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L e l i n g u e d i B a b e l e

Collana diretta daPaolo E. Balboni

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Nella stessa collana

P.E. BALBONI, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle societàcomplesse

P.E. BALBONI, Italiano lingua materna. Fondamenti di didatticaP.E. BALBONI, U. MARGIOTTA (a cura di), Formare on line i docenti di

lingue e italiano L2A. BENUCCI, Le lingue romanze. Una guida per l’intercomprensioneE. BORELLO, B. BALDI, Teorie della comunicazione e glottodidatticaF. CAON, Educazione linguistica e differenziazione. Gestire eccellenza

e difficoltàM. CARDONA, Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue.

Una prospettiva glottodidatticaM. CARDONA, Vedere per capire e parlare. Il testo audiovisivo

nella didattica delle lingueC.M. COONAN, La lingua straniera veicolareG. GIUSTI, Strumenti di analisi della lingua ingleseM.C. LUISE, Italiano come lingua seconda. Elementi di didatticaM. MAZZOTTA, L. SALMON, Tradurre le microlingue scientifico-

professionali. Riflessioni teoriche e proposte didatticheM. MEZZADRI, Integrazione linguistica in Europa. Il quadro comune di

riferimento per le lingueG. PORCELLI, Comunicare in lingua straniera. Il lesscioM. SANTIPOLO, Dalla sociolinguistica alla glottodidatticaM. SANTIPOLO, L’italiano. Contesti di insegnamento in Italia

e all’esteroG. SERRAGIOTTO, Le lingue straniere nella scuola. Nuovi percorsi,

nuovi ambienti, nuovi docenti

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FARE EDUCAZIONE LINGUISTICA

Attività didattiche per Italiano L1 e L2, lingue straniere e lingue classiche

Paolo E. Balboni

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Ristampe: 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9Anno: 2008 2009 2010 2011 2012

Stampa: Tipografia Gravinese – Torino

Proprietà letteraria riservata© 2008 De Agostini Scuola SpA – Novara1ª edizione: settembre 2008Printed in Italy

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte del materiale protetto da questo copyright potrà essere riprodottain alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascunvolume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4,della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine nonsuperiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata daAIDRO – Corso di Porta Romana, 108 – 20122 Milano – e-mail. [email protected]; www.aidro.org

www.utetuniversita.it

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Indice

XI Introduzione

3 CAPITOLO 1 – Scopo e natura di questo volume

4 1.1 Conoscenze dichiarative e procedurali: approccio, metodo,tecnica

7 1.2 Modelli e schemi per l’educazione linguistica1.2.1 Lo spazio di azione didattica, p. 12 – 1.2.2 Competenza comu-nicativa e padronanza linguistica, p. 15 – 1.2.3 Modulo, unità didat-tica, unità d’apprendimento, p. 18

25 1.3 Parametri di valutazione delle tecniche didattiche29 1.4 Le modalità di realizzazione delle attività

1.4.1 Le tecniche in prospettiva umanistico-emozionale, p. 29 – Atti-vità 1: la scoperta e il controllo della propria «attitudine», p. 35 – 1.4.2 Le tecniche in prospettiva collaborativa, di mediazione sociale,p. 38 – 1.4.3 Le tecniche e la dimensione ludica, p. 40 – Attività 2:trasformazione degli esercizi strutturali o manipolativi in attività lu-diche, p. 41

44 CAPITOLO 2 – Il lessico

46 2.1 L’acquisizione del lessico nelle fasi iniziali di ItaL2 e dellelingue straniere e classicheAttività 3: accoppiamento di parola e immagine, p. 47 – Attività 4:diagrammi a ragno e mappe lessicali, p. 48 – Attività 5: diagrammi aragno per la grammatica della formazione lessicale, p. 49 – Attività

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6: il puzzle, p. 50 – Attività 7: la lettura ripetuta nel tempo, p. 50 –Attività 8: la sostituzione di parole con perifrasi, p. 51 – Attività 9: illessico (soprattutto) specialistico attraverso il CLIL, p. 52

53 2.2 Il lavoro sul lessico in ItaL1 e nel livelli avanzati di altre lingueAttività 10: arricchimento del lessico, p. 54 – Attività 11: la denomi-nazione, la definizione, p. 55 – Attività 12: mappe concettuali dellapolisemia, p. 56 – Attività 13: la sinonimia e l’antonimia; l’iperoni-mia e l’iponimia, p. 57 – Attività 14: le co-occorrenze, le combina-zioni obbligate, p. 58 – Attività 15: la connotazione, p. 59 – Attività16: le parole emozionali, p. 60 – Attività 17: la neologizzazione, p.62 – Attività 18: l’uso «sovversivo» del lessico, p. 63 – Attività 19:attivazione di memorie diverse a quella linguistica, p. 64

65 CAPITOLO 3 – Le grammatiche

67 3.1 Il LAD di Chomsky, il LASS di Bruner, la «riflessione sullalingua»

71 3.2 L’acquisizione grammaticale in ItaL2 e nelle fasi diacquisizione di lingue straniere e classicheAttività 20: il lavoro su insiemi (inclusione, esclusione, seriazione),p. 72 – Attività 21: gli esercizi strutturali, p. 74 – Attività 22: la ma-nipolazione, p. 77 – Attività 23: ricomposizione di frasi spezzate, p.78 – Attività 24: l’esplicitazione dei pronomi, p. 79 – Attività 25: lescelte multiple grammaticali, p. 79 – Attività 26: le coppie minimeper la correzione fonetica, p. 79 – Attività 27: il lavoro sull’intona-zione, p. 81 – Attività 28: la correttezza ortografica, p. 81

82 3.3 Il perfezionamento e la riflessione grammaticale in ItaL1 enel livelli alti di lingue straniere e classicheAttività 29: la riflessione morfologica («analisi grammaticale»), p.85 – Attività 30: la riflessione sintattica («analisi logica», «analisivalenziale»), p. 88 – Attività 31: l’analisi testuale, p. 90 – Attività 32:creazione di una grammatica personalizzata, p. 91 – Attività 33: lariflessione sulle varietà della lingua, p. 93 – Attività 34: la riflessionefunzionale, pragmatica, p. 94 – Attività 35: caccia all’errore, p. 96

96 3.4 Il lavoro sulle grammatiche non verbaliAttività 36: la classificazione dei gesti in ItaL1, p. 98 – Attività 37:la comparazione dei gesti italiani con quelli delle lingue straniere, p.99 – Attività 38: scoprire i concetti di morfologia e sintassi attraversoil vestiario, p. 100 – Attività 39: dal testo linguistico a quello mima-to, p. 100

IndiceVI

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102 CAPITOLO 4 – Lo sviluppo delle abilità ricettive

102 4.1 La natura della comprensione105 4.2 La comprensione finalizzata all’acquisizione iniziale

dell’ItaL2 e delle lingue straniere e classicheAttività 40: l’esplorazione del paratesto, p. 106 – Attività 41: la com-prensione estensiva, p. 107 – Attività 42: la ricerca di informazionispecifiche, p. 108 – Attività 43: l’ascolto selettivo finalizzato all’ap-prendimento, p. 108 – Attività 44: la lettura analitica finalizzata al-l’apprendimento, p. 109 – Attività 45: la transcodificazione, p. 110 –Attività 46: la Total Physical Response, p. 111

111 4.3 Lo sviluppo della comprensione in ItaL1 e in livelli avanzati di altre lingue Attività 47: il completamento di testi mutilati (procedura cloze e va-rianti), p. 112 – Attività 48: la ricomposizione di dialoghi, p. 115 –Attività 49: l’incastro tra paragrafi di un testo in prosa, p. 116 – Atti-vità 50: il riordino di testi, p. 116 – Attività 51: l’incastro tra testo vi-sivo e battute verbali in un fumetto, p. 117 – Attività 52: la ricostru-zione di una frase a partire dai suoi sintagmi, p. 118 – Attività 53: laricostruzione di una frase a partire dalle singole parole, p. 119 – Atti-vità 54: l’accoppiamento lingua-immagine, p. 120 – Attività 55: l’a-scolto plurilingue, p. 121 – Attività 56: l’intercomprensione tra lin-gue romanze, p. 122

123 4.4 Due tecniche molto diffuse, la «domanda» e la «scelta multipla»

125 4.5 Il contributo delle glottotecnologieAttività 57: l’ascolto di canzoni in italiano, p. 126 – Attività 58: l’a-scolto di canzoni in lingua straniera, p. 127 – Attività 59: la visionedi sequenze di film in italiano, p. 128 – Attività 60: la visione di se-quenze di film in lingua straniera, p. 130 – Attività 61: la visione dipubblicità televisiva in lingua straniera, p. 131

132 CAPITOLO 5 – Lo sviluppo delle abilità produttive

132 5.1 La natura della produzione linguistica5.1.1 Concettualizzazione, p. 133 – Attività 62: il brainstorming e ildiagramma a ragno, p. 133 – 5.1.2 Progettazione del testo, p. 134 –5.1.3 Realizzazione del testo, p. 134

135 5.2 La produzione di monologhi in ItaL2 e nelle lingue straniereAttività 63: l’(auto)biografia reale o immaginaria, p. 136 – Attività64: la narrazione di una storia o di un evento, p. 136

VIIIndice

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137 5.3 La produzione e riflessione sul monologo in ItaL1 e livelliavanzati di lingua stranieraAttività 65: il cambiamento di genere e di registro, p. 138

139 5.4 La produzione scritta in ItaL2 e nelle lingue straniereAttività 66: la ricopiatura come ri-produzione, p. 139

140 5.5 La produzione scritta in ItaL1 e livelli avanzati di linguastranieraAttività 67: la composizione scritta condotta in gruppo su schermo,p. 140 – Attività 68: il giornale di classe o della scuola, p. 142 – At-tività 69: il romanzo collettivo, p. 143

144 5.6 Il ruolo delle tecnologie

145 CAPITOLO 6 – Lo sviluppo dell’abilità di interazione

145 6.1 I problemi nella valutazione dell’interazione orale147 6.2 Il dialogo autentico e simulato149 6.3 Dialogare in ItaL2 e nelle lingue straniere

Attività 70: la drammatizzazione, p. 149 – Attività 71: il role taking,p. 150 – Attività 72: il role play, p. 151 – Attività 73: il dialogo aper-to, p. 152 – Attività 74: la tele(video)fonata con parlanti non di ma-drelingua straniera, p. 153

154 6.4 La riflessione sul dialogo in italiano e livelli avanzati di lingua stranieraAttività 75: il Role making, p. 155 – Attività 76: lo scenario, p. 156 –Attività 77: il cambio di ruolo, p. 157 – Attività 78: il role play lette-rario, storico o filosofico, p. 157 – Attività 79: la tele(video)fonatacon parlanti di madrelingua straniera, p. 158

159 6.5 L’interazione scritta on lineAttività 80: la decrittazione di sms, p. 159 – Attività 81: il tandemlinguistico, p. 161

162 CAPITOLO 7 – Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

162 7.1 Lo sviluppo delle abilità di riassumereAttività 82: la contrazione di un testo, in qualsiasi lingua studiata, p.163 – Attività 83: la selezione delle informazioni, in qualsiasi linguastudiata, p. 164 – Attività 84: la stesura del riassunto in ItaL1, p. 165– Attività 85: la stesura del riassunto in ItaL2 e lingue straniere, p.166 – Attività 86: la stesura del riassunto di testi in lingue classiche,p. 167 – Attività 87: la riflessione sulla riassumibilità, p. 167

168 7.2 Lo sviluppo dell’abilità di parafrasare

IndiceVIII

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Attività 88: la parafrasi di un pensiero, p. 168 – Attività 89: la para-frasi di un testo linguistico, p. 169

170 7.3 Lo sviluppo dell’abilità di scrivere sotto dettaturaAttività 90: la trascrizione, l’auto-dettato, p. 172 – Attività 91: il det-tato cloze, p. 172 – Attività 92: il dettato per la valutazione e l’auto-valutazione, p. 173

174 7.4 Lo sviluppo dell’abilità di prendere appuntiAttività 93: la ricostruzione differita del testo originale partendo da-gli appunti, p. 175

176 CAPITOLO 8 – La traduzione e l’educazione linguistica avanzata

178 8.1 La traduzione come tecnica glottodidattica8.1.1 Obiettivi, p. 178 – 8.1.2 Lo studente e la traduzione, p. 180

182 8.2 Modalità di realizzazioneAttività 94: la traduzione scritta dalla lingua straniera o classica al-l’italiano, p. 184 – Attività 95: la traduzione orale dalla lingua stra-niera o classica all’italiano, p. 185 – Attività 96: la traduzione dall’i-taliano alla lingua straniera o classica, p. 186 – Attività 97: la retro-traduzione, p. 187 – Attività 98: la traduzione da una lingua stranieraa un’altra o dalla lingua classica alla lingua straniera, p. 188 – Atti-vità 99: la traduzione di dialoghi di film stranieri, p. 189 – Attività100: la traduzione di canzoni straniere, p. 190 – Attività 101: la tra-duzione di pubblicità televisiva, p. 190 – Attività 102: la traduzionediacronica, p. 191

193 Riferimenti bibliografici201 Indice analitico

IXIndice

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Introduzione

Nel 1991 abbiamo pubblicato un primo volume sulle tecniche didatti-che e i processi di apprendimento linguistico: era un tentativo di legarel’agire didattico, in classe, all’attenzione che negli anni Ottanta si erafocalizzata sempre più sulla persona che apprende, sui suoi processi ac-quisitivi e cognitivi.

Nel 1998 ci fu una riedizione che prendeva atto di un’altra riflessioneche ormai si era imposta nella letteratura scientifica e nella sensibilitàdegli insegnanti più avveduti: il volume non riguardava più un generico«apprendimento linguistico» che in realtà significava «lingue stranie-re», ma si basava su una esplicita articolazione per le varie componentidell’educazione linguistica, così come la glottodidattica italiana l’ave-va definita nei quindici anni precedenti: italiano come lingua materna(d’ora in poi itaL1), l’italiano come lingua seconda (itaL2) agli immi-grati che cominciavano a comparire nelle classi, lingue straniere e lin-gue classiche. Questa seconda edizione era ancora legata all’impiantodel 1991: sulla base di un modello di competenza comunicativa, conuna forte accentuazione sulla dimensione socio-pragmatica e sullo svi-luppo delle abilità, si discutevano le tecniche didattiche disponibili perl’insegnante. Nello scorcio del secolo era ancora forte il bisogno di ri-badire che il «saper fare con la lingua» era il nodo centrale dell’educa-zione linguistica: in italiano, dove l’analisi prevaleva ancora sull’uso;nelle lingue straniere, dove al di là dell’adesione sbandierata a un nonmeglio definito approccio «comunicativo» la forma mentis restava quel-

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la degli approcci formalistici (tranne per alcuni integralisti del comuni-cativismo che in nome della efficacia pragmatica avevano dimenticatoogni necessità di riflessione metalinguistica); nelle lingue classiche, in-vece, l’attenzione morfosintattica e lessicale metteva ancora in ombra il«saper fare lingua», cioè saper leggere testi in latino e in greco.

Il decennio trascorso dal 1998 ha cambiato le prospettive, arricchen-dole e rendendole più complesse.

L’attenzione all’apprendente si è consolidata – dalla linguistica ac-quisizionale alla psicolinguistica, dalle scienze cognitive alla psicologiaumanistica, con le teorie delle intelligenze multiple, le riflessioni sulruolo dei neuroni specchio e così via. Ora c’è spazio per considerarenon più l’«apprendente» come una categoria generica e onnicomprensi-va, bensì come un insieme di singole persone, ciascuna differente dallealtre per stili cognitivi e acquisitivi, per tipo di intelligenza, per trattidella personalità, per motivazioni, per sfondo socio-culturale; la sommadi queste persone, ciascuna diversa (cui si aggiunge la diversità eclatan-te degli studenti di madrelingua non italiana) non crea più una «classe»con la quale interagire usando tecniche didattiche passepartout, ma una«classe ad abilità differenziate» in cui convivono studenti potenzial-mente eccellenti, studenti in difficoltà, studenti allofoni, studenti olisti-ci, studenti analitici, e così via – studenti che hanno diritto a veder ri-spettata e sostenuta e fatta fiorire e fruttificare la loro specificità, la lo-ro unicità, pur nella sintesi necessaria per chi lavora con gruppi di 25-30persone (su questa presa d’atto della differenza in classe cfr. Caon,2006b e 2008; Torresan, 2008).

L’attenzione alla dimensione socio-pragmatica è acquisita, per cuioggi è possibile tornare a riflettere sulla relazione tra acquisizione e ri-flessione «grammaticale» (usiamo per ora questo termine in senso ge-nerico) e lessicale, che forniscono le travi portanti e i mattoni per co-struire una competenza comunicativa a tutto tondo.

La dimensione metodologico-didattica, infine, sta portando a una ri-flessione sull’ostracismo che alcune delle tecniche (registrate quasi conreticenza nei due volumi del 1991 e 1998) hanno subito a causa del loroabuso nella tradizione formalistica, non delle loro specifiche caratteri-stiche glottodidattiche: basti pensare alla traduzione, al dettato, agliesercizi manipolativi e a quelli strutturali.

IntroduzioneXII

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XIIIIntroduzione

In questo senso questo volume chiude una riflessione ventennale, manon è semplicemente una «nuova edizione» (come era il volume del1998 rispetto al precedente), è uno studio nuovo, autonomo rispetto aidue volumi precedenti sia in quanto risultato di ricerca scientifica siacome strumento di formazione dei docenti:

a. ha un impianto epistemologico e concettuale diverso dai precedenti:basti osservare gli indici e si vedrà il radicale capovolgimento delpercorso; inoltre manca il repertorio che elencava e discuteva le tec-niche didattiche, dando la sensazione che si trattasse di un universoconcluso in sé;

b. ha un significato scientifico diverso dal precedenti: quelli applicava-no le indicazioni delle letteratura glottodidattica alla classe, questovuole porre il problema del ruolo dei modelli e degli strumenti ope-rativi nel dar significato alla ricerca teorica;

c. ha una logica diversa in ordine alla formazione degli insegnanti: iprecedenti volumi davano loro dei pesci, ad esempio il repertorio del-le tecniche; qui vorremmo insegnar loro a pescare. Le tecniche pre-sentate qui accentuano il ruolo dell’insegnante come tutor, guida, re-gista, facilitatore del processo di acquisizione e di riflessione sullelingue (materna, seconda, straniera, classica) e sulla comunicazionetra insegnante e studenti. L’insegnante non è formato ad applicare maa scegliere e adattare.

Tre diversi volumi sullo stesso tema da parte dello stesso autore testi-moniano certamente dell’evoluzione della riflessione dello stesso – ma cipiace di più leggere questo dato come dimostrazione dello sviluppo conti-nuo e, vorremmo dire, poderoso della glottodidattica, dove la riflessionesui principi e, insieme, sul modo di dar risposta alle mutevoli richieste del-la società rende obsoleto uno studio a dieci anni dalla sua pubblicazione.

Leggiamo dunque questo volume come uno stadio provvisorio dellaricerca, nella speranza di doverlo riscrivere tra dieci anni, se ne avremoancora la forza e la possibilità.

Ca’ Foscari, 2008Paolo E. Balboni

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Fare educazione linguistica

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Questo capitolo rappresenta la chiave di lettura dell’intero volume e lodifferenzia da uno dei tanti «ricettari glottodidattici» che abbondano sianella letteratura glottodidattica britannica e americana (dove gli inse-gnanti raramente usano manuali ma creano da soli parte o tutto il mate-riale didattico e le relative attività) sia nelle pubblicazioni dedicate di-rettamente agli insegnanti, con «idee», «spunti», «materiali fotocopia-bili» e simili.

Nelle pagine che seguono proponiamo due tipi di riflessione:

a. una contestualizzazione di carattere epistemologico: dove si situano imodelli operativi e, in particolare, le tecniche didattiche nel panora-ma complessivo della conoscenza glottodidattica? Secondo qualimeccanismi si correlano agli altri livelli e tipi di conoscenza del no-stro ambito? Secondo quali parametri vanno valutati?

b. una definizione di parametri che servano per definire una tecnica di-dattica, da un lato, e per deciderne e collocarne l’uso in considera-zione degli obiettivi, del tipo di classe, del tipo di lingua che si vuoleinsegnare con quella attività.

CAPITOLO 1

Scopo e natura di questo volume

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1.1 � Conoscenze dichiarative e procedurali: approccio,metodo, tecnica

Secondo la psicologia cognitiva, la conoscenza è di due tipi: dichiarati-va e procedurale.

La prima constata una realtà, un fenomeno, e lo definisce, nella suaforma linguistica più semplice, con frasi semplici: ad esempio, «la linguaè uno strumento per comunicare», «la lingua è in continua evoluzione»,«dopo la pubertà è difficile acquisire la fonologia di una lingua stranieraal pari di un madrelingua», «ogni studente è diverso da tutti gli altri», «lacomprensione coinvolge entrambi gli emisferi cerebrali», e così via.

La conoscenza procedurale si basa invece sul meccanismo «se… al-lora»: «se la lingua è uno strumento di comunicazione, allora dovrò dif-ferenziare attività che richiedono l’uso della lingua da attività di rifles-sione sulla lingua», «se la lingua è in continua evoluzione allora dovròscegliere tra la pronuncia del latino ciceroniano e quella ecclesiatica /allora dovrò presentare comunque entrambe le varietà», e così via (uncaposaldo della psicologia cognitiva è Johnson-Laird, Watson, 1977;una visione cognitivista dell’apprendimento si ha in Anderson, 1992 e,in Italia, in Boscolo, 1997; un’applicazione alla lingua è in Gineste, LeNy, 2002; una antologia dedicata agli aspetti cognitivi nel linguaggiocon attenzione anche glottodidattica è Corno, Pozzo, 1991).

a. La conoscenza dichiarativa come base degli approcciLa prima dimensione, quella delle conoscenze dichiarative, è quella chenella tradizione glottodidattica chiamiamo approccio e che viene elabora-ta dalle scienze del linguaggio, della cultura, della mente, dell’educazio-ne, quindi all’esterno dell’universo epistemologico della glottodidattica:ad esempio, è il linguista teorico che offre al glottodidatta la definizione el’analisi della lingua, è il linguista acquisizionale che offre le sequenze diacquisizione, è il socio-linguista che identifica e descrive le varietà, è ilneurolinguista che dà informazioni sul funzionamento del cervello quan-do acquisisce e usa la lingua ecc. Definire un approccio glottodidatticosignifica selezionare all’interno della ricerca teorica negli ambiti visti so-pra quello che si vuole mettere alla base dell’educazione linguistica.

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b. La conoscenza procedurale come base dei metodiLa seconda dimensione, quella delle conoscenze procedurali, definiscei modelli operativi: «se in ordine alle varietà di lingua l’approccio cuifaccio riferimento dice che…, allora nel curricolo, nel corpus testuale,nella descrizione morfosintattica dovrò tenere in conto di…»; «se ognistudente ha caratteristiche attitudinali, stili cognitivi e d’apprendimento,motivazioni ecc., diversi, allora i modelli operativi non possono esseremonolitici e le attività di classe non dovranno privilegiare solo un tipodi intelligenza, uno stile d’apprendimento ecc.».

I modelli operativi sono la traduzione dell’approccio in termini dioperatività glottodidattica: è la dimensione che chiamiamo metodo (eche non va confusa con la metodologia, quale quella umanistico-affetti-va, quella collaborativa, ludica, costruttivistica ecc.: nozioni psicodidat-tiche utili sul piano dell’azione didattica, ma esterne all’universo speci-ficamente glottodidattico).

Il punto di partenza per capire in che ambito si situa questo volume ècostituito dalla classica tripartizione Anthony (1972) che identifica trelivelli di organizzazione della conoscenza interdisciplinare necessariaper l’educazione linguistica: l’approccio (la filosofia di fondo, l’idea dilingua, di studente, di insegnante), il metodo (la traduzione dell’approc-cio in modelli operativi), le tecniche (cioè le procedure didattiche). Inrealtà la struttura tripartita di Anthony (che abbiamo adottato per anni,in molti nostri studi) sbilancia l’idea di glottodidattica in direzione psi-co-pedagogica, per cui lo riproponiamo in questo modello che ci paremolto più equilibrato:

5Scopo e natura di questo volume

Spazio della ricerca glottodidattica

Teorie diriferimento,

mondo delle idee

Fig. 1.1 La relazione tra la glottodidattica, le teorie di riferimento e la metodolo-gia didattica

Metodo– adeguato/non adeguato

a realizzare l’approccio– coerente/incoerente

all’interno

Approccio– fondato/infondato

sulle teorie– generativo/sterile

di metodi

Metodologiadidattica,

mondodell’azione

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La lettura del modello è, per esempio:

a. data una dichiarazione teorica (esterna alla glottodidattica), quale «lalingua si realizza in una serie di varietà», se la si ritiene valida la siassume nello spazio della ricerca glottodidattica;

b. ne consegue una procedura, cioè la trasposizione in un modello ope-rativo: «se la lingua si realizza in una serie di varietà, allora si dovràdecidere:– quali varietà inserire in percorsi di educazione linguistica relativi a

L1, L2, LS, LE, LC;– a quale punto dei percorsi andranno inserite;– in quale modalità: comprensione/produzione, orale/scritto»;

c. per trasformare le scelte in azione, si selezioneranno delle tecnichedidattiche adeguate, all’interno della gamma di tecniche offerte dallametodologia didattica generale.

Questo volume si situa a cavallo tra l’universo della ricerca glottodi-dattica e quello genericamente metodologico-didattico: il suo scopo èindividuare, all’interno del paradigma delle attività didattiche conosciu-te, quelle che possono realizzare gli obiettivi del metodo rispettando lecoordinate dell’approccio.

Sempre con uno schema, visualizziamo il nostro ambito di lavoro:Ancora una precisazione in ordine alle tecniche glottodidattiche, cioè

le azioni didattiche che vengono utilizzate per raggiungere un obiettivo;le tecniche non sono adatte a tutte le intelligenze, a tutte le strategie diapprendimento, e quindi vanno selezionate in modo da non penalizzare

Fare educazione linguistica6

Fig. 1.2 L’area di lavoro del presente studio

Spazio della ricerca glottodidattica

Teorie di riferimento,

mondodelle idee

MetodoApproccio

Metodologia didattica,

mondo dell’azione

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un tipo di personalità rispetto a un’altra cfr. 1.3); sul piano della realiz-zazione, le tecniche sono di due tipi:

a. esercizi, tendenzialmente manipolativi, mirati alla fissazione più che al-l’uso della lingua; negli ultimi decenni sono stati oggetto di un ostraci-smo fortissimo in nome di una «creatività» che non tiene conto del mec-canismo di funzionamento del Language Acquisition Device e che con-sidera a priori negativa ogni attività che non sia intrinsecamente moti-vante, coinvolgente, piacevole e che richieda un impegno faticoso, fina-lizzato a qualcosa che sarà, una volta costruito, motivante, coinvolgente,piacevole; (detto tra parentesi: questo concetto sarebbe stato difficile daconcepire nei nostri volumi sulle tecniche didattiche del 1991 e 1998);

b. attività, basate sulla creatività, su problemi da risolvere usando la lin-gua straniera, di solito caratterizzati da un vuoto, un gap da colmareusando la lingua, o da una differenza di conoscenze, opinioni, ragio-namenti da cui partire per negoziare una posizione condivisa; la glot-todidattica basata sui task privilegia le attività sugli esercizi.

Le tecniche didattiche non sono «buone/cattive», «moderne/antiqua-te», ma si valutano semplicemente sulla base della loro

a. coerenza concettuale con il metodo e l’approccio al cui interno ven-gono utilizzate;

b. efficacia ed efficienza nel raggiungere l’obiettivo didattico che si pro-pongono.

Stabilito l’ambito in cui si colloca questo studio, possiamo passare avedere i modelli e gli schemi operativi che abbiamo preso a riferimentoper discutere come fare operativamente educazione linguistica.

1.2 � Modelli e schemi per l’educazione linguistica

Per individuare le tecniche, le attività, gli esercizi, le procedure didatti-che da utilizzare nell’educazione linguistica dobbiamo compiere un’ul-

7Scopo e natura di questo volume

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teriore operazione di chiarificazione, cioè definire anzitutto quali mo-delli operativi avere come riferimento, e preventivamente definire checosa è un modello operativo, e poi definire il concetto di educazionelinguistica, cioè la finalità per cui procediamo all’operazione di indivi-duare le attività didattiche.

Per definire un modello servono tre «dichiarazioni», per riprenderela nozione vista nel primo paragrafo:

a. un modello è una struttura che include tutte le possibili realizzazionidel fenomeno studiato: in altre parole, si devono pensare modelli uni-versali per l’insegnamento della lingua materna, seconda, stranieraecc.;

b. un modello deve essere in grado di generare comportamenti: adesempio, un modello come quello di «competenza comunicativa»non è tale se non genera «esecuzione, performance comunicativa».Riprendendo i termini della psicologia cognitiva citati sopra, diciamoi modelli sono forme di conoscenza dichiarativa che devono generareconoscenza procedurale;

c. un modello deve essere semplice, economico da usare: ad esempio,la maquette di un edificio è un modello che include tutte le proprietàessenziali (i volumi, le relazioni tra loro e quelle con il contesto ester-no) e non è sovraccarico di informazioni secondarie (il colore, il nu-mero e la forma delle finestre, delle porte ecc.).

Vedremo di seguito i due modelli che ci saranno fondamentali, quel-lo di spazio di interazione didattica, che definisce il «dove» e il «chi»(1.2.1), e quello di competenza e padronanza comunicativa, che defini-sce il «che cosa» dell’educazione linguistica (1.2.2), e poi vedremo il«come», cioè gli schemi operativi che organizzano l’educazione lingui-stica, spesso definiti «modelli» ma privi di universalità (1.2.3).

I modelli e gli schemi operativi cui facciamo riferimento devono esse-re tali per cui le persone che insegnano (docenti, organizzatori dei corsi,autori dei materiali ecc.) possano portare le persone che apprendono (stu-denti adulti, giovani, bambini ecc.) a padroneggiare le varie lingue (e, neicasi diversi dalla L1, anche la relativa cultura) che rientrano nell’educa-zione linguistica. La nozione risale ai primi anni del XX secolo, ad opera

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di Lombardo Radice, ma è stata riproposta negli anni Settanta: è uno deiprincipali contributi originali della glottodidattica italiana alla ricerca in-ternazionale e concepisce l’educazione linguistica sulla base di due dati:

a. è «educazione», cioè formazione profonda non scholae sed vitae, enon semplice «istruzione» o training strumentale, come si è fatto in-vece in gran parte dell’insegnamento delle lingue straniere;

b. è quella parte dell’educazione generale che include tutte le linguepresenti in un curricolo formativo le quali, ancorché insegnate da do-centi differenti e in segmenti scolastici e universitari diversi, concor-rono tutte insieme a elaborare, perfezionare e arricchire nella personaun concetto di lingua, di competenza linguistica e comunicativa, diapprendimento linguistico.

Cummins (1989) visualizza, sebbene in altro contesto, il risultato del-l’educazione linguistica integrata come la parte sommersa di un iceberg,su cui poggiano delle guglie di ghiaccio che emergono sopra la superfi-cie e sembrano isole separate, allo stesso modo in cui le singole lingue(materna, straniere, classiche ecc.) sembrano separate e come tali ven-gono tradizionalmente considerate e insegnate: ora, come l’accresci-mento della massa sommersa dell’iceberg innalza tutte le guglie, così illavoro di educazione linguistica che coinvolge tutti docenti di quest’a-rea migliora tutte le lingue, indipendentemente da quella su cui si lavora(e, paradossalmente, questo risultato si raggiunge, sebbene più faticosa-mente, anche se gli insegnanti si ostinano a non cercare una visione euna proposta metodologica comune). Le attività didattiche per fare edu-cazione linguistica, per tradurla da approccio a realtà operativa, devonoquindi servire per tutta la gamma delle lingue che possono essere pre-senti (de jure o de facto) nella scuola e quindi nelle menti degli studenti:

a. Lingua materna (L1)«Lingua materna» è una nozione intuitivamente chiarissima, in realtàassai complessa; qui intendiamo quella dell’ambiente familiare in cui ilbambino cresce, quella in cui pensa (ma ci sono personalità bilingui chepensano in più lingue), quella in cui impreca per un dolore improvviso,quella in cui fa delle rapide addizioni mentali mentre gioca a carte…

9Scopo e natura di questo volume

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La glottodidattica della L1 ha un ruolo preciso: sistematizzare e mi-gliorare la qualità di una lingua che, al momento in cui si entra nel si-stema formativo, intorno ai sei anni, è già acquisita: quindi avremo deimodelli di affinamento dell’uso e di riflessione metalinguistica, non diacquisizione, perché questa è data per pre-requisita.

b-c. Lingua straniera (LS) e lingua seconda (L2)La confusione in questo settore è frequentissima, ed è presente sia nellaconversazione quotidiana tra insegnanti, sia a livello istituzionale, sia alivello scientifico: il caso più evidente è la vulgata internazionale dellaSecond Language Acquisition Theory di Krashen, applicata, talvolta an-che dal suo autore, a contesti di lingua straniera, non solo di lingua se-conda. Ci basterà qui richiamare il fatto che:

– la lingua straniera non è presente nell’ambiente in cui viene studiata(ad esempio, l’inglese studiato in Italia), mentre la lingua seconda èpresente nell’ambiente (l’inglese studiato da uno studente o acquisitoda un immigrato italiano in Inghilterra; l’italiano studiato o acquisitospontaneamente da un immigrato in Italia);

– nella lingua straniera l’insegnante seleziona e gradua l’input, offrecioè il modello linguistico proprio e quello portato dalle tecnologieche egli sceglie di usare: tutta l’acquisizione avviene sotto la guidadel docente, mentre nella lingua seconda il discente vive immersonella lingua stessa, quindi l’insegnante non ha il controllo dell’inputné di quanto e cosa il discente acquisisce spontaneamente;

– le attività didattiche di lingua straniera sono in molti casi dei falsipragmatici (si pensi a un roleplay in lingua straniera tra due studentiche condividono l’italiano), mentre nella maggior parte dei casi nellalingua seconda le domande sono vere e proprie «domande», di cuinon si sa preventivamente la risposta, rimandano la vita reale, non si-mulata, dello studente.

d. Lingua etnica È una forma particolare di lingua seconda: è parlata dalla comunità d’o-rigine di una persona che non l’ha acquisita come L1 ma la sente co-munque usare nell’ambiente familiare (si pensi a figli di coppie di na-

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zionalità diverse) o nelle comunità degli immigrati; quasi sempre la lin-gua etnica non è la lingua standard del paese d’origine bensì una varietàlocale o un dialetto, e spesso la famiglia e la comunità offrono modellilinguistici obsoleti.

Nel sistema scolastico italiano il problema del mantenimento dellalingua d’origine degli studenti immigrati è già stato posto ufficialmentein un documento del governo Prodi nel 2007 – anche se non è stata svi-luppata la normativa, a causa della fine anticipata della XV legislatura –e di fatto si stanno già preparando i docenti in alcune SSIS e ci sono sem-pre più corsi di arabo (quale?), cinese (quale?), bengali, ucraino, rome-no ecc., realizzati sulla base dell’autonomia scolastica.

e. Lingua franca Lo furono greco e latino duemila anni fa, lo è l’inglese oggi: una linguafranca è una lingua usata di solito in maniera semplificata (senza tuttaviasconfinare nel pidgin) per facilitare la comunicazione internazionale.

Gran parte dell’insegnamento dell’inglese oggi nel mondo non è lin-gua straniera ma lingua franca: scompare l’interesse per la cultura britan-nica o americana; non si mira a una pronuncia e un’intonazione vicine aquelle dei madrelingua; il lessico si riduce e perde le sinonimie; il risulta-to pragmatico ha più valore dell’accuratezza formale; in Italia questa vi-sione è ufficialmente respinta, ma di fatto negli istituti professionali e inmolti istituti tecnici (circa due terzi del sistema di formazione secondarioitaliano) nonché in quasi tutte le facoltà non umanistiche la prospettivanon è di insegnamento dell’inglese nell’ambito dell’educazione linguisti-ca ma come semplice lingua franca, talvolta sconfinante con il pidgin.

f. Lingua classica Il greco e il latino non sono più usati per produrre comunicazione masono lingue in cui ricevere comunicazione: sono le lingue parlate dai te-sti letterari, filosofici, giuridici su cui si fonda la civiltà occidentale, co-sì come l’arabo classico è la lingua del Corano.

Non sono «lingue morte», perché l’Iliade, l’Eneide, il Corano «par-lano» ancora a milioni di persone. Nel sistema liceale italiano spessosono proposte non solo come lingue morte, ma sono cadaveri collocatisul tavolo anatomico del grammatico che disseziona i testi non per cer-

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carne una vitalità ormai buttata da questa metodologia, ma l’eccezione,la consecutio particolare, l’auristo intraducibile e così via.

Quest’idea di educazione linguistica integrata richiede una forte ri-flessione sulle procedure che possono essere utili in tutti i contesti equelli che sono congruenti solo con alcuni dei sette contesti visti sopra(che potrebbero essere otto se includessimo una lingua artificiale comequella dei segni, usata dai sordi): solo sapendo quali attività sono po-tenzialmente comuni e quali sono specifiche per alcune aree gli inse-gnanti possono realizzare una educazione linguistica integrata nei fattie non solo nelle documentazioni burocratiche (per un approfondimentoepistemologico si vedano Balboni, 2006a e 2007a).

1.2.1 Lo spazio di azione didattica

La tradizione delle scienze dell’educazione offre un modello di riferi-mento basato su tre poli, studente, lingua (e cultura), insegnante. Perscegliere le attività da usare all’interno di questo spazio ci pare indi-spensabile considerare anche i meccanismi di interazione tra studente,docente e disciplina, vedere il modo in cui ciascun polo, a seconda dicome viene concepito, piega gli altri in determinate direzioni; ricorria-mo ancora una volta a una traduzione grafica del modello (per l’uso digrafici nella modellizzazione ci basiamo su Allwein, Barwise, 1996):

Fare educazione linguistica12

Fig. 1.3 Le interazioni all’interno del modello di spazio d’azione didattica

Studente Studente

Disciplina Insegnante

Lo «spazio didattico» Lo «spazio didattico» nelle varie discipline nell’educazione linguistica

Insegnante Lingua

Lingua

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Il triangolo, di solito chiamato «spazio dell’azione didattica», devetener conto della natura e dell’interazione di tre fattori:

1. l’oggetto di insegnamento, la disciplinaNel nostro caso è la lingua (e la cultura, per le lingue diverse da quellamaterna) intesa come complesso di strumenti comunicativi, verbali enon verbali, che agiscono in uno spazio culturale e secondo regole nonsolo linguistiche ma anche sociali: ciascuna persona ha diritto di mi-gliorare la sua competenza comunicativa nella lingua materna e di ac-quisire le altre lingue secondo i suoi progetti di vita, le sue motivazioni:l’oggetto «lingua» viene dunque piegato agli scopi di chi la apprende,interagisce con il polo «studente».

Rispetto ad altri «oggetti» didattici come l’educazione storica o quel-la scientifica, che usano la lingua come strumento per descrivere la loronatura e il loro funzionamento, l’educazione linguistica è l’unico casoin cui oggetto da apprendere e strumento di apprendimento coincidono:si parla della lingua usando la lingua stessa; è questa funzione metalin-guistica riflessiva, rappresentata nel triangolo a destra, che caratterizzal’educazione linguistica e la rende un caso unico nel panorama educati-vo – e impedisce di trasporre meccanicamente alla glotto-didattica il pa-trimonio di tecniche della didattica generale;

2. il sistema-insegnanteÈ un sistema, non include solo la persona che fisicamente tiene il corso,ma tutto il complesso di attori che va da chi elabora il curricolo a chiprepara i materiali didattici, da chi organizza il corso a chi insegna inclasse.

Il sistema di insegnamento è al servizio dello studente, con il qualenegozia i fini dell’insegnamento e conseguentemente i contenuti delcurricolo; ovviamente non stiamo pensando a una negoziazione conogni studente, ma con gruppi di studenti che hanno obiettivi e bisogniomogenei: nell’insegnamento obbligatorio, «curricolare», la negozia-zione di indirizzo avviene tra l’amministrazione statale, gli accademiciche si occupano di educazione in generale e nelle varie aree e le forze inParlamento, mentre la negoziazione di base avviene faccia a faccia, inclasse: anno dopo anno entrano nuove generazioni che sono immanca-

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bilmente diverse da quelle precedenti, ogni classe ha una sua peculiarecombinazione di motivazioni, di caratteristiche individuali, che portanol’insegnante a ri-impostare almeno parzialmente i percorsi ogni anno, acambiare materiali didattici, a cogliere nuove richieste; nell’insegna-mento a gruppi mirati, ad esempio nei corsi aziendali, questa negozia-zione avviene preventivamente tra scuola e mercato del lavoro: si offro-no corsi, ad esempio, di scrittura giornalistica in lingua materna o di in-glese informatico o di tedesco della filosofia e così via: lo studente in-teressato sceglie quel che gli serve e, in alcuni casi, trova dentro l’offer-ta alcuni indirizzi o percorsi più specifici e può avere la possibilità ditrovare alcune sezioni personalizzabili nel percorso comune;

3. lo studenteL’abbiamo disegnato in posizione dominante perché gli altri due fattori,la lingua e il sistema di insegnamento, devono rispondere ai suoi biso-gni, alle sue motivazioni, alle sue caratteristiche personali.

«Studente» qui è al singolare, ma si presenta anche come «gruppoomogeneo» per la struttura (gli studenti del biennio superiore, ad esem-pio) e come gruppo di studenti, cioè come classe, nella singola scuola.

Questo modello delimita un campo d’azione e serve a definire la na-tura e i ruoli di ciascuno dei tre fattori, nonché il risultato della loro in-terazione, della negoziazione tra i bisogni presentati da ogni fattore.

Le tecniche didattiche sono strumenti operativi subordinati a questomodello di spazio d’azione: esse devono essere efficaci nel perfezionarela conoscenza e la padronanza delle lingue già acquisite e nel favorirel’acquisizione di lingue non conosciute, qualunque esse siano – stranie-re, seconde, classiche ecc.; le tecniche glotto-didattiche devono esserecoerenti con la natura della lingua che viene assunta nell’approccio econ i fini sociali e personali degli allievi: le tecniche glotto-didattichesono infatti lo strumento con cui si realizza l’azione didattica, l’intera-zione lingua/studente.

La scelta delle tecniche didattiche da usare è quindi un atto essenzia-le, qualificante, dell’insegnante, inteso sia come sistema sia come sin-golo professionista dell’insegnamento. Vedremo nel paragrafo 1.3 suquali parametri può basarsi una scelta consapevole e ragionata.

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1.2.2 Competenza comunicativa e padronanza linguistica

Un secondo modello di riferimento è quello di competenza comunicati-va, cioè l’obiettivo dell’educazione linguistica: che cosa significa «sa-pere una lingua»?

La risposta va cercata in molte delle branche in cui si articolano lescienze del linguaggio – dalla linguistica generale a quella delle singolelingue, dalla linguistica pragmatica alla socio-linguistica, alle forme dicomunicazione extralinguistica ma comunque intrecciate alla comuni-cazione in lingua.

Su queste basi possiamo definire un modello di «competenza lingui-stica», cioè un costrutto mentale che riunisce le regole che governanola lingua e gli altri codici, e di «padronanza», che traduce la realtà men-tale in azione sociale, trasforma il «sapere la lingua» nel «saper fare lin-gua» e «saper fare con la lingua». Tutto questo complesso costituisce la«competenza comunicativa» e può essere rappresentato graficamente inquesto modo:

15Scopo e natura di questo volume

Fig. 1.4 Modello della competenza comunicativa

mente mondo

mente mondo

Competenza extra-linguistica

Competenza socio-pragmatica

e culturale, saper «fare

con la lingua»

Padronanza delle abilità,saper «fare» lingua

Competenzalinguistica

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Questo modello fornisce una mappatura per la categorizzazione delletecniche glottodidattiche ed è alla base dell’indice di questo volume:

a. competenza linguistica: servono tecniche mirate alla acquisizione(lingue seconde, straniere e classiche) o al consolidamento e perfe-zionamento (lingua materna ed etnica) delle «regole» linguistiche,intese come meccanismi di funzionamento fonologico, morfosintatti-co, testuale, lessicale; siccome fonologia, morfosintassi e testualitàsono sistemi chiusi, con un numero finito di «regole», mentre il les-sico è un sistema aperto, in continuo adattamento e incremento, letecniche per il primo gruppo saranno orientate verso la creazione diprocessi automatici, quasi di mental habit (per usare la nozione diSkinner), mentre le tecniche per il lessico saranno più complesse, vi-sto che devono creare campi lessicali legati ai campi d’esperienza, al-la memoria semantico-situazionale ecc. (Cardona, 2001 e 2004);

b. competenza extralinguistica: sono necessarie tecniche mirate allaconsapevolezza della comunicazione extralinguistica, e cioè dei gestie delle espressioni (studiati dalla cinesica), della vicinanza interper-sonale (prossemica), dell’uso di oggetti in funzione comunicativa(dagli status symbol al vestiario, all’arredamento, all’araldica ecc.,studiate dall’oggettemica): «consapevolezza», in modo da compren-dere questi linguaggi e da evitare un loro uso inconsapevole che puòportare a interpretazioni errate, giungendo a trasformare la comuni-cazione in conflitto;

c. padronanza delle abilità: sono tecniche che oltre alla dimensione lin-guistica includono aspetti cognitivi (i processi di comprensione, pro-duzione, selezione delle informazioni ecc.) e aspetti fisiologici relati-vi, ad esempio, all’articolazione dei suoni;

d. saper fare con la lingua: servono tecniche per lo sviluppo della di-mensione pragmalinguistica, che consente di raggiungere i propriscopi usando la lingua in maniera appropriata rispetto al contesto si-tuazionale e culturale in cui si agisce.

I capitoli 3 e 4 riguardano la competenza linguistica ed extralingui-stica, i capitoli 5, 6 e 7 riguardano la padronanza (questa visione della«competenza linguistica» distinta da quello di «padronanza» è elabora-

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zione comune dei membri del dottorato di ricerca in linguistica e glotto-didattica di Venezia).

Lo schema che abbiamo dato sopra presenta una visione strutturaledella competenza comunicativa; è possibile avere anche una visione di-namica, evolutiva, che mette in evidenza il ruolo delle tecniche glotto-didattiche: esse devono consentire di partire dal punto «zero» di compe-tenza (tranne nelle lingue materne ed etniche, dove l’inizio dell’attivitàdidattica avviene quando si è già acquisito un certo volume di compe-tenza) e di ampliare progressivamente il volume complessivo, giocandoin maniera equilibrata su tutti gli elementi che la compongono:

La figura 1.5 si legge in questo modo:

– le quattro facce della «piramide» corrispondono ai quattro componen-ti del modello strutturale visto sopra: due facce sono visibili, quelledel «saper fare lingua» e del «saper fare con la lingua», e altre duefacce non sono visibili ma sono ugualmente essenziali, costitutive del-la piramide: sapere la lingua e sapere i linguaggi extralinguistici;

17Scopo e natura di questo volume

Fig. 1.5 La dinamica dell’acquisizione della competenza comunicativa

Livello 0

Livello A1

Livello B1

Livello C1

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– sono poi indicati dei «tagli», che creano piramidi di volume via viamaggiore e che, esemplificativamente, abbiamo chiamato con alcunidei livelli del Portfolio Europeo delle Lingue.

Le tecniche glottodidattiche devono essere efficaci ed efficienti nellospostare via via verso destra la base della piramide reclinata, aumentandoil volume della competenza comunicativa di una persona. Va da sé che seviene curata una sola faccia, se si privilegiano cioè attività didattiche rela-tive a un solo aspetto, la base non è più perpendicolare all’asse della pira-mide, risulta sghemba, squilibrata, e l’intero costrutto si deforma.

Per un uso consapevole ed equilibrato delle tecniche glottodidatticheè quindi necessario dotarsi di una serie di parametri di descrizione delletecniche stesse: è quanto suggeriamo, selezionando alcuni parametripossibili, nel paragrafo 1.3.

1.2.3 Modulo, unità didattica, unità d’apprendimento

Riprendiamo i tre poli dello spazio d’azione didattica che abbiamo vistosopra: sulla base del concetto di lingua (e cultura) e dei bisogni stimatidalla struttura per ogni tipologia di studente si scelgono e si organizzanoi materiali del terzo polo, la lingua: si crea un curricolo (strumento ope-rativo fondamentale, che però non influenza il discorso sulle tecniche di-dattiche, e che quindi qui non trattiamo), poi lo si articola per program-mare il lavoro, dividendolo in blocchi, in unit (da cui l’italiano «unità»)da presentare allo studente. La struttura di queste unit costituisce un ulte-riore contesto al cui interno vanno collocate le tecniche glottodidattiche.

La tradizione ci ha dato due strumenti didattici consacrati nei secoli,la conversazione maieutica e la lezione ex cathedra: spostata dai porticidi Atene o di Roma ai giorni nostri, la conversazione può al massimofunzionare per la riflessione metalinguistica sulla lingua materna o sulivelli molto alti di altre lingue: può rientrare episodicamente in moltipercorsi, ma non può costituirne il perno; la lectio, cioè «leggere ad altavoce», tipico dell’istruzione religiosa dove c’è un testo sacro presentatoai fedeli da un sacerdote, è ancora utilizzata in alcuni casi di insegna-mento linguistico e soprattutto letterario, ma si colloca chiaramente aldi fuori dello spazio didattico visto in 1.2.1: oggi grammatiche e antolo-

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gie letterarie non sono ritenuti testi sacri, l’insegnante non è accettatocome sacerdote, lo studente non si riconosce nel ruolo del fedele, non èdisposto a fare atti di fede…

Nella tradizione glottodidattica è dagli anni Sessanta che si parla di«Unità Didattica» (d’ora in poi, in questo capitolo, useremo l’acronimoUD): l’aggettivo chiarisce che è uno schema di riferimento per il didat-ta, l’insegnante. In realtà, una UD è composta da una serie di singole«lezioni», intese come sessioni di lavoro: se consideriamo queste ses-sioni dal punto di vista dello studente, possiamo chiamarle «Unitàd’Apprendimento»: è quello che lo studente percepisce come bloccounitario e che viene svolto in una sessione di lavoro (d’ora in poi, inquesto capitolo, UA).

In tempi più recenti, inoltre, l’affermarsi dei processi di certificazio-ne, legati alla spendibilità delle conoscenze, ha richiesto l’elaborazionedi un ulteriore strumento di organizzazione didattica, il «modulo», checonsente di individuare dei blocchi di competenza o di conoscenza e diaccreditarli in un portfolio personale. È quindi un modello centrato sul-l’oggetto di studio, sulle discipline – modello che a nostro avviso nonsi adatta alle lingue, se non a livelli alti di padronanza (cfr. Balboni,20022).

Se riprendiamo il modello di interazione visto in 1.2.1, vediamo fa-cilmente che ciascuno strumento focalizza l’attenzione su uno dei trepoli dell’azione didattica:

19Scopo e natura di questo volume

Fig. 1.6 Relazione tra spazio di azione didattica e strumenti per la programma-zione didattica

StudenteUnità d’Apprendimento

Lingua: Insegnante:Modulo Unità Didattica

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L’UA (senza riferimento, qui, all’opposizione tra «acquisizione» e«apprendimento» di Krashen) nasce dall’interazione di due componen-ti che avranno poi un ruolo fondamentale nella scelta e nella valutazionedelle tecniche e delle attività glottodidattiche che proporremo nei varicapitoli:

a. una considerazione neurolinguistica che si basa su due principi fun-zionali:

– la «bimodalità», cioè la divisione funzionale dei due emisferi cere-brali, quello destro preposto alle attività globali, olistiche, analo-giche e quello sinistro alle attività razionali, sequenziali, logiche.Le ricerche attuali hanno dimostrato un’integrazione più forte diquanto si immaginasse tra i due emisferi e le due modalità di in-terpretazione-rappresentazione della realtà, ma non hanno intacca-to il principio che i due emisferi sono funzionalmente differenzia-ti, uno orientato verso la globalità e l’altro verso l’analisi;

– la «direzionalità», cioè il fatto che, pur nella cooperazione conti-nua tra le due modalità del cervello, quelle emozionali e globalidell’emisfero destro precedono l’azione di quelle razionali e anali-tiche dell’emisfero sinistro: nel nostro ambito, il contesto precedeil testo, la comprensione globale precede quella analitica, la soddi-sfazione di bisogni pragmatici precede il bisogno di accuratezzaformale;

b. una considerazione psicologica, in particolare della psicologia dellaGestalt, che vede la percezione come un processo sequenziale di glo-balità → analisi → sintesi. Il gestaltismo è stato superato dal neo-comportamentismo degli anni Quaranta-Cinquanta e poi dal cogniti-vismo degli anni Sessanta-Ottanta, ma questa stringa a tre fasi non èstata smentita.

Da queste basi, soprattutto da quelle psicologiche, erano nate le ri-flessioni di Giovanni Freddi (1970, 1979) e di Renzo Titone (1976) sul-l’UD, intesa come un percorso di un certo numero di ore con tre fasi cherichiamano i tre momenti percettivi visti al punto «b», più una fase ini-ziale di motivazione e una conclusiva di verifica.

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Negli anni Novanta la tendenza a spostare l’attenzione sul processodi apprendimento come base per l’elaborazione di processi di insegna-mento ci ha portato (nel 2000 e poi nel 2002) a smontare l’UD in unaserie di UA, che hanno la durata di una sessione (una «lezione», un pe-riod: di solito tra i 45 e i 90 minuti): un’unità d’apprendimento è l’unitàsecondo la quale lo studente percepisce il suo lavoro: «oggi ho studia-to…, ho imparato a…»; un’unità didattica è invece una tranche lingui-stico-comunicativa più complessa, realizzata mettendo insieme eventi,atti, espressioni, strutture linguistiche legati a un contesto situazionale(e infatti le UD dei manuali di lingua hanno di solito titoli situazionali:«Alla stazione», «Al ristorante» e così via) o a un contesto grammatica-le (i manuali di itaL1 hanno UD come «Il soggetto», «Il predicato», «Ilgenere dei nomi» ecc.).

Con la figura 1.7 possiamo vedere in questo modo l’UD e le UA. Questa idea di UD si caratterizza per l’estrema flessibilità dell’orga-

nizzazione dell’insegnamento; la sua struttura è scandita da tre fasi, perle quali sarà necessario individuare attività di natura appropriata:

21Scopo e natura di questo volume

Fig. 1.7 L’Unità Didattica come rete di Unità d’Apprendimento

INTRODUZIONE

– Presentazione deicontenuti dell’unità che sta per iniziare

– Motivazione di fondoper tutta l’unità

– Collocazione dell’unitàin relazione alleprecedenti e seguenti

– Istruzioni operative

RETE DI UNITÀ

D’APPRENDIMENTO

CONCLUSIONE

– Testing

– Recupero deglistudenti più lenti

– Approfondimentospecifico per glieccellenti

– Decondizionamento,attività staccate daicontenuti dell’UD.

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a. La fase di introduzione all’UDÈ in questa fase di introduzione (che può durare anche solo dieci minu-ti, ma è la chiave di volta dell’intera UD) che si ravviva la motivazionedi lungo periodo.

Si presentano i contenuti del percorso che sta per iniziare, negozian-doli in parte con gli studenti: da un lato l’insegnante spiega la logicadell’UD che sta proponendo (di solito appoggiata a un manuale), dal-l’altro gli studenti propongono eventuali modifiche o chiedono integra-zioni. L’insegnante può proporre agli studenti di trovare, nei giorni incui durerà l’UD, materiali per impostare le UA integrative che nella fi-gura 1.7 sono segnate in maniera più chiara e che, ovviamente, possonomancare, essere di più e collocarsi in posizioni diverse da quelle delgrafico).

Questo è anche il momento delle istruzioni specifiche per attività chevanno programmate per tempo: trovare documenti autentici, impostarecontatti con una scuola straniera per una seduta in chat line ecc.

b. La rete di UALe UA sono disponibili sul manuale o nella «banca di attività» dell’inse-gnante, che può presentare tutte quelle che aveva previsto o può usarlesolo in parte o solo con alcuni o rinviarne alcune; di solito si presentanole UA secondo la sequenza consigliata dal materiale didattico (indicatadai 5 cubi lungo la diagonale nel diagramma) ma l’insegnante può ancheintrodurre modifiche di sequenza, sulla base della sua analisi dei bisognidella classe, dalle reazioni degli studenti, e così via. Nei corsi in autoap-prendimento è lo studente stesso che può prendere, almeno in parte, de-cisioni sulla sequenza, magari confrontandosi con un tutor.

Le due UA rappresentate da cubi tratteggiati sono due contributi nonprevisti dal manuale ma creati ad hoc dall’insegnante, da un gruppo dicolleghi, da un gruppo di studenti eccellenti mentre l’insegnante lavoraal recupero degli studenti più lenti e così via.

Un’UD ha quindi una struttura flessibile e può avere espansioni im-previste verso materiali non didattici (siti internet, video, giornali ecc.):molte delle attività che presenteremo prendono in considerazione il fat-to che la loro esecuzione può variare rispetto a quanto previsto, appro-fittando (letteralmente: mettendo a profitto) la reazione non prevedibile

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degli studenti, oppure delle idee che maturano nella classe. Proprio per-ché utilizzabili all’interno di un concetto flessibile di UD e di UA le at-tività che proponiamo vanno fatte proprie dall’insegnante nella manie-ra meno dogmatica e più aperta possibile alla variazione.

c. Le singole UACiascuna UA segue in gran parte il percorso gestaltico visto all’inizio delparagrafo, con una tripartizione che in superficie coincide con le «tre P»del modello inglese presentation / practice / production, ma in realtà èprofondamente diversa: le «tre P» erano il prodotto di un insegnamentomolto tradizionale, con l’insegnante che presenta i contenuti o l’input, lostudente che fa gli esercizi e poi fa vedere quel che ha imparato; il mo-dello globalità → analisi → sintesi/riflessione non viene dalla pedago-gia ma dalla psicologia e riguarda i meccanismi umani di percezione erappresentazione mentale; in termini diversi ma sostanzialmente paral-leli a quelli gestaltici il modello globalità → analisi → sintesi/riflessioneè stato descritto da Chomsky come meccanismo di funzionamento delLAD (Language Acquisition Device) in termini di osservazione → crea-zione e verifica di ipotesi su quanto osservato → fissazione e uso delle«regole» che sono state osservate, ipotizzate e confermate.

Ognuna di queste fasi richiede la scelta di tecniche didattiche ade-guate.

d. La fase conclusiva dell’UDQuesta sezione ha una forma a «Y»: la parte comune, la «gamba», è lafase di verifica degli obiettivi che ci si era posti all’inizio dell’UD; ledue «braccia» indicano percorsi paralleli:

– il gruppo di studenti che hanno avuto risultati medio-bassi può effet-tuare azioni di recupero, attraverso UA «stratificate e differenziate»(cfr. i contributi di Caon, Della Puppa e D’Annunzio in Caon, 2006b)le cui attività sono collocate in progressione di difficoltà e quindi cia-scuno studente svolge le attività autonomamente fino a un certo item,e da quel punto in poi lavora insieme a chi può raggiungere livelli piùalti; alla fine, quando anche in coppie o in piccoli gruppi non riesco-no a procedere, tutti insieme completano il percorso con la guida del-

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l’insegnante: è un tentativo di realizzare operativamente un percorsobasato sulle zone di sviluppo prossimale di Vygotskij o, in termini piùnoti, di recuperare le sequenze i + 1 mancanti nell’ordine naturale checostituisce la versione krasheniana delle sequenze acquisizionali;

– il gruppo di studenti medio alti può curare la propria «eccellenza»con attività di approfondimento, di gioco linguistico, di ricerca dimateriali da proporre poi a tutti eventualmente nell’ora di interludiotra due UD, che descriviamo sotto.

La classe, in questa fase di recupero/approfondimento, si divide quin-di in due, e ciascun livello a sua volta può lavorare in coppie o piccoligruppi. È una risposta operativa alla necessità sempre sentita ma rara-mente corrisposta di adattare la didattica ai diversi livelli di acquisizio-ne e di performance (Caon, 2008).

e. La fase di interludioNello schema presentato sopra abbiamo inserito questa fase all’internodell’UD per pura comodità grafica, ma in realtà questa sessione di lavo-ro esce dall’UD, anche se l’insegnante può collegarla facilmente attra-verso la scelta del tema e gli studenti eccellenti possono trovare i mate-riali e proporre attività durante la loro fase di approfondimento che ab-biamo visto in «d».

Questa fase di interludio tra l’UD appena conclusa e quella che ini-zierà nella sessione successiva è in realtà un’ora senza fine (esplicito)di insegnamento ma con il solo fine del piacere di usare la lingua: pia-cere di vedere che si sta imparando, piacere di giocare con la lingua,piacere di ascoltare una canzone o vedere una scena di un film, piaceredi chattare con classi straniere, e così via (per approfondimento sul pia-cere in glottodidattica rimandiamo a Caon, 2006a).

Le scelte vanno quindi calibrate a seconda del polo dello spazio d’a-zione didattica su cui si orientano (1.2.1), la componente della compe-tenza comunicativa che sviluppano prioritariamente (1.2.2) e la moda-lità operativa al cui interno si inseriscono (1.2.3). Per poter scegliere,occorrono dei parametri di caratterizzazione delle attività: è quello chevedremo nel paragrafo seguente.

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1.3 � Parametri di valutazione delle tecniche didattiche

La tradizione o la percezione non approfondita portano spesso a un’a-nalisi apparentemente incontestabile delle tecniche disponibili per l’in-segnamento/apprendimento linguistico: ad esempio, nella percezionediffusa tra docenti e studenti un dettato serve per verificare la com-prensione e l’ortografia, mentre la realtà è ben più complessa: in ita-liano è possibile scrivere sotto dettatura la parola «perangolo», che nonpuò essere compresa in quanto non ha un significato, così come in in-glese è altamente probabile che alla stringa /’taif/ corrisponda la gra-fia tife, anche questa non comprensibile in quanto inesistente. Di con-verso, uno spagnolo capisce perfettamente «quando» o «Pasqua» purscrivendoli, per interferenza dalla sua lingua madre, «cuando» e «Pa-scua» (cfr. 7.3).

Se si vuole uscire da una prospettiva intuitiva e acritica è necessariostabilire dei parametri che consentano di evidenziare le caratteristicheintrinseche delle singole tecniche, in modo da decidere con cognizionedi causa se usarle, in quale variante, con quale scopo, in quale contesto,in veste di quale tipo di lingua ecc.

Uno degli studi classici sul testing, Carroll (1980) suggerisce quattroparametri legati dall’acronimo RACE (divenuto PACE nella versione ita-liana proposta da Porcelli, 1992):

a. Pertinenza (relevance, in Carroll): questo criterio individua l’oggettoeffettivo di una tecnica, che tornando all’esempio del dettato non èsemplicemente «comprensione e ortografia»; probabilmente questoparametro è il più trascurato e, spesso, violato, nella tradizione glot-todidattica, nei manuali, negli esami.

b. Accettabilità da parte degli studenti e quindi effetto di quell’attivitànel sostegno o nell’abbattimento della loro motivazione e dell’acqui-sizione; ci sono molte tecniche che possono mutare in termini di ac-cettabilità a seconda delle varianti usate: un dettato che deve essereconsegnato all’insegnante perché lo corregga e lo valuti inserisce il«filtro affettivo», una carica di emotività negativa, di ansia, che puòimpedire che esso conduca all’acquisizione, mentre lo stesso dettato

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autocorretto non porta a questo risultato negativo, in quanto lo stu-dente sta mettendosi alla prova di fronte a se stesso, non di fronte al-la classe o a un giudice esterno; allo stesso modo, attività di per sénoiose possono risultare molto ben accette se proposte in una varian-te ludica, come vedremo in 1.4.3; in alcuni casi troviamo abilità chevengono aprioristicamente dichiarate inaccettabili dagli studenti, sul-la base del cattivo uso che se ne è fatto nella tradizione scolastica: latraduzione, ad esempio, cui dedichiamo l’intero capitolo 8 nel tenta-tivo di superarre la diffamazione di cui è stata oggetto, è una tecnicache può rappresentare quanto di più «scolastico» (aggettivo purtrop-po, per noi, connotato negativamente), noioso e inutilmente difficileci possa essere, mentre può essere una delle attività più motivanti seessa viene presentata con attenzione ed è condotta con le metodolo-gie che vedremo al punto 1.4.

c. Comparabilità dei risultati: è una caratteristica rilevante per il testingoggettivo, ma non ce ne occuperemo approfonditamente trattando ditecniche per l’apprendimento e l’insegnamento, pur indicando sinte-ticamente questa caratteristica trattando le varie attività didattiche.

d. Economicità di somministrazione, esecuzione e correzione: le ore dilezione e quelle di studio individuale sono limitate, quindi questo pa-rametro estremamente utilitaristico ha un ruolo rilevante.

Questi parametri hanno dominato per trent’anni la letteratura so-prattutto di matrice angloamericana (come molta didattica delle lin-gue seconde e straniere in Italia), ma non sono sufficienti, a nostro av-viso: la riflessione sia psicopedagogia sia glottodidattica ci chiede diinserire altri parametri, per cui il paradigma completo includerà an-che:

a. Flessibilità operativa, possibilità di varianti: un’attività che richiedetassativamente tavoli intorno ai quali si siedono gruppi di studenti èrigida e inapplicabile se l’aula ha banchi fissi, come quasi sempresuccede nelle università; un cloze, invece, può essere realizzato inmolti modi diversi, alcuni dei quali richiedono un testo opportuna-mente predisposto e stampato, altri invece si limitano a far piegareuna fotocopia, a lavorare su un ritaglio di giornale, ad appoggiare sul

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testo una strisciolina di carta bianca, risultando quindi estremamen-te flessibile.

b. Tipi di relazione e di comunicazione che ogni tecnica instaura nellaclasse: alcune attività stimolano la competitività e altre la coopera-zione; alcune tecniche prevedono un lavoro collettivo e altre inveceindividuale; alcune provocano forme di comunicazione collettiva,con conseguenti problemi di disciplina e di difficoltà di ascolto do-vuto al rumore, soprattutto in classi di bambini e ragazzi, mentre altrerichiedono che uno parli e gli altri ascoltino, con i conseguenti rischidi progressiva disattenzione (cfr. 1.4.2).

c. Adattabilità alle differenti caratteristiche e attitudini degli studenti:ogni studente ha una combinazione unica di dominanza emisferica,stili cognitivi e d’apprendimento, tipi di intelligenza, tratti della per-sonalità: alcune tecniche possono privilegiare gli studenti sincretici,globali, intuitivi, altre quelli analitici, precisi, insofferenti per l’am-biguità; alcune attività sono semplici per gli estroversi e penalizzanogli introversi; alcune tecniche richiedono una forte intelligenza logi-co-matematica, altre una flessibile intelligenza linguistica (nei termi-ni di Gardner: la prima lavora sulla forma della lingua, la secondaprivilegia l’attenzione alla connotazione, alle sfumature lessicali).Ogni attività ha le sue caratteristiche, che alcune scelte metodologi-che (ad esempio la ludicità, la focalizzazione sul problem solvingecc.) possono in parte compensare: ma la soluzione più rispettosadelle varie caratteristiche individuali non risiede tanto nel manipolarele tecniche, quanto nell’alternarle in modo che non vi sia un gruppoche viene costantemente privilegiato e un altro che si trova sistemati-camente svantaggiato (per approfondimento su questo tema chiave,cfr. Caon, 2008 e Torresan, 2008)

d. Autonomia dello studente nel preparare i materiali, nel gestire l’atti-vità, nell’individuare e poi correggere gli eventuali errori; in partequesta caratteristica si intreccia con l’economicità di predisposizionee realizzazione delle tecniche, che aumenta se lo studente acquistaautonomia e la tecnica si presta all’individualizzazione, e con l’adat-tabilità all’età (molte tecniche non sono realizzabili in maniera auto-noma alle elementari mentre lo sono all’università) e alla personalitàdegli studenti: ad esempio, studenti che hanno poca stima di sé vanno

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fatti crescere nell’auto-stima prima di coinvolgerli in attività che ri-chiedono una forte autonomia; persone esuberanti, «caotiche» –spesso in realtà dotate di una visione globale anziché analitica dellecose – rischiano di sfuggire per la tangente in tecniche che consento-no forte autonomia.

e. Contributo delle tecnologie: alcune tecniche sono assurde se svoltesul computer, che finisce per essere usato solo come voltapagina elet-tronico; altre attività invece possono avere dal computer un contribu-to se questo consente una prima forma di autocorrezione; infine cisono delle attività che possono essere realizzate solo con il computer– e lo stesso dicasi per registratori, lettori di CD, video o videocame-ra, skype, chat, blog e via elencando. In alcuni casi l’uso della tecno-logia muta radicalmente la natura e l’efficacia di un’attività: comevedremo meglio (cfr. 5.5), un tema svolto individualmente porta auno scambio di prodotti tra lo studente (che dà il suo «svolgimento»)e il docente (che dà le sue correzioni) e introduce un lungo periodotra un prodotto e l’altro, mentre un tema svolto in piccoli gruppi se-duti intorno a un computer, con il docente che passa da gruppo agruppo, consente di lavorare sul processo di individuazione delleidee, sul processo di organizzazione di una scaletta e sui processi distesura e di rilettura – attività cognitive e linguistiche svolte in unalogica di tutorato tra pari e quindi con una metodologia cooperativa,assai meno ansiogena del classico tema in classe; le due varianti delclassico tema quindi finiscono per avere due nature diverse, che sonorese possibili solo dalla disponibilità della tecnologia.

Le nostre fonti per una visione generale delle attività didattiche inglottodidatica, oltre ai classici Carroll, 1980; Larsen Freeman, 1986 eDanesi, 1988; sono state Freddi, 1994; Ur, 1988 e 1989; Norman, Re-vell, 1999; Bonvino, 2003; Rigo, 2005.

Prima di procedere alla descrizione delle tecniche che si possonousare per lo sviluppo o il perfezionamento della competenza comunica-tiva, conviene soffermarci su alcune delle modalità possibili di realizza-zione delle tecniche glottodidattiche alla luce di un aspetto spesso tra-scurato, quello della relazione interpersonale che esse instaurano tra glistudenti e tra questi e il docente.

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1.4 � Le modalità di realizzazione delle attività

Abbiamo più volte accennato in 1.3, trattando di parametri di valutazionecome la flessibilità e l’adattabilità, al fatto che le tecniche glottodidattichepossono essere realizzate secondo varie metodologie: consideriamo inquesto paragrafo quelle più utili per l’insegnante impegnato nell’educa-zione linguistica, rimandando a tutta la letteratura psicopedagogica per unapprofondimento che non può avvenire in un manuale di glottodidattica.

1.4.1 Le tecniche in prospettiva umanistico-emozionale

Da trent’anni esiste letteratura glottodidattica basata su un «approccioumanistico-affettivo» (Stevick, 1980, 1989; Porcelli, 2004; tra i più re-centi, Luise, 2003 e 2006; Mazzotta, 2003; Caon, 2005, 2006a e 2008).Anzitutto, un duplice problema terminologico:

– secondo quanto abbiamo proposto in 1.1, non siamo di fronte a unapproccio glottodidattico ma a un contributo che ci viene dalla psi-codidattica, da cui la glottodidattica può certamente trarre implica-zioni utili, ma che si presentano come «metodologie», non come ap-procci, cioè filosofie dell’educazione linguistica;

– come si vede dal titoletto del paragrafo, non abbiamo usato il tradi-zionale «affettivo» preferendogli «emozionale».

Vediamo in maniera più dettagliata i due aggettivi, per procedere an-che a una riflessione sul fatto che forse si è un po’ abusato in questi an-ni, soprattutto nella didattica dell’itaL2 e delle lingue straniere, del bi-nomio «umanistico-affettivo».

a. «Umanistico»Il primo aggettivo, «umanistico», deriva dalla psicologia omonima, checerca di individuare quel che è humane (non human) e cioè proprio delmodo in cui sono fatti gli esseri umani: pertengono a questa dimensionetutte le considerazioni relative ai tipi di intelligenza, ai tratti della per-sonalità, agli stili cognitivi e d’apprendimento.

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Il principio base cui dobbiamo attenerci nell’individuazione e nellaselezione delle attività didattiche è molto chiaro: la scelta delle tecni-che con cui si concretizza la didattica deve essere tale da non privile-giare alcuni studenti, cioè alcune peculiari combinazioni di dominan-za emisferica, di stili cognitivi, di tipi di intelligenza ecc., a scapito dialtri.

Iniziamo la nostra rassegna riferendoci alla «dominanza emisferica».Ogni emisfero cerebrale percepisce e concettualizza la realtà, cioè gliinput che riceve attraverso i sensi, in maniera globale, contestuale, emo-zionale (emisfero destro) e in maniera analitica, sequenziale, razionale(emisfero sinistro). Ogni persona privilegia una delle forme di concet-tualizzazione, ha una «dominanza» diversa (Danesi, 1998). In generepossiamo considerare come base per la didattica che in ogni classe c’èuna parte di studenti «analitici» e una parte di studenti «olistici»: i primihanno un’attitudine verso la riflessione sulla lingua, desiderano avere isuoi meccanismi sotto controllo, vogliono comprendere tutto, senza zo-ne d’ombra; i secondi hanno un’attitudine maggiore all’uso della lin-gua, anche se segnato da imperfezioni grammaticali o se la comprensio-ne ha delle lacune, lavorano in maniera intuitiva, che a molti insegnantipuò parere «caotica». Quindi le azioni didattiche, dalla scelta delle atti-vità al modo in cui le si conduce, dovrebbero essere equamente distri-buite in modo da non privilegiare e non penalizzare di volta in voltametà degli studenti.

Molte voci che seguono, in questo paragrafo, sono in qualche modoriconducibili alla dominanza di uno dei due emisferi, quindi nella sche-da di (auto)osservazione che chiude il paragrafo non troveremo una ri-flessione esplicita sulla dominanza, sul tipo di percorso mentale che unapersona privilegia.

Procedendo a una riflessione, per quanto schematica, un po’ più det-tagliata, la prima categoria di differenze individuali è quella che lo psi-cologo americano Gardner indica nei sette (o nove, in altri studi) tipi diintelligenza: essi sono presenti in ogni persona, ma in combinazioni econ dominanze diverse, che possono dipendere dalla persona stessa,dall’ambiente (scolastico e non) in cui si è formato, dalla cultura di ap-partenenza. Le intelligenze multiple che convergono nell’intelligenzaindividuale sono:

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– l’intelligenza linguistica: è la capacità di cogliere sfumature si signi-ficato, di scegliere le parole opportune, mentre l’aspetto logico,grammaticale del linguaggio è piuttosto pertinenza dell’intelligenzamatematica; è l’abilità di usare la lingua per esprimere emozioni epensieri e per capire le altre persone – come fanno il grande avvoca-to, lo scrittore, l’oratore che sa comunicare ecc. Le attività di studioche sfruttano meglio questo tipo di intelligenza sono i dibattiti e lediscussioni nonché la lettura e traduzione di testi letterari;

– l’intelligenza logico-matematica elabora il pensiero analitico e com-plesso: nell’acquisizione della lingua essa guida la riflessione forma-le, «grammaticale». Attivano questa intelligenza attività di «inca-stro», come il riordino di parole o di frammenti di frase e di testi, difumetti, di informazioni nonché tutte le attività di analisi e i giochigrammaticali; sono invece ostiche per questo tipo di intelligenza leattività che implicano una certa tolleranza per le ambiguità, per l’ap-prossimazione, come la lettura globale, le attività di roleplay in cui cisi deve «arrangiare» in qualche modo;

– l’intelligenza spaziale: riguarda l’abilità di ricostruire o modificarementalmente la disposizione degli oggetti nello spazio: utilissimaquindi per la memorizzazione del lessico legato ad ambienti (la sta-zione, la strada, il bagno ecc.). I dizionari illustrati sfruttano questotipo di intelligenza;

– l’intelligenza musicale: sono sostenute da questa intelligenza le atti-vità di memorizzazione linguistica condotte con canzoni, filastroc-che ecc.

– le intelligenze personali, cioè quelle che governano la conoscenza disé e degli altri; sono legati a questa intelligenza due tratti della perso-nalità (estroversione e introversione) che giocano un ruolo fonda-mentale sia nella capacità di comunicare in una lingua che non sipossiede appieno sia in attività che esprimono il proprio animo (doveeccellono coloro che sono introspettivi) e in attività che mettono inrelazione con gli altri, come le simulazioni di dialoghi e scene, doveeccellono gli empatici, cioè coloro che sanno mettersi «nei panni»dell’interlocutore, e quindi ne colgono gli scopi anche se sono malespressi linguisticamente, e parlano in modo da aiutare la compren-sione.

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Ci sono altri tipi di intelligenza (corporea, naturalistica, esistenziale)che non paiono avere ruolo essenziale nell’acquisizione linguistica (sul-le intelligenze multiple in glottodidattica si veda Torresan, 2008).

È importante non confondere i tipi di intelligenza (quindi di perce-zione ed elaborazione della realtà) proposti da Gardner e visti sopra congli stili d’apprendimento, che riguardano il modo di affrontare un com-pito in maniera, ad esempio, globale piuttosto che analitica e riflessiva,e con i tratti della personalità come introversione o estroversione, da unlato, e capacità o difficoltà di autonomia, dall’altro:

– stile analitico/globale: uno studente può avere uno stile d’apprendi-mento sistematico e riflessivo oppure intuitivo. Psicologicamente siparla, per un apprendente di stile analitico, di una dominanza del-l’emisfero sinistro nonché dell’intelligenza logico-matematica ri-spetto alle altre. La tendenza di ciascuno è quella di seguire il pro-prio stile, di adagiarvisi, di rifiutare o far malvolentieri le attivitàche privilegiano uno stile diverso dal proprio: siccome l’apprendi-mento linguistico è sia globale sia analitico, il rifugio nel propriostile personale è una strategia perdente e l’insegnante deve quindistimolare gli studenti a uscire dal proprio «ghetto» usando alternati-vamente tecniche che di volta in volta richiedono un approccio in-tuitivo o uno analitico;

– stile ideativo/esecutivo: lo studente ideativo si appoggia alla teoria,lavora sull’idea di possibili percorsi mentali per giungere a possederee analizzare la lingua (quindi ama gli esercizi grammaticali), mentrelo studente esecutivo ha bisogno di fare, impara dagli errori, dai qua-li non si lascia deprimere (quindi è interessato a comunicare, cioè al-la dimensione pragmalinguistica, disinteressandosi della correttezza;spesso inoltre ha difficoltà metalinguistiche);

– in/tolleranza per l’ambiguità: l’abbiamo già richiamata parlando del-l’intelligenza logico-matematica. Ci sono alcuni che tendono ad ac-contentarsi di una comprensione o produzione globali, senza sentirsia disagio di fronte a dettagli ambigui, imprecisi; altri sono a disagiodi fronte a queste ambiguità. In termini di acquisizione sono avvan-taggiati i tolleranti, in termini di apprendimento più razionale la si-tuazione è opposta;

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– in/dipendenza dal campo: è la capacità di non lasciarsi distrarre oguidare da stimoli irrilevanti solo perché compaiono in quel puntodel testo. Un esempio può aiutare a comprendere: poniamo che il compito siaindividuare le parole femminili in questo insieme:

cagna gatto pavimento lavagnaeco libro gioco bancatesta gatta penna salto

la persona dipendente dal campo non le individua facilmente, per-ché allarga il campo dei nomi maschili a tutti i nomi terminanti in–o in quel gruppo, quindi anche a eco, mentre la persona indipen-dente le individua facilmente perché analizza il singolo nome, nonil campo intero; attività di carattere insiemistico, di classificazioneecc. possono quindi dipendere fortemente, nell’esecuzione e nel ri-sultato, da questo aspetto;

– capacità/difficoltà di prevedere i contenuti del testo sulla base delcontesto: è la grammatica dell’anticipazione, fattore cardine dellacomprensione, come vedremo. Essere forti in questa «grammatica»significa prevedere ciò che verrà detto, sfruttando sia la conoscenzadel mondo sia la ridondanza (cioè il complesso di informazioni) datadal contesto e dal resto del testo: lavorare su serie di frasi staccate,ciascuna autonoma, privilegia chi è debole nella capacità di prevede-re, viceversa lavorare su frasi che fanno parte di una storia, legate traloro, aiuta gli intuitivi; alternare i due tipi di attività significa impara-re a usare entrambe le strategie e quindi ottenere risultati migliori;

– tendenza/difficoltà ad apprendere dai propri errori: questa caratteri-stica dello studente ha una componente personale (ottimismo/pessi-mismo, arroganza/modestia: vedi sotto, tra i tratti della personalità)ma anche un’origine scolastica, che rimanda all’aver avuto insegnan-ti che consideravano l’errore un orrore da punire ed estirpare (quindi,dal punto di vista dello studente: da nascondere) oppure insegnantiche studiavano l’errore insieme allo studente, ne parlavano per capirecome mai si fosse prodotto. Parlare o comprendere una lingua (nonsolo straniera, ma anche la lingua materna) è un’attività che sempre,

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comunque implica errori: imparare ad analizzarli è fondamentale permigliorare sia le proprie strategie di studio sia le proprie performancelinguistiche e comunicative.(Per approfondimenti, Antonello, 2002; Mariani e Pozzo, 2002; Ca-damuro, 2004; Caon, 2006b).

Concludiamo questa breve rassegna con un cenno ai tratti della per-sonalità, che non sono specificamente legati all’attività di apprendi-mento, ma che comunque intervengono nel disegnare il profilo indivi-duale di ogni singolo studente; tra i tratti più importanti troviamo:

– cooperazione/competizione: ci sono studenti che mirano a emergerenel gruppo, e talvolta per farlo non mirano a innalzare se stessi sopragli altri ma si limitano ad abbassare gli altri, a negar loro l’aiuto, anon dar loro tutte le informazioni; ci sono invece altri studenti chemirano a integrarsi, a giocare in squadra; le tecniche individuali equelle di gruppo risentono molto, per versi opposti, di questo trattodel carattere. Insegnare allo studente a dominare la propria tendenzacompetitiva, o dirottarla su attività ludiche, è fondamentale per poterpartecipare a tutte le attività simulative, per collaborare a ipotizzare ilsignificato di una frase e via dicendo;

– introversione/estroversione è un’altra variabile ben nota e ha un ruo-lo essenziale nel facilitare o complicare tutte le attività in cui si deveparlare in lingua straniera con i compagni o con l’insegnante; sicco-me queste attività sono necessarie per esercitare l’oralità, lo studenteintroverso tende a esercitarsi di meno e quindi aggiunge al disagiopsicologico dell’uscire dal proprio guscio protettivo quello linguisti-co della scarsa padronanza;

– ottimismo/pessimismo hanno un’applicazione immediata nel proces-so d’apprendimento di una lingua straniera, dove iniziare pensando«non ce la farò mai» oppure «ce l’hanno fatta altri, posso farcela an-ch’io» cambia di molto l’atteggiamento globale.

Come abbiamo più volte detto, quindi, un rispetto «umanistico» perla varietà degli esseri umani è fondamentale per una glottodidatticaequilibrata.

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Attività 1: la scoperta e il controllo della propria «attitudine»

Il complesso di componenti personali che abbiamo sommariamenteelencato sopra costituisce, insieme alle caratteristiche della motiva-zione di ciascuno e al suo background socio-culturale, quella chepossiamo definire «attitudine» – concetto spesso evocato, ma assairaramente definito, se non in termini generici quali «le caratteristi-che che rendono alcune persone più efficienti di altre nell’acquisi-zione di una lingua». Crediamo che sia invece possibile svolgere congli studenti un doppio percorso:

– presentazione dei fattori che concorrono a rendere una persona piùo meno atta all’acquisizione di nuove lingue o al lavoro di perfezio-namento delle lingue già acquisite: si può farlo con una scheda co-me quella che proponiamo qui di seguito, presentando agli studen-ti le singole voci e chiedendo a ciascuno di riconoscersi: la scheda èstesa in termini di comportamenti, quindi di dati osservabili;

– richiesta agli studenti di tenere sotto controllo nei mesi seguenti leloro performance, le loro difficoltà, in modo da cercare di interve-nire su quei fattori che non risultano funzionali al lavoro sulle lin-gue. Si può tornare a discutere la scheda di auto-osservazione unapaio di volte ogni anno, in modo da stimolare un’auto-osservazio-ne longitudinale. Per fare questo conviene usare una scheda su file(la si trova in www.itals.it, alla voce «materiali») che si allargamano a mano che ci si registrano osservazioni.

La scheda include anche voci non trattate in questo manuale, qua-li quelle relative alla motivazione (per cui si rimanda a Balboni,2002; sull’attitudine, si vedano Skehan, 1994 e Naiman et al, 1995).

Tipi di intelligenza

a. intelligenza linguisticaCoglie le sfumature, sceglie le parole opportune, usa la lingua peresprimere emozioni e pensieri e per guidare e per capire le altre per-sone

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b. intelligenza logico-matematica Coglie l’aspetto logico, grammaticale del linguaggio; rifugge l’am-biguità; tende alla sequenzialitàc. intelligenza spazialeRicostruisce mentalmente la disposizione degli oggetti, quindi dellessico, legandolo visivamente ai vari ambientid. intelligenza musicaleImita facilmente la prosodia; memorizza lessico e routine con can-zoni e filastrocchee. intelligenza inter-personaleSi relaziona bene con gli altri, dal vero o in simulazioni; ha empatia,si mette «nei panni» dell’interlocutore, cerca di coglierne gli scopianche mal espressi, parla in modo da aiutare la comprensionef. intelligenza intra-personaleConosce i propri limiti e i punti di forza; è consapevole dei suoi stilie strategie d’apprendimento

Stili cognitivi e d’apprendimento

g. stile analitico/globaleRisolve i problemi suddividendoli in unità e affrontandoli in sequen-za/li coglie in maniera olistica, quasi «caotica», e solo poi, eventual-mente, passa all’analisih. stile ideativo/esecutivoAstratto, parte da una sua teoria di «apprendimento», di «lingua»,cerca la sistematizzazione metalinguistica/concreto, ha bisogno di fa-re, impara dagli errori, punta all’efficacia pragmatica più che allacoerenza logico-formalei. in/tolleranza per l’ambiguitàSi sente a disagio, e spesso si blocca, se non ha tutte le informazio-ni/viceversal. in/dipendenza dal campoSi lascia distrarre da quel che compare nel contesto o nel testo, non siconcentra sul singolo elemento o problema/viceversam. grammatica dell’anticipazionePrevede facilmente quel che può avvenire o essere detto in una situa-zione

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n. apprendere dai propri erroriConsidera l’errore come naturale, non sente di perdere la faccia; vuolcapire perché ha sbagliato e ne trae insegnamento

Alcuni tratti della personalità

o. cooperazione/competizioneVuole integrarsi, giocare in squadra/vuole emergere nel gruppo, acosto di abbassare gli altri p. estroversione/introversioneMostra (in)disponibilità e (dis)piacere nel comunicare, nel mettersiin giocoq. ottimismo/pessimismoHa (s)fiducia nella propria capacità di farcela in qualche modo a ca-pire, a parlare, a comunicarer. autonomia/dipendenzaÈ autonomo, si sente responsabile in prima persona, tende a risolvereda solo i problemi a costo di sbagliare/viceversa

Aspetti di carattere socio-culturale

s. motivazione formativa/utilitaristicaÈ interessato alla lingua perché lo fa crescere, gli apre mondi/soloperché e fin quando/quanto gli servet. motivazione ambientaleNell’ambiente familiare e sociale le lingue diverse dall’inglese sonoconsiderate un lusso inutile/un investimento

b. EmozionaleLa letteratura usa l’aggettivo «affettivo», ma l’affettività è una riduzionedel ben più ampio ambito cui, con Goleman, ci riferiamo parlando di«intelligenza emotiva», che ha un indubbio ruolo nel determinare la me-morizzazione e l’acquisizione (Schumann, 1997 e 2004; Fabbro, 2004)e che è storicamente trascurata dalla tradizione di origine greca, foca-lizzata sulla logica, sull’analisi, sulla razionalità.

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Esistono vari modelli di classificazione delle emozioni; il più diffu-so identifica otto emozioni primarie: quattro positive (gioia, approva-zione, sorpresa, aspettativa) e quattro negative (paura, dispiacere, rab-bia, disgusto). Ridurre tutto ciò all’affettività è chiaramente impro-prio: le tecniche usate in classe, le attività che vi si svolgono, devonotener conto di tutta la gamma emozionale, sostenendo ad esempio lagioia di riuscire e circoscrivendo il dispiacere di sbagliare o di non es-sere capace, sostenendo la sorpresa con tecniche sempre variate perevitare che prevalga la noia (o una sua versione più forte, il disgusto)della routine; sostenendo l’aspettativa di riuscire a scapito della pauradi fallire.

Cercheremo di tener conto di tutte queste caratteristiche nella nostradescrizione delle singole tecniche per l’educazione linguistica.

1.4.2 Le tecniche in prospettiva collaborativa, di mediazionesociale

La lingua è un fenomeno sociale, chi parla da solo parla a vanvera. Ne-cessariamente molte attività richiedono un lavoro individuale, rispettosodelle caratteristiche personali viste nel paragrafo precedente, ma altret-tanto necessariamente il lavoro individuale deve essere complementarea un lavoro sociale, in cui ciascuno non solo usa la lingua in maniera si-gnificativa con altri (in maniera significativa, quindi scambiandosi si-gnificati autentici sui propri gusti, opinioni, esperienze, emozioni ecc.),ma in cui collabora con gli altri per risolvere problemi linguistici – dal-la comprensione o produzione di un testo all’elaborazione di ipotesi o allavoro sul lessico.

Le attività basate sulla mediazione sociale sono di natura costruttivi-stica (la conoscenza non viene trasmessa, bensì costruita insieme, alme-no per quanto possibile) e, anche se con una certa approssimazione,possono essere ricondotte all’apprendimento cooperativo, in cui il lavo-ro comune per la soluzione di problemi costituisce il dato qualificante –e si scontra drammaticamente con l’atteggiamento competitivo che ca-ratterizza non solo molti studenti, come abbiamo visto nel paragrafoprecedente, ma che sta anche più o meno consapevolmente alla basedella prassi didattica di molti insegnanti, di molte scuole, dove «pre-

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miare il merito» diviene equivalente a «selezione del più adatto», in unaprospettiva darwinistica dell’educazione.

Va richiamata anzitutto la distinzione tra attività collaborative, in cuiogni studente ha un compito e l’integrazione tra i compiti individualiporta a raggiungere l’obiettivo, e cooperative, in cui l’obiettivo va rag-giunto lavorando insieme. In tal modo i diversi tipi di intelligenza, distile cognitivo e d’apprendimento, di motivazione, di personalità si inte-grano e ciascuno impara dagli altri non solo a risolvere quello specificoproblema linguistico (comprendere un testo, trasporlo al passato, ana-lizzarlo sintatticamente, riassumerlo ecc.) ma impara anche che esisto-no varie strategie per risolverlo, che la propria è solo una delle possibi-li strategie: è un concetto che sposta l’azione dall’insegnamento lingui-stico all’educazione linguistica.

Per far compiere agli studenti questo passo metacognitivo molte del-le attività possono avere, come conclusione abituale, una richiesta deltipo «Come hai fatto a giungere a questa conclusione? Come ti è venutal’idea di fare in questo modo?» e così via.

In questa logica, uno dei grandi problemi dell’insegnamento, cioè ilfatto che ogni classe è una CAD, una classe ad abilità differenziate(Caon, 2006b), viene trasformato in una risorsa – e questo vale soprat-tutto per uno dei contesti dove la differenziazione è massima, l’insegna-mento dell’itaL2 a immigrati, che provengono da tipologie linguistichedisparate, sono in Italia da più o meno tempo, hanno idee e atteggia-menti differenziati verso la scuola, l’itaL2 e le lingue straniere o classi-che presenti nel curricolo.

Un’altra tipica metodologia di mediazione sociale è il tutorato tra pari,per cui alcuni studenti assumono funzione di tutor di altri: non solo gli«eccellenti», ma tutti, a seconda delle loro caratteristiche: ad esempio, inalcuni tipi di attività in cui quel che conta è riuscire a comprendere un te-sto in breve tempo, studenti intuitivi, ma spesso superficiali in termini diaccuratezza, possono aiutare i più «precisini», e questi a loro volta aiute-ranno i più intuitivi a scoprire la necessità di correttezza formale: si rea-lizza una sorta di leadership distribuita in cui ciascuno, di volta in volta,assume funzione di tutor di alcuni altri. (Sulla mediazione sociale in ge-nerale, si vedano Kagan, 1994; Comoglio, Cardoso, 1996; specificamen-te per l’educazione linguistica, cfr. vari saggi raccolti in Caon, 2006b).

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1.4.3 Le tecniche e la dimensione ludica

La glottodidattica ludica (che ha una lunga tradizione in Italia: Freddi,1990; Staccioli, 1998; Coppola, 2000; Caon e Rutka, 2004; Caon, 2005)non consiste nel fare giochi, ma nella giocosità – l’inglese contrapponegame e play in questo senso – in cui lo scopo dell’azione è giocare e, sepossibile, vincere: il gioco è autotelico, non vuole far prendere un belvoto, non incute la paura di un brutto voto, non contrapponedocente/studente, non ha un giudice (linguistico) ma un arbitro del gio-co, che può anche essere l’insegnante: la rule of forgetting di Krashen siapplica al massimo, in quanto si usa la lingua dimenticando che lo sco-po ultimo è quello di perfezionare o acquisire lingua. Freddi (1990) no-ta che nel gioco si integrano, in maniera diversa a seconda delle tipolo-gie ludiche, componenti

a. cognitive: l’elaborazione di strategie, la comprensione delle regole,la valorizzazione dei diversi tipi di intelligenza;

b. linguistiche: la lettura, la negoziazione, la spiegazione delle regole,la discussione sulle infrazioni, gli scambi comunicativi necessari allosvolgimento del gioco, le routine culturali come le conte o le frasi ri-tuali («colpito», «affondato»);

c. sociali: ad esempio l’interazione con la squadra, la necessità di me-diare tra competitività e collaborazione;

d. motorie e psicomotorie nei giochi con una dimensione fisica; e. emotive: ad esempio, la paura, la tensione, il senso di liberazione, il

divertimento, il piacere.

Sul piano della memorizzazione, il gioco ha il grandissimo pregio diconsentire la reiterazione gradita, spesso cercata del gioco stesso. Fac-ciamo alcuni esempi.

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Attività 2: trasformazione degli esercizi strutturali o manipolativi in attività ludiche

Gli esercizi strutturali (i pattern drill della tradizione neocomporta-mentista) e quelli manipolativi («volgi al le seguenti frasi»,«inserisci la forma corretta del verbo tra parentesi», e così via) sonoutili per la fissazione, ma sono demotivanti in sé per la mancanza disignificatività e sono assurti a paradigma di quel che è «scolastico»,con la connotazione di «noioso», «avulso dalla realtà». Se la realtàsmette di essere quella quotidiana e diviene il mondo a sé costituitodal gioco, questa connotazione cade.

Facciamo alcuni esempi per illustrare le diverse tipologie delgioco:

a. L’esercizio strutturale come partita a dadiOgni coppia usa un dado; lo scopo è raggiungere 31 punti; ogni lan-cio del dado attribuisce i punti solo se si dice il passato remoto di unverbo scelto dall’avversario (e annotato, perché non si può riutiliz-zarlo). È una tecnica rapida, è un vero e proprio esercizio strutturale(stimolo, risposta e gratificazione o sanzione) – ma chi perde vuolela rivincita, vuole ripeterlo!

Al posto del passato remoto ci può essere un elemento lessicale (icolori, i vestiti ecc.), un elemento sintattico (dire una frase con ilcomplemento di , fare una coppia reggente/subordinata con lacongiunzione ecc.), un elemento pragmatico (chiedere/direl’ora, la data di nascita, un biglietto per Parigi ecc.).

b. L’esercizio strutturale come «tris»Con lo stesso meccanismo visto sopra, anziché raggiungere un pun-teggio tirando dadi si può cercare di fare «tris», cioè di conquistaretre caselle in fila (orizzontali, verticali o diagonali) in uno schema di-segnato con due tratti di penna verticali e due orizzontali, che forma-no nove caselle. È un gioco tradizionale che tutti conoscono, moltorapido, non richiede strumenti particolari, può essere reiterato piùvolte.

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c. Fissazione degli atti comunicativi attraverso la battaglia navaleNella lingua straniera o in itaL2 due atti comunicativi semplicissimicome «dire la data» e «dire l’ora» possono essere accoppiati sulloschema delle battaglie navali, ponendo alcune date sull’asse orizzon-tale e alcune ore in verticale: si deve colpire una nave che passa inquel quadrante quel giorno a quell’ora; se lo schema ha 10 colonne e10 righe, ci sono 100 combinazioni, scritte in numeri, che gli studen-ti devono dire in lingua.

Ovviamente la battaglia navale può essere usata per fissare l’alfa-beto, i numeri, le forme dei verbi irregolari (da un lato una serie diinfiniti, sull’altro tempi verbali: per colpire una nave si deve dichia-rare «dette» e chi è il bersaglio deve andare a trovare la casella in cuiil verbo «dire» si incrocia con «passato remoto») e così via.

d. Le attività di analisi morfosintattica come gara di velocitàSi inserisce un elemento ludico in attività estremamente tradizionali:in latino, ad esempio, un’operazione apparentemente semplice comequella di distinguere casi con la stessa desinenza, ad esempio dativoe ablativo plurale, può essere svolta in una gara a coppie in cui, in unbrano, vince chi ne identifica di più nel tempo concesso; lo stesso,con maggiore difficoltà, si può fare in italiano chiedendo di indivi-duare le congiunzioni subordinanti e coordinanti, alcune forme ver-bali e così via.

e. La fissazione lessicale come gioco delle differenzeSi tratta delle classiche vignette affiancate in cui ci sono alcuni det-tagli differenti: gli studenti devono individuare le differenze e dirlain lingua straniera o itaL2, poi il turno passa al compagno. Vince chilascia il compagno «senza parole», o perché non individua altre dif-ferenze o perché queste si sono esaurite (e in tal caso ci può essere unpareggio).

Il lessico fissato in questo modo è utile se le differenze non so-no casuali ma appartengono a specifici ambiti lessicali, ad esem-pio, colori, elementi dell’arredo, della strada, e così via: è l’imma-gine, anziché la lingua, a fornire un abbozzo di contesto significa-tivo.

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Se si presenta una scena complessa, si possono avere differenzenon solo nei nomi (e in aggettivi numerali, di quantità ed eventual-mente di colore, riferiti a quei nomi: «qui c’è un gatto bianco, lì duegatti neri») ma anche nei verbi.

f. La fissazione lessicale attraverso il memoryGioco semplicissimo, adatto ai più piccoli, che si può eseguire con inormali mazzi di carte memory: l’unica integrazione per fissare illessico nelle lingue non native è che si devono dire i nomi degli og-getti raffigurati nel momento in cui li si scopre.

Anche da questi semplici esempi tuttavia si deducono due forticambiamenti di ruolo introdotti dalla metodologia ludica: da un lato,gli studenti sono protagonisti e sono attenti alla correttezza formale,da cui dipende la possibilità della propria vittoria o di bloccare l’av-versario; dall’altro, l’insegnante non è più giudice ma, come diceva-mo, arbitro. Se uno studente ritiene che il compagno abbia enunciatoun periodo ipotetico dell’irrealtà anziché quello della possibilità cheveniva richiesto, prima negozierà l’interpretazione con il compagnoe poi ricorrerà all’insegnante per un’analisi corretta: solo la metodo-logia ludica può portare due preadolescenti a discutere e volere chia-rezza sul periodo ipotetico.

Nella trattazione delle singole attività didattiche indicheremospesso le possibili varianti ludiche, ma in realtà la maggior parte del-le tecniche può essere improntata almeno in parte alla ludicità (an-che se non possono essere sempre trasformate in giochi) e molti deigiochi su schema o di squadra tipici della nostra tradizione possonoessere utilizzati per rafforzare aspetti linguistici, dai più semplici aipiù complessi.

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CAPITOLO 2

Il lessico

«Quando si va in viaggio all’estero si porta un dizionario, non unagrammatica»: questa battuta, attribuita a Krashen, spiega perché il pri-mo tema che trattiamo è il lessico (nell’accezione complessa di Lewis,1993 e 1997, che riprendiamo sotto). In particolare:

a. in itaL1, all’arrivo nella scuola la struttura morfosintattica è sostan-zialmente padroneggiata, mentre il lessico è povero e soprattuttoorientato verso la denotazione generale, senza consapevolezza se nonintuitiva della connotazione e delle sfumature di significato;

b. nelle lingue non native, se si vuole produrre un apprendimento signifi-cativo la prima necessità è quella di avere significati da scambiare e i si-gnificati sono veicolati anzitutto dal lessico, che quindi deve essere ab-bondante per dare senso, significato, all’acquisizione morfosintattica;

c. in lingua etnica il lessico è spesso limitato sia sulla base delle varietàparlate nella comunità e in famiglia, sia sugli ambiti lessicali cono-sciuti, che sono di solito quelli della vita quotidiana in famiglia: sitratta quindi di completarlo, sia integrando gli ambiti (è ben difficileche un italo-argentino conosca il lessico italiano delle banche, delleposte, dei trasporti ecc.) sia de-dialettizando la competenza in dire-zione di una maggiore aderenza alla lingua standard.

Questo capitolo dunque sarà articolato in due grandi blocchi, uno de-dicato all’acquisizione del lessico nelle lingue dove si parte da zero, e

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uno sull’arricchimento e perfezionamento del lessico nei livelli non ini-ziali di tali lingue oltre che in itaL1. Prima di passare in rassegna le pos-sibili attività didattiche è necessario schematizzare che cosa si intendequando, genericamente, si parla di «lessico», di «parole», perché si trat-ta di concetti intuitivamente facili ma tecnicamente assai più difficili dadefinire: ad esempio, «marca da bollo» è di fatto un vocabolo unico,sebbene composto di tre parole, ma se «bollo» in senso burocratico èuna parola, «bollo» come prima persona verbale forse non lo è, essendosolo una derivazione di «bollire»… (Porcelli, 2004, p. 44).

Prendendo le mosse da Lewis (1993, 1997) e dal suo approccio lessi-cale, il lessico comprende almeno quattro categorie:

1. parole singole o complesse (polywords): sono le parole singole e lelocuzioni che esistono in quanto unite, come «marca da bollo»;

2. co-occorrenze o collocazioni: sono combinazioni ad alta frequenza;Porcelli (2004, p. 46) esemplifica «indurre in» che si lega solo a«peccato», «errore» e «tentazione»;

3. routine: «buon giorno», «neanche per idea» e così via sono entità fis-sate nell’uso, hanno un significato unitario e creano spesso problemiin lingue non native, dove non sempre ci sono routine corrispondentia quelle italiane;

4. modi di dire, metafore fossili, proverbi: sono entità lessicali di base me-taforica («è furbo come una volpe») o di cultura popolare («l’abito nonfa il monaco»), che hanno un significato unitario – talmente fissatodalla tradizione che consentono la creazione di varianti comprensibilisolo se si conosce il modo di dire originario: parlando dell’importanzasociale della padronanza linguistica, possiamo dire «l’abito linguisticofa il monaco» o, variando un altro proverbio, «dimmi come parli e tidirò chi sei»; con lo stesso meccanismo possiamo creare effetti ironicidicendo «furbo come una volpe con l’Alzheimer», o trasformare la de-scrizione del paradiso terrestre, the land of milk and honey, «la terradel latte e del miele», in quella di un’America consumistica: the landof mink and money, «la terra delle pellicce di visone e del denaro».

Questo capitolo deve molto ad alcune ricerche italiane: Prat Zagre-belsky, 1998; Marello e Corda, 1999; Cardona, 2001 e 2004; Porcelli,

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2004; De Mauro, 2005 e Ferreri 2005, pur con un’accentuazione lessi-cografica, offrono forti spunti di riflessione glottodidattica; Pontecorvo,1999 e Maggio, 2005 affrontano il problema dal punto di vista psicolin-guistico.

2.1 � L’acquisizione del lessico nelle fasi iniziali di ItaL2 e delle lingue straniere e classiche

La didattica del lessico è da tempo al centro dell’interesse nella didatti-ca delle lingue seconde e straniere, sull’onda del lexical approach lan-ciato in Inghilterra negli anni Novanta da Lewis, mentre nelle lingueclassiche il focus è ancora morfosintattico; qui ci occuperemo soprat-tutto delle attività che favoriscono la memorizzazione del lessico, ri-mandando a 2.3 per le attività di lavoro sul lessico.

Cosa significa «acquisire lessico»? In termini psicolinguistici, si tratta anzitutto di percepire una parola o

un item lessicale (cioè un’espressione di più parole con un significatounitario) e poi di accomodarli nella nostra memoria semantica, per po-terli poi recuperare in pochi millisecondi quando li si trova o li si usa inun testo. Per utilizzare al meglio le potenzialità della mente occorre ri-cordare che questa tende a memorizzare per

a. campi semantici: i colori, l’arredamento ecc.; si noti che molti campisemantici hanno dei corrispondenti morfologici, ad esempio, per faresolo esempi in italiano, i colori sono tutti maschili anche se termina-no in –a («rosa» e «viola» sono femminili solo se indicano il fiore),le città sono tutte femminili anche se terminano in –o (tranne pochis-simi casi diversi), le parti del corpo umano che sono maschili al sin-golare possono avere un plurale femminile in –a (membro, braccioecc.; ma rimangono morfologicamente regolari se non riguardano ilcorpo, come «membri», «ossi» ecc.); facciamo rientrare in questa no-zione di «campi semantici» anche quelli che nelle lingue stranierevengono spesso definiti «campi nozionali», ad esempio il complessodelle nozioni di quantità, spazio, tempo ecc. La mente memorizza

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creando degli insiemi semanticamente omogenei e, come vedremo alpunto «b», completi;

b. sistemi completi: «alto/basso», «grasso/magro», «bello/brutto»,«dentro/fuori», «sopra/sotto», «prima/dopo» sono sistemi completi,per quanto ridotti ai due poli essenziali: la mente memorizza «alto»in maniera stabile solo se trova in qualche modo «basso», per com-pletare il campo. Spesso queste coppie sono articolate in maniera di-versa in altre lingue, ad esempio l’italiano «alto» è articolato in highe tall in inglese, così come «sopra/sotto» si articola in on/under eabove/below.

La conseguenza glottodidattica principale è che le liste lessicali sonoquindi inutili se le parole o gli item lessicali non sono contestualizzati eresi «sistema».

Vediamo ora alcune tecniche didattiche per la memorizzazione e lacostruzione di lessico, ricordando che alcune attività ludiche sono stateanticipate nell’Attività 2.

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Attività 3: accoppiamento di parola e immagine

Una buona prassi di memorizzazione del lessico è quella di accop-piare la memoria verbale con quella visiva, come in queste due va-rianti, una individuale e una che può essere svolta in classe.

La variante individuale richiede la motivazione del singolo studentedi accrescere il suo lessico: seduto nella propria stanza, elenca i nomidel campo semantico «stanza» (i vari elementi dell’arredamento, del-l’impianto di illuminazione ecc.), oppure quello «colori», «materiali»e così via. Questa operazione fa emergere quel che non si sa (e che sicercherà in un dizionario) e consente una fissazione che crea sistema;lo stesso avviene con i disegni terminologici che spesso ci sono neimanuali e nei dizionari – al mercato, in stazione, l’automobile – dovea ogni elemento illustrato è accoppiata la parola corrispondente.

Troveremo la variante di classe trattando della comprensione, pre-cisamente nell’Attività 54 in cui si applica lo stesso principio: se il

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compito è quello di individuare l’ordine in cui vengono descritti cin-que visi di donna, prima di iniziare si richiama alla memoria il lessi-co che ci si può attendere nelle descrizioni: i capelli potranno esseremori, castani, biondi, rossi, lisci, ondulati, ricci, lunghi, corti e viaelencando: si fa un lavoro per ambiti lessicali (il volto umano) e persistemi completi, facilitando la memorizzazione.

Attività 4: diagrammi a ragno e mappe lessicali

Per lavorare su campi lessicali si possono fare anche dei diagrammi aragno: una parola viene scritta al centro di un foglio e cerchiata (for-ma il corpo del ragno) e da essa, per associazione, escono parole col-legate alla prima con una linea (sono le zampe del ragno). Si creanoin tal modo delle catene visive che sono la rappresentazione graficadi catene semantiche mentali; in molti casi alcune parole saranno initaliano anziché nella lingua straniera o classica, evidenziando unalacuna che può essere colmata con il ricorso al dizionario; riprenderea distanza di tempo il proprio «ragno lessicale» permette di verifica-re cosa è stato memorizzato nel frattempo e cosa invece rimane an-cora estraneo. Facciamo un esempio:

motoautomobile

biciclettatreno

aereonave

prima/secondaeurostar, diretto,posto ecc.

locomotore carrozzatesta/coda

ruota, manubrio,pedale, catena,

fanale ecc.

Mezzi di trasporto

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Un’attività conseguente a questo diagramma a ragno può esserequello relativo alla derivazione dell’aggettivo.

Basta partire da questo esempio e troviamo vari modelli: «auto-mobilistico», «motociclistico», «ciclistici» (senza il prefisso «bi-»);«aereo» è invariabile mentre «marittimo» e «ferroviario» derivano daaltri nomi.

Attività 5: diagrammi a ragno per la grammatica della formazione lessicale

Uno dei meccanismi fortemente generativi di lessico è la grammaticadella formazione lessicale che può essere rafforzata anche con dia-grammi del tipo visto nell’Attività 4.

Ad esempio, prendiamo i suffissi usati in italiano (ma il meccani-smo vale per ogni altra lingua) per indicare i mestieri, quali –ante,come in «cantante», –ore, come in «curatore», –aio, come in «fio-raio», –iere come in «barbiere», –ista come in «elettricista», –icoatono come in «idraulico»: si tratta di regole su cui si può ragionarecollocando un suffisso (ad esempio –ore) è posto nel cerchio al cen-tro, i vari mestieri sono le zampe («muratore», «attore», «presenta-tore», «direttore», «produttore» ecc.).

Certe volte attività come queste partoriscono dei mostri, come «ru-batore» da «rubare» (il meccanismo funziona in latino, furor/fur e infrancese, voler/voleur, ma non in spagnolo, robar/ladrón, o in inglese,steal/thief), ma in un albergo reale è meglio urlare che «c’è un rubato-re nella mia stanza!» (che poi qualcuno correggerà spontaneamentecome «ladro») piuttosto che ammutolire per una lacuna lessicale…

Un’attività di costruzione di mappe mentali o di campi semanticidà risultati migliori se è fatta in gruppi, in quanto si uniscono variecompetenze lessicali, e può anche essere svolta a squadre, in una ga-ra in cui vince chi riesce ad avere l’ultima parola.

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Attività 6: il puzzle

Si prendono due figure uguali, le si taglia in pezzetti, si mescolano edi dividono tra i membri della coppia o di un gruppetto: ciascunoavrà doppioni, da un lato, e mancherà di elementi necessari, dall’al-tro. Nasce allora la necessità di chiedere al compagno il frammentomancante, descrivendo quel che si intuisce possa mancare – il musodi una macchina rossa, un paio di gambe femminili, un paio di gam-be in jeans, un pezzo di strada – usando la lingua per comunicare si-gnificati veri, per fare attraverso la lingua.

È facilissimo trasformare questa tecnica in una gara.

Attività 7: la lettura ripetuta nel tempo

Una delle forme di piacere nei processi di apprendimento è la consta-tazione che si sta imparando, e questa constatazione è particolarmen-te semplice ed evidente nel lessico piuttosto che in morfosintassi.

Una buona attività che dà piacere e aiuta a memorizzare il lessicoè la lettura di testi abbastanza corposi (racconti, ad esempio), svoltain parte in classe e in parte a casa: si legge e si sottolineano a matita

a. le parole che non si conoscono, e che bisogna chiedere a compa-gni o al docente o che si cercano sul dizionario;

b. le parole che sono comprese ad opera del contesto, ma che non siconoscevano prima (e che quindi, probabilmente, non si compren-deranno in futuro trovandole in contesti meno trasparenti).

Passato un certo periodo di tempo, si riprende il testo e si vedonole parole sottolineate, cancellando il tratto a matita per quelle che or-mai sono state acquisite; si tornerà successivamente sul testo perun’ulteriore verifica di quelle che ancora sono sottolineate.

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Attività 8: la sostituzione di parole con perifrasi

Per quanto lessico si possieda in una lingua, anche nella lingua ma-dre, accade sempre che per stanchezza, per stress o per carenze lessi-cali non si riesca a trovare la parola necessaria; il problema si risolvecurando lo sviluppo l’abilità di fare perifrasi, che consente di illu-strare il significato di una parola che non si sa: dire «una persona cheruba», se non si conosce «ladro», è sempre meglio che dire «rubato-re». Anche l’attività di parafrasi può essere svolta in gruppi e sottoforma di gara, in cui si compete nel cercare la perifrasi più semplice,e quindi abbordabile a chi ha bassi livelli di padronanza.

Un gioco come il cruciverba può essere utile a questo scopo:

a. nella versione tradizionale, si devono comprendere perifrasi spes-so volutamente ambigue, le cosiddette definizioni;

b. una versione più complessa si svolge secondo il percorso contra-rio: si dà a uno studente un cruciverba già risolto e si chiede comecompito a casa di preparare le definizioni e disegnare lo schemasenza le parole, solo con le caselle nere e i numeri; tornati a scuo-la, si creano coppie, e ciascuno deve risolvere il cruciverba prepa-rato dall’altro: nascono così discussioni, soprattutto per le perifra-si ambigue o non chiare, che portano a una discussione generaliz-zata con tutta la classe per verificare se effettivamente la perifrasiera imperfetta (e in tal caso si decide una perifrasi corretta) o sitratta semplicemente di incapacità dell’«accusatore», che quindipaga pegno.

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Attività 9: il lessico (soprattutto) specialistico attraverso il CLIL

Negli ultimi anni è in progressiva diffusione il Content and Langua-ge Integrated Learning: si tratta dell’uso veicolare della lingua nonnativa per studiare contenuti non linguistici – storia dell’arte, chimi-ca, e così via. Il principio di fondo è che l’acquisizione della lingua èfacilitata quando non ci si concentra sulla lingua stessa ma la si usaper fare qualcos’altro, come in questo caso in cui la si utilizza per ac-quisire altri contenuti.

Non tutte le discipline sono produttive nel CLIL: ad esempio,mentre un testo di storia dell’arte, di geografia o di geometria, dovele figure svolgono un ruolo fondamentale, può essere studiato in lin-gua straniera anche da persone con una competenza abbastanza limi-tata, testi di storia o filosofia richiedono una competenza linguisticaelevata; altre discipline, in cui la componente formulaica o numericaè molto alta, come la chimica, la fisica o l’algebra, giungono a far di-menticare che si sta studiando in un libro di lingua straniera o initaL2, lasciando ampio spazio all’acquisizione spontanea (non sololessicale).

La metodologia CLIL, che può essere svolta sia in maniera auto-noma sia in piccoli gruppi nella vita di classe, richiede alcuni ac-corgimenti per essere produttiva in termini di acquisizione sponta-nea: si procede per piccoli passi e a ogni paragrafo si fa il punto suquel che si è capito. Si evidenziano i termini specifici, per un recu-pero mnemonico successivo; se il testo include figure, il terminepuò essere scritto vicino alla figura; si sottolineano a matita le pa-role in cui la comprensione è stata difficile o approssimativa (perpoi tornare alla logica dell’Attività 7); si stende un breve riassuntonella lingua da acquisire, che richiede il riutilizzo del lessico ap-preso.

Per approfondimenti sul CLIL si vedano Coonan, 2002; Serragiot-to, 2003.

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2.2 � Il lavoro sul lessico in ItaL1 e nel livelli avanzati di altre lingue

Nei livelli avanzati di competenza linguistica il lessico si misura inquantità e qualità. Sul primo fattore, c’è stata un’abbondante discussio-ne sulla quantità di lessico che lo studente dovrebbe possedere alla finedei vari livelli scolastici: basta, a nostro avviso, ricordare che le prime2000 parole del vocabolario di base coprono il 94% di qualsiasi discor-so si legga o si ascolti (Ferreri, 2005, pp. 39 ss.). Ma questa logica quan-titativa non è sufficiente per due ragioni: da un lato non distingue tralessico ricettivo, che viene compreso, e lessico attivo, quello effettiva-mente usato da parte dello studente che parla o scrive; d’altra parte unamera quantificazione ignora il fatto che ogni persona ha un suo idiolet-to personale, cioè una porzione della lingua che lui o lei utilizza di pre-ferenza.

A nostro avviso, non è possibile progettare un lavoro di analisi quan-titativa nella scuola: proporremo quindi di lavorare all’ampliamento dellessico, senza intenti statistico-quantitativi, che sono utili in termini diricerca ma non applicabili sul piano didattico. Alcune delle attività vistesopra sono applicabili anche a madrelingua (ad esempio la creazione diperifrasi per un cruciverba, come nell’Attività 8 o la creazione di mappesulla formazione delle parole, come nell’Attività 5); altre attività di li-vello avanzato sono le seguenti.

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Quanto abbiamo detto sopra si applica a tutte le competenze medio-alte nelle lingue che rientrano nell’educazione linguistica; uno spazioparticolare va comunque riservato al lavoro sul lessico in itaL1, quella

Attività 10: arricchimento del lessico

L’intervento di base riguarda l’abilità di smontare e rimontare il les-sico posseduto, in modo da far scoprire i meccanismi di funziona-mento di questa componente essenziale della lingua: prefissi, suffis-si, meccanismi di alterazione ecc.

La sfida tra coppie o squadre può essere interessante e motivante(in una ricerca sul campo su questo tema, in un liceo classico, ha vin-to per acclamazione la squadra il cui leader dopo vari botta e rispostacon la squadra avversaria ci ha guardato e ha detto: «vede, non si puògiocare con loro, sono penecefali!»).

Un secondo tipo di arricchimento riguarda il continuum che partedalla totale denotazione delle microlingue alla totale connotazionedel testo letterario; spesso questo permette la collaborazione con icolleghi di educazione linguistica, per far scoprire come la corri-spondenza immediata tra parole di una lingua e di un’altra sia limita-ta alla denotazione e che molto spesso essa è

– apparente: «università», «democrazia», «dottore» sono simili inquasi tutte le lingue europee ma significano concetti culturalmen-te diversi;

– articolata diversamente nelle varie lingue: «vedere» italiano hamolti corrispondenti in greco, come «casa» ce li ha in inglese e te-desco, mentre gli italiani «blu», «celeste» e «azzurro» – conflui-scono nell’inglese blue, che va quindi specificato;

– impossibile: saudade non è una banale tristezza, né è solo malin-conia o nostalgia… è saudade, e si esprime con il fado che, a suavolta, non è traducibile…

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meglio conosciuta e che rappresenta il principale strumento sia di pen-siero sia di vita scolastica, o a livelli molto, molto alti di altre lingue.Alcune tecniche avanzate possono essere:

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Attività 11: la denominazione, la definizione

La precisione terminologica è segno di precisione concettuale: è lafunzione metalinguistica fondamentale ed è un obiettivo primariodell’educazione superiore. Questo scopo va declinato in maniera dif-ferente a seconda dell’età degli studenti.

In itaL1 con ragazzini o adolescenti, che stanno costruendo l’idea di«denominazione» sul piano cognitivo e disciplinare, l’attività tipica perquesto obiettivo è l’accoppiamento tra termini e immagini o formule.

A livello più sofisticato, si chiede di individuare le caratteristicheessenziali di un oggetto o di un concetto, tralasciando quelli acces-sori; si possono fare tre percorsi:

– si offre una serie di definizioni (alcune delle quali possono essereerrate, quindi devono essere espunte) da accoppiare ai termini cor-rispondenti;

– lavorando a coppie o gruppi si creano definizioni, che vengonopoi confrontate in una gara fino a giungere alla definizione piùcompleta e sintetica insieme;

– si legge ad alta voce una definizione, o la si dà per iscritto, e comein un indovinello gli studenti devono scrivere la parola definita; sipuò organizzare anche questa attività sotto forma di gara, per cui aogni turno vengono esclusi gli studenti che non hanno scritto laparola giusta.

Un naturale completamento di queste attività si trova nella consul-tazione di un dizionario, cioè dello strumento che fa della definizio-ne la propria ragion d’essere.

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Attività 12: mappe concettuali della polisemia

Il meccanismo è abbastanza semplice ed è noto, ma la nostra propo-sta accentua l’opportunità di eseguirlo in gruppo, nella convinzioneche più teste funzionino meglio di una e che la discussione nel mo-mento in cui si procede nel compito dia un forte contributo all’ap-propriazione dei contenuti.

Riprendiamo un esempio che abbiamo fatto in Balboni, 2006b eche illustra perfettamente questa tecnica:

– l’insegnante indica una parola polisemica, ad esempio «piano» ela scrive al centro della lavagna; gli studenti, a coppie o in doppiacoppia, la scrivono al centro di un foglio;

– a raggiera, dal cerchietto che circonda «piano», si diramano i varisignificati aggiungendo una parola che specifichi quale significa-to di «piano» viene indicato;

– su suggerimento dei gruppi si completa la mappa mentale alla la-vagna: nel nostro caso avremo.

Suona piano

Vivo al primo piano

Vai piano

Foto in primo piano

Piano militare

Luigi suona il piano

Dal monte al piano

Scorre su un pianoinclianato

Piano

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Il lavoro può considerarsi concluso ma, se si vuole riflettere piùapprofonditamente, si può chiedere anche di produrre una perifrasidi ogni significato, come se si scrivesse un dizionario; anche in que-sto caso si può lavorare a coppie, poi a doppie coppie, e poi sceglierele perifrasi migliori.

Attività 13: la sinonimia e l’antonimia; l’iperonimia e l’iponimia

Questi meccanismi semantici sono fondamentali per arricchire il les-sico e anche per riflettere, nel caso della sinonimia, sulla effettivapossibilità che esistano parole con lo stesso significato denotativo ela stessa connotazione. Si possono utilizzare attività di due tipi.

Per lavorare su questi aspetti si può usare il cruciverba, che abbia-mo visto anche nella Attività 8.

Si presenta un qualsiasi tipo di cruciverba (i computer li generanoautomaticamente) a tema, in modo da lavorare su campi semanticicompleti – stati d’animo, relazioni di parentela, aggettivi di qualità ecc.

Gli studenti ricevono lo schema con le parole da inserire e devonoprodurre per il loro compagno le definizioni usando un sinonimo(«abitazione» per «casa») o un antonimo («il contrario di triste» per«allegro»). Più complessa è la realizzazione con iperonimi («fiore»rispetto a «margherita») oppure per iponimi («margherita» rispetto a«fiore»): ad esempio, se il cruciverba è fatto con animali, può esserefornito l’iperonimo con una specificazione in modo da facilitare ilcompito («insetto che vola», «felino domestico», «rettile con le zam-pe», «rettile senza zampe» ecc.).

Una seconda tecnica per questo aspetto del lessico è l’esplicitazio-ne dei sinonimi, degli iperonimi, degli iponimi in un testo dove que-sti siano stati usati intensivamente. Il compito consiste nel legare conun tratto di matita ogni coppia di parole.

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Attività 14: le co-occorrenze, le combinazioni obbligate

In ItaL1 l’attività stimola una riflessione, mentre nelle lingue non na-tive focalizza spesso aspetti peculiari, ad esempio come in latino do-ve i dativi plurali irregolari di filia e dea si presentano solo in coppiacon i dativi di filius e deus, con lo scopo di evitare l’omofonia: deiiset deabus, filiis et filiabus.

Abbiamo citato sopra un caso esemplare di co-occorenza: «in-durre in» occorre, cioè si presenta, solo in combinazione con «er-rore» e «tentazione», «peccato», parole connotate negativamente.Si può procedere in positivo («quali parole possono venire dopo in-durre in?») oppure in negativo, dando una serie di frasi in cui com-paiano voci co-occorrenze corrette e sbagliate («indurre in alle-gria»).

Si può far cogliere agli studenti il meccanismo della co-occorren-za lavorando individualmente o in coppia.

Ad esempio, si prende un verbo e si chiede alle coppie di trovareeventuali combinazioni obbligate; per facilitare il compito si puòsuggerire di aggiungere al verbo le varie preposizioni – e si scoprirà,magari facendo una gara in cui vince chi ha l’ultima parola, che leco-occorrenze sono molte, ad esempio:

– mettere su… induce «casa» o «l’acqua (per la pasta)»; – mettere di… richiede «fronte (alle responsabilità, alle prove)»;– mettere a… richiede «posto» o «dimora» (parlando di piante);– mettere di… comporta un avverbio («traverso», «sopra» ecc.);– mettersi con… è interessante perché la preposizione «con» occor-

re solo con la forma riflessiva e poi richiede o un nome di persona(«si è messo con Maria») o una doppia occorrenza, con «ci» e poiun complemento di modo: «cui si è messo con attenzione, senzaimpegno, di buzzo buono»;

– mettere in… abbiamo volutamente scelto il verbo «mettere» per ri-chiamare la necessità di fare prima le prove delle possibili co-oc-correnze, perché una classe che debba completare «mettere in…»diviene incontrollabile per alcuni minuti.

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59Il lessico

C’è un aspetto particolare della co-occorenza che riguarda le lo-cuzioni fisse, come «stanco morto», «ubriaco fradicio», spesso con-trazioni di espressioni più estese («morto per la stanchezza → stancomorto», «perso nell’innamoramento → innamorato perso», «un fred-do mordente come un cane → freddo cane») e così via. Anche questepossono essere usate per una gara: prima gli studenti pensano alcunedi queste espressioni, poi lanciano alla squadra avversaria la primaparola della locuzione e chi non è in grado di fornire una seconda pa-rola attendibile viene eliminato.

Sull’insegnamento delle co-occorrenze cfr. Lewis, 2000.

Attività 15: la connotazione

Le persone con una forte intelligenza linguistica (cfr. 1.4) «sentono»spontaneamente la connotazione, coloro che si affidano di più all’in-telligenza logico-matematica focalizzano piuttosto la denotazione.Siccome la ricchezza lessicale, soprattutto sul piano qualitativo, è es-senzialmente una questione di ricchezza connotativa, si tratta di unaspetto su cui lavorare a fondo, possibilmente facendo interagire stu-denti che privilegiano i due tipi opposti di intelligenza.

Una tecnica adatta per lavorare sulla connotazione è quella chenella glottodidattica inglese viene chiamata ranking, cioè l’ordinareuna serie di parole dal massimo al minimo rispetto a un parametro. Ilfunzionamento è semplice e gli studenti accettano ben volentieri que-sto lavoro, che mette in gioco la loro creatività e sensibilità.

L’insegnante dà una parola di partenza e:

– ciascuno ha un minuto per scrivere su un foglio in tutti i sinonimiche gli vengono in mente e li ordina secondo il parametro che vie-ne dato dall’insegnante (dal chiaro allo scuro se si lavora sui colo-ri, dal grande al piccolo se si lavora sugli aggettivi di quantità, dal

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massimo al minimo di intensità se si lavora su sensazioni come«allegria», «tristezza», o su astrazioni come «bellezza», «intelli-genza» ecc.); allo scadere del minuto l’insegnante dà un segnaleche conclude per tutti questa fase;

– a questo punto si concedono due minuti per un lavoro di coppia: idue elenchi dei due compagni devono diventare un elenco unico;

– poi, un ulteriore spazio di tre-quattro minuti (conviene a questopunto diventare elastici per lasciare che il lavorio ferva, se si vedeche funziona) per mettere insieme due coppie e produrre un elen-co unico;

– infine si chiama un membro di un gruppo che scrive alla lavagnala sua sequenza di sinonimi ordinati; poi i vari gruppi propongonointegrazioni, spiegando la parola che propongono, e modificheeventuali alla gradazione, giustificando le proposte.

Un’attività di questo tipo richiede un quarto d’ora e ha due risultati,uno diretto (si imparano parole nuove, le si memorizza in quanto sonostate oggetto di discussione partecipata, soprattutto quando ciascunodifende il proprio patrimonio lessicale, la propria interpretazione epercezione di quella parola) e uno indiretto, consistente nello sviluppodella capacità metalinguistica applicata al lessico: si crea una formamentis di attenzione per le sfumature e le connotazioni, assai più rile-vanti per la comunicazione di quanto non sia la mera, banale denomi-nazione. Anche l’attività che segue lavora sul piano connotativo.

Attività 16: le parole emozionali

Una tecnica simile alla precedente come esecuzione e come lavoro sul-la connotazione è la creazione collettiva di una poesia, ma in questo ca-so si aggiunge anche un lavoro sull’incisività e l’unicità di ogni singolaparola visto che in tutto devono scegliere quattro parole o locuzioni.

La procedura, proposta da Mollica (1995), è la seguente:

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– si sceglie insieme agli studenti un tema psicologicamente rilevante(l’amore, la notte, la festa ecc.);

– a coppie, si devono trovare due aggettivi e tre verbi (o locuzioni ver-bali) che descrivano il tema, più una frase che costituirà un verso;

– si fondono due coppie che devono scegliere, partendo dalle loroproposte, due aggettivi e tre verbi e una frase conclusiva: in altreparole, deve essere eliminato metà del materiale di partenza, e du-rante questa procedura si deve discutere metalinguisticamente;

– alla lavagna si inizia lo scrutinio degli aggettivi scelti: di tutti gliaggettivi devono rimanerne due, di tutti i verbi, tre. Può essere uti-le scrivere da una parte aggettivi e verbi connotati positivamente edall’altra quelli negativi in modo da fare una doppia scelta, dueaggettivi positivi e due negativi, tre verbi positivi e tre negativi.

Nasce in tal modo una «poesia» con un titolo, un verso di attributi,uno di azioni e poi, scelto conseguentemente tra tutti quelli propostidagli studenti, un verso conclusivo; se c’erano aggettivi e verbi con-notati positivamente e negativamente, si possono creare due «poesie»parallele ma di segno connotativo opposto.

Se il tema è, ad esempio, l’amore, due poesie che risultano dall’at-tività possono essere

Amore AmoreDolce e sconfinato Traditore, evanescente,Mi afferri, mi dài forma, mi inventi Illudi, svuoti, deludiE io divento un essere nuovo Con l’alito dorato delle tue bugie,Amore! Amore!

Il nucleo dell’attività è ovviamente la discussione sulle connota-zioni delle singole parole e poi sulla accoppiabilità delle connotazio-ni dei vari aggettivi e verbi; sul piano psicologico, è importante cheaccanto alla versione collettiva della poesia, quella di classe, vengavalorizzata anche quella individuale – in cui il lessico viene riutiliz-zato favorendo l’appropriazione emotiva oltre che (nelle lingue nonnative) la memorizzazione linguistica delle parole che riguardano uncampo semantico unico (l’amore, nell’esempio).

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Una variante di questa attività prevede che dopo averla eseguita inuna lingua la si traduca in un’altra lingua, eventualmente coinvol-gendo più insegnanti impegnati nell’educazione linguistica. Partendodal testo italiano e traducendo in lingua straniera o classica si tradu-cono le proprie parole (connotatissime) sull’amore ed è una tradu-zione indubbiamente più motivante che tradurre la storia delle pul-chrae puellae figlie del saggio agricola che per potreggerne la virtùle tiene in domo sua…

Attività 17: la neologizzazione

Si lavora sui meccanismi di generazione delle parole che vanno al dilà dell’affissazione e dell’alterazione viste sopra. In particolare ci sipuò soffermare sui tre metodi più semplici che si utilizzano per crea-re nuove parole:

a. onomatopea: nei fumetti gli studenti incontrano da sempre ono-matopee che, proprio per la consuetudine che generano, fanno di-menticare che nascono per mera imitazione dei suoni. L’inglese èricchissimo di onomatopee usate nei fumetti (bang, knock, splach,crack, ring, e così via), ma anche l’italiano ne ha molte («zanza-ra», «trotto», «tonfo», «ronfare» ecc.) e molte se ne creano nellavita quotidiana, da «poff» o «ploff» per lo scoppio del palloncinoo la fine di un progetto velleitario al «patatràc» di un progetto o diun oggetto che va in pezzi, e così via. Si possono mettere gli stu-denti «a caccia di onomatopee», organizzando, se si vuole, una ga-ra di classe: un gruppo lancia un’onomatopea, l’altro gruppo ri-sponde e così via, fin quando un gruppo riesce ad aggiungere l’ul-tima parola, vincendo al gara;

b. uso di sigle: si può iniziare chiedendo chi ricorda oggi che le prin-cipali marche automobilistiche italiane prendono il nome da duesigle: Fabbrica Italiana (di) Automobili (a) Torino, o Associazione

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Lombarda (dei) Fabbricanti (di) Automobili; a questo punto si as-segna come compito a casa la «caccia alla sigla» sui giornali, suilibri, sui dizionari, lavorando eventualmente con il collega di in-glese, visto il modo intensivo in cui quella lingua usa le sigle (dueesempi: Radio Detecting and Ranging e Light Amplification (by)Simulated Emission (of) Radiation Emission (of) Radiation);

c. metaforizzazione: ogni computer ha un «topo» (mouse – anche semolti mouse non hanno più la forma classica del topo con il cavoche funge da coda), può prendersi un virus, può avere un baco(bug), ha varie «porte» dove si infila la «penna, pennina, pennet-ta»; talvolta il computer «va in tilt» come un vecchio flipper; ognisito internet ha la sua casa (home) e delle parole «sensibili» o «cal-de» (hot words) su cui, con una splendida onomatopea, si «clicca».A parte questi neologismi, che hanno una frequenza impressionan-te nel linguaggio giovanile, il lavoro sulle metafore è motivantequando, ad esempio, si organizza una «caccia alla metafora fossi-le» di cui abbonda il parlare quotidiano («Gianni è un leone», «Lu-cia fa la civetta» ecc.); si può anche organizzare una gara sulla mi-gliore metafora, che motiva e rende creativa anche la classe piùriottosa, purché l’oggetto da metaforizzare sia psicologicamente ri-levante: i compagni, gli insegnanti, le squadre di calcio ecc.

Attività 18: l’uso «sovversivo» del lessico

Spesso gli utenti «rompono» le regole del codice, ma c’è differenzatra la rottura dell’incompetente e quella dell’«artista», di chi giocaconsapevolmente con la lingua e, in particolare nel nostro caso, conil lessico – e la rottura degli schemi richiede una grande conoscenzadelle loro grammatiche.

Per riflettere sulla possibilità di stravolgere il lessico si possonocreare dei gruppi che, anche facendo una gara secondo le modalità vi-ste sopra, individuano vari esempi di «sovversione», quali ad esempio:

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– gli ossimori: alcuni studenti citeranno i banalissimi e usurati«ghiaccio bollente» e «silenzio fragoroso», altri opposizioni come«odi et amo» o «piccolo grande amore», ma la scoperta dell’apo-teosi dell’ossimoro nel 33° canto del Paradiso («vergine madre,figlia del tuo figlio», con i due versi seguenti) non può che invo-gliare alla lettura di Dante;

– i giochi di parole su omofonie, presenti in ogni battuta di Bergon-zoni, quali «chi vuole intendere intenda, gli altri in roulotte»;

– i giochi di parole sulla pluralità di significato di molte parole, chesono alla base di moltissime barzellette.

Attività 19: attivazione di memorie diverse a quella linguistica

Abbiamo visto 1.4.1, accennando ai diversi tipi di intelligenza, cheesistono persone che privilegiano intelligenze e memorie non verba-li, quali la memoria visiva e quella cinestetica – ed entro certi limititutti, anche i caratteri più analitici e logico-matematici, traggono van-taggio da tecniche e memorie multisensoriali.

Si possono realizzare attività (come in parte sono alcune di quelleviste finora) che legano la memoria verbale a quella

– cinestetica: questa associazione può essere perseguita legando illessico a movimenti: si pensi alla classica filastrocca in cui i bam-bini danzano e toccano, nominandoli, il naso, le orecchie, la boccaecc. seguendo gli ordini del leader del gioco;

– musicale, ritmica: avviene quando si memorizza una canzone e,quindi, il patrimonio lessicale in essa contenuto. La canzone è unadelle poche forme in cui gli studenti accettano di compiere unesercizio che è alla base dei meccanismi di fissazione mnemonica,la ripetizione.

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CAPITOLO 3

Le grammatiche

Il titolo al plurale è fondamentale: anche se nel discorrere quotidiano,talvolta anche tra specialisti, si usa «grammatica» per indicare morfo-logia e sintassi, in realtà sono «grammatiche» tutti quei complessi dimeccanismi (di solito detti «regole», che rimanda a «regolarità», cioèmeccanismi che ricorrono regolarmente, e non a «norme») che gover-nano i vari assi di strutturazione della lingua:

a. la grammatica fonologica riguarda i fonemi e la prosodia, l’intona-zione («pronuncia»); in itaL1 di fatto non viene insegnata, e gli stes-si docenti divengono consapevoli del loro accento regionale soloquando si sentono registrati; anche i meccanismi elementari come leopposizioni tra «e» e «o» aperte e chiuse sono sostanzialmente igno-ti ai docenti e quindi non insegnati; nelle lingue classiche ci si limitaa enunciare i principi («ae si legge è» se si usa il latino imperiale, «vsi legge u» se si usa quello repubblicano) e a correggere gli eventualierrori nella applicazione delle «regole di pronuncia»; nelle linguestraniere la pronuncia, fatte salve alcune regole presentate come inlatino, viene semplicemente affidata allo spirito imitativo, all’intelli-genza musicale (cfr. 1.4.1), nella speranza che il cervello dello stu-dente compia il miracolo di imparare a distinguere, ad esempio, traloup, lu, lit, tra eat, it, tra sing, sin;

b. la grammatica grafemica riguarda i meccanismi di trascrizione di unalingua («ortografia»); in itaL1 è compito dell’insegnante elementare

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e tutti i colleghi ai livelli successivi gli attribuiscono le colpe degli er-rori ortografici, senza intervenire sistematicamente per riflettere suquesta grammatica; nelle lingue straniere ci si lavora solo con il det-tato lasciando che per il resto questa grammatica venga acquisita sul-la base dell’input, cioè leggendo; nelle lingue classiche viene unifor-mata alle «regole di lettura»; in itaL2 la situazione è molto più com-plessa in quanto ci sono studenti alfabetizzati in altri alfabeti o stu-denti non alfabetizzati;

c. la grammatica morfosintattica, che a livello teorico è scissa nelledue componenti e tale rimane nell’insegnamento della L1, nelle al-tre lingue funziona meglio se viene considerata come un complessounitario che si evolve in maniera integrata; la morfologia includeanche i meccanismi di neologizzazione e di alterazione del lessico,che abbiamo visto nel secondo capitolo; molto del tempo comples-sivo dell’insegnamento delle lingue è dedicato a queste due gram-matiche;

d. la grammatica testuale, che non ha grande tradizione nella scuola ita-liana;

e. la grammatica socio-linguistica, che riguarda l’uso appropriato dellalingua a seconda dei contesti; in questo capitolo integreremo questagrammatica con quella culturale che – per la sua parte che riguarda lacomunicazione – governa le relazioni interpersonali; in itaL1 l’atten-zione a questa grammatica è un dato che risale alle Dieci Tesi deglianni Settanta, ma limitatamente più che altro alle varietà di registro,con qualche cenno quasi folkloristico alle varietà regionali; nelle lin-gue straniere le varietà di registro, almeno negli atti comunicativi dibase, sono introdotte fin dall’inizio, mentre il lavoro sulle varietàgeografiche – soprattutto in inglese – è ridotto, spesso assente, spes-so rifiutato: «io non insegnerò mai l’americanaccio!»;

f. la grammatica pragmalinguistica riguarda le strategie e gli atti attra-verso i quali un locutore cerca di raggiungere i propri scopi utilizzan-do la lingua; in questo capitolo tratteremo insieme, data la loro com-plementarità, questa grammatica e quella socio-culturale. In ItaL1non esiste tradizione alcuna di insegnamento legato alle funzioni eagli atti comunicativi, cosa cui gli studenti sono invece abituati nel-l’insegnamento delle lingue straniere;

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g. le grammatiche extralinguistiche regolano l’uso comunicativo delcorpo (gesti, espressioni: è la «cinesica»), della distanza interperso-nale («prossemica»), degli oggetti (vestiti, status symbol ecc.: «og-gettemica») e costituiscono uno dei grandi problemi glottodidattici: ilinguaggi non verbali non vengono insegnati, analizzati, «grammati-calizzati» malgrado accompagnino sistematicamente la comunica-zione verbale, spesso sottolineando ma talvolta distorcendo il signifi-cato (dire «furbo, quello lì» strizzando l’occhio significa l’opposto) osostituendo le parole ignote in lingua straniera o seconda – ma il pro-blema è che così come variano le lingue verbali variano anche i lin-guaggi non verbali, per cui lo stesso gesto assume significati seman-tici e socio-culturali differenti nelle diverse culture.

Sul ruolo della «grammatica», nozione assai diversa nell’accezionedei linguisti e in quella dei docenti, si è scritto moltissimo in questi anni(ne traccia un panorama Lo Duca in molti scritti, tra cui 2003 e 2004),sia nell’insegnamento dell’itaL1, dove il tema è stato affrontato in ma-niera originale dalla glottodidattica italiana, sia in ordine alle linguestraniere, dove anche in Italia ha imperversato per un certo numero dianni la temperie antigrammaticalistica, come «reazione uguale e con-traria» all’asfissia grammaticalistica degli ultimi secoli.

Prima di affrontare le tecniche specifiche per l’acquisizione delle«regole», è tuttavia utile accennare a tre nozioni quadro. (Per questo ca-pitolo ci riferiamo soprattutto agli studi generali di Ciliberti, 1991; VanPatten, 1996; per l’itaL1 ci basiamo, oltre che su Lo Duca citata sopra,su Colombo, 1995, mentre per le lingue straniere rimandiamo a Ur,1988; Giunchi, 1990; Titone, 1992; CLUC, 1993; Mazzotta, 2004.)

3.1 � Il LAD di Chomsky, il LASS di Bruner, la «riflessionesulla lingua»

Richiamiamo qui tre nozioni fondamentali per il nostro discorso.La prima è il Language Acquisition Device ipotizzato da Chomsky e

dagli innatisti. Si tratta di un meccanismo geneticamente caratterizzan-

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te della nostra specie che consente l’acquisizione del linguaggio verba-le, sulla base di alcuni capisaldi costituiti dalla Grammatica Universale.Tale meccanismo funziona (riducendo ai nostri scopi le varie ipotesi)secondo una sequenza base che prevede:

a. l’osservazione dell’input che si riceve; b. la creazione di ipotesi sulla base delle osservazioni fatte;c. la verifica delle ipotesi in altro input e anche attraverso l’output, la

produzione;d. la fissazione dei meccanismi ipotizzati e verificati;e. la sistematizzazione in «regole» inconsapevoli, che permettono di

produrre e riconoscere enunciati grammaticalmente ben fatti(knowing, in termini chomskyani, acquisition nella versione di Kra-shen) e che viene resa consapevole (cognizing, in Chomsky; learningin Krashen) dall’attività metalinguistica che, per la maggior parte,avviene in contesto scolastico.

Dovremo quindi articolare le attività glottodidattiche sulla base diqueste fasi, differenziando tra insegnamento di itaL1, che produce co-gnizing, learning, in quanto si opera su una lingua già acquisita; inse-gnamento di itaL e della lingua etnica, che hanno una forte componentedi acquisizione spontanea extrascolastica; didattica della lingua stranierae classica dove invece si procede parallelamente all’acquisizione incon-sapevole e all’apprendimento, cioè alla sistematizzazione consapevole.

Quanto alle prime tre fasi (osservazione, creazione di ipotesi e loroverifica), si utilizza una metodologia che richiama la sequenza gestalti-ca globalità → analisi → sintesi viste in 1.2.3: dato un input (orale, au-diovisivo, scritto che sia), l’insegnante focalizza l’attenzione su alcuniaspetti, su alcune delle grammatiche elencate sopra e chiede agli stu-denti di ipotizzare come funziona quel tale meccanismo morfologico opragmatico o socio-linguistico e così via, e poi guida alla verifica delleipotesi sia tornando sul testo, sia proponendo altri esempi, sia comple-tando o correggendo direttamente le ipotesi; la sintesi, la sistematizza-zione, giunge quindi a conclusione di un percorso (che nella tradizionedidattica di latino e greco viene pervertito, iniziando dalla grammaticaper giungere all’uso, cioè alla lettura di testi).

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La fase della fissazione, cioè della creazione di automatismi che in-tervengono nell’esecuzione (comprensione, produzione e interazionelinguistica), è quella cui si dedica tradizionalmente più tempo nelle lin-gue non materne, mentre la sistematizzazione costituisce gran parte dellavoro in itaL1, con l’analisi della parola (analisi grammaticale), dellafrase (analisi logica) e del «periodo». Ricordiamo tuttavia che non bastaattivare il LAD per acquisire una lingua: la linguistica acquisizionale in-dividua delle sequenze «implicazionali», cioè sequenze in cui ognianello della catena implica, presuppone che sia stato acquisito l’anelloprecedente, per cui si acquisiscono solo gli elementi che sono nella «zo-na di sviluppo prossimale», come la chiama Vygotskij, o allo stadio«i+1», nei termini di Krashen: gli altri elementi possono essere appresirazionalmente ma non entrano nella memoria stabile.

La seconda nozione viene da Bruner che nota come il LAD abbia bi-sogno di un LASS, Language Acquisition Support System – nel nostrocaso, un docente. Il termine system indica una prospettiva più ampia delsemplice docente: il LASS non è costituito da una persona ma da un si-stema, che include la scuola nel suo complesso, i materiali e le tecnolo-gie glottodidattiche, fino alla famiglia (se in casa i genitori insistono chea scuola non si imparano le lingue straniere, che il latino non serve aniente e che dedicare tempo ad analizzare giornali è inutile il sistema siinceppa).

Abbiamo ripreso questa nozione di LASS, tuttavia, per focalizzarcisulla prima «S», support. È una nozione chiarissima, che affida al LADil compito di acquisire e al docente (sempre in accezione estesa) il com-pito di sostenere il LAD – quindi di offrire input da osservare, di guida-re lo studente nella creazione di ipotesi e nella loro verifica e fissazione,di garantire una sistematizzazione corretta.

Il ruolo di sostegno che abbiamo derivato da Bruner diviene fonda-mentale per cogliere il passaggio dal tradizionale insegnamento dellagrammatica alla riflessione sulla lingua, che caratterizza la glottodidat-tica italiana (ma non ancora la scuola nel suo complesso) dagli anni Set-tanta. La riprendiamo qui sinteticamente, rinviando a Balboni, 2002(per le lingue straniere) e 2006 (per l’itaL1 e itaL2) per un approfondi-mento: qui riprendiamo i tre poli dell’atto didattico, studente, insegnan-te e lingua, e raffrontiamo le due logiche.

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Con il support del manuale e del-l’insegnante, viene chiamato adattivare il LAD (osservare deicampioni di lingua, elaborare e ve-rificare ipotesi, fare eventuali eser-cizi applicativi.Alla conclusione, può riempire(parzialmente o in toto) uno sche-ma grammaticale, inserendoloeventualmente in una grammaticaindividuale.

È il regista che individua i campi dilavoro e offre i testi, che possonoessere autentici o presi dal ma-nuale; organizza e guida la rifles-sione; guida l’elaborazione della«regola», integrando le ipotesi in-sufficienti; guida il completamentodello schema grammaticale.

Abbraccia non solo la competen-za linguistica, cioè la «grammati-ca» tradizionale, ma anche tutti iproblemi posti dall’esistenza dellevarietà legate alla situazione so-ciale, all’area geografica, al cana-le usato, e così via: l’oggetto dellariflessione è il fenomeno linguanella sua complessità, non solo laforma della lingua.La terminologia, spesso presenta-ta insieme ai contenuti o come co-ronamento di un lavoro, è intesacome strumento di chiarezza con-cettuale e di lavoro: è utile, manon costituisce un obiettivo didat-tico primario, rappresentando unaconseguenza piuttosto che unapremessa alla riflessione.

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Studente Non prende alcuna iniziativa, si li-mita seguire (subire?) le indicazio-ni che il docente prende dal pro-gramma e dal manuale.Esegue esercizi su frasi, più chesu testi significativi: le frasi sonopreferite perché consentono dipresentare in gran quantità e contutte le variazioni possibili le formesu cui si vuole lavorare.

Insegnante È il soggetto che decide argomen-ti e tempi.È il giudice di correttezza formalenonché colui che indica l’appro-priatezza socio-linguistica rispettoal contesto.

Lingua Si riduce alla fonologia-ortografia,alla morfosintassi e, talvolta, allagrammatica del testo.Si concretizza in liste di regolemorfologiche, di meccanismi dicoordinazione e subordinazione,di coesione testuale.La terminologia grammaticale vie-ne presentata prima ancora di trat-tare il contenuto del termine («og-gi parleremo dei pronomi persona-li oggetto»).

Insegnamento Riflessione della grammatica sulla lingua

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L’idea che sta alla base di questa contrapposizione non è nuova: se-condo il primo Ministro dell’Educazione Pubblica del Regno d’Italia,Francesco De Sanctis, la grammatica andava intesa come «analisi deifatti» piuttosto che come «teoria della lingua»; Giuseppe Lombardo Ra-dice nel 1912 ribadiva che apprendere una lingua implica una «sponta-nea formazione di regole, nate dal confronto tra il proprio e l’altrui lin-guaggio, e dallo sforzo di adeguare il proprio pensiero all’altrui»; unodei fondatori della glottodidattica moderna, Harold Palmer, a cavallo traOtto- e Novecento aveva definito inventional grammar, da invenio, -is,la grammatica induttiva, che viene «trovata» dallo studente sotto la gui-da dell’insegnante. In questo senso, quindi, il passaggio dall’«insegna-mento della grammatica» alla «riflessione sulla lingua» non è una rivo-luzione improvvisa e post-settantottarda, bensì la consacrazione di unatradizione presente da oltre un secolo nel pensiero pedagogico e glotto-didattico.

Sulla base di queste riflessioni possiamo quindi affermare che le atti-vità che suggeriremo nei paragrafi seguenti cercano di fornire un LASSche attivi il LAD e che porti a una sistematizzazione intesa come «ri-flessione sulla lingua».

3.2 � L’acquisizione grammaticale in ItaL2 e nelle fasi di acquisizione di lingue straniere e classiche

Iniziamo dall’acquisizione che avviene totalmente in classe (in linguastraniera e classica) o parzialmente a scuola, aggiungendosi all’acquisi-zione spontanea extrascolastica (in itaL2 e in lingua etnica), ricordandoche il lavoro può avvenire secondo diverse metodologie: se accettiamola logica gestaltica globalità → analisi → sintesi, privilegeremo percor-si induttivi, che comunque non possono esaurire il lavoro perché talvol-ta sarà necessario ricorrere anche a procedere deduttive; se accettiamola logica che vede lo studente come autonomo creatore della sua com-petenza, privilegeremo tuttavia il percorso induttivo, che insegna a ri-flettere sulla lingua per ottenere un prodotto finale, lo schema «gram-maticale» di riferimento.

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Attività 20: il lavoro su insiemi (inclusione, esclusione,seriazione)

L’insiemistica offre un vasto ventaglio di attività; qui ne scegliamo al-cune:

a. inclusione: dato un insieme (ad esempio 20 nomi) i suoi elementidevono essere inclusi in due sottoinsiemi di rango inferiore (adesempio, un insieme di nomi maschili e uno di nomi femminili,oppure singolari/plurali, concreti/astratti, primitivi/derivati, pro-pri/comuni ecc.;

b. esclusione: dato un insieme si devono escludere quel o quegli ele-menti che non sono coerenti con il principio che ordina l’insieme (adesempio, se l’insieme è di nomi concreti vanno esclusi tutti gli astrat-ti): la tradizione didattica chiama questa tecnica «fuori l’intruso!»;

c. seriazione: si riordinano gli elementi dell’insieme sulla base di unparametro dato dall’insegnante; ad esempio, si collocano i 20 no-mi in ordine alfabetico; se l’insieme racchiude gli aggettivi di co-lore, si ordinano dal più chiaro al più scuro.

Si tratta di una tecnica ben accetta da parte degli studenti, che han-no di fronte una sfida logica e insieme ludica; molto rapida da prepa-rare ed eseguire; affidabile per il testing della capacità di analizzare.

Ne vedremo alcune applicazioni a mo’ di esempio, ma le sue po-tenzialità per l’analisi linguistica sono enormi.

a. Un esempio per la grammatica fono-grafemicaPensiamo a un insieme di parole inglesi come queste scritte alla lava-gna alla rinfusa:

Tim time cat kate cut cutepin pine bed bede dot dote

Se si chiede agli studenti di dividere le parole in due insiemi, èlogico che – anche se non si conoscono i significati di tutte le pa-

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role – il risultato sia costituito da coppie Tim/time e così via, e ba-sterà la prima coppia a far scoprire, a «inventare», una regola es-senziale per leggere l’inglese (che la vox populi ritiene privo di«regole di pronuncia»): in una sillaba in cui la vocale è chiusa traconsonanti essa ha suono breve, una vocale a fine sillaba si allungao si dittonga.

b. Un esempio per la grammatica morfologicaPrendiamo come esempio un’altra regola spesso considerata arbitra-ria, quella del plurale femminile in –a di nomi maschili in italiano:se l’insieme presenta in ordine casuale

– parole dal plurale regolare come banco, libro, soffitto, pennarello,quaderno, dizionario,

– parole irregolari come braccio, labbro, dito, osso, ciglio, membro,

l’unica suddivisione possibile in sottoinsiemi è quella tra oggetti pre-senti in classe, da un lato, e parti del corpo, dall’altro. A questo pun-to si chiede di fare il plurale ed emerge che il secondo gruppo ha ilplurale irregolare femminile in –a se si riferisce al corpo umano marimane regolare se non riguarda: i membri del Parlamento, gli ossidel pollo.

c. Un esempio per la grammatica sintatticaA livello sintattico si possono usare brevi frasi: ad esempio, in fran-cese si possono mettere frasi al passato prossimo in cui il participioretto da avoir si accorda con il complemento oggetto se questo pre-cede il verbo ma non se lo segue; oppure una serie di sintagmi verba-li spagnoli con ser e estar, o di nomi e aggettivi tedeschi, in cui tutti imembri del primo insieme hanno la maiuscola.

In tutti i casi il principio è strettamente induttivo e permette di ren-dere autonomi gli studenti nell’osservazione del campione linguisti-co e nell’elaborazione (sociale, più che individuale) di un’ipotesi, at-tribuendo al docente il compito di confermarla, integrarla, modifi-carla fino a raggiungere una sistematizzazione, una «regola» che de-scrive quel fenomeno.

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Una variante più semplice, finalizzata a esercitare l’attenzione, èquella basata sul percorso opposto, l’esclusione: ad esempio si ha uninsieme di past tense regolari e che è «inquinato» da alcuni irregola-ri, che vanno individuati; un insieme di parole la cui vocale tonica sidittonga, in cui compare anche una parola in cui ciò non avviene, ecosì via. È una tecnica abbastanza diffusa nella glottodidattica bri-tannica, con il nome di odd man out. Mentre l’inclusione lavora sullascoperta di regole e l’esclusione sull’individuazione di elementiestranei a un data regola, un terzo processo, la seriazione, riguarda lariflessione sulle differenze tra elementi che appartengono a uno stes-so gruppo di nozioni – di tempo, spazio, misura ecc.

d. Un esempio di seriazioneSi parte come sempre da un insieme caotico, che va riordinato in basea un parametro: ad esempio, si scrivono alla lavagna in ordine casualedelle nozioni di quantità e si chiede agli studenti di riordinarle dallaminima alla massima; si può ottenere una «serie» come questa:

nessuno < solo uno < almeno uno < qualche< abbastanza < molti < la maggior parte < tutti

tuttavia, una serie di questo tipo è spesso almeno in parte è arbitraria,e ciò è positivo se si coglie l’occasione per far discutere gli allievi,che quindi riflettono sul problema.

Attività 21: gli esercizi strutturali

Si attribuiscono i pattern drill alla stagione strutturalista degli anniCinquanta-Sessanta, come risultato della linguistica tassonomica diBloomfield e della psicologia comportamentisitica di Skinner, maquesti esercizi, basati sulla ripetizione di compiti minimali, appar-tengono a una tradizione secolare. Né, d’altro canto, sono scomparsi

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con l’affermarsi dell’approccio comunicativo: se l’idea di LAD se-condo Chomsky è valida, la fissazione ha un ruolo necessario perl’acquisizione.

La scoperta recente dei neuroni specchio nel nostro cervello e delloro ruolo nell’apprendimento e nell’empatia ha portato a una ricon-siderazione totale del ruolo della «ripetizione», vista come «reitera-zione attiva e dinamica»: attiva perché i neuroni specchio sono forte-mente attivati in questa azione; dinamica perché implica una risiste-mazione continua dell’architettura della propria conoscenza, coin-volgendo motivazioni, emozioni, intelligenze multiple; reiterazioneperché non ci si limita a ripetere pappagallescamente un compito: sei neuroni specchio vengono coinvolti nella ripetizione di compiti si-gnificativi essi percorrono più volte, a ogni ripetizione, un itinerario,un percorso: re-iterano un significato e una forma (una prima appli-cazione glottodidattica degli studi sui neuroni specchio si ha in Mo-rosin, 2008).

Gli esercizi strutturali classici constano di una batteria di stimolicui l’allievo deve fornire la risposta, che viene poi confermata o cor-retta dal nastro o dal docente. Non c’è scambio di significati, siamonel semplice addestramento, ma questo non basta per cassare dallapratica didattica qualche breve batteria svolta in classe, in cui adesempio l’insegnante dice un verbo e indica uno studente che deveprodurre il negativo: può essere un gioco (che dura poco!) e dare unprimo contributo fissativo.

Ma è possibile avere una reiterazione anche in contesti significati-vi se anziché proporre dei pattern drill su sintagmi morfosintattici osu paradigmi lessicali si includono atti comunicativi.

a. Pattern drill pragmalinguisticiSi possono impostare attività con un reale gap informativo che puòessere colmato solo reiterando lo stesso atto: ad esempio, a cinqueminuti dalla fine della lezione si può promettere l’uscita anticipatadall’aula non appena gli studenti si saranno messi in fila dal piùgiovane al più vecchio (ma si possono usare altri parametri: il tem-po di percorrenza casa-scuola, l’ora in cui ci si alza ecc.). In unaclasse di 25 studenti, ciascuno deve chiedere 24 volte «quando sei

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nato?» e comprendere le risposte per poter decidere in che postodella fila deve inserirsi; a sua volta dovrà ripetutamente dire la pro-pria data di nascita, fissando in tal modo questo particolare atto co-municativo.

Il lavoro è pienamente significativo, si lavora su una comunicazio-ne autentica perché la lingua viene usata per raggiungere uno scopoextralinguistico (uscire in anticipo dall’aula) e tale scopo può essererealizzato solo se si capiscono i significati.

b. Pattern drill ludiciRichiamiamo anche le attività ludiche che abbiamo introdotto in1.4.3. Ad esempio

– una battaglia navale in cui anziché lettere e numeri (per cui si col-pisce la nave, ad esempio, in C8) si mettono date e orari (per cuicolpisce la nave che passa alle 8.45 del 23 settembre);

– una tombola in cui ci sono i nomi di scrittori, o attori, o sportiviecc., con le date di nascita: l’insegnante legge la data di nascita equesto consente di individuare il personaggio e la casella; oppure,viceversa, quando si estrae, ad esempio, Schumacher, uno deglistudenti che ce l’ha deve dirne la data di nascita e gli altri devonoascoltare per individuare errori, che quindi annullano la conquistadella casella;

– si può giocare a dadi, e per avere accreditato il punteggio si devedire il passato remoto di un verbo indicato dall’avversario;

– con la stessa logica, si può giocare a «tris» (gioco in cui bisognamettere in fila tre croci o tre cerchi in uno schema di 9 caselle)avendo la conferma del proprio posizionamento solo se si dice ilpassato remoto giusto – o qualunque altra regola si voglia attivare.

In tutte queste attività il significato vero non è linguistico, comenel caso «a», ma meramente ludico: si usa o analizza la lingua pervincere e prendere in giro il compagno che ha perso – e che vorrà larivincita, chiederà di reiterare lì l’esercizio.

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Attività 22: la manipolazione

Le tecniche insiemistiche dell’Attività 20 permettono di svilupparel’autonomia nella scoperta delle regole, quelle comportamentisti-che dell’Attività 21 mirano a una fissazione meccanica, spontaneadelle regole; le attività di manipolazione, introdotte da consegnedel tipo «Volgi al…», possono affiancare la mera ripetizione a unariflessione sulla regola che si sta fissando. Sono esercizi poco si-gnificativi e certo demotivanti: ma se gli studenti vengono resi con-sapevoli del ruolo che la manipolazione può avere e se gli esercizisono brevi possono contribuire all’automatizzazione di alcuni mec-canismi. È tuttavia possibile trovare una giustificazione comunicativa ancheper le attività di manipolazione, come ad esempio:

– raccontare un film: questo giustifica il passaggio dal tempo pre-sente del film al passato della narrazione, nonché dal discorso di-retto a quello indiretto;

– trascrivere in una scheda le risposte dei compagni in un sondaggio(dialogo: «Ti piace di più il calcio o il rugby?», «A me piace di piùil rugby!»; scheda: «A Giovanni piace di più il rugby») giustifical’operazione di volgere alla terza persona e, con il verbo «piace-re», si rafforza anche l’uso di verbi diretti come like o aimer lad-dove in italiano la costruzione è indiretta;

– far descrivere due immagini di cui la prima mostra, ad esempio,un ragazzo che pubblicizza un vestito formale e la seconda ha duemodelli, sempre in abito formale, quindi senza differenze di sog-getto, rende naturale il fatto che si deve volgere al plurale «uomobiondo/moro», «giacca», «cravatta», «camicia» ecc. nonché gliaggettivi di colore, forma e così via.

La riflessione è individuale durante l’esecuzione e diviene collet-tiva dopo aver eseguito il compito, cioè nella fase di correzione.

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Attività 23: ricomposizione di frasi spezzate

Le tecniche che abbiamo visto sopra sono usate essenzialmente perle conoscenze morfologiche e quelle lessicali; quando le parole ven-gono usate all’interno di enunciati servono tecniche che consentanola creazione di procedure morfosintattiche: «se il soggetto è femmi-nile plurale, allora il participio passato ad esso legato dovrà esserefemminile plurale».

La tecnica base è l’incastro (detto spesso jigsaw con una metaforadei puzzle visivi in cui un’immagine è scomposta in tessere da rimet-tere insieme) di spezzoni di frase, come in questo caso in cui si devo-no collegare i focus con i relativi comment:

a. i ragazzi si sono calmateb. le ragazze è andata viac. Lucia si sono bagnatid. suo padre è venuto a prenderla

solo l’osservazione attenta della sintassi consente di creare quattrofarsi grammaticalmente corrette, in quanto dal punto di vista se-mantico ogni gruppo verbale poteva andar bene per ogni gruppo no-minale.

Molto usata per la verifica tradizionale, questa tecnica non dà inrealtà risultati affidabili sulla capacità di usare poi, in contesto au-tentico, ciò che meccanicamente si «volge al…» durante un compi-to in classe.

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Attività 24: l’esplicitazione dei pronomi

Fortemente legata alla riflessione sulla lingua è l’esplicitazione dei pro-nomi, che fa emergere i meccanismi di coesione testuale: gli studentidevono legare con un tratto di matita ogni pronome al suo referente.

La tecnica non è certo motivante, quindi deve essere breve; puòessere in parte trasformata in gioco creando una gara tra compagni.

Attività 25: le scelte multiple grammaticali

La scelta multipla è ben nota a docenti e studenti come tecnica per lacomprensione, ma essa può essere usata proficuamente anche per in-numerevoli aspetti morfosintattici, soprattutto per i meccanismi dicoesione quali le congiunzioni, i pronomi, e così via, come in questoesempio:

Sono rauco quindi / perché / e ho fumato troppo!Ho fumato troppo quindi / perché / e sono rauco!

in cui tutti i connettori proposti indicano un rapporto di causa/effetto,ma si differenziano per la sequenza causa/effetto oppure effetto/causa.Un lavoro di questo tipo può portare a una catalogazione dei connetto-ri, scoprendo che molti di essi vengono usati per più tipi di relazioni.

Attività 26: le coppie minime per la correzione fonetica

Per quanto riguarda l’aspetto fonetico-fonologico proponiamo tre tipidi tecniche, in questa Attività, relativa ai singoli fonemi, e nella seguen-

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te che riguarda invece le curve intonative (per un approfondimento, Por-celli, 1977; Canepari, 2000; Dall’Armellina et al., 2005). Il primo tipo ècostituito dalle minimal pair di tradizione strutturalista, cioè liste dicoppie di parole che si differenziano per un solo fonema: ad esempio,per l’opposizione di consonanti semplici e geminate (continuiamo a fa-re esempi in italiano per comodità di tutti i lettori, indipendentementedalla lingua cui si interessano) possiamo avere queste due stringhe:

fato moto tuta grata meta note patinafatto motto tutta gratta metta notte pattina

A questo punto:

– l’insegnante legge una dopo l’altra le parole della prima stringa,dando il tempo per ripetere parola dopo parola;

– si legge con la stessa procedura la seconda stringa;– si leggono e ripetono le coppie minime: «fato/fatto», «moto/mot-

to» e così via;– gli studenti scrivono su un foglio, in colonna, «1 U/D», «2 U/D», e

così via, fino a 10; l’insegnante pronuncia una serie di coppie incui, con logica casuale ci sono parole Uguali o Diverse e gli stu-denti cerchiano la U o la D della coppia 1, 2, 3 e così via;

– con la stessa metodologia, U/D, l’insegnante enuncia semplici fra-si che contengono l’una e l’altra parola e gli studenti devono se-gnare U oppure D nelle varie coppie di frasi, che rendono la com-prensione più difficile da cogliere.

In ogni lingua ci sono coppie difficili da cogliere per gli studenti,come ad esempio le opposizioni tra vocali brevi/lunghe in inglese etedesco, u/ü/i in tedesco e francese ecc., opposizioni che non sonopresenti in italiano; sempre a causa della lingua madre, sono difficilida cogliere coppie come f/v e p/b per arabi e cinesi, e/i per arabi, ecosì via. In tutti questi casi un uso sistematico delle coppie minime,che richiedono poco tempo di esecuzione e incuriosiscono gli stu-denti, può essere proficuo.

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Attività 27: il lavoro sull’intonazione

Ci sono due tecniche per questo aspetto della grammatica fonologicasovrasegmentale, la ripetizione regressiva e quella ritmica (per ap-profondimenti sulla didattica dell’intonazione cfr. Bradford, 1988).

a. La ripetizione regressivaIn questo primo caso lo studente ascolta e ripete una frase che è stataspezzata nei suoi sintagmi, i quali vengono proposti a partire dall’ul-timo (esempio: «con me?», «al cinema con me?», «vieni al cinemacon me?»). Essa serve a fissare le curve intonative: infatti, ripetendouna frase a ritroso, la curva intonativa rimane costante.

b. La ripetizione ritmicaNella ripetizione ritmica si usano dei modelli ritmici da ripetere incoro, come ad esempio facendo ripetere in coro questi segmenti:

ti-ti-tà-ti / ti-ti-tà-ti / I don’t like it / Would you like one? / My best wishes / Will you go there? / Do you like it? / ti-ti-tà-ti

È una tecnica che serve per far esercitare, prima, e notare, poi, co-me l’intonazione dell’interrogativo inglese sia identica a quella dellefrasi non interrogative, per cui la presenza di do o dell’inversione di-viene fondamentale per distinguere tra enunciati affermativi e inter-rogativi.

Attività 28: la correttezza ortografica

La copiatura rimane la principale tecnica per l’interiorizzazione del-la grammatica grafemica, anche se ha il grave difetto di essere consi-derata infantile e noiosa. Essa serve a concentrare l’attenzione del-

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l’allievo sull’ortografia, rispettando i ritmi individuali (caratteristicanon presente nel dettato) e consentendo l’autocorrezione e l’autova-lutazione, e proprio per questo può essere utile per il recupero indivi-dualizzato. La ricopiatura può avvenire in due modi:

a. autodettatoLo studente deve essere convinto che questa semplice attività puòaiutarlo, soprattutto in programmi di recupero individualizzato, e sipuò superare la barriera motivazionale. La modalità di esecuzione èfondamentale: si legge un segmento della frase per poi riscriverlo «amemoria», verificando la correttezza ortografica prima di muoveread autodettarsi la frase successiva.

b. il completamento di un dialogo Una tecnica che consente di non copiare ufficialmente ma di farlocomunque, pur nella motivante convinzione di essere più «furbi» deldocente, è il completamento di un dialogo già affrontato in classe, dicui viene data una versione in cui la seconda metà di ogni battuta èsostituita da una linea su cui essa va riscritta «a memoria». È eviden-te che la memoria non basta, soprattutto con studenti non brillanti, equindi questi andranno a controllare l’originale e ricopieranno fedel-mente le parti cassate dall’insegnante.

L’ortografia può anche essere rafforzata con tutt’una serie di tec-niche di natura ludica basata su varianti del cruciverba.

3.3 � Il perfezionamento e la riflessione grammaticale inItaL1 e nei livelli alti di lingue straniere e classiche

Con studenti che hanno già acquisito l’itaL1 o che sono comunque a li-velli avanzati di lingue non native, le attività «grammaticali» non mira-no più tanto all’acquisizione, al knowing, ma all’apprendimento razio-nale, al cognizing.

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Negli anni Sessanta la riflessione di alcuni glottodidatti «radicali» inItalia portò a un rifiuto della grammatica, ma già dieci anni dopo (in unsaggio in Berruto, 1977) Renzi propose una sintesi che respingeva siagli estremismi dei sessantottardi sia il conservatorismo degli insegnantiche restavano ancorati alla sequenza analisi grammaticale/logica/perio-do: Renzi proponeva una «grammatica ragionevole» (in contrasto conla «grammatica razionale» proposta da cognitivisti come Parisi e Ca-stelfranchi negli stessi anni), definita non tanto con attenzione all’og-getto, la lingua, quanto piuttosto allo scopo dell’insegnamento avanzatodella grammatica, che può migliorare l’uso della lingua e, soprattutto,costituisce un’occasione per far riflettere gli studenti su un oggetto chepadroneggiano quale è la lingua materna o un’altra lingua posseduta alivello avanzato. In altre parole, la grammatica «ragionevole» costituivaun contributo all’autopromozione della persona, allo sviluppo delle sueabilità cognitive applicate alla lingua e, in definitiva, all’imparare a im-parare.

La riflessione può essere condotta secondo varie metodologie:

a. in maniera induttiva o deduttivaNel primo caso, dato un insieme di verbi come ad esempio

nevicare morire abbracciare piovere fornirefare caldo amare portare dare nascere

si «scopre», sotto la guida dell’insegnante, che alcuni verbi non hannobisogno di «argomenti» (soggetto, complementi; vedi sotto, Attività 30),altri ne vogliono uno (soggetto), altri due (soggetto, oggetto), altri tre(soggetto, oggetto, termine): scoperte le funzioni, queste vengono eti-chettate come «soggetto», «oggetto», «termine»; nella prospettiva de-duttiva, invece, si trasmette l’informazione «ogni frase ha un soggetto eun verbo [affermazione diffusa, ma falsa per i verbi senza argomento,come “nevica”] e può avere complementi diretti e indiretti» e poi sielencano i vari tipi di complemento: è una procedura più rapida dellaprima, ma certo poco accettabile per gli studenti, ridotti a vasi vuoti dariempire anziché considerati soggetti pensanti, e privilegia solo coloroche hanno uno stile astrattivo e un’intelligenza logico-matematica;

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b. in maniera individuale o in coppiaLa prima procedura è economica in termini di tempo in quanto può es-sere condotta a casa, ma le seconda è più formativa in quanto riduce ilrischio di errore e consente di completare le conoscenze che mancano auno dei membri;

c. su frasi decontestualizzate o su testi significativiL’abitudine è quella di volgere, analizzare, completare «frasi» – ma nul-la impedisce di fare l’analisi logica di un aneddoto, di un fumetto, dellamail di uno studente;

d. in maniera seria (seriosa?) oppure ludicaLa tradizione rimanda a un’analisi grammaticale, logica, del periodo,condotta sul quaderno; ma nulla vieta di fare un gioco dell’oca in cui aogni casella c’è un complemento, un tipo di verbo, una nozione morfo-logica o quant’altro e il punteggio vale solo se si dice una frase con quelcomplemento, si mette quel verbo al passato remoto, e così via a secon-da della consegna; i vari giochi cui abbiamo accennato in 1.4.3 si pre-stano molto alle attività di carattere grammaticale;

e. in prospettiva intra- o inter-linguisticaÈ una delle scelte fondamentali sia sul piano teorico (se è vero che l’e-ducazione linguistica include tutte le lingue studiate, allora la scelta in-terlinguistica dovrebbe essere prioritaria), sia su quello operativo, conforti ricadute motivazionali.

Il principio della prospettiva interlinguistica è elementare: anzichévedere i pronomi personali soggetto oppure gli atti comunicativi solo inuna lingua li si schematizza in più lingue; sul piano organizzativo, essarichiede solo una semplice programmazione di tempi: lo schema inter-linguistico va completato in uno o al massimo due giorni, per cui i varidocenti impegnati nell’educazione linguistica devono concordare sulgiorno e il modo in cui condurre l’analisi. Ne diamo due esempi (Atti-vità 29 e 33), ma la prospettiva interlinguistica può essere applicata aogni livello di strutturazione della lingua.

Oltre alle comparazioni programmate come quelle che vedremo, cene possono essere anche di estemporanee, con rapidi cenni: ad esem-

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pio, se uno studente non madrelingua italiano usa «vanno» dopo il col-lettivo «gente», mentre lo si corregge si può far notare – o meglio sipossono abituare gli studenti a intervenire con queste osservazioni –che in italiano ha commesso un errore, ma che non è ingiustificato lo-gicamente, visto che in inglese e tedesco people e leute sono collettivicome «gente» ma vogliono il verbo al plurale; mentre si discute delgenere, si può chiedere agli studenti immigrati presenti nella classecome funziona questo meccanismo morfologico nelle loro lingue – e sipuò assegnare un compito che non spaventa ma che accende la curio-sità: «durante l’intervallo, in cortile, chiedete agli stranieri di altreclassi come funziona nelle loro lingue, e poi ne parliamo dopo l’inter-vallo»;

f. con il sussidio del computer: dedichiamo a questa variabile il para-grafo 3.5.

Queste variabili incidono fortemente su uno dei parametri di valuta-zione delle tecniche glottodidattiche, l’accettabilità da parte degli stu-denti, e si possono applicare a tutto il gruppo di attività che elenchiamodi seguito.

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Attività 29: la riflessione morfologica («analisi grammaticale»)

L’analisi grammaticale richiede l’attribuzione delle singole parole adalcune categorie morfologiche. Ci troviamo qui di fronte a una scel-ta: da un lato, il processo e la terminologia di questa attività è conso-lidata nella tradizione, nell’esperienza collettiva, quindi non può es-sere evitata; dall’altra fin dal convegno della SLI del 1970 (Medici eSimone, 1971) l’analisi delle grammatiche scolastiche evidenziò leincongruenze concettuali e le arbitrarietà terminologiche della tradi-zionale analisi delle «nove parti del discorso», in cui rifluisce di tut-to, dalla tradizione della linguistica greca e romana alle invenzionidei grammatici ottocenteschi, e in cui

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– mancano nozioni essenziali come, ad esempio, l’aspetto verbale(l’opposizione tra azione continuata e perfetta);

– ci sono contraddizioni (il pronome è una parte «variabile», ma trai principali pronomi ce ne sono molti di invariabili; il pronome«sta al posto del nome», ma a quale nome si riferisce in «lo dicevoche veniva a piovere»?);

– si presentano come universali categorie che non sono: le parti deldiscorso sono nove, l’aggettivo è variabile, i nomi hanno genere enumero, i verbi hanno modo e tempo… Ma in latino, lingua da cuideriva l’italiano, manca l’articolo; e in inglese, lingua obbligato-ria per gli studenti italiani, l’aggettivo è invariabile (Lo Duca,2003, pp. 143 ss.).

a. L’analisi grammaticale in itaL1L’analisi grammaticale comunque va fatta e non si può disconoscereuna tradizione radicata, ma si può spiegare agli studenti fin dal primogiorno che è una tradizione, appunto, che funziona solo approssima-tivamente per molti parti del discorso e che non è universale, ma cheserve per imparare a classificare.

L’accettabilità dell’analisi grammaticale si costruisce sul senso deldovere, da un lato, e con la scelta di frasi significative (ottime sonoquelle brevi tipiche delle battute dei fumetti) dall’altro. L’uso di dadi,tris, battaglie navali e quant’altro può fortemente contribuire a varia-re la classica analisi condotta sul quaderno.

b. L’analisi grammaticale interlinguisticaSi è detto sopra, indicando le diverse modalità di realizzazione diqueste attività, che l’analisi morfologica può essere proficuamenteeseguita in prospettiva interlinguistica. La esemplifichiamo con unresoconto a nostro avviso molto significativo di un’esperienza cheabbiamo organizzato in una seconda media.

In una mattinata in cui c’era lezione di italiano, di inglese e difrancese, l’insegnante di italiano ha disegnato alla lavagna (e ognistudente su un foglio) una tabella con le sei righe rispondenti ai pro-nomi personali soggetto (io, tu, lui/lei, noi, voi, loro) e accanto aciascuno a chiesto di inserire forme alternative, spesso marcate sul-

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l’asse formale/informale; sono comparsi spontaneamente «lei» e«voi» per la seconda persona singolare; «egli» ed «essi/esse» per leterze persone e con un aiuto dell’insegnante hanno colto anche «el-la»; «noi» come prima persona singolare; l’impersonale come pri-ma persona plurale; perfino il «lor signori» come seconda personaplurale.

Di seguito l’insegnante di inglese ha inserito i soggetti in quellalingua, portando a notare con la presentazione delle prime due bat-tute del «Padre Nostro» la differenza tra la seconda persona singola-re, di rapporto intimo, usata per parlare con Dio (thou e i derivatithee, thy) e quella plurale you, di rispetto sociale per gli uomini; infi-ne l’insegnante di francese ha inserito i pronomi in quella lingua –ma alla coppia tu/vous alcuni bambini dialettofoni (in realtà tutti i ve-neziani sono bilingui, almeno ricettivamente) hanno notato che erauguale al veneziano (tu/vu) e l’insegnante ha allora aggiunto una co-lonna per il veneziano, che i ragazzini hanno completato estraendodalla loro competenza inconsapevole i pronomi personali soggetto ecosì facendo hanno scoperto una isoglossa ignota anche a dialettolo-gi: parte degli studenti di quella classe venivano dalla zona dell’Ac-cademia, zona socialmente alta, e parte dalla Giudecca (un’isola se-parata da un canale largo 100 metri, di livello socio-culturale tradi-zionalmente povero): i primi hanno dato come terza persona singola-re l u, i secondo el o (corrispondenti a lui e egli). La presenza di dueragazzini moldavi ha consentito di aggiungere anche i pronomi sot-tetto in rumeno. L’entusiasmo per questa esperienza e per la scopertasocio-linguistica, ignota anche ai professori «onniscienti», ha fatto sìche un ragazzino assolutamente non incluso nel gruppo dei «bravistudenti» dicesse alla madre, a pranzo: «mamma, che bella la gram-matica!».

Anche la tradizionalissima analisi grammaticale, condotta conmetodologie opportune, può dunque essere motivante: in questo casolo è stato perché si è posto al centro dell’attività i soggetti, con la lo-ro competenza e intuizione, e non l’oggetto-lingua.

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Attività 30: la riflessione sintattica («analisi logica», «analisi valenziale»)

Se possibile questa tradizione si basa su categorie ancor più arbitrariedell’analisi grammaticale e le impone fin dalla scuola media, in cuila capacità astrattiva non è sufficiente per una riflessione autonoma,per cui l’attività si limita a etichettare i «complementi» con espres-sioni più o meno fantasiose che, tranne nel caso dei complementiprincipali, varia da manuale a manuale.

a. L’analisi logica tradizionaleAlle medie può essere sufficiente distinguere tra predicato, sogget-to, e complementi diretti/indiretti da un lato, e necessari/facoltativi(vedremo sotto la loro natura) dall’altro, includendo nel comple-mento o nel soggetto tutta la pletora di attributi e apposizioni su cuisi spende degli studenti il miglior tempo – per dirla con Leopardi.

Con la crescita della capacità di analisi, il complemento oggettopuò articolarsi nelle sue tre forme (semplice, interno, partitivo), quel-lo predicativo può essere scisso a seconda che riguardi il soggetto ol’oggetto – ma la divisione in complemento d’agente e di causa effi-ciente, di compagnia e d’unione ecc. ci pare sempre e comunque inu-tile e vale sempre il principio di Occam secondo cui entia non suntmultiplicanda praeter necessitatem…

Al livello superiore rispetto alla frase semplice, per l’«analisi delperiodo», all’inizio sarà fondamentale solo distinguere tra reggenti,coordinate e subordinate, denominando i tipi principali di queste ul-time, ma quel che interessa per lo sviluppo cognitivo anno dopo annoè lavorare sulla funzione delle «congiunzioni» (altra nozione assolu-tamente vaga) coordinanti e subordinanti, sulle differenze tra subor-dinate esplicite e implicite, tra subordinate necessarie («ha detto» èuna reggente che richiede necessariamente un’oggettiva) e facoltati-ve, sull’articolazione dei periodi ipotetici in tre tipi, e così via.

Quanto detto sui problemi e le risposte motivazionali in ordine al-l’analisi grammaticale vale anche per quella logica: qui come sopra

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la ludicità non è un semplice addolcire la pillola, e il tentativo di te-nere aperta, ricettiva la mente mentre si fa un’attività apparente-mente inutile, classicamente «scolastica» e percepita quasi comevessatoria, mentre è fondamentale per lo sviluppo cognitivo e meta-linguistico.

b. L’analisi logica valenzialeTradizionalmente l’analisi logica ruota di fatto intorno al soggetto,ma Tesnière, alla fine degli anni Cinquanta, sposta l’attenzione sulverbo.

La frase non è l’unione necessaria di soggetto + predicato, ma ètutto quel che ruota intorno al predicato sulla base del significatodel verbo (quindi con un’unione tra forma e significato assoluta-mente innovativa): come abbiamo ricordato all’inizio del paragrafo,esistono predicati che in italiano non accettano soggetto («piove»,«fa caldo») o che accettano un solo «argomento», cioè un completa-mento, e lo vogliono nella funzione obbligatoria di soggetto («na-scere» e «morire», ad esempio); altri verbi vogliono almeno due«argomenti», un soggetto e un oggetto («amare»), oppure tre («da-re») e così via.

È la grammatica «valenziale» (così detta in analogia con le «va-lenze» degli atomi, che possono combinarsi con uno o due o tre o piùatomi a seconda del complesso delle valenze disponibile), centratasul verbo e i suoi «argomenti»: chiedere allo studente di individuareil verbo, di vedere di quanti completamenti obbligatori ha bisogno,individuarli nel testo e distinguere tra questi completamenti necessa-ri e quelli facoltativi (di solito quelli di modo, tempo ecc.) diventacognitivamente più stimolante che distinguere complementi elencatiin liste che includono anche complementi di peso, di misura, di van-taggio e svantaggio, di privazione, di abbondanza e quant’altro ha in-ventato l’italica analisi «logica», che spesso di logico ha solo il nome(Sabatini, 1995).

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Attività 31: l’analisi testuale

Molto spesso l’analisi testuale viene realizzata con questo nome solonell’analisi letteraria o in quella delle microlingue scientifico-disci-plinari (e più nelle lingue straniere che in italiano): molta dell’analisiche riguarda elementi di linguistica testuale rifluisce in quello chetradizionalmente includiamo nell’analisi «del periodo», dai mecca-nismi di coesione a quelli che evidenziano la coerenza logica.

Due argomenti spesso trascurati e su cui mette conto svolgere l’a-nalisi, che può fornire una guida preziosa alla produzione e interpre-tazione di testi, sono:

a. L’analisi delle caratteristiche costitutive dei tipi testualiCi sono delle caratteristiche universali, presenti in ogni lingua, per ivari tipi testuali:

– un testo descrittivo è per sua natura o oggettivo (chi descrive èfuori della scena descritta) o soggettivo (ne è parte); si può quindigiocare a trasformare una descrizione fortemente soggettiva (unