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Le ferrovie delle meraviglie

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Viaggio nelle Ferrovie Dimenticate d'Italia

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a cura diAlbano MarcariniMassimo Bottini

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a cura diAlbano MarcariniMassimo Bottini

Viaggio nelle Ferrovie Dimenticate d’Italia

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indice generale

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Introduzione. Albano Marcarini

Ieri, oggi e domani. Massimo Bottini

Porto Empedocle - Castelvetrano

Burgio - Palermo

Siliqua - Calasetta

Lagonegro - Spezzano

Polla - Petina

Monti - Tempio Pausania

Avellino - Rocchetta

Pescolanciano - Agnone

Roma - Fiuggi - Frosinone

Capranica - Civitavecchia

Spoleto - Norcia

Porto San Giorgio - Amandola

San Lorenzo - Ospedaletti

Santarcangelo - Urbino

Brà - Ceva / Bastia - Mondovì

Voghera - Varzi

Mantova - Peschiera

Treviso - Ostiglia

Valmorea

Grandate - Malnate

Valle Brembana

Menaggio - Porlezza

Dolomiti

La Carta di Roma

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Per i testi “Ieri, Oggi e Domani”, gli Autori:Pino Bartolomei; Pietro Canobbio; Paolo Capocci; Silvio Cinquini; Giorgio Costanzo; Valentina Corvigno; Mario Danese;Massimo Ferrari; Ambra Garancini; Pietro Mitrione; Roberto Rovelli; Antonello Sica.

Arianna Catania

Arianna Catania

Filippo Melis

Francesco Sallorenzo

Alberto Nardi

Giovanni Pala

Antonio Bergamino

Vincenzo Messina

Paola Arena

Pamela Lippolis

Paolo Capocci / Silvio Sorcini

Diego Marzoni

Francesco Fiore

Lorenzo Mini

Andrea Bruzzone / Gianni Ottonello

Aurelio Heger

Aurelio Heger

Antonio Rovaldi

Laura Rodolfi

Giorgio Costanzo

Carlo Bonari

Aurelio Heger

Aurelio Heger

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Non ci potevo credere. La stazione era murata, come fosse un edificio terremotato o infestato da un contagio. Eppure ci stava ancora la scritta del paese, seppur penzolante da un lato.Ma non si poteva entrare. C’erano dei mattoni a tappare porte e finestre. Poi c’erano scritte, fatte da chi non ha modi migliori per esprimersi. Potevo solo girarci attorno e mettermi ad attendere il treno.Sì, perché un treno ci passava (non so per quanto tempo ancora). Ma il marciapiede era una desolazione. Grosse fessure lasciavano spuntare erbe e non c’era modo di sedersi, come si faceva una volta, nell’attesa.A meno di non farlo per terra, sul cordolo della banchina. Il binario si sdoppiava per consentire lo scambio dei treni nelle opposte direzioni, ma si capiva che serviva a poco perché la ruggine lo stava avvolgendo.A fianco dell’edificio una piccola giungla di rampicanti e infestanti aveva avvolto del tutto quello che doveva essere un bel giardino, un giardino ferroviario, curato dalla moglie del capostazione o dal capostazione stesso, nei momenti morti della giornata: con le aiuole bordate dai mattoni messi di spigolo, con le rose e le edere, con l’immancabile e benedetta fontanella che sprizzava acqua all’insù, come un piccolo geyser senza ambizioni.Insomma quei giardinetti che ambivano al premio delle stazioni fiorite, in voga negli anni Trenta quando la Stazione era pari, per importanza, al Municipio e alla caserma dei Carabinieri.Ma ora la fontanella era una cannetta tagliata alla base e il catino in pietra spezzato a metà.

Albano MarcariniAdesso è tutto abbandonato. Di più, è tutto senza speranza.È una rovina che nessuno vuole. A un tratto lo squillo della campanella rompe un silenzio assurdo. Un’altra campanella, più lenta e lontana, ferma le auto al passaggio a livello. Si annuncia imminente l’arrivo del treno. Ma niente viaggiatori, nessuno che scende e nessuno che sale. Il capotreno col fazzoletto verde nella mano destra e il chiavistello nella sinistra, guarda indietro, poi avanti, fa un cenno al macchinista e il convoglio riparte quasi scusandosi di essersi fermato in una stazione fantasma. 6400 secondo gli ultimi dati.La previsione è di arrivare a 10 mila nel 2020. Non si tratta di statistiche della crescita, bensì dei chilometri della nostra rete ferroviaria in progressiva dismissione. Nel 2011 ne sono scomparsi 600, e nel 2012 quasi altrettanto se non di più.Non c’è da esserne fieri, forse c’è da vergognarsi, questo sì.Di fronte alle chiusure un tempo si reagiva con grandi manifestazioni che chiamavano a corteo intere cittadinanze, sindaci in testa, proteste e articoli di giornali a fiotti.Oggi quasi non se ne parla. Soprattutto pochi reagiscono, a parte qualche associazione di appassionati.C’è rassegnazione o, peggio, indifferenza, pericolo ancora più grave, come soleva dire Antonio Gramsci che gli indifferenti alle cose proprio non li sopportava.E chi ha in potere di fare e disfare agisce indisturbato. Per lo più disfa un patrimonio di strade ferrate costruito con acume e lungimiranza dalle nostre generazioni passate.

