sole. La
velocità è un altro fattore: maggiore è la distanza del nettare, più la danza è eseguita con lentezza e più
marcati sono i movimenti dell’addome. Inoltre è stato accertato che il ronzio dell’alveare può variare di
intensità e frequenza a scopo di comunicazione, ed è stata individuata una frequenza tipica in ogni situazione
di alveare.
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LA RACCOLTA DEL NETTARE E L’IMPOLLINAZIONE
Il nettare è un liquido zuccherino secreto dalle piante a livello di nettario, esce dalle ghiandole nettarifere e si
accumula in una conchetta presente alla base di un petalo o di un tepalo, la sua funzione è quella di attirare
gli insetti che se ne nutrono e di conseguenza attuano l’impollinazione. Le api bottinatrici, durante la raccolta
del nettare, si sporcano di polline durante gli spostamenti di fiore in fiore, permettendo la fecondazione e la
fruttificazione.. La produzione di nettare è maggiore quando è visitato spesso. Durante la visita viene
marcato dall’operaia con una sostanza repellente grazie alla quale le bottinature vengono intervallate, dando
al fiore il tempo di ricaricarsi di nettare e alle api di non perdere tempo inutilmente. I fiori si distinguono in
base all’abbondanza di fioritura, al periodo e alla concentrazione zuccherina del nettare (dal 5% all’80%).
Gli zuccheri del nettare vengono poi elaborati dalle api, e la concentrazione si diversifica nel miele. Per la
buona produzione degli alberi da frutto è necessaria l’impollinazione delle api, pena un minor raccolto di
frutta. Si stima che in Italia, il reddito prodotto da ogni alveare è di circa 700 € all’anno, dei quali circa 500 €
sono legati al valore della frutta ottenuta dall’impollinazione.
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CAUSE DI MORTE DELLA FAMIGLIA
Le cause accidentali potrebbero essere:
Avvelenamento, legato al periodo dei trattamenti fitosanitari.
Crollo della covata, interpretabile come segnale di forte disagio ambientale, che si sviluppa in tre
periodi dell’anno: gennaio-febbraio, marzo-aprile, metà giugno. Nel primo periodo la causa è
rappresentata dai neonicotenoidi presenti nel polline, mentre nel secondo e terzo periodo è rappresentata
dagli agrofarmaci (semina del mais e trattamenti sulla vite).
Il trattamento delle piante con prodotti tossici. Il segno più evidente di quest’ultimo è dato dalla
presenza di un grande quantitativo di api morte davanti all’alveare con la ligula estroflessa. Inoltre può
esserci l’improvviso abbandono dell’alveare pieno di scorte, che non vengono saccheggiate da altre api.
Da qui la necessità di istituire una rete fissa di monitoraggio perché la portata delle azioni sia estesa a
tutto il territorio. Bisogna inoltre potenziare i corsi per gli apicoltori, incentivare la selezione genetica ed
introdurre la figura di un ispettore sanitario. Gli agricoltori da parte loro dovrebbero evitare le
monocolture, proteggere le fioriture spontanee e aggiornarsi continuamente per non diventare vittime
degli interessi dell’industria. Le case produttrici di agrofarmaci dovrebbero produrre materiale con bassa
tossicità e interessarsi del prodotto anche successivamente alla vendita.
Le cause naturali di morte, ovvero le malattie sono:
La peste americana o putrefazione della covata, si sviluppa da aprile ad agosto e si manifesta con una
covata non compatta piena di cellette vuote. Un segno sicuro della presenza di questa malattia è il
filamento lasciato dalla covata, sullo stecchino inserito dall’apicoltore all’interno di una singola celletta
con larva morta, e inoltre alcune cellette opercolate appaiono forate nell’opercolo. La causa è un batterio
sporigeno, il Bacillus larvae. La diffusione delle spore può avvenire ad opera delle api soprattutto con il
saccheggio di alveari infetti, ma viene anche favorita dall’apicoltore con lo scambio di favi, la
somministrazione di alimento infetto e l’uso di attrezzi contaminati. È una malattia incurabile, l’unico
rimedio è quello di bruciare l’alveare per evitare il contagio.
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La peste europea o covata acida, causata dal batterio Streptococcus pluton associato ad altri
microrganismi, si manifesta sempre con una covata non compatta, e generalmente provoca la morte di
larve non ancora opercolate. È però una malattia curabile, anche attraverso azioni meccaniche
dell’apicoltore o trattamenti farmacologici.
La covata calcificata o pericistimicosi, è causata dal fungo Ascosphaera apis. Questi si diffonde
nell’ambiente attraverso la formazione di microscopiche spore, e perciò i favi colpiti e le larve malate
insieme al miele risultano i principali mezzi di contagio. Solitamente le famiglie non soccombono in
seguito all’infestazione, ma risultano indebolite e la produzione successiva ne può risentire. Si manifesta
con la comparsa di larve che appaiono indurite, mummificate, sulla porticina dell’arnia, alcune
assomigliano a pezzi di gesso, mentre altre sono annerite da uno strato di sporangi che sono i corpi
fruttiferi del fungo contenenti le spore.
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La covata a sacco, che è causata da un virus, capace di riprodursi all’interno di cellule di un organismo
ospite. Per limitarne lo sviluppo vanno messe in pratica rigorose misure igieniche per malattie infettive.
Apparentemente è meno diffusa di altre malattie a carico delle larve, la covata muore quando è già
opercolata, e solo in seguito le api riaprono le celle asportando le larve morte.
