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Laura Ragonesi* Hans Jonas (1903-1993): una voce filosofica eminente nel consolidarsi dell’Etica Ambientale contemporanea Copyright 2007 *Dottoressa in: “Lingue Straniere per la Comunicazione Internazionale” E-mail: [email protected]

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Laura Ragonesi*

Hans Jonas (1903-1993):

una voce filosofica eminente nel consolidarsi

dell’Etica Ambientale contemporanea

Copyright 2007

*Dottoressa in: “Lingue Straniere per la Comunicazione Internazionale”

E-mail: [email protected]

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I

Prefazione

Tra gli scienziati impegnati nel monitoraggio del riscaldamento globale -che oggi

rappresenta la principale minaccia alla vita del nostro Pianeta e conseguentemente alla nostra- si sta

diffondendo la convinzione che la crisi ambientale stia raggiungendo una soglia fatale, un punto di

non ritorno in cui l’uomo si troverà ad essere totalmente impotente di fronte alle drammatiche

conseguenze dello sconsiderato sfruttamento delle risorse naturali, che egli stesso ha operato, e

della violenza del suo impatto.

Il Filosofo Hans Jonas (1903-1993), descrivendo le conseguenze del dominio dell’uomo

sulla Natura -attraverso mezzi tecnologici, prodotti e sostanze mai sufficientemente valutati sulla

lunga gittata- afferma che, se l’umanità non corre al più presto ai ripari, la Natura “si vendicherà1”.

Riconoscere alla Natura la capacità di “vendicarsi” -che è metafora di ciò che si sta

effettivamente verificando- significa affermare che la Natura stessa possiede la capacità di azionare

processi tali da sovrastare l’attacco dell’uomo.

Per sottolineare tale aspetto della Filosofia di Hans Jonas i termini Natura, Terra e Pianeta in

questa trattazione sono stati scritti con la lettera maiuscola: sono termini che ricorrono in primis

nelle sue opere, seguiti da ecologia, ecosistema, biosfera2. Tuttavia, è bene sottolinearlo, il discorso

di Hans Jonas si indirizza sostanzialmente al Pianeta nella sua globalità e complessità.

Se il pensiero di Hans Jonas, almeno con le sue opere a partire dalla decade 1970, fosse

penetrato più profondamente nelle singole coscienze individuali e negli obiettivi politici nazionali e

delle organizzazioni internazionali, le condizioni del nostro Pianeta non sarebbero probabilmente

oggi così gravi.

Del resto ben diversa era la situazione di quel periodo, che vide tra l’altro la prima

Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Stoccolma nel 1972: da allora,

l’assenza di politiche di salvaguardia ambientale mondialmente coordinate ha determinato un

crescendo di problemi con gli esiti ai quali noi oggi assistiamo.

1 Hans Jons utilizza il verbo sich rächen. Si veda il volume W. Schneider, a cura di, Dem bösen Ende näher,

Francoforte sul Meno, Suhrkamp Verlag,1993, p.86.

2 Si veda a tal proposito il saggio di Hans Jonas Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, in: «Social

Research», n. 43, 1976, pp. 77-97.

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II

La Filosofia di Hans Jonas si inquadra in una posizione di primo piano nel movimento di

idee che portò alla formulazione del concetto di Sviluppo Sostenibile, divenuto tema internazionale

proprio nel 1972 con la conferenza prima citata. Tuttavia la sua analisi della tecnologia andava ben

oltre i contenuti di tale nozione, che ruotavano infatti sulla necessità di garantire “i bisogni delle

generazioni attuali senza compromettere la possibilità per le future generazioni di soddisfare i

propri3”.

Lo spessore del pensiero di Hans Jonas attorno alla crisi ambientale dovuta a scriteriate

azioni umane, attorno all’imprescindibile necessità di cautela e parsimonia nell’approcciarsi agli

ecosistemi, attorno all’altrettanto imprescindibile esigenza di guidare la tecnologia umana in uno

sviluppo moderato dall’Etica coincidono in modo evidente con gli aspetti più profondi della

nozione di Sviluppo Sostenibile.

Poiché i saggi di Hans Jonas su questo tema iniziano nel 1974, il lavoro che resta da fare è

quello di leggerne i manoscritti, custoditi presso l’Archivio dell’Università di Costanza: soltanto

così si potrà definire una volta per tutte se egli fu alle spalle del concetto di Sviluppo Sostenibile,

influenzandolo con contatti personali e con la sua eventuale presenza nelle organizzazioni

internazionali, o se egli captò l’importanza di tale concetto, la fece propria e la innalzò a dignità

filosofica.

Dal 1974, anno della sua prolusione dal titolo Responsibility Today: The Ethics of an

Endangered Future4 e dal 1979, anno in cui apparve Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer

Ethik für die Technologische Zivilisation5, il suo pensiero si è dimostrato un vero e proprio pilastro

nell’analisi della situazione del mondo contemporaneo ed uno straordinario punto di riferimento

nelle idee sulla salvaguardia ambientale.

Nel quadro degli odierni problemi ambientali globali la sua riflessione sulla responsabilità

umana è diventata un tema dominante, anche se molto sovente non se ne conosce la precisa fonte

filosofica.

Hans Jonas è scomparso nel 1993. Quasi quindici anni dopo, nell’anno corrente, la

Commissione Europea ha reso pubblico un documento intitolato Limiting Global Climate Change

3 “It meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs.”

Citazione tratta da: The Environment after Rio, Londra, Graham & Trotman, 1994, p. 5.

4 Tale prolusione fu presentata durante il simposio internazionale su “Ethics in an Age of Pervasive Technology”,

tenutosi ad Haifa e Gerusalemme nel Dicembre 1974. Essa venne poi pubblicata come saggio nella rivista Social

Research, volume 43 del 1976.

5 Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Francoforte sul Meno, Insel

Verlag, 1979. Titolo italiano: Il Principio Responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1979.

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III

to 2 degrees Celsius. The way ahead for 2020 and beyond 6, che si allinea con le preoccupazioni del

Filosofo stesso7.

Di poco successivo è il quarto Rapporto dello Intergovernmental Panel on Climate Change

dal titolo Climate Change 20078. Il documento conferma l’ipotesi dell’innalzamento della

temperatura media globale di 2-2,5 gradi centigradi rispetto ad oggi, con un conseguente scenario

impressionante: spostamenti geografici delle specie, rischio di estinzione per circa il 20-30% della

biodiversità, riduzione delle risorse idriche su vaste aree, processi di desertificazione di spaventose

estensioni, scioglimento dei ghiacciai e della calotta polare.

Rispetto al precedente rapporto del 2001, Climate Change 2001, quello attuale è molto più

allarmante e, soprattutto, affronta il tema del riscaldamento globale come un fenomeno già in atto e

non più come vaga minaccia per un futuro lontano9.

6 Il documento conferma l’ipotesi dell’aumento delle emissioni di gas serra come causa principale del progressivo

riscaldamento del Pianeta. La proposta della Commissione è di raggiungere entro il 2020 una riduzione di tali emissioni

dei Paesi industrializzati del 30% in confronto al 1990, e del 50% entro il 2050. Si tratta della Comunicazione della

Commissione Europea del 10 Gennaio 2007, indirizzata al Consiglio dei Capi di Sato e di Governo, al Parlamento

Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni. Essa costituisce il seguito della Comunicazione

della Commissione Europea “Winning the Battle against Global Change” del 2005.

7 E’ un documento propositivo che attribuisce all’Unione Europea il ruolo di guida a livello internazionale

nell’attuazione di politiche volte ad assicurare che l’aumento delle temperature medie globali non superino i due gradi

centigradi: “Climate change is happening. Urgent action is required to limit it to a manageable level. The EU must

adopt the necessary domestic measures and take the lead internationally to ensure that global average temperature

increases do not exceed pre-industrial levels by more than 2°.” Citazione tratta da: Limiting Global Climate Change to

2 Degrees Celsius. The Way ahead for 2020 and Beyond. E’ possibile consultare e scaricare il documento dal sito

dell’Unione Europea, nella sezione dedicata alle recenti normative in materia di protezione dell’ambiente all’indirizzo

http://ec.europa.eu/environment/climat/ future_action.htm.

8 Lo International Panel on Climate Change è un gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici istituito

nel 1988 nell’ambito del Programma dell’Onu per l’Ambiente (UNEP). La prima parte del Rapporto, Climate Change

2007: The Physical Science Basis, è stata pubblicata nel febbraio 2007, la seconda, Climate Change 2007: Impacts,

Adaptation and Vulnerability ad aprile, e la terza, Climate Change 2007: Mitigation of Climate Change, verrà

pubblicata dopo l’estate. Si può leggere e scaricare il rapporto dal sito dell’IPCC: http://www.ipcc.ch/.

9 E’ da sottolineare, inoltre, che le analisi dello International Panel on Climate Change si basano sull’ipotesi che le

emissioni di biossido di carbonio rimangano agli attuali livelli, ma -come dimostrato scientificamente dall’ultima

pubblicazione della International Energy Agency, organizzazione istituita nell’ambito della Organization for Economic

Cooperation and Development (OECD)- non sarà così: a causa soprattutto della crescita dei Paesi in via di sviluppo

entro il 2030 le emissioni di CO2 cresceranno dal 39 al 55%. Si veda World Energy Outlook 2006, Annuario IEA,

Parigi, Paris Cedex, 2006. Il problema del riscaldamento globale è stato inoltre tema del recente film-documentario

presentato fuori concorso a Cannes e vincitore di due Premi Oscar -migliore documentario e migliore canzone- An

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IV

Il richiamo potente di Hans Jonas ai politici, il suo richiamo a costituire una vera e propria

“Internazionale10” per la salvaguardia ambientale sollecitano in noi inquietanti interrogativi sul

Protocollo di Kyoto11 e sul suo sostanziale fallimento.

Hans Jonas ha avuto un ruolo rilevante nel costituirsi delle idee sulla salvaguardia

ambientale, della Natura, del Pianeta.

Inconvenient Truth del Senatore Albert Gore. Egli promuove da anni un’interessantissima campagna di informazione

sul tema ed è autore di libri famosi come Earth in the Balance: Ecology and the Human Spirit, del 1992, che già

introduceva le tematiche affrontate nel documentario.

10 Si veda Dem bösen Ende näher, op. cit., p. 99.

11 Il Protocollo di Kyoto è parte integrante della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici sottoscritta dalla quasi

totalità dei Paesi aderenti alle Nazioni Unite (la Convenzione ha ottenuto la ratifica da parte di 189 Paesi, dato

aggiornato al 24 maggio 2004, fonte: sito ufficiale della Convenzione, www.unfcc.int) durante la Conferenza mondiale

su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Tale Convenzione entrò vigore il 21 marzo 1994 dando

avvio ad un processo negoziale di cooperazione internazionale per la lotta contro i cambiamenti climatici. L’obiettivo

della Convenzione era la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra ad un livello tale da prevenire

pericolose interferenze delle attività umane con il sistema climatico. Essa, inoltre, prevedeva (art. 17) la definizione di

un Protocollo i cui negoziati furono avviati con la prima Conferenza delle Parti -organo di decisione, di gestione e di

controllo della Convenzione- tenutasi a Berlino nell’aprile del 1995. Durante tale Conferenza fu adottata una decisione

denominata “Mandato di Berlino” che attribuiva il compito ad un “gruppo ad hoc” di intraprendere iniziative

finalizzate ad individuare in dettaglio gli impegni dei Paesi industrializzati sia in termini di politiche e misure, sia in

termini di limiti alle emissioni e di obiettivi di riduzione. Il “gruppo ad hoc” lavorò per due anni, dal 1995 al 1997,

elaborando un documento che venne presentato durante la terza Conferenza delle Parti che si tenne a Kyoto nel 1997.

Dopo una serie interminabile di discussioni tale documento fu approvato e sottoscritto l’11 dicembre 1997: esso è noto

appunto come Protocollo di Kyoto ed è stato ratificato da 172 Paesi (dato aggiornato al 26 Aprile 2007, fonte:

www.unfcc.int).

Il Protocollo di Kyoto rappresenta lo strumento attuativo della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici ed è

entrato in vigore il 16 febbraio 2005, grazie alla ratifica della Russia, responsabile del 18% delle emissioni. L’obiettivo

fondamentale del Protocollo è la diminuzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati almeno del 5% entro

il 2012 rispetto al 1990. I Paesi membri dell’Unione Europea si sono impegnati a ridurre collettivamente le loro

emissioni dell’8% tra il 2008 e il 2012. Per altri Paesi, considerati in via di sviluppo, sono stati fissati obiettivi minori.

Gli Stati Uniti, responsabili del 36,1% delle emissioni globali, non hanno ratificato il Protocollo insieme ad Australia,

Croazia e Kazakistan. Va sottolineato, quindi, che solo alcuni dei maggiori Paesi industrializzati stanno davvero

riducendo le emissioni di gas serra, come la Germania e l’Inghilterra, al contrario dell’Italia che le ha aumentate del

13%. Purtroppo i loro sforzi saranno neutralizzati dall’incremento delle emissioni dei Paesi in via di sviluppo,

soprattutto della Cina che, a partire dal 2010, sarà il Paese con le più alte emissioni di gas serra. Da ciò si evince che la

mancata ratifica da parte degli Stati Uniti, la carenza di interesse verso le problematiche ambientali dimostrata dai

maggiori Paesi industrializzati e il comportamento negligente dei Paesi emergenti, che sono al contempo vittime ed

artefici dei disastri ambientali, hanno portato il Protocollo di Kyoto al fallimento.

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V

Egli ha smantellato, in chiave strettamente e prettamente filosofica, il mito di tecnica-

tecnologia come fattore indiscutibilmente positivo dello sviluppo umano ed ha inserito in modo

sistematico l’analisi della tecnologia e delle sue conseguenze nella Filosofia e nei suoi obiettivi di

ricerca.

Egli ha introdotto per primo nella Filosofia il Principio Responsabilità dell’uomo verso il

Pianeta e la Natura. La responsabilità che ne deriva incombe su tutti gli uomini e sui politici e sui

governi che li guidano. E’ un Principio Responsabilità che deve illuminare, quale base di una nuova

etica del rapporto uomo-Natura, ogni gesto, ogni scelta ed ogni studio tecnico-tecnologico. Per

Hans Jonas una tecnica-tecnologia senza un’etica che la guidi produce distruzione: una distruzione

di cui oggi il Pianeta reca inesorabili tracce.

La tecnologia non è oggi un potenziale produttivo bensì distruttivo e preoccuparsi per il

futuro dell’umanità comporta necessariamente prendersi cura del futuro di tutta la Natura su questo

Pianeta come necessaria condizione per il futuro dell’uomo stesso. Ne consegue una responsabilità

di eccezionale portata, come sottolineava Hans Jonas stesso: “A kind of metaphysical responsibility

beyond self-interest has devolved on us with the magnitude of our powers relative to this tenuous

film of life, that is, since man has became dangerous not only to himself but the whole biosphere12.”

La crisi che l’impatto umano sull’ambiente ha determinato fa sì che tecnica e tecnologia

debbano essere trasformate alla luce proprio del Principio Responsabilità: esse debbono cioè

trasformarsi da strumenti distruttivi a strumenti di ripristino, protezione e salvaguardia.

Questo Principio Responsabilità si distacca dall’etica tradizionale che prendeva in

considerazione il rapporto uomo-uomo, secondo un carattere di orizzontalità e di immediatezza. La

nuova Etica di Hans Jonas ha un “ruolo profetico13”, giacché si fa carico delle conseguenze a lungo

termine del pericolo che le nostre azioni attuali scatenano.

Nel 1974 Hans Jonas scriveva: “The premise of the whole argument was that today and

further on we do have to deal with actions of just that magnitude, which is itself a novum in human

affairs. This novum renders obsolete the tacit standpoint of all earlier ethics that, given the

impossibility of long-term calculation, one should consider what is close at hand only and let the

distant future take care of itself. This still goes for the private sphere of action where enticing as

well as threatening distant perspectives are nothing more than idle fantasies. But in the new action-

12 Citazione tratta dal saggio di Hans Jonas Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, op. cit., p. 77.

13 Cit.:“Prophecy rule”, si veda il saggio: Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, op.cit., p. 91.

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VI

sphere of planetary technological planning, the fantasies are not idle: projection into the distance

belongs to its nature and duty, and its uncertainty must therefore be met by another rule.14”

Inoltre, continua Hans Jonas, i pericoli che con le nostre azioni e la nostra tecnologia

abbiamo scatenato ci rendono responsabili non già del futuro di individui umani, bensì dell’idea di

Uomo: ciò che è in altre parole un’idea ontologica15.

La dimensione dei danni che l’uomo tecnologico contemporaneo ha prodotto sugli equilibri

ambientali fa sì che il destino del Pianeta, intrecciato con quello dell’umanità, sia posto in crisi.

Uomo e Natura si trovano egualmente a fronteggiare un futuro minacciato.

L’attualità e l’importanza del pensiero di Hans Jonas si collegano in primis al rapporto

uomo-Natura, ma anche al rapporto uomo-uomo. Attraverso il progresso scientifico e tecnologico,

infatti, l’uomo stesso è diventato oggetto della tecnica: obiettivo primario della scienza medica è

oggi quello di prolungare la vita ad ogni costo, di controllarla attraverso modificazioni genetiche,

ma Hans Jonas si chiede “fino a che punto tutto questo è auspicabile?16”.

Il Principio Responsabilità -secondo Hans Jonas- deve illuminare le decisioni dell’uomo su

tematiche quali l’eugenetica, il controllo delle nascite, il prolungamento della vita. Secondo il

Filosofo non dovremmo “intrometterci in quel profondo segreto che è l’uomo17”, ma rispettare il

valore della vita e lasciare che essa faccia il proprio corso.

Solo nel caso della limitazione delle nascite il Filosofo ritiene necessario un controllo da

parte dell’uomo, giudicando “irresponsabile” la posizione della Chiesa cattolica a tal proposito18.

Questo è un ulteriore tema che collega il pensiero di Hans Jonas alle moderne teorie dell’ecologia e

dell’ambientalismo contemporanei, in particolare al concetto di carrying capacity.

L’Etica della Responsabilità dovrebbe guidare l’uomo nelle sue decisioni e nelle sue azioni,

affinché egli possa salvare il futuro del Pianeta e con esso quello dell’umanità.

14 Cfr.: Hans Jonas, Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, op.cit., pp. 91-92.

15 Ibidem, p. 94. Hans Jonas fa riferimento al pericolo della bomba atomica.

16 Cit.: Hans Jonas, Il Principio Responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, op. cit., p. 25.

17 Cit.: Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna, 1991.

18 Hans Jonas, solo la paura ci salverà, intervista di M. Baudino, in: «La Stampa», 30.01.1993.

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VII

Appendice alla Prefazione

Le opere principali di Hans Jonas nell’Editoria europea1

• Dem bösen Ende näher. Gespräche über das Verhältnis des Menschen zur Natur, a cura di

Wolfgang Schneider, Francoforte sul Meno, Suhrkamp Verlag, 1993. Hans Jonas ha partecipato alla

scelta dei testi da pubblicare in tale raccolta, ma purtroppo è scomparso poco prima che essa fosse

data alla stampa.

Traduzione Francese di Sylvie Courtine-Denamy: Une éthique pour la nature, Parigi, Desclée de

Brouwer, 2000.

Traduzione Italiana di Paolo Becchi e Anna Patrucco Becchi: Sull’orlo dell’abisso, Torino, Einaudi,

2000.

L’opera contiene interviste apparse in date diverse e di seguito elencate in ordine cronologico:

1. Die Bereitschaft zur Furcht ist ein sittliches Gebot, intervista di Alexander U.

Martens, in: «Süddeutsche Zeitung», 7/8-II-1981

2. Technik, Freiheit und Pflicht, Francoforte 11-X-1987, discorso di ringraziamento

tenuto in occasione del conferimento del Premio per la Pace degli Editori Tedeschi.

Pubblicato per la prima volta presso il Börsenverein des Deutschen Buchhandels,

Francoforte sul Meno, 1987 e poi in: Technik, Medizin und Ethik e Wissenschaft als

persönliches Erlebnis.

3. Ohne Opferbereitschaft gibt es wenig Hoffnung, intervista di Christine Claussen e

Heinrich Jaenecke, in: «Stern», 23-VI-1988.

4. Mitleid allein begründet keine Ethik, intervista di Marin Gräfin Dönhoff e Reinhard

Merkel, in: «Die Zeit», 25-VIII-1988.

5. Wir dürfen das Leben nicht belasten, indem wir uns einfach gehen lassen, intervista

di Wolf Scheller, in: «Allgemeine jüdische Wochenzeitung» 18-I-1990.

6. Maschinen werden niemals ein Bewusstsein haben können, intervista di Norbert

Lossau, in: «Die Welt», 29-XI-1991.

1 Seguendo la linea guida di questo lavoro, il ruolo di Hans Jonas nel consolidarsi dell’Etica ambientale contemporanea,

si è proceduto ordinando le opere maggiori partendo dalla più recente. Tutte le altre opere sono repertoriate nella

Bibliografia.

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VIII

7. Die Welt ist weder wertfrei noch beliebig verfügbar, intervista di Christian Schülze,

in: « Süddeutsche Zeitung », 11-II-1992.

8. Dem bösen Ende näher, intervista di Matthias Matussek e Wolfgang Kaden, in: «Der

Spiegel», 11-V-1992.

9. Der ethischen Perspektive muss eine neue Dimension hinzugefügt werden, intervista

di Mischka Dammaschke, Horst Gronke e Christoph Schulte, in: «Deutsche Zeitschrift

für Philosophie», I, 1993.

• Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts, Francoforte sul Meno,

Suhrkamp Verlag, 1993.

Traduzione Inglese di Hunter and Hildegard Hannum: Philosophy at the End of the Century: A

Survey of Its Past and Future, in: «Social Research», LXI, 4, 1994.

Traduzione Italiana di Carlo Angelino: La filosofia alle soglie del duemila. Una diagnosi e una

prognosi, Genova, Il Melangolo, 1994.

Traduzione Francese di Jean Greisch: Philosophie. Rétrospective et prospective à la fin du siècle,

in: «Le Messager européen», 7, 1993. Tradotto da Philippe Ivernel: Philosophie. Regard en arrière

et en avant à la fin du siècle, in: Philippe Ivernel, a cura di, Pour une éthique du futur, Parigi,

Rivages Poche, 1998.

• Wissenschaft als persönliches Erlebnis, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1987.

Traduzione Francese di Robert Brisart: La science comme expérience vécue, in: « Études

phénoménologiques», 8, 1998.

Traduzione Italiana di Francesco Tomasoni: Scienza come esperienza personale, Brescia,

Morcelliana, 1992.

• Technik, Medizin und Ethik. Zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Francoforte, Suhrkamp

Verlag, 1985. Seconda edizione: Suhrkamp Taschenbuch 1987.

Traduzione Italiana di Paolo Becchi e Anna Benussi: Tecnica, Medicina ed Etica. Prassi del

Principio Responsabilità, Torino, Einaudi, 1997.

Anche quest’opera contiene saggi editi in date diverse, di seguito elencati in ordine cronologico e

indicando prima il titolo originale e poi le eventuali traduzioni:

1. On the Redefinition of Death, in: «Daedalus», 1969

2. Against the Stream: Comments on the Definition and Redefinition of Death, in: Hans

Jonas, Philosophical Essays, Chicago Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1974.

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IX

3. Philosophical Reflection on Experiments with Human subjects, in: «Daedalus»,

1969. Tradotto in Tedesco dall’autore: Philosophische Betrachtungen über Versuche an

menschlichen Subjekten, in: W. Doerr, a cura di, Recht und Ethik in der Medizin,

Springer, Berlin, 1982.

4. Biological Engineering-A Preview, in: Hans Jonas, Philosophical Essays. Tradotto in

Tedesco dall’autore: Lasst uns einen Menschen klonieren. Betrachtungen zur Aussicht

genetischer Versuche mit uns selbst, in: «Scheidewege», XII, 3-4, 1982.

5. Freedom of Scientific Inquiry and Public Interest, in: «Hastings Center Report», VI,

1976, pubblicato in lingua Tedesca con il titolo Freiheit der Forschung und öffentliches

Wohl, in «Scheidewege», XI, 1981, e Straddling the Boundaries of the Theory and

Practice in Recombinant DNA: Science, Ethics and Politics, New York, Academic

Press, 1983.

6. Toward a Philosophy of Technology, in: «Hastings Center Report», IX, 1979,

ripubblicato in lingua Tedesca con il titolo Philosophisches zur modernen Technologie,

in: Reinhard Löw e altri, a cura di, Fortschritt ohne Maß? Eine Ortbestimmung der

wissenschaftlich-technischen Zivilisation, Monaco, R. Piper, 1981.

7. Warum die moderne Technik ein Gegenstand für die Ethik ist, già pubblicato in

lingua Inglese con il titolo Technology as a Subject for Ethics, in: «Social Research», 4,

XLIX, 1982.

8. Auf der Schwelle der Zukunft: Werte von gestern und die Welt von morgen, in: H.

Jonas e D. Mieth, Was für morgen lebenswichtig ist, Friburgo, Herder, 1983.

9. Forschung und Verantwortung, Aulavorträge, XXI, Hochschule, St. Gallen, 1983.

10. Ärztliche Kunst und menschliche Verantwortung, in: «Renovatio», XXXIX, 4, 1983.

11. The Right to Die, in «Hastings Center Report», VIII, 1978 e in: «Scheidewege»,

XIV, 1984. Titolo Tedesco (traduzione dell’autore): Techniken des Todesaufschubs und

das Recht zu sterben. Tradotto in Francese da Philippe Ivernel: Le Droit de mourir,

Parigi, Rivages Poche, 1996 e in Italiano da Pier Paolo Portinaro, Il diritto di morire,

Genova, Il Melangolo, 1991.

12. Technik, Ethik und biogenetische Kunst. Betrachtungen zur neuen Schöpferrolle des

Menschen, in: «Die Pharmazeutische Industrie», XLVI, 7, 1984.

L’edizione originale tedesca si conclude con due testi che non compaiono nell’edizione italiana:

Podiumsgespräch mit Hans Jonas, in: D. Rössler, a cura di, Möglichkeiten und Grenzen der

technischen Kultur, Stoccarda, Schattauer, 1982; e Im Zweifel für die Freiheit?, in: «Nachrichten

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X

aus Chemie, Technik und Laboratorium», 29. Al contrario, l’edizione italiana è corredata di tre

scritti non presenti nell’originale:

1. Rechte, Recht und Ethik, in: Däubler-Gmelin e Adlerstein, a cura di, Menschenrecht.

Arbeitswelt- Genforschung- Neue Technik- Lebensformen- Staatsgewalt, Heidelberg, C.

F. Müller Juristischer Verlag, 1986.

2. Technik, Freiheit und Pflicht, op. cit..

3. Last und Segen der Sterblichkeit, in: «Scheidewege», XXI, 1991.

• Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation,

Francoforte, Insel Verlag, 1979. Il libro ha avuto due edizioni successive presso la stessa casa

editrice: II ed. 1982, III ed. 1984.

Traduzione dell’autore in collaborazione con David Herr in lingua Inglese: The Imperative of

Responsibility. In Search of an Ethics for the Technological Age, Chicago-Londra, University of

Chicago Press, 1984.

Traduzione Italiana di Paola Rinaudo: Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà

tecnologica, Torino, Einaudi, 1990.

Traduzione Francese di Jean Greisch: Le Principe Responsabilité. Essai d’une éthique pour la

civilization technologique, Parigi, Cerf, 1990.

• On the Power or Impotence of Subjectivity, in: Stuart F. Spicker e H. Tristam Engelhard, a

cura di, Philosophical Dimensions of the Neuro-Medical Sciences, Philosophy and Medicine 2,

Dordrecht-Boston, D. Reidel Publishing Company, 1976.

Traduzione in lingua Tedesca a cura dell’autore: Macht oder Ohnmacht der Subjektivität? Das

Leib-Seele-Problem im Vorfeld des Prinzips Verantwortung, Francoforte sul Meno, Suhrkamp

Verlag, 1981 [II ed. 1987].

Traduzione Italiana di Paolo Becchi: Potenza o impotenza della soggettività? Il problema anima-

corpo quale preambolo al Principio Responsabilità, Milano, Edizioni Medusa, 2006.

Traduzione Francese di Christian Arnsperger: Puissance ou impuissance de la subjectivité? Le

problème psycho-physique aux avant-postes du Principe Responsabilité, Parigi, Cerf, 2000.

• Philosophical Essays: From ancient Creed to Technological Man, Chicago Englewood

Cliffs, Prentice-Hall, I edizione 1974. Seconda edizione: Chicago-Londra, University of Chicago

Press, nel 1980.

Page 12: Laura Ragonesi* Hans Jonas (1903-1993): una voce filosofica …sci/Hans Jonas... · 2015-03-28 · Il Filosofo Hans Jonas (1903-1993), descrivendo le conseguenze del dominio dell’uomo

XI

Traduzione Italiana di Giovanna Bettini: Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici,

Bologna, Il Mulino, 1991.

Traduzione Francese di Jean Greisch: Essais philosophiques de l’ancienne foi à l’homme

téchnologique, Parigi, Le Cerf, 2005.

Esclusi due saggi inediti, The Gnostic Syndrom: Typology of its Thought, Imagination, and Mood e

Biological Engineering-A Preview, e un poscritto2 del 1970 dal titolo Against the Stream:

Comments on the Definition and Redefinition of Death, anche quest’opera contiene saggi editi in

date diverse che vengono di seguito elencati in ordine cronologico e indicando prima il titolo

originale e poi le eventuali traduzioni:

1. Philosophical Meditations on the Seventh Chapter of Paul’s Epistle to the Romans,

in: James M. Robinson, a cura di, The Future of our Religious Past: Essays in Honor of

Rudolf Bultmann, New York, Harper & Row, 1971; già pubblicato in Tedesco con il

titolo Zeit und Geschichte. Dankesgehabe an Rudolf Bultmann zum 80, Tübingen, Mohr

Siebeck, 1964.

2. The Hymn of the Pearl: Case Study of a Symbol, and the Claims for a Jewish Origin

of Gnosticism, già pubblicato con il titolo Response to G. Quispel “Gnosticism and the

New Testament”, in: J. Philip Hyatt, a cura di, The Bible in Modern Scholarship,

Nashville, Abingdon Press, 1965.

3. Spinoza and the Theory of Organism, in «Journal of History of Philosophy», III,

1965 e in: The Philosophy of the Body, op.cit..

4. Jewish and Christian Elements in the Western Tradition, in: «Commentary», 44,

1967.

5. Contemporary Problems in Ethics from a Jewish Perspective, in: «Central

Conference of American Rabbis Journal», 1968 .

6. Biological Foundation of Individuality, in: «International Philosophical Quarterly»,

8, 1968.

7. Myth and Mysticism. A Study of Objectification and Interiorization in Religious

Thought, in: «The Journal of Religion», 49, 1969.

8. Origen’s Metaphysics of Free Will, Fall and Redemption. A Divine Comedy of the

Universe, in: «Journal of Universalist Historical Society», 8, 1969-1970.

2 Si tratta del poscritto al saggio Philosophical Reflections on Experiments with Human Subjects, si veda il punto 11

dell’elenco seguente.

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XII

9. Beginnings and Wanderings: A Retrospective View, in Social Research, 38, 1971,

una versione ampliata è stata ripubblicata in lingua Tedesca con il titolo Wandel und

Bestand. Vom Grunde der Verstehbarkeit des Geschichtlichen, in: Vittorio Klostermann,

a cura di, Durchblicke. Martin Heidegger zum 80. Geburtstag, Francoforte sul Meno,

Vittorio Klostermann Verlag, Geistes-wissenschaftliche Reihe, 1970.

10. Socio-economic Knowledge and Critic of Goal, in Robert L. Heilbroner, a cura di,

Economic Means and Social Ends. Essays in Political Economics, Englewood Cliffs,

Prentice-Hall, 1969.

11. Philosophical Reflections on Experiments with Human Subjects, in: «Daedalus», 98,

1969.

12. The Soul in Gnosticism and Plotinus, saggio presentato al Convegno internazionale

sul Neoplatonismo tenuto a Royaumont nel giugno 1969 e pubblicato in: Le

Néoplatonisme, Parigi, Centre National de la Recherche Scientifique, 1971.

13. The Scientific and Technological Revolutions, in: «Philosophy Today», 15,1971.

14. Sight and Thought: A Review of Visual Thinking, in: «Journal of Aesthetics and Art

Criticism», 1971.

15. Technology and Responsibility. Reflections on the New Tasks of Ethics, in «Social

Research», XL, 1973, già pubblicato in: James M. Robinson, a cura di, Religion and the

Humanizing of Man, Waterloo, Ontario, Council on the Study of Religion, 1972.

Traduzione Tedesca: Die Natur auf der moralischen Bühne: Überlegungen zur Ethik im

technologischen Zeitalter, in: «Evangelische Kommentare: Monatsschrift zum

Zeitgeschehen in Kirche und Gesellschaft», 6, 1973, pp. 73-77.

• The Concept of God after Auschwitz, in: A.H. Friedlander, a cura di, Out of the Whirlwind,

New York, Union of American Hebrew Congregations, 1968. Ripubblicato in: On Faith, Reason

and Responsibility: Six Essays, San Francisco, Harper & Row, 1978.

Traduzione Tedesca di Hans Jonas: Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine jüdische Stimme,

apparsa per la prima volta in: Otfried Hofius, a cura di, Reflexionen finsterer Zeit. Zwei Vorträge

von Fritz Stern und Hans Jonas, Tübingen, J.C.B. Mohr, 1984 e ripubblicato dall’autore presso la

casa editrice Suhrkamp Verlag, Francoforte sul Meno, 1987 e in: Philosophische Untersuchungen

und metaphysische Vermutungen, Insel Verlag, Francoforte sul Meno, 1992.

Traduzione Francese di Philippe Ivernel: Le concept de Dieu après Auschwitz. A Jewish Voice,

Parigi, Rivages Poche, 1994.

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XIII

Traduzione Italiana di Carlo Angelino: Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica,

Genova, Il Melangolo, 1989.

• The Phenomenon of Life. Toward a Philosophical Biology, New York, Harper & Row, I

edizione, 1966. Edizioni successive: II edizione New York, Dell Publishing Co., 1968; III edizione

Westport, Greenwead Press, 1979, Chicago-Londra, University of Chicago Press, 1982.

Traduzione dell’autore in lingua Tedesca: Organismus und Freiheit. Ansätze zu einer

philosophischen Biologie, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1973. La versione Tedesca è stata

ripubblicata presso la casa editrice Insel Verlag con il titolo Das Prinzip Leben. Ansätze zu einer

philosophischen Biologie, Francoforte sul Meno - Lipsia, 1994.

Traduzione Italiana di Anna Patrucco Becchi: Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica,

Torino, Einaudi, 1999.

Traduzione Francese di Danielle Lories: Le phénomène de la vie. Vers une biologie philosophique,

Bruxelles, De Boeck Université, 2000.

Anche quest’opera raccoglie saggi comparsi in date diverse, che vengono di seguito elencati in

ordine cronologico e indicando prima il titolo originale e poi le eventuali traduzioni:

1. Causality and Perception, in: «The Journal of Philosophy», XLVII, 1950.

2. Materialism and the Theory of Organism, in: «University of Toronto Quarterly»,

XXI, 1951 .

3. Is God a Mathematician? The Meaning of Metabolism, in: «Measure», II, 1951.

Tradotto in Tedesco dall’autore con il Titolo Ist Gott ein Mathematiker? Vom Sinn des

Stoffwechsels. Tradotto in Italiano da Anna Patrucco Becchi: Dio è un matematico? sul

senso del metabolismo, Genova, Il Melangolo, 1995.

4. Gnosticism, Existentialism, and Nihilism, già pubblicato con il titolo Gnosticism and

Modern Nihilism, in «Social Research», XIX, 1952 e apparso in Tedesco in: Hans Jonas,

Zwischen Nichts und Ewigkeit. Zur Lehre vom Menschen, Göttingen, Vandenhoeck &

Ruprecht, 1963.

5. To move and to Feel, già pubblicato con il titolo Motility and Emotion, in:

Proceedings of the XIth International Congress of Philosophy, Bruxelles, 1953, vol. VII.

6. Cybernetics and Purpose: A Critique, già apparso con il titolo A Critic of

Cybernetics, in: «Social Research», XX, 1953.

7. The Nobility of Sight: A Study in the Phenomenology of the Senses, in: «Philosophy

and Phenomenological Research», XIV, 1953-1954 e in: S.F. Spicker, a cura di, The

Philosophy of the Body, Chicago, Quadrangle Books, 1970.

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XIV

8. The Practical Uses of Theory, in: «Social Research», XXVI, 1959 e in: M. Natanson,

a cura di, Philosophy of the Social Sciences, New York, Free Press, 1963 [cap. X].

9. Image-making and the Freedom of Man, già pubblicato con il titolo Homo Pictor und

die Differentia des Menschen, in: «Zeitschrift für die philosophische Forschung», XV,

1961 e in: Hans Jonas, Zwischen Nichts und Ewigkeit., op. cit.; in Inglese con il titolo

Homo Pictor and the Differentia of Man, in: «Social Research», XXIX, 1962.

10. Immortality and the Modern Temper, in: «Harvard Theological Review», LV, 1962,

apparso in Tedesco in: Hans Jonas, Zwischen Nichts und Ewigkeit. Zur Lehre vom

Menschen, op. cit.

11. Life, Death and the Body in the Theory of Being, in: «Review of Metaphysics», XIX,

1965 e in lingua Tedesca in: Das Problem des Lebens und des Leibes in der Lehre vom

Sein, in: «Zeitschrift für philosophische Forschung», XIX, 1965.

L’edizione originale inglese contiene anche un saggio non presente nell’edizione italiana:

Heidegger and Theology, in: «The Review of Metaphysics», 18, 1964. L’edizione italiana contiene,

invece, due saggi non presenti nell’edizione originale inglese: Bemerkungen zum Systembegriff und

seiner Anwendung auf Lebendiges, in: «Studium Generale», X, 1957 e Spinoza and the Theory of

Organism, in «Journal of History of Philosophy», III, 1965 e in: The Philosophy of the Body, op.

cit..

L’edizione critica delle opere di Hans Jonas in Germania

Il centro di ricerca di Berlino dedicato ad Hans Jonas3 sta lavorando all’edizione critica delle

opere del Filosofo in collaborazione con l’Istituto di Filosofia della Libera Università di Berlino.

