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----- 204 ------ ---- -------------------- ------ -------- LE ARTI di VISIOne si dispongono a ventaglio, per con- vergere in un centro invisibile, che non è di concorrenza prospettica, ma è paragonabile ad un misterioso baricentro. Nei bassorilievi schiacciati (se non erro fu l'ultimo il Mochi a tentarli in modo autonomo, e si liquefecero tanto tempo dopo nelle sluma- cature di Bistolfi) è il senso di una forma tra- slata nello spazio, interiore a questo spazio, che è d'altronde continuo, ininterrotto, sep- pure variamente denso, rispetto ai volumi che vi si conglomerano. Che allora nessuno prenda mai per trascuratezze o sprezzature, le « cor- rezioni» di certe membra nei corpi delle Depo- sizioni o delle Crocifissioni: sono impronte la- sciate da quelle membra nello spazio, sono un modo di consentire dello spazio a quelle membra, come fosse un'ombra portata; sono la dimostra- zione della « capacità» plastica di quello spazio, cui le figure affondano e da cui emergono con supremo, connaturato agio: sicchè il fondo non è mai supporto, ha valore pittorico, ma s'arroga attivo, partecipante, inscindibile va- lore plastico. E dove profonde lancettate in- terrompono, staccano i profili, la breve ombra aumenta solo l'avvolgimento della plastica, non istituisce un rapporto di contenente a conte- nuto. Come tutto ciò si fondi nella luce che viene assorbita, lentamente suzzata e diffusa nella plastica dolentissima, senza i guizzi, le filettature, i ritagli di Donatello, e come perciò anche partendo da rilievi stilistici si debba poi escludere ogni diretta consonanza con l'opera di Donatello; è punto che dovrebbe essere so- stanzialmente approfondito, ed ora non posso che accennare. Mi bastava, di contro alle facili contentature, aprire uno spiraglio nella com- plessità di questa ultima plastica di Manzù, che non si ric. anta ad orecchio, secondo avreb- bero forse voluto quelli che erano delusi di non trovarla devota come una stazione della Via Crucis. CESARE BRANDI. CA SORA TI, MENZIO, PAULUCCI ALLA GALLERIA CIGALA; TORINO. Dietro la chiesa di S. Cristina e dietro l'im- mensa e generica statua della Dora, s'è aperta questa Galleria con la Mostra dei tre pittori sopraindicati: anzi i quadri di Casorati sono appesi, si potrebbe dire, sulla schiena della gran statua, e speriamo che in simile posizione se la passino liscia; a fianco gli stanno Menzio e Paulucci. Questi pittori, che raggiungono un modo personale d'intendere la pittura, possono esser visti insieme per quelle più profonde ra- gioni che toccano la precisa cultura che i buoni artisti d'oggi sanno possedere, e che ha, sem- bra, come prima ambizione, lucidamente di - chiarata e spesso risolta, d'esprimere innanzi tutto una poesia, un'effusione del sentimento libera d'ogni contaminazione pratica. Perciò que - sta Mostra è senz'altro degna del massimo in- teresse; per l'intelligenza che la giustifica, pre - cisando almeno alcune poetiche che stanno a cuore alle persone civili. Tra gli. alti e bassi della moda, le correnti effimere del gusto, le simpatie o antipatie della critica giornalistica e di quella che gli artisti si sanno fare tra loro, e spesso, quando cessa ogni possibile partigia- neria, con notevole assolutezza: i poeti auten. tici ci traducono di continuo la loro natura in- tellettuale, senza imporci mai quei mutamenti di coscienza, che ci rendono perplessi e sospet- . tosi. In questa Mostra, pur nei suoi limiti, si respira appunto l'aria buona dei calcoli sa - pienti attuati in virtù d'alcune vitalità pittori- che, che stabiliscono un clima intenso, una fan- tasia consapevole. Non potremmo chiedere di più, se sappiamo vedere le opere d'arte sen- za schemi mentali e sappiamo accettare ogni forma che ci sembri legittima. Ogni difficoltà, che è implicita a qualsiasi espressione di poesia, non soltanto la troviamo necessaria, ma anzi suscita in noi precise rispondenze, qeterminando quell'atmosfera non convenzionale che amiamo. In questi pittori ogni facilità è abolita da tutta una serie di rigorosi rifiuti, cosÌ spesso raggiun - gono le sintesi più conclusive: di chi possiede una classe mentale di prim'ordine. Se da anni seguiamo con interesse l'opera di Casorati sappiamo che per lui è accaduto ciò che avvenne per molti buoni artisti: certi qua- dri che diedero al pittore maggior risonanza non sono i suoi migliori, altri forse dimenticati :rappresentano assai meglio la qualità d'una pittura autentica. Non ci riferiamo soltanto ai quadri dipinti bene, cosa già essenziale di per sè, ma soprattutto a certi motivi di non-poesia e ancora a dei colori artificiosi, che ebbero molto successo; ma vogliamo riferircisoprattutto a quelle qualità che fanno di Casorati un artista e che in questa sua Mostra risultano evidenti es- sendo egregiamente combinata. Infatti se una mela ben dipinta può già esprimere moltissimo : una serie di belle figure umane è inevitabile che dica molto di più: bisogna tener presente che la generosità pittorica di Casorati l'ha con - dotto, coi suoi mezzi sia pure discutibili, a cer- ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