L’acariasi o acariosi delle api, è dovuta ad un acaro che vive nell’apparato respiratorio dell’ape adulta
chiamato Acarapis woodi. Misura 1/10 di millimetro di lunghezza, vive e si riproduce nella trachea
dell’ape i primi quattro giorni di vita nutrendosi dell’emolinfa, e le ferite causate mandano in necrosi la
trachea che annerisce. Quando l’ape muore per soffocamento, gli acari la abbandonano il più in fretta
possibile per trovare un nuovo ospite, per non rischiare di morire nell’ambiente esterno che è favorevole
al passaggio solo se caldo e umido, come in estate. Accertata la presenza, si devono distruggere gli
alveari verificati in zone dichiarate indenni, e convivere con la malattia cercando di limitarne lo sviluppo
in zone segnalate.
La nosemiasi, è causata dal protozoo Nosema apis che si insedia nell’intestino delle api mal tenute a fine
inverno, e provoca diarree primaverili e l’indebolimento della colonia, infatti la mortalità può portare
allo spopolamento dell’alveare in primavera. Si notano macchie di feci liquide dentro e davanti
all’alveare. Le api si infestano con l’alimentazione, e la malattia viene favorita da inverni lunghi e freddi,
primavare umide e piovose, o estati umide e fresche, tutte condizioni che costringono le api all’interno
dell’alveare. Accertata la malattia si devono trattare le famiglie più forti, e sopprimere le più deboli.
La varroasi o varroatosi causata dall’acaro Varroa destructor, è una conseguenza dell’attività umana e
dell’apicoltura: quest’acaro proviene dall’Asia orientale, dove vive a spese di specie di api asiatiche
ormai resistenti, che hanno instaurato un certo equilibrio tra ospite e parassita. L’introduzione dell’ape
europea nel Sud-Est asiatico, permise alla varroa di infestare quest’ultima, che non abituata alla
convivenza con l’acaro, non si rivelò in grado di resistere. L’infestazione ebbe inizio, tramite la
propagazione dell’acaro in Europa e lo scambio ed il commercio di materiale apistico. La varroa
colpisce sia le larve che le api adulte, soprattutto i fuchi, succhiando l’emolinfa per il proprio nutrimento.
La difesa antivarroa e il contenimento del numero di acari viene effettuata tramite l’apllicazione di
tecniche apistiche legate alla conduzione dell’apiario, come ad esempio il favo allargato, il ricambio dei
favi, e il ricambio delle regine, e l’impiego di antiparassitari, possibilmente costituiti da principi attivi
naturali, per poter salvaguardare il patrimonio apistico e la qualità delle produzioni apistiche.
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L’amebiosi o amebiosi, è una malattia provocata dal protozoo Malphighamoeba mellificae che infesta i
tubi dei malpighi, organo che ha la stessa funzione dei reni nei vertebrati e si trova prima dell’intestino
medio. I sintomi possono essere tremolio delle ali, incapacità di volare o feci molli imbrattanti l’ingresso
dell’arnia e i favi. Le api prive di questa attività vitale, si avvelenano gradualmente delle proprie sostanze
di rifiuto e muoiono. Le famiglie infette devono essere trasferite, e l’arnia disinfettata con l’acido acetico
glaciale.
Le tignole o tarme della cera, sono insetti lepidotteri le cui larve creano delle gallerie all’interno del
favo rinforzandole con fili di seta. Sono capaci di rovinare completamente i favi di un alveare rimasto
senza famiglia a presidiarlo. Si combattono sostituendo il favo intaccato o uccidendo le larve nelle
gallerie e le crisalidi nei bozzoli fissate ai lati dei telaini, con anidride solforosa spray o formulati a base
di Bacillus thuringensis.
Altri predatori, devastatori o parassiti naturali sono: l’orso, il topo campagnolo, la farfalla sfinge
testa di morto, il tasso, la volpe, la puzzola, il ghiro, la martora, il riccio, il toporagno, gli uccelli
insettivori, la lucertola, il ramarro, il rospo, i ragni o diversi insetti, ad esempio il filanto apivoro, la
vespa e la vespa calabrone, le formiche, i coleotteri meloidi o cleridi, la mantide religiosa, i pidocchi, e la
mosca parassitoide.
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I PRODOTTI DELL’ALVEARE
Miele
È il prodotto principale dell’apicoltura e in Italia ve ne sono circa 50 tipi. La diversità dipende dalle fioriture
e dalla capacità dell’apicoltore di produrre il miele in purezza, cioè di un solo tipo di fiore, asportando il
melario quando è terminata la fioritura e mettendone uno vuoto quando ne inizia una nuova. Quando il miele
è il prodotto di raccolta su fioriture miste prende il nome di “miele millefiori”. Nella provincia di Brescia
sono prodotti principalmente mieli di tarassaco, di acacia, di tiglio, millefiori, di castagno, di rododendro e di
melata.