Promotori di tale edizione furono la moglie di Hans Jonas, recentemente scomparsa,

Eleonore Weiner, il Presidente della Repubblica Federale Dottor Johannes Rau (1999-2004),

anch’egli recentemente scomparso, il Dottor Hildegard Hamm-Brücher -Ministro degli Affari Esteri

(1976-1982), il Vescovo Wolfgang Huber -Presidente della Chiesa Evangelica Tedesca-, il

Presidente della Conferenza Episcopale Dottor Karl Kardinal Lehmann, il Presidente del Consiglio

Centrale degli Ebrei Dottor Paul Spiegel, anch’egli recentemente scomparso.

Curatori del progetto sono il Presidente dell’Hans Jonas Zentrum, Professor Dietrich Böhler,

insieme al Professor Walther Zimmerli e al Dottor Horst Gronke.

3 Hans Jonas Zentrum, il cui sito web è http://www.hans-jonas-zentrum.de . Si specifica come non sia chiaro se si tratti

dell’edizione di un’ Opera Omnia.

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XV

L’edizione critica delle opere di Hans Jonas ha come obiettivo quello di aggiungere ai

volumi pubblicati in Germania commenti, introduzioni e materiali di contesto, quali indici analitici

e dei nomi, glossari dei termini in lingua straniera e bibliografie di e su Hans Jonas.

Le opere di Hans Jonas pubblicate in Germania, infatti, mancano quasi completamente di

strumenti di questo tipo, come conseguenza del divario che si è venuto a creare tra il Filosofo e il

suo Paese natale da quando egli decise di lasciare la Germania, nel 1933, e di non pubblicare più

presso case editrici tedesche, date le condizioni di politica interna e di diritti umani di quel tempo.

I lavori sono iniziati nel Novembre 2005 e si concluderanno nell’Ottobre 2010. Il progetto è

finanziato, oltre che da imprenditori e mecenati, dalla Fondazione per l’Arte del Land Nord Reno

Vestfalia e da altre Fondazioni e Organizzazioni pubbliche e private tedesche.

L’edizione terrà conto del carattere profondamente interdisciplinare delle opere di Hans

Jonas e del complesso sviluppo della sua Filosofia -articolata, come descritto nel Secondo Capitolo

di questa trattazione, in tre fasi tutt’altro che nettamente distinte- e sarà suddivisa in otto tomi.

Le opere del Filosofo verranno corredate da materiali inediti quali discorsi, lettere,

manoscritti e video -custoditi oggi presso l’archivio dell’Università di Costanza e presso archivi

privati- e saranno suddivise in quattro sezioni:

I. Introduzione alle principali opere filosofiche di Hans Jonas.

Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica4.

Tecnica, Medicina ed Etica. Prassi del Principio Responsabilità.

Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Descrizione della genesi dell’opera

e commento.

II. Lezioni del Filosofo concernenti la ricerca nel campo della Gnosi.

Riflessioni sulla rivoluzione scientifica e ontologica.

Riflessioni su Vita e Organismo.

III. Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici

Il problema del libero Arbitrio in Sant’Agostino.

Ipotesi filosofiche.

Hans Jonas: Filosofo del Ventesimo secolo con compiti del Ventunesimo secolo.

IV. Lettere e discorsi di Hans Jonas.

4 Si indicano in corsivo le sezioni che corrispondono ad una specifica opera unitaria recante il medesimo titolo.

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1

Capitolo Primo

Hans Jonas: una vita tra Filosofia, azione ed entusiasmo per il mondo

Hans Jonas “…possedeva un candore […] che gli permetteva di osservare le cose con

un’ottica nuova, come prima nessuno le aveva mai osservate. [..] Esaminava il mondo con occhi

nuovi, stupiti ed era entusiasta allo stesso modo del coraggioso tentativo di camminare di suo

nipote di un anno e mezzo, così come del grandioso tramonto nel nostro giardino…1”. Con queste

parole Lore Jonas descrive suo marito nella prefazione di Erinnerungen, libro che racconta la vita

del Filosofo scomparso attraverso i suoi stessi ricordi, raccolti dalla studiosa Rachel Salamander2,

curatrice dell’edizione, in 33 nastri registrati nell’arco di tre anni, dal 1989 al 1992, quando gli

“Jonasse” -come li chiamavano affettuosamente gli amici- tornavano in Germania per le vacanze

estive.

1 “Er besaß, […] eine Naivität, die es ihm erlaubte, die Dinge neu anzusehen, so als hätte sie nie jemand zuvor

betrachtet. […] Er betrachtete die Welt mit neuen, erstaunten Augen und war von dem tapferen Gehversuch seines

anderthalbjährigen Enkels ebenso begeistert wie von dem großartigen Sonnenuntergang bei uns im Garten …“.

Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, a cura di Rachel Salamander e Christian Wiese, Francoforte sul Meno e

Lipsia, Insel Verlag, 2003, I edizione, p. 7.

2 Rachel Salamander è nata nel 1949 nel “Displaced Persons Camp“ di Deggendorf (Germania), da genitori ebrei di

cittadinanza polacca. Scrittrice e pubblicista, ha studiato Filosofia, Germanistica e Storia Medievale. Nel 1982 ha

fondato a Monaco la sua «Literaturhandlung», che ha oggi molte filiali, una anche a Berlino: si tratta di una libreria

specializzata in letteratura e cultura ebraica, che promuove e organizza eventi culturali ed è diventata un punto di

incontro per emigranti di religione ebraica. Ha ricevuto il premio “Ernst Hoferichter” nel 1986 e il “Premio per la

Cultura della Città di Monaco” nel 1990. Tra le sue pubblicazioni più importanti, oltre ad Erinnerungen, sono da

annoverare anche Jewish World of Yesterday 1860-1938, New York, Rizzoli International Publications, 1991 e Ein

Leben auf neu. Das Robinson-Album. DP-Lager: Juden auf deutschem Boden 1945-1948, Vienna, Christian

Brandstätter Verlag, 2000, volume scritto a quattro mani insieme a Jaqueline Giere. Oggi, oltre a scrivere moltissimi

articoli e saggi, cura la pubblicazione di «Literarische Welt», supplemento settimanale al quotidiano «Die Welt».

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2

Nel medesimo volume Christian Wiese3 definisce il Filosofo come un uomo pieno di

umorismo, di sensibilità e di amore per l’umanità4. Nonostante una vita travagliata, vissuta tra gli

orrori del Nazismo e della guerra, la costrizione all’esilio e l’insoddisfazione nei confronti del

panorama politico-filosofico tedesco, Hans Jonas stesso affermava di non aver mai concepito il

mondo come un luogo nemico: “Devo cercare a lungo dentro me stesso per trovare un elemento

tragico nella mia vita così come nel mio rapporto con il mondo, se lascio da parte la perdita di mia

madre e tutto ciò che dell’Olocausto ogni Ebreo porta con sé. Ma il mondo per me, nonostante le

cose terribili che vi sono accadute, non è mai stato un luogo nemico5.”.

Queste parole non sono solo la linea guida dei ricordi che vengono raccontati in

Erinnerungen, ma anche il filo conduttore del pensiero di Hans Jonas. La sua filosofia, infatti, segue

un percorso strettamente collegato sia alle sue esperienze personali ed alle figure di intellettuali che

lo hanno accompagnato nel corso della vita, sia agli eventi storici che l’hanno profondamente

influenzato. Per questo motivo è appassionante seguirne i ricordi, oltre che molto interessante sul

piano delle nostre conoscenze, poiché si riesce a tracciare una biografia di Hans Jonas con l’aiuto

del suo racconto, preso -come già detto- dal vivo.

Giovinezza a Mönchengladbach

Il primo evento storico che segnò la vita di Hans Jonas fu il primo conflitto mondiale. Il

Filosofo, nato il 10 Maggio del 1903 a Mönchengladbach6, aveva allora undici anni ed era sempre

vissuto nella tranquillità di un Paese, la Germania, che da decenni ormai aveva conosciuto solo la

pace.

Nell’estate 1914 la famiglia Jonas non si recò, come tutte le estati, a trascorrere le vacanze

sulle coste del Mar del Nord, ma rimase a casa avendo appreso la notizia dell’inizio della guerra. Le

3 Christian Wiese, nato nel 1961, è assistente alla cattedra di giudaistica presso l’Università di Erfurt (Germania).

Studioso di filosofia ebraica e storia dell’ebraismo moderno, le sue più importanti pubblicazioni sono Wissenschaft des

Judentums und protestantische Theologie im wilhelminischen Deutschland, Tübingen, Mohr Siebeck Verlag, 1999 e

Hans Jonas. Zusammen Philosoph und Jude, Francoforte sul Meno, Jüdischer Verlag, 2003.

4 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., pp. 188-189.

5 “Ich muss bei mir sehr suchen, um ein tragisches Element in meinem Leben wie in meinem Verhältnis zur Welt zu

finden, wenn ich von dem Verlust meiner Mutter und dem absehe, was jeder Jude mit dem Holocaust mit sich

herumträgt. Aber die Welt ist für mich, obwohl auf ihr natürlich furchtbare Dinge geschehen, niemals ein feindlicher

Ort gewesen“. Citazione tratta da: Hans Jonas, ibidem, p. 181.

6 Mönchengladbach è una città tedesca situata nel Land Nord Reno-Vestfalia, tra Düsseldorf e il confine olandese.

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3

speranze nel futuro crollarono ben presto e le risorse economiche, soprattutto quelle alimentari,

divennero sempre più scarse.

In tale panorama Hans Jonas si rifugiò nella lettura, che tuttavia non costituiva il suo unico

interesse. In quegli anni, infatti, egli prese lezioni di disegno da un pittore di Mönchengladbach, una

volta alla settimana, e lo fece fino alla fine della guerra.

I genitori, Gustav Jonas e Rosa Horowitz, erano due figure antitetiche sia dal punto di vista

caratteriale che fisico.

Il padre, un commerciante tessile, molto impegnato nel suo lavoro, membro autorevole della

Comunità ebraica di Mönchengladbach, era un uomo robusto, anche se non molto alto. Poco

abituato a mostrare i suoi sentimenti, egli era il simbolo dell’autorità in famiglia, ma i suoi frequenti

accessi d’ira lo facevano star male e mostravano la sua intima fragilità.

La madre aveva un bel profilo del volto, nonostante il naso marcato, e la sua figura era esile.

Si dimostrava molto dolce nei suoi rapporti interpersonali, non riusciva però ad essere felice; era

sempre angosciata dalla povertà e dalla malasorte altrui e sentiva sempre il bisogno di aiutare il

prossimo, anche economicamente, tanto che il marito era spesso costretto a mettere un freno alla

sua generosità.

La morte del figlio Ludwig, allora quattordicenne, nel 1916, a causa di una grave malattia

articolare, la fece cadere in depressione per un anno intero. Hans Jonas aveva allora tredici anni e

non sentì la mancanza della madre, così tanto come il fratellino minore Georg, più piccolo di Hans

di tre anni. Quando poi la madre riuscì a lasciarsi il dolore della perdita alle spalle, tra lei ed il figlio

Hans ebbe inizio un rapporto bellissimo che sarebbe durato tutta la vita.

Anche a proposito della guerra i due genitori avevano atteggiamenti diversi: il padre,

ottimista, si era lasciato coinvolgere dall’entusiasmo per una vittoria che avrebbe portato ricchezza

e serenità; mentre la madre aveva sofferto sin dal primo giorno per tutti gli orrori che la guerra

avrebbe portato con sé.

L’ottimismo di Gustav Jonas era dovuto probabilmente al fatto che la comunità ebraica di

Mönchengladbach si era integrata abbastanza bene7 nella vita sociale della cittadina: i bambini

potevano frequentare sia la scuola ebraica che la scuola pubblica tedesca e stringere amicizie e

legami con i bimbi cristiani, anche se la stessa cosa spesso non valeva per i loro genitori. Bisogna

aggiungere, inoltre, che durante la prima guerra mondiale molti Ebrei parteciparono attivamente al

conflitto e si distinsero nell’esercito tedesco.

7 A tal proposito si veda Juden in Mönchengladbach, Günther Erckens, Città di Mönchengladbach, Mönchengladbach,

1988.

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4

Le visioni della vita socio-politica della Germania del tempo erano, internamente alla

famiglia Jonas, molto differenti. Per esempio, quando Hans Jonas apprese la notizia dell’assassinio,

avvenuto nel 1922, del Ministro degli Esteri tedesco di origini ebraiche, Walter Rathenau, si trovava

a Berlino e scrisse immediatamente una lettera piena di indignazione al padre, Gustav Jonas. Questi,

con molto ottimismo o forse troppa superficialità, gli rispose che non avrebbe dovuto dimenticare

che la classe operaia tedesca aveva indetto uno sciopero per manifestare contro questa

dimostrazione di antisemitismo e che, quindi, quella era la posizione dei Tedeschi e la situazione

non era così grave come Hans la percepiva. Purtroppo si sbagliava8.

Dopo la fine del conflitto Hans Jonas iniziò, con grande dispiacere di suo padre, ad

avvicinarsi al sionismo9. Nessun membro del ramo paterno della famiglia era sionista, ad eccezione

di un cugino di Lechenich10, con il quale però non vi erano contatti frequenti. La personalità che

spinse Hans Jonas ad approfondire la conoscenza delle tradizioni ebraiche fu Jonas Benjamin Jonas,

zio di suo padre, un uomo molto credente che aveva fatto dell’ebraismo la sua ragione di vita e che,

nel 1921, al momento della partenza del nipote per Friburgo, dove avrebbe frequentato il suo primo

semestre universitario, lo salutò con le parole: “Rimani un buon Ebreo11”.

Pur essendo molto legata alla tradizione ebraica, la famiglia Jonas non si atteneva

strettamente ai dettami ortodossi. Nonostante il padre provenisse da una famiglia strettamente

osservante e la madre fosse figlia del rabbino di Krefeld12, Jakob Horowitz, Hans Jonas non

8 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 60. 9 Il movimento sionista nacque verso la fine del XIX secolo tra la popolazione ebraica dell’Impero austro-ungarico con

l’obiettivo di fondare uno Stato ebraico in Palestina. Il fondatore di tale movimento fu Theodor Herzl (1860-1904),

giornalista austriaco di origine ebraica, egli organizzò il primo Congresso sionista in Svizzera e pubblicò nel 1896 Der

Judenstaat. Versuch einer modernen Lösung der Judenfrage. Tale volume, che Hans Jonas lesse tra il 1918 e il 1921,

era caratterizzato da un punto di vista secolare e non religioso e considerava la tradizione ebraica come la tradizione

nazionale che doveva essere tramandata, poiché ogni buon Ebreo doveva conoscerla così come ogni buon Tedesco

conosceva il Nibelungenlied. Già durante i secoli precedenti si erano verificati casi di Ebrei europei che emigravano in

Palestina, in particolare a Gerusalemme. In quei territori era sempre esistita una minoranza ebraica, ma la maggior parte

della popolazione era araba e musulmana. I sionisti non vedevano in ciò un problema, poiché sostenevano che la

popolazione araba non solo si sarebbe integrata nel nuovo Stato, ma avrebbe anche tratto beneficio dalla nuova

situazione. Le prime proteste da parte degli arabi ebbero luogo intorno alla fine del XIX secolo, ma i primi veri scontri

si verificarono solo negli anni 1920 per sfociare nella dichiarazione d’indipendenza da parte di Israele nel 1948, anno in

cui Hans Jonas decise di lasciare Gerusalemme e prendere definitivamente le distanze dal sionismo. Da: Enciclopedia

UTET, Torino, Editrice Torinese, 1985, vol. XVII, p. 340. 10 Paesino tedesco che si trova nelle vicinanze di Erftstadt, nel Land Nord Reno-Vestfalia.

11 “Bleibe ein guter Jude!”. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 65.

12 Krefeld si trova nel Land del Nord Reno-Vestfalia, non lontano da Düsseldorf.

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5

conobbe mai tutte le regole della tradizione ebraica e vedeva spesso il padre recarsi in fabbrica di

Sabato13.

Le letture giovanili del Filosofo si orientarono in una prima fase verso la filosofia indiana e

la storia delle religioni; in seguito, queste prime ricerche lo spinsero ad interessarsi al volume Also

sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche e a scoprire, in un contesto storico, le parole dei profeti

di Israele.

Frutto di questa primissima fase di ricerca fu un manoscritto di sessanta pagine sull’etica dei

profeti, che è andato perduto nel 1933, durante il trasferimento del Filosofo a Londra, e che era stato

scritto “…con l’entusiasmo e l’immaturità di un diciassettenne, tuttavia con ambizioni di

scientificità…14”.

Gli anni tra la rivoluzione del Novembre 191815 e il conseguimento del diploma di maturità

nel 1921 furono decisivi. Durante lo studio sempre più approfondito della tradizione dei profeti,

13 In casa Jonas si osservava però il Kaschrut, la dieta ebraica: non si mangiava carne di maiale e si comprava la carne

solo in macellerie gestite da Ebrei. La regola di non mangiare durante lo stesso pasto carne e derivati del latte non

veniva sempre osservata, vi erano però due servizi di posate differenti, uno per i piatti di carne e uno per i piatti che

contenevano derivati del latte. Il primo veniva quindi definito “fleischig” e il secondo “milchig”, che in italiano

suonerebbero come “per la carne” e “per il latte”; laddove gli Ebrei ortodossi li definiscono “Fleischding” e

“Milchding”, termini molto più jiddish, ma, in casa di Gustav Jonas non si parlava così, bensì in un Tedesco perfetto e

non influenzato da dialetti. Cfr. Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 38. 14 ”…mit der Begeisterung und Unreife eines Siebzehnjährigen geschrieben, allerdings mit wissenschaftlichen

Ambitionen…“. Citazione tratta da: Hans Jonas, ibidem, p. 66. 15 Tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, la Germania fu scossa da un’ondata di rivolte. Quando era ormai chiaro che il

Paese sarebbe uscito sconfitto dalla seconda guerra mondiale, il principe Maximilian von Baden chiese il cessate il

fuoco al presidente americano Woodrow Wilson. La nazione si trovava in uno stato di caos totale e la ribellione esplose

quando, il 29 ottobre 1918, il comando militare -che ormai di fatto governava il Paese- ordinò alla Flotta d’alto mare

una sortita che rischiava di mandare in fumo i negoziati di pace. Gli equipaggi di due navi ormeggiate a

Wilhelmshaven, città della Bassa Sassonia, si ammutinarono in segno di protesta. I militari arrestarono 1000 marinai e li

fecero trasportare a Kiel, cittadina del Land Schleswig Holstein situata vicino ad Amburgo, ove nei primi giorni del

novembre 1918 i marinai insorsero. Tale rivolta fornì il casus belli che fece scaturire dalla crisi politica e sociale

un’ondata di agitazioni che dilagò in tutto il Paese. In diverse città tedesche si giunse alla costituzione di “consigli di

operai e di soldati” che si rifacevano all’esperienza dei soviet della Rivoluzione Russa del 1917 e, in alcuni casi,

riuscirono anche a giungere al potere. Il 7 novembre la rivoluzione giunse a Monaco di Baviera provocando la fuga del

re Ludwig III e l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II. Il 9 novembre 1918 venne proclamata la Repubblica, in seguito

denominata di Weimar, dal nome della città in cui si riunì nel febbraio dell’anno successivo l’Assemblea che avrebbe

promulgato la Costituzione. Il nuovo governo venne confermato dal Consiglio degli operai e dei soldati di Berlino, ma

non dal neonato movimento spartachista, ala sinistra del Partito Indipendente dei Socialdemocratici Tedeschi (USPD-

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Hans Jonas si imbatté, così egli afferma, in Drei Reden über das Judentum di Martin Buber16 che

gli aprì la strada del sionismo.

Naturalmente non furono solo tali letture ad avvicinare Hans Jonas a quel movimento, ma

anche -come afferma egli stesso- la sua rafforzata coscienza ebraica17, gli avvenimenti politici della

Germania del tempo e il sempre più diffuso antisemitismo ad essi collegato, insieme alla

consapevolezza di conoscere bene la cultura tedesca ma di non sentirsene completamente parte.

Una cosa però gli fu subito chiara: aderire al sionismo avrebbe significato per lui credere e

partecipare alla “questione ebraica” die zionistische Sache18, ma non abbracciare le motivazioni

religiose che la ispiravano; ciò che lo attraeva era il tentativo di realizzare politicamente l’ideale

sionista, das zionistische Ideal19.

La realizzazione dell’ideale sionista coincideva con la fondazione di un Stato ebraico. Hans

Jonas si avvicinò al sionismo con l’intenzione di perseguire un obiettivo politico concreto, quello

appunto di creare uno Judenstaat20 che avrebbe tramandato le tradizioni del popolo ebraico. Il

Filosofo si sarebbe allontanato da tale movimento quando questo sarebbe giunto ad un’inevitabile

conflitto con la popolazione araba.

Il movimento sionista, inoltre, come inteso da Theodor Herzl21, non sosteneva che la

religione fosse parte integrante dell’essere ebreo, si fermava alla questione politica e non affrontava

quella religiosa. Lo scontro tra Hans Jonas e suo padre nasceva proprio da tale caratteristica

dell’ebraismo, che Gustav Jonas rifiutava categoricamente. Egli tuttavia decise di non rovinare il

Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deuschtlands), guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Nel gennaio

1919 l’opposizione al governo di tale partito, che a breve si sarebbe denominato Partito dei Comunisti Tedeschi (KPD-

Kommunistische Partei Deutschlands) sfociò nella rivoluzione spartachista di Berlino.

16 Riguardo all’influenza del Filosofo Martin Buber (Vienna 1878-Gerusalemme 1965) si veda il saggio Martin Buber

und der deutsche Zionismus, in: «Kairos» 34/35 (1992/93), pp. 192-217. 17 Cfr.: “Am Anfang stand mein gestärktes jüdisches Bewusstsein, […] dazu kam der durch die Zeitereignisse

geschärfte politische Sinn, und drittens wurde ich von der Virulenz des Antisemitismus geprägt […]. Kurz und gut, bei

mir entwickelte sich ein jüdisches Nationalbewusstsein, wonach wir nicht einfach deutsche Staatsbürger jüdischen

Glaubens, sondern eine Volksgruppe waren, die es zwar an Kenntnis deutscher Kultur mit allen anderen aufnehmen

konnte […], die aber dennoch nicht wirklich dazugehörten. Dieses Gefühl der Differenz im Zusammenwirken mit Stolz

und der Vorstellung, dass die bisherige Argumentationsweise der Emanzipations- und Assimilationsbewegung versagt

hatte, brachte mich zum Zionismus.“ Cit.: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 70. 18 Citazione da: Hans Jonas, ibidem, p. 72.

19 Idem.

20 Ibidem, p.74.

21 Si veda la nota n.9.

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loro rapporto e per il suo diploma di maturità gli regalò dodici piante che sarebbero state seminate

in Palestina come simbolo di riconciliazione22.

Gli studi universitari: da Friburgo a Marburgo

Già dopo il diploma, conseguito presso il Liceo classico di Mönchengladbach, Hans Jonas

aveva maturato la convinzione di volersi dedicare allo studio della Filosofia, della Storia dell’Arte e

della Teologia. Suo padre non aveva mai pensato di farlo lavorare nella fabbrica di famiglia, poiché

egli stesso aveva nutrito l’ambizione di studiare senza però averne mai avuto la possibilità per

esigenze economiche, ma poi, affermatosi con una attività ben avviata, si poté permettere di far

studiare il figlio.

La prima scelta di Hans Jonas fu Friburgo, ove rimase per un semestre. Lì frequentò le

lezioni del Filosofo Edmund Husserl23 e si dedicò allo studio della Fenomenologia da lui postulata,

teoria che dominava letteralmente il panorama filosofico del tempo e dalla quale Hans Jonas

avrebbe preso le distanze.24

Proprio a Friburgo Hans Jonas ebbe anche il modo di avvicinarsi ad un altro grande Filosofo

di quel tempo, Martin Heidegger25 che, come si vedrà, avrebbe segnato la sua vita. In quella città

Hans Jonas trascorse un solo semestre, poiché l’offerta didattica non prevedeva il giudaismo come

materia di studio.

Nell’inverno del 1921 si trasferì a Berlino, ove si iscrisse sia alla facoltà di Filosofia della

Friedrich-Wilhelms Universität di Berlino, che alla facoltà di Studi Giudaici della Hochschule für

die Wissenschaft des Judentums nella medesima città.

A Berlino egli rimase per tre semestri, frequentando soprattutto studenti Ebrei, tra i quali

egli rappresentava un’eccezione, poiché la maggior parte di loro studiava medicina, diritto o

economia; l’unico amico con il quale condivideva l’interesse per la Filosofia era in questi anni Leo

22 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 74.

23 Nel suo trattato mai dato alla stampa “Husserl und Heidegger” (Leo Baeck Institute Archives, New York, AR

2241/MS 75), Hans Jonas descriveva Husserl come una persona profondamente convinta delle sue idee, tanto da non

interessarsi o quasi ignorare totalmente quelle degli altri. Le sue lezioni, indimenticabili per Hans Jonas, erano

interessantissime anche se corrispondevano a dei veri e propri monologhi.

24 Riguardo la critica di Hans Jonas alla fenomenologia di Edmund Husserl (Prossnitz, Moravia 1859-Friburgo 1938) si

veda il Secondo Capitolo.

25 L’influenza di Martin Heidegger (Messkirch, Germania 1889-Friburgo 1976) sulla filosofia di Hans Jonas verrà

analizzata nel Secondo Capitolo.

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Strauss26. Anche quest’ultimo era convinto sostenitore del sionismo come “movimento secolare” e

non già come difesa della religione ebraica.

Un rapporto di profonda amicizia legava Hans Jonas anche a Günther Stern27, che invece si

era distaccato dalle sue origini ebraiche ritenendole incompatibili con lo studio della Filosofia.

Dopo quattro semestri di studio, nel 1923, maturò in Hans Jonas il desiderio di trasferirsi in

Palestina. A Berlino egli era entrato in contatto con il ramo tedesco dell’organizzazione Hechaluz28

che aiutava giovani ebrei a trovare lavoro presso agricoltori o fattori in Germania, come periodo di

apprendistato per poi esercitare quell’attività in Palestina.

Hans Jonas trascorse i mesi da Marzo ad Ottobre 1923, insieme ad altri Ebrei tedeschi, a

Wolfenbüttel, in una fattoria che allevava principalmente suini e bovini. Quattordici ore al giorno di

duro lavoro, al quale egli non era certo abituato, gli fecero ben presto capire che la sua mente aveva

molto più da offrire al mondo delle sue braccia29.

26 Leo Strauss (Kirchhain, Germania 1899-Annapolis, Maryland, USA 1973) fu un Filosofo della Politica, anch’egli

tedesco di origini ebraiche, emigrò in America durante la seconda guerra mondiale. Il suo cammino fu profondamente

influenzato dal clima culturale della Germania di Weimar e si concentrò sull'analisi della crisi dell'Occidente nell’epoca

moderna. Nel 1921 si laureò all'Università di Amburgo con una tesi sulla teoria della conoscenza di Jacobi. Nel 1937 si

trasferì negli Stati Uniti prima come ricercatore presso la Columbia University e poi a New York presso la Graduate

Faculty of Political and Social Science della New School for Social Research di New York. Leo Strauss non insegnò

mai in una facoltà di Filosofia, ma sempre in facoltà di Scienze Politiche, ciò spiega l’influenza delle sue dottrine

all’interno delle istituzioni governative. Negli anni trascorsi in America, durante i quali entrò in contatto con Hans Jonas

egli si definiva un “politico sionista”. Tra le sue pubblicazioni: Die Religionskritik Spinozas als Grundlage seiner

Bibelwissenschaft: Untersuchungen zu Spinozas Theologisch-politischen Traktat, Berlin, Akademie-Verlag, 1930, The

City and Man, Chicago, Rand McNally, 1964.

27 Günther Stern, conosciuto con lo pseudonimo di Günther Anders, (Breslavia, Polonia 1902-Vienna 1992) è stato uno

dei maggiori Filosofi contemporanei, strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente contro il

riarmo atomico. E’ stato uno dei pensatori che con più rigore e tenacia ha riflettuto sulla condizione dell'umanità

nell'epoca degli armamenti di distruzione di massa. La sua produzione letteraria e filosofica è vastissima, le

pubblicazioni più importanti in rapporto all’argomento trattato in questo lavoro sono: Die atomare Drohung. Radikale

Überlegungen, München, Beck Verlag, 1981 e Hiroshima ist Überall, München, Beck Verlag, 1982.

28 Alla fine del XIX secolo iniziarono a diffondersi organizzazioni che si occupavano della Hachschara (letteralmente

preparazione) formavano cioè i giovani ebrei che intendevano trasferirsi in Palestina. Essi imparavano a coltivare la

terra, a prendersi cura del bestiame nelle fattorie, vivevano insieme osservando le festività e le tradizioni ebraiche.

All’inizio tali organizzazioni sorsero in America e in Russia, solo nel 1923 nacque il ramo tedesco, Hechaluz Verband

Deutchlands. 29 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., pp. 106-107.

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Nella primavera del 1924, dopo un breve ritorno a Friburgo, Hans Jonas si trasferì a

Marburgo, per seguire l’insegnamento di Martin Heidegger, che nel frattempo aveva preso

l’incarico presso l’Ateneo di quella città, la Philipps Universität.

Martin Heidegger era circondato da studenti affezionatissimi, la maggior parte dei quali era

di religione ebraica. Per gli “Heidegger-Adoranten”, come li definisce Hans Jonas nei suoi Ricordi,

il Filosofo era diventato una sorta di Guru.

Hans Jonas iniziò ben presto a prendere le distanze da tali atteggiamenti insieme ad una sua

collega Ebrea, Hannah Arendt30, che aveva conosciuto ad un seminario sul Nuovo Testamento

tenuto dal Professore di Teologia Rudolf Bultmann. Tra i due si instaurò un bellissimo rapporto di

amicizia, spesso frainteso dagli amici e dalla famiglia di lui, dato il tempo passato insieme, gli

interessi e i segreti condivisi. Hans Jonas divenne il grande confidente di Hannah Arendt e sarebbe

stato l’unico a conoscere da lei i particolari della sua complicata relazione con Martin Heidegger31.

Dopo che Hans Jonas ebbe conseguito la laurea nel 1925, fu proprio Rudolf Bultmann a

suggerirgli di svolgere le sue ricerche di dottorando nel campo filosofico della gnosi. Così il 29

Febbraio 1928 il Filosofo discusse la sua tesi di dottorato con il titolo “Der Begriff der Gnosis” con

la guida di Rudolf Bultmann come relatore e con la correlazione di Martin Heidegger. Il lavoro

sarebbe stato pubblicato nel 1934 con il titolo Gnosis und spätantiker Geist.

30 Hannah Arendt (Hannover 1906-New York 1975) fu una teorica della politica di origini tedesche e di religione

ebraica. E’ stata spesso definita come una Filosofa, sebbene abbia sempre rifiutato questa definizione. Si laureò ad

Heidelberg con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la guida di Karl Jaspers. La tesi fu pubblicata nel

1929, ma ad Hannah Arendt fu negata l’abilitazione all’insegnamento a causa delle sue origine ebraiche. Lasciò così la

Germania per trasferirsi prima a Parigi, ove aiutò moltissimo gli esuli ebrei e poi a New York, ove fu attivista nella

comunità ebraica tedesca. Acquisì la cittadinanza americana e rimase a New York fino alla sua morte. Dopo la seconda

guerra mondiale si riconciliò con Martin Heidegger, con il quale aveva avuto una relazione travagliata e dal quale si era

allontanata nel periodo in cui egli aveva aderito al Nazismo, e testimoniò in suo favore nel processo che lo accusava

proprio di aver favorito il regime nazista. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: The Origin of Totalitarianism, New

York, Harcourt, Brace and Co., 1951; The Human Condition, Chicago, University of Chicago Press, 1958; On Violence,

New York, Harcourt, Brace and Co., 1970. 31 Nel 1926 Hannah Arendt decise di lasciare Marburgo, forse sotto le pressioni di Martin Heidegger, secondo lui infatti

una relazione a distanza aveva minori possibilità di essere scoperta. Il Filosofo si preoccupò di affidare gli studi di

Hannah Arendt al collega Karl Japers che insegnava ad Heidelberg. Lei decise di trasferirsi in quella città ma interruppe

la relazione con il Professor Heidegger e non volle comunicargli il suo nuovo indirizzo, Hans Jonas fu così mandato ad

Heidelberg per scoprirlo. La relazione così riprese, i due continuarono ad incontrarsi segretamente, a metà strada tra

Heidelberg e Marburgo, fino al 1928, quando lui decise di lasciarla. Cfr.: Heidegger’s Children. Hannah Arendt, Karl

Löwith, Hans Jonas, and Herbert Marcuse, a cura di Richard Wolin, Princeton, Princeton University Press, 2001, pp.

37-38.

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Se dal punto di vista intellettuale Martin Heidegger ha esercitato un’influenza certamente

maggiore, dal punto di vista umano fu sicuramente Rudolf Bultmann ad essere più vicino ad Hans

Jonas. Egli, infatti, nutriva dei sentimenti paterni nei suoi confronti32.

In un saggio pubblicato in occasione dell’ottantesimo compleanno del Professor Bultmann,

Hans Jonas affermava che alla gratitudine che lo aveva legato a lui da studente si aggiunse, negli

anni della maturità, un profondo sentimento di amicizia33.

Nelle pagine dell’Autobiografia Intellettuale di Hans Jonas, inoltre, si legge che le sue prime

pubblicazioni videro la luce proprio grazie all’aiuto di Rudolf Bultmann34.

Abbandono della Germania ed emigrazione

Dopo un periodo di ricerca a Parigi, presso la Sorbona, come premio per il “summa cum

laude” ottenuto nel 1928, Hans Jonas iniziò a porsi come obiettivo quello di rendersi indipendente

dalla famiglia.

Negli anni che precedettero l’ascesa al potere di Hitler egli aspirava ad un posto come

insegnante privato, ma per un Ebreo prendere l’abilitazione all’insegnamento in quel periodo era

difficile, e, inoltre, egli stava ancora lavorando alla pubblicazione di Gnosis und spätantiker Geist.

Ben presto divenne però evidente che “…nessun Ebreo […] che tenesse un po’ alla sua

dignità poteva rimanere in quel Paese…”, ossia in Germania35. Ad Hans Jonas era chiaro, già dalla

fine del 1920, molto prima che Hitler giungesse al potere, che un grave pericolo era alle porte.

32 Cfr.: Dem bösen Ende näher, Francoforte sul Meno, Suhrkamp Taschenbuch Verlag, 1993, p. 55.

33 Cfr.: «Philosophical Meditation on the Seventh Chapter of Paul’s Epistle to the Romans», in: The Future of our

Religious Past. Essays in Honour of Rudolf Bultmann, a cura di James M. Robinson, New York, Harper & Row, 1987,

p. 333.

34 Egli accolse nella sua collana di studi, come prima pubblicazione di Hans Jonas, una relazione tenuta presso

Heidegger sul libero arbitrio in Agostino, “Augustin und das paulinische Freiheitsproblem”. Quando poi l’editore

Vandenhoeck & Ruprecht di Göttingen, per una recensione negativa a quel suo primo scritto, divenne esitante ad

accordarsi per la pubblicazione della sua successiva opera sulla gnosi, fu Rudolf Bultmann che insisté minacciando di

ritrarsi dalla direzione della collana se non si fosse seguito il suo giudizio. Infine, il Professore nell’anno 1934 presentò

tale opera “con una prefazione generosa e coraggiosa che faceva risplendere in un buio momento la tempra

dell’uomo”. Cfr.: Wissenschaft als persönliches Erlebnis, Göttingen, Sammlung Vandenhoeck, Vandenhoeck &

Ruprecht, 1987, p. 49.

35“…dass in diesem Land, […], kein Jude, der etwas auf seine Ehre hielt, bleiben könne…“. Citazione tratta da: Hans

Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 130.

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Il Filosofo in quel periodo36, come affermò in un’intervista del 1990 per il giornale tedesco

«Allgemeine Jüdische Wochenzeitung», percepiva che il neonato partito nazista sarebbe prima o

poi giunto al potere, anche se non avrebbe mai pensato che sarebbe riuscito a mantenerlo. Egli

sentiva inoltre che qualcosa di brutto sarebbe avvenuto ai danni della popolazione ebraica, credeva

che gli Ebrei sarebbero stati isolati nei ghetti, costretti ai margini della società come accadeva nel

Medioevo, ma mai avrebbe immaginato che sarebbero stati sterminati37.

Hans Jonas così, non appena iniziarono a comparire le prime scritte di boicottaggio degli

esercizi gestiti da appartenenti alla religione ebraica, decise di andarsene e di recarsi in Palestina.

Gli Ebrei potevano ancora facilmente ottenere i documenti necessari all’emigrazione ed era loro

permesso portare con sé una parte, anche se non cospicua, del proprio patrimonio.

Tuttavia Hans Jonas non poté trasferirsi subito in Palestina poiché la stampa del primo

volume di Gnosis und spätantiker Geist, presso l’editore Vandenhoeck & Ruprecht di Göttingen,

non era ancora stata ultimata e, soprattutto, perché non sapeva di quali testi fosse provvista la

biblioteca di Gerusalemme. La sua prima meta fu così Londra.

Nel 1934 il Filosofo lasciò il territorio tedesco. Con queste parole egli descrive il momento

della sua partenza nei suoi Ricordi:

“Era un meraviglioso giorno di fine estate, al termine di Agosto, ed io passeggiavo nel nostro

giardino insieme ai i miei genitori. Era tutto pronto: avevo il biglietto del treno, i documenti, le

valigie erano fatte, ed era stata organizzata anche la successiva spedizione dei mobili verso la

Palestina, che sarebbe avvenuta al momento del mio trasferimento dall’Inghilterra. Camminavamo

lì, nel giardino, d’estate -per l’ultima volta insieme- e improvvisamente, come un segno,

scoppiammo tutti in terribili singhiozzi. Fino a quel momento non era stata versata una lacrima per

quello che era successo, neanche quando avevo deciso di trasferirmi, ma, allo scoccare dell’ultima

mezz’ora, negli ultimi dieci minuti, allora iniziammo tutti a piangere spaventosamente. E io feci un

giuramento, una promessa solenne: non tornare mai più se non come soldato di un esercito

conquistatore 38.“

36 Per quanto riguarda la situazione politica della Germania degli anni 1920 si veda l’Appendice al Primo Capitolo.

37 Cfr.: Hans Jonas, Dem bösen Ende näher, op.cit., p.53.

38 “Es war ein wunderschöner Spätsommertag Ende August, und meine Eltern und ich gingen in unserem Garten auf

und ab. Es war alles vorbereitet: Ich hatte das Eisenbahnbillett, die Papiere, die Koffer waren gepackt, und auch die

spätere Möbelsendung nach Palästina, die um die Zeit, zu der ich dann von England dahin reisen würde, erfolgen

sollte, war geregelt. Wir gingen dort –unser letztes Zusammensein- im Sommer durch den Garten, und plötzlich, wie auf

ein Signal, brachen wir alle in fürchterliches Schluchzen aus. Bis dahin war keine Träne über alle Geschehnisse

vergossen worden, auch nicht über den Beschluss der Auswanderung, aber als es dann soweit war und die letzte halbe

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Hans Jonas chiese più volte ai genitori di partire con lui, ma Gustav Jonas diceva di essere

troppo vecchio e malato e, anche se non fosse stato malato, non sarebbe comunque partito, sarebbe

stato troppo complicato liquidare la fabbrica e ricominciare daccapo in Palestina.

Il Filosofo vide i genitori per l’ultima volta nel 1936, quando Gustav e Rosa gli fecero visita

in Palestina e trascorsero tre settimane con lui in occasione delle festività del Pessach39.

Gustav Jonas morì di tumore nel 1938 e la moglie Rosa rimase sola in Germania, in balia di

un orribile destino.

Il fratello più piccolo, Georg, che, non riuscendo né a trovare un lavoro stabile né a crearsi

una vita serena e tranquilla al di fuori del nucleo familiare, creava molte preoccupazioni in famiglia,

durante la Notte dei Cristalli -tra il 9 e il 10 novembre 1938- venne arrestato e trasportato a Dachau.

La madre, che aveva appena terminato di preparare i suoi documenti per il proprio trasferimento in

Palestina, decise di cambiarli a nome del figlio terzogenito Georg che nel 1939 riuscì a raggiungere

la Palestina.

Hans Jonas naturalmente fece di tutto per cercare di procurare anche a sua madre i

documenti necessari per l’emigrazione, ma ormai era troppo difficile. Egli rimase in contatto con lei

tramite un cugino residente in Olanda, che riceveva le sue lettere e le rispediva con una nuova busta

e con il proprio indirizzo. Ma con l’invasione tedesca dell’Olanda anche questo contatto andò

perduto.

L’ultima notizia che Hans Jonas ebbe di sua madre era che si trovava a Lodz40, nel ghetto di

Litzmannstadt, come si chiamava allora. Hans Jonas sarebbe venuto a conoscenza dell’uccisione di

sua madre ad Auschwitz solo nel 1945, durante la sua visita a Mönchengladbach.

Nel 1935 Hans Jonas -Hänschen come lo avevano soprannominato in quel periodo a causa

del suo viso ancora da bambino- si trasferì a Gerusalemme, dove strinse un’affettuosa amicizia con

Hans Lewy e Hans Jakob Polotsky.

Stunde, die letzten zehn Minuten anbrachen, da fingen wir schrecklich an zu weinen. Und ich tat einen heimlichen

Schwur, ein Gelöbnis: Nie wiederzukehren, es sei denn als Soldat einer erobernden Armee“. Citazione tratta da: Hans

Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 132. 39 Il Pessach, cioè la Pasqua ebraica, ricorda la liberazione degli ebrei dalla schiavitù d’Egitto e cade, secondo il

calendario ebraico, nel mese di Nissan, all’inizio dell’anno religioso. E’ ritenuta una delle festività più importanti.

40 Lodz è una città polacca, situata nell’omonimo voivodato, quasi al centro geometrico della nazione. La città durante

l’occupazione nazista era stata denominata Litzmannstadt.

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Da quest’amicizia nacque un Club chiamato “PIL”, acronimo delle loro iniziali. Presto si

aggiunsero anche George Lichtheim, il Fisico Hans Sambursky e l’amico di sempre Gershom

Scholem41, così il nome venne modificato in “Pilegesch”.

Il gruppo si incontrava regolarmente e molto spesso, amavano parlare, scrivere poesie e

scambiarsi opinioni. L’argomento di discussione non mancava mai.

E’ importante ricordare che la lingua di comunicazione era sempre il Tedesco, per comodità

e poiché era la loro lingua madre. Ma tale scelta nulla aveva a che fare con la Germania, che era

considerata dal Club un Paese impazzito, il più grande nemico. Gli incontri iniziarono a diradarsi

solo quando i membri del Club iniziarono a sposarsi e a metter su famiglia, intorno alla metà degli

anni 1940.

Amore durante gli anni di guerra

Prima di lasciare la Germania Hans Jonas aveva avuto “una grande storia d’amore42”,

come la definisce egli stesso, con Gertrud Fischer, una studentessa di Stoccarda che aveva

conosciuto ad Heidelberg, dove si era recato nel 1929 per incontrare i due amici Hannah Arendt e

Günther Stern che avevano deciso di sposarsi.

Il rapporto fu molto appassionato, ma sempre offuscato dall’ombra di non poter essere liberi

-poiché Gertrud era già sposata- e forse anche dall’incertezza di lei che avrebbe infatti deciso di non

voler seguire Hans Jonas in Palestina. Non voleva lasciare la sua patria e probabilmente -come

ricorda Hans Jonas in Erinnerungen-, non essendo di religione ebraica, pensava che non si sarebbe

trovata a suo agio a Gerusalemme43.

Hans Jonas partì con il desiderio di non innamorarsi più così seriamente. Nel 1937, invece,

proprio a Gerusalemme, durante una festa a casa di una famiglia araba, incontrò quella che sarebbe

diventata sua moglie, Lore Wiener. Danzò con lei quasi tutta la notte, prima di scoprire che anche

lei era già sposata, ma solo per ottenere un permesso di soggiorno permanente.

41 L’incontro tra Hans Jonas e Gershom Scholem avvenne a Londra, intorno alla metà degli anni 1920, durante uno dei

viaggi che il Filosofo intraprese con sua madre; infatti, durante gli anni trascorsi all’Università, sia come studente che

come ricercatore, Hans Jonas fece molti viaggi in compagnia della madre, dal momento che il padre non amava molto

viaggiare.

Dopo il loro primo incontro, Gershom Scholem seguì passo passo la stesura di Gnosis und spätantiker Geist: Hans

Jonas gli spediva i capitoli appena terminati e lui rispondeva con commenti approfonditi.

42 “…eine große Liebesgeschichte…”. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 167.

43 Cfr.: Hans Jonas, ibidem, p. 180.

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Lore, come ricorda Hans Jonas, aveva sempre “…qualcosa di triste, di malinconico nei suoi

occhi. Questo faceva parte delle cose che mi attiravano, poiché mi veniva sempre in mente un viso

di donna, quello di mia madre44.”.

E’ molto bello seguire la descrizione del loro incontro, descritto da Lore in un’intervista:

“Non potevo crederci: un vero Filosofo mi aveva invitato per una danza. Ero emozionatissima,

soprattutto perché niente è più difficile che parlare di filosofia al ritmo di una musica araba…45.”

Nel 1942 lui le chiese di sposarlo e l’anno successivo, dopo che Lore ebbe ottenuto il

divorzio, i due si sposarono ad Haifa.

Nel frattempo Hitler era salito al potere e nel 1939, dopo la dichiarazione di guerra da parte

del governo britannico alla Germania, maturò in Hans Jonas la consapevolezza di dover fare

qualcosa, di non poter più star fermo a guardare.

Nacque così Unsere Teilnahme an diesem Kriege. Ein Wort an jüdische Männer, un forte

richiamo a tutto il popolo ebraico a reagire, a difendersi.

“Questa è la nostra ora, questa è la nostra guerra. […] In realtà siamo passivi in questa

guerra già da sei anni. […] Ricordiamoci una cosa: migliaia di esistenze ebree annientate,

migliaia di cuori ebrei spezzati, migliaia di Ebrei saccheggiati, tormentati, cacciati, spinti al

suicidio, caricati come muli e gettati nel nulla. […] Questo dolore vive marchiato a fuoco nelle

nostre anime e non può tacere. […] In una parola: vogliamo una legione ebraica al fronte

occidentale.46“

A questa sorta di “manifesto” seguì una riunione di persone interessate a partecipare alla

guerra a fianco degli Alleati; ma nessuna organizzazione ebraica voleva sostenere il progetto e gli

eserciti inglese e francese si mostrarono sordi all’iniziativa.

Hans Jonas riuscì tuttavia ad arruolarsi nella First Palestine Anti-Aircraft Battery, costituita

principalmente da ragazzi ebrei emigrati da Austria, Germania e Cecoslovacchia e abitanti della

Palestina, allora protettorato britannico. Solo nel 1944 Churchill diede loro la possibilità di

44 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., p. 182.

45 Citazione tratta da: Il ballo del filosofo, Francesca Sforza, «La Stampa Web», 14 Maggio 2003.

46 “Dies ist unsere Stunde, dies ist unser Krieg. […] In Wahrheit stehen wir schon seit sechs Jahren in diesem Krieg

passiv. […] Erinnern wir uns: Tausende jüdischer Existenzen vernichtet, tausende jüdischer Herzen gebrochen,

tausende jüdischer Menschen geplündert, gequält, verjagt; in den Selbstmord getrieben; wie Vieh verfrachtet und ins

Nichts gestoßen. […] Eingebrannt in unsere Seelen lebt dieser Schmerz und kann nicht schweigen. […]Mit einem

Wort: Wir wollen eine jüdische Legion an der Westfront.“. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op.cit., pp.

186-199.

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costituire un’unità militare ebraica, così venne fondata la celebre Jewish Brigade Group

dell’esercito inglese.

Hans Jonas venne così inviato a combattere nel Sud Italia, ove sarebbe rimasto fino alla fine

della guerra. I soldati della Jewish Brigade Group erano facilmente individuabili per via della stella

di David sull’uniforme, così accadeva spesso che, attraversando l’Italia durante il loro viaggio di

ritorno in Germania, gli Ebrei sopravvissuti uscissero dai loro nascondigli per salutarli e raccontare

loro le proprie vicissitudini durante la guerra.

Proprio dai loro racconti i soldati ebrei, che avevano sì combattuto, ma lontano dalle atrocità

dei campi di sterminio, riuscirono a comprendere quale fosse stata la portata degli orrori

dell’Olocausto. Venne riferito loro anche di storie commoventi, di benevolenza e di aiuto da parte

degli Italiani in quegli anni difficili, una magra consolazione allo sdegno che cresceva nei loro

cuori47.

Durante quel periodo il Filosofo scrisse moltissime lettere alla moglie Lore, distinguendole

tra Liebesbriefe e Lehrbriefe: le prime erano esclusivamente lettere d’amore per la sua donna, nelle

seconde, invece, egli iniziò a sviluppare la propria filosofia. Lontano da libri e biblioteche, il

Filosofo stava iniziando ad interrogarsi sull’essere, sul significato ontologico della vita non solo

umana, ma anche animale e vegetale.

Hans Jonas, quindi, nelle sue Lehrbriefe, non solo gettava le basi di tutta la ricerca filosofica

che avrebbe approfondito al termine della guerra, ma individuava già il nucleo centrale e il filo

conduttore della sua futura riflessione.

Il ritorno nella Germania distrutta del secondo dopoguerra

Nel luglio 1945 Hans Jonas, con la sua unità, attraversò la Germania annientata dai

bombardamenti: di fronte ai suoi occhi solo rovina, distruzione, un paesaggio quasi “lunare”,

punteggiato da crateri colmi di macerie.

In un’intervista del 1993, poco prima della sua morte, egli affermò di non sentire la

Germania come “patria”. Il concetto stesso di patria aveva infatti perso di significato per lui sin dal

47 Cfr.: «Il razzismo», in: Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica., Hans Jonas, Genova, Il Melangolo,

1989, p. 44. Si tratta del discorso pronunciato a Percoto nel 1993, in occasione del conferimento del Premio Nonino del

quale si dirà nelle pagine seguenti.

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momento della sua scelta di emigrare48. Egli proseguiva affermando di aver reagito alla

riunificazione della Germania “…con la distanza di un visitatore, naturalmente qualcosa in più,

poiché della Germania so molto di più che se si trattasse dell’Italia o della Svezia o della

Francia.49”.

Nei Ricordi il filosofo afferma che se qualcuno, nel 1945, gli avesse chiesto quale fosse il

momento più bello della sua vita, la risposta sarebbe stata: “Questo momento, la vista delle città

tedesche distrutte, che può essere considerato a ragione una punizione divina50”. Il rancore però

non rimase a lungo nel cuore del Filosofo, il lavoro, la vita, la famiglia e la filosofia non avrebbero

cancellato una ferita impossibile da dimenticare per ogni Ebreo, ma gli avrebbero regalato momenti

sicuramente più belli e grandi soddisfazioni51.

La brigata ebraica stazionò a Venlo, nel Nord Reno-Vestfalia, non molto lontano da

Mönchengladbach, ove Hans Jonas scoprì la morte di sua madre. Il ritorno nella città natale fu

terribile: la sinagoga della sua infanzia era stata rasa al suolo, la sede della comunità ebraica era

stata allestita in un prefabbricato e della fabbrica di famiglia erano rimaste solo macerie.

“Ah, Lei è Hans Jonas?” si sentì chiedere da una segretaria che aiutava le persone a

rintracciare i parenti: “Ero con lei nel ghetto di Lodz, ma nel 1942 è stata trasportata ad

Auschwitz.” La segretaria scoppiò a piangere. Tutti sapevano cosa significasse “è stata trasportata

ad Auschwitz” e così Hans Jonas venne a conoscenza della morte di sua madre52.

A Mönchengladbach tutti si comportavano come se tutto ciò non fosse mai accaduto.

Quando Hans Jonas tornò nella sua vecchia casa, il nuovo proprietario lo riconobbe, lo abbracciò e

quando il Filosofo lo informò della morte della madre, il signore incredulo rispose: “Uccisa? E chi

potrebbe averla uccisa? Non si uccide una vecchia signora. Ma no, l’hanno trasferita. Non può

essere. Ma la prego! Non può credere a tutto questo! No, lo so, si tratta di un trasferimento. E se è

morta mi dispiace terribilmente. Ma tutto quello che lei dice, di omicidi e dei forni a gas, sono

storie dell’orrore.53”

48 Cfr.: Intervista di Mischka Dammachke, Horst Gronde e Christoph Schulte, per il «Deutsche Zeitschrift für

Philosophie», in: Dem bösen Ende näher, op. cit, pp. 24-39. 49 Cit: Ibidem, p. 25.

50 Dieser Moment – der Anblick der zerstörten deutschen Städte, den man als Gerechtigkeit, als göttliches Strafgericht

betrachten kann“. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 216. 51 Cfr.: Hans Jonas, idem.

52 “Ach, Sie sind der Hans Jonas?“ […] “Ich war zusammen mit Ihrer Mutter in Lodz, aber sie ist dann 1942 nach

Auschwitz weitertransportiert worden“. Citazione tratta da: Hans Jonas, idem. 53 “Umgebracht? Wer soll sie denn umgebracht haben? Man bringt doch keine alte Dame um. Aber nein, man hat sie

umgesiedelt. Das kann doch nicht sein. Aber ich bitte Sie! Sie dürfen das doch nicht alles glauben! Nein, ich weiß, es

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Non funzionavano treni, ma se si indossava un’uniforme inglese si poteva viaggiare con le

auto degli Alleati, così Hans Jonas riuscì a raggiungere Göttingen, per conoscere il suo editore

Vandenhoeck & Ruprecht, che non aveva mai incontrato di persona.

Quando il Filosofo si trasferì da Londra a Gerusalemme, la casa editrice era pronta per la

stampa del secondo volume di Gnosis und spätantiker Geist, ed egli avrebbe dovuto spedire il suo

lavoro, capitolo per capitolo, all’editore che avrebbe provveduto alla stampa. Dopo la notte dei

cristalli, però, Hans Jonas interruppe ogni contatto con la casa editrice tedesca. Non poteva e non

voleva pubblicare più nulla in Germania.

Gran parte del suo lavoro, al quale aveva dedicato tutto se stesso, era rimasto a Göttingen.

La fine della guerra gli offriva la possibilità di riprenderselo.

Il suo editore, il signor Ruprecht era morto. Fu suo figlio -che sperava di poter continuare il

lavoro iniziato dal padre- ad accogliere Hans Jonas. Ma il Filosofo tenne subito a precisare che il

libro non sarebbe stato pubblicato da una casa editrice tedesca. Non poteva farlo nel Paese che

aveva ucciso sua madre54. La stampa però era già iniziata così Hans Jonas decise di far pubblicare il

volume nel 1954 a Göttingen ma di farlo distribuire dalla casa editrice olandese Brill.

Hans Jonas si riprese la parte di lavoro che aveva lasciato a Göttingen e andò a far visita a

Rudolf Bultmann e Karl Jaspers, ma non a Martin Heidegger, con il quale aveva interrotto i rapporti

a causa della sua adesione al Nazismo.

La Filosofia, secondo Hans Jonas, aveva il compito di educare, di difendere i valori, pertanto

l’adesione di un grande pensatore del calibro di Martin Heidegger al Nazismo non aveva

rappresentato solo una delusione di carattere personale, ma una vera e propria catastrofe per la

Filosofia che non poteva essere custodita da un animo non più puro, era come se la Filosofia avesse

rinunciato a se stessa55.

war eine Umsiedlung. Und wenn sie gestorben ist, tut mir das furchtbar leid. Aber das, was Sie da sagen, von

Umbringen und von Gasöfen, das sind doch Gräuelmärchen“. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit.

pp. 221-222. 54 Cfr. Hans Jonas, ibidem, p. 233.

55 Cfr.: Hans Jonas, Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts, Francoforte sul Meno, Insel

Verlag, 1992. E‘ stata consultata la versione italiana: La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi,

Genova, Il Melangolo, 1994, p. 42.

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Il periodo americano: da Montreal a New York

Nel 1945 il Filosofo ritornò in Palestina da sua moglie e dai suoi amici, cercando di

riprendere la sua vita privata dal momento in cui l’aveva lasciata prima di partire per la guerra.

Hans e Lore Jonas si trasferirono in una casa nel villaggio arabo Issawyje. La carriera di

Professore universitario ebbe inizio per Hans Jonas proprio a Gerusalemme presso l’Università

Ebraica. In quel periodo egli insegnava contemporaneamente anche all’English Council School of

Higher Studies, che aveva sede nella medesima città.

Tutto sembrava poter tornare alla normalità sia nella vita privata che in quella professionale,

ma vivere in una pace duratura in Palestina era quasi un’utopia. Nel 1948, infatti, lo Stato di Israele

si dichiarò indipendente e scoppiò un inevitabile conflitto con la popolazione araba. Nello stesso

anno nacque la prima figlia, Ayalah.

Hans Jonas prese, proprio allora, le distanze dal movimento sionista: egli non condivideva

infatti le modalità che quest’ultimo aveva seguito per fondare uno stato ebraico e decise di

trasferirsi con la sua famiglia in America del Nord. Contattò allora il suo amico Leo Strauss, che

viveva negli Stati Uniti, per chiedergli un aiuto.

Poco dopo Hans Jonas ricevette l’invito della Lady-Davis-Foundation56 che gli offriva per

un anno una borsa di studio di 5000 dollari di allora, con la quale poteva insegnare e fare ricerche

presso la McGill University di Montreal57. Hans Jonas si trasferì a Montreal nel 1949 e nell’anno

successivo nacque il secondo figlio, Jonathan58.

56 La fondazione nacque dopo la seconda guerra mondiale con l’obiettivo di far trasferire in Canada gli studenti e

scienziati rifugiati politici. La fondatrice, Lady Davis, era una nobildonna benefattrice molto interessata ai lavori del

Montreal Museum of Fine Arts e della McGill University. Nacque a San Francisco, ma trascorse la maggior parte della

sua vita a Parigi ove fondò una colonia per bambini poveri e fu insignita della Legion d’Onore dal governo francese per

il suo lavoro pieno di filantropismo. All’inizio della seconda guerra mondiale Lady Davis si trasferì a Montreal ove

morì nel 1963. La Lady Davis Foundation opera ancora oggi tramite il progetto Lady Davis Fellowship Trust che aiuta

ricercatori e dottorandi di qualsiasi disciplina e provenienti da tutto il mondo a studiare o insegnare presso la Hebrew

University di Gerusalemme e presso il Technion Intitute of Technology di Haifa. Maggiori informazioni sono reperibili

nel sito della fondazione, all’indirizzo: www.ldft.huji.ac.il.

57 In una lettera a Gerschom Scholem del primo Settembre 1949 -pubblicata in parte in Erinnerungen- Hans Jonas

affermava che la McGill University era un ottimo centro e un buon posto per stringere amicizie, il dipartimento di

Filosofia, inoltre, era a suo giudizio molto ben organizzato.

58 Le uniche notizie reperibili riguardo la famiglia di Hans Jonas riguardano proprio il secondogenito Jonathan. In una

lettera del 9 Febbraio 1971 indirizzata al suo editore di New York Hans Jonas scriveva che il figlio Jonathan era iscritto

alla Clark University di Worcester, Massachusetts, e che avrebbe frequentato in quell’anno un semestre presso la

American University di Waschington D.C.. Egli aveva anche vinto una borsa di studio che prevedeva un periodo di

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Date le esigenze di una famiglia che contava da allora un membro in più, Hans Jonas aveva

bisogno di trovare un lavoro più stabile e lo trovò prima al Dawson College di Montreal -che

avrebbe però chiuso i battenti alla fine dell’anno accademico- e poi al Carleton College di Ottawa.

Lì ottenne il suo primo posto come Professore universitario a tutti gli effetti: fu prima “Visiting

Professor” e poi, nel Maggio 1950, divenne “Associate Professor”.

In quel periodo fu fondamentale, per lo sviluppo della Filosofia sull’Organismo di Hans

Jonas, l’amicizia con Ludwig von Bertalanffy59, un biologo che insegnava all’Università Cattolica

di Ottawa. Il suo pensiero avrebbe influenzato la stesura dei saggi dedicati alla ricerca filosofica

applicata alla Natura, agli organismi sia animali che vegetali e all’intera biosfera che sarebbero stati

pubblicati in The Phenomenon of Life: Towards a Philosophical Biology60. Il volume sarebbe

apparso nel 1966 in Inglese e nel 1973 in Tedesco61.

La nascita di Gabrielle, la terza figlia avuta nel 1955, convinse Hans Jonas a non ritornare

più a Gerusalemme e a cercare il suo futuro negli Stati Uniti. I bambini avevano bisogno di crescere

in pace, cosa impossibile in Israele, ove egli avrebbe potuto garantire un futuro solo precario.

Nello stesso anno Hans Jonas accettò l’incarico presso la New School for Social Research,

una facoltà molto più interessante per lui del Carleton College e si trasferì quindi a New Rochelle,

venticinque chilometri da New York.

In quel periodo egli assunse anche incarichi temporanei presso la Princeton University, la

Columbia University e la University of Chicago. Proprio l’Università di Chicago nel 1963 gli

avrebbe offerto la cattedra di Filosofia. Quello fu l’unico momento in cui Hans Jonas si sentì tentato

di abbandonare l’incarico presso la New School for Social Research. Il Filosofo però aveva allora

stage presso uffici governativi, Jonathan Jonas svolse la sua attività presso l’ufficio del membro del Congresso Ogden

Reid.

59 Si veda a tal proposito il capitolo successivo.

60 The Phenomenon of Life: Towards a Philosophical Biology, New York, Harper & Row, 1966.

61 Organismus und Freiheit: Ansätze zu einer philosophischen Biologie, Göttingen, Vandenhoeck &b Ruprecht, 1973.

Recentemente il libro è stato ripubblicato con un altro titolo, Das Prinzip Leben. Ansätze zu einer philosophischen

Biologie, Francoforte sul Meno, Insel Verlag, 1994. L’editore, come ci fa notare Paolo Becchi nella sua nota

introduttiva all’edizione italiana del volume, dopo il successo di Das Prinzip Verantwortung, ha modificato il titolo

ponendo l’accento sul concetto di vita senza una giustificazione a livello di contenuti. L’idea portante del libro non è

infatti il concetto di vita, ma quello di libertà in relazione al concetto di organismo. Hans Jonas infatti affermò –in

un’intervista con Ingo Hermann nel corso di un una trasmissione televisiva sulla seconda rete tedesca (ZDF, 5 ottobre

1987)- di aver meditato a lungo sulla scelta del titolo dell’edizione tedesca, per cercarne uno che meglio di quello

inglese esprimesse il tema del libro.

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già sessanta anni e si avvicinava per lui l’età della pensione obbligatoria, i sessantacinque anni, che

poteva però essere prorogata a sessantotto grazie ad un permesso speciale.

Adolph Lowe, suo buon amico e una delle “anime” della New School for Social Research,

decise di far di tutto purché Hans Jonas rimanesse a New York; così lo propose come suo

successore, egli avrebbe potuto esercitare così la sua professione senza limiti di età. Chicago non

poteva offrire una tale opportunità e la scelta fu presto presa.

Hans Jonas insegnò presso la New School for Social Research di New York City fino al

1976, quando all’età di settantatre anni, decise di andare in pensione.

Nell’anno successivo egli avrebbe definitivamente interrotto i rapporti con l’Università di

Gerusalemme. Nel 1977 infatti si sarebbe tenuto in quella città un congresso internazionale su

Baruch Spinoza, in occasione della ricorrenza della sua morte e, poiché Hans Jonas aveva

approfondito le tematiche da lui analizzate, decise di inviare una relazione molto originale sul

problema psico-fisico nella filosofia di Spinoza. Nessuno aveva considerato il pensiero di Spinoza

da tale punto di vista, tuttavia gli venne risposto che per il suo intervento non vi era più posto.

Hans Jonas ricordava tale aneddoto con un velo di amarezza, poiché ad altri Filosofi che non

avevano mai avuto niente a che fare con l’Università di Gerusalemme fu data l’opportunità di

partecipare62.

Negli anni trascorsi a New York Hans Jonas ebbe anche modo di frequentare di nuovo

Hannah Arendt, che nel frattempo aveva divorziato da Günther Stern e con la quale fino ad allora

era rimasto in contatto solo epistolare.

Nel 1961 Hannah Arendt era stata inviata a Gerusalemme per scrivere un libro sul processo

ad Adolf Eichmann. Il frutto di quel lavoro fu Eichmann in Jerusalem, una serie di articoli

pubblicati sul New Yorker Magazine63.

62 Cfr. Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 267.

63 Nel 1961 Hannah Arendt seguì a Gerusalemme le 120 sedute del processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann

come inviata del settimanale «New Yorker». Il resoconto di tali sedute fu pubblicato dal giornale in cinque parti, da

febbraio a marzo 1963, che qualche mese dopo furono riunite nel volume Eichmann in Jerusalem. Ein Bericht von der

Banalität des Bösen, Monaco, Piper Verlag,1963. In quel libro Hannah Arendt rifletteva sulle origini del male, si

chiedeva se il male avesse una radice desiderata o meno e riconobbe in Adolf Eichmann la totale incapacità di pensare.

Il comportamento di Adolf Eichmann rifletteva la sua cieca obbedienza al potere, ma egli non era stupido o mostruoso,

era bensì un uomo normale che compiva azioni mostruose. Hannah Arendt inserì così il tema della mancanza di

riflessione nella società moderna, il nuovo male del secolo. Un accenno a questa sua tesi è contenuta già in: The Origin

of Totalitarianism, dove sosteneva che la nascita dei regimi totalitari era dovuto ad un nuovo genere di male; in seguito

affermò che quest’ultimo aveva bisogno di una nuova teoria che lo spiegasse, perché la tradizionale comprensione del

male non era più adatta alla società contemporanea.

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La lettura di quegli articoli fu per Hans Jonas un duro colpo: lo sterminio degli Ebrei era

stato sicuramente progettato dai nazisti, affermava Hannah Arendt, ma gli Ebrei avevano permesso

che ciò accadesse ed avevano quindi una parte di colpa.

Tale opinione, di cui Hannah Arendt sembrava profondamente convinta, distrusse di fatto il

suo rapporto di amicizia con Hans Jonas che non riusciva a capacitarsi di una siffatta presa di

posizione, della profonda ignoranza riguardo l’ebraismo che scaturiva da quegli articoli, ma

soprattutto del fatto che lei riuscisse a considerare il suo popolo quale complice dell’accaduto.

Hans Jonas decise di rompere definitivamente tutti i ponti con Hannah Arendt. Non avrebbe

più scambiato una parola, né un saluto con lei, nonostante abitassero a pochi chilometri di distanza e

avessero moltissimi amici e conoscenti in comune.

Dopo quasi due anni la moglie Lore lo convinse a cercare di recuperare un rapporto con

Hannah, e Hans Jonas fece un ultimo tentativo. Durante il loro incontro l’argomento fonte di

discordia venne evitato, poi con il passar del tempo, l’amicizia tornò pian piano ad essere quella di

prima, ma qualcosa nell’opinione che il Filosofo aveva di lei era cambiato per sempre64.

Tra il 1959 e il 1960 Hans Jonas trascorse un anno sabbatico con la sua famiglia a Monaco.

In quel periodo viaggiò molto in Germania e, durante un suo soggiorno a Heidelberg, un suo collega

di Marburgo gli recapitò i saluti di Martin Heidegger. La risposta di Hans Jonas fu un secco

“Grazie65”, senza ricambiare il saluto, quindi senza rispondere ad una implicita proposta di

riavvicinamento.

L’aver negato una possibile riconciliazione ad una persona che era stata così importante per

la sua vita e per il suo lavoro, tormentò Hans Jonas per lungo tempo. Poco dopo egli chiese

consiglio all’amico Rudolf Bultmann, il quale lo incoraggiò a riavvicinarsi a Martin Heidegger,

senza incolparlo della sua prima reazione. D’altronde era normale che l’adesione al Nazismo da

parte di Martin Heidegger potesse aver causato una rottura nel loro rapporto.

64 Sembra che Hans Jonas avesse iniziato a modificare in qualche modo il suo rapporto con Hannah Arendt già anni

prima, come testimonia una lettera a Gerschom Scholem del dieci Ottobre 1951 -anche questa parzialmente pubblicata

in Erinnerungen- dove Hans Jonas affermava che, pur essendo profondamente legato ad Hannah Arendt, non poteva

negare la sua disapprovazione dell’analisi dei problemi ebraici da lei fornita in The Origin of Totalitarianism. Nel 1975,

nell’elegia composta per il funerale di Hannah Arendt, Hans Jonas avrebbe affermato che il carattere apolitico del

filosofare dell’amica iniziò a modificarsi con il sorgere del Nazismo. Cfr.: Interaction between European and American

Social Science, in: «Social Research» Vol. 43, n. 1, 1976. 65 Cfr. Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., pp. 302-303.

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Mentre si trovava in viaggio tra la Germania e la Svizzera, Hans Jonas decise così di

scrivere a Martin Heidegger per il suo ottantesimo compleanno. Pochi giorni dopo, il 26 settembre

1969, i due si sarebbero incontrati a Zurigo: un breve scambio di ricordi del periodo trascorso

insieme a Marburgo, ma ciò che li aveva allontanati, l’adesione al Nazismo, rimase –come

nell’incontro con Hannah Arendt- nel silenzio.

Nel 1967 Hans Jonas fu invitato, per l’anno successivo, dall’American Academy of Arts and

Science di Boston a partecipare ad una conferenza sulla sperimentazione medica su soggetti

umani66. L’intervento su questa nuova tematica etica venne preparato da Hans Jonas durante il suo

soggiorno nella casa di un suo collega sulle colline Catskills, vicino New York, dove il Filosofo si

era recato per poter meditare passeggiando nei boschi.

Dal tema di quella conferenza e dalle riflessioni filosofiche che ne derivarono -analizzate in

questa trattazione nel Quarto Capitolo- sarebbe nata nel 1979, l’opera più famosa di Hans Jonas,

Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation67, e

successivamente Technik, Medizin und Ethik: Zur Praxis des Prinzips Verantwortung68.

Hans Jonas ricevette nel 1984 il “Premio Leopold-Lukas” dell’Università di Tübingen, nel

1987, il “Premio per la Pace dell’associazione degli editori tedeschi” e, nel 1993, il “Premio

Nonino” della città di Udine.

Dopo il conferimento del secondo premio, Hans Jonas fu invitato a visitare il suo vecchio

Liceo di Mönchengladbach, dove ebbe modo di leggere il suo tema di maturità -che si era salvato

dai bombardamenti- in cui egli aveva praticamente anticipato il suo concetto di responsabilità!

In tale elaborato, redatto nel 1921, Hans Jonas aveva parlato non solo dei problemi che la

dominazione sulla Natura da parte dell’uomo avrebbe causato, ma aveva anche fatto riferimento al

sentimento di responsabilità che dovrebbe far parte della coscienza dell’uomo, dovrebbe divenire

66 Il frutto di questo intervento fu il saggio Philosophical Reflections on Experiments with Human Subjects pubblicato

nella rivista «Daedalus», nel 1969 e del quale si parlerà nel Quarto Capitolo.

67 L’edizione originale è apparsa nel 1979 presso Insel Verlag di Francoforte sul Meno. L’opera venne tradotta in

Inglese dal Filosofo stesso, in collaborazione con David Herr: The Imperative of Responsibility. In Search for an Ethic

for the Technological Age, Chicago, University of Chicago Press, 1984. Le traduzioni Francese e Italiana, invece, sono

apparse solo nel 1990: Le Principe responsabilité. Essai d’une éthique pour la civilisation technologique, traduzione di

J. Greisch, Parigi, Cerf ; Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, Einaudi, 1990. 68 L’opera raccoglie saggi comparsi in date diverse ed è stata pubblicata nel 1985 a Francoforte sul Meno dall’editore

Insel. Per la stesura di questo lavoro è stata consultata l’edizione italiana: Tecnica, Medicina ed Etica. Prassi del

principio responsabilità, Torino, Einaudi, 1997.

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insito in lui. Il tema riportava inoltre un passo del Faust II di Goethe, lo stesso passo che il Filosofo

aveva riportato nel suo discorso di ringraziamento pronunciato poco prima69:

“Aprirò spazi dove milioni di uomini

vivranno non sicuri, ma liberi ed attivi.

[…]

Qui all’interno un paradiso in terra,

laggiù infurino pure i flutti fino all’orlo;

se fanno breccia a irrompere violenti,

corre a chiuderla un impeto comune.

[…]

Così vivranno, avvolti dal pericolo,

magnanimi il fanciullo, l’uomo e il vecchio.

Vorrei vedere un simile fervore,

stare su suolo libero con un libero popolo.70”

Hans Jonas era a dir poco scioccato nel notare un tale filo conduttore nel suo pensiero:

“Oddio -disse alla moglie Lore- sono rimasto sempre lì? In tutti questi anni non sono per nulla

andato avanti? Lo avevo già detto?71”

Hans Jonas non era affatto rimasto al 1921, ovviamente. Ma l’episodio dimostra, oltre ad

una profonda convinzione delle idee alla base della sua opera più importante, Das Prinzip

Verantwortung, anche il fatto che esse erano già presenti in lui come nucleo pronto ad espandersi,

aspettavano solo la maturità che gli avrebbe permesso di esprimerle a tutto il mondo.

69 Si tratta di Technik, Freiheit und Pflicht, pubblicato presso il Börsenverein des Deutschen Buchhandels nel 1987 a

Francoforte sul Meno.

70 “… Eröffn’ ich Räume vielen Millionen,/nicht sicher zwar, doch tätig-frei zu wohnen. [… Im Innern hier ein

paradiesisch Land,/Da rase draußen Flut bis auf zum Rand,/Und wie sie nascht, gewaltsam einzuschießen,/

Gemeindrang eilt, die Lücke zu verschließen,[…]/Und so verbringt, umrungen von Gefahr,/Hier Kindheit, Mann und

Greis sein tüchtig Jahr./Solch ein Gewimmel möcht’ ich sehn/Auf freiem Grund mit freiem Volke stehn…“ Citazione da:

Wolfgang Goethe, Faust II, 1832, atto V, trad. it. Andrea Casalegno, Milano, Garzanti, 1994, p. 1040.

71 “Mein Gott, bin ich denn stehengeblieben? Bin ich in all den Jahrzehnten gar nicht weitergekommen? Das habe ich

damals schon gesagt?“. Citazione tratta da: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 331.

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Il 30 Gennaio 1993 Hans Jonas era in Italia, a Percoto, vicino Udine, per ritirare il “Premio

Nonino”. Il Filosofo, che si era fermato ad Udine all’inizio dell’estate del 1945, durante il viaggio

di ritorno che da Taranto lo avrebbe riportato in Germania, volle rivedere per l’ultima volta i luoghi

del passato e poi, ultimo desiderio, Venezia. Tre giorni dopo, il 5 Febbraio 1993, Hans Jonas

sarebbe morto, nella sua casa a New Rochelle negli Stati Uniti.

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Appendice al Capitolo Primo

1920: Il Programma in venticinque punti del Partito dei Lavoratori Tedeschi

Dalla biografia di Hans Jonas emerge quanto le sue esperienze personali e professionali

fossero legate agli accadimenti storici che si verificarono nella Germania della prima frazione del

Novecento.

Questa appendice non ha ovviamente la pretesa di descrivere un quadro esauriente della

specifica e particolare situazione storico-politica della Germania di quel periodo, tema che avrebbe

bisogno di un’accurata analisi e che esulerebbe dall’argomento di questo lavoro, ma solo quella di

ricordare alcuni eventi storici che si verificarono quando Hans Jonas decise di lasciare la Germania

proprio a seguito di quelli.

La sconfitta della Germania durante la Grande Guerra -il primo degli eventi storici che ha

segnato la vita del Filosofo, come già sottolineato precedentemente- venne pagata dai Tedeschi a

caro prezzo.

Il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno del 1918, impose ai Tedeschi clausole di pace

durissime. Al momento della proclamazione della Repubblica di Weimar, il 9 Novembre del 1918,

il Paese era devastato dalla fame, dalla disoccupazione e in preda ad una crisi economica che fece

salire vertiginosamente il livello di inflazione interna.

La rivolta dei marinai nella base di Kiel1 nei primi giorni del novembre 1918 fu solo la

prima di una lunga ondata di disordini che il governo non sembrava in grado di arginare2 e che

culminarono nei primi giorni del gennaio 1919 con la rivolta spartachista3 di Berlino.

1 Si veda a tal proposito la nota n. 15 del primo capitolo.

2 Mentre negli Stati in possesso di una più lunga tradizione democratica, come Gran Bretagna e Francia, le strutture

statali riuscirono a reggere le conseguenze sociali della crisi economica che caratterizzò gli anni del dopoguerra; nei

Paesi ove la democrazia aveva radici meno salde, come l’Italia e la Germania, il sistema politico non resse all’impatto

della guerra e alla crisi postbellica.