Le Arti 1940-41 · che la generosità pittorica di Casorati l'ha con dotto, coi suoi mezzi sia pure discutibili, a cer-©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

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----- 204 -------------------------------------------- LE ARTI

di VISIOne si dispongono a ventaglio, per con­vergere in un centro invisibile, che non è di concorrenza prospettica, ma è paragonabile ad un misterioso baricentro.

Nei bassorilievi schiacciati (se non erro fu l'ultimo il Mochi a tentarli in modo autonomo, e si liquefecero tanto tempo dopo nelle sluma­cature di Bistolfi) è il senso di una forma tra­slata nello spazio, interiore a questo spazio, che è d'altronde continuo, ininterrotto, sep­pure variamente denso, rispetto ai volumi che vi si conglomerano. Che allora nessuno prenda mai per trascuratezze o sprezzature, le « cor­rezioni» di certe membra nei corpi delle Depo­sizioni o delle Crocifissioni: sono impronte la­sciate da quelle membra nello spazio, sono un modo di consentire dello spazio a quelle membra, come fosse un'ombra portata; sono la dimostra­zione della « capacità» plastica di quello spazio, cui le figure affondano e da cui emergono con supremo, connaturato agio: sicchè il fondo non è mai supporto, nè ha valore pittorico, ma s'arroga attivo, partecipante, inscindibile va­lore plastico. E dove profonde lancettate in­terrompono, staccano i profili, la breve ombra aumenta solo l'avvolgimento della plastica, non istituisce un rapporto di contenente a conte­nuto. Come tutto ciò si fondi nella luce che viene assorbita, lentamente suzzata e diffusa nella plastica dolentissima, senza i guizzi, le filettature, i ritagli di Donatello, e come perciò anche partendo da rilievi stilistici si debba poi escludere ogni diretta consonanza con l'opera di Donatello; è punto che dovrebbe essere so­stanzialmente approfondito, ed ora non posso che accennare. Mi bastava, di contro alle facili contentature, aprire uno spiraglio nella com­plessità di questa ultima plastica di Manzù, che non si ric.anta ad orecchio, secondo avreb­bero forse voluto quelli che erano delusi di non trovarla devota come una stazione della Via Crucis.

CESARE BRANDI.

CA SORA TI, MENZIO, PAULUCCI ALLA GALLERIA CIGALA; TORINO.

Dietro la chiesa di S. Cristina e dietro l'im­mensa e generica statua della Dora, s'è aperta questa Galleria con la Mostra dei tre pittori sopraindicati: anzi i quadri di Casorati sono appesi, si potrebbe dire, sulla schiena della gran statua, e speriamo che in simile posizione se la passino liscia; a fianco gli stanno Menzio e Paulucci. Questi pittori, che raggiungono un