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La ferrovia è molto più di un mezzo di trasporto.È stata il collante di sviluppo di regioni emarginate, è stata il primo passo verso la modernità, è stata un’intelligente applicazione ecologica per il movimento collettivo delle merci e delle persone.È stata storia e memoria, vicende sociali ed economiche.È stata scuola di alta ingegneria e sapiente disegno di paesaggio (basta osservare increduli il dettaglio dei progetti ottocenteschi sull’andamento dei tracciati e delle relative opere d’arte). Il suo valore testimoniale e l’importanza del suo presidio territoriale, di qui al futuro, è superiore ad ogni meschina analisi finanziaria di esercizio. È vero, forse sui piccoli treni delle nostre linee secondarie non ci va più nessuno (ma tanto hanno fatto per scoraggiare i passeggeri), però non è come i transatlantici che tolti quelli il mare resta lo stesso.Se togli in treno togli un pezzo di territorio strutturato, anzi infrastrutturato, e lo perdi per sempre come ci ricordano con rammarico tante ferrovie conservate ormai solo nelle pagine dei libri di foto in bianco e nero.Anche questo è un libro. Un libro che non avremmo mai voluto scrivere e pubblicare perché sono pagine di rimorsi e di rimpianti. Eppure c’è chi crede che mantenere la nostra rete ferroviaria sia ancora cosa degna di un Paese civile.E si vuole convincere altri.

IntroduzioneSpesso noi che ci occupiamo di queste cose litighiamo sul futuro di questo patrimonio, sul che farne, in particolare.C’è chi lo vorrebbe ancora attivo e in esercizio, magari con funzione turistica sorretta da una decorosa valorizzazione, e c’è chi ne vorrebbe fare parte integrante di una rete alternativa di mobilità pedonale e ciclabile, trasformando i vecchi tracciati. Propositi degni e onesti tutti.Quando il fenomeno era contenuto tali prese di posizione erano possibili, ora non più. L’entità e la gravità dell’abbandono superano ogni plausibile e possibile progetto di ripristino o di trasformazione.Occorre contrastare con forza una vera manovra ‘epocale’ che tende a cancellare definitivamente il trasporto su ferro, almeno quello che sfortunatamente non appartiene alla categoria dell’alta velocità. E a lasciare desolati e melanconici relitti in ogni parte del Paese.Possiamo dire di meritare tutto questo?

Albano Marcarini: Presidente Co.Mo.Do. Confederazione Mobilità Dolce

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I viaggiatori del gran tour che nel settecento provenivano dal centro e nord Europa percorrevano la nostra penisola folgorati dai paesaggi, dalle persone, dalle abitudini, ma soprattutto annotavano i luoghi e le situazioni ritraendoli in piccoli schizzi.Sfogliando un libro che conteneva una parte di quei disegni e parte dei diari di viaggio mi sono imbattutto nel ritratto di una scena di quotidianità del tempo, delle donne che attorno ad una fonte improvvisata lavavano dei panni. L’autore annotava che si trattava di antiche rovine romane appositamente riutilizzate per attrezzare un lavatoio. Nel commento si leggeva della sua meraviglia e la sua ammirazione nel vedere come quelle massaie con tutta naturalezza riusavano quei preziosi marmi.Il viaggiatore annotava quindi l’abilità degli italiani di convivere in modo rispettoso ed ingegnoso col loro passato. Una abilità che ha permesso al nostro paese di formarsi nei secoli seguendo le regole di una crescita armonica in cui ogni componente è in grado di interagire con tutte le altre ed integrarsi.Credo che in quel piccolo schizzo ci sia la sintesi del titolo di questo volume: ieri, oggi, domani.Ieri due secoli fa, in tutta la nostra penisola, come testimoniano le foto e le schede di questo libro, furono costruiti chilometri e chilometri di linee ferroviarie, furono solcate colline, bucate montagne, un gran numero di quelle linee non furono mai percorse da alcun treno, altre furono attive per un lasso di tempo limitato ed altre ancora lo furono per più anni. L’orografia del territorio ne è stata segnata profondamente e il reticolo ferroviario “dimenticato” è diventato paesaggio. Oggi, molte associazioni di volontariato grandi o piccole che siano hanno adottato una o più di queste linee ferrate, le difendono, le curano, le percorrono a piedi, in bici, a cavallo o altro.Le utilizzano per addentrarsi in aree oramai marginali del territorio in cui è ancora possibile riconoscere il segno dell’opera umana. Molte di esse versano in un completo stato di abbandono, assieme agli innumerevoli caselli ed alle stazioni. Imbattersi in una stazione abbandonata, chiusa per mancanza di treni è un’esperienza unica, una volta entrati o solo affacciati la mente inizia ad immaginarla con I viaggiatori, I bigliettai , I macchinisti, se poi si tratta di stazioni che non hanno mai funzionato ci si ferma lì ad aspettare il treno immaginario che ancora deve arrivare.

Massimo Bottini

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Ieri, oggi e domaniInsomma le ferrovie “sognate” posseggono un grande potere che attiva le nostre memorie, i ricordi, ma anche la nostra immaginazione. Sfogliando il volume tra le tante foto, se ne troveranno alcune che ritraggono tratti di linee riportati a nuova vita, un pò come le rovine romane diventate lavatoio.Il “riuso” consente loro di ricongiungersi in qualche modo al territorio ed alla comunità diventando così soggetti attivi nell’eterna azione di scambio tra natura e cultura che è alla base della creazione e conservazione del paesaggio.Domani, è un progetto di valorizzazione e conservazione del reticolo ferroviario dismesso che consenta a queste vecchie vie di comunicazione di ritornare ad essere tali, oppure - se Dio volesse - di nuovo in piccole ferrovie attive e dedicate al turismo dolce, trasformandole in corridoi verdi di mobilità dolce. Sentieri di conoscenza e scoperta del paesaggio, capaci di diventare attrattiva turistica.Questo volume è figlio di un precedente e meno ambizioso libro dal titolo “la Ferrovia Sognata”, quando Albano Marcarini lo sfogliò esclamò soddisfatto: “ Finalmente un testo che parla di ieri, oggi e domani del patrimonio ferroviario dismesso” e mi congedò dicendomi che avremmo dovuto costruire un quaderno atlante delle ferrovie dimenticate, era il 2010 e stavamo celebrando la terza giornata nazionale... viaggiando su un tratto di linea umbra da Terni a L’Aquila. In seguito, il successo delle iniziative e soprattutto la grande partecipazione (per la quarta giornata ci sono stati 89 appuntamenti e più di 15000 partecipanti) ci ha definitivamente convinto che era tempo di iniziare un altro viaggio e di mettere in cantiere questo volume in collaborazione con il network delle associazioni partecipanti a CoMoDo, così è nato “Ferrovie delle meraviglie”. E dato che un viaggio si compone soprattutto di immagini che emanano emozioni, il volume ne è ricco, anzi per meglio dire, esse sono la sua materia principale.