3 Rivolta fondata su rivendicazioni popolari, denominata spartachista dal nome del movimento socialista che la guidò, la

Lega di Spartaco, Spartakusbund.

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Contro le forze rivoluzionarie il socialdemocratico Gustav Noske, ministro della Difesa

(1919-1920), schierò squadre d’azione che misero in atto una vera e propria repressione, uccidendo

barbaramente i dirigenti del Partito Comunista, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e poi colpendo

l’opposizione operaia nelle maggiori città industriali tedesche. Tra il 1919 e il 1920 omicidi e

massacri colpirono gli appartenenti al Partito Comunista Tedesco ed erano all’ordine del giorno.

Hans Jonas nei suoi Ricordi affermava di aver temuto un attacco fisico alla popolazione

ebraica proprio durante il dispiegamento delle squadre d’azione, i cosiddetti Freikorps. Egli

proseguiva raccontando quello che definisce il suo primo dream of glory: gli Ebrei, provvisti di

armi e munizioni, si sarebbero trincerati nelle loro case e avrebbero opposto resistenza all’attacco

dei loro nemici4.

E’ utile ricordare che in quegli anni il Filosofo si stava interessando al movimento sionista.

Alla luce di quanto detto si può più facilmente comprendere il motivo di tale decisione che lo

avrebbe portato al suo ultimo dream of glory, essere a capo di un esercito ebraico5.

In tale situazione, già disastrosa, venne fondato nel 1919 da Anton Drexler il Partito dei

Lavoratori Tedeschi, un gruppo nazionalista di estrema destra cui Adolf Hitler, reduce di guerra

convinto che la sconfitta fosse dovuta al tradimento degli ebrei, aderì sin dall’inizio.

Il 24 febbraio del 1920, in una birreria di Monaco, Adolf Hitler espose il suo programma in

venticinque punti6, misto di nazionalismo e razzismo:

“Il programma del Partito Tedesco dei Lavoratori risponde alle esigenze del nostro tempo.

I capi respingono l'idea di aggiungervi nuovi scopi dopo che quelli in esso formulati siano stati

raggiunti soltanto al fine di rendere possibile il sopravvivere del partito, mediante

un’insoddisfazione delle masse artificialmente alimentata.

1) Noi chiediamo la fusione di tutti i Tedeschi in una grande Germania sulla base del diritto di

autodeterminazione dei popoli.

4 Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 77.

5 Hans Jonas, ibidem, p. 78.

6 Data la rilevanza di un tale documento lo si riporta in versione italiana e, a seguire, nell’originale tedesco. Per quanto

riguarda la sua traduzione italiana si vedano i siti: www.polyarchy.org/ enough/banthology/texts/programma.1920.html

e www.paroledalterzoreich.com/pagine/ programma _base_nsdap.htm. Si tratta di siti in lingua italiana ove vengono

frequentemente pubblicati saggi ed articoli di interesse storico-politico, il secondo si concentra esclusivamente sulla

seconda guerra mondiale e il Terzo Reich. La traduzione proposta da tali siti non è molto scorrevole e in alcuni punti

imprecisa, perciò quella qui proposta è stata rivista da chi scrive e modificata. La versione in lingua originale del

Programma del Partito Tedesco dei Lavoratori qui riportato è consultabile on line all’indirizzo:

www.dhm.de/lemo/html/dokumente/nsdap25/ index.html, si tratta di una pagina web pubblicata nella sezione “Der

Zweite Weltkrieg” del sito tedesco del Deutsches Historisches Museum di Berlino.

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2) Chiediamo l'equiparazione dei diritti del popolo Tedesco di fronte a quelli delle altre nazioni e la

soppressione dei trattati di Versailles e di St. Germain.

3) Chiediamo Terra e Territori (colonie) per l'alimentazione del nostro popolo e la vita del nostro

eccesso di popolazione.

4) Cittadino può essere soltanto colui che fa parte del popolo (Volksgenosse). Volksgenosse (lett.

concittadino) può essere soltanto colui che è di sangue tedesco, senza riguardo alla religione di

appartenenza. Nessun ebreo pertanto può essere Volksgenosse.

5) Chi non è cittadino deve poter vivere in Germania soltanto come ospite e pertanto sottostare alla

legislazione che regola gli stranieri.

6) Il diritto di decidere su governo e leggi dello stato spetta solo al cittadino. Perciò chiediamo che

ogni ufficio pubblico, di qualunque tipo, sia del Reich che delle regioni e dei comuni, venga

occupato soltanto da cittadini. Noi combattiamo la corruzione parlamentare secondo la quale i

posti vengono conferiti unicamente sulla base del partito politico di appartenenza e senza tener

conto di capacità e attitudini.

7) Chiediamo che lo Stato si impegni in prima linea ad assicurare lavoro e condizioni di vita

dignitose ai cittadini. Se non è possibile nutrire l'intera popolazione dello Stato, sarà necessario

espellere gli stranieri (i non cittadini) dal Reich.

8) Ogni nuovo afflusso di stranieri deve essere evitato. Chiediamo che tutti i non Tedeschi, che

sono immigrati in Germania dal 2 agosto 1914, vengano costretti immediatamente a lasciare il

paese.

9) Tutti i cittadini devono possedere uguali diritti e doveri.

10) Primo dovere di ogni cittadino è quello di produrre spiritualmente o materialmente. L'attività

del singolo non deve andar contro gli interessi della comunità, ma deve svolgersi all’interno di essa

ed a vantaggio di tutti. Pertanto chiediamo:

11) La soppressione delle entrate ottenute senza lavoro e fatica, l’abolizione della schiavitù del

censo.

12) Considerati i sacrifici immani di beni e di sangue che ogni guerra costa al popolo,

l'arricchimento personale derivante dalla guerra deve essere considerato crimine contro il popolo.

Pertanto chiediamo la confisca di tutti i profitti di guerra.

13) Chiediamo la statalizzazione di tutte società monopolistiche (Trusts).

14) Chiediamo la compartecipazione agli utili nelle grandi imprese.

15) Chiediamo un sostanziale miglioramento delle pensioni d’anzianità.

16) Chiediamo la formazione ed il consolidamento di un sano ceto medio.

Chiediamo che i grandi magazzini vengano posti immediatamente sotto il controllo dell’autorità

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locale e dati in appalto a prezzi modici a piccole aziende, e che queste abbiano il massimo riguardo

per le erogazioni a favore dello Stato e delle autorità locali.

17) Chiediamo una riforma della proprietà conforme alle necessità nazionali, e la costituzione di

una legge per la confisca di terreni per scopi di pubblica utilità, nonché l'abolizione dei tributi

fondiari e l'eliminazione di ogni speculazione terriera.

18) Chiediamo una campagna senza scrupoli contro coloro che danneggiano con la loro attività il

pubblico interesse. Criminali comuni, speculatori, truffatori, ecc. devono essere puniti con la

morte, senza distinzione di razza e religione.

19) Chiediamo la sostituzione del diritto romano, al servizio di un ordine materialistico del mondo,

con un diritto germanico.

20) Perché ogni Tedesco abile e diligente possa ricevere una più elevata educazione e con ciò

ottenere posti di lavoro dirigenziali, è necessario che lo Stato intraprenda una sostanziale revisione

del sistema educativo nazionale. I programmi di insegnamento di tutti gli istituti devono essere

adeguati alle necessità della vita pratica. La scuola deve infondere attraverso l’educazione civica il

concetto di Stato sin dall’età della ragione. Chiediamo l'educazione a spese dello Stato dei fanciulli

particolarmente dotati provenienti da famiglie povere, senza distinzione di classe od occupazione

dei genitori.

21) Lo stato deve garantire l’innalzamento del livello della salute pubblica, con provvedimenti a

favore delle madri e dei bambini, il divieto del lavoro minorile, assicurando la buona condizione

fisica mediante l’obbligatorietà della partecipazione ad attività sportive e ginniche, e con il

massimo sostegno alle associazioni impegnate nella formazione fisica della gioventù.

22) Chiediamo l'abolizione dell'esercito assoldato, e la costituzione di un esercito del popolo

(Volkswehr).

23) Chiediamo azioni legali contro la menzogna politica intenzionale e la sua denuncia a mezzo

stampa. Per la fondazione di una stampa germanica, chiediamo che:

a. tutti i redattori e collaboratori di giornali pubblicati in lingua germanica siano concittadini;

b. che i giornali non tedeschi necessitino per la loro pubblicazione dell’autorizzazione dello Stato.

Essi non dovranno essere pubblicati in lingua tedesca;

c. che ogni compartecipazione finanziaria a giornali tedeschi o influenza d'altro genere da parte di

non Tedeschi venga legalmente proibito e che ogni violazione di detta regola comporti la pena

della chiusura dell'impresa e l’immediata espulsione dal Reich degli stranieri implicati.

Giornali contrari al bene pubblico devono essere proibiti. Chiediamo azioni legali contro ogni

manifestazione letteraria e artistica che eserciti un’influenza nociva sulla vita pubblica e la

chiusura degli spettacoli che non soddisfino i requisiti suddetti.

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24) Chiediamo la libertà di tutte le confessioni religiose nello Stato, finché esse non ne mettano in

pericolo l'esistenza o contravvengano al costume e alla morale della razza germanica. Il partito

come tale promuove una cristianità positiva senza ancorarla ad una particolare confessione.

Combatte lo spirito giudaico e materialistico dentro e fuori di noi ed è convinto che un risanamento

durevole del nostro popolo può aver luogo soltanto dall'interno, sulla base del principio che

l’interesse comune vada anteposto a quello personale.

25) Per l'attuazione di quanto precede chiediamo: la costituzione di un forte potere centrale del

Reich. Autorità assoluta del parlamento centrale sull'intero Reich e le sue organizzazioni in

generale. La formazione di associazioni professionali e di categoria per l'attuazione nei singoli

Stati della confederazione delle leggi emanate dal Reich. I capi del partito promettono, se

necessario a costo della loro vita, di impegnarsi in assoluto all'esecuzione di tutti i sopraddetti

punti.”

Per maggiore completezza di informazione viene riportato di seguito anche l’originale

tedesco:

„Das Programm der Deutschen Arbeiterpartei ist ein Zeit-Programm. Die Führer lehnen es

ab, nach Erreichung der im Programm aufgestellten Ziele neue aufzustellen, nur zu dem Zwecke,

um durch künstlich gesteigerte Unzufriedenheit der Massen das Fortbestehen der Partei zu

ermöglichen.

1. Wir fordern den Zusammenschluss aller Deutschen auf Grund des Selbstbestimmungsrechtes der

Völker zu einem Groß-Deutschland.

2. Wir fordern die Gleichberechtigung des deutschen Volkes gegenüber den andere Nationen,

Aufhebung der Friedensverträge von Versailles und St Germain.

3. Wir fordern Land und Boden (Kolonien) zur Ernährung unseres Volkes und Ansiedlung unseres

Bevölkerungsüberschusses.

4. Staatsbürger kann nur sein, wer Volksgenosse ist. Volksgenosse kann nur sein, wer deutschen

Blutes ist, ohne Rücksichtnahme auf Konfession. Kein Jude kann daher Volksgenosse sein.

5. Wer nicht Staatsbürger ist, soll nur als Gast in Deutschland leben können und muss unter

Fremdengesetzgebung stehen.

6. Das Recht, über Führung und Gesetze des Staates zu bestimmen, darf nur dem Staatsbürger

zustehen. Daher fordern wir, dass jedes öffentliche Amt, gleichgültig welcher Art, gleich ob im

Reich, Land oder Gemeinde, nur durch Staatsbürger bekleidet werden darf. Wir bekämpfen die

korrumpierende Parlamentswirtschaft einer Stellenbesetzung nur nach Parteigesichtspunkten ohne

Rücksichten auf Charakter und Fähigkeiten.

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7. Wir fordern, dass sich der Staat verpflichtet, in erster Linie für die Erwerbs- und

Lebensmöglichkeit der Staatsbürger zu sorgen. Wenn es nicht möglich ist, die Gesamtbevölkerung

des Staates zu ernähren, so sind die Angehörigen fremder Nationen (Nicht-Staatsbürger) aus dem

Reiche auszuweisen.

8. Jede weitere Einwanderung Nicht-Deutscher ist zu verhindern. Wir fordern, dass alle Nicht-

Deutschen, die seit dem 2. August 1914 in Deutschland eingewandert sind, sofort zum Verlassen

des Reiches gezwungen werden.

9. Alle Staatsbürger müssen gleiche Rechte und Pflichten besitzen.

10. Erste Pflicht jedes Staatsbürgers muss sein, geistig oder körperlich zu schaffen. Die Tätigkeit

des einzelnen darf nicht gegen die Interessen der Allgemeinheit verstoßen, sondern muss im

Rahmen des Gesamten und zum Nutzen aller erfolgen. Daher fordern wir:

11. Abschaffung des Arbeits- und mühelosen Einkommens, Brechung der Zinsknechtschaft.

12. Im Hinblick auf die ungeheuren Opfer an Gut und Blut, die jeder Krieg vom Volke fordert, muss

die persönliche Bereicherung durch den Krieg als Verbrechen am Volke bezeichnet werden: Wir

fordern daher restlose Einziehung aller Kriegsgewinne.

13. Wir fordern die Verstaatlichung aller (bisher) bereits vergesellschafteten (Trusts) Betriebe.

14. Wir fordern Gewinnbeteiligung an Großbetrieben.

15. Wir fordern einen großzügigen Ausbau der Altersversorgung.

16. Wir fordern die Schaffung eines gesunden Mittelstandes und seine Erhaltung, sofortige

Kommunalisierung der Groß-Warenhäuser und ihre Vermietung zu billigen Preisen an kleine

Gewerbetreibende, schärfste Berücksichtigung aller kleinen Gewerbetreibenden bei Lieferung an

den Staat, die Länder oder Gemeinden.

17. Wir fordern eine unseren nationalen Bedürfnissen angepasste Bodenreform, Schaffung eines

Gesetzes zur unentgeltlichen Enteignung von Boden für gemeinnützige Zwecke. Abschaffung des

Bodenzinses und Verhinderung jeder Bodenspekulation.

18. Wir fordern den Rücksichtslosen Kampf gegen diejenigen, die durch ihre Tätigkeit das

Gemeininteresse schädigen. Gemeine Volksverbrecher, Wucherer, Schieber usw. sind mit dem Tode

zu bestrafen, ohne Rücksichtnahme auf Konfession und Rasse.

19. Wir fordern Ersatz für das der materialistischen Weltordnung dienende römische Recht durch

ein deutsches Gemeinrecht.

20. Um jedem fähigen und fleißigen Deutschen das Erreichen höherer Bildung und damit das

Einrücken in führende Stellung zu ermöglichen, hat der Staat für einen gründlichen Ausbau unseres

gesamten Volksbildungswesens Sorge zu tragen. Die Lehrpläne aller Bildungsanstalten sind den

Erfordernissen des praktischen Lebens anzupassen. Das Erfassen des Staatsgedankens muß bereits

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mit dem Beginn des Verständnisses durch die Schule (Staatsbürgerkunde) erzielt werden. Wir

fordern die Ausbildung besonders veranlagter Kinder armer Eltern ohne Rücksicht auf deren Stand

oder Beruf auf Staatskosten.

21. Der Staat hat für die Hebung der Volksgesundheit zu sorgen durch den Schutz der Mutter und

des Kindes, durch Verbot der Jugendarbeit, durch Herbeiführung der körperlichen Ertüchtigung

mittels gesetzlicher Festlegung einer Turn- und Sportpflicht, durch größte Unterstützung aller sich

mit körperlicher Jugendausbildung beschäftigenden Vereine.

22. Wir fordern die Abschaffung der Söldnertruppe und die Bildung eines Volksheeres.

23. Wir fordern den gesetzlichen Kampf gegen die bewusste politische Lüge und ihre Verbreitung

durch die Presse. Um die Schaffung einer deutschen Presse zu ermöglichen, fordern wir, dass:

a. sämtliche Schriftleiter und Mitarbeiter von Zeitungen, die in deutscher Sprache erscheinen,

Volksgenossen sein müssen,

b. nichtdeutsche Zeitungen zu ihrem Erscheinen der ausdrücklichen Genehmigung des Staates

bedürfen. Sie dürfen nicht in deutscher Sprache gedruckt werden,

c. jede finanzielle Beteiligung an deutschen Zeitungen oder deren Beeinflussung durch Nicht-

Deutsche gesetzlich verboten wird, und fordern als Strafe für Übertretungen die Schließung eines

solchen Zeitungsbetriebes sowie die sofortige Ausweisung der daran beteiligten Nicht-Deutschen

aus dem Reich.

Zeitungen, die gegen das Gemeinwohl verstoßen, sind zu verbieten. Wir fordern den gesetzlichen

Kampf gegen eine Kunst und Literaturrichtung, die einen zersetzenden Einfluss auf unser

Volksleben ausübt, und die Schließung von Veranstaltungen, die gegen vorstehende Forderungen

verstoßen.“

24.Wir fordern die Freiheit aller religiösen Bekenntnisse im Staat, soweit sie nicht dessen Bestand

gefährden oder gegen das Sittlichkeits- und Moralgefühl der germanischen Rasse verstoßen.

Die Partei als solche vertritt den Standpunkt eines positiven Christentums, ohne sich konfessionell

an ein bestimmtes Bekenntnis zu binden. Sie bekämpft den jüdisch-materialistischen Geist in und

außer uns und ist überzeugt, dass eine dauernde Genesung unseres Volkes nur erfolgen kann von

innen heraus auf der Grundlage:

Gemeinnutz vor Eigennutz.

25. Zur Durchführung alles dessen fordern wir: Die Schaffung einer starken Zentralgewalt des

Reiches. Unbedingte Autorität des politischen Zentralparlaments über das gesamte Reich und seine

Organisationen im allgemeinen.“

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Nel 1921 il Partito dei Lavoratori Tedeschi cambiò nome e si chiamò Partito

Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi e Adolf Hitler ne assunse la guida. Due anni dopo, con

l’appoggio del maresciallo Erich Ludendorff, egli tentò un colpo di mano a Monaco. Il colpo non

ebbe successo e Adolf Hitler venne arrestato, in prigione avrebbe scritto il Mein Kampf, il tragico

destino degli Ebrei era segnato.

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Capitolo secondo

Il percorso intellettuale di Hans Jonas verso l’elaborazione di una nuova tappa

filosofica: The Phenomenon of Life

Dopo aver dato un quadro della biografia di Hans Jonas, si può seguire più agevolmente il

suo percorso intellettuale ripercorrendo le tre fasi nelle quali egli stesso suddivideva lo sviluppo del

suo pensiero filosofico1.

In una prima fase, che va dall’anno 19252 fino al suo arruolamento nell’esercito inglese,

predominarono gli interessi storico-filosofici e l’influenza del suo principale maestro Rudolf

Bultmann. Dalle ricerche di quegli anni sarebbe nato il primo volume di Gnosis und Spätantiker

Geist, un’interpretazione in chiave esistenzialistica dello gnosticismo tardo-antico3.

1 Si veda Hans Jonas, Wissenschaft als persönliches Erlebnis, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1987, p. 11 e anche

la premessa del Filosofo stesso alla sua raccolta di saggi Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological

Man, Chicago Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1974 (per la stesura di questo lavoro è stata consultata l’edizione

italiana Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna, Il Mulino, 1991). Tale suddivisione viene riportata anche

dalla moglie Lore nella sua prefazione all’opera Erinnerungen, a cura di R. Salamander e C. Wiese, Francoforte e

Lipsia, Insel Verlag, p. 9.

2 Anno in cui il Filosofo conseguì la laurea presso l’Università di Marburgo.

3 Con il termine gnosticismo si designa un gruppo di correnti filosofico-religiose dell’antichità che ebbero la loro

massima diffusione nel II e III secolo dell’era cristiana nei centri culturali dell’area mediterranea fino al Medio Oriente.

Non si tratta di una dottrina unitaria e ben determinata né di una scuola filosofica, bensì di un insieme di movimenti

accomunati dalla ricerca di un sapere sull’origine del mondo e dell’uomo, tale da condurre alla salvezza eterna. Mentre

il giudaismo, il cristianesimo e pressoché tutti i sistemi religiosi “pagani” sostengono che l'anima raggiunge la salvezza

attraverso la fede e le opere, per lo gnosticismo la salvezza dell'anima può derivare soltanto dal possesso della

conoscenza dei misteri dell'universo. La caratteristica fondamentale dello gnosticismo è il dualismo radicale tra Dio e

mondo: mentre nella tradizione biblica l’uomo e tutto il creato corrispondono ad un progetto divino -l’uomo è fatto a

immagine e somiglianza di Dio e tutta la creazione contiene la sua impronta- per lo gnostico esiste una differenza

abissale tra Dio e mondo, il rapporto con il creato non può garantire in alcun modo l’elevazione spirituale dell’uomo.

Fonte: Enciclopedia UTET, Editrice Torinese, Torino, 1985, vol. IX, p. 261-262.

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La seconda fase della vita teoretica del Filosofo ebbe inizio con il quinquennio 1940-1945,

ossia gli anni di militanza nell’esercito inglese durante il secondo conflitto mondiale: la situazione

precaria in cui era costretto a vivere, il continuo pericolo di morte e la crisi che la società stava

attraversando lo spinsero a riflessioni estremamente importanti sulla vita e sull’organismo vivente.

Le principali teorie filosofiche moderne -tra le quali la fenomenologia di Edmund Husserl4 e

l’esistenzialismo di Martin Heidegger5- toccavano, secondo Hans Jonas, solo una parte del nostro

essere. La conoscenza completa era ostacolata dall’influenza del dualismo cartesiano tra res

Hans Jonas rintracciava nel fenomeno gnostico “una separazione tra uomo e mondo, natura e spirito, mondo e Dio”

che si presenta anche nella condizione di solitudine ed estraneità in cui vive l’uomo moderno. Cfr.: Wissenschaft als

persönliches Erlebnis, op. cit., p. 18.

4 Edmund Husserl (Prossnitz, Moravia 1859-Friburgo 1938) . Studiò matematica a Berlino, ove si laureò nel 1883. Solo

in un secondo momento decise di dedicarsi allo studio della Filosofia, dopo aver seguito le lezioni del Filosofo Tedesco

Franz Brentano a Vienna. Insegnò presso le Università di Halle (1887-1901) e Göttingen (1901-1916) e poi a Friburgo,

ove rimase fino al 1928 quando dovette abbandonare la sua carriera a causa delle sue origini ebraiche. Pubblicò nel

1891 Philosophie der Arithmetik, nel 1900 Psychologische und logische Untersuchungen. Erster Teil: Prolegomena zur

reinen Logik, nel 1901 Logische Untersuchungen. Zweiter Teil: Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der

Erkenntnis, nel 1911 Philosophie als strenge Wissenschaft e nel 1913 Ideen zu einer reinen Phänomenologie und

phänomenologischen Philosophie, nel 1929 Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen

Vernunft. Morì nel 1938 lasciando una grande quantità di opere inedite che costituiscono oggi l’Archivio Husserl di

Lovanio (Belgio). E’ considerato il padre della fenomenologia. Cfr.: AA.VV., Storia della Filosofia. Dal Romanticismo

ai giorni nostri, Brescia, Editrice La Scuola, 1997, pp. 556-557.

Secondo Hans Jonas “[…]la fenomenologia da lui predicata con tanta passione era un programma di autoriflessione

della coscienza intesa come il palcoscenico in cui si manifesta tutto ciò che può essere in generale oggetto di pensiero.

Una fenomenologia “pura” della coscienza “pura” doveva diventare la scienza fondamentale della filosofia…”. La

citazione è tratta da: Hans Jonas, Filosofia alle soglie del Duemila, op.cit., pp. 29-30. L’opera originale è in lingua

Tedesca: Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts, Francoforte sul Meno, Insel Verlag, 1992.

5 Martin Heidegger (Messkirch 1889- Friburgo 1976) nacque da una famiglia cattolica e studiò Filosofia e Teologia

cattolica. Nel 1913 si laureò in Filosofia a Friburgo e nel 1916 divenne assistente di Edmund Husserl, iniziando con lui

un periodo di intensa collaborazione e ricerca. Tra il 1923 e il 1927 insegnò a Marburgo e lavorò alla sua opera

fondamentale Essere e Tempo, che sarebbe stata pubblicata proprio nel 1927 e avrebbe segnato il distacco dalla

fenomenologia di Edmund Husserl. Nell’anno successivo ottenne la cattedra di Filosofia all’Università di Friburgo,

cattedra prima tenuta dal suo maestro. Nel 1933 accettò l’incarico di rettore di quell’ateneo e pronunciò il suo famoso

discorso, Autoaffermazione dell’università tedesca, dal quale traspariva il suo legame con il Partito Nazionalsocialista.

L’anno successivo decise di dimettersi a causa di dissensi con il governo. Dopo la seconda guerra mondiale, a causa del

suo passato politico, venne sospeso dall’insegnamento fino al 1951, anno in cui si sarebbe ritirato definitivamente. Tra

le sue opere più famose sono da citare: Sein und Zeit (1927), Brief über Humanismus (1947), Holzwege (1950), Die

Grundbegriffe der Metaphysik (1953), Vorträge und Aufsätze (1954). Si veda AA.VV., Storia della Filosofia. Dal

Romanticismo ai giorni nostri, op. cit., pp. 578-579.

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cogitans, la mente, e res extensa, il corpo, che rendeva conoscibile solo la seconda e, quindi, solo la

materia. Ma, secondo Hans Jonas, se la Filosofia si fosse limitata allo studio della materia, avrebbe

compromesso gli esiti della propria ricerca, perciò tale dualismo andava ripensato.

Il ritorno nella Germania distrutta al fianco degli Alleati, dopo più di dieci anni di assenza,

fu per Hans Jonas carico di emozione e dolore, sia per gli eventi che avevano direttamente coinvolto

il suo mondo affettivo, già descritti nel Primo Capitolo, ma anche perché solo allora egli seppe del

successo riscosso dal primo volume di Gnosis und Spätantiker Geist, successo che superava le sue

aspettative: il suo nome era ormai identificato con lo gnosticismo.

Hans Jonas aveva ricevuto dunque una notevole gratificazione che, insieme agli inviti da

parte dei Professori Rudolf Bultmann6 e Karl Jaspers

7 a continuare tale ricerca pubblicando il

secondo volume, fecero nascere in lui un conflitto interiore tra il desiderio di dedicarsi a nuove

problematiche e quello di proseguire la strada che lo aveva portato al successo8.

Dopo il 1945 egli iniziò quindi a dedicarsi alla riflessione sull’organismo vivente, ma

continuò a sentire il fascino della ricerca sul processo gnostico, come dimostrano i ritorni a tale

6 Rudolf Bultmann (Wiefelstede 1884- Marburgo 1976) fu uno dei più importanti teologi evangelici del XX secolo.

Ultimati gli studi universitari, nel 1910, fu libero docente a Marburgo ed, in seguito, docente di teologia a Breslavia,

Gießen ed ancora Marburgo fino al 1951. Egli deve la sua notorietà alla teoria della “demitizzazione” diffusa con la

pubblicazione nel 1941 dello scritto: Neues Testament und Mythologie. Das Problem der Entmythologisierung der

neutestamentlichen Verkündigung. Egli intendeva come “mitica” una narrazione di avvenimenti in cui intervenissero

forze o persone sovrannaturali o sovraumane. Il messaggio cristiano era, secondo Bultmann, un messaggio sempre

attuale, ma che aveva bisogno di essere “demitizzato”: per essere compreso a fondo esso andava spogliato di quelle

rappresentazioni mitologiche nelle quali era stato espresso nella predicazione primitiva. Si veda AA.VV., Storia della

Filosofia. Dal Romanticismo ai giorni nostri, op. cit., p. 742.

7 Karl Jaspers (Oldenburg 1883- Basilea 1969) si laureò in Medicina nel 1908 a Göttingen e nel 1909 cominciò a

lavorare, a titolo gratuito, come ricercatore volontario presso l'ospedale psichiatrico di Heidelberg. Nel 1913 ottenne un

incarico temporaneo come docente di Psicologia presso l’Università di Heidelberg e pubblicò Allgemeine

Psychopathologie, opera di stampo “fenomenologico”. Allorquando il suo incarico divenne permanente Karl Jaspers

non fece più ritorno all'attività terapeutica. L'insegnamento era afferente al Dipartimento di Filosofia, e grazie al suo

secondo scritto del 1919, Psychologie der Weltanschaungen, divenne docente proprio di Filosofia. Iniziò allora a

scrivere opere di carattere ormai prettamente filosofico: Die geistige Situation der Zeit del 1931, i tre volumi del suo

capolavoro, Philosophie, del 1932 e, sempre nel 1932, un libro sulla personalità universitaria che più ammirava, Max

Weber, Max Weber – Politiker, Forscher, Philosoph. Karl Jaspers strinse amicizia con lo stesso Martin Heidegger,

amicizia che si sarebbe interrotta in seguito all’adesione di quest’ultimo al Nazionalsocialismo, per poi riprendere ma in

modo più freddo nel dopoguerra. Si veda AA.VV., Storia della Filosofia. Dal Romanticismo ai giorni nostri, op. cit.,

pp. 594-595.

8 Cfr.: Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, op. cit., p. 30.

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argomento con la pubblicazione di alcuni saggi ad esso dedicati9. L’elaborazione delle riflessioni

risalenti agli anni di guerra, peraltro documentate dalle Lehrbriefe indirizzate a Lore, culminerà con

la pubblicazione di The Phenomenon of Life, nel 1966.

Subito dopo la pubblicazione del volume Hans Jonas avrebbe tuttavia intrapreso ancora una

nuova strada. Egli iniziò ad interrogarsi sui problemi generati dall’impatto della tecnologia moderna

sulla società, sui disastri causati dall’uso smodato della tecnologia, sulla condizione di pericolo

derivante dalla dimensione eccessiva raggiunta oggi dal progresso scientifico-tecnologico.

La sua riflessione aveva lo scopo di far fronte ai nuovi problemi dell’umanità, oggi in grado

di distruggere il Pianeta con la sua tecnologia e di autodistruggersi: il potenziale apocalittico della

conflagrazione atomica ne è il simbolo più evidente. L’esplosione della bomba atomica nel 1945,

infatti, traghettò Hans Jonas verso l’ultima tappa del suo percorso filosofico: l’uomo tecnologico e

le sue responsabilità.

Il Filosofo scriveva: “Fra gli eventi storici ebbe grande risonanza “Hiroshima” e questo

shock, perpetuato dalla continua corsa agli armamenti atomici, rappresentò la prima occasione per

una nuova e angosciante riflessione sulla tecnica nel mondo occidentale. Con Hiroshima giunse la

vittoria (della seconda guerra mondiale) ma anche il rischio durevole di un autoannientamento

collettivo. Così anche l’iniziale critica filosofica della tecnica (come per esempio Günther

Anders10) si manifestò sotto il segno del terrore, introducendo una dimensione apocalittica che da

allora non ha più perduto11.”.

9 Si vedano i saggi: Myth and Mysticism. A Study of Objectification and Interiorization in Religious Thought, in: «The

Journal of Religion», 49, 1969; Origen’s Metaphysics of Free Will, Fall and Redemption. A Divine Comedy of the

Universe, in «Journal of Universalist Historical Society», 8, 1969-1970; «Philosophical Meditations on the Seventh

Chapter of Paul’s Epistle to the Romans», in The Future of our Religious Past: Essays in Honour of Rudolf Bultmann, a

cura di James M. Robinson, New York, Harper & Row, 1971; The Hymn of the Pearl: Case Study of a Symbol, and the

Claims for a Jewish Origin of Gnosticism e The Gnostic Syndrom: Typology of its Thought, Imagination, and Mood

entrambi in: From Ancient Creed to Technological Man, op. cit..

10 Il tema della minaccia atomica fu affrontato anche da Günther Anders (si veda la nota n. 26 del Capitolo Primo),

citato da Hans Jonas nel passo riportato nel testo. Hans Jonas, infatti, intrattenne con l’amico e collega Günther Anders

un forte rapporto di scambio intellettuale, entrambi inoltre furono allievi diretti di Martin Heidegger.

Le riflessioni di Günther Anders a proposito della bomba atomica, che risalgono agli anni 1980, lasciano trapelare

l’influenza delle idee di Hans Jonas: secondo Günther Anders con Hiroshima è iniziata una nuova era, l'era in cui

l’uomo può distruggere la Terra, e da quel giorno, l’umanità è in grado di autodistruggersi. Il vero nemico è la

tecnologia, quella atomica in particolare: l’umanità dovrebbe allearsi contro quella minaccia comune. L'orizzonte della

nostra responsabilità deve diventare globale e coincidere con l'orizzonte entro il quale possiamo colpire o essere colpiti;

ciò che si tratta di ampliare, secondo Günther Anders, non è solo la dimensione spaziale della responsabilità per i nostri

vicini, ma anche quella temporale, giacché le nostre azioni odierne toccano le generazioni avvenire e tutto ciò che è

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Il nesso logico che lega la Filosofia dell’Organismo alla formulazione di quest’ultima

pagina del pensiero di Hans Jonas, un’Etica per la Civiltà Tecnologica è facilmente comprensibile:

la Filosofia della Vita che Hans Jonas aveva postulato conduceva alla conoscenza completa della

vita stessa, non solo quella dell’uomo ma anche quella della Natura, messe in pericolo dagli

sviluppi della tecnologia. La tecnologia, dunque, appariva nel suo complesso una minaccia per la

vita stessa.

Il legame che intercorre tra i primi studi filosofici di Hans Jonas nel campo della gnosi e la

formulazione della Filosofia della vita risulta, invece, più difficile da comprendere, come affermava

il Filosofo stesso12

.

Chi scrive avanza qui l’ipotesi che la formazione giovanile sul grande movimento gnostico

antico -malgrado l’apparente distacco del Filosofo da esso- abbia stimolato in lui quel suo

straordinario senso di curiosità per il mondo, quella capacità di scrutare e al tempo stesso di

trasformarsi durante le proprie ricerche. Proprio questo suo bisogno di conoscere mai pago gli

avrebbe permesso di compiere grandissimi cambiamenti: dagli studi sulla gnosi della gioventù sino

al ragionamento filosofico attorno alla salvaguardia del Pianeta e dei suoi habitat. E’questo il tratto

più affascinante, al tempo stesso commovente, nel ripensare la figura di Hans Jonas.

futuro dipende da noi. Il massimo pericolo, sosteneva Günther Anders, sta nel fatto che siamo incapaci di rappresentarci

la catastrofe, il non-essere, la morte. Quanto più grande è l'effetto possibile dell'agire umano, tanto più è difficile

concepirlo e spaventarci di fronte a tale idea.

Vanno sottolineate però alcune divergenze nelle posizioni dei due Filosofi. In primo luogo, va notato che le riflessioni

di Günther Anders prendevano le mosse dalla minaccia atomica; per Hans Jonas, invece, la bomba atomica fu uno

stimolo ulteriore a seguire il processo filosofico che lo avrebbe portato all’elaborazione della sua etica come freno per la

società tecnologica. In secondo luogo, bisogna sottolineare che, mentre Hans Jonas -come si vedrà nel capitolo

successivo- considerava la tecnica “ambivalente”, ossia aperta al bene e al male, per Günther Anders il male era insito

nella tecnica. Infine, il Principio Responsabilità di Hans Jonas ammette una via d’uscita alla situazione disastrosa;

Günther Anders, invece, ha teorizzato un principio “disperazione” secondo il quale la società vive in una condizione

ormai irrecuperabile, perché dopo la bomba atomica la salvezza non sembra più una realtà possibile. Si veda: Pier Paolo

Portinaro, Il Profeta e il Tiranno. Considerazioni sulla proposta filosofica di Hans Jonas, in «Nuova civiltà delle

macchine», RAI-ERI Edizioni, Roma, 1992, n. 1, Gennaio-Marzo e, dello stesso autore, Il Principio Disperazione,

Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

11La citazione è tratta da: Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, op. cit., p.43.

12 Cfr.: Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, op. cit., p. 30.

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Le radici filosofiche di Hans Jonas

Per comprendere il percorso filosofico complessivo di Hans Jonas è necessario tornare

indietro alla sua giovinezza. Quando Hans Jonas iniziò i suoi studi universitari a Friburgo, nel 1921,

il panorama filosofico tedesco era dominato dalla figura di Edmund Husserl: con la fenomenologia

ch’egli aveva postulato la Germania, patria stessa della Filosofia, aveva registrato ”un vero e

proprio terremoto13”.

Edmund Husserl proponeva il ricorso alla sola coscienza come scienza rigorosa. Egli,

secondo Hans Jonas, faceva ricorso a fenomeni interni che non avevano niente a che fare con le

leggi della materia14

. Per molti studenti tale concezione divenne quella sorta di percorso interiore

capace di condurre a Dio. A tal proposito Hans Jonas aveva dei forti dubbi, egli infatti scriveva:

“… sorsero in me dubbi sulla adeguatezza della dottrina, in particolare sul suo limitarsi alla pura

coscienza. Come stanno le cose, mi chiedevo, con l’esistenza del nostro corpo? Possiamo ridurlo a

un “dato della coscienza” senza con ciò privarlo del suo senso -del fatto cioè che, quando si ha a

che fare col corpo, si ha anche a che fare con l’essere e non-essere del soggetto? […] Che cosa

aveva da dire infatti la fenomenologia husserliana sull’asserzione “ho fame”…?15”

Le riflessioni di Hans Jonas, all’inizio dei suoi studi universitari, prendevano quindi le

mosse proprio dalla critica alla fenomenologia del maestro Edmund Husserl.

Tuttavia è da sottolineare un punto di contatto tra quella che sarebbe stata la Filosofia della

Vita di Hans Jonas e le riflessioni di Edmund Husserl: il recupero del concetto greco di telos, cioè di

finalità insita nella Natura. Solo con la riscoperta di questa idea si poteva ritrovare un rapporto equo

tra uomo e Natura.

Il maestro Edmund Husserl, infatti, aveva contrapposto alla “matematizzazione della

Natura” il recupero di un rapporto immediato con essa. Egli infatti sosteneva che, a partire da

Galileo e da Cartesio, le scienze si erano sostituite alla Filosofia e il concetto di telos era andato

perso. Le scienze avevano pagato il proprio successo con la loro assoluta incapacità di dare una

spiegazione al “senso della vita”.

Edmund Husserl si era proposto di superare tale vuoto contrapponendo il concetto di

Lebenswelt, il “mondo-della-vita”, al “mondo della scienza”: l'attenzione doveva tornare al

“mondo-della-vita”, ai fenomeni puri come si presentano al nostro sguardo senza far ricorso alla

13 Cit.: Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, op. cit., p. 29.

14 Cfr.: Vittorio Hösle, Anima e corpo. Conversazione di Vittorio Hösle con Hans Jonas, in: «Ragion Pratica» n.15,

2000, pp. 53-64.