modo personale d'intendere la pittura, possono esser visti insieme per quelle più profonde ra­gioni che toccano la precisa cultura che i buoni artisti d'oggi sanno possedere, e che ha, sem­bra, come prima ambizione, lucidamente di­chiarata e spesso risolta, d'esprimere innanzi tutto una poesia, un'effusione del sentimento libera d'ogni contaminazione pratica. Perciò que­sta Mostra è senz'altro degna del massimo in­teresse; per l'intelligenza che la giustifica, pre­cisando almeno alcune poetiche che stanno a cuore alle persone civili. Tra gli. alti e bassi della moda, le correnti effimere del gusto, le simpatie o antipatie della critica giornalistica e di quella che gli artisti si sanno fare tra loro, e spesso, quando cessa ogni possibile partigia­neria, con notevole assolutezza: i poeti auten. tici ci traducono di continuo la loro natura in­tellettuale, senza imporci mai quei mutamenti di coscienza, che ci rendono perplessi e sospet- . tosi. In questa Mostra, pur nei suoi limiti, si respira appunto l'aria buona dei calcoli sa­pienti attuati in virtù d'alcune vitalità pittori­che, che stabiliscono un clima intenso, una fan­tasia consapevole. Non potremmo chiedere di più, se sappiamo vedere le opere d'arte sen­za schemi mentali e sappiamo accettare ogni forma che ci sembri legittima. Ogni difficoltà, che è implicita a qualsiasi espressione di poesia, non soltanto la troviamo necessaria, ma anzi suscita in noi precise rispondenze, qeterminando quell'atmosfera non convenzionale che amiamo. In questi pittori ogni facilità è abolita da tutta una serie di rigorosi rifiuti, cosÌ spesso raggiun­gono le sintesi più conclusive: privileg~o di chi possiede una classe mentale di prim'ordine.

Se da anni seguiamo con interesse l'opera di Casorati sappiamo che per lui è accaduto ciò che avvenne per molti buoni artisti: certi qua­dri che diedero al pittore maggior risonanza non sono i suoi migliori, altri forse dimenticati :rappresentano assai meglio la qualità d'una pittura autentica. Non ci riferiamo soltanto ai quadri dipinti bene, cosa già essenziale di per sè, ma soprattutto a certi motivi di non-poesia e ancora a dei colori artificiosi, che ebbero molto successo; ma vogliamo riferircisoprattutto a quelle qualità che fanno di Casorati un artista e che in questa sua Mostra risultano evidenti es­sendo egregiamente combinata. Infatti se una mela ben dipinta può già esprimere moltissimo : una serie di belle figure umane è inevitabile che dica molto di più: bisogna tener presente che la generosità pittorica di Casorati l'ha con­dotto, coi suoi mezzi sia pure discutibili, a cer-

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tare delle risoluzioni conformi a un senso mag­giore della pittura. Non si può parlare in senso assoluto d'uno stile a se stante, si sa, eppure alcune considerazioni astratte di stile sono ne­cessarie per individuare l'opera di questo pit­core; e vogliamo parlare di stile, di tecnica, intesa nel suo significato migliore, cioè formale; allora il discorso si giustifica. Infatti Casorati usa un chiaroscuro che spesso gl'impedisce di realizzare la forma in maniera libera, ma a volte per una liberazione che ottiene nel suo stesso lavoro, sa raggiungere dei risultati puri, ove ci pare allontanato ogni interesse tecnici­sta. Nè la scienza cercata d'una tecnica nobile e precisa è contaminazione (al riguardo si pensi alla bellezza del quadro di Mafai premiato a Bergamo); perchè troppi oggi, suggestionati da una presunta estetica, sono condotti a que­st'errore di valutazione: il che avviene non solo in pittura ma anche nel campo della poesia in versi o in prosa: e di qui i ritorni ai più stuc­chevoli classicismi. Ma tutto ciò per Casorati potrebbe .suonare ancora generico e incerto, se egli stesso non possedesse una personalità sua propria e un;! fisonomia morale ben riconosci­bile d'umanità massima interiormente cercata: sono queste doti che gli fanno bruciare, almeno nelle sue tele migliori, ogni possibile ricordo, ogni interferenza seéondaria, ogni manÌa, e che ci dànno un momento di poesia intensa. L'uma­nità di Casorati ha bisogno direi di servirsi sempre d'un dato o empirico, d'una psicologia per realizzarsi: sta all'estro suo poetico di riu­scire poi a eliminare queste esperienze sensibili per portarle sul piano dell'immaginazione. Se­condo noi nel quadro qui esposto le Mele, ot­tiene già un buon risultato; come lo ottenne con le Uova. Ma ci ricordiamo di Casorati, in particolar modo, delle sue figure: tra le molte che sentimmo come sacrificate in un'atmosfera incerta per un tecnicismo formalistico in cui le linee e le misurazioni mancavano d'un pieno compenso e si estraniavano in una nuova mec­canica e il senso morale delle figure cosÌ costruite si esauriva in una psicologia convenzionale e mondana (a molti orecchianti della poesia par­vero queste tele appunto ottime e non le vi­dcro come l'esplicita denuncia d'un mutamento effimero e caratteristico, che ci allontanava da ogni essenziale origine del pensiero e della poe­sia, da ogni aderenza al vero maggiore dell'arte), che uccideva ogni virtù analitica per ridurci al mistico specchio della memoria, vacuo e arti­ficioso; tra molti quadri di questo genere, che ebbero tanto successo di pubblico e natural­mente anche di critica!, pure per una sorta di