Ad ogni associazione è stato chiesto di selezionare una serie di foto che sintetizzassero lo stato di salute del tratto di ferrovia dismessa adottato, di quelle foto per esigenze di spazio, ne sono state scelte solo alcune. Le immagini per scelta non sono accompagnate da alcuna didascalia e sono integrate da una scheda redatta dall’associazione stessa divisa in tre parti: ieri, oggi, domani.La lettura si trasforma in un viaggio seduti accanto al finestrino, percorrendo 6000 km di binari dimenticati lungo tutto la penisola. Un gran tour a velocità superiore rispetto a quello del settecento ma sicuramente ancora abbastanza lento per permettere al viaggiatore di leggere il paesaggio e di comprenderne le trasformazioni determinate dallo sviluppo economico.Molte di queste ferrovie sono servite proprio ad avviare il processo di crescita economica e sociale di regioni emarginate, isolate e lontane dalle grandi città. La loro sparizione avvenuta nel corso del XX secolo a causa di una politica dei trasporti che ha privilegiato lo spostamento su gomma, alla concorrenza delle ‘aree forti’ del Paese, al declino dei centri interni della penisola.Oggi esse sono, speriamo ancora per poco, muti testimoni di un processo storico e di una cultura ingegneristica da non dimenticare. Alcune potrebbero anche essere riattivate; soprattutto quelle che si trovano in aree naturali e turistiche di grande rilievo.Altre possono essere convenientemente trasformate in piste ciclabili e pedonali, strumenti principe della ‘mobilità dolce’.Siamo insomma di fronte a un patrimonio di grande valore e significato, che oltre ai tracciati, perfettamente inseriti nel paesaggio, potrebbe allargarsi ai rotabili, alle stazioni e agli altri impianti fissi.CoMoDo, attraverso le Giornate nazionali delle ferrovie dimenticate, ha censito decine e decine di piccole realtà associative, volontaristiche, movimenti di persone negli angoli più nascosti del Paese, che si battono per un vecchio viadotto, per una locomotiva, per un pezzo di binario in disuso.Non si battono per una piccola cosa, ma si battono per conservare la nostra memoria. Vale la pena far emergere queste realtà.Un libro serve a produrre conoscenza, in questo caso a ricordare ciò che è stato “dimenticato”, un risveglio di consapevolezza che è sì un pò malinconico ma che traccia un via futura possibile ed attuabile da percorrere.

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L’avvio della costruzione di linee ferroviarie in Sicilia, rispetto al resto dell’Italia, fu un po’ tardivo ed anche lento, almeno fino al 1879 (quando fu emanata una nuova legge che avrebbe dovuto favorire in tutto il Regno la nascita di nuovi collegamenti ferroviari).In Sicilia nacque così una rete complementare alle linee principali con lo scopo di realizzare un sistema di collegamenti tra le zone interne dell’isola e la costa per favorire la commercializzazione dei prodotti agricoli e minerari. Tuttavia, soprattutto per motivi economici e di natura dei terreni attraversati, questa rete fu impostata con lo scartamento ridotto (950 mm.) e spesso facendo ricorso alla cremagliera nei tratti più acclivi. La prima realizzazione di quella che sarà un’ampia rete fu la Palermo Sant’Erasmo-S.Carlo (frazione di Chiusa Sclafani), di 107 km, nata dall’iniziativa di un inglese, un certo Robert Trewhella, promotore anche della Ferrovia Circumetnea. Ottenuta la concessione governativa nel 1883 per una linea fino a Corleone, i lavori partirono nello stesso anno dalla località cittadina di S. Erasmo, adiacente il porto, e dove, a cavallo del fiume Oreto, vennero realizzate anche le officine sociali e le rimesse per i rotabili. Dopo una sospensione dei lavori a causa di un’epidemia di colera, la tratta fu aperta nel 1886 per venire poi colpita nell’anno successivo da un’inondazione che impose quasi un anno di interruzione per ripararne i danni. Nel frattempo veniva chiesto il prolungamento fino a San Carlo che vide la luce solo nel 1903 dopo l’ottenimento della concessione da parte di una nuova Società esercente.All’inizio il servizio delle due Amministrazioni, seppure alquanto limitato, trovava coincidenza a Corleone mentre a partire dal 1910 vennero istituiti servizi diretti Palermo-S.Carlo razionalizzando l’impiego del materiale e del personale. Dopo alcuni miglioramenti (nuovi rotabili e linea telefonica) le condizioni generali dovute allo scoppio della Prima Guerra Mondiale fecero precipitare la situazione tanto che nel 1918 venne revocata la concessione con l’assunzione del servizio da parte dello Stato ed il successivo passaggio alle FS nel 1922 che portarono il nuovo capolinea a Burgio (5 km), in previsione di un prolungamento verso la costa meridionale dell’isola (che non fu mai realizzato). A causa delle caratteristiche impegnative del tortuoso tracciato, con curve strette e pendenze accentuate, la velocità ammessa ai tempi della trazione a vapore era di soli 30 km/h che scendevano a 20 nelle tratte più acclivi. Con la successiva introduzione della automotrici diesel le velocità aumentarono a 50 km/h nei tratti pianeggianti ed a 40 km/h sui restanti (che costituivano quasi due terzi del percorso!). Se la messa in servizio delle automotrici diesel aveva portato ad un significativo aumento del traffico viaggiatori, l’arretramento, nel 1953, della stazione di inizio dalla centrale Sant’Erasmo alla periferica Acqua dei Corsari, fece calare sensibilmente il traffico tanto che la chiusura dell’intera linea venne decretata il 1° febbraio 1959.

Attualmente il tracciato da Palermo fino a Villafrati è praticamente scomparso, per buona parte cancellato dall’urbanizzazione o da nuove infrastrutture stradali. Da Villafrati a Burgio, invece, la linea è quasi interamente riconoscibile come sentiero sterrato o strada campestre, seppure non manchino alcuni tratti inglobati in campi coltivati (soprattutto tra Ficuzza e Corleone e nei pressi di Bisacquino) o trasformati in strade locali. Variabile lo stato di conservazione delle opere d’arte, con alcuni viadotti e gallerie che presentano problemi strutturali. Merita comunque una menzione l’imponente viadotto Mortilli (a 13 arcate di circa 12 m. di luce sul fiume Eleutero, tra Misilmeri e Bolognetta, ancora ben visibile sebbene ora ci passi una strada d’interesse locale).I fabbricati delle ex-fermate sono quasi tutti scomparsi, mentre quelli delle ex-stazioni sono in parte fatiscenti e abbandonati ed in parte abitati (Misilmeri) o convertiti ad altro uso (Ficuzza - oggi ricostruita ed adibita a struttura ricettiva -, Corleone, Campofiorito, Bisacquino, Burgio).

Negli ultimi anni diversi studi erano stati presentati per il recupero a fini ciclo-turistici di alcuni tratti dell’ex ferrovia Palermo-Burgio.Ha visto così la luce un primo recupero di circa 26 km tra Godrano e Corleone. Al cospetto della splendida campagna siciliana dai campi coltivati ed ordinati, tra ulivi ed agrumeti, attraverso boschi di eucalipti e castagni, si parte dalla vecchia stazione di Godrano (39 km da Palermo) seguendo un andamento ondulato con un dislivello di 250 metri in lieve pendenza su fondo in gran parte sterrato.Superato il culmine, ad oltre 730 metri di altezza, mediante la lunga galleria denominata “dei Gargioli”, si entra nella Riserva Naturale della Ficuzza mentre, passando un’altra breve galleria, si giunge al piazzale della vecchia stazione, oggi diventata albergo-ristorante.Seguendo ancora il vecchio tracciato ferroviario, dopo aver pedalato un po’ a fianco della provinciale 118 fino ad attraversarla, ci si avvicina al vallone del fiume Frattina, mentre un lembo estremo del Bosco della Ficuzza concede la vista sul “Gorgo del Drago”, un piccolo laghetto naturale. Proseguendo tra ampie vedute, tra pascoli e masserie, dopo una decina di chilometri si raggiunge Corleone, posto al termine di una leggera salita.

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La proposta di un collegamento ferroviario tra la Provincia di Cosenza e Napoli, passando, per un tracciato interno, da Lagonegro e Sicignano dove al tempo già era in costruzione una linea, risale al 1892.La richiesta tuttavia fu accolta solo più tardi, nel 1902, ma quando fu effettivamente realizzata, a partire dal 1915, venne costruita a scartamento ridotto (950 mm.) nonostante i primi progetti prevedessero lo scartamento ordinario. Le zone attraversate avevano ed hanno caratteristiche orografiche difficili e la linea pertanto fu realizzata con caratteristiche da ferrovia di montagna con strette curve e forti pendenze. Ciò portò alla costruzione di numerose opere d’arte (tra cui l’ardito viadotto di circa 200 m. sul Vallone Serra, nei pressi di Lagonegro) nonché alla necessità di tre tratte a cremagliera per superare i sensibili dislivelli oltre a lunghe impegnative livellette e perfino una galleria elicoidale (opera abbastanza rara per le ferrovie italiane) tra le stazioni di Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore. Su un percorso così impegnativo e dalle forti caratteristiche disomogenee, di fatto veniva però vanificato l’intento originale di un congiungimento senza cambi dalla stazione di Spezzano Albanese, sulla già esistente linea Cosenza-Sibari, a Lagonegro dove arrivava la linea FS da Napoli-Eboli-Sicignano.Lunga 105 km, fu completata per tratte dal 1915 al 1931 ed attraversava l’area del Massiccio del Pollino (oggi tutelato come Parco Nazionale). Gestita dalla MCL-Mediterranea Calabro Lucane, poi FCL-Ferrovie Calabro Lucane, costituiva la tratta più lunga staccata dalla rete sociale, nell’ambito di un progetto ben più ampio di collegamenti ferroviari che, nelle intenzioni, avrebbero portato, oltre che a Napoli, fino a Bari e verso Catanzaro sfruttando anche tratti già esistenti.Tuttavia questo colossale progetto non vide mai la luce lasciando vari tratti, più o meno lunghi, isolati l’uno dall’altro e quindi destinati ad una lenta agonia a causa anche dello scarso traffico generato dai piccoli centri abitati attraversati. Negli anni ’50 vari fattori cominciarono ad assestare colpi mortali alla nostra linea: concorrenza dei servizi su gomma molto più veloci e capillari, con ulteriore calo di utenti, e problemi strutturali ad alcuni ponti. Già nel 1952 venne quindi chiuso il tratto tra Lagonegro e Rivello (tagliando il collegamento a nord verso Sicignano e Napoli) mentre nei primi anni ‘70 il cedimento di un ponte presso Cassano allo Jonio precluse ogni collegamento con il resto della rete anche a sud. La linea, ormai ridotta ad un moncone, sopravvisse ancora per qualche tempo fino al 1978 e già pochi anni dopo, verso il 1984, anche i binari vennero tolti dalla sede mentre le FCL (a cui subentrò nel 1989 la nuova società FC-Ferrovie della Calabria, nata dalla scissione un due entità delle FCL) continuarono la gestione di un limitato servizio sostitutivo con autobus.