15 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Filosofia alle soglie del Duemila, op. cit., p. 31.

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scienza, poiché essa concentrandosi sugli aspetti oggettivi, aveva perso di vista il significato della

vita, la Lebensbedeutsamkeit.

E’ da notare che verso la fine dell’Ottocento nelle aree di lingua tedesca nacque un vasto

movimento filosofico denominato Lebensphilosophie, che si opponeva alle idee positivistiche e

illuministiche mettendo al centro della riflessione filosofica il concetto di vita. La vita assumeva

significati diversi nelle riflessioni dei vari filosofi esponenti di questa corrente di pensiero, ma era

ancora evidente l’influenza della filosofia della natura di ispirazione romantica, della sua

esaltazione degli elementi irrazionali, sentimentali16

. Bisogna sottolineare, inoltre, che nella

Germania di fine Ottocento la maggior parte degli intellettuali non partecipava alla vita politica del

Paese, “coltivando il mito del buon tedesco apolitico17”, si era venuta così a creare una “società

agricola industrializzata18” in cui il potere politico era nelle mani della nobiltà e dell’esercito e

dalla quale gli intellettuali erano esclusi. L’isolamento intellettuale era stato trasformato in un punto

di forza per aprire prospettive filosofiche nuove che si presentavano come una “critica della

cultura”.

In quest’ottica si inserisce anche l’opera di Edmund Husserl dal titolo La crisi delle scienze

europee e la fenomenologia trascendentale, incompiuta e pubblicata postuma nel 1954. In

quest’opera il Filosofo aveva come obiettivo non secondario proprio la “critica della cultura”: la

scienza positivista era responsabile della crisi dei valori che caratterizzava la sua epoca, l’unica

soluzione era il ritorno alla Lebenswelt:“…l’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo,

la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze

positive e con cui si lasciò abbagliare dalla «prosperity» che ne derivava, significò un

allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica.19” I problemi cui il

Filosofo fa riferimento concernono “l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante

umano ed extra-umano”, concetto che avrebbe costituito una premessa -come vedremo nel Capitolo

Terzo - alla nascita del Principio Responsabilità.

16 Cfr: Luca Guidetti, Filosofia e biologia. Filosofia della vita e dell’organismo in Hans Jonas, dispense di Filosofia

Teoretica, Anno Accademico 2005-2006, Università di Bologna, p. 28.

17 Ibidem p. 29.

18 Idem.

19 Citazione tratta da: Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee, traduzione italiana di E. Filippini, Milano, Il

Saggiatore, 1961, p. 35.

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In seguito la sua attenzione venne richiamata da un’altra dottrina che si faceva largo nel

panorama filosofico tedesco, l’esistenzialismo di Martin Heidegger20

.

Interrogandosi sul senso dell’essere Martin Heidegger introdusse il concetto di Dasein21

; nel

1946 egli scriveva: “Da-sein è una parola chiave del mio pensiero, che dà perciò luogo a gravi

fraintendimenti. Per me Da-sein non significa tanto “me voilà” quanto piuttosto -se mi è consentito

esprimerlo in un francese forse impossibile- «être le-là». E «le-là» corrisponde ad Aleteia:

svelatezza-apertura22.”

Nel pensiero di Martin Heidegger l’essere, la sua “svelatezza-apertura” è un’apertura verso

il mondo e verso gli altri. Il rapporto tra l’essere e gli altri è un prendersi cura degli altri così come

di tutto ciò che ci circonda: “…l’Esserci si mantiene innanzitutto e per lo più nei modi difettivi

dell’aver cura. L’essere l’uno per l’altro, l’uno contro l’altro, l’uno senza l’altro, il trascurarsi l’un

l’altro, il non importare all’uno dell’altro, sono modi possibili dell’aver cura. Sono proprio i modi

citati per ultimi, cioè i modi della deficienza e della indifferenza, quelli che caratterizzano l’essere-

assieme quotidiano e medio. Questi modi di essere rivelano il carattere della non-sorpresa

[Charakter der Unauffälligkeit] e della ovvietà che sono propri del con-Esserci quotidiano e

20 L’Esistenzialismo o Filosofia dell’Esistenza è una corrente filosofica che si afferma subito dopo la prima guerra

mondiale in Francia e si diffonde in Europa nel periodo tra le due guerre, proseguendo anche nel secondo dopoguerra.

Essa concepisce l’esistenza umana come centro della sua indagine: tale esistenza è caratterizzata dalla finitezza, dato

che l’uomo è mortale. Hans Jonas ci fa notare che in realtà Martin Heidegger non ha mai utilizzato tale espressione per

descrivere la sua teoria filosofica che è invece emersa, in relazione alla Filosofia di Heidegger, attorno agli anni 1940.

Cfr.: Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, op. cit., p. 35. Al contrario infatti, nella Lettera sull’«Umanismo»

Martin Heidegger esprimeva diffidenza nei confronti degli “ismi”, anche se, continuava il Filosofo, “il mercato

dell’opinione pubblica ne pretende sempre di nuovi”. L’uomo secondo Martin Heidegger dovrebbe distogliere la

propria attenzione dalle definizioni: “…se l’uomo ancora una volta deve ritrovare la vicinanza dell’essere, deve prima

imparare a esistere nell’assenza di nomi.”. Cfr.: Martin Heidegger, Lettera sull’«Umanismo», a cura di Franco Volpi,

Adelphi, 1995.

21 La traduzione italiana di Dasein risulta, come per molti altri termini coniati da Martin Heidegger, molto problematica.

Il termine tedesco “da” sta ad indicare uno spazio ideale situato tra “qui” e “lì”, le traduzioni italiane lo rendono con il

suffisso “ci”; il Dasein diventa quindi Esserci, termine che però fissa il concetto in una mera localizzazione spaziale,

tralasciando le sfumature del tedesco che trasmettono qualcosa di più ambiguo riguardo il modo con cui l’essere

manifesta la sua presenza. Considerando che nella filosofia di Martin Heidegger l’essere non è mai considerato come

uno stato bensì come un compito cui adempiere, il Prof. Gino Zaccaria ha recentemente proposto una nuova traduzione

del termine: “ad essere”, il prefisso latino “ad” coglie il senso del principio di un’azione, della direzione verso uno

scopo, del dispiegamento dell’essere. Si veda a tal proposito Gino Zaccaria, L’inizio greco del pensiero. Heidegger e

l’essenza futura della filosofia, Milano, Marinotti Edizioni,1999.

22 La citazione tratta da: Martin Heidegger, Lettera sull’«Umanismo», a cura di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 1995,

p. 108.

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intramondano così come lo sono dell’utilizzabilità del mezzo di cui ci si prende quotidianamente

cura.23”

Hans Jonas avrebbe proposto una sua definizione di Dasein: “…quell’essere […] che si

preoccupa sempre di qualcosa”, ma -prosegue Hans Jonas- “perché il Dasein deve sempre

preoccuparsi di qualcosa e, in ultima analisi di se stesso,? Risposta: perché diversamente

tramonterebbe, perché è costantemente esposto al nulla. Così […] si manifesta la sua precarietà, il

suo essere costantemente minacciato: proprio perché è mortale deve preoccuparsi del proprio

esistere in quanto tale. Quest’ultimo viene conquistato, di volta in volta, nel costante sovrastare

della morte. Perciò il modo di essere fondamentale del Dasein è detto Sorge (cura) 24.”.

Secondo Hans Jonas il Dasein come “cura” era molto più vicino alla dimensione naturale

della nostra esistenza di quanto non lo fosse la coscienza pura di Edmund Husserl, poiché

sottolineava il suo carattere mortale, ma entrambe le posizioni trovavano il loro limite nel carattere

puramente idealistico della Filosofia tedesca: né l’esistenzialismo né la fenomenologia potevano

spiegare i bisogni naturali e concreti dell’uomo, non sapevano spiegare l’espressione “ho fame25”.

La fenomenologia non poteva farlo in quanto era in grado di spiegare solo dati appartenenti

alla sfera della coscienza, mentre l’esistenzialismo proponeva una mortalità solo astratta, introdotta

per rafforzare il concetto di esistenza.

Secondo Hans Jonas furono proprio le conoscenze maturate alla scuola di Heidegger a

fornirgli gli strumenti per considerare aspetti del pensiero gnostico che sino ad allora non erano mai

stati individuati26

. Il significato che il Filosofo attribuiva ai suoi studi gnostici è descritto in

Gnosticim and Modern Nihilism, scritto nel 195227

: lo gnosticismo rappresenta il primo esempio di

paradigma dualistico come frattura tra uomo e mondo extraumano da una parte, e tra mondo e Dio

dall’altra. Il divino, al pari dell’uomo, non fa parte della Natura ed essa assume una connotazione

negativa rispetto alla vita dell’uomo, diventa sua nemica. La sensazione di estraneità -nichilismo è il

termine utilizzato da Hans Jonas- caratterizza tanto l’uomo gnostico quanto quello moderno. Ed è

23 La citazione è tratta da Martin Heidegger, Essere e Tempo, traduzione italiana di Paolo Chiodi, Torino, UTET, 1969,

p. 209.

24 La citazione è tratta da: Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, op. cit., p. 35. Il termine cura viene

rinvenuto in genere nelle traduzioni italiane delle opere di Martin Heidegger, chi scrive ritiene che sarebbe meglio

parlare di preoccupazione, attenzione, curatela.

25 La citazione è tratta da: Hans Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila, op. cit., p. 36.

26 Si veda Hans Jonas, Wissenschaft als persönliches Erlebnis, op. cit., p.18.

27 Hans Jonas, Gnosticism and Modern Nihilism, in: «Social Research», XIX, 1952.

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proprio questo il nesso logico che collega la prima fase degli studi e del pensiero di Hans Jonas alla

seconda, La Filosofia della Vita.

Durante questo “secondo periodo” le riflessioni di Hans Jonas sull’Organismo sono volte ad

una riconsiderazione del rapporto uomo-Natura. Il Filosofo intende restituire a tutto il regno del

vivente la dignità spirituale che la scienza moderna ha cancellato.

Il concetto di Libertà nel Fenomeno della Vita

L’elaborazione della Filosofia della Vita da parte di Hans Jonas fu influenzata dal concetto

di “sostanza” proposto da Baruch Spinoza28

, che aveva rappresentato l’alternativa e la via d’uscita

dall’impasse cui rimanevano ancorati materialismo e idealismo. Nel pensiero di Baruch Spinoza

anima e corpo sono due aspetti diversi e inseparabili della stessa realtà.

Attraverso il concetto di “sostanza”, tutti gli organismi potevano essere intesi come totalità;

il concetto di macchina poteva essere definitivamente abbandonato e tutta la Natura poteva essere

considerata vivente; l’anima poteva essere accordata agli animali, alle piante così come all’uomo29

,

ma non si trattava della stessa anima, vi erano tanti tipi di anima quanti erano i tipi e i gradi di

organizzazione vitale. L’uomo era sì parte della Natura, ma veniva considerato il gradino più alto

della gerarchia che veniva così a crearsi nel mondo della Natura stessa.

28 Baruch Spinoza (Amsterdam 1632- L’Aja 1677) nacque da una famiglia ebraica costretta ad emigrare dal Portogallo

all’Olanda, a seguito dell’intolleranza religiosa nei confronti degli Ebrei. Frequentò la scuola della Comunità ebraica di

Amsterdam, studiando in maniera approfondita l’Antico Testamento e la lingua ebraica. Maturò però in lui

un’insoddisfazione nei confronti della vita e della religione ebraica che lo spinsero a distaccarsi dall’ebraismo e a

studiare il latino. Nel 1649, dopo la morte del fratello maggiore Isaac, fu costretto ad abbandonare gli studi per aiutare

il padre Michael nella conduzione dell'azienda commerciale della famiglia. Nel 1656 venne scomunicato ed espulso

dalla comunità ebraica, probabilmente perché non accettava l’idea dell’immortalità dell’anima. Spinoza fu costretto a

lasciare la casa del padre e dopo poco tempo dovette lasciare anche Amsterdam per trasferirsi in un piccolo villaggio nei

pressi di Leida. Nel 1673 rifiutò l’offerta di una cattedra di Filosofia presso l’Università di Heidelberg, temendo che la

sua libertà di ricerca sarebbe stata limitata. Le sue idee, infatti, suscitavano reazioni ostili tanto negli ambienti ebraici,

quanto in quelli protestanti. Le sue opere più importanti sono: Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità (1656-

1661), Ethica, more geometrico demenstrata (postuma, 1677), Trattato teologico-politico (1670), Tractatus politicus

(postuma, 1677), Tractatus de intellectus emendazione (postuma, 1677). Si veda M. Trombino, Filosofia. Testi e

Percorsi. Dall’Umanesimo all’Illuminismo, Bologna, Poseidonia , 1997, p. 417.

29 Cfr.:« Spinoza e la teoria dell’organismo», in: Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, op. cit., pp. 321-

322

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Hans Jonas rintracciò nella filosofia di Baruch Spinoza le basi della sua Filosofia

dell’Organismo30

. Come si cercherà di illustrare nei paragrafi che seguono anche Hans Jonas

accordava all’uomo una certa superiorità rispetto al resto dei viventi, in quanto il corpo umano

disporrebbe di una maggiore libertà derivante soprattutto dalla capacità di riflettere ed immaginare.

Ciò non significa che il pensiero del Filosofo sia su posizioni di antropocentrismo, ma tale

convincimento crea la base filosofica per la successiva sua postulazione della Responsabilità umana

nei confronti della Natura31

, un’alta necessità.

Hans Jonas ha accordato all’uomo una differenza rispetto al restante mondo vivente che non

giustifica il suo potere distruttivo che oggi minaccia il Pianeta, anzi è questa sua qualità che deve

spingerlo alla riflessione sulle sue responsabilità.

La filosofia di Baruch Spinoza venne interpretata da Hans Jonas come il primo tentativo di

difendere la Natura, di combattere, almeno sul piano filosofico, contro la considerazione della

Natura come funzionale all’uomo32

.

Il concetto di “sostanza” era, secondo Hans Jonas, un antesignano del suo concetto di

“libertà bisognosa”, un ossimoro che spiega il modo in cui l’essere vivente «è». L’individuo, infatti,

deve compiere uno sforzo per soddisfare le necessità materiali del proprio corpo, -mangiare, bere,

dormire- non si può sottrarre a questa materialità se non a prezzo della propria vita. Per soddisfare

le proprie necessità l’essere vivente rivolge la propria attenzione all’ambiente circostante e

attraverso il metabolismo mette in atto quello scambio di materia che gli permette di sopravvivere.

Man mano che si procede dal livello dell’ameba a quella dell’uomo la possibilità di sottrarsi

alle necessità corporali cresce proporzionalmente, fino a giungere all’uomo che può decidere di

sottrarsi all’asservimento del corpo: la perdita della propria vita in questo caso sarebbe tanto

inevitabile quanto intenzionale.

L’unità psico-fisica di cui parla Hans Jonas nell’opera On the Power or Impotence of

Subjectivity33

è l’unità tra le relazioni psico-fisiche dell’uomo e le azioni che deve compiere per

rimanere al mondo.

30 “L’interesse di Spinoza non consisteva, è vero, in una dottrina dell’organismo, ma in una fondazione metafisica della

psicologia e dell’etica; tuttavia, incidentalmente, la sua formazione metafisica lo mise in condizione di spiegare le

caratteristiche dell’esistenza organica molto meglio di quanto il dualismo e il meccanicismo cartesiano non fossero in

grado di fare.”. Cit.: Hans Jonas, ibidem, p. 308.

31 La Responsabilità dell’uomo nel pensiero di Hans Jonas deriva dal potere ormai troppo grande che l’uomo esercita

sul resto della Natura. Ma ciò verrà analizzato nel capitolo successivo. Per ora interessa notare che nella sua seconda

fase di riflessione filosofica Hans Jonas aveva creato le basi filosofiche per la sua nuova etica, culmine del suo percorso.

32 Cfr.: Hans Jonas, « Spinoza e la teoria dell’organismo», op. cit., pp. 321-322

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La forma organica sta in un rapporto di “libertà bisognosa” con il mondo circostante.

Riprendiamo qui le parole stesse del Filosofo: ”…the organic form stands in a dialectical relation

of needful freedom to matter…34”. Egli proseguiva dicendo: “…this double aspect shows in the

terms of metabolism itself: denoting, on the side of freedom, a capacity of organic form, namely to

change its matter, metabolism denotes equally the irremissible necessity for it to do so…35”.

E’ da sottolineare che, a proposito delle riflessioni del Filosofo sul rapporto organismo-

ambiente, fu forte l’influenza dell’amico Ludwig von Bertalanffy36

, Biologo e Professore

all’Università Cattolica di Ottawa. I due, che si conobbero nel 1949 quando Hans Jonas si trasferì a

Montreal, amavano scambiarsi opinioni riguardo Natura ed organismo vivente.

Ludwig von Bertalanffy ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della biologia teoretica

postulando la teoria del “sistema aperto”: l’organismo è un sistema aperto, in quanto esso è in

rapporto continuo con l’ambiente circostante attraverso il proprio metabolismo. Vi è uno scambio

continuo di materia tra gli organismi e l’ambiente circostante, essi quindi vivono in equilibrio

instabile o “equilibrio fluente” come lo definiva Ludwig von Bertalanffy .

Hans Jonas riprendendo questa definizione afferma che il metabolismo costituisce

un’emancipazione della forma dall’identità immediata della materia: la materia inerte non ha

scambi con l’esterno quindi rimane sempre uguale a se stessa, forma e materia coincidono. La

materia vivente, al contrario, è in continuo divenire, in continuo cambiamento, in quanto per vivere

e autoconservarsi attua il processo di scambio metabolico prima descritto37

.

Nello sforzo di autoconservazione proprio dell’essere vivente è da rintracciare la radice

finalistica38

della Natura; ma per farlo l’organismo deve essere considerato come un’unità e nella

storia delle idee -come descritto nel paragrafo successivo- non è sempre stato così.

33 Pubblicato per la prima volta in: Philosophical Dimensions of the Neuro-Medical Sciences, a cura di Stuart F. Spicker

e H. Tristam Engelhard, Dordrecht-Boston, Reidel Publishing Company, 1976.

34 La citazione è tratta da Hans Jonas, «Is God a Mathematician?», in: The Phenomenon of Life, op. cit., p.81.

35 Cit.: «Is God a Mathematician?», op. cit., p. 83.

36 Ludwig von Bertalanffy (Vienna, 1901 – New York 1972) negli anni 1950 fondò la Teoria generale dei sistemi, una

ricerca interdisciplinare che aveva l’obiettivo di superare la crisi che la biologia alla fine degli anni Venti si trovava ad

affrontare, giacché non potevano ritenersi accettabili né le conclusioni meccanicistiche né quelle vitalistiche. Tra le sue

opere principali troviamo: Kritische Theorie der Formbildung, Berlin, Gebruder Borntraeger, 1928 e The General

System Theory, New York, George Braziller, 1968.

37 Cfr.: Organismo e libertà, op. cit. pp. 114-119.

38 Il Filosofo riprende la dimensione antica di telos di cui si è parlato poche pagine addietro.

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45

Tale riflessione si intreccia ad un’altra, quella sulla polarità tra essere e non-essere:

l’organismo è sospeso tra la vita e la negazione della vita, ovvero il non-essere. La vita è mortale

anche se è vita; la morte appartiene inscindibilmente all’essenza della vita.

Una tale affermazione si lega, in primo luogo, alle riflessioni del Filosofo sull’eutanasia39

: la

vita non deve essere difesa a tutti i costi, l’uomo ha diritto ad essere lasciato morire, perché la morte

è parte della vita. In secondo luogo, essa si lega alle preoccupazioni del Filosofo riguardo la

minaccia tecnologica: il dominio dell’uomo sulla Natura, messo in atto attraverso la tecnologia,

espone la vita alla minaccia continua del non-essere, che in tal caso non è parte naturale della vita,

ma pericolo causato dall’uomo stesso che, così facendo, mette a repentaglio la vita del Pianeta.

Secondo Hans Jonas la Filosofia della Vita comprende la Filosofia dell’Organismo e la

Filosofia dello Spirito. Scriveva il Filosofo: “A philosophy of life comprises the philosophy of the

organism and the philosophy of mind. This is itself a first proposition of the philosophy of life […].

For the statement of scope expresses no less than the contention that the organic even in its lowest

forms prefigures mind, and that mind even on its highest reaches remains part of the organic…40”.

Affermando che anche la vita vegetale, così come quella animale possiede una propria

interiorità, Hans Jonas sta cercando di spiegare perché alla vita debba essere accordato un valore

intrinseco che l’uomo deve rispettare, si tratta quindi di un passaggio nodale nella costruzione di

una filosofia rivolta alla salvaguardia del Pianeta.

Il filo conduttore della Filosofia della Vita delineata da Hans Jonas è il concetto di libertà.

Vivere in libertà significa vivere con la continua minaccia della morte, in altre parole esistenza

significa essere in continuo confronto con il non-essere.

L’uomo si è sempre interrogato sulla natura dell’essere, sull’esistenza, ma mai sull’essere

della Natura. Hans Jonas pone la domanda sul senso del mondo dall’interno. Il fenomeno che egli

pone al centro dell’attenzione non è l’esserci dell’uomo o della coscienza, come era stato per la

fenomenologia e per l’esistenzialismo, ma la presenza della vita.

Il Filosofo individua la prima forma di libertà nel livello basilare di tutta l’esistenza

organica, il metabolismo. Il metabolismo tuttavia -prosegue Hans Jonas- da solo non definisce la

vita animale. Il processo metabolico, infatti, si ritrova in tutti gli esseri viventi ma solo negli animali

si congiunge all’azione, come dimostrazione della sua maggiore libertà rispetto alla vita vegetale.

39 Le riflessioni su eugenetica ed eutanasia sono analizzate nel Capitolo Quarto.

40 La citazione è tratta da: Hans Jonas, «Is God a Mathematician?», in: The Phenomenon of Life, op. cit., p. 1.

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46

Tre caratteristiche distinguono la vita animale da quella vegetale secondo Hans Jonas:

capacità motoria, percezione e sentimento41

.

La locomozione nell’animale è inseguimento o fuga, in entrambi i casi l’animale misura le

sue forze motorie con quelle del suo avversario e ciò non rivela solo facoltà motorie, ma anche

capacità di sentimento: la fame è alla base della caccia e la paura alla base della fuga.

Mirare a qualcosa, appetire, sono -secondo Hans Jonas- la dimostrazione del fatto che degli

impulsi sono presenti in tutto il vivente in generale, ma, prosegue il Filosofo, le condizioni animali

differiscono da quelle vegetali ed è la mobilità a rendere percepibile la differenza: essa consiste

nell’inserimento della distanza tra l’istinto e il suo appagamento, cioè la percezione di un obiettivo

come lontano.

Nella vita animale vi è sempre un vuoto da colmare. Per l’animale, infatti, gli oggetti

rilevanti dell’ambiente sono sempre ad una certa distanza, mentre tra la pianta e l’ambiente che le

fornisce acqua e sostanze nutritive vi è contiguità. Il movimento nello spazio è, secondo il Filosofo,

una espressione della dimensione di libertà propria degli animali.

Se tramite percezione e movimento l’animale acquisisce la libertà nello spazio, è tramite il

sentimento che esso esperisce il desiderio: lo sforzo prolungato nel tempo per raggiungere un fine,

la separazione temporale tra soggetto e oggetto determinano la nascita del desiderio.

Il movimento indotto dalla percezione e spinto dal desiderio trasforma il “là” in “qui” e il

“non ancora” in “adesso42”: il movimento animale ha sempre una dimensione intenzionale. Alla

libertà del movimento, inoltre, è sempre connessa la dimensione del rischio: l’azione può avere

come risultato la soddisfazione del desiderio o il fallimento: “l’essere animale è nella sua essenza

essere passionale” e la passione si collega alle “possibilità gemelle di piacere e sofferenza,

entrambe sposate alla fatica.43”.

Un’ulteriore argomentazione a favore del maggior grado di libertà proprio degli animali è la

possibilità di “vedere”. Hans Jonas ha dedicato un saggio al senso della vista, celebrata dalla

filosofia greca come il sommo tra i cinque sensi, The Nobility of Sight44

. L’esaltazione della vista

deriva dal fatto che essa stessa, secondo il Filosofo, gode di un maggior margine di libertà rispetto

agli altri sensi. Essa, infatti, permette di percepire “molte cose una accanto all’altra come parti

coesistenti […] e compie ciò in un attimo […] un unico sguardo45.”

41 Si veda a tal proposito il saggio di Hans Jonas «To Move and To Feel: On the Animal Soul», ibidem, pp. 99-107.

42 Cit.: Hans Jonas, Organismo e libertà, op. cit., p. 142.

43 Cit.: Ibidem, p. 142.

44 Hans Jonas, «The Nobility of Sight», in: The Phenomenon of Life, op. cit., p.135-152.

45 Cit.: Hans Jonas, Organismo e libertà, op. cit., p. 180.

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47

Ma è con l’uomo che la libertà raggiunge la sua espressione più alta, in termini di

intenzionalità, ma anche in rapporto alla sua capacità di esprimersi attraverso il linguaggio e la

raffigurazione.

Il tratto peculiare della vista consiste -secondo Hans Jonas- nella possibilità che essa offre

all’uomo di percepire di immagini: l’immagine vista viene trasmessa all’intelletto, che può trattare

con essa in completo distacco dalla presenza reale dell’oggetto. L’uomo è capace di creare nella sua

mente e poi di riprodurre46

ciò che percepisce attraverso la vista.

Nella rappresentazione figurativa il soggetto si appropria dell’oggetto e lo riproduce

trasformandolo. L’immagine, infatti, non è mai identica, ma simile all’originale e soprattutto il

soggetto ha la capacità di modificare l’oggetto rappresentandolo.

L’uomo percepisce sia l’immagine, sia l’oggetto rappresentato, mentre per l’animale la

somiglianza non ha lo stesso significato, non riesce a distinguere l’immagine da ciò che viene

rappresentato47

.

Hans Jonas scriveva: “…expressing both in one indivisible evidence, homo pictor represents

the point in which homo faber and homo sapiens are conjoined –are indeed shown to be one and

the same…48”.

La genesi dell’immagine si lega, infine, alla genesi del linguaggio: ciò che viene percepito

può essere raffigurato oppure spiegato attraverso la parola. Raffigurazione e linguaggio sono due

modi di ricreare il mondo, attraverso simboli diversi: immagini nel primo caso, parole e suoni nel

secondo.

Siamo passati così dalla Filosofia dell’Organismo alla Filosofia dell’Uomo49

: ogni pagina ha

visto crescere la mediatezza del rapporto dell’organismo con l’ambiente fino alla sua ricreazione

attraverso simboli.

L’ultimo gradino è la dimensione della riflessione, in cui il soggetto diviene anche oggetto.

L’uomo inizia a porsi la domanda: “…what is man’s, what is my place and part in the scheme of

46 Si veda il saggio di Hans Jonas Homo pictor und die Differentia des Menschen, in: «Zeitschrift für die philosophische

Forschung», XV, 1961.

47 Hans Jonas spiega questo concetto con l’esempio dello spaventapasseri: sia l’uomo che l’uccello possono vedere la

somiglianza di uno spaventapasseri ad una figura umana, ma mentre l’uomo percepisce questa somiglianza come

relazione tra immagine e oggetto rappresentato, l’animale non può cogliere una siffatta relazionalità; “dove noi

percepiamo mera somiglianza, l’animale percepisce o un medesimo o un diverso, ma non tutti e due in uno”. Cfr.:

Organismo e libertà, op. cit., p. 214.

48 La citazione è tratta da: Hans Jonas, «Image-making and the Freedom of Man», in: The Phenomenon of Life, op.cit.,

p. 173.

49 Si veda il paragrafo «Transition», in: The Phenomenon of Life, op. cit.

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48

things?...50”. “Il suicidio -scriveva Hans Jonas- questo privilegio unico dell’uomo

51, mostra il

grado estremo in cui l’uomo può divenire oggetto di se stesso.”.

La libertà non può solo essere vista come virtù: l’essenza della libertà umana va ricercata nel

suo rapporto con l’intero mondo della vita e da essa nasce quell’”obbligazione” nei confronti della

Natura che sarà il tema di Das Prinzip Verantwortung52

.

La critica contro una visione meccanicistico-matematica della Natura

Prima di passare alla riflessione sul Principio Responsabilità viene qui analizzato il saggio

«Is God a Matematician?»53

, nel quale Hans Jonas pone sotto accusa l’affermazione dell’astronomo

inglese James Jeans (1877-1946) risalente al 1933: “il grande architetto dell’universo comincia ad

apparire come un puro matematico54”.

La visione meccanicistico-matematica della Natura può spiegare -argomenta Hans Jonas-

l’esistenza della natura inanimata come semplice aggregazione della materia, ma la stessa

spiegazione non può in alcun modo applicarsi all’essere degli organismi viventi. Di fronte ad

organismi così organizzati una teleologia non può essere negata, al contrario di quello che la scienza

moderna vuole farci credere.

Nell’antichità l’esistenza non rappresentava un problema: per l’uomo antico ovunque vi era

vita, esistere significava essere vivi e l’anima pervadeva tutta la realtà. La condizione naturale era la

vita, mentre la morte, quale negazione della vita stessa, rappresentava l’innaturale e

l’incomprensibile.

E’ proprio di fronte al problema della morte che si è affacciata la teoria dualistica: il corpo

viene separato dall’anima. Così la morte non è più la negazione della vita, essa è solo la morte del

corpo, l’anima sopravvive. Sono nati così i dualismi corpo-anima, spirito-materia, soma (corpo)-

(sema) anima che culminano nella filosofia cartesiana nel dualismo tra res extensa e res cogitans.

50 La citazione è tratta da: «Transition», ibidem, p. 185.

51 Cit.: Hans Jonas, Organismo e Libertà, op. cit., p. 237. Questo aspetto non può essere accolto senza discussione, da

qui si comprende come il Filosofo non abbia lavorato con sufficiente vicinanza ad etologi e naturalisti: è in effetti noto

come gli animali (superiori: quelli di cui abbiamo cioè notizia) si suicidino. Basti pensare agli animali che si lasciano

morire di fame in cattività, negli zoo e così via.

52 Hans Jonas, Organismo e Libertà, op. cit., p. 238.

53 Il saggio è apparso per la prima nel 1951 nella rivista «Measure» e poi ripubblicato in: The Phenomenon of Life:

Towards a Philosophical Biology, op. cit., pp. 64-92.

54 Cit.: Hans Jonas, «Dio è un matematico?», in: Organismo e Libertà, op. cit., p. 95.

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49

Il pensiero moderno si trova, invece, nella situazione esattamente opposta: la morte è un

fatto naturale, la comprensione della vita è problematica. Questo è potuto accadere perché la scienza

moderna ha preso in considerazione solo il corpo, eliminando la parte spirituale. Il vitalismo in

epoca moderna viene sostituito dal meccanicismo, secondo la cui teoria tutto è materia e la materia

è priva di ogni tratto vitale.

L’aspetto soggettivo era stato ignorato già dal dualismo cartesiano, che considerava la

soggettività un campo completamente separato dal sistema di cause ed effetti naturali, ma anche

dall’epifenomenalismo55

, ossia la risposta materialistica secondo cui lo spirito sarebbe un fenomeno

secondario, ininfluente per i processi corporei che seguono regole proprie.

Il veicolo che ha condotto l’uomo dal monismo vitalistico al monismo materialistico è stato

il dualismo al quale il tema della morte aveva aperto la strada. A sua volta il dualismo portava già in

nuce due differenti posizioni filosofiche: il materialismo e l’idealismo. Entrambe si basavano sulla

polarizzazione che il dualismo aveva generato e trovavano la loro collocazione rispettivamente in

uno dei due poli. La contraddizione si manifesta nel fallimento causato dalla loro riduzione di un

elemento all’altro.

Nel caso del materialismo tale fallimento avviene in relazione alla coscienza,

all’individualità che viene ridotta ad elemento accessorio; nel caso dell’idealismo, invece, in

relazione al corpo, alla materia la cui esistenza viene accantonata. “La pura coscienza -scriveva

Hans Jonas- è tanto poco viva quanto la pura materia che le sta di fronte […]. Entrambe sono

prodotti di fissione dell’ontologia della morte.56”.

“Il corpo organico designa, secondo Hans Jonas, la crisi latente di ogni ontologia

conosciuta57”, poiché in esso interiorità ed esteriorità coincidono: la forma esterna del corpo

vivente è organismo e causalità, la forma interna è soggettività, individualità e finalità.

L’isolamento di res cogitans e res extensa, quale retaggio del dualismo, invece di rendere

comprensibile la vita ha fatto nascere problemi ai quali non ha dato soluzione.

La scienza moderna, partendo da premesse materialistiche, si è concentrata sulla res extensa

e ha ridotto la causalità teleologica a quella meccanica, con grandi vantaggi per la descrizione

analitica del mondo, ma con la rinuncia a rendere comprensibile il “Fenomeno della vita”.

55 L'epifenomeno costituisce un evento accessorio che si sviluppa accanto alla relazione causale principale, ma che, per

definizione, è privo di qualsiasi effetto sugli altri fenomeni coinvolti. Tale concetto venne introdotto dai positivisti

inglesi del XIX secolo per caratterizzare la coscienza, considerata come un fenomeno secondario che accompagna i

fenomeni corporei. Da: Dizionario di Filosofia, Firenze, La Nuova Italia, p.133.

56 Cit.: Hans Jonas, Organismo e libertà, op.cit., p. 29.

57 Ibidem, p. 27.

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50

Secondo Hans Jonas la tradizione giudaico-cristiana ha decretato la perdita dell’ordine

razionale e del valore intrinseco della Natura, caratteristiche della tradizione greca classica. Il

mondo, secondo la visione giudaico-cristiana, era creazione di un Dio onnipotente e solo l’uomo era

stato creato ad immagine e somiglianza di Dio; cielo, terra e tutto ciò che li popolano erano l’opera

delle sue mani e non la sua immagine.

La tradizione giudaico-cristiana, quindi, insieme alla divisione cartesiana della realtà in res

extensa e res cogitans, aveva preparato il farsi largo di un’immagine puramente meccanicistica e

quantitativa del mondo naturale. Ma fu la teoria dell’evoluzione di Darwin ad eliminare

definitivamente la teleologia dalla Natura, sostituendola con la selezione naturale che in realtà

spiega -secondo Hans Jonas- la scomparsa degli esseri viventi e non la loro comparsa che è invece

lasciata alla sorte, alla casuale mescolanza di caratteristiche durante la riproduzione sessuale.

Ma se l’evoluzione -argomenta Hans Jonas- pone l’uomo non più in un rapporto di

discontinuità con gli animali, bensì di continuità, allora non è legittimo togliere alle forme animali

la spiritualità: “la continuità dell’origine che unisce l’uomo con il mondo animale rende d’ora in

poi impossibile considerare il suo spirito come l’irruzione brusca di un principio ontologico

estraneo proprio in questo punto dell’intero flusso della vita.58”. Ed è questo un ulteriore passo

nodale che porta il pensiero di Hans Jonas a posizionarsi nel quadro delle figure di spicco operanti

per il rispetto ambientale e, nel quadro ambientale, per il rispetto degli animali-non umani come

valore intrinseco.

Se la Natura fosse governata da leggi meccanicistico-matematiche, se fosse in altre parole

frutto dell’azione di un “Dio matematico”, l’organismo sarebbe concepito come una macchina e il

metabolismo sarebbe ridotto ad un processo meccanico di alimentazione.

Non è possibile, prosegue Hans Jonas, equiparare l’organismo ad una macchina. La

macchina, infatti, quando non viene più alimentata smette di funzionare, ma continua ad esistere. Al

contrario, se il metabolismo dell’organismo viene interrotto esso muore.

In una concezione meccanicistica la successione degli eventi che definisce il funzionamento

della macchina è sempre determinata, mentre l’organismo vivente attraverso il metabolismo è -

come già sottolineato- in continuo pericolo. La macchina, inoltre, a differenza dell’organismo non

prova insoddisfazione se manca l’obiettivo per il quale è stata costruita.

Questa è la critica di Hans Jonas al modello cibernetico che riduceva la natura animale a

percezione e movimento, mentre essa è costituita -come sottolineato nel paragrafo precedente-

58 Cit.: Hans Jonas, Organismo e libertà, op.cit., p. 72.

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51

anche dal sentimento. La cibernetica confonde il servire ad uno scopo con l’avere uno scopo, e

ancora essa confonde lo scopo con la mera esecuzione di una funzione59

.

Le conclusioni di Hans Jonas sono le seguenti: non vi è organismo senza teleologia e non vi

è teleologia senza interiorità. Pertanto la vita non può essere compresa attraverso una visione

meccanicistico-matematica, di cui la visione di un “Dio matematico” è simbolo. Ne discende che

essendo il Pianeta il sommo organismo vivente, e non già una macchina, il pericolo a suo danno è

sempre in agguato ed il pericolo, per Hans Jonas, è scatenato da tecnica e tecnologia umane quando

deprivate di valori etici.

59 A tal proposito si veda il saggio di Hans Jonas A Critic of Cybernetics, in :«Social Research», XX, 1953 e Organismo

e libertà, op. cit, pp. 164 e ss.

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52

Capitolo Terzo

Das Prinzip Verantwortung: un’Etica per la salvaguardia del Pianeta

Viene ora analizzato il nucleo fondamentale del pensiero di Hans Jonas, quello degli anni

1970-1980, periodo intellettuale incentrato sui grandi temi degli effetti della tecnologia nella società

contemporanea e del rapporto tra etica e progresso tecnico-tecnologico. La pubblicazione nel 1979

dell’opera considerata il capolavoro di Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, fu il coronamento

delle riflessioni di quegli anni.

Ciò che colpisce durante la lettura del libro è la straordinaria attualità dei temi trattati,

nonostante il volume abbia oramai quasi trent’anni. La voce di Hans Jonas, che si eleva dalle

pagine, conduce ad una riflessione molto grave: nulla è stato fatto per difendere la nostra vera unica

“patria1” -come il Filosofo la chiama-, la Natura.

Ricordando come egli sia deceduto nel 1993, subito dopo la Conferenza di Rio de Janeiro

del 19922 e, dato l’aggravarsi da allora degli squilibri e danni che colpiscono il Pianeta, si può ben

immaginare quale sarebbe la sua reazione nel constatare che, ancora una volta, tutti gli

appuntamenti internazionali presi per la salvaguardia ambientale sono stati traditi, con l’aggravio

della situazione, come dimostrano per esempio gli studi sulla desertificazione e sul Global

Warming3. Mai come oggi la voce di Hans Jonas è viva ed agisce nelle coscienze della gente

comune, dei politici sensibili e preparati, delle istituzioni internazionali.