divinazione non perduta, nascevano dal pen­nello di Casorati altre figure di donne che si componevano in un ordine ide~le di massimo significato. Qui può esporre Fattucchiera, Ra­gazza, Giovinetta o Marilena: ma appunto sono sempre palesi le tracce d'un sentimento chia­rificatore, lucido; e il colore a tratti appare

o puro e decantato: nasce una particolare sugge­stione, un mondo creato soprattutto da quella moralità casoratiana che esiste nell'irrealità della forma tessuta e che inventa una partico­lare storia di gente attonita e triste.

Come la lucé possa trasformare la materia Menzio qui ce lo insegna in particolar modo nei suoi quadri assai belli: Biancheria, Nudo, Ot­tavia. E la luce di Menzio convince perchè gli permette d'uscire da qualsiasi prova di stagione mutevole per determinare con esattezza alcuni aspetti fondamentali del suo paesaggio o della sua figura. CosÌ la sua interpretazione pittorica si fissa in un risultato concreto. La materia di Menzio ha sempre giustamente interessato: la sottilità d'essa si fece sentire soltanto in quadri meno compiuti; ma spesso la sua materia, in­timamente vissuta, è pur distribuita da un tempo che avendo le sue origini nel vero ci trasporta in una fantasia lieve, anche troppo elegante, che ci fa pensare al Settecento per quel suo non curarsi di scoprire delle ragioni morali nuove - che in fonrlo non potrebbero risultare che da un'attenta aiscriminazione e di­lucidazione della cultura e della vita del nostro secolo - e tutto immerso com'è nel desiderio di fare un quadro ancor bello con dei mezzi già provati, si studia soltanto di trasformarli in una ricerca individuale e ripetuta. Ma oggi è la luce che forma la sua qualità più valida. C'è in Menzio una cultura raffinata e precisa che non imbroglia il suo linguaggio pittorico con esperienze troppo dirette e fanatiche (si pensi a tanta pseudoletteratura involuta in un gioco di frasi, a tanta pseudopittura che muore nell'astrattismo); ma che lo libera di volta in volta con acume intellettuale in intendimenti assolutamente pittorici. Lo scopo rimane il mi­gliore: cercare di fare un buon quadro. E oc­corre osservare che Menzio ha dato al suo la­voro d'arte un orientamento costante, reso sol­tanto possibile in una scelta rigorosa, dove l'in­venzione non appare quella dichiarata dalle psicologie solite, gioia, dolore, felicità, ebrezza, romanticismo, ma piuttosto come il principio d'un'obbiettività gentile e serena. Il gioco ele­gante, di grazia, spesso lo confonde e forse per una sua labilità concettuale, o per una sfiducia

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nella realtà esterna, che non riesce però mai a dichiarare il dramma umano pur necessario alle maggiori esigenze artistiche, che sono senza eloquenza: una mancanza di strazio insomma, che non lo redime da nessuna colpa per essersi distaccato nell'immaginazione: sorta di bontà la sua, non discussa da una dialettica domma­tica. Ma Menzio ci offre ancora le sue squisite possibilità cromatiche (Autoritratto, Nudo di schiena), dove appunto la forma sembra venir cercata dal colore stesso, s'enza che questo se ue vada per conto suo, perchè i rapporti sono conclusivi e alcune ombre ci lasciano in situa­zione d'attento studio. Nelle Nature Morte (quella dei teschi in particolar modo) Menzio sembra voler arricchire la sua tavolozza con colori nuovi: e ci riesce perchè la sua persona­lità non muta, i colori oscuri sono da lui trat­tati con la stessa limpidità di quelli chiari: cosÌ un incanto è suscitato che potrà resistere a molte esperienze.

Ai paesaggi di Paulucci, l'estro improvviso d'una natura panica, imprime una sorta di vi­gore fisico che costantemente ripetuto crea un suo clima. Con dei mezzi semplici e liberi Pau­lucci ha il merito di raggiungere la sua pittura senza soggiacere a ostili prove d'ambiente o a una tragicità declamata: c'è in lui la presenza d'una cultura scaltrita che si fa ingenua e si svincola da un'ingenuità di maniera per la vio­lenza dei rapporti pittorici che determinano la fisonomia felice di questo pittore. P erchè l'eva­sione del peasaggio finisce di salvarsi sul filo d'un'estrema necessità di visione: è l'interpre­tazione della realtà che ci dà il compenso d'una non effimera impressione artistica. Paulucci s'af­fida con fiducia non priva di modestia alle sue risorse native, che sono molte, e che se fossero sempre precisate con maggiore calma, potreb­bero anche avviarlo a risultati più assoluti. Se molti si sforzano in struggenti ricerche intellet­tuali, che dovrebbero levare al quadro qualsiasi senso di superficialità; e altri per mancanza di temperamento pittorico, finiscono la loro esi­stenza in una minima prova di gusto: Paulucci sa imporre al paesaggio la sua presenza ideale, e lo chiarisce in un certo modo alla nostra at­tenzione. Ora poi in questa Mostra e nelle tele soprattutto di S. Maria, S. Margherita, Rapallo, dichiara una necessità d'analisi che lo conduce a una più approfondita costruzione del quadro; e ciò ottiene quando il colore non sommerge la visione suscitata. Non so se sia il caso di parlare di ({progresso», parola che spesso è vuo­ta di significato: eppure mi semhra che smor-

zati certi entusiasmi che appartengono alla cro­naca dei sentimenti umani e non alla storia d'un artista, accesi invece i sentimenti più dif­ficili e helli nell'immaginazione intellettiva d'un poeta, Paulucci, si trova ormai a un punto de­licato del suo lavoro: da cui appunto vediamo nascere sul serio un paesaggio che concreta­mente risponde alle maggiori prerogative del­l'arte, e che evita ogni adeguata persistenza a quei motivi fisici in cui l'occhio può soltanto distrarsi . È un fatto del resto che dipende dal carattere. Mentre molti artisti oggi amano gli atteggiamenti seri o anche pedanti, Paulucci ama una coraggiosa allegria che non lo distoglie dalla spontanea attenzione che sa portare alle cose, alla natura, che forse, dato il suo temperamento, -più d'ogni parola potrà continuare ad essergli anche in futuro di grande insegnamento. Per­chè appunto si tratta di concludere tutta una ricerca interessante e fruttifera con delle espres­sioni che pur continuando ad essere vive rag­giungano sempre una finalità ben individuata e definita.

GUIDO HESS.

ROSAI A GENOVA.

Tutte nuove, dipinte nel 1940, ad eccezione di una (L'uomo che scrive, del 1932), e non mai esposte, SODO queste trenta tele di Rosai che si sono viste a Genova, nella sua personale alla Galleria ({ Genova ». Non sono da aspettarsi no­vità appariscenti, da un pittore come Rosai, tipico per l'insistenza nei suoi temi. Basta con­frontare, qui, la Partita a carte, con la Partita a briscola del 1920 (Coll. Vallecchi). Spogliato di una seggiola, e dell'archeggiatura nel fondo, è lo stesso spolvero. Sarebbe ridicolo lamentare una ({ mancanza di fantasia» nel pittore che ha dato all'arte tante imagini inedite, nate da un profondo senso umano prima che da un istinto figurativo. Si tratta invece di un insaziato amore, di un possesso mai compiutamente soddisfatto, negli incontri pittorici che attraggono l'artista con un irresistibile richiamo. In quanto, ovvia­mente, sono i più atti ad eccitare la sua sensibi­lità. (Del resto, anche nell'arte antica tutti sanno quanto sieno frequenti, in taluni pittori, le ({ r e­pliche». Che solo qualche volta sono ({ di bot­tega l), a richiesta di clienti. In molti casi sono veri « ritorni» dell'artista sullo stesso terreno, perchè c'è ancora un punto di vista da cui non lo si è guardato, un fondamentale accessorio nuovo da inserirvi, ecc.). Al più, per Rosai, c'è da rimpiangere ch'egli sia a volte cosÌ testuale,

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TA . L

FE rA CE CA ORATr: Bambina dormente.

E RICO PA L CCI: anta Margherita .

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