Nonostante, ogni tanto, escano progetti di parziale ripristino, tra cui l’ipotesi di una riapertura per un servizio suburbano tra Spezzano Albanese e Castrovillari, ad ora nessuna opera ha visto la luce. Attualmente, nel tratto Lagonegro-Castrovillari, la sede ferroviaria è quasi interamente integra e ancora ben visibile, con numerose opere d’arte ancora in discrete condizioni ed i fabbricati di servizio generalmente in buono stato. In molti tratti il sedime è stato utilizzato come strada campestre mentre in altri risulta invaso dalla vegetazione spontanea. Solo nei pressi di Castelluccio Inferiore vi sono alcuni chilometri di sedime trasformati in strada.Da Castrovillari a Spezzano Albanese, invece, la situazione peggiora con la sede ferroviaria per lunghi tratti cancellata dall’urbanizzazione ed utilizzata per la realizzazione di una strada provinciale o inglobata in coltivazioni agricole.

Tuttavia ne permangono visibili alcuni tratti oggi utilizzati come strade campestri o abbandonati mentre i fabbricati di stazione ed i caselli sono quasi tutti in ottime condizioni e spesso abitati.Da segnalare che, a testimonianza della vecchia ferrovia, presso la ex stazione di Castrovillari, ora deposito di autobus, si trova monumentata una locomotiva a vapore: la FCL 503 di costruzione CEMSA, facente parte della terna di locomotive a cremagliera della dotazione iniziale della linea.

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“La ferrovia Agnone-Pescolanciano è figlia della fede e della ferma volontà di un popolo intero, che il mare infinito divide, ma gli alti ideali mischiano in un complesso di sublime fratellanza.”Agli inizi del Novecento, la cittadina di Agnone fu al centro di una singolare vicenda, quella della tramvia elettrica Agnone-Pescolanciano, la cui realizzazione sembrava ripercorrere i passi che avevano accompagnato la prima carrozzabile ottocentesca.Il mattino del 23 dicembre 1914, alle ore undici, la prima vettura di prova, bianca come una magica colomba, entrava in Agnone, per il suo viaggio di collaudo, tra due ali di popolo commosso ed esaltante. Il viaggio inaugurale della ferrovia Agnone-Pescolanciano fu effettuato il 24 maggio 1915 e servì per trasportare i giovani agnonesi sul fronte della prima guerra mondiale.L’apertura ufficiale al pubblico avvenne quattro anni dopo la firma del contratto di definitiva concessione della linea, il 7 giugno del 1915.Nel corso degli anni, lunghe e travagliate vicissitudini portarono al fallimento della ferrovia, dichiarato con sentenza del tribunale di Isernia, emessa il 29 maggio 1935.Nel novembre 1943, fu dato l’ultimo affondo all’esistenza della ferrovia, allorché i tedeschi, in ritirata, la distrussero con rigore scientifico eccezionale: in una sola notte la rabbia teutonica si accanì lungo i diciassette chilometri che corrono parallelamente alla strada nazionale, furono spezzati i fili elettrici, i pali telegrafici e telefonici, furono divelte le rotaie e le centrali elettriche furono distrutte: non si salvò un metro di rotaia, una traversa, una stazione del percorso, nulla.

Attualmente l’amministrazione provinciale di Isernia si sta attivando per attingere ai finanziamenti necessari per la ristrutturazione dell’intero percorso, compresi i fabbricati.L’ingegnosa macchina burocratica messa in moto per la costruzione delle ferrovia economica Agnone-Pescolanciano a ben guardare non ha mai cessato il suo cammino verso lo scopo mirato.Ragionando per ipotesi, qualora la ferrovia fosse riproposta esclusivamente come bene museale, la sua riapertura risulterebbe il mero frutto di un passatismo nostalgico; se invece la ferrovia venisse intesa come strumento utile, tra gli altri, a produrre una viabilità efficace, allora una sua eventuale nuova messa in opera lungo la tratta Agnone-Vasto potrebbe rappresentare una condizione, non ultima, della ripresa economica dell’alto Molise.Ma, purtroppo, l’esigenza del trasporto ferroviario è stata oggi eclissata dalla presenza dell’automobile.

Una cosa, però, si può ribadire con certezza: nessun mezzo gommato può in alcun modo sostituire la visione idilliaca del paesaggio che si gode dal treno.... ancora oggi qualche agnonese è persuaso che le sue tanto amate valli e colline potrebbero riacquistare il fascino dei tempi andati, a patto che la magia della colombina bianca intervenisse a ridestarlo.

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Negli anni ’30 del Novecento il giornalista Antonio Baldini, in uno dei suoi celebri pezzi dedicati al Montefeltro e al suo paesaggio, con parole che oggi suonano di ammonimento, ricordava la ormai storica linea ferroviaria Fabriano-Urbino-Santarcangelo di Romagna:“E’ questa una strada ferrata unica del suo genere. Il treno non vi passa”. A pensarla, ora, questa linea pare una follia. Una ferrovia che taglia a mezza costa il crinale appenninico parallela all’Adriatico, cioè sul versante dove i monti piombano dritti al mare. Dove i fiumi sono troppo brevi e nervosi, e solcano vallate profonde che passare dall’una all’altra è un’impresa. E i paesi e le cittadine sono da sempre tanti microcosmi. In parte lo sono anche oggi. Però c’è stata un’epoca, a fine Ottocento, in cui tutto pareva possibile, persino collegare queste valli col mondo. Creare un network come non c’era mai stato. Usando la ferrovia, il grande simbolo del progresso positivista. Una ferrovia costretta a salire e scendere di continuo. A costruire viadotti e gallerie più che in alta montagna. Una vera sfida al territorio, da Santarcangelo di Romagna (sulla Bologna-Rimini) fino a Torre de’ Passeri (sulla Roma-Pescara). Una follia, appunto. Però la voleva il Ministero della guerra.Voleva un’alternativa protetta alla ferrovia adriatica che correva troppo in faccia alla costa e al nemico austriaco d’oltremare. A quella ferrovia che fu il primo collegamento diretto fra il nord e il sud della nuova Italia, ma costruita così in fretta (tre anni, 1862-65) che si scelse la via più semplice proprio in riva al mare. Una via che però parve ben presto troppo a rischio, candidamente esposta alle bombe del nemico, oltre che alle mareggiate. Così si cominciò a costruire l’alternativa “interna”, con diramazioni lungo le valli che portavano al mare.Si cominciò dal tratto Santarcangelo-Fabriano già previsto nella legge Baccarini del 1879, e l’unico a cui alla fine si mise mano.Si costruì e si mise in opera da Fabriano a Urbino (1895-98). Si continuò a nord di Urbino ma mai si arrivò a San Leo, fiaccati dalle infinite dispute sul tracciato tra i comuni della zona per cui la ferrovia era la vita.Si costruì da San Leo a Santarcangelo (ultimati i lavori nel 1918) ma nessun treno ne solcò i binari. E quel che c’era fu distrutto dai tedeschi nell’ultima guerra, anche se riattivato nel dopoguerra per servire le miniere di zolfo della zona. Da Novafeltria a Rimini, da Pergola a Fabriano viaggiava il minerale. Viaggiava la nuova Italia repubblicana.Viaggiava ancora una volta il progresso, la costruzione del futuro.

Ancora una volta, però, durò poco. L’epopea del “ferro”, mai compiuta nel nostro paese, fu presto soppiantata dalla “gomma”. E lo zolfo si esaurì.E in quelle valli appenniniche tornò il deserto ferroviario, a parte la Fabriano-Pergola che è comunque “ramo secco” per le nostre Fs.Comunque destinato a svanire, pur lasciando tracce indelebili.Perché a tutt’oggi c’è ancora traccia persino di quel che non è mai stato, di un treno mai passato. Basta saperla scovare, nelle remote marche di frontiera. Binari lunghi, infiniti e bruscamente interrotti; ponti, sottopassaggi e archi; stazioni e caselli in eterna attesa del vapore; gallerie che portano a nulla; viadotti sospesi nel vuoto; una linea che,

dove manca il binario, emerge comunque precisa e parlante dalle foto aeree. La ferrovia che non c’è. Ma che sa raccontare ancora di un universo di ferro e vapore, di vecchie miniere, delle prime industrie. Della volontà di “fare rete” e imporsi al mondo.E della fatica odierna per conservare memoria di un’epoca che sapeva ancora guardare al futuro rispettando i luoghi.Che li conosceva così bene da saperli sfidare ma mai aggredire.

La storia della tratta ferroviaria che parte dalla Stazione FF.SS. di Santarcangelo di Romagna per inoltrarsi verso San Leo, è la storia di una ferrovia mai finita ma, nonostante ciò, già completa di molte strutture di servizio che potrebbero essere utilmente reimpiegate per la creazione di una greenway, ovverosia una strada per la gente da percorrere a piedi, in bicicletta o a cavallo.Il tracciato, che parte a pochi passi dalla congestionata costa romagnola, consente di apprezzare al meglio lo splendido paesaggio delle colline di Romagna mentre attraversa luoghi ricchi di storia come Santarcangelo, Verucchio, San Leo per citare solo i più notiSe opportunamente attrezzata e fatta conoscere, la greenway Santarcangelo-San Leo potrà dunque diventare un’esperienza turistica ricca e varia.Un’esperienza che vale il viaggio in Romagna.Occorre immaginare un percorso lineare, ciclo-pedonale, non trattato come un itinerario ma come una rete di possibilità che possono essere composte a seconda delle vocazioni e delle inclinazioni del visitatore.Ci si potrà correre, per garantirsi il proprio benessere, magari assistiti sul percorso da personal trainer.Ci si potrà fermare nelle stazioni per una degustazioni di prodotti tipici o per una rappresentazione teatrale, oppure per una mostra o un incontro con un autore.Si potrà costruire un progetto educativo per i bambini che trasmetta loro il valore, personale e collettivo, di un paesaggio non abusato.Si può immaginare una via che favorisce e costruisce relazioni tra le persone e sia monito con la sua incompletezza alla necessità della condivisione. Una missione che la storia ha assegnato a questa terra che ha saputo unire con la propria accoglienza gente di diverse provenienze.

Linea adottata da Italia Nostra

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Paolo Rumiz, in uno splendido articolo su “Repubblica”, di cui ricordo esattamente a memoria le parole, scrisse che “qui in Piemonte nacque e morì una grande idea ferroviaria! Nacque con i Cattaneo e i Cavour, morì con gli Agnelli e il boom dell’automobile, fu sepolta dalle alluvioni che distrussero i ponti, dopo che quel boom spopolò le montagne…” Venne distrutta così “una rete fantastica che nessuno riattiva… nemmeno oggi, che l’auto è agonia!” A questa rete fantastica appartennero le nostre due linee: la Bra-Ceva o meglio l’antico tracciato via Bra, nel tratto fino a Ceva, della Torino-Savona e la Bastia Mondovì-Mondovì, con la sua bretellina proveniente da Carrù, che si immetteva sulla linea di Bastia aggirandone la stazione ed evitando la manovra di inversione della locomotiva.Gli albori della Bra-Ceva sono datati 1861, analogo è il periodo di massima discussione per la realizzazione della Bastia-Mondovì, che verrà formalizzata con un regio decreto del 1873… Siamo negli anni importanti dell’ unificazione nazionale; il Piemonte è impegnato in questa grande battaglia, ma non dimentica l’importanza di riequilibrare i suoi sbocchi sul mare: ceduta Nizza, Savona ne prende il suo posto, di qui l’esigenza di collegare le banchine portuali con la prima capitale del nuovo regno. Quale tracciato scegliere? Molte le ipotesi e gli studi di fattibilità, si preferisce quindi optare per la via di Bra e della Val Tanaro con la certezza di risparmiare sulla realizzazione di opere d’ arte, come grandi viadotti e gallerie… Dunque in Val Tanaro arriva la ferrovia, quasi una rivoluzione; alcuni paesi come Monchiero, si spostano lentamente verso lo scalo, lì trasferiscono scuole e servizi; la vita si riforma intorno all’asse ferroviario e al grande fiume…Già, il fiume! Impossibile separare il destino della linea da questo importante corso d’acqua!Chi come me l’ha percorsa infinite volte, non poteva non definire la Bra-Ceva, una linea “in volo sul Tanaro”.La ferrovia attraversa il fiume infinite volte, sembra confondersi con lui in una emozionante rincorsa, resa più suggestiva dalla momentanea sparizione provocata dal buio della gallerie.Molti cercano nuove sensazioni affidandosi ai parchi divertimenti, dove trenini senza meta si arrampicano su artificiali impalcature, qui tutto avviene seguendo e lambendo un percorso che solo un dio artefice, pensante e volente potè realizzare… Davvero un grande amore tra la ferrovia e il Tanaro, un amore così forte che si spezzò quando il fiume per qualche minuto volle erigersi a padrone della sua compagna. Correva l’anno 1994: il fiume si riprese quel poco che la ferrovia gli chiese e l’incantesimo si spezzò…