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La smielatura è l’operazione di estrazione del miele dai favi e si fa con un apparecchio chiamato smielatore:
un contenitore in acciaio inox con un dispositivo centrale sul quale si incastra un numero predefinito di
telaini, azionato a mano o con motorino elettrico gira assialmente facendo fuoriuscire il miele dalle cellette
per forza centrifuga. Il miele man mano che viene estratto, è versato in un contenitore d’acciaio,
apponendovi prima un filtro che trattiene le eventuali impurità o detriti di cera, viene quindi lasciato
decantare per circa una settimana per eliminare le bollicine d’aria che si erano formate nel miele durante la
centrifugazione, queste salgono in superficie e formano una densa schiumetta, a questo punto è pronto per
essere posto nei vasetti e non è soggetto ad altre lavorazioni. Il miele si forma nel momento in cui l’ape
bottinatrice rientra nell’alveare dopo aver raccolto il nettare. La raccolta del nettare le è possibile grazie alla
ligula, che costituisce la parte inferiore dell’apparato boccale degli apoidei (api, bombi) e che funziona un
po’ come una proboscide, e il nettare raccolto con essa è posto nella borsa melaria, che contiene degli
enzimi. Giunta all’alveare, la stessa ape lo passa ad altre api che a loro volta lo ripongono nelle proprie borse
melarie: quindi il miele è il risultato del nettare e degli enzimi delle borse melarie di tutte le api, ad ogni
passaggio si arricchisce di enzimi e si disidrata. Il saccarosio contenuto nel nettare si trasforma grazie
all’invertasi in fruttosio e glucosio. Nel momento in cui viene immagazzinato nelle celle, le api ne valutano
l’umidità, che deve essere sotto il 18-20%, se è superiore viene fatta evaporare sbattendo le ali e creando un
vortice d’aria. Quando le cellette sono piene di miele col giusto grado di umidità, vengono chiuse con
opercoli di cera in modo da conservare il miele. Il miele viene prodotto a partire dal nettare oppure dalla
melata. Il nettare è una sostanza secreta da speciali ghiandole contenute nei fiori e, per alcune specie alla
base delle foglie. Le piante si distinguono per la diversa quantità di nettare prodotto e il momento in cui
secernono. Qualora fosse nelle sue facoltà, l’apicoltore può arricchire l’ambiente con nuovi fonti nettarifere o
pollinifere, immettendo nell’ambiente erbe e piante che vi si adattino e rendano maggiormente costante la
disponibilità di cibo per le api. La melata è un liquido zuccherino prodotto dalle colonie di insetti fitomizi,
cioè succhiatori di linfa, dotati di un apparato boccale pungente-succhiante. Il miele di melata ha un minor
contenuto di glucosio rispetto a quello di nettare, il suo pH è tendente all’acido, e vi è inoltre una maggiore
presenza di elementi minerali, quali ferro, manganese e rame. Dalla melata le api producono un miele scuro,
ricco di Sali minerali, più nutriente, caramelloso e molto denso, che ricorda come sapore lo sciroppo d’acero.
Il potenziale mellifero è la quantità di miele prodotta per ettaro di piante coltivate. Si distingue in sei classi:
alla prima appartengono il pero e il mandorlo, mentre alla sesta appartengono la salvia, la robinia e il tiglio.
L’ammontare del miele ottenibile da una pianta dipende principalmente dal tenore zuccherino del nettare,
dalla quantità di fiori sbocciati e disponibili in una data area, dal numero di giorni nei quali i fiori secernano
nettare. Gli zuccheri influenzano lo stato fisico, la viscosità, il valore energetico e il potere dolcificante del
miele. Il contenuto medio di glucosio è di circa il 30%, mentre quello del fruttosio è intorno al 40%. I mieli
che contengono tanto fruttosio sono liquidi (miele di acacia), mentre il glucosio è responsabile della solidità.
Il miele è un prodotto che si conserva molto a lungo se non ha assorbito acqua: teme l’eccesso di umidità in
quanto vi si potrebbero insediare fermentazioni da lieviti. La luce non ne modifica né le proprietà nutritive né
il gusto. Il miele è un conservante e un antibatterico naturale.
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Miele biologico
Il miele biologico è un prodotto ottenuto con il minor impatto ambientale, e senza l’uso di sostanze chimiche
sintetiche, eseguendo determinati disciplinari e normative (la principale fonte normativa in materia di biolo-
gico è il Regolamento N. 834/2007 del 28 giugno 2007, che disciplina la produzione biologica e
l’etichettatura dei prodotti biologici). Infatti il miele è un alimento naturale al 100% ottenuto dai fiori, la
materia prima, e dal lavoro delle api, ma quest’ultime non possono essere controllate facilmente, e possono
fornirsi di fonti inquinate. Per la produzione di miele biologico:
Non vi devono essere nel raggio di 3 km dalla posizione degli alveari, discariche, strade ad alta densità di
traffico, impianti industriali, zone con coltivazioni soggette a trattamenti o altre fonti di inquinamento.
Vi devono essere colture spontanee.
Le arnie devono essere costruite con materiali naturali, di legno con olii e pitture atossiche.
È vietata la distruzione delle api come metodo connesso alla raccolta dei prodotti dell’apicoltura.
Non è consentito usare trattamenti con antibiotici, antiparassitari e con qualsiasi altro prodotto che lasci
residui nel miele o nella cera. Sono consentiti i trattamenti con acidi organici come: acido formico, latti-
co e ossalico; con olii essenziali quali timolo, canfora. I prodotti che attualmente vengono consigliati
come efficaci dalle principali Associazioni apistiche nella lotta contro la varroa come APILIFEVAR (ta-
volette) e Acido ossalico (gocciolato, nebulizzato, sublimato) sono consentiti.
La cera che viene introdotta nel nido deve essere certificata da analisi che ne garantiscano l’assenza di
residui chimici, in quanto è il materiale utilizzato in apicoltura che trattiene più facilmente i residui dei
trattamenti, essendo liposolubile.
Sono vietate la microfiltrazione, la miscelazione, e la pastorizzazione: quest’ultima tecnica evita la cri-
stallizzazione del miele che denatura tutti gli enzimi, vitamine, proteine e di conseguenza tutto ciò che di
salutare ha il miele.
Bisogna ottenere il fumo con l'affumicatore usando prodotti naturali come iuta, cotone, residui secchi di
foglie e arbusti. E' vietato l'uso di repellenti per allontanare le api dai melari.
Le api possono essere nutrite con miele di propria produzione, e nutrizioni d'emergenza con zucchero o
altre sostanze zuccherine devono essere autorizzate dall'ente certificatore.
Si possono acquistare solo sciami di provenienza biologica.
È assolutamente proibito l’utilizzo di organismi geneticamente modificati: la presenza accidentale di
OGM deve essere in misura non superiore allo 0,9%.
Bisogna iscriversi a un ente certificatore autorizzato. Il tecnico dell’ente si presenterà per il controllo e,
in base alle caratteristiche di conduzione e ai risultati delle analisi, deciderà il periodo di conversione e la
certificazione.
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Propoli
È una resina prodotta dalle api trasformando quella raccolta sui tronchi e sulle gemme degli alberi. È un
disinfettante naturale che le api utilizzano per chiudere le fessure, regolare l’apertura dell’alveare, fissare i
telaini ai punti d’appoggio nelle nuove arnie, o a volte mista a cera per isolare corpi estranei fastidiosi, come
ad esempio i cartoncini impregnati di timolo per il trattamento contro la varroa e predatori uccisi. Ha
proprietà antibatteriche, cicatrizzanti, e immunostimolanti, e perciò l’uomo lo utilizza nel settore
farmaceutico in sciroppi, collutori, e caramelle, per la funzione di disinfettante del cavo orale.
Pappa reale
È detta anche gelatina reale, ed è prodotta dalle ghiandole della testa (ghiandola ipofaringea) delle api
operaie di età fra i 5 e i 14 giorni, ovvero quando queste assumono il ruolo di nutrici. Questo prodotto viene
dato alle larve nei primi tre giorni di vita, ed è l’unico alimento per l’ape regina, che viene nutrita dalle
ancelle per tutta la sua vita. Viene anch’essa utilizzata dall’uomo e prelevata dall’apicoltore tramite una
pompetta aspiratrice che convoglia la gelatina bianca in un contenitore scuro. Le quantità raccolte sono
minime, perciò la pappa reale costa cara, oltre che per le sue proprietà: 10 alveari e 10 di supporto producono
1 kg di pappa reale e nemmeno un grammo di miele. È costituita per oltre il 48% da proteine ed amminoacidi
essenziali, per il 39% da zuccheri, e per l’11% da grassi, contiene inoltre molte vitamine, soprattutto del
gruppo B, sali minerali, quali calcio, rame, ferro, silicio, zinco, magnesio, manganese. Ha proprietà
antibatteriche, antibiotiche, rivitalizzanti e rinforzanti, e migliora il sistema immunitario.
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Polline
È il seme del fiore, che si presenta come una polverina gialla. Poiché contiene acqua deve essere conservato
in frigorifero e dura circa un mese, è nocivo se ingerito fermentato. Per conservarlo a lungo bisogna
eliminare l’acqua tramite evaporazione. È un ottimo integratore. Viene raccolto dall’apicoltore con
l’inganno, utilizzando una trappola posta all’entrata dell’alveare, formata da una mascherina con fori a stella.
Passandovi attraverso l’ape perde i due grumi di polline dalle cestelle, site sulle due zampe posteriori, e
questi cadono in un cassettino provvisto di rete. Non si può prolungare per molto la raccolta del polline,
poiché si tratta di un alimento fondamentale per allevare la covata, e perché le api imparano manovre per non
perdere il polline raccolto.
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Cera
È l’elemento principale per la costruzione dei favi, e viene prodotta dalle api tra il 10° ed il 18° giorno dopo
lo sfarfallamento, quando si sviluppano le ghiandole ceripare, dalle quali esce in forma di scagliette: le api le
prendono con le mandibole a forma di spatola e lo modellano nelle strutture dell’alveare e per chiudere le
cellette., salvaguardando il gusto del miele e proteggendolo dall’umidità, dato che la cera è idrorepellente.
L’apicoltore estrae la cera utilizzando i favi vecchi mano a mano che vengono rinnovati, e viene sciolta
mediante l’impiego di sceratrici solari, apposite presse con presenza di vapore, oppure in acqua bollente,
viene poi filtrata, di solito con i collant di nylon, per togliere le impurità, ed eventualmente sterilizzata. Viene
impiegata in diversi settori, ma soprattutto per preparare nuovi fogli cerei.
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Veleno
Si trova nel pungiglione posto all’estremità dell’addome. Viene prelevato tramite l’impiego di impulsi
elettrici leggeri, o viene iniettato direttamente utilizzando l’insetto, che viene però sacrificato a causa della
sua morfologia: in natura le api muoiono dopo aver punto, in quanto presentano un pungiglione curvo che si
lacera nel tentativo da parte di quest’ultime di liberarsi e riprendere il volo. Il veleno viene utilizzato per
curare i reumatismi, in quanto produce lo stesso effetto del cortisone. In alcuni soggetti allergici può
provocare shock anafilattico.
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EDUCAZIONE FISICA:
I BENEFICI DEL MIELE DI MANUKA
NELL’ALIMENTAZIONE
Il miele di Manuka, è un miele, particolarmente rinomato grazie alle sue proprietà benefiche, originario del-
la Nuova Zelanda, che viene prodotto appunto con il nettare dei fiori di Manuka, che si trovano solamente in
questo territorio. A offrire al miele di Manuka il supporto scientifico che lo rende ora uno dei mieli più ap-
prezzati a livello curativo, è stato il gruppo di ricerca del Professor Thomas Henle dell’Università di Dresda,
in Germania, che nel 2008 ha individuato nel Methylglyoxal (MGO) la sostanza responsabile dell’attività an-
tibatterica del miele di Manuka. Infatti questa sostanza è contenuta in esso in quantità comprese tra i 100 e
900 mg/kg, mentre in altri alimenti o mieli, le tracce possibilmente presenti non superano i 50 mg/kg.
Proprietà curative ed utilizzi del miele di Manuka
Il miele di Manuka è impiegato per le sue proprietà energetiche, antibatteriche, antibiotiche, e disinfettanti:
È ideale come fonte di energia pronta, in quanto contiene zuccheri semplici ed importanti Sali minerali.
E' considerato benefico per le vie respiratorie. Il suo utilizzo è indicato soprattutto in autunno e in in-
verno, per contribuire a prevenire, e ad alleviare i fastidi dei disturbi tipici di questo periodo dell'anno,
come raffreddore e sinusite.
Migliora l'efficacia degli antibiotici nei confronti dei batteri, con particolare riferimento ai ceppi che si
stanno mostrando sempre più resistenti, quali E.coli e Staphylococcus aureus.
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Può essere applicato sulla pelle per uso topico. Grazie alle sue proprietà disinfettanti è impiegato nel trattamento di ferite e lacerazioni dei tessuti, comprese la piaghe da decubito.
Con il suo utilizzo viene accelerato il processo antinfiammatorio e cicatriziale, perciò si può trarne gio-
vamento in caso di acne, psoriasi, dermatiti ed eczema.
Altre problematiche possono beneficiare di questo rimedio naturale, ad esempio patologie del tratto inte-
stinale quali ulcera e ulcera duodenale, candida, reflusso gastroesofageo, bruciore di stomaco, colite e
diarrea.
È stato pubblicato nel 2013, sulla rivista scientifica PLOS ONE, uno studio condotto presso l’Università
degli Emirati Arabi Uniti, secondo il quale anche a basse dosi (0,6%) il miele di Manuka, grazie ad un
effetto antiproliferativo, offrirebbe la possibilità di rallentare la crescita delle cellule tumorali. Inoltre
sarebbe in grado di agire per ridurre gli effetti collaterali tossici legati alla chemioterapia, ovvero, sup-
portando l’apoptosi, il processo naturale che permette all'organismo di liberarsi dalle cellule danneggiate
eliminandole e di condurre il proprio rinnovamento cellulare.
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AGRONOMIA:
L’APE COME BIOINDICATORE ECOLOGICO
I bioindicatori sono organismi animali o vegetali particolarmente sensibili ai cambiamenti apportati
all’ecosistema da fattori inquinanti, e perciò in grado di fornire informazioni sulla qualità dell’ambiente.
L’ape è uno dei principali bioindicatori dell’aria, che permette il controllo dei quantitativi di sostanze volatili
e tossiche presenti, come antiparassitari, piombo e sostanze radioattive, che aderiscono ai peli del loro corpo.
Con esse è possibile analizzare grandi zone, fino a 7 chilometri quadrati intorno all’arnia, tramite i tassi più o
meno marcati di mortalità, la produzione quantitativa e qualitativa del miele, e la presenza di sostanze
estranee nelle arnie. Inoltre, tramite analisi di laboratorio eseguite sui corpi e i prodotti degli insetti, è
possibile determinare la natura degli inquinanti, ed i periodi o le zone a rischio. Il controllo avviene
settimanalmente considerando la soglia critica intorno alle 350 api morte, con l’utilizzo di una stazione di
monitoraggio costituita da alveari con gabbia di raccolta per gli insetti deceduti. Al giorno d’oggi per
l’apicoltura l’inquinamento è una grande problematica, che insieme alle malattie e batteriosi provoca lo
spopolamento di intere arnie di questi insetti pronubi, fondamentali per l’impollinazione. Questo viene messo
in evidenza nel film “Un mondo in pericolo”, quando mostra come in alcune zone della Cina i frutticoltori
siano obbligati ad effettuare l’impollinazione manualmente fiore per fiore.
“ Il miele, vale più dell’oro e costa meno ” Citazione della fonte scritta “Di fiore in fiore”
“ Se l’ape si estinguesse all’uomo resterebbero solo quattro anni di vita ” Citazione di Albert Einstein
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VALORIZZAZIONE ATTIVITÀ PRODUTTIVE:
IL BIOLOGICO
La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimenta-
re basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia
delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione
confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali.
La produzione biologica è regolata in tutte le possibili applicazioni, quali produzione animale e vegetale, ac-
quacoltura, produzione di mangimi, trasformazione, dal regolamento CE 834/2007 relativo all’agricoltura
biologica e all’etichettatura dei prodotti ottenuti da essa. L’agricoltura biologica è un metodo di produzione
agricola che:
Esclude l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi come fertilizzanti, diserbanti, insetticidi, e anticrittogami-
ci per la concimazione dei terreni, per la lotta alle infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle
piante.
Promuove la biodiversità, rispetta l’ambiente, la salute degli agricoltori e dei consumatori impiegando
pratiche naturali quali il rispetto di una minima distanza da fonti inquinate, la rotazione colturale,
l’impiego di sostanza organica ammendante e fertilizzante, ridotte lavorazioni, la selezione genetica di
cultivar resistenti e l’utilizzo di organismi utili nella lotta contro le avversità.
Pone elevata attenzione alla salvaguardia dei sistemi e dei cicli naturali, al benessere e al rispetto delle
esigenze etologiche degli animali e all'equilibrio tra essi, soffermandosi in particolare sulla scelta dei
mangimi, della specie, delle metodologie di gestione e delle strutture.
Non permette la presenza di OGM, Organismi Geneticamente Modificati.
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Un prodotto che è stato ottenuto rispettando la normativa inerente per un periodo di conversione della durata
di due o tre anni, può essere certificato con la dicitura “prodotto da agricoltura biologica” da un ente esterno
autorizzato dal MIPAAF, Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, quali per esempio Bioa-
gricert, dopo valutazioni ed analisi dell’azienda.
L’etichetta inoltre deve riportare le seguenti informazioni:
Il nome dell’organismo certificatore e il suo codice.
Il codice dell’azienda controllata.
Il numero di autorizzazione.
La dicitura “organismo di controllo autorizzato” con Dm MIPAAF n°.. del..
L’indicazione agricoltura biologica regime di controllo CE
Il logo comunitario riservato ai prodotti che contengono almeno il 95% degli alimenti in peso ottenuti da
agricoltura biologica, infatti non può essere presentato se non è verificata quest’ultima condizione.
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L’Italia è uno dei paesi leader della produzione biologica europea. Nel nostro territorio il biologico interessa
circa il 6,9% della superficie agricola, di cui più del 50% rappresentato da pascoli e foraggere. L’adozione di
questo tipo di pratica è stata incentivata dalla disponibilità di finanziamenti dell'Unione europea per l'adozio-
ne di pratiche agricole eco-compatibili, e dal prezzo più elevato di mercato permesso dall’interesse dei con-
sumatori verso i prodotti biologici, salubri e rispettosi dell’ambiente. Rimane comunque un mercato di nic-
chia, purtroppo non sostenibile su larga scala, in quanto ha rese inferiori del 20-45% rispetto a quella con-
venzionale e pertanto, per produrre le medesime quantità, sarebbe necessario mettere a coltura il 25-64% di
terre in più. Questo però porterebbe alla distruzione di habitat naturali importanti per la biodiversità oltre che
ad aggravare il problema della fame. Ed in taluni casi, l'impossibilità di usare diserbanti, rende necessario un
maggior numero di lavorazioni meccaniche e per certe colture queste diventano onerose sia economicamente
sia energeticamente, come nel caso del riso biologico. Questi motivi rendono difficile la coltivazione biolo-
gica per molte specie agrarie, specialmente le commodity come il mais e la soia, la maggior parte delle colti-
vazioni è quindi confinata a specie di più facile gestione come alcune arboree, l’olivo, i pascoli e i foraggi. È
stato osservato inoltre, che a volte l'agricoltura biologica è in grado di avvicinarsi, per molte colture, ai risul-
tati di quella convenzionale, quando accoppiata all’utilizzo di fertilizzanti certificati come biologici che di
fatto però derivano da produzioni convenzionali, a causa della scarsità di animali allevati in modo biologico.
In ogni caso non presenta solo questi aspetti negativi, ma è anche un ottima forma di agricoltura che rispetta
l’ambiente, l’animale, l’agricoltore e il consumatore.
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ECONOMIA DEI MERCATI:
L’AUTOCONTROLLO E L’HACCP DEL MIELE
L’autocontrollo dipende dalla responsabilità dell’Operatore del Settore Alimentare in materia di igiene e
sicurezza degli alimenti e corrisponde all’obbligo di tenere sotto controllo le proprie produzioni.
L’HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) è un sistema che consente di applicare
l’autocontrollo in maniera razionale e organizzata, e che aiuta gli operatori a conseguire un livello più
elevato di sicurezza alimentare. Il piano HACCP si basa su sette principi:
1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre.
2. Identificare i punti critici di controllo, ovvero le fasi in cui è possibile prevenire, eliminare o ridurre
un rischio.
3. Stabilire per questi punti critici di controllo i limiti critici che differenziano l’accettabilità
dall’inaccettabilità.
4. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo.
5. Stabilire e applicare azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo.
6. Verificare l’effettivo funzionamento delle misure adottate, ed eventualmente riprogrammarle.
7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare.
Il piano deve essere finalizzato a prevenire le cause di insorgenza di non conformità prima che si verifichino
e deve prevedere le opportune azioni correttive per minimizzare i rischi quando, nonostante l’applicazione
delle misure preventive, si verifichi una non-conformità. L’obbiettivo principale è istituire un sistema
documentato con cui l’impresa sia in grado di dimostrare di aver operato in modo da minimizzare il rischio
di un pericolo che potrebbe compromettere la salute del consumatore o degradare il prodotto.
Il punto critico di controllo è una fase, un’operazione, una procedura, una macchina o un impianto, da cui
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dipende in modo sostanziale la prevenzione dell’insorgenza di un pericolo in quanto corrisponde a una tappa
del processo nella quale si può effettuare un controllo, e quindi dove un rischio per la sicurezza del prodotto
alimentare può essere evitato, eliminato o ridotto ad un livello accettabile.
I pericoli possono essere di tipo :
Microbiologico, che è rappresentato da microrganismi, batteri o virus, in grado di provocare effetti
nocivi. Questo tipo di pericolo può essere già presente nelle materie prime, o introdotto nell’alimento
dall’operatore attraverso le mani, le attrezzature non pulite, e il contatto con insetti o animali
infestanti, ma la probabilità che si presenti è limitata, poiché la concentrazione zuccherina e il ph
acido del miele limitano la moltiplicazione microbica e consentono l’inattivazione dei principali
germi patogeni. Tuttavia il miele può subire processi di fermentazione, dovuti alla presenza di lieviti,
che con condizioni di umidità superiori al 18% si moltiplicano a spese del glucosio producendo
alcol, acidi e anidride carbonica sotto forma di bolle di gas. Il miele fermentato non costituisce un
pericolo per la salute, ma risulta degradato e irreversibile. È importante perciò adottare pratiche di
prevenzione, come l’utilizzo di deumidificatori in laboratorio o apparecchi a dischi rotanti per
esporre il miele ad una corrente di aria calda e secca.
Fisico, che riguarda corpi estranei che possono contaminare il prodotto (polveri, residui di cera, parti
di insetti, frammenti di vetro). È un pericolo di gravità moderata, ma sgradevole per il consumatore,
e quindi l’operatore dovrà porre attenzione alle operazioni di raccolta e stoccaggio dei melari pieni,
di filtrazione, decantazione e confezionamento.
Chimico, che è il più rilevante, in quanto può derivare da contaminazioni provenienti dall’ambiente
urbano, industriale, agricolo (metalli pesanti e residui di agrofarmaci), ma soprattutto da trattamenti
farmacologici contro le malattie (antibiotici e acaricidi), è importante perciò la collocazione
dell’apiario e la corretta gestione dell’apiario.
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INGLESE:
ORGANIC FARMING
“Organic farming” is healthy farming without synthetic chemicals. It uses natural methods, for example it
applies crop rotation, or it uses organic manure, it employs copper or sulphur as natural pesticides, and natu-
ral predators such as Bacillus Thuringiensis or ladybirds. The advantages of organic farming are the produc-
tion of healthy and high-quality food, free from pests, and no soil, water or air pollution. It also protects
plants and wildlife. The disadvantages of organic farming are: low productivity, high costs, and difficulty in
fighting diseases. After all, many farmers are converting from conventional to organic farming as they begin
to be aware of the fragility of the earth’s environment, the pollution from pesticides and fertilizers and the
toxic residues in food. In my opinion, organic agriculture is the best type of farming, because it produces
healthy food and it respects the environment at the same time, provided that it will increase the production in
the future, because now it doesn’t supply enough food to the population. Meanwhile, sustainable agriculture
is a good alternative type to organic agriculture.
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ITALIANO:
GIOVANNI VERGA
Verga nasce nel 1840 a Catania da una famiglia di nobili origini di Vizzini, un borgo agricolo. La sua forma-
zione scolastica viene affidata al parente Antonio Abate, poeta e patriota, che è il primo ad incoraggiarlo alla
letteratura. Scrive il suo primo romanzo tra il 1856 e il 1857, Amore e patria, a soli 17 anni, caratterizzato da
un’anima tanto accesa quanto immatura. Nel 1858 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, che abbandona
poi nel 1861. Accoglie con entusiasmo l’arrivo di Garibaldi nella sua città, e subito dopo si arruola nella
Guardia nazionale per quattro anni. Fonda con alcuni amici il settimanale politico “Roma degli italiani”, sul
quale pubblica articoli di fervente patriottismo. Il primo romanzo di Verga pubblicato è I carbonari della
montagna, nel 1862. L’anno seguente muore il padre. Nel 1865 compie il suo primo viaggio a Firenze, allora
capitale d’Italia, dove compone Una peccatrice, assai sentimentale e ispirato alla moda tardoromantica, che
non gli procura successo, ma lo spinge a frequentare i salotti mondani della letteratura e dell’editoria. Nel
1869 si stabilisce a Firenze, e conosce i poeti Giovanni Prati, Aleardo Aleardi, Vittorio Imbriani. Lega
un’amicizia con Luigi Capuana, teorico del verismo e critico teatrale. S’innamora di Giselda Fojanesi, con la
quale compie il viaggio di ritorno in Sicilia, narrato dieci anni dopo nella novella Fantasticheria. Nel 1872
avviene un significativo cambiamento nella vita di Verga, quando si trasferisce a Milano per un quindicen-
nio. L’amico Salvatore Farina lo introduce nei salotti letterari più importanti della città., ed incontra abitual-
mente gli scrittori scapigliati Arrigo Boito ed Emilio Praga. Nel 1874 scrive in soli tre giorni Nedda, un boz-
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zetto siciliano completamente diverso dalle opere precedenti, perché ambientato nella natia Sicilia e teso a
rivelare la povertà di vita della sua gente. Si converte così al Verismo. Tornato a Catania per l’abituale sog-
giorno estivo, comincia a ideare il bozzetto marinaresco Padron ‘Ntoni, che si amplierà fino a divenire il ro-
manzo Malavoglia. Nel 1878, lo stesso anno in cui muore la madre, esce su un settimanale politico letterario
il racconto Rosso Malpelo. Nel 1880 escono in volume le novelle veriste di Vita dei campi, già apparse in va-
ri periodici. Lavora intanto ai Malavoglia, ed il libro esce nel 1881, ma senza successo. Inizia l’amicizia con
Federico de Roberto, comincia la stesura del nuovo romanzo Mastro-don Gesualdo, ed escono a stampa due
volumi di racconti veristi, Novelle rusticane e Per le vie. Incontra in Francia nel 1883 Émile Zola, ed
nell’anno successivo esordisce con successo sulle scene teatrali come drammaturgo, in particolare con il
dramma Cavalleria rusticana, tratta da una precedente novella. L’anno successivo, a Milano, il dramma In
portineria è accolta freddamente, Verga ne rimane deluso, e il contraccolpo psicologico è aggravato da diffi-
coltà finanziarie e familiari. Dal 1886 comincia a trascorrere lunghi periodi a Roma, e nel 1888 esce a punta-
te su una rivista letteraria il Mastro-don Gesualdo, che viene poi pubblicato in volume l’anno seguente.
quest’ultimo costituisce il suo ultimo capolavoro. Nel 1893 rientra a Catania, pubblica le ultime novelle, e
vengono rappresentate a teatro le ultime opere, in particolare Verga si mette a lavorare alla Duchessa di Ley-
ra, terzo romanzo del ciclo dei Vinti,, che si fermerà solamente al primo capitolo. Dalle ultime opere emerge
il profilo di uno scrittore ormai isolato, dedito quasi solo alla cura delle terre di famiglia e alla tutela dei figli
del fratello. Il distacco dagli ambienti letterari è definitivo: Verga era consapevole di avere ormai dato il me-
glio di se. Viene nominato a senatore del Regno d’Italia nel 1920, e infine muore a Catania nel 1922.
La vita di Verga è stata influenzata in particolare dal Verismo, un movimento letterario caratterizzato
dall’attenzione per il vero, per la vita quotidiana della gente, e per le problematiche sociali o d’ambiente. In
particolare, esso si sofferma sulla situazione del Sud Italia e sul mondo contadino della Sicilia. Questi temi si
riscontrano anche nel linguaggio dialettale e tradizionale impiegato, più vicino al comune parlato. Oltre a
Verga, importanti scrittori rappresentativi di questo movimento sono Luigi Capuana, e Federico de Roberto.
Le opere più importanti e rappresentative del Verismo di Verga sono:
Nedda
È un bozzetto siciliano, ovvero un racconto che ritraeva una situazione, pubblicato nel 1874 su un periodico
milanese, che ha dato il via alla conversione di Verga al verismo. La protagonista è un’umile raccoglitrice di
olive, Bastianedda detta Nedda la varannisa, perché viene da Viagrande: una povera figliuola raggomitolata
sull’ultimo gradino della scala umana. È un’opera caratterizzata da una patina sicilianeggiante, che colora il
lessico, e sembra portare per la prima volta nelle pagine di Verga l’architettura della sintassi dialettale.
Vita dei campi
È una raccolta di otto novelle, composte tra il 1878 e il 1880, pubblicate prima che in volume su diverse ri-
viste, che trattano come argomento principale i ceti sociali più bassi nel mondo siciliano. L’autore sottopone
le novelle ad una severa revisione lessicale per eliminare le imprecisioni o gli eccessi di letterarietà, e lavora
sulla concentrazione espressiva per mostrare gli eventi in modo netto e crudo, rinunciando ai commenti e a
precise descrizioni di personaggi e antefatti. Vita dei campi è costituita dalle novelle Fantasticheria, Jeli il
pastore, Cavalleria rusticana, La lupa, L’amante di Gramigna, Pentolaccia, Rosso Malpelo, e Guerra dei san-
ti. Essa riscosse interesse e apprezzamento, anche grazie a una lusinghiera recensione di Luigi Capuana sul
Corriere della sera.
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I Malavoglia
È la prima tappa del ciclo dei Vinti, un ciclo romanzesco che analizza le varie condizioni sociali, dai livelli
più infimi a quelli più elevati. Le restanti tappe sono date da Mastro-don Gesualdo, La duchessa di Leyra,
L’onorevole Scipioni, e L’uomo di lusso. L’opera venne ideata nel 1875, sotto forma di un bozzetto marina-
resco, intitolato Padron ‘Ntoni, che si trasformò poi nell’effettivo romanzo. Verga consultò gli studi etnogra-
fici, sul folklore e le tradizioni locali catanesi del medico siciliano Giuseppe Pitré, per conferire al racconto
un’impronta più oggettiva. L’opera assume dunque le caratteristiche di uno studio sociale, e ciò si verifica
dai dettagli e dagli aspetti realistici riportati nel romanzo, come il tempo, i proverbi locali, il ciclo delle sta-
gioni, il lavoro nei campi, le liturgie, lo spazio e i luoghi tipici di un paese, quali farmacia, sagrato, osteria,
lavatoio e fontana. Verga inoltre, mette in scena una pluralità di piccole storie, individuali o familiari, che
s’intrecciano e si sviluppano, per ricostruire il più fedelmente possibile la complessa realtà della vita di un
villaggio tipico. Quest’opera narra la storia di una famiglia di pescatori. Padron ‘Ntoni, il patriarca, cede alla
brama del meglio, al desiderio di migliorare la propria condizione economica, si impegna perciò nell’affare
del negozio dei lupini, per il quale ha bisogno di un prestito, e lo chiede a Zio Crocifisso, ma non sarà più in
grado di risarcirlo a causa del naufragio della barca, La Provvidenza, e di tutto il suo carico. La disgrazia
manderà in rovina ‘Ntoni e la sua famiglia. Viene quindi inoltre raffigurata la differenza tra l’antico e il tra-
dizionale, e l’innovazione ed il nuovo.
Novelle rusticane
Quest’opera è stata stampata in volume nel 1882 e comprende 12 racconti: Il Reverendo, Cos’è il Re, Don
Licciu Papa, Il Mistero, Malaria, Gli orfani, La roba, Storia dell’asino di San Giuseppe, Pane Nero, I galan-
tuomini, Libertà, Di là del mare. È ambientata nella provincia siciliana della seconda metà dell’ottocento, e si
concentra sui temi dell’ingiustizia e dell’impotenza delle azioni degli uomini. Verga mette crudamente in ri-
salto, la natura ferrea degli uomini di scegliere in base ad una logica egoistica ed economica, ed il motivo
della “roba”, ovvero l’importanza e l’ansia di conquistare beni, diventarne possessori, e conservarli nel tem-
po. Per i personaggi di questi racconti non c’è spazio per i sentimenti e le virtù, ma si vive solo per lavorare,
ovvero per la “roba”.
Per le vie
È un’opera, data da novelle, corrispettiva di Vita dei campi, poiché è ambientata nel microcosmo milanese, e
si sofferma sulle figure popolari che abitano la grande città, quali camerieri, disoccupati, operai, e prostitute,
anch’essi dominati dall’ansia del denaro e dall’angoscia dell’emarginazione.
Mastro-don Gesualdo
Quest’opera venne definita in volume nel 1889, e narra la biografia di Gesualdo, un muratore rapidamente
arricchitosi, che si sposa poi con Bianca e da mastro diventa don, ma tuttavia essendo consacrato alla “roba”
non può conoscere una vera vita di sentimento, e i due sposi si rivelano estranei ed antagonisti. Ma dopo il
culmine di tale ascesa, comincia il declino del protagonista, psicologico, affettivo, e fisico. Il padre non rie-
sce a farsi accettare dalla figlia, simile alla madre, che sarebbe dovuta diventare la protagonista di La Du-
chessa di Leyra. Il finale è tragico: Gesualdo morirà nella casa della figlia e del genero di cancro, che rappre-
senta la morte interna del protagonista. In quest’opera la morte è un evento insito in qualsiasi cosa, sintomo
di una sconfitta generale priva di rimedio.