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Le donne al Concilio Vaticano II

Le donne al Concilio Vaticano II - UniBG donne al...sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem. Anche grazie a loro, il Concilio aveva trattato questioni come la costruzione

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Le donne al Concilio

Vaticano II

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«Dov’è l’altra metà della Chiesa?».

Così, il 22 ottobre 1963, in un

discorso sui carismi nella Chiesa, il

card. Suenens, perorava la presenza

delle donne al Concilio Vaticano II.

Accogliendo la proposta, l’8

settembre 1964, Paolo VI

annunciava ufficialmente la

presenza di uditrici al Concilio.

Nella III e nella IV sessione

conciliare saranno entrarono

nell’aula conciliare

complessivamente 23 donne, 10

religiose e 13 laiche.

Delle laiche, nove erano nubili, tre

vedove e una sola sposata: tutte

(eccetto Gladys Parentelli)

rigorosamente vestite di nero con un

velo sul capo. Capaci di

determinazione, con prospettive

innovative e per una parità di genere

nella Chiesa.

Uditrici nella IIIª e IVª sessione

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Le “Madri del Concilio” presenziavano

alle riunioni vestite di nero, con un velo

sul capo come a una funzione pontificia.

Negli intervalli potevano andare in una

saletta-bar separata, approntata per loro.

Per due volte fu negata a Pilar Bellosillo,

presidente dell’Unione mondiale delle

organizzazioni femminili cattoliche, la

possibilità di prendere la parola in

pubblico.

Non avevano né diritto di parola né di

voto. Eppure parteciparono attivamente

ai gruppi di lavoro, presentarono

memorie e contribuirono con la loro

esperienza alla stesura dei documenti, in

particolare su temi come la vita

religiosa, la famiglia, l’apostolato dei

laici.

La presenza di due vedove di guerra

contribuì a rafforzare il peso femminile

anche nelle discussioni sulla pace.

Un contributo importante

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Il 23 novembre 1965, uditori e uditrici laiche

pubblicarono una dichiarazione congiunta, per

rendere conto del lavoro fatto. Consapevoli di

essere stati testimoni di una tappa storica di

apertura della Chiesa alla sua componente laica,

sottolinearono l’importanza vitale di alcuni

documenti ai quali avevano dato un significativo

contributo con discussioni e scambi di idee.

In particolare fecero riferimento al cap. IV della

Lumen gentium, dedicato ai laici, alle parti della

Gaudium et spes riguardanti la partecipazione dei

fedeli alla costruzione della città umana e al decreto

sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem.

Anche grazie a loro, il Concilio aveva trattato

questioni come la costruzione della pace, il dramma

della povertà nel mondo, l’esistenza di superare

diseguaglianze e ingiustizie, la difesa della libertà

di coscienza, i valori del matrimonio e della

famiglia, l’unità di tutti i cristiani, di tutti i credenti

e di tutta l’umanità.

Due uditori laici:

Luigi Gedda e

Rosemary Goldie.

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Alcune uditrici protagoniste

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Rosemary Goldie

(1916-2010)

Nasce il 2 febbraio 1916, a Manly, in Australia

da madre neozelandese e padre di origine

ebraica. La famiglia si trasferisce a Parigi

dove lei compie gli studi primari e secondari.

Durante la guerra ritorna in Australia, si laurea

all’università di Sydney e lavora nel

Movimento di apostolato femminile.

Nel 1945 va di nuovo a Parigi dove consegue

un dottorato in letteratura francese alla

Sorbona e fa parte della Federazione

universitaria Cattolica francese.

Trasferitasi a Friburgo, nel 1951 partecipa al I

Congresso internazionale per l’apostolato dei

laici. L’anno dopo è chiamata a Roma per

lavorare nel Comitato permanente dei

Congressi internazionali per l’apostolato dei

laici, del quale nel 1959 diventa segretario

esecutivo. Entra in contatto con mons.

Montini e V. Veronese, che sarà direttore

generale dell’UNESCO. Dal 1967 al 1976 è

sottosegretario del Consiglio per i laici, in

Vaticano.