Percorrendo quel che rimane oggi del tracciato ferroviario, sia ha la sensazione di un tradimento e di una rapina, perpetrata ai danni di chi all’inizio del terzo millennio credeva nel rilancio del trasporto pubblico locale. Molti interrogativi non hanno ancora una risposta!Come si spiega che una linea da poco rifatta con un sistema sofisticatissimo di apparati centrali, venga lasciata alle ortiche?E poi quei ponti, danneggiati dall’alluvione e, in parte rimessi in piedi, perché all’improvviso vengono abbandonati?

E quei miliardi stanziati per la ricostruzione, come mai non vengono più usati per lo scopo originario?Come sono stati in definitiva spesi?Perchè tra Niella Tanaro e Roccacigliè, sui ponti dichiarati lesionati ora passa una modernissima strada?

La grande occasione di rilancio turistico ed economico offerta dalla candidatura UNESCO delle Langhe non va sottovalutata e sprecata, tenendo anche presente che la stessa UNESCO non richiede la realizzazione di progetti impossibili e faraonici, ma solo un’attenzione al territorio con un occhio di riguardo a sistemi di trasporto ecocompatibili.In quest’ottica il ripristino delle tratte Narzole-Bastia M.-Mondovì e Bastia M.-Ceva (quest’ultima realizzabile in parte con una variante tra il vecchio tracciato e il Tanaro) potrebbe costituire un ulteriore volano per l’incremento del turismo ecocompatibile in Langa e in tutta la zona della Val Tanaro. E’ possibile ipotizzare la creazione di itinerari artistico-culturali ed eno-gastronomici appositamente studiati per incrementare l’utilizzo integrato del mezzo ferroviario e di quello automobilistico.Si può immaginare, ad esempio, un treno speciale che, in coincidenza con navette bus nelle varie stazioni, consenta di effettuare il giro dei castelli e delle aziende vitivinicole. Inoltre i fabbricati viaggiatori potrebbero essere restaurati ed adibiti a punti di accoglienza e vetrine dei prodotti eno-gastronomici locali, prodotti di grande pregio, non dimentichiamolo!Un recente convegno tenuto a Bra lo scorso 12 novembre, ha poi messo in luce un nuovo progetto, denominato “Metrogranda”, destinato a mettere in rete beni e servizi della principali città della provincia di Cuneo: si tratta di dar vita ad un anello ferroviario che partendo idealmente da Bra, scenda verso Carrù, per poi dirigersi a Mondovì Breo, Cuneo e Saluzzo e quindi risalire a Bra, attraverso Savigliano e Cavallermaggiore.A fine maggio, un nuovo convegno a Monchiero dovrebbe portare l’attenzione su un nuovo progetto definito : “Il quadrilatero dei sapori”.Nessuno vuol scomodare Radetzky e il quadrilatero austriaco, si pensa ad un “treno dei sapori”, simile a quello che circola in Franciacorta, sull’itinerario comprendente quattro tratte ferroviarie: la Bra-Ceva-San Giuseppe di Cairo, la S. Giuseppe-Acqui Terme, la Acqui-Nizza Monferrato e la Nizza-Bra.All’interno del quadrilatero i viaggiatori potranno trovare e gustare prodotti di eccellenza: dai grandi vini rossi come Barolo, Dolcetto, Barbera, Brachetto ai vini bianchi come il Gavi o il moscato di Canelli, per non parlare di altre prelibatezze della tavola di quest’angolo di Piemonte, impossibili da elencare tutte, il re tartufo è solo alla sommità…All’interno del quadrilatero saranno ovviamente possibili esursioni a castelli, chiese, monumenti di grande pregio, nonché a terme e a luoghi di lavorazione dei prodotti enogastronomici in occasione e non solo di grandi eventi. Non vanno poi dimenticati i grandi appuntamenti culturali ed espositivi, come le grandi fiere di Cherasco.All’interno del quadrilatero, Bra potrebbe configurarsi come stazione porta per l’area torinese, mentre San Giuseppe di Cairo per l’area ligure.

Linea adottata da Club Alpino Italiano, sezione di Ovada

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La ferrovia della Valmorea, 35 km tra Castellanza (VA) e Mendrisio (Svizzera), ebbe vita piuttosto breve e travagliata: fu realizzata in tratte successive tra il 1904 e il 1916 e cessò completamente l’esercizio nel 1977.A fine ‘800 la rete ferroviaria che si diparte da Milano e che sarà gestita in concessione fino ai nostri giorni dalla società Ferrovie Nord è già in piena attività e si presta a nuovi sviluppi.Lungo la valle del Fiume Olona, a nord di Castellanza, si sono da tempo consolidate numerose attività industriali, caratterizzando l’area come uno dei principali assi produttivi della provincia di Varese. Ecco quindi formalizzarsi, con un regio decreto del 1902, il progetto di una prima tratta ferroviaria da Castellanza a Lonate Ceppino, in diramazione della linea Novara-Seregno. Fin dall’inizio, peraltro, è esplicito il proposito di estendere la linea fino a Mendrisio, risalendo il corso del fiume Olona e poi quello del torrente Lanza, allo scopo sia di alleggerire il transito transfrontaliero da Chiasso, sia di accorciare la distanza tra Novara e la Confederazione Elvetica. Alla fine del 1915, infatti, i 31 km della tratta italiana possono dirsi compiuti. La tormentata vicenda storica del primo ‘900, tuttavia, ne segna subito un precario destino: lo scoppio del primo conflitto mondiale arresta gli ulteriori sviluppi dell’opera fino al 1926, quando finalmente viene inaugurato il servizio internazionale.Ma ecco un altro ostacolo: nonostante la nuova linea trovi subito gradimento nell’imprenditoria locale e un buon successo per il trasporto merci, l’esercizio internazionale si scontra con la politica autarchica fascista e viene interrotto dopo solo due anni. Seguirà un progressivo declino sia del trasporto merci sia di quello passeggeri, che del resto non aveva conosciuto uno sviluppo particolarmente rilevante.Il progredire del trasporto su gomma e poi, nel secondo dopoguerra, il declino industriale dell’area segnano definitivamente il destino della linea ferroviaria: nel ’52 cessa totalmente il servizio passeggeri, rimanendo attivo solo il trasporto merci funzionale all’attività di importanti industrie come la cartiera di Cairate e la Mazzuchelli di Castiglione Olona. Nel 1977 la crisi dell’industria cartaria segna la fine del ferrovia della Valmorea insieme a quello della vocazione industriale della valle Olona.

Alla cessazione dell’attività è seguito in pochi anni un grave degrado dell’armamento ferroviario e delle strutture edili connesse.Fortunatamente tuttavia è rimasta intatta l’intestazione proprietaria (Ferrovie Nord Milano) e quindi la disponibilità almeno teorica alla riattivazione o riconversione dell’intero sedime ad usi pubblici; fanno eccezione alcune interruzioni dovute al sovrapporsi di nuove infrastrutture viarie e, più recentemente, dei rilevati della diga di laminazione del fiume Olona, in località Mulini di Gurone.Ad opporsi al disfacimento totale dei manufatti e alla perdita di ogni memoria dell’infrastruttura ferroviaria e della sua fruibilità sociale hanno fortunatamente provveduto alcune meritorie iniziative.L’azione congiunta del Club del San Gottardo (CH) e dell’associazione italiana Amici della Ferrovia Valmorea ha provveduto tra il 1993 e il 2007 alla riattivazione ad uso turistico di circa 7,5 km di binario, dalla stazione di Mendrisio alla vecchia stazione di Malnate Olona.

Oggi, nei week-end della buona stagione, il cancello al confine diS.ta Margherita si apre per far passare un piccolo convoglio che offre a numerosi gruppi di turisti italiani e stranieri l’emozione di viaggiare trainati da una sbuffante vaporiera.La rimanente parte della vecchia strada ferrata versa in condizioni di completo abbandono fino a Castiglione Olona, con alcune interruzioni non facilmente sanabili dovute vuoi all’erosione della massicciata da parte dell’adiacente corso d’acqua, vuoi a quella operata dall’uomo con le opere di cui si è detto.Da Castiglione O. a scendere verso Castellanza, sebbene in disuso e degradata, resiste la vecchia armatura ferroviaria; per un tratto affiora dallo stabilizzato della nuova pista ciclopedonale e successivamente per qualche chilometro la affianca, come a suggellare un patto di resistenza e di rilancio di un sistema di mobilità dolce lungo il paesaggio vallivo della valle Olona P; paesaggio ricco di storia antica e recente e di suggestivi scorci naturali.

Numerose associazioni e tutte le istituzioni locali attraversate dall’asse ferroviario (Provincia, Parchi Locali e Comuni) sono oggi raccolte attorno al capezzale della Ferrovia della Valmorea non solo per conservarne memoria e vestigia,ma anche per riattivarne in nuove forme la ragione sociale ed economica.Non sempre, peraltro, l’azione di tutti i protagonisti della vicenda sembra coerente con tali obiettivi e talvolta altri più forti interessi trasportistici o insediativi rischiano di comprometterli gravemente.Si può comunque ritenere che il recupero della infrastruttura ferroviaria come filo conduttore di una greenway estesa dal confine svizzero fino alle porte dell’area nord milanese sia un disegno sostanzialmente condiviso.Ciò non toglie che su di esso si siano confrontate, a volte conflittualmente, e si confrontino ancora due ipotesi: il recupero/riuso della massicciata per costituire una ciclovia internazionale di alta qualità, oppure proseguire nella riattivazione come ferrovia turistica dell’intero percorso fino a Castellanza. Se quest’ultima opzione può vantare senza dubbio il fascino della rinascita dell’originario mezzo di trasporto e la suggestione di potersi evolvere un domani anche in funzione trasportistica (metropolitana di valle), quella di diventare un’attraente itinerario cicloturistico ha dalla sua le chance di una più concreta fattibilità nel breve termine, sia in termini economici che di fruibilità sociale. Le due opzioni, del resto, non è detto debbano vicendevolmente elidersi; anzi, in una prospettiva di medio e lungo termine, possono essere senza dubbio alleate nel preservare la disponibilità pubblica delle aree e nell’orientare gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale e viabilistica verso un disegno articolato di mobilità dolce, anche con una pluralità di tracciati atti a soddisfare modalità di trasporto differenti.

Linea adottata da Federazione Italiana Amici della Bicicletta onlus

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