1 Cit.: “Weltheimat”, Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit. p. 245.

2 Per ulteriori informazioni riguardo la Conferenza di Rio de Janeiro si veda il paragrafo finale di questa trattazione, Il

Principio Responsabilità e il diritto internazionale: Sviluppo Sostenibile e Principio di Precauzione.

3 A tal proposito si veda il rapporto sul cambiamento climatico a cura dell’Onu dal titolo Climate Change 2007, la

comunicazione della Commissione Europea, Limiting Global Climate Change to 2 degrees Celsius. The way ahead for

2020 and beyond e il film-documentario di Albert Gore, An Inconvenient Truth. Per completezza di informazione si

vedano le note n. 6-7-8 della Prefazione a questa trattazione.

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53

Il Prometeo scatenato4, come Hans Jonas definisce l’uomo tecnologico, detentore di un

potere incomparabile e incontrastato che lo porta alla rovina e all’autodistruzione, deve trovare in

un nuovo principio il proprio limite e potrà trovarlo in un principio di responsabilità globale, verso

l’uomo e verso la Natura di tipo affidatario, che intende cioè la responsabilità come cura e

affidamento5.

Il Filosofo propone in questa sua opera un vero e proprio programma morale -egli lo

definisce Tractatus technologico-ethicus6- che gli uomini dovrebbero seguire prima di tutto per

cambiare loro stessi onde, poi, essere in grado di agire correttamente nei confronti dell’ambiente.

Solo così potranno essere risolte problematiche che hanno raggiunto un punto critico, con

condizioni in molti casi senza ritorno.

Il Principio Responsabilità si pone come un tentativo, anzi finora il tentativo più completo,

di rispondere al bisogno di un’etica per la civiltà tecnologica. E’ un bisogno che nasce dalle

contraddizioni che scaturiscono dal rapporto dell’uomo con la tecnologia, dalla troppa fiducia che

l’uomo ripone in essa. A tale discussione Hans Jonas contrappone la sua riflessione sulla Natura e

sulla vita in generale, che l’uomo tecnologico ha messo in crisi e minaccia di continuo.

L’opera venne scritta in Tedesco, dopo decenni di produzione filosofica in Inglese, in

ragione del fatto che un’equivalente trattazione in una lingua acquisita sarebbe costata ad Hans

Jonas troppo tempo, come egli stesso scriveva7. Considerando anche l’urgenza dei temi trattati e la

sua età ormai avanzata Hans Jonas optò dunque per la via più breve, non senza critiche da parte

degli amici che gli rimproverarono l’uso di un Tedesco “arcaico”8.

4 Cfr.: ”Der endgültig entfesselte Prometheus…”, “Il Prometeo definitivamente scatenato…”, Das Prinzip

Verantwortung, op.cit., p. 7. L’edizione italiana, a cura di Pier Paolo Portinaio, traduce “Il Prometeo irresistibilmente

scatenato”. Come osservato nell’Appendice alla Prefazione di questo lavoro molte sono le “forzature” che possono

venire notate sul piano linguistico nell’edizione italiana, tanto che è necessario ricorrere alla fonte in Tedesco e

all’edizione francese, con una solida traduzione.

5 La biosfera, secondo Hans Jonas, è affidata all’uomo e quindi nel concetto di bene per l’umanità rientra anche la cura

di essa: “…die Biosphäre […] ein menschiliches Treugut geworden ist. […] das heißt die Sorge dafür in den Begriff des

menschlichen Guts einzubeziehen”. Cit.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op.cit., p. 29. E‘ da notare che il

termine utilizzato da Hans Jonas è lo stesso che si rintraccia nella filosofia di Martin Heidegger, die Sorge, e di cui si è

discusso nel capitolo precedente.

6 Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op.cit., p. 9.

7 Cfr.: Hans Jonas, ibidem, p. 10.

8 La lettura dell’opera in Tedesco non è scorrevole a causa della presenza di termini ed espressioni orami raramente

usate e di difficile comprensione per un lettore non madrelingua. Tali difficoltà nella lettura del testo si devono al fatto

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54

Conseguenze della “Rivoluzione scientifica e tecnologica”

Il quadro storico da cui emerge la tematica di fondo di Das Prinzip Verantwortung è quello

della rivoluzione in campo scientifico e tecnologico, nella quale si è calata la società occidentale già

da molte generazioni, diffusasi su scala globale modificando i modi di pensare della gente e poi

anche i loro modi di vivere.

Per molto tempo la rivoluzione scientifica -sottolinea Hans Jonas- non agì nella sfera

pratica, non si pose cioè obiettivi tecnologici; il mutamento da essa introdotto caratterizzava solo la

sfera teoretica, il modo di vedere il mondo.

La tecnologia9 nacque -secondo Hans Jonas- come effetto della rivoluzione metafisica con

cui ebbe inizio l’età moderna; essa si concretizzò come emanazione pratica della rivoluzione

teoretica e, via via, venne utilizzata come strumento di potere. Essa fu quindi la diretta conseguenza

delle premesse intellettuali poste dalla rivoluzione metafisica10.

Una definizione che distingue il concetto di tecnologia da quello di tecnica è offerta da

William Leiss11: la tecnica è l’insieme delle soluzioni che fanno fronte a problemi pratici o teorici.

che Hans Jonas non seguì più gli sviluppi della lingua tedesca dal 1933, come si legge nella sua Prefazione alla prima

edizione dell’opera. L’autore proseguiva scrivendo che “essendo consapevole di affrontare un oggetto estremamente

attuale con una filosofia non attuale, quasi arcaica, ritengo che non sia inopportuno che una tale tensione si esprima

anche nello stile.”. Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op.cit., p. 11.

9 Dal greco techné, arte, disciplina o abilità esecutiva e lógia, derivato da lógos, discorso, studio, trattazione. La

tecnologia è lo studio dei procedimenti tecnici. Il termine “tecnica” nell’antica Grecia stava ad indicare la capacità di

raggiungere un determinato fine servendosi dei mezzi necessari, delle necessarie tecnologie appunto. Hans Jonas

utilizzava il termine tedesco die Technologie e l’inglese technology. E’ interessante notare che le definizioni inglese e

tedesca non presentano sfumature differenti, ma traducono in modo identico il concetto sopra esposto:

Die Technologie: scienza che si occupa della trasformazione dei materiali e delle materie prime in prodotti finiti sulla

base di conoscenze tecniche; insieme dei processi e delle fasi del processo lavorativo finalizzate all’estrazione o alla

lavorazione dei materiali; tecnica di produzione. Cfr.: Duden, Das größte Wörterbuch der deutschen Sprache, volume

7, Dudenverlag, 1995, Mannheim, Leipzig, Wien, Zurich.

Technology: studio scientifico e uso delle arti meccaniche e delle scienze applicate; applicazione di quanto appena

descritto a obiettivi pratici nel settore industriale. Cfr.: Oxford Advanced Learner’s Dictionary, Oxford University

Press, 1995.

10 Si veda il saggio: «Dopo il XVII secolo: il significato della rivoluzione scientifica e tecnologica», in: Dalla fede

antica all’uomo tecnologico, op. cit.. Il saggio è apparso per la prima volta in: «Philosophy Today», vol. 15, 1971,

pp.76-101 con il titolo On the Meaning of the Scientific and Technological Revolution. Nelle pagine seguenti di questo

paragrafo tutti i riferimenti alle argomentazioni del Filosofo sono tratte da questo saggio.

11 William Leiss è nato a Long Island, New York, nel 1939 e attualmente lavora come ricercatore presso il McLaughlin

Centre for Population Health Risk Assesment dell’Università di Ottawa. Ha svolto il suo periodo di dottorato sotto la

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55

Essa considera la relazione mezzi-fini ed è eminentemente astratta; la tecnologia, invece, è una

combinazione di tecniche differenti che rappresenta la scelta tra possibili alternative -appunto

possibili tecniche- volte alla soluzione del problema12.

La distinzione tra tecnica e tecnologia è del resto un cardine del pensiero di Martin

Heidegger. La tecnologia è secondo il Filosofo “il culmine della metafisica13” in quanto essa è un

modo in cui l’essere svela se stesso, essa condivide quest’aspetto con la techné greca dalla quale

prende il nome. Se la tecnologia è metafisica, allora essa non può coincidere con la mera tecnica

come aggregato di macchinari, circuiti e sistemi che caratterizzano il nostro tempo14.

Alla domanda “che cos’è la tecnica?” la risposta più comune è, secondo Martin Heidegger,

“un mezzo in vista di fini” e “un’attività dell’uomo”. Queste due definizioni sono collegate l’un

l’altra: “proporsi degli scopi e apprestare e usare i mezzi in vista di essi, infatti, è un’attività

dell’uomo. All’essenza della tecnica appartiene l’apprestare ed usare mezzi, apparecchi e

macchine, e vi appartengono anche questi apparati e strumenti stessi […] la tecnica […] è un

dispositivo, […] un instrumentum.15” .

Martin Heidegger considera questa definizione di tecnica sicuramente esatta, ma non

completa, essa non coglie la vera essenza della tecnica che è quella della techné16 greca.

guida di Herbert Marcuse all’Università di San Diego, California, ed ha iniziato la sua carriera accademica presso la

facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Regina, Canada. E’ stato Professore di Politica ambientale e Sociologia

presso la Queen’s University, la Simon Fraser University e la York University. Dal 1999 al 2001è stato presidente della

Royal Society of Canada, organizzazione alla quale collaborano illustri scienziati e studiosi canadesi. Tra le sue

pubblicazioni: The Domination of Nature, Montreal e Kingston, McGill-Queen’s University Press, 1972; The Limits to

Satisfaction. An Essay on the Problem of Needs and Commodities, Toronto, University of Toronto Press, 1976; Under

Technology’s Thumb, Montreal e Kingston, McGill-Queen’s University Press, 1990.

12 Cit.: William Leiss, Under Technology’s Thumb, op.cit. , pp. 29-30. Viene qui avanzata l’ipotesi che William Leiss -

anche se in Under Technology’s Thumb non venga esplicitamente citato Hans Jonas- sia stato influenzato dal suo

pensiero. Quest’opera ha come tema di fondo la critica della società contemporanea dominata dai progressi scientifici e

tecnologici, nello sviluppo di tale tematica l’autore ha sentito la necessità di analizzare il concetto di tecnologia in

rapporto a quello di tecnica.

13 Cit.: Bruce Vernon Foltz, Heidegger, Environmental Ethics, and the Metaphysics of Nature: Inhabiting the Earth in a

Technological Age, Pennsylvania State University, Dissertation Services, 1995, p.8.

14 Ibidem p. 6.

15 La citazione è tratta dall’opera di Martin Heidegger La questione della tecnica, frutto della partecipazione del

Filosofo ad una conferenza tenutasi a Monaco di Baviera il 18 novembre 1953. Pubblicata in italiano in Saggi e

Discorsi, a cura di Gianni Vattimo, Milano, Mursia Editore, 1976.

16 Nel mondo greco tale concetto esprimeva l’abilità del produrre, l'atto attraverso il quale qualcosa veniva alla luce,

l'atto attraverso il quale uno stato nascosto della Natura veniva svelato.

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Hans Jonas invece non si sofferma sulla distinzione tra tecnica e tecnologia, tuttavia dall’uso

che egli fa dei due termini nelle sue opere è deducibile -a giudizio di chi scrive- una distinzione tra

tecnica come concetto astratto e tecnologia come applicazione pratica. Anch’egli inoltre, come il

suo maestro, ricorre continuamente al concetto greco di techné.

Dato che Hans Jonas muove con il suo ragionamento dai fondamenti teoretici della

rivoluzione scientifica17, è essenziale analizzare da vicino tale dimensione.

La valutazione positiva del progresso, coincidente con la fiducia nelle novità, nel fatto che le

innovazioni potessero apportare dei miglioramenti, è frutto di un mutamento di mentalità iniziato

sul finire del Medioevo. Poi, nel 1543, apparve il libro che annunciò, secondo Hans Jonas, l’inizio

della rivoluzione scientifica: si tratta di De revolutionibus orbium coelestium di Copernico18, con le

sue implicazioni che contribuirono allo sviluppo dell’idea di possibilità di un’analisi matematica

della Natura.

Ai fini dell’argomento centrale di questo lavoro un aspetto della riflessione di Hans Jonas

sulla teoria copernicana merita di essere fortemente sottolineato: il concetto di omogeneità

dell’universo.

La differenza tra sfera terrestre e sfera celeste svanì e si ritenne che l’universo fosse

costituito dallo stesso genere di materia, della stessa sostanza. La Natura, di conseguenza, doveva

essere la stessa ovunque e, quindi, ovunque soggetta alle medesime leggi.

La Natura venne così osservata in modo quantitativo; tutto ciò che non poteva essere

misurato, contato, pesato o comunque espresso in numeri e formule matematiche non appariva

degno di essere considerato; anche il rapporto causa-effetto venne trasformato in un rapporto di

equivalenza quantitativa.

A passare sullo sfondo furono gli aspetti qualitativi della Natura; quanto non poteva essere

ricondotto a numeri veniva considerato un aspetto secondario, ovvero un aspetto della pura

17 Cfr.: Hans Jonas, «Dopo il XVII secolo: il significato della rivoluzione scientifica e tecnologica», op. cit., pag. 99.

18 Nel De revolutionibus orbium coelestium Copernico (1473-1543) confutava la visione aristotelico-tolemaica che

voleva la Terra al centro dell’universo e proponeva la propria teoria eliocentrica secondo cui la Terra è solo il centro

della massa terrestre, tutti i pianeti si muovono lungo orbite il cui centro è il Sole, che quindi è al centro dell'Universo.

Una simile teoria metteva in discussione la visione del mondo che dominava allora il panorama filosofico e religioso.

La perdita della centralità della Terra rispetto al resto dell'universo, nonché l’affermazione della sostanziale omogeneità

dei fenomeni celesti e terrestri, entrambi sottoposti alle medesime leggi matematiche e fisiche, portarono a una

rivoluzione nel pensiero che non fu solo scientifica, ma anche antropologica e sociologica, basti pensare alla forte

opposizione della Chiesa ad un mutamento di tale portata che rischiava di far crollare i suoi dogmi.

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sensazione soggettiva. Inoltre alla Natura fu negata qualsiasi forma di teleologia19, i fenomeni

naturali furono privati di qualsiasi tensione finalistica.

La base della scienza moderna non è infatti il finalismo, ma il determinismo: ogni istante

che segue è sempre determinato da quello che lo precede; non esistono tendenze a lungo termine,

ma solo trasformazioni della materia.

Da ciò deriva che la Natura è priva di qualsiasi valore e che essa può essere solo oggetto e

mai soggetto. Soggetto può essere solo l’uomo, il solo a poter esercitare la propria volontà.

Sin dalla nascita della scienza moderna la Natura è stata considerata oggetto della

conoscenza dell’uomo. Oggi il progresso scientifico e tecnologico ha reso la Natura oggetto della

volontà di potenza dell’uomo e la conoscenza che egli ha acquisito viene messa al servizio di tale

volontà di potenza.

Riprendendo ora il filo del discorso circa la rivoluzione scientifico-tecnologica, bisogna

sottolineare che l’ordine cronologico su cui fissa il ragionamento Hans Jonas è che, mentre la

rivoluzione scientifica si affermò già nel diciassettesimo secolo, la svolta tecnologica si concretizzò

solo nel diciannovesimo secolo. E’ quindi un errore pensare che lo sviluppo della scienza moderna

sia stato parallelo a quello della tecnica moderna.

Per mostrare la validità della sua convinzione il Filosofo analizza il rapporto tra scienza e

tecnica, iniziando con la meccanica, branca più antica della scienza, per terminare con la

biotecnologia, branca della scienza contemporanea che oggi ha raggiunto frontiere che all’epoca di

Hans Jonas costituivano solo ipotesi. Ancora una volta, quindi, il pensiero di Hans Jonas si pone su

posizioni estremamente all’avanguardia: egli è, in molti campi, un precursore.

E’ vero, egli sottolinea, che l’accordo tra scienza e tecnologia fu anticipato da Leonardo da

Vinci e da Francis Bacon, ma esso non si concretizzò sistematicamente prima della rivoluzione

industriale, allorquando forze naturali, artificialmente ricreate, furono utilizzate per l’alimentazione

di macchine che avevano per scopo quello di risparmiare fatica all’uomo: si pensi, per esempio, alla

macchina a vapore.

19 La teleologia è la dottrina filosofica del finalismo. Il termine deriva dal greco lógos, studio, e télos, fine. Idea cardine

di tale dottrina è che la Natura e tutti i suoi processi siano retti da uno scopo. Mentre la scienza investiga leggi e

fenomeni naturali, la teleologia si preoccupa dell'esistenza di un principio organizzativo posto a monte di queste leggi e

dei fenomeni naturali. Da un punto di vista teologico, la teleologia afferma l'esistenza di Dio, supremo architetto

dell'universo, che mira a tenere saldi i legami causa-effetto. Da: Enciclopedia UTET, Editrice Torinese, Torino, 1985,

vol. XVIII, p. 238.

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In una prima fase della rivoluzione industriale vennero costruite macchine per la produzione

e il trasporto di beni. Tali beni non erano ancora stati modificati, ma era cambiato solo il modo in

cui essi venivano prodotti. Si aggiunse però una nuova categoria di beni da produrre, quella delle

macchine, che venivano progettate più da artigiani che da scienziati.

La situazione mutò con l’affermarsi di chimica ed elettromagnetismo, che furono le prime

tecnologie interamente prodotte dalla scienza e che iniziarono, esse stesse, a stabilire i propri

obiettivi anche prima che ci si potesse render conto di quanto questi fossero utili, non erano più

strumenti per il raggiungimento di obiettivi prefissati.

Con la chimica si realizzò una profonda intromissione dell’uomo nella Natura. Tra la

tecnologia meccanica e quella chimica si delineò subito una differenza fondamentale: mentre con la

prima l’uomo costruisce macchinari utilizzando le forze naturali, con la seconda egli trasforma le

sostanze della Natura.

L’antica idea secondo cui l’arte imita la Natura era ancora vera per la meccanica, ma non più

per la chimica che introdusse prodotti nuovi e persino prodotti che in Natura non esistevano, che la

Natura di fatto non produce. Essa si sostituì alla Natura.

Tuttavia, oggetto della chimica rimase ancora la materia concreta. Fu l’elettricità, invece, a

introdurre l’esperienza di un fenomeno astratto, una creazione totalmente artificiale, incorporea e

invisibile20.

Il massimo grado di astrazione si è avuto poi con la nascita dell’elettronica, capace di creare

una gamma di prodotti che non soddisfano alcun bisogno naturale dell’uomo: essa crea dei nuovi

futili bisogni che rispondono ad esigenze di informazione e di controllo stimolati dalla società

stessa21. Non solo, con l’elettronica la tecnica moderna ha definitivamente abbandonato l’imitazione

della Natura che -come detto- nell’antichità era il modello princeps della creazione di strumenti

artificiali.

La società contemporanea ha portato agli estremi quest’ultimo fenomeno, dalla televisione

al personal computer, dai telefoni cellulari alle apparecchiature elettroniche cosiddette “di ultima

generazione”: questi nuovi prodotti della tecnica non trovano modelli in Natura, sono frutto

dell’invenzione umana.

20 Cfr.: Hans Jonas, «Perché la tecnica moderna è oggetto della filosofia», in: Tecnica, medicina ed etica. Prassi del

Principio Responsabilità, Torino, Einaudi, 1997, p. 25.

21 Cfr.: Ibidem p. 26.

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La tecnologia contemporanea ha plasmato così tanto la società da determinare i suoi desideri

e i suoi bisogni, da sostituirsi a lei, rendendo necessari beni in realtà superflui, ponendosi al servizio

della logica economica.

A ciò si aggiunge il fatto, prosegue nel suo pensiero Hans Jonas, che i frutti della

rivoluzione tecnologica, i nuovi strumenti elettronici ma anche i nuovi mezzi di trasporto, hanno

una durata sempre più breve, che non dipende dalla loro usura ma solo dal fatto che essi sono

soggetti ad “invecchiamento” nell’ottica del continuo progresso che anima l’umanità22.

Hans Jonas conclude la sua trattazione indicando un nuovo tipo di rivoluzione, quella

biologica, che avrebbe avuto come oggetto l’uomo stesso: egli scriveva alla fine della decade 1970

e prevedeva bene quanto oggi riscontriamo attraverso discipline come l’ingegneria genetica e la

microbiologia molecolare che consentono all’uomo di ricreare artificialmente se stesso.

Hans Jonas nella sua trattazione fa sovente riferimento alle figure dell’Homo sapiens e

dell’Homo faber per spiegare il paradigma dell'uomo moderno. L’Homo faber rappresenta la

tecnica premoderna ed è complementare all’Homo sapiens, nel senso che è al suo servizio, che la

tecnica che egli rappresenta non ha autonomia.

Con la dimensione dell’Homo faber Prometeo -altra figura che ricorre nell’opera di Hans

Jonas- rimane incatenato alla rupe cui l'ha destinato Zeus, ciò significa che la sua volontà di potenza

è stata punita, egli è stato sconfitto e non rappresenta più una minaccia per il mondo.

Con l’avvento dell’uomo tecnologico23 Prometeo riesce a liberarsi, divenendo così

“scatenato”, la sua tecnica assume una propria autonomia facendo dell’uomo stesso il padrone del

mondo.

Ciò che Hans Jonas teme di più è l’utilizzo senza freno della tecnologia nella corsa a

migliorare la propria esistenza, ignorando le conseguenze che essa determina sugli equilibri del

Pianeta. In un saggio del 1982 egli scriveva: “The quandary is this: not only when malevolently

misused, namely, for evil ends, but even when benevolently used for its proper and most justifiable

ends, does technology have a threatening side to it which may have the last word in the long run of

22 Cfr.: Hans Jonas, «Perché la tecnica moderna è oggetto della filosofia», op. cit., p. 21.

23 L’espressione utilizzata da Hans Jonas è Technological Man. Giuseppe Longo, Professore di Teoria

dell’Informazione all’Università di Trieste, ha coniato l’espressione Homo technologicus riprendendo il concetto

espresso da Hans Jonas in From Ancient Creed to Technological Man e in Das Prinzip Verantwortung e definendo

l’uomo tecnologico come “l’uomo sapiens trasformato dalla tecnologia”. Si veda Homo Technologicus, G. Longo,

Roma, Meltemi, 2001.

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things. […] The danger lies more in success than in failure, and yet the success is needed in the

press of human affairs.24”

La critica all’etica tradizionale

L’uomo non è mai stato privo di tecnologia. Secondo Martin Heidegger la differenza tra la

tecnologia moderna e quella contemporanea non è nel “grado”, ma nell’”essenza”: gli antichi

mulini fornivano di fatto energia eolica, ma non ricavavano l’energia dal vento con lo scopo di

accumularla: la utilizzavano tout court25. Invece oggi la Natura è diventata un’immensa risorsa

energetica per la tecnologia moderna e per l’industria, finalizzata all’accumulo di beni e profitti per

l’uomo26.

Il problema, secondo Hans Jonas, risiede nella differenza tra le tecnologie contemporanee e

quelle precedenti, tale differenza causa la necessità della formulazione di una nuova etica diversa

dalle etiche tradizionali.

Queste ultime bastavano infatti a fronteggiare la tecnologia pre-moderna, ma si sono rivelate

insufficienti nel far fronte al progresso tecnico moderno.

L’incipit di Das Prinzip Verantwortung riporta alcune strofe del Coro dell’Antigone di

Sofocle, a dimostrazione del fatto che l’uomo non sia mai stato privo di tecnologia, ma anche per

sottolineare appunto la differenza tra gli effetti della tecnologia pre-moderna e quelli ben più gravidi

di conseguenze della tecnologia moderna:

“…Molte le cose

tremende, ma di tutte più tremenda è l’uomo.

[…]

Suprema

tra gli dèi, la Terra,

instancabile immortale, logora

con aratri che di anno

in anno la rivoltano, avanti

e indietro, con l’apporto

24 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Technology as a subject for Ethics, in: « Social Research », 49, 1982, p. 892.

25 Cfr.: Bruce Vernon Foltz, Heidegger, Environmental Ethics, and the Metaphysics of Nature: Inhabiting the Earth in a

Technological Age, Pennsylvania State University, Dissertation Services, 1995, p.8.

26 Ibidem, p.13.

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della razza equina.

[…] Doma

con trucchi le bestie che hanno

tane agresti e vagano

per le montagne, e il collo

del cavallo di folta

criniera e l’infaticabile

toro montano aggioga.

[…]

Capisce, inventa, ha

sulle arti dominio

oltre l’attesa, e ora

al ben, ora

al male serpeggiando

volge. […]

Al mio focolare costui

non s’avvicini, comuni

con me pensieri non abbia

chi queste cose compie.27”

Temi fondamentali della tragedia di Sofocle sono l’azione profanatrice dell’uomo sulla

Natura e il dominio di essa attraverso l’utilizzo di artefatti, delle prime tecnologie appunto, come

27 La traduzione è ripresa da: Sofocle, Antigone, a cura di Rossana Rossanda, Feltrinelli, Milano, 1987, pp. 335-375.

Questo passo dell’Antigone venne riportato da Hans Jonas anche nel saggio «Tecnologia e responsabilità. Riflessioni

sui nuovi compiti dell’etica», in: Dalla fede antica all’uomo tecnologico, op. cit., p.41. Il titolo originale dell’opera è

«Technology and Responsibility: The Ethics of an Endangered Future», si tratta del discorso pronunciato durante lo

International Congress of Learned Societies in the Field of Religion -tenutosi a Los Angeles nel settembre 1972- che

venne pubblicato prima in Religion and the Humanizing of Man, a cura di James M. Robinson, Council on the Study of

Religion, Waterloo, Ontario, 1972, e successivamente venne ripubblicato in: «Social Research», vol. 15, 1973 e in: E.

Partridge, a cura di, Responsabilities to Future Generations, Buffalo, Prometheus Books, 1981. Il saggio nella sua

interezza costituisce anche parte del primo capitolo di Das Prinzip Verantwortung. Tra le prime pagine di quest’opera e

le precedenti edizioni del saggio vi sono solo differenze marginali che riguardano la forma e non il contenuto.

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l’aratro. Già le prime tecniche agricole, secondo Hans Jonas, hanno colpito la Natura,

modificandone il modellato dei pendii e sfruttandone i suoli per rispondere alle esigenze umane28.

La civiltà dell’uomo e la profanazione della Natura vanno di pari passo29, tuttavia attraverso

l’applicazione delle prime tecnologie l’uomo non modificava ancora la Natura in modo permanente

e profondo, essa riusciva a rinnovellarsi costantemente; l’azione della pesca irrompeva

nell’equilibrio marino così come gli effetti dell’aratro danneggiavano i suoli, ma la fecondità

dell’oceano e la fertilità della terra riuscivano ad assorbire tali azioni.

L’azione dell’uomo rimaneva dunque relativamente superficiale, la Natura era ancora in

equilibrio. Già nel 1972 Hans Jonas scriveva: “…Man’s life was played out between the abiding

and the changing: the abiding was Nature, the changing his own works. The greatest of all these

works was the city, and on it he could confer some measure of abidingness by the laws he made for

it and undertook to honor. […] Still, in this citadel of his own making, clearly set off from the rest of

things and entrusted to him, was the whole and sole domain of man’s responsible action. Nature

was not an object of human responsibility. […] In this intra-human frame dwells all traditional

ethics…30”

Tale situazione purtroppo rappresentava l’inizio di un processo distruttivo che ha portato

alle gravissime conseguenze ambientali delle quali noi oggi siamo spettatori, purtroppo per gran

parte impotenti.

La tecnica moderna ha determinato azioni e conseguenze nuove, l’ammonimento del Coro

dell’Antigone risultava insufficiente nel 1979, oggi sembra lontano dai nostri problemi anni luce.

Leggendo quei versi non si ha più la sensazione di ricevere un avvertimento del pericolo, ma si ha

quasi la nostalgia di un tale passato che appare bucolico, se paragonato al nostro presente.

Già negli anni 1970 Hans Jonas parlava di minaccia di una catastrofe: “[…] we live in an

apocalyptic situation, that is, under the threat of a universal catastrophe if we let things take their

28 Cfr. : Ethik für die Zukunft. Im Diskurs mit Hans Jonas, a cura di Dietrich Böhler, Monaco, C.H. Beck, 1994, p. 361.

Questa teoria si trova in un’intervista di U. Beck e W.Ch. Zimmerli ad Hans Jonas dal titolo Technologisches Zeitalter

und Ethik. In un’altra intervista, con E. Gebhardt, intitolata Naturwissenschaft versus Naturverantwortung, contenuta

nello stesso volume, p. 204, il Filosofo afferma che l’uomo rappresenta una forza violenta per la Natura già dal

momento dalle prime applicazioni delle tecniche agricole.

29 Cfr.: Hans Jonas, «Technology and Responsibility: The Ethics of an Endangered Future», in: E. Partridge, a cura di,

Responsabilities to Future Generations, op. cit., p. 24.

30 La citazione è tratta da: Hans Jonas, idem.

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present course. […] The danger derives from the excessive dimensions of the scientific and

technological-industrial civilization.31”.

Per la società contemporanea tale minaccia è sempre più vicina, a meno che l’umanità non

decida di correre ai ripari assumendosi la propria responsabilità, scegliendo la salvezza del Pianeta e

di tutti i suoi abitanti non solo umani, ma anche animali e vegetali. In una simile scelta risiede il

nostro futuro, in ciò confidiamo per la sopravvivenza della Natura della quale facciamo parte e per

la quale siamo responsabili.

Hans Jonas sottolinea l’urgenza di fondare e vedere affermarsi un’etica nuova, dato che le

etiche tradizionali si basavano su premesse oggi non più vere.

E’ quindi importante, innanzitutto, considerare quali erano, secondo Hans Jonas, tali

premesse32:

1. Il rapporto con il mondo extra-umano33, cioè con il mondo della techné, ad eccezione

della medicina, era neutro da un punto di vista etico: in primo luogo in relazione all’oggetto,

poiché la techné non modificava -come già sottolineato- l’ordine della Natura e in secondo

luogo in relazione al soggetto, poiché essa non costituiva il fine primario verso cui l’umanità

tendeva, non era la vocazione dell’uomo.

2. Solo il rapporto uomo-uomo, incluso il rapporto dell’uomo con se stesso, costituiva

ambito di rilevanza etica, quindi le etiche tradizionali erano strettamente antropocentriche34.

3. La portata dell’agire umano e la stessa essenza dell’uomo veniva considerata

costante e la possibilità che l’uomo stesso potesse divenire oggetto della techné non era

contemplata.

4. Le etiche tradizionali avevano a che fare con il qui e l’ora, ossia la prospettiva a

lungo termine non era presa in considerazione, era rimessa al caso o alla provvidenza.

31 La citazione è tratta da: Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, in: «Social Research», n. 43,

1976, p. 82.

32 Viene ripresa qui l’enumerazione proposta da Hans Jonas in Das Prinzip Verantwortung, op.cit., pp. 22-23 e anche in

Tecnology and Responsibility: Reflections on the New Tasks of Ethics in: «Social Research», Vol. 40, n. 1, 1973.

33 Cit.: “…außermenschlichen Welt…” da: Das Prinzip Verantwortung, op.cit., p. 22. L’edizione italiana traduce

“…mondo extraumano…”, p. 22, quella inglese “…non-human world…”, p. 26 e quella francese “…monde extra-

humain…”, p. 21.

34 Data la rilevanza di tale affermazione la si riporta nell’originale inglese: “Ethical significance belonged to the direct

dealing of man with man, including the dealing with himself. All traditional ethics is anthopocentric.”. Citazione tratta

da: «Technology and Responsibility: The Ethics of an Endangered Future», op. cit., p.26.

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Il primo obiettivo di Hans Jonas diventa dunque quello di dimostrare che tali premesse non

sono più valide perché l’azione dell’uomo, la sua portata, gli obiettivi della stessa e i suoi effetti

sono mutati e mutano ancora oggi in un processo continuo.

Dal momento che l’etica ha a che fare con l’agire, ne deriva che il mutamento nell’agire

esige un mutamento nell’etica. Un cambiamento nell’etica non significa necessariamente

l’introduzione di nuovi valori35, ma solo una dimensione nuova per l’etica, una dimensione globale

che includa nella sua sfera d’azione l’intera biosfera.

La Natura vulnerabile

La Filosofia di Hans Jonas -come egli stesso sottolinea- muove dalla constatazione che il

rapporto dell’uomo con la Natura è oggi cambiato sia perché l’uomo è adesso in grado di agire

fortemente su di essa e di modificarla, sia perché il progresso tecnico-tecnologico rappresenta per

l’umanità la propria vocazione.

L’uomo contemporaneo vive nello sforzo continuo di superare se stesso, di varcare i propri

limiti utilizzando al massimo le proprie capacità e conoscenze, con il fine di poter così migliorare il

proprio stile di vita.

In una tale visione della tecnica-tecnologia come vocazione dell’umanità è rintracciabile

l’atteggiamento prometeico dell’umanità stessa, volto al costante superamento di se stesso. L’azione

umana, quindi, è in continuo cambiamento e i suoi effetti si ripercuotono sull’intera biosfera con

conseguenze negative a lungo termine.

A ciò si aggiunge il fatto che gli effetti dell’azione dell’uomo hanno un carattere sempre più

irreversibile e cumulativo36, si sommano diventando sempre più pericolosi per il Pianeta e riparare i

danni è sempre più spesso arduo quando non impossibile.

La prima conseguenza della tecnica-tecnologia moderna è di rendere, con il proprio impatto,

la Natura vulnerabile. Dalla constatazione del grave pericolo causato dall’impatto umano sul

Pianeta deriva la necessità di una nuova etica, un’etica che miri alla salvaguardia e alla prevenzione

del danno, e non già al progresso inteso come coronamento degli obiettivi umani. La sfera degli

imperativi delle etiche tradizionali risulta dunque molto cambiata. Il tema dominante della

riflessione di Hans Jonas è che, oggi, le nuove dimensioni dell’agire tecnico-tecnologico esigono

un’etica della previsione e della responsabilità proporzionali al potere dell’uomo.

35 Cfr.: Dietrich Böhler, a cura di, Ethik für die Zukunft, op. cit., p. 204.

36 Cfr.: Hans Jonas, From Ancient Creed To Technological Man, op. cit. , p. 44.

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Le parole di Hans Jonas fanno eco a quello del suo maestro, nel 1946 Martin Heidegger

scriveva: “Il desiderio di un’etica si fa tanto più urgente quanto più il disorientamento manifesto

dell’uomo […] aumenta a dismisura. Al vincolo dell’etica occorre dedicare ogni cura, in un tempo

in cui l’uomo della tecnica […] può essere portato ancora ad una stabilità sicura solo mediante un

raccoglimento e un ordinamento del suo progettare e del suo agire, nel loro insieme, che

corrispondono alla tecnica.37”.

La scoperta della vulnerabilità della Natura insieme alla constatazione che il potere

dell’azione umana si è modificato in un drammatico crescendo, conduce alla conclusione che

l’intera biosfera si aggiunge al novero dei soggetti verso i quali dobbiamo essere responsabili. Non

solo, quindi, il rapporto uomo-uomo ha valenza etica, ma soprattutto e anche quello uomo-Natura.

L’interesse dell’uomo, al di là dei suoi bisogni materiali, coincide con quello della Natura,

del Pianeta in quanto sua dimora, e della vita in generale. Nonostante ciò, con la sua tecnologia

l’uomo è diventato pericoloso per se stesso e per l’intera biosfera38.

L’esistenza non solo di un’umanità, ma di qualsiasi forma di vita sulla Terra, che per le

generazioni passate era un dato indiscutibile, è oggi in pericolo. Riflettere su “potere” e “pericolo”

rivela all’uomo un “compito39”, “un’obbligo

40”, quello di garantir loro un futuro.

La vita dell’intera biosfera è dunque affidata all’uomo, ma nessuna etica tradizionale,

all’infuori della religione, ci ha preparato al ruolo che Hans Jonas definisce di “amministrazione

fiduciaria41” della Natura. Un ruolo che potrebbe esser svolto dalla religione, dato il suo ruolo

morale per eccellenza, la quale però non può scendere in campo allorquando il problema non sia fra

i suoi obiettivi42. Ecco quando il compito di guida passa alla Filosofia

43.

37 La citazione è tratta da: Martin Heidegger, Lettera sull’«Umanismo», a cura di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 1995,

p.88.

38 Cit.: “…man has become dangerous not only to himself but to the whole biosphere […] the interest of man coincides,

beyond all material needs, with that of life as his worldly home” da: Responsibility Today: The Ethics of an Endangered

Future, op. cit., p.77.

39 Cit.: “Power and peril reveal a duty…” da: Hans Jonas, Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future,

op. cit., p.80.

40 Cit.: “...Verpflichtung...“ da: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op.cit., p. 33. L’edizione italiana traduce

“obbligazione”.

41 Cit.: “Treuhänderrolle” da: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p.29.

42 “Es wurde schon zu verstehen gegeben, dass religiöser Glaube hier schon Antworten hat, die die Philosophie erst

suchen muss, und zwar mit unsicherer Aussicht auf Erfolg. […] Der Glaube kann also sehr wohl der Ethik die

Grundlage liefern, ist aber selber nicht auf Bestellung da, und an den abwesenden oder diskreditierten lässt sich selbst

mit dem stärksten Argument der Benötigung nicht appellieren. Die Metaphysik dagegen war von jeher ein Geschäft der

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Nucleo fondamentale delle preoccupazioni filosofiche di Hans Jonas è il futuro della Terra

con tutti i suoi esseri viventi. Una preoccupazione che nasce dalla condizione di pericolo in cui vive

l’umanità, è necessariamente un’etica della preservazione e della prevenzione:”Born of danger, its

first urging is necessarily an ethics of preservation and prevention, not of progress and

perfection44”.

Questa nuova etica non deve avere nei propri fini la sola salvaguardia del destino umano, ma

deve inserire nel proprio orizzonte d’azione il destino di tutta la Natura, il destino del Pianeta che è

la “patria45” stessa di tutti i viventi. Senza la sua salvaguardia la vita umana è minacciata. Ma Hans

Jonas si spinge ancora oltre: egli ritiene che la biosfera non debba essere salvaguardata solo perché

essa garantisce la vita dell’uomo, ma in quanto valore intrinseco della Natura stessa, in quanto

esistenza46.

Il nuovo imperativo dell’etica dovrà essere: “Agisci in modo che le conseguenze della tua

azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra…47” o, in

versione negativa: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la

possibilità futura di tale vita.48”

Ciò che il Filosofo vuole sottolineare è che mentre siamo liberi di mettere a repentaglio la

nostra vita, non possiamo fare altrettanto con la vita dell’intera umanità, non possiamo in alcun

modo rischiare il non-essere -ovvero la morte- delle generazioni future49. Da ciò deriva che ogni

Vernunft, und diese lässt sich auf Anforderung bemühen. (Si è già lasciato intendere che qui la fede religiosa possiede

delle risposte di cui la filosofia non può che andare in cerca con possibilità incerta di successo. […] La fede è quindi

bene in grado di fornire il fondamento all’etica, ma non è disponibile su ordinazione, per cui non è possibile appellarsi

alla fede mancante o discreditata neppure con il più forte argomento della necessità. Al contrario la metafisica è stata da

sempre una faccenda della ragione e quest’ultima si può scomodare su richiesta)”. Cit.: Hans Jonas, Das Prinzip

Verantwortung, op. cit., p. 94.

43 Hans Jonas attribuisce alla metafisica come ramo della Filosofia un tale essenziale compito.

44 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, op. cit., p.80.

45 Cit.: “Weltheimat” da: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit. p. 245. Si veda la nota n. 81.

46 Cfr.: Hans Jonas, ibidem, p. 29.

47 Cit.: “Handle so, dass die Wirkungen deiner Handlung verträglich sind mit der Permanenz echten menschlichen

Lebens auf Erden”, citazione tratta da: Hans Jonas, ibidem, p. 33.

48 Cit.: “Handle so, dass die Wirkungen deiner Handlung nicht zerstörerisch für die künftige Möglichkeit solchen

Lebens” da: Hans Jonas, ibidem, p. 33.

49 Cit.: “Never must the existence or essence of man as a whole be made a stake in the hazards of action”, citazione

tratta da: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit., p. 93.

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possibile rischio di mettere a repentaglio la vita dell’umanità deve essere evitato come rischio

certo50.

In una tale prospettiva il problema più arduo è proprio quello della dimensione delle

generazioni future: lo scoglio affinché la riflessione di Hans Jonas possa calarsi nella vita concreta è

che il futuro non ha rappresentanti nel presente, è impotente. Il rischio in cui vive la società

moderna è infatti quello dell’indifferenza, dell’inerzia. Si tratta -per usare le parole di Hans Jonas-

di un “nichilismo” nei confronti dello strapotere tecnico-tecnologico che si scatena sul Pianeta, di

un “vuoto etico51”.

Tecnica e Tecnologia soggetto di Filosofia ed Etica

Fin qui sono state analizzate le cause che hanno spinto Hans Jonas ad esaminare le etiche

tradizionali e a formulare una nuova etica adatta e proporzionale alle nuove dimensione del potere

umano. Ora, prima di vedere da vicino il Principio Responsabilità, vengono analizzate alcune

riflessioni del Filosofo circa le motivazioni che lo hanno spinto a considerare la tecnica-tecnologia

moderna come soggetto della filosofia e dell’etica.

L’uomo in passato sapeva porsi dei limiti. Il progresso raggiungeva un punto di equilibrio

nel quale l’uomo constatava di aver perseguito l’obiettivo che si era prefissato: egli si fermava

prima di fissarne un altro. La società contemporanea, invece, non conosce “periodi di equilibrio”

ma, nella continua tensione verso il futuro, ogni traguardo è già sempre oltrepassato, prima ancora

che esso si possa definire tale.

La tecnica moderna, inoltre, nelle forme della biotecnologia e dell’eugenetica, ha fatto

dell’uomo stesso il suo oggetto di ricerca. La filosofia -secondo Hans Jonas- si trova totalmente

impreparata a fronteggiare la nuova situazione, ma deve raccogliere la sfida e riflettere sulle nuove

problematiche.

50 Una tale affermazione equivale al capovolgimento del procedimento cartesiano del dubbio. Cartesio sosteneva che

per stabilire ciò che è indubitabilmente vero, dobbiamo considerare falso ciò che è suscettibile di dubbio. In questo

caso, invece, dobbiamo trattare come certezza anche ciò che è possibile. Cfr.: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit.,

pp. 92-93.

51 Cit.: “Nun zittern wir in der Nacktheit eines Nihilismus, in der größte Macht sich mit größter Leere paart, größtes

Können mit geringstem Wissen davon, wozu. ...das ethische Vakuum...(Ora tremiamo nella nudità di un nichilismo nel

quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi.

…il vuoto etico…)”. Citazione tratta da: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p. 57.

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Vi è poi anche un’altra motivazione che certamente spinse Hans Jonas a fare della tecnica

l’oggetto della sua riflessione. Nel saggio Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des

Jahrhunderts52 egli affermava che la filosofia non ha un oggetto definito, può estendersi a qualsiasi

cosa53 e quindi anche alla tecnica.

Tuttavia non è questo il punto fondamentale, bensì l’affermazione successiva: “…la seconda

Guerra Mondiale ha esercitato una funzione di spartiacque anche per la filosofia. La realtà di ciò

che avevamo vissuto e i compiti ereditati si fecero sentire. Al pensiero abituato a vivere in alto, nel

cielo, sopraggiunse la visione sconvolgente delle forze che lottavano in basso, sulla terra, ed esso

fu costretto a mescolarsi al corso delle cose”54.

Il grande trauma di Hiroshima, la probabilità sempre più vicina di un autoannientamento

dell’umanità ha determinato l’interesse del Filosofo ai progressi della tecnica-tecnologia.

All’apprensione per una catastrofe incombente si aggiunsero poi le nuove sfide della biologia e

della medicina, l’altra faccia della tecnologia moderna55.

Il legame della tecnica con l’etica è più immediato: la tecnica è una forma dell’agire

umano ed ogni agire umano è sottoposto alla legge etica, ne consegue che ogni mutamento nel

modo di agire comporta un necessario mutamento sul piano etico56. Ciò assume una valenza ancora

più significativa se si pensa che la tecnica, soprattutto quella moderna, può avere effetti catastrofici

non solo se usata per scopi distruttivi -come la bomba atomica-, ma anche se usata per migliorare la

vita dell’uomo ed è il caso per esempio di tecnologie che sfruttano risorse non rinnovabili per

rispondere alle esigenze dell’uomo.

La corsa tecnologica deve essere posta sotto controllo per evitare che la tecnologia sovrasti

la società57: ecco perché è necessaria una riflessione filosofica sull’argomento e un controllo etico

su di esso.

52 Cfr.: Hans Jonas, Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts, Francoforte sul Meno,

Suhrkamp Verlag, 1993. Traduzione italiana: La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, op. cit.

53 Ibidem p. 27.

54 Ibidem, p. 42.

55 Ibidem, p.43.

56 Cit.:”…since ethics is concerned with action, it should follow that the changed nature of human action calls for a

change in ethics as well…” da: Hans Jonas, Technology and responsibility, op. cit., p.23.

57 Cfr.: Hans Jonas, «Perchè la tecnica moderna è soggetto dell’etica» in: Tecnica, medicina ed etica, op. cit., p.36.

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La critica della tecnica aveva già spinto Martin Heidegger a riflessioni preoccupanti circa le

condizioni del nostro Pianeta: in un’intervista del 1966 al settimanale tedesco «Der Spiegel» il

Filosofo ha affermato che “solo un dio può salvarci”58 e successivamente, nel 1975, che l’uomo

deve abbandonare la sua posizione di dominatore per diventare un “economo della Terra59”.

58Cfr.: Michael Zimmerman, Martin Heidegger, saggio consultabile on line all‘indirizzo www.tulane.edu/~michaelz/

essays/heidegger/heidegger_essays.htm corrispondente alla sezione del sito dell’Università Tulane di New Orleans

gestita dal Prof. Michael Zimmerman.

Martin Heidegger è considerato un precursore della Deep Ecology, in quanto considera la crisi ecologica non un

fenomeno accidentale, bensì la conseguenza dell’antropocentrismo che pervade la società moderna e contemporanea.

Martin Heidegger, come poi avrebbero fatto gli esponenti della Deep Ecology, sottolinea la necessità e l’urgenza di un

cambiamento radicale della società, volto all’eliminazione del dominio e del controllo che l’uomo esercita sulla Natura.

Cfr.: Michael Zimmerman, Rethinking the Heidegger-Deep Ecology Relationship, in: «Environmental Ethics», n. 15,

1993, pp.195-224.

Il termine Deep Ecology è stato coniato dal Filosofo norvegese Arne Naess in un articolo del 1973 intitolato The

Shallow and the Deep. Long-Range Ecology Movement, apparso in: «Inquiry», n. 16, 1973, pp. 95-100. Arne Naess

definisce shallow, superficiale, l’ecologia moderna -che non giunge a nessun risultato perché pervasa di

antropocentrismo-, in contrapposizione alla sua posizione che era invece deep, profonda, perché basata su un principio

totalmente diverso che equipara l’uomo alla Natura. La Deep Ecology può essere definita come una Filosofia, o meglio

una Ecosofia -altro termine coniato da Arne Naess-, volta a superare la concezione antropocentrica della Natura

proponendo il concetto di uguaglianza biocentrica: tutta la Natura ha un valore intrinseco e l’uomo, che è parte della

Natura e in alcun modo superiore ad essa, non ha il diritto di danneggiare la ricchezza delle forme di vita proprie della

Natura stessa.

Due aspetti del pensiero di Martin Heidegger si distaccano da quella che sarebbe divenuta la Deep Ecology: il primo è

l’adesione del Filosofo al partito nazionalsocialista, mentre la Deep Ecology è pacifista per sua essenza; il secondo è la

sua considerazione dell’uomo come superiore al resto della Natura. Anche se durante la sua adesione al

nazionalsocialismo Martin Heidegger è stato considerato vicino alla cosiddetta “ala verde” del partito, il suo avvicinarsi

alle idee del Partito Nazista rimane comunque in totale disaccordo con la Filosofia della Deep Ecology.

Il nazionalsocialismo, infatti, difendeva la Natura perché vedeva in essa un legame profondo con il Volk, voleva

difendere l’unione di Blut und Boden -espressione coniata dal politico tedesco Walther Darré, consigliere di Adolf

Hitler per le politiche agrarie del Reich, nel suo articolo intitolato Neuadel aus Blut und Boden, pubblicato nel 1930- e

rimaneva così ancorato ad una dimensione marcatamente antropocentrica e conservazionista: ogni popolo aveva la sua

Natura che andava salvaguardata in virtù del rapporto che la legava ad esso, con la conseguenza che gli Ebrei, non

avendo un loro territorio, non potevano nemmeno avere un rapporto genuino con la Natura. Il primo luglio 1935 venne

emanata la legge sulla protezione della Natura, Reichsnaturschutzgesetz: il Reich aveva così l’autorità di frenare gli

effetti distruttivi dello sviluppo economico nelle campagne, di definire le aree di particolare valore da sottoporre a

vincoli paesaggistici e le specie che andavano salvaguardate, così come di supervisionare le costruzioni che rischiavano

di danneggiare l’ambiente, che dovevano essere sottoposte all’autorità del Reich. Era dunque l’autorità umana, al

vertice della piramide naturale, a scegliere cosa dovesse essere conservato e secondo il suo giudizio. Una posizione

antitetica al principio di eguaglianza biocentrica della futura Deep Ecology. Anche il secondo aspetto, l’affermazione

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La devastazione del Pianeta è, secondo Martin Heidegger, molto più che distruzione: mentre

con quest’ultimo termine si indica il distruggere ciò che è stato costruito o che è cresciuto, con

quello di devastazione si esclude anche ogni possibile ristrutturazione o ricrescita futura. Per Martin

Heidegger, dunque, la tecnologia distrugge la legge interna della Natura e viola i suoi equilibri e

limiti60.

Martin Heidegger ha mosso, inoltre, una critica molto forte al moderno concetto di Natura,

presente nel Cristianesimo prima e nelle scienze naturali poi, che hanno infatti prodotto un concetto

di Natura de-naturalizzata. Il primo perché la considera, in modo assoluto, come creazione, frutto

del progetto del Creatore; le seconde perché la analizzano attraverso l’esperimento che non è la

contemplazione di come le cose si comportano naturalmente, bensì un’intrusione nell’equilibrio

della Natura61.

L’uomo -secondo Martin Heidegger- dovrebbe ritornare alla sua condizione originaria,

quella di “abitare poeticamente su questa Terra”. Con questa espressione egli ha ripreso due versi di

Hölderlin: “Voll Verdienst, doch dichterisch, wohnet der Mensch auf dieser Erde.62“. L’uomo con

il suo abitare -spiega il Filosofo- si prende cura delle cose che crescono sulla Terra e custodisce ciò

che per lui è cresciuto.

Il modo in cui l’esistenza va ripensata, secondo Martin Heidegger, è quello di lasciare che

ogni cosa sveli la propria essenza: solo così l’uomo può abitare nel mondo non in qualità di padrone

e saccheggiatore, ma in armonia con la Natura. Egli infatti scriveva: ”… I mortali abitano in quanto

accolgono il cielo come cielo. Essi lasciano al sole e alla luna il loro corso, alle stelle lasciano il

della superiorità dell’uomo rispetto alla Natura, è del tutto incompatibile con essa: secondo Martin Heidegger l’uomo

poteva percepire e comprendere il mondo molto meglio degli altri esseri viventi grazie alla sua capacità di parlare, che

lo distingue per l’appunto da tutto il resto dei viventi. Martin Heidegger faceva derivare da tale capacità umana, il logos

-per utilizzare il termine del Filosofo- la superiorità che doveva essere attribuita all’uomo rispetto agli altri esseri

viventi. Cfr.: Michael Zimmerman, Heidegger’s Phenomenology and Contemporary Environmentalism, op. cit., pp. 99

e ss.

59 Il concetto di „shepherd of the earth“ viene proposto da Martin Heidegger nel saggio Overcoming Metaphysics in

The End of Philosophy. Citato in Ecology in the 20th Century. A History, Anna Bramwell, Yale University Press, New

Haven and London, 1989.

60 Cfr. Bruce Vernon Foltz, Heidegger, Environmental Ethics, and the Metaphysics of Nature: Inhabiting the Earth in a

Technological Age, Pennsylvania State University, Dissertation Services, 1995, p.200.

61 Ibidem, pp.99-116.

62 Cit.: Martin Heidegger, Saggi e discorsi, op. cit., p. 127. “Pieno di merito, ma poeticamente, abita l’uomo su questa

Terra”.

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loro cammino, alle stagioni dell’anno le loro benedizioni e la loro inclemenza, non fanno della

notte giorno, né del giorno un affannarsi senza sosta…63”.

Euristica della Paura e teoria della Responsabilità

Hans Jonas non si ferma alla mera constatazione di una situazione di pericolo continuo per

l’uomo e per la Natura sotto la pressione di una tecnologia indomita e sovrastante, ma cerca di

fornire un freno al potere dell’uomo. La funzione di freno è svolta dal sentimento di paura, che

l’uomo stesso inevitabilmente prova allorquando percepisce che la sua vita è minacciata.

Tale teoria, basata sulla sensazione di paura come freno all’azione distruttrice dell’uomo,

viene denominata euristica della paura64.

Hans Jonas sostiene che l’uomo non sa cosa salvaguardare finché non si trova in una

situazione di pericolo, finché non prova paura: “The perception of the malum is infinitely easier to

us than the perception of the bonum; it is more direct, more compelling, less given to differences of

opinion, and most of all not looked for. […] We are not unsure about evil when it comes our way,

but of the good we become sure only via experience of its opposite.65”.

Il primo dovere dell’etica del futuro è quindi la comprensione degli effetti a lungo termine

che l’azione dell’uomo può avere. Il secondo dovere è invece la mobilitazione del sentimento

adeguato a ciò che viene immaginato per il futuro, in particolare il timore del malum immaginato66.

La paura riguarda la possibile catastrofe che incombe su di noi; ma è soprattutto quello che

potrà far paura alle generazioni successive che deve suscitare in noi terrore e angoscia67, perché noi

siamo responsabili della paura che le future generazioni esperiranno. Spetta a noi scegliere se

limitare i danni arrecati all’ambiente -dato che ormai eliminarli è impossibile- e lasciare alle future

generazioni un mondo vivibile o finire di distruggerlo mettendo a repentaglio la loro vita.

63 Cit.: Martin Heideggre, Saggi e discorsi, op. cit. p.100.

64 Cit.: “...die Heuristik der Furcht...” da: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p. 63. La prima

formulazione dell’euristica della paura si trova nel saggio già citato Responsibility Today del 1976. L'euristica -dal

greco, heurísko, scopro, trovo- è un approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso, ma si

affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare nuova conoscenza. Da: Paolo Rossi, a cura

di, Dizionario di Filosofia, Firenze, La Nuova Italia, p.149.

65 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit., p. 88.

66 Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., pp. 64-65.

67 Cfr.: Hans Jonas, Alle soglie del futuro: valori di ieri e valori per il domani, nella raccolta di saggi dal titolo Tecnica,

medicina ed etica, op. cit., p. 47.

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Le proiezioni del futuro sono sempre incerte e per forza di cose il sapere necessario non è

ancora disponibile. La semplice conoscenza delle possibilità future è sufficiente a fini concettuali, ai

fini cioè di una casistica posta al servizio dei principi etici, ma l’incertezza diventa debolezza

nell’applicazione pratico-politica: occorre una notevole sicurezza nella previsione per convincere

l’umanità a rinunciare ad un effetto a breve termine desiderato e sicuro, in vista di un effetto a lungo

termine che non riguarda più la società presente68.

Ma proprio tale incertezza, che minaccia di paralizzare l’azione umana, va inclusa nella

teoria etica come condizione per un nuovo principio: si deve prestare ascolto più alla profezia di

sventura che non a quella di salvezza: “The prophecy of doom is to be given greater heed than the

prophecy of bliss69.”.

L’uomo non può permettersi di agire per seguire una promessa probabile, il benessere o

comunque uno stile di vita più confortevole, se in gioco vi è anche una probabile minaccia. Per

quanto minima sia la probabilità della minaccia, se essa è rivolta all’umanità intera, non possiamo

permetterci il rischio, la vita dell’umanità non può in nessun caso essere oggetto di scommessa.

Un’unica eccezione è permessa, il caso di minaccia di un futuro terribile. Ciò significa che si

può rischiare non per conseguire un bene supremo, ma per scongiurare un male supremo: “…this

should never happen because of the enticement of a wonderful future but only under the treat of a

terrible future; not gain a supreme good […] but only to prevent a supreme evil70”. Tale riserva

esclude però i grandi rischi della tecnologia che non vengono affrontati per salvare l’esistente, ma

solo per migliorare ciò che è stato raggiunto, nell’ottica del progresso71.

Un’ulteriore caratteristica dell’etica tradizionale non poteva far parte del Principio

Responsabilità di Hans Jonas: il concetto di reciprocità, che deve essere del tutto abbandonato.

L’idea dei diritti e dei doveri reciproci, per cui il dovere di un soggetto è l’inverso del diritto altrui,

nell’ottica del Principio Responsabilità non funziona.

Pensare che la reciprocità stia alla base dell’etica, significa affermare che solo ciò che esiste

sollevi la pretesa alla vita, e quindi che il non-esistente non abbia diritti, ma l’etica del futuro ha a

che fare proprio con il non-esistente72.

68 Cfr.: Hans Jonas, Alle soglie del futuro: valori di ieri e valori per il domani, op. cit., p.67.

69 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit., p. 89.

70 Ibidem, p.92.

71 Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p. 79.

72 Ibidem, p. 84.

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Il Principio Responsabilità deve essere indipendente da ogni idea di diritti e di reciprocità,

solo così possiamo eliminare gli interrogativi che l’etica tradizionale ha contribuito a formare:

Perché preoccuparsi del futuro? Che cosa ha fatto il futuro per me? Rispetta forse i miei diritti?

Hans Jonas cerca nella Natura un esempio di comportamento responsabile, del tutto

altruistico e non reciproco e lo trova nel rapporto con la progenie non autonoma. Il Filosofo

definisce tale rapporto l’archetipo di ogni agire responsabile73, in contrapposizione al rapporto fra

adulti indipendenti che ci riporta all’idea di diritti e doveri74.

La responsabilità formulata da Hans Jonas riguarda l’umanità futura indipendentemente dal

fatto che essa includa nostri discendenti, ciò implica un dovere verso l’esserci, Dasein75,

dell’umanità futura e verso il suo essere tale, Sosein76.

“Il primo imperativo è quindi che ci sia un’umanità…77”, affermazione già espressa dal

Filosofo nel saggio del 1974: “…there exists an inconditional duty of mankind to exist78”.

Un tale “imperativo” rende l’uomo, prosegue il Filosofo, responsabile non dei singoli

individui che in futuro vivranno sulla Terra, ma dell’idea stessa di uomo: “With this imperative we

are, strictly speaking, not responsible to the future human individuals but to the idea of Man, which

is such that it demands the presence of its embodiment in the world. It is, in other words, an

ontological idea […].79”

Viene ora proposto un breve excursus nelle sezioni centrali di Das Prinzip Verantwortung

nelle quali Hans Jonas riprende il concetto di “scopo”, già analizzato in The Phenomenon of Life.

Una tale analisi merita di essere sottolineata perché volta alla dimostrazione che la Natura ha un suo

valore, percorso che conduce -come verrà sottolineato nel paragrafo finale- direttamente alle

odierne idee sulla salvaguardia ambientale.

L’argomentazione di Hans Jonas si basa sull’idea che tutto il mondo vivente abbia uno

scopo intrinseco, la vita, che è anche il suo valore per eccellenza. Al contrario, la tecnica e i suoi

prodotti trovano il loro scopo solo al di fuori di essi, in relazione all’uomo. I valori che la tecnica

73 Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p. 84.

74Cit.: “... der Archetyp alles verantwortlichen Handelns...” da: Ibidem, p. 85.

75 Cit.: Ibidem, p. 86.

76 Cit.: Idem.

77 Cfr.: “Der erste Imperativ: dass eine Menschheit sei”, ibidem, pp. 90.

78 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit., p. 93.

79 Ibidem, p. 94.

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pone non sono intrinseci ma derivano dalla capacità degli apparecchi e delle macchine di

raggiungere gli obiettivi per i quali sono stati progettati.

Uno scopo è ciò per cui una cosa esiste o per la cui realizzazione si svolge un processo, ma

la constatazione dell’esistenza di uno scopo non implica un valore. In tutti gli oggetti artificiali -

possiamo pensare per esempio ad un martello80- lo scopo è inerente al concetto, ha preceduto cioè la

sua esistenza e fabbricazione ed è stato la causa del suo venire ad essere. Tale scopo però non è

affatto degli oggetti artificiali, ma di chi fabbrica o utilizza quei prodotti. Il martello serve ad uno

scopo, non ha uno scopo.

Nel servire ad uno scopo non c’è nulla di intenzionale, mentre avere uno scopo presuppone

intenzionalità. La Natura fornisce testimonianza della sua individualità in quel che fa scaturire da

sé, cioè nella vita: creando la vita la Natura manifesta il suo scopo, che è appunto la vita stessa81.

La Natura prefiggendosi degli scopi, pone anche dei valori: il valore della Natura coincide

con il suo dover essere82, nel senso di continuare ad esistere. Tale dover essere viene esteso a tutta

la Natura: proprio la caratteristica di avere una finalità è ciò che differenzia l’essere dal non-essere,

ovvero la morte. La vita, infatti, è il confronto continuo tra l’essere e il non-essere quale sua

minaccia e in ogni scopo l’essere si dichiara a proprio favore e contro il non essere.

L’uomo deve far propria tale affermazione e imporre alle proprie facoltà la negazione del

non-essere e la difesa della vita in quanto egli oggi è capace di modificare la telelogia che soggiace

alla Natura.

Come ogni teoria etica, anche la teoria della responsabilità deve tenere presenti sia il

fondamento razionale dell’obbligo, cioè il principio che legittima il “dover essere”, sia il

fondamento psicologico della capacità di mettere in moto la volontà, ossia diventare per il soggetto

la causa del suo agire.

Ciò significa che l’etica possiede un aspetto oggettivo ed uno soggettivo, uno che ha a che

vedere con la ragione e uno con il sentimento e i due aspetti sono complementari: la ricettività

80 Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op.cit., pp.107-108.

81 Hans Jonas si rivolge, poi, a funzioni e processi non artificiali, ma biologici: egli prende in considerazione, in

particolare, la deambulazione e l’organo digerente, due processi naturali che si differenziano per volontarietà e

involontarietà. Chi è dotato di gambe, argomenta Hans Jonas, è libero di camminare o meno e di andare in questa o

quella direzione, ma questa funzione è volontaria e quindi deve avere un proprio scopo per essere attivata. Anche

l’apparato digerente -nonostante esso operi in modo del tutto inconscio e involontario- lavora per uno scopo, quello di

per garantire la vita dell’organismo. Ha quindi senso, secondo Hans Jonas, parlare di finalità anche per le funzioni

involontarie. Cfr.: Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, op. cit., p. 115 e ss..

82 Sulle riflessioni su essere e dover essere si veda il quarto capitolo di Das Prinzip Verantwortung, pp. 153-242.

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emotiva senza una convalida razionale del suo diritto perderebbe la sua giustificazione, d’altra parte

un richiamo al dovere che escluda la sfera del sentire non troverebbe alcuna forza motivante

all’interno del soggetto.

L’etica tradizionale ci dice che il sentimento deve venire in soccorso alla ragione per

consentire al bene oggettivo di esercitare un potere sulla nostra volontà. Il senso di responsabilità

non figura, oppure figura come risposta ad un’azione già compiuta83.

Hans Jonas fa invece riferimento ad un concetto complementare di responsabilità che non

riguarda la resa dei conti ma la determinazione del da farsi: l’uomo si sente responsabile in rapporto

alla causa che gli impone di agire. Troviamo da una parte il dover essere, Seinsollen dell’oggetto e

dall’altra il dover fare, Tunsollen del soggetto chiamato ad averne cura84. Su questo secondo tipo di

responsabilità si basa l’etica teorizzata da Hans Jonas.

La responsabilità secondo il Filosofo è inoltre di tipo “naturale”. Una responsabilità istituita

artificialmente, mediante l’assegnazione di un incarico, trae la sua forza da un “contratto” ed è

delimitata quanto al contenuto e alla durata; la responsabilità istituita dalla Natura, invece, non è

dipendente da alcun consenso precedente, è irrevocabile e non negoziabile.

L’archetipo di ogni responsabilità è quella dell’uomo per l’uomo: ciascun individuo in

quanto tale è soggetto responsabile di qualcuno e oggetto di responsabilità per qualcun altro. Ciò

che contraddistingue l’uomo è che solo lui può essere responsabile di qualcun altro, ciò implica che

83 La responsabilità può essere pensata come imputazione causale delle azioni compiute: l’agente deve rispondere della

sua azione. E’ la definizione proposta da Paul Ricoeur, secondo il quale il concetto di responsabilità nella società

moderna costituisce il parallelo del concetto di peccato nelle società del passato. Così intesa, la responsabilità sarebbe

un’istanza formale che grava su ogni agire facendo sì che se ne possa chiedere conto, ma non costituirebbe una

principio etico.

Paul Ricoeur (Valence 1913-Châtenay-Malabry 2005) compì i suoi studi di Filosofia prima all'Università di Rennes, poi

alla Sorbonne. Dal l945 al l948 insegnò Filosofia al Collège Cévenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente

Filosofia morale all'Università di Strasburgo. Dal 1966 al 1970 insegnò nella nuova Università di Nanterre, di cui fu

rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la

contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Università di Chicago. Nel giugno

1985 ricevette il premio «Hegel» a Stoccarda. Tra le sue opere: Philosophie de la volonté, Parigi, Aubier, (II tomi uno

pubblicato nel 1950 e uno nel 1960), Temps et récit, Parigi, Le Seuil, (III tomi pubblicati dal 1983 al 1985), Lectures,

Parigi, Le Seuil, (III tomi tutti pubblicati nel 1999).

Paul Ricoeur ha affrontato il tema dell'agire, distinguendolo preliminarmente dall'azione e rapportandolo al tema del

cogito: le azioni più semplici sono gesti, caratterizzati dall'intenzionalità e dal progetto ed interpretabili in base a un

contesto e a un'interazione, la responsabilità è imputazione per le azioni commesse.

84Cit.: “Das Seinsollen des Objekts, […] das Tunsollen des zur Sachwaltung berufenen Subjekts“ da: Hans Jonas, Das

Prinzip Verantwortung, op. cit. p.175

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l’uomo debba sentire questa responsabilità non solo per i suoi simili ma anche per il resto della

Natura.

Nella dimensione della responsabilità dell’uomo per l’uomo si inseriscono -secondo Hans

Jonas- la responsabilità dei genitori e quella dell’uomo di Stato85: la sfera politica dovrebbe

comportarsi verso la collettività come i genitori verso i figli.

La nuova etica di Hans Jonas considera la responsabilità come un correlato del potere. Con

l’aumento del potere dell’uomo, aumenta anche la dimensione della sua responsabilità: si passa

quindi dalla dimensione del potere a quella del dovere: ”Puoi quindi devi86”.

Nel caso del bambino, oggetto originario di responsabilità, il deve coincide con l’essere: il

solo respiro del neonato rivolge un “devi” all’ambiente circostante affinché si prenda cura di lui,

così il dover essere del bambino diventa il dover fare di altri87.

Il bambino rappresenta un già-esserci, Schondasein, un impotente non-esserci ancora,

Nochnichtsein, ed una minaccia continua di non essere, Nichtsein88, che aumenta il potere dei

genitori e quindi anche la loro responsabilità. La perdurante vulnerabilità del bambino, la minaccia

continua alla sua esistenza stimolano nel genitore la nascita del sentimento di responsabilità.

La responsabilità deve considerare le cose umane non sub specie aeternitatis -come se

fossero cioè eterne ed immutabili- ma sub specie temporis, considerando il fatto che una minaccia

continua potrebbe causare la loro perdita definitiva da un momento all’altro.

Il futuro dell’umanità costituisce il primo dovere del comportamento umano collettivo nella

nostra era, l’era della civiltà tecnica divenuta, in modo negativo, onnipotente.

L’interesse dell’uomo cioè coincide con quello del resto della vita in quanto sua “Terra-

Dimora” o “Patria terrestre89”, Hans Jonas parla di “common destiny of Man and Nature” e

prosegue affermando che i principi illustrati dall’ecologia si oppongono ad ogni smodato

saccheggio dell’insieme della Natura da parte delle singole forme di vita; solo con il dominio del

pensiero e con il potere della civiltà tecnologica che ne è conseguito, una forma di vita, l’uomo, è

diventata in grado di minacciare tutte le altre: “… Only with the superiority of thought and with the

85 A tal proposito si veda Das Prinzip Verantworung, op. cit., pp.184-198.

86 Cit.: “Du kannst, denn du sollst”, Hans Jonas, Das Prinzip Verantwortung, p. 230.

87 Cfr. : Ibidem, p. 163.

88 Cfr.: Ibidem, p. 240.

89 Cit.: “Weltheimat”, ibidem, p. 245. La traduzione italiana riporta “patria cosmica“. L’aggettivo cosmico è però

fuorviante, riporta ad un concetto di Natura non danneggiata dall’uomo, l’euristica della paura e la teoria del Principio

Responsabilità scaturiscono, come analizzato nelle pagine precedenti, da un potere umano che ha già iniziato a

modificarla.

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power of technical civilization made possible by it, one form of life, man, has been enabled to

endanger all others (and therewith also himself). Nature could not have incurred a greater hazard

than to produce man. As long as practical intelligence and theoretical intellect went their separate

ways, his impact on the balance of things remained tolerable. But unlike the contemplative intellect

of old, the aggressive intellect bred by modern science […] confronts nature not merely with its

thought but with actions of a scope no longer compatible with the unconscious functioning of the

whole.90”.

Das Prinzip Verantwortung si conclude con una critica al marxismo ed in particolare alla

visione che esso proponeva della Natura come risorsa inesauribile. L’utopia marxista si fondava

infatti sulla convinzione che le risorse della Natura fossero illimitate e che appropriarsene fosse

facile. La crisi ambientale contemporanea dimostra come ciò non sia possibile e come la Terra non

possa più sopportare una tale aggressione moltiplicata.

Hans Jonas sottolinea come, proprio in rapporto a tale ottimismo nei confronti del potere

umano, si ponga il problema dei limiti della Natura. Il progresso tecnico e scientifico ha condotto ad

un costante aumento demografico che pone oggi il problema dell’alimentazione di un’umanità in

continua crescita. Inoltre il benessere che ha permesso l’aumento demografico si basa sullo

sfruttamento delle risorse naturali e ciò conduce al secondo problema, quello delle materie prime

limitate. Le nuove tecnologie, infine, non sono solo consumatrici di un’enorme quantità di energia,

ma sono anche causa di un altro grave problema, quello del surriscaldamento del globo terrestre.

Pertanto l’imperativo permanente della responsabilità deve essere il risparmio delle risorse.

Il fatto che, nelle opere di Hans Jonas, siano rintracciabili il concetto di “limite” della Natura

e quello di future generazioni91 spinge chi scrive ad ulteriori considerazioni riguardo l’attualità del

Principio Responsabilità e le sue convergenze con gli odierni dibattiti internazionali in materia di

salvaguardia dell’ambiente, delle quali si parlerà nel paragrafo finale di questo lavoro.

90 Le citazioni sono tratte da: Hans Jonas, Responsibility Today, op. cit, p. 80.

91 Nel 1974 John Passmore, filosofo e storico della filosofia, pubblicava Man’s Responsibility for Nature: Ecological

Problems and Western Traditions, New York, Charles Scribner's Sons. Egli è stato, insieme ad Hans Jonas, il primo ad

includere nel discorso sulla responsabilità l’ambiente e le future generazioni. La responsabilità primaria è per John

Passmore quella di assicurare all’uomo una vita sana in un ambiente non devastato: il nostro modo di amministrare le

risorse naturali va ripensato, ma l’impegno rimane tutto all’interno della specie umana. A differenza di Hans Jonas,

John Passmore scriveva: “natura non è una pseudo-persona, verso la quale gli esseri umani sono responsabili, come

possono esserlo verso un’istituzione”. Cit.: Serenella Iovino, Filosofie dell’ambiente, Roma, Carocci Editore, 2004.

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Capitolo Quarto

Il Principio Responsabilità nelle nuove frontiere della Medicina

Nelle riflessioni sin qui analizzate il Principio Responsabilità si applica al rapporto uomo-

Natura. Lo stesso principio, dai contorni così forti, è il tema portante di ulteriori riflessioni di Hans

Jonas che concernono il rapporto uomo-uomo. In esse viene ripreso un lavoro del lontano anno

1969, Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, il quale viene esteso a fatti

scaturiti in tempi successivi, gli anni 1980.

Chi osserva nel suo complesso il pensiero di Hans Jonas potrebbe dire, sintetizzandolo sino

alla sua essenza, che è il pensiero della responsabilità e che questa è una responsabilità a tutto

campo.

E’ necessario ritornare ad alcune esperienze vissute da Hans Jonas intorno alla fine degli

anni 1960, per delineare il momento della nascita in lui di un interesse e, allo stesso tempo, anche di

forti preoccupazioni per quanto concerne particolari tematiche bioetiche.

Nel 1967 Hans Jonas fu invitato, per l’anno successivo, a partecipare ad una conferenza a

Boston1 sulla sperimentazione su soggetti umani. Mentre il Filosofo preparava il suo contributo da

esporre alla conferenza, una commissione ad hoc della Harvard Medical School lavorava ad una

relazione sulla definizione di morte cerebrale2: la commissione proponeva lo stato di coma

irreversibile come una nuova definizione di morte, equiparandolo quindi allo stato di morte

cerebrale.

Il Filosofo sfruttò l’occasione della conferenza di Boston per sottoporre ad un duro attacco

tale relazione: egli difese il diritto assoluto di ciascun individuo -e di nessun altro- di prendere

1 La conferenza si tenne dal 26 al 28 settembre 1968 a Boston, Massachusetts, e tutti i contributi vennero

successivamente pubblicati nella rivista «Daedalus».

2 A Definition of Irreversible Coma: Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical School to Examine the

Definition of Brain Death, in: «Journal of the American Medical Association», vol. 205 del 1968, n.6, pp. 337-340.

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qualsiasi decisione riguardo al proprio corpo o ad eventuali terapie mediche3. La sua posizione era

dunque pionieristica rispetto agli odierni dibattiti.

Subito dopo la pubblicazione del suo contributo esposto durante tale conferenza, Hans Jonas

venne invitato da un gruppo di medici di San Francisco -totalmente contrari alle sue opinioni- a

trascorrere una settimana presso il Medical Center of the University of California. Lì Hans Jonas

entrò in contatto diretto con i pazienti, poteva parlare con loro ed ebbe modo di assistere ad un

trapianto di reni.

L’invito a San Francisco aveva il fine di convincere il Filosofo che il lavoro svolto

dall’équipe medica era “…giusto, buono e nobile…4”. Ovviamente, secondo Hans Jonas, il lavoro

svolto da quei medici altamente specializzati era grandioso, ma non pareva certo fargli cambiare

idea sulla libertà di scelta di ciascun individuo.

Fu proprio la tesi sostenuta a Boston a fargli ottenere, nel 1969, il titolo di socio fondatore

dell’istituto di bioetica Hastings Center on Hudson, nello Stato di New York.

L’esperienza presso tale istituto costituì per Hans Jonas uno stimolo ulteriore alla riflessione

su questioni etiche legate ai progressi della medicina. Attraverso quel percorso filosofico

complesso, che è stato analizzato nei capitoli precedenti, le riflessioni di Hans Jonas si sono

concentrate -da un punto di vista teorico- sui problemi ambientali, considerandoli una conseguenza

dell’azione oramai troppo violenta dell’uomo sul Pianeta, e -da un punto di vista pratico- sul

comportamento dell’uomo, in relazione alle allora nascenti problematiche connesse alle innovazioni

in campo medico.

3 L’intervento di Hans Jonas fu pubblicato prima insieme agli altri contributi del convegno in un volume intitolato

Ethical Aspects of Experimentation with Human Subjects apparso in «Daedalus», vol. 98, 1969, n. 2. Un’edizione di tale

raccolta arricchita di ulteriori contributi è stata pubblicata con il titolo Experimentation with Human Subjects, a cura di

Paul A. Freund, New York, George Braziller, 1970. Data l’estrema attualità dei temi trattati e la posizione pionieristica

sostenuta da Hans Jonas, non solo dal punto di vista filosofico, il saggio è stato ripubblicato in moltissime raccolte quasi

sempre con il titolo Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects. Nel 1974 il saggio venne rivisto

dal Filosofo alla luce dei nuovi sviluppi in campo medico e ripubblicato con alcune aggiunte nella raccolta

Philosophical Essays: From Ancient Creed to Technological Man, Chicago Englewood Cliffs, Prentice-Hall, con il

tiotolo Against the Stream.

4 Cfr.: Hans Jonas, Erinnerungen, op. cit. p. 319.

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Sperimentazione e soggetti umani

Il Principio Responsabilità non è rimasto un concetto astratto. Esso si è concretizzato

applicandosi a problematiche ben precise scaturite dagli sviluppi del progresso tecnico in campo

medico.

Se la scienza ha lo scopo di scoprire qualcosa, la tecnica -secondo Hans Jonas- trova, come

già detto, il suo scopo al di fuori della pura conoscenza, agisce nel mondo degli oggetti per

modificarli e poterne creare di nuovi. La medicina, invece, prosegue il Filosofo, si pone in una

situazione intermedia tra la scienza e la techné: essa è arte di guarire5 ma la materia su cui agisce è

il corpo, non si tratta più di materia inanimata, di strumenti al servizio dell’uomo, ma dell’uomo

stesso e della sua via. L’arte medica con tutti i suoi progressi è parte della “sindrome tecnologica6”

e condivide con la tecnica l’obbligo di responsabilità.

Il progresso in campo medico è iniziato come compito filantropico ma potrebbe finire per

distruggere il concetto stesso di uomo: la mortalità infatti è propria tanto della vita umana, quanto di

quella animale o vegetale. La morte è l’altra faccia della vita e la tecnica medica, con le sue nuove

invenzioni e il suo accanimento terapeutico, sta cercando di eliminarla.

Anche la biotecnologia è oggetto delle disquisizioni filosofiche di Hans Jonas in campo

bioetico. Essa, secondo il Filosofo, nasce come tentativo di comprendere e dominare la Natura

dall’interno, un tentativo estremamente arrogante dato che ciò presupporrebbe la conoscenza di tutti

i processi naturali che permettono la vita in tutte le sue manifestazioni.

Tali temi hanno aperto un complesso dibattito etico ed Hans Jonas ha espresso le sue

opinioni in più occasioni e con diversi saggi quasi tutti contenuti in Technik, Medizin und Ethik. Le

più importanti vengono di seguito riportate, in quanto strettamente legate alla trattazione del

Principio Responsabilità.

In uno dei primi saggi di bioetica dal titolo Philosophical Reflections on Experimenting with

Human Subjects, del 1969, il Filosofo aveva dedicato le sue riflessioni alla sperimentazione su

soggetti umani.

Le scienze naturali -secondo Hans Jonas- hanno fatto dell’esperimento una parte

fondamentale della ricerca scientifica. Il fisico, il biologo, lo scienziato lavorano su modelli

5 Cfr.: Hans Jonas, «Arte medica e responsabilità umana», in: Tecnica, medicina ed etica, op. cit., p.109.

6 Cfr.: Ibidem, p.118.

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inanimati quando compiono degli esperimenti, ma nel caso della moderna biotecnologia, oggetto

dell’esperimento dovrebbe essere l’uomo.

L’unico caso in cui un simile tipo di esperimento potrebbe essere consentito è, secondo Hans

Jonas, quello di un pericolo per l’umanità di dimensioni straordinarie. Ma l’attuale sperimentazione

non nasce da un problema simile, bensì dalla volontà di migliorare la vita umana e ciò è per il

Filosofo inammissibile.

Nel saggio Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects Hans Jonas

avanzava la proposta del consenso come possibile soluzione al problema: può essere sottoposto ad

esperimenti solo chi volontariamente manifesti il suo consenso informato. Successivamente però il

Filosofo sarebbe approdato alla conclusione che ciò sarebbe comunque eticamente inaccettabile7.

Nascerebbe infatti il problema delle pressioni morali: si pensi a persone che, per esempio a

causa di una situazione economica di indigenza, accetterebbero di sottoporsi a sperimentazione

medica in cambio di ricompense in denaro, a subalterni che potrebbero sentirsi obbligati a farlo per

timore di perdere il favore dei superiori, o ai carcerati che potrebbero diventare, in una società priva

di scrupoli, le cavie ideali, in cambio in questo caso di una riduzione di pena. Un consenso

spontaneo è quindi praticamente da escludere, sarebbe mosso da una qualche pressione che

andrebbe a ledere la libertà umana8.

Gli esperimenti sui pazienti possono essere ammessi, secondo il Filosofo, solo se riguardano

la loro malattia, il sacrificio non deve servire ad una causa estranea, ma al limite ad aiutare persone

che potranno in futuro essere colpite dalla stessa malattia del paziente che si sottopone ad

esperimento, visto che per lui non vi è speranza di guarigione9. Ciò perché varrebbe per il paziente

un principio di identificazione che potrebbe anche se in minima parte aiutarlo ad affrontare la

situazione, quello che Hans Jonas definiva “emphatic rule that patients should be experimented

upon, if it all, only with reference to their disease10.”.

7 Si veda: Hans Jonas, «Arte medica e responsabilità umana», in: Tecnica, medicina ed etica, op. cit., p.109.

8 Idem.

9 Hans Jonas non considerava l’esperimento terapeutico, cioè come parte della cura, con l’obiettivo cioè di aiutare il

paziente, poiché il problema etico in tal caso, sarebbe di minore rilevanza: il medico che, dopo aver tentato diverse

terapie e dopo aver constatato il loro fallimento, propone al paziente di sperimentare una nuova terapia lo farebbe

comunque “per” il suo paziente e per la sua guarigione e non “sul” paziente per scopi di ricerca. Il Filosofo rifletteva

sul caso della sperimentazione come puro mezzo per il progresso medico che utilizza l’uomo, si pensi per esempio alle

oscenità compiute dai nazisti nei laboratori dei campi di concentramento, come cavia.

10 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, in: James M.

Humber e Robert F. Almeder, Biomedical Ethics and the Law, New York e Londra, Plenum Press, 1976, p. 237.

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Non possiamo limitarci a considerare cosa distingue la medicina dalla scienza, ma dobbiamo

anche considerare cosa la distingue dall’ingegneria, in quanto le moderne scoperte sul DNA hanno

portato alla nascita della cosiddetta ingegneria genetica.

L’ingegnere che crea un prodotto può facilmente prevedere, sulla base di calcoli e formule,

quali siano le proprietà di ciò che lui stesso ha creato. L’ingegnere biologico invece -sottolinea

Hans Jonas- non ha questo vantaggio, egli si trova ad operare di fronte ad un numero enorme di

incognite e, per quanto grande sia la sua conoscenza del corpo umano o animale, non può conoscere

tutte le sue proprietà, non è stato lui il suo produttore11.

A ciò si aggiunge il fatto che qualsiasi modifica l’ingegnere attui sul suo prodotto ha

carattere reversibile, in caso di errore il modello può essere distrutto, ritirato dal mercato o

aggiustato. Le modifiche sulla materia organica sono irreversibili e pertanto il grado di

responsabilità di chi le compie è nettamente maggiore.

Secondo Hans Jonas nessuno ha diritto di selezionare il patrimonio genetico della

popolazione, per nessun motivo: né per migliorare le prestazioni fisiche o la resistenza alla malattia,

né per avere una discendenza perfetta, tantomeno per scegliere il sesso del nascituro12.

Una selezione o comunque modifica del patrimonio genetico è un’intromissione

ingiustificata nella Natura, ma nella sua tragedia conserva -prosegue Hans Jonas- ancora un aspetto

naturale, l’imprevedibilità della riproduzione e della ricombinazione dei geni durante tale fase.

Ma l’uomo tecnologico non si è accontentato di una simile intromissione ma è andato ben

oltre: attraverso una cellula del corpo non specializzata si può dare inizio al processo che

naturalmente succede alla cellula fecondata. Attraverso tale procedimento, la clonazione13 -

riassunto qui in due parole- viene creato un doppione del donatore della cellula.

Un tale desiderio nasce, come sostiene Hans Jonas, quando un individuo o un animale si

contraddistingua per caratteristiche particolari tanto da desiderare che altri individui o animali simili

siano disponibili in futuro14.

11 Cfr.: Hans Jonas, «Cloniamo un uomo: dall’eugenetica all’ingegneria genetica», in: Tecnica, medicina ed etica, op.

cit., p. 125.

12 Cfr.: Ibidem, pp. 129 ess..

13 La clonazione è una forma di riproduzione asessuata che si riscontra in molte piante accanto a quella sessuale e

riproduce, a differenza di quest’ultima, delle copie geneticamente identiche alla pianta originaria. Agli animali e

all’uomo è generalmente negata questa alternativa. Cfr.: Hans Jonas, ibidem, p. 136.

14 Il Professor Leon Kass (1939- ) riteneva che ogni cosiddetto “grand’uomo” che acconsentirebbe alla sua clonazione

dovrebbe essere squalificato per avere un opinione troppo alta di sé. Egli è membro del Council on Bioethics,

organizzazione che ha il compito di supportare e consigliare il governo americano in questioni particolarmente delicate

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Secondo Hans Jonas l’uomo ha diritto ad un genotipo soltanto suo e al “diritto di non

sapere15” che è proprio dell’esistenza e che sarebbe negato ad un clone: il bambino che fa le sue

prime esperienze del mondo non sa, scopre il mondo che gli sta davanti giorno dopo giorno e ciò è

un suo diritto, implica la libertà di fare i propri errori e di prendere le proprie decisioni, nessuno

deve sostituire tale diritto con l’acquisizione passiva di esperienze altrui.

Il prodotto della clonazione sarebbe secondo Hans Jonas defraudato della propria libertà16 e

chi ne è responsabile si macchierebbe di un crimine. Tale defraudazione dovrebbe essere sostituita

con il rispetto per la vita altrui, per “il diritto di ogni vita umana a trovare la propria strada e a

essere una sorpresa per se stessa17”.

L’obiettivo del progresso tecnico in campo medico e della manipolazione genetica che oggi

non è più una possibilità futura ma una realtà, quello di sconfiggere malattie terribili, è degno di

lode ma ciò non risolve la questione etica.

Il diritto “a morire”

Hans Jonas ha distinto il concetto di corpo -un insieme di parti messe una accanto all’altra-

da quello di persona, cioè l’individuo costituito non solo dai suoi organi, ma anche dai suoi

interessi, dai suoi sentimenti e dalle sue passioni. Scopo della medicina è assicurare l’integrità delle

funzioni organiche, il suo compito è la cura del corpo, non della persona18.

Il “non nuocere” del giuramento di Ippocrate, secondo il Filosofo, deve essere interpretato

come “non provocare sofferenze inutili”. Il compito del medico non deve essere allargato a fini che

non gli competono, si pensi per esempio alla chirurgia plastica, ma anche alle pratiche di

accanimento terapeutico e all’eutanasia.

A tal proposito Hans Jonas ha difeso il diritto di morire19. La nuova definizione di morte,

elaborata -come già detto- nella relazione della Commissione di Harvard, sosteneva che il coma

dal punto di vista etico. Leon Kass insegna presso l’Università di Chicago ed è attivamente impegnato per fermare le

ricerche sulle cellule staminali e su processi di clonazione. Si veda il sito www.bioethics.gov/about/kass.html.

15 Cfr.: Hans Jonas, «Cloniamo un uomo: dall’eugenetica all’ingegneria genetica», op. cit., p. 145.

16 Cfr.: Ibidem, p. 147.

17 Cfr.: Ibidem, p.149.

18 Il Filosofo affermava di non prendere in considerazione la psicologia in una tale affermazione. Cfr.: Idem.

19 Sul concetto di morte si veda il saggio di Hans Jonas The Right to Die, in «Hastings Center Report», VIII, 1978 e in:

«Scheidewege», XIV, 1984. Titolo Tedesco (traduzione dell’autore): Techniken des Todesaufschubs und das Recht zu

sterben. Tradotto in Italiano da Pier Paolo Portinaro, Il diritto di morire, Genova, Il Melangolo, 1991.

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irreversibile dovesse essere considerato morte cerebrale, equiparava la morte cerebrale alla morte

dell’organismo tutto e consentiva in tale situazione il prelievo degli organi, pratica oggi diffusa.

Nel 1968 Hans Jonas nel suo intervento alla già ricordata conferenza di Boston criticò tale

definizione perché volta esclusivamente a legittimare l’utilizzo degli organi in situazioni di pazienti

che oscillano tra la vita e la morte. Non accanirsi sul paziente e concedergli il diritto di morire è

giusto; ma prelevare organi su un soggetto la cui attività cerebrale è finita ma quella organica è

ancora in vita è considerata dal Filosofo inaccettabile.

Il Filosofo nel 1968 scriveva: “ Surely it is one thing when to cease delaying with death,

another when to start doing violence to the body; one thing when to desist from protracting the

process of dying, another when to regard that process as complete and thereby the body as a

cadaver free for inflicting on it what would be torture and death to any living body. For the first

purpose, we need not know the exact borderline between life and death […]. All we need to know is

that coma is irreversible. For the second purpose we must know the borderline with absolute

certainty […]. Since we do not know the exact borderline between life and death, nothing less than

the maximum definition of death will do –brain death plus heart death plus any other indication

that may be pertinent- before final violence is allowed to be done20.”.

L’etica tradizionale non ha mai parlato di responsabilità e, quando ha affrontato problemi

etici legati alla medicina, come la discussione sull’eutanasia, ha sempre parlato di diritto di vivere,

mai di diritto di morire. Il fatto che si debba parlare del diritto di morire è la conseguenza dei

progressi tecnici in campo medico, che cercano in tutti i modi di tenere in vita anche i pazienti

moribondi e sofferenti.

Un apparecchio che permetta la respirazione può sicuramente aiutare a superare una crisi,

ma è inammissibile che diventi la condizione permanente della vita di qualcuno.

Hans Jonas distingue tra l’omicidio attivo, aktive Tötung21, e il fatto di lasciar morire,

Zulassen des Sterbens22. Vi sono casi, come il coma irreversibile o la perdita di coscienza, in cui

lasciar morire il paziente sembra l’unica azione umana possibile23.

20 La citazione è tratta da: Hans jonas, Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, op. cit., p.240.

21 Cfr.: Intervista di Marion Gräfin Dönhoff e Reinhardt Merkel, «Die Zeit», 1989, in: Dem bösen Ende näher, op.cit. p.

65.

22 Ibidem, p. 66.

23 E’ proprio per sottolineare ciò che questo paragrafo è stato intitolato Il diritto “a morire”. Anche se con una forzatura

della lingua Italiana, quest’espressione rende meglio l’idea di “lasciar morire” rispetto alla traduzione italiana Il diritto

di morire.

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A tal proposito Hans Jonas ha citato il ragionamento critico di Peter Singer24 il quale a tal

proposito si è posto la domanda: se ci spingiamo fino a dire che in certe circostanze per i pazienti la

morte è migliore della vita, non è logico che il medico prenda una siringa e ponga termine alle

sofferenze?

La risposta definitiva di Hans Jonas è “assolutamente no25”. La morte attiva non può far

parte dei compiti professionali di un medico. Un pensiero del genere non può incombere sul lavoro

del medico e il paziente non deve mai pensare che il suo medico possa divenire il suo carnefice.

Interrompere i trattamenti e quindi lasciar morire, al momento in cui la ripresa di coscienza appaia

impossibile, è invece ben diverso dal somministrare una puntura letale e quindi uccidere.

Hans Jonas scriveva: “The patient must be absolutely sure that his doctor does not become

his executioner, and that no definition authorizes him ever to become one. His right to this certainty

is absolute, and so is his right to his own body with all its organs. Absolute respec5t for these rights

violates no one else’s right, for no one has a right to another’s body. […]. I strongly feel, therefore,

that it should be made quite clear that the proposed new definition of death is to authorize only the

one and not the other of the two opposing things: only to break off a sustaining intervention and let

things take their course, not to keep up the sustaining intervention for a final intervention of the

most destructive kind26.”.

Secondo Hans Jonas, non ci dobbiamo far guidare da un’etica della compassione, ma da

un’etica della responsabilità, che analizzi le possibili conseguenze del nostro agire27.

Lo scopo del Principio Responsabilità non è quello di mantenere a tutti i costi la vita, bensì

quello di assicurare che in futuro la vita sarà ancora possibile.

24 Filosofo australiano nato nel 1946 a Melbourne, è considerato esponente del movimento per i diritti degli animali,

anche se la sua filosofia è intrisa di utilitarismo. Ha pubblicato Animal Liberation, New York, New York Review of

Books, 1975 e Practical Ethics, Cambridge UK, Cambridge University Press, 1993. Nelle riflessioni di Peter Singer le

tematiche bioetiche costituiscono un aspetto secondario, il suo interesse principale è la difesa dei diritti degli animali,

egli propone spiegazioni storiche dell’evoluzione dei nostri atteggiamenti nei loro confronti. In particolare egli sostiene

che nel diciannovesimo secolo tali atteggiamenti hanno iniziato a cambiare e che pian piano si sta arrivando alla

conclusione che infliggere agli animali sofferenze inutili è moralmente sbagliato. Cfr.: Eugene C. Hargrove,

Foundations of Environmental Ethics, Chicago Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1989, pp. 146 e ss. e Tom Regan, a

cura di, Earthbound. Introductory Essays in Environmental Ethics, Illinois, Waveland Press, 1984, pp. 265 e ss.

25 Cit.: «Mitleid allein begründet keine Ethik», intervista di Marion Gräfin Dönhoff e Reinhardt Merkel, «Die Zeit»,

1989, in: Hans Jonas, Dem bösen Ende näher, op.cit. pp. 59-78.

26 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, op. cit.,

p.241.

27 Cit.: «Mitleid allein begründet keine Ethik», op.cit., pp. 59-78.

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Così Hans Jonas concludeva il suo saggio del 1969:“it cannot be the aim of progress to

abolish the lot of mortality. Of some ill or other, each of us will die. Our mortal condition is upon

us with is harshness but also its wisdom –because without it there would not be the eternally

renewed promise of the freshness, immediacy, and eagerness of youth; nor would there be for any

of us the incentive to number our days and make them count. With all our striving to wrest from our

mortality we can, we should bear its burden with the patience and dignity28.”.

Negli ultimi anni della sua vita Hans Jonas ha dimostrato una maggiore apertura verso la

libertà di ricerca scientifica: “il sapere non può mai rinunciare alla sua chance. In mezzo ad ogni

incertezza, esso deve compiere il suo dovere.29”. Poco prima di morire egli ha anche chiarito la sua

posizione nei confronti del controllo delle nascite: “Mi spiace dirlo -ha affermato durante

un’intervita nel 1993- ma il magistero del Papa sulle questioni relative alla natalità è

dissennato.30”. E’ quindi un tema che lo collega al dibattito sulla salvaguardia ambientale,

sull’ipersfruttamento del Pianeta, sul concetto di carrying capacity dell’ecologia e

dell’ambientalismo contemporanei.

Se da un lato Hans Jonas considera la vita un valore da salvaguardare, dall’altro egli affida

all’uomo la responsabilità di controllarla, ovviamente seguendo l’etica del Principio Responsabilità.

Il Dio di Hans Jonas non è onnipotente31 e quindi una simile responsabilità spetta solo all’uomo.

L’assoluta onnipotenza di Dio -nella Filosofia di Hans Jonas- non è infatti conciliabile con il

dramma di Auschwitz: riconoscendo all’uomo la sua libertà e decidendo di non intervenire nella

storia umana, è come se Dio avesse acconsentito a non essere più onnipotente32.

28 La citazione è tratta da: Hans Jonas, Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, op. cit.,

p.242.

29 Cit.: Hans Jonas, Scienza come esperienza personale, op. cit., p.33.

30 Cit.: Hans Jonas, Solo la paura ci salverà, in: «La Stampa» del 30.01.1993.

31 Cfr.: Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, op.cit., p.35.

32 Idem.

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Il Principio Responsabilità e il diritto internazionale:

Sviluppo Sostenibile e Principio di Precauzione

In questo paragrafo finale vengono analizzati gli effetti concreti del Principio Responsabilità

come principio ispiratore degli odierni dibattiti in materia di salvaguardia del Pianeta.

Nel quadro del diritto internazionale sono evidenti le convergenze del pensiero filosofico di

Hans Jonas con la formulazione del Principio di Precauzione e con la nozione di Sviluppo

Sostenibile.

Il Principio di Precauzione è stato evocato per la prima volta nell’ambito delle conferenze

ministeriali per la protezione del Mare del Nord dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo

Sviluppo Economico a partire dal 1984 ed ha trovato la sua formulazione concreta durante il

Summit per la Terra di Rio de Janeiro del Giugno 19921 con la seguente dicitura: “…in order to

protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to

their capability. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific

certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent

environmental degradation2”.

Se ne propone la definizione secondo il quadro istituzionale italiano: “…al fine di

proteggere l’ambiente gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il metodo

precauzionale. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica

1 Nel 1992 si tenne a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo -United Nations

Conference on Environment and Development- altrimenti conosciuta come Earth Summit, alla quale parteciparono 183

Paesi. Il Vertice ha avuto importanti risultati tra cui l’istituzione della Commissione sullo Sviluppo Sostenibile –

Commission on Sustainable Development- e la firma di importanti accordi e documenti: la Dichiarazione di Rio che

conteneva 27 principi e che richiamava l’attenzione su temi quali la cooperazione tra Stati, la responsabilità civile e la

compensazione di danni ambientali; la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che fissava

l’obiettivo della riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei Paesi industrializzati ai livelli del 1990 entro il

2000; la Convenzione sulla diversità biologica che mirava a promuovere un approccio equilibrato alle risorse degli

ecosistemi; l’Agenda 21, un piano d’azione in 40 capitoli, attuato a partire dagli anni 1990 e per l’intero XXI secolo,

che conteneva proposte di strategie e interventi concreti per fermare il degrado ambientale.

2 La citazione è tratta da Rio Declaration on Environment and Development, principio 15.

Il documento è consultabile on line sul sito web dell’Unep -United Nations Envirnment Programme-

http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?DocumentID=78&ArticleID=1163.

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assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche

in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.3”

Il Principio di Precauzione -stando alla fonte qui sopra citata- verrebbe spesso confuso con il

Principio Responsabilità: sebbene tale sovrapposizione sia inesatta, la fonte governativa rivela

come “l’elaborazione del Principio Responsabilità abbia in parte favorito la nascita del Principio

di Precauzione, o almeno contribuito a prepararne l’accoglienza nell’ambito bioetico, biogiuridico

e biopolitico.4”

Il punto di partenza è infatti lo stesso: la consapevolezza che il potere scientifico e

tecnologico pongono dei problemi per l’uomo e per il Pianeta e l’esigenza di prendere in

considerazione il rischio delle conseguenze dell’azione dell’uomo sulla Natura5.

Il Principio di Precauzione si applica, inoltre, non già a pericoli valutati scientificamente, ma

ad una situazione di incertezza scientifica. La Dichiarazione di Rio al principio 15 prima citato, si

riferisce ad una situazione di “assenza di rischio”.

La situazione di incertezza scientifica è stata presa in considerazione anche da Hans Jonas, il

quale nel 1974 scriveva: “Thus the heuristics of which we talk is a prognostic which extrapolates

from presently recognizable trends in the technologic-industrial process. Such extrapolations are of

course uncertain. […] But just this uncertainty, which threatens to make the ethical insight

ineffectual for the responsibility toward the future -an uncertainty not confined, of course, to the

prophecy of doom- has itself to be included in the ethical theory and become the cause of a new

principle, which on its part can yield a not uncertain rule for decision making.6”

Vi è però una grande differenza tra i due principi: mentre la Filosofia di Hans Jonas

condanna il potere tecnologico come causa della crisi ambientale, il Principio Precauzione tenta di

regolamentare tale potere e controllarne gli effetti a lungo termine7.

L’importanza del pensiero di Hans Jonas attorno alla crisi ambientale alla necessità di un

approccio cauto e parsimonioso agli ecosistemi coincide in modo evidente con gli aspetti più

3 La citazione è tratta da: Il principio di precauzione: profili bioetici, filosofici, giuridici, Comitato Nazionale per la

Bioetica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 18 giugno 2004, p. 27.

4 Cfr: Ibidem, p. 21.

5 Idem.

6 Citazione tratta dal saggio: Hans Jonas, Responsibility Today: The Ethics of an Endagered Future, in: «Social

Research», n. 43, 1976, p. 89. Si ricorda che il saggio era già stato presentato nel 1974 come contributo del Filosofo al

simposio internazionale su “Ethics in an Age of Pervasive Technology” tenutosi ad Haifa e a Gerusalemme.

7 Ibidem p. 23.

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profondi del concetto di Sviluppo Sostenibile diffusosi a livello mondiale a partire dalla Conferenza

di Stoccolma del 1972, la prima Conferenza delle Nazioni Unite su “Ambiente e Sviluppo”8.

Tale Conferenza ha adottato una Dichiarazione9 che indica la tutela dell’ambiente come

parte integrante del processo di sviluppo umano, contribuendo a far crescere in tutto il mondo la

consapevolezza che le problematiche ambientali hanno ormai assunto una dimensione

imprescindibile.

Venivano per la prima volta indicati da una piattaforma internazionale allargata gli stretti

legami tra ambiente e crescita economica, nonché posta in luce l’esigenza di promuovere politiche

economiche in armonia con gli equilibri ambientali. E’ in questa chiave che si notano le

convergenze col pensiero di Hans Jonas che è dunque pienamente uomo della sua epoca: infatti

nella nozione di sviluppo è implicita la dimensione di tecnica e tecnologia, che debbono essere

ecocompatibili.

Il concetto di Sviluppo Sostenibile ha avuto poi una formulazione più precisa da parte della

Commissione Mondiale sull’Ambiente e sullo Sviluppo -World Commission on Environment and

Development- istituita nel 1984 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che nel 1987 ha

prodotto il cosiddetto Rapporto Brundtland dal titolo Our Common Future.

In tale Rapporto lo Sviluppo Sostenibile viene definito come lo “sviluppo che soddisfa i

bisogni della presente generazione senza compromettere le capacità delle generazioni future di

8 Attualmente chi scrive non sa quando Hans Jonas abbia effettivamente scritto questo saggio, non ultimo per la

lunghezza delle fasi di stesura e la lunghezza dell’iter di una pubblicazione. Chi scrive si propone di andare a vedere per

completezza di informazione se Hans Jonas fu una delle voci culturali che portò all’emergere al livello pubblico del

concetto di Sviluppo Sostenibile o se egli captò l’importanza di tale concetto, la fece propria e la innalzò a dignità

filosofica.

9 Alla Conferenza parteciparono 113 Capi di Stato e di Governo. Essa si concluse con la redazione di un Piano di

azione contenente 109 raccomandazioni ed una Dichiarazione recante 26 principi su diritti e responsabilità dell’uomo

in relazione all'ambiente, tra i quali il diritto fondamentale dell’uomo a vivere in adeguate condizioni, la responsabilità

dell’uomo in ordine alla protezione ed al miglioramento dell’ambiente nei confronti delle generazioni future, l’utilizzo

cosciente delle risorse non rinnovabili teso ad evitare lo sfruttamento smodato e il loro esaurimento in un prossimo

futuro. La Dichiarazione di Stoccolma, inoltre, prevede l’adozione da parte degli Stati di un approccio integrato e

coordinato allo sviluppo e la destinazione di appropriate strutture nazionali alla pianificazione, all’amministrazione ed

al controllo delle risorse ambientali, oltre che all’adozione di una serie di azioni volte al monitoraggio delle condizioni

dell’ambiente e alla valutazione dei possibili scenari di fine secolo in rapporto al binomio sviluppo ambiente. Nella

Dichiarazione veniva, infine, prevista la creazione del United Nations Environment Programme (UNEP), organismo

delle Nazioni Unite avente un rilevante ruolo propositivo e di guida nella battaglia contro la crisi ambientale.

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soddisfare i propri10”. Ponendo obiettivi come la conservazione delle risorse naturali, il

riorientamento della tecnologia e il rafforzamento della cooperazione internazionale, seppure in

un’ottica antropocentrica e utilitaristica.

Il Rapporto richiama la consapevolezza che uno sviluppo duraturo non può avvenire in

contesti ambientali depauperati e che si deve passare da un’economia incurante dei propri nefasti

effetti sull’ambiente ad un uso prudente delle risorse naturali11.

Dovendo estrapolare i nuclei essenziali della Conferenza del 1972 e del Rapporto del 1987

possono essere utilizzati termini come parsimonia, cautela, oculatezza nel rapporto uomo-ambiente.

Una tale dimensione si associa con il concetto di “limite” che ritroviamo già nel 1974 in un

saggio dal titolo Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, ove si legge: “The

economic success, long considered alone, meant increased per capita production of goods, both in

their quantity and variety, together with reduction of human work, thus heightened prosperity of

many and even involuntarily heightened consumption of all within the system […]. This itself had

its dangers of overstraining finite natural resources.12”

Non è dato sapere, almeno per ora, se Hans Jonas abbia partecipato, magari anche come

voce di fondo, ai lavori preparatori della Conferenza del 1972 e di quella del 1992. Forse la

documentazione presente presso l’Archivio dell’Università di Costanza potrà fornire a chi scrive

una risposta soddisfacente a tali quesiti. Chi scrive non escluderebbe un simile ruolo di Hans Jonas,

dati i suoi pressanti appelli alla classe politica, agli amministratori del Mondo per una loro cosciente

presa in carica delle problematiche ambientali.

10 Citazione tratta da: Luigi Campiglio Laura Pineschi, Domenico Siniscalco, Tullio Treves, a cura di, The Environment

After Rio, Graham & Trotman, Londra, 1994.

11 Dello stesso anno è The Limits to Growth, saggio pubblicato dagli studiosi del Massachusetts Institute of Technology.

Fu il Club di Roma -gruppo internazionale fondato nel 1968 che riunisce personalità del mondo scientifico, economico

e industriale preoccupati per l’aggravarsi dei problemi ambientali- a commissionare al Massachusetts Institute of

Technology un rapporto sui limiti dello sviluppo. Il progetto è nato dalla consapevolezza che la società contemporanea

non è pronta ad affrontare la crisi in corso: essa è troppo orientata al breve periodo per potersi occupare di tematiche

così estese nel tempo e nello spazio. Nello scenario previsto dal Mit, infatti, l’umanità potrebbe raggiungere entro i

cento anni i limiti naturali dello sviluppo con un conseguente vertiginoso calo demografico.

12 Citazione tratta dal saggio: Hans Jonas, Responsibility Today: The Ethics of an Endagered Future, op, cit, p. 82.

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Bibliografia

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philosophische Studie zum pelagianischen Streit, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1965].

Der Begriff der Gnosis. Inaugural Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Hohen

Philosophischen Fakultät der Philipps-Universität zu Marburg, Göttingen, Hubert & Co., 1930.

Gnosis und spätantiker Geist. Erster Teil. Die mythologische Gnosis, Göttingen,

Vandenhoeck & Ruprecht, 1934 [II ed. invariata 1954, III ed. ampliata 1964].

Gnosis und spätantiker Geist. Zweiter Teil. Von der Mythologie zur mystischen Philosophie,

Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954 [II ed. 1966].

The Gnostic Religion: The Message of the Alien God and the Beginnings of Christianity,

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1966 [II ed. New York, Dell Publishing Co., 1968, III ed. Westport, Greenwead Press, 1979,

Chicago-Londra, University of Chicago Press, 1982].

1 Tutte le opere contrassegnate da asterisco sono raccolte di saggi, discorsi o interviste. Per maggiori informazioni su

titoli e riferimenti bibliografici di ciascun testo inserito in tali raccolte si veda l’Appendice alla Prefazione.

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On Faith, Reason and Responsibility: Six Essays, San Francisco, Harper & Row, 1978 [II

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Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation,

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Macht oder Ohnmacht der Subjektivität? Das Leib-Seele-Problem im Vorfeld des Prinzips

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Technik, Medizin und Ethik. Zur Praxis des Prinzips Verantwortung*, Francoforte,

Suhrkamp Verlag, 1985 [II ed. Suhrkamp Taschenbuch 1987].

Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine jüdische Stimme, Francoforte sul Meno, Suhrkamp

Verlag, 1987.

Wissenschaft als persönliches Erlebnis. Drei Reden*, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht,

1987.

Philosophische Untersuchungen und metaphysische Vermutungen, Francoforte sul Meno,

Insel Verlag, 1992.

Philosophie. Rückschau und Vorschau am Ende des Jahrhunderts, Francoforte sul Meno,

Suhrkamp Verlag, 1993.

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Saggi, articoli e interviste di Hans Jonas

Die Idee der Zerstreuung und Wiedersammlung bei den Propheten, in: «Der jüdische

Student», 4, 1922, pp.30-43.

Husserl und das Problem der Ontologie, in: «Mosnajim», 7, 1938, pp.581-589.

In Memoriam Edmund Husserl, in: «Turim», 1938.

Comment on Bertalanffy’s General System Theory, in: «Human Biology» 23, 1951, pp. 328-

335

On the Differentia of Man. An experiment in philosophical anthropology, in: «The Journal

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Gnosticism, in: «A Handbook of Christian Theology», New York, 1958, pp.144-147.

Wandel und Bestand. Vom Grunde der Verstehbarkeit des Geschichtlichen, in:

«Wissenschaft und Gegenwart», Francoforte sul Meno, Geisteswissenschaftliche Reihe, 46, 1970

(contemporaneamente apparso in: V. Klostermann, a cura di, Durchblicke. Martin Heidegger zum

80. Geburtstag, Francoforte sul Meno, Vittorio Klostermann Verlag, 1970).

Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects, in: James M. Humber a

Robert F. Almeder, a cura di, Biomedical Ethics and the Law, New York e Londra, Plenum Press,

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«Partisan Review», 42, 1976, pp. 12-13, con il titolo Words Spoken at the Funeral Service for

Hannah Arendt at the Riverside Memorial Chapel in New York City on Monday, December 8, 1975.

Responsibility Today: The Ethics of an Endangered Future, in: «Social Research», 43, 1976,

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Krautkrämer, a cura di, Ethische Fragen an die modern Naturwissenschaften, Monaco, J.

Schweizer, 1987, pp. 16-21.

Geist, Natur und Schöpfung: Kosmologischer Befund und kosmologische Vermutung, in

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Hans Jonas, solo la paura ci salverà, intervista di M. Baudino, in: «La Stampa»,

30.01.1993.

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Wolfgang Schneider, Francoforte sul Meno, Suhrkamp Verlag, 1993.

The outcry of Mute Things, discorso pronunciato in occasione del conferimento del Premio

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Altre opere consultate

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Fritjof Capra e Charlene Spretnak, La politica dei Verdi. Cultura e movimenti per cambiare

il futuro dell’Europa e dell’America, Milano, Feltrinelli, 1984.

Comitato Nazionale di Bioetica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Il Principio di

Precauzione: profili bioetici, filosofici, giuridici, 18-VI-2004.

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Global Climate Change to 2 degrees Celsius. The way ahead for 2020 and beyond.

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Books, 1981.

John Passmore, Man’s Responsibility for Nature, Londra, Gerald Duckworth, 1974.

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biologie chez Hans Jonas, in : «Le messager européen», 5, 1992, pp. 203-218.

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Madras, 1983.

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in: Eco-phenomenology: Back to the Earth Itself, a cura di Ted Toadvine, Press Series in

Environmental Ethics and Philosophy, 2002, pp. 73-101.

Michael Zimmerman, Rethinking the Heidegger- Deep Ecology Relationship, in:

«Environmental Ethics», n. 15, 1993, pp.195-224.

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Peter S. Wenz, Environmental Ethics Today, New York e Oxford, Oxford University Press,

2001.

Siti Internet consultati

www.hans-jonas-zentrum.de: Sito dedicato interamente alla vita ed alle opere del Filosofo, curato

dal Prof. Dietrich Böhler, scritto in lingua tedesca e aggiornato in media una volta al mese.

www.environment.uchicago.edu: Sezione del sito dell’Università di Chicago ove vengono

frequentemente pubblicati saggi che hanno come tema l’ambiente. Il sito è in lingua inglese.

www.algore.org/: Sito ufficiale del Senatore Albert Gore disponibile in lingua inglese e

quotidianamente aggiornato. In questo sito sono presenti numerosi articoli riguardanti l’ambiente e

la sua salvaguardia.

http://www.climatecrisis.net: Sito gestito dal Senatore Albert Gore, aggiornato quotidianamente e

contenente articoli in tema di difesa dell’ambiente apparsi su giornali e riviste, o scritti

appositamente per la pubblicazione on line. Questo sito è nato per propagandare il film-

documentario An Inconvenient Truth e conserva ancora una sezione ad esso dedicata; è disponibile

in lingua inglese.

ec.europa.eu/environment: Sezione del sito dell’Unione Europea dedicato alle recenti normative o

proposte di normative a livello europeo in materia di salvaguardia ambientale, la maggior parte

degli articoli è pubblicata in lingua inglese, ma spesso sono disponibili le traduzioni in quasi tutte le

lingue degli Stati membri.

www.centrofilosofico-karl-otto-apel.net: Sito del Centro Filosofico Karl Otto Apel con sede ad

Acquappesa, Cosenza. Il sito contiene una biografia del filosofo Karl Otto Apel, una bibliografia

molto dettagliata e molti collegamenti ad altri siti, sia italiani che stranieri, che propongono

recensioni delle sue opere. La lingua principalmente usata è l’italiano, ma si trovano anche materiali

in lingua inglese, francese, tedesca e spagnola.

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homepage.mac.com/haroldsjursen: Sito dell’allievo di Hans Jonas, Professor Harold Sjursen,

contiene brevi articoli che egli pubblica frequentemente on line e la versione in bozza del suo libro

From Tradition to Technology: the Ontological Ethics of Hans Jonas. Il sito è disponibile in lingua

inglese.

diea.ing.unibo.it/ncdm/ : Sezione del sito dell’Università di Bologna che pubblica on line alcuni

degli articoli apparsi nella rivista «Nuova civiltà delle macchine», generalmente collegati al tema

della tecnica e della tecnologia. Disponibile in lingua italiana.

www.unep.org: Sito ufficiale dello United Nations Environment Programme, esso è disponibile in

lingua inglese e francese. In questo sito è possibile trovare tutte le informazioni sulle politiche

ambientali a livello internazionale, nonché sulle principali conferenze internazionali riguardanti la

tutela ambientale.

www.unfccc.int: Sito ufficiale della United Nations Framework Convention on Climate Change

disponibile in lingua inglese, francese e spagnola. In questo sito è possibile trovare tutte le

informazioni riguardanti il Protocollo di Kyoto e le politiche ad esso ispirate.