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«Pochi giorni dopo la nomina come

uditrice, fui invitata a parlare in una

riunione dei vescovi dell’Africa

francofona sul lavoro in corso per la

preparazione del decreto

sull’apostolato dei laici; gli altri

membri del gruppo erano mons.

Glorieux e padre Tucci.

Commentai in modo positivo vari

aspetti dello schema, ma ripresi

alcune critiche già espresse da altri.

Come si poteva prevedere, solo le

critiche ebbero gli onori della

cronaca, e con ripercussioni che ho

scoperto molti anni dopo…».

Da “uditrice” a

“parlatrice”

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«Il 29 agosto 1978, dopo l’elezione di Giovanni Paolo

I, Avvenire pubblicava, tra gli scritti del nuovo papa,

una lettera che mons. Albino Luciani, vescovo di

Vittorio Veneto, aveva scritto agli Assistenti

dell’Unione Donne e della Gioventù Femminile

dell’Azione Cattolica, a commento delle nomina delle

uditrici: “Nessun avrà un tuffo la cuore, come l’ebbe

un parroco mio conoscente, quando l’altro giorno lesse

sul giornale che Rosemary Goldie, da “uditrice” al

Concilio, si era fatta “parlatrice”, esprimendo davanti a

un gruppo di vescovi qualche riserva sullo Schema dei

laici, auspicandolo meno paternalista, meno clericale e

meno giuridico. ‘Andrà a finire – concludeva

sbalordito il parroco – che per queste brave figliole,

l’Azione cattolica non sarà più collaborazione dei laici

all’apostolato della gerarchia, ma collaborazione della

gerarchia all’apostolato dei laici!’. Ho rassicurato il

parroco. I laici […] giudicano esagerazione

(clericalismo) che tutto, assolutamente tutto, nella

Chiesa debba partire da vescovi e sacerdoti”.

Non sapevo di aver avuto un difensore così autorevole

e così paternamente simpatico!»

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Molto significativa è la risposta che

Rosemary Goldie diede al teologo Yves

Congar, quando il famoso domenicano

volle inserire nel documento

sull’Apostolato dei laici un’elegante

espressione, paragonando le donne alla

delicatezza dei fiori e dei raggi del sole:

«Padre – gli disse – lasci fuori i fiori. Ciò

che le donne vogliono dalla Chiesa è di

essere riconosciute come persone

pienamente umane»

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Marie Louise Monnet

(1902-1988)

Nasce a Cognac nel 1902 ed è

sorella di Jean, uno dei padri

fondatori dell’Europa, con il quale

collabora a sostegno dei valori

democratici.

Fonda varie organizzazione

cattoliche per donne impegnate

soprattutto nell’ambito

imprenditoriale.

Incontra spesso il Nunzio di

Parigi, mons. Roncalli.

Prima donna uditrice laica a

entrare in Concilio, partecipa alla

IIIª e IVª sessione, sottolineando la

necessità del dialogo tra clero e

laicato e la valorizzazione della

spiritualità laicale legata alla vita

quotidiana.

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Pilar Bellosillo

(1913-2003)

Nata in Spagna nel 1913, Pilar Bellosillo,

presidente dell’Unione mondiale delle

organizzazioni femminili cattoliche, è senza

dubbio tra le più vivaci delle uditrici laiche.

Da sempre attenta alle questioni inerenti

l’educazione e alle problematiche legate alla

promozione della donna inserita nel mondo,

viene scelta come portavoce dal gruppo degli

uditori.

Lavora nelle sottocommissioni per la redazione

della Gaudium et spes, sui temi della dignità

umana e del matrimonio, della famiglia e della

salvaguardia della pace, della costruzione della

comunità delle nazioni e della cultura. Alcuni

suoi interventi riguardano anche la libertà

religiosa.

Importanti sono anche i contatti ecumenici che

intrattiene con frère Roger, della comunità di

Taizé.

Dopo il Concilio, nel 1971, sarà invitata al

Sinodo sul tema del sacerdozio, insieme

all’economista inglese Barbara Ward.

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La messicana Luz Maria Longoria,

presente al Concilio con il marito Josè

Alvarez Icaza, pose in discussione quello

che i manuali di teologia, in uso prima del

Concilio, definivano fini “primari” e “fini

secondari” del matrimonio, dove primaria

era la procreazione dei figli e secondario il

rimedio alla concupiscenza dell’atto

sessuale. La copresidente del MFC

(“Movimiento Familiar Cristiano”), molto

attiva all’interno del gruppo che doveva

esaminare lo “schema XIII”, chiese di

liberare l’atto sessuale dal senso di colpa e

di restituire ad esso la sua insita

motivazione d’amore. A un padre

conciliare disse: “Disturba molto a noi

madri di famiglia che i figli risultino frutto

della concupiscenza. Io personalmente ho

avuto molti figli senza alcuna

concupiscenza: essi sono il frutto

dell’amore”.

Luz Maria Longoria

(1924-)

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Alda Miceli

(1908-1998)Nata nel 1908 a Longobardi in

provincia di Cosenza, viene da una

famiglia di notevole livello culturale

e religioso. Il padre è magistrato,

mentre la madre si occupa della

famiglia.

Alda Miceli è una figura

emblematica della nuova classe

dirigente cattolica femminile

formatasi durante il regime fascista.

Mandata a Roma per studiare fin

dalle elementari presso un collegio

di suore, nell’estate 1928 conosce la

Gioventù Femminile.

Insieme alla sorella Elisa, assume

ruoli direttivi importanti

nell’associazione.

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Nel 1934 si laurea e si iscrive alla Fuci. Viene

chiamata a Milano da Armida Barelli per dirigere il

Collegio Universitario “Marianum”, aperto dalla

Gioventù Femminile. Lì forma giovani donne,

soprattutto meridionali: libere, emancipate dalla

famiglia d’origine, professionalmente qualificate,

socialmente impegnate e senza alcun legame familiare.

Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia, Alda torna in

Calabria per riorganizzare la GF.

Nel 1949 è eletta presidente nazionale di GF e rimane

in carica fino al 1959.

Nell’appassionato periodo della ricostruzione guida

GF all’impegno per la Democrazia cristiana per una

scelta autonoma in favore della libertà. Nel 1952 si

oppone alla formazione di una lista unica con le destre,

la cosiddetta operazione Sturzo. Nel 1962 è eletta

presidente nazionale del CIF dove rimane fino al 1980.

Negli anni difficili del neofemminismo difende sempre

lo stile diverso delle donne cattoliche, tese a

conservare l’equilibrio tra la rivendicazione dei diritti e

l’esercizio dei doveri.

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Nel 1958 Gladys Parentelli, uruguaiana, legata

all’azione cattolica del suo paese, grazie al suo

vescovo – uomo molto aperto soprattutto circa il

ruolo dei laici nella Chiesa – ottenne una borsa di

studio per andare in Europa, a Lovanio, in Belgio,

dove aveva sede il Mijarc (Movimento

internazionale della gioventù agricola e rurale

cattolica). Ne divenne presidente dal 1964 al 1967.

Nel 1964 si recò a Roma dove incontrò e intervistò

vescovi latino-americani come mons. Camara.

Nel 1965 fu nominata uditrice come riconoscimento

del lavoro svolto nel movimento che rappresentava.

Lavorò soprattutto sullo Schema 13, che riguardava

il laicato.

Durante il Concilio andava alle sessioni a capo

scoperto e con le maniche corte, così da essere poi

espunta dalle foto ufficiali.

Gladys si sentì delusa dal poco spazio dato agli

uditori laici durante i lavori conciliari, tanto che

decise di tornare a Lovanio e di non assistere alla

sessione conclusiva del Concilio. Ora vive in

Venezuela e milita in un movimento femminista.

Gladys Parentelli

(1935-)

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La discussione sull’apostolato dei laici

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«Le discussioni conciliari si rivolsero poi al tema dell’apostolato dei laici […].

Dalle discussioni conciliari emerge sempre più precisa l’idea dell’unità fra tutte le

membra del corpo mistico e, conseguentemente, della necessità della

collaborazione fra tutti coloro che sono di Cristo: membra che hanno funzioni

diverse, membra però che vivono le une per le altre e che – in quanto persone –

devono essere in effettiva e consapevole unione anche nell’azione.

Noi religiose dovremo in certi casi aprirci, rinnovarci, adattarci alle esigenze della

vita odierna per far sì che, come membra della Chiesa, la nostra attività giunga a

dare tutto ciò che la Chiesa stessa attende da noi. Ed è sperabile che anche tra noi,

oggi, non vi sia più nessuna che non senta il bisogno di questa sana e sempre più

fruttuosa immissione di noi stesse e del nostro lavoro nella vita della Chiesa.

Da ciò la necessità di imparare a collaborare in modo più efficiente e senza tanti

timori e prevenzioni anche con i laici. Diventa, infatti, sempre più importante e

necessario entrare in quest’ordine di idee: l’apostolato odierno non deve e non può

essere visto in un modo unilaterale, non possiamo continuare a pensare che solo noi

– religiosi e religiose – siamo in grado di offrire le nostre prestazioni agli altri.

Questa concezione ci terrebbe nel continuo rischio di immergerci troppo

nell’azione, preoccupate di bastare a tutto, e ci farebbe trascurare il meglio della

nostra vocazione, cioè l’attività spirituale e interiore»

(Madre Baldinucci, Circolare del 18.10.1964).

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«Carissime figlie, non avrei

mai pensato di scrivervi da

Roma, in una circostanza

particolare come questa. Da

qualche settimana partecipo

alle congregazioni conciliari

come “uditrice”; è infatti a

voi noto che la Provvidenza,

tramite la paterna

benevolenza del Sommo

Pontefice Paolo VI, mi ha

designato rappresentante delle

religiose d’Italia»

(Circolare del 18.10.1964)

Madre Costantina

Baldinucci

(1902-1992)

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Nata nel 1902 a Audun le Tiche, in Francia, da immigrati italiani, dopo essersi

diplomata in ragioneria, nel 1925 entra nell’istituto delle Suore di Carità delle Sante

Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, dette Suore di Maria Bambina. Insegna

lingue straniere, matematica e scienze.

Dal 1940 in poi opera in campo infermieristico all’ospedale Niguarda di Milano.

Nel 1946 si reca a New York, dove segue un corso specializzato per insegnanti

infermiere. Nel 1950 diventa madre provinciale a Milano e nel 1957 madre generale

e presidente della Federazione Italiana Religiose ospedaliere, che conta circa

130.000 religiose.

È legata a Paolo VI fin dai tempi in cui egli era arcivescovo di Milano e ospite

abituale dell’istituto; più volte Montini aveva manifestato apprezzamento per

l’operato delle Suore. Eletto papa, chiede a quattro Suore di Maria Bambina di

prendersi cura del suo appartamento privato in Vaticano.

Sorpresa di essere invitata al Concilio, madre Baldinucci ne sente tutta la

responsabilità, consapevole della grandezza dell’evento. Già dall’annuncio del

Concilio da parte di Giovanni XXIII, ella confessa la sua emozione di fronte a

questa svolta storica. Scrive: «Sembra stia morendo un mondo e se ne costituisca

uno nuovo». Arriva a Roma il 28 settembre 1964 insieme alla segretaria suor Maria

Clara Bianchi e il 29 fa l’ingresso nell’aula conciliare.

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Prime impressioni del Concilio

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«Passato il primo momento di stupore e di commozione, ho compreso il valore di

questo eccezionale dono, quale è quello di essere immessa nella grande assemblea

della Chiesa, nel cui cuore stanno passando i più travagliati problemi della vita

attuale e un intensificato desiderio della salvezza delle anime.

Così, lasciato il mio tavolo da lavoro a casa madre, con l’anima in preghiera, ben

consapevole della mia pochezza, e portando tutte voi nel cuore, sono venuta a Roma.

Mie carissime figlie, vi penso ansiose di sentire da me qualche particolare intorno a

questa singolarissima esperienza di vita conciliare…

E vorrei saper bene descrivere quello che c’è di grandiosamente coreografico e

attraente anche fuori dell’aula conciliare, nella piazza San Pietro, dove ogni giorno

convengono migliaia di persone, per godersi lo spettacolo dell’entrata e dell’uscita

dei padri dalla basilica:

padri che, accolti su numerosi pullman, percorrono le strade di Roma, effondendo

benedizioni sui passanti che li salutano festosi;

padri che, con macchine private o targate S.C.V. (Stato Città del Vaticano),

raggiungono San Pietro, e sono in prevalenza i cardinali;

padri che vengono invece a piedi, o soli o in piccoli gruppi, fermandosi compiacenti,

per concedere una firma, per dar modo a un turista di scattare fotografie, sostando

talvolta alle edicole, che sono al limite della piazza, per rendersi conto di quanto dice

la stampa intorno al lavoro in aula»

(Madre Baldinucci, Circolare del 18.10.1964)

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«La prima discussione a cui presi parte aveva come argomento la divina

rivelazione: una questione teologica estremamente delicata e che solo i competenti

possono apprezzare e giudicare nel suo pieno e profondo significato, nelle sue

applicazioni.

Però, la presa di contatto con questo complesso problema non poteva non essere

stimolante anche per noi “uditrici”: da molto tempo anche nei nostri ambienti si

sente il bisogno di far sì che coloro che si consacrano al Signore, pur non

pretendendo in alcun modo di giungere a una piena competenza tecnica,

acquistino però una maggiore familiarità con le sorgenti della nostra fede: e questo

in vista dei notevoli vantaggi che ne possono venire, sia per la vita interiore, che

per l’attività apostolica, specialmente dove si tratta dell’insegnamento della

religione.

Considerate nel loro insieme, anche le discussioni sullo schema “De Revelatione”

non potevano non essere del massimo interesse. Anzi, anche per noi costituiscono

un aiuto positivo e incoraggiante a proseguire nello sforzo intrapreso già da anni,

allo scopo di dare alle religiose, nel corso della loro formazione, un’istruzione

sempre più adeguata, specialmente nel campo scritturistico e teologico»

(Madre Baldinucci, Circolare del 18.10.1964).

La discussione sul “De Revelatione”

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Il rinnovamento della vita religiosa

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«Il Decreto sulla Vita religiosa non è – da solo – un trattato di teologia sulla vita

religiosa; esso trova il suo completamento nelle due importanti Costituzioni: la

Lumen gentium e la Gaudium et spes, che rispettivamente ci danno la teologia della

vita religiosa e la metodologia dell’apostolato.

Va inoltre completato con quanto c’è, di riguardante i religiosi, nei documenti

Christus dominus e Ad gentes.

I giudizi che si sono dati sul Decreto dei religiosi sono molto vari; alcuni lo trovano

ancora troppo scarno, in alcuni punti ancora piuttosto giuridico; ma resta vero che

può costituire la “magna charta” per la spiritualità e l’apostolato di tutte le famiglie

religiose e che apre la vita – come ha detto il Papa – a un vero rinnovamento.

Mi viene spontanea una riflessione: il Decreto dei religiosi fu promulgato in quella

sessione pubblica in cui il Papa esaltò con un caldo inno la perenne giovinezza della

Chiesa che, viva e vigorosa, progredisce e si edifica continuamente; che unisce in

salda e feconda armonia – per la vita – novità e tradizioni; della Chiesa che,

sensibile al variare dei tempi e al mutare delle condizioni sociali, culturali, tecniche,

adatta la sua opera e continuamente ringiovanisce per dare alla sua presenza nel

mondo e al suo lavoro sempre maggior efficacia, per il bene dell’umanità.

La Chiesa quindi è viva, cresce e si costruisce anche per opera delle Congregazioni

religiose, se queste si conservano nella loro migliore vitalità, vive e fedeli nella

Chiesa che è viva».

(Madre Baldinucci, Circolare dell’8.12.1965)

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Mary Daly

(1928-2010)

Nasce nel 1928 negli Stati Uniti da una famiglia

cattolica di origine irlandese. Si laurea in Lingua

inglese e in religione al Saint Mary’s College

dell’Indiana. Volendo studiare teologia, poiché

nessuna università americana concede tale

dottorato a una donna, si trasferisce a Friburgo, in

Svizzera.

Nel 1965 pubblica un articolo sul comportamento

sessista della Chiesa, che attira l’attenzione di un

editore londinese. Egli le propone di scrivere un

libro sul tema: The Church and the second sex,

verrà pubblicato nel 1968.

Nel 1965 va a Roma per assistere ad alcune

sedute del Vaticano II. Poi torna a Friburgo e

negli Stati Uniti, dove dal 1967 insegna nel

Boston College, tenuto dai Gesuiti. Nel 1969

viene licenziata in seguito ai contenuti del suo

libro. Ciò suscita forti proteste degli studenti e

grande clamore mediatico. L’Istituto le offre

allora un nuovo contratto a tempo indeterminato.

Il suo femminismo radicale continua a esercitare

grande influsso sulla teologia femminista.

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«[A Friburgo] straniera in una terra straniera, mi sentivo libera, mentre facevo ciò che

avevo scelto di fare, in un posto apparentemente improbabile. Accumulavo lauree

dottorali, la prima in teologia e la seconda in filosofia, mentre guadagnavo abbastanza

denaro per sopravvivere dando lezioni di filosofia a studenti americani […]. Ascoltare

lezioni in latino impartite da preti domenicani in lunghi abiti bianchi, le cui lezioni

talvolta avevano più senso quando non si capiva la lingua [...] apprendere l’intensa

disciplina intellettuale di una cultura già allora scomparsa dalla maggior parte della

superficie del nostro pianeta [...] un’esperienza estatica di sette anni [...].

[A San Pietro] c’era un esuberante senso di speranza. La maggior parte di noi pensava

che ciò significasse che c’era speranza per la chiesa […]. Seduta nel settore riservato

alla stampa, osservavo a distanza il gran numero di cardinali e vescovi, uomini

anziani in vesti color cremisi e, in un altro settore, gli uditori, tra i quali alcune donne

cattoliche, per lo più suore con lunghe vesti nere e il capo velato. Il contrasto tra il

portamento arrogante e l’abbigliamento vistoso di quei “principi della chiesa” e

l’atteggiamento umile, dimesso e le vesti scure di quelle pochissime donne suscitava

sgomento. Solo discorsi di uomini, voci senili, fesse, lagnose: le poche donne

sedevano docilmente, ascoltando la lettura in latino di documenti che né loro né i

lettori sembravano comprendere. Il messaggio di quella scena s’impresse

profondamente nella mia coscienza a caratteri di fuoco. Nessun film di Fellini

avrebbe potuto superare quell’involontaria autoparodia del cattolicesimo»

(Prefazione autobiografica a La Chiesa e il secondo sesso)

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Angelina Nicora

Alberigo

(1927-2014)

All’epoca del Concilio Angelina Nicora ha 35-38

anni. Varesina come il marito, Giuseppe Alberigo,

dal 1953 si trasferisce a Bologna per lavorare con

Giuseppe Dossetti nel Centro di documentazione.

Alberigo e alcuni dei giovani laici che hanno

fondato il Centro, lo tengono vivo come luogo di

ricerca, trovando in nuovi maestri - Hubert Jedin e

Delio Cantimori in modo particolare – i riferimenti

per quegli studi sui concili e sul tridentino che sono

il maggior impegno di quella fase.

Nel 1959 protagonista del gruppo è di nuovo

Dossetti quando si inizia a lavorare a un’edizione

critica dei decreti dei concili ecumenici della Chiesa

cattolica. A tutto ciò – e anche ai Conciliorum

oecumenicorum decreta, portati in dono a Giovanni

XXIII in un’udienza concessa il 1 ottobre 1962 –

Angelina Alberigo lavora in un modo poco visibile,

ma molto rilevante sul piano della preparazione sia

materiale sia filologica del volume.

Per lei questo accompagnamento della preparazione

e poi dell’avvio del concilio, dal 1 gennaio 1963

prende la forma di un diario.

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«Oggi Paolo VI ha creato mons. Giovanni Colombo arcivescovo di Milano. Siamo

rimasti assai male e depressi sia per la povera diocesi, che certo avrà un vescovo

sbiadito, sia per quello che questo significa in tutto il pontificato. Ma allora è

sempre tutto nella linea di d. Franco Rossi vescovo, di Antoniutti alla

Congregazione dei religiosi ecc. Ci spiace anche per don Costantino che si ritrova il

rettore incapace come arcivescovo. Possibile che l’episcopato italiano non possa

produrre qualche uomo di rilievo? Speriamo che il Signore ci conservi il nostro

[Lercaro]» (10.08.1963)

«Pippo [don Dossetti] è tornato molto perplesso: con l’impressione che si stia

circondando di gente mediocre: don Angelo [Dell’Acqua], e questa è la notizia più

grave, lascerebbe la Segreteria per finire vicario a Roma, col che probabilmente si

chiuderebbe buona parte delle aperture all’Est. È sempre più evidente che la

politica di apertura verso il mondo orientale era fatta soprattutto da lui che dava

contenuto agli slanci religiosi, ma forse vaghi, di Giovanni XXIII.

Lo schema De Ecclesia è in mano a don Carlo [Colombo], il che fa molto temere

soprattutto per l’episcopato e la collegialità (ha mandato a Pippo un pezzo da

vedere proprio a questo proposito). Il nostro cardinale, come è ovvio, è perplesso:

chiederà, su suggerimento di Suenens, che i quattro si vedano prima della Super

commissione e siano ricevuti dal papa, Pippo dovrebbe essere il segretario dei

quattro» (21.09.1963)

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«Abbiamo sempre avuto ragione quando abbiamo

scrollato il capo davanti ai laici che siedono in concilio.

La curia laica, scelta per le cariche che ricopre e non per

le sue reali competenze che potrebbero farla raramente

collaboratrice. In fondo la gerarchia non vuole laici

competenti, questo è il problema, li sopporta male e ne ha

paura. Pippo dice che l’unico dei laici che vede al suo

posto è Veronese, a cui sabato ha preparato un bellissimo

discorso sul laicato. Spero che Pino riesca ad averne una

copia: ma mi ha detto che era il vero schema di un

trattato. Adesso però pare che parli solo Guitton, che deve

essere un laico coreografico che non dà fastidio, e quindi

il discorso di Veronese non si farà, o forse, ma è assai

improbabile, alla fine di questa discussione sul De

Ecclesia.

Ad ogni modo è chiaro che, come Pippo ha sempre

sostenuto, la teologia non è matura per la formulazione di

questo argomento e che quindi non bisognava discuterlo,

almeno in questa sessione. La cosa migliore sarebbe che

la sessione si chiudesse subito aggiornata tra qualche

anno, ma… nessuno avrà questo coraggio»

(novembre 1963)

Vittorino Veronese

(1910-1986)

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«Si dice che se il concilio va male, è colpa sua.

Sta accadendo esattamente quello che gli è

accaduto nella carriera politica. Ha fatto la

Repubblica, la cassa del mezzogiorno, la

Riforma agraria e poi, messe in moto alcune

cose, l’hanno cacciato via.

Anche qui ha messo in moto collegialità,

diaconato, ha inventato i moderatori e poi lo

cacciano via.

Né lui, né noi siamo preoccupati per lui: ma

per il concilio. “Riusciremo a salvare i

concilio?” si chiedeva sabato sera nel salotto

rosso di Chiesa Nuova, il salotto dove Einaudi

divenne presidente della Repubblica e dove La

Pira distribuiva le sue profezie.

Il pericolo è grave: “Il concilio è come un

balbuziente che non riesce a formulare delle

parole e delle frasi connesse; il pericolo è che

di questo approfittino i curiali e con la scusa

che in qualche modo bisogna finire gli facciano

votare qualche cosa purchessia»

(novembre 1963)

Il ruolo di don Dossetti

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Riferimenti bibliografici

R. Goldie, Da una finestra romana. Cinque decenni: il mondo, la

Chiesa e il laicato cattolico, AVE, Roma 2000.

A. Valerio, Madri del Concilio. Ventitré donne al Vaticano II,

Carocci, Roma 2012.

M. Perroni – A. Melloni – S. Noceti (edd.), «Tantum aurora est».

Donne e Concilio Vaticano II, LIT Verlag, Zürich-Berlin 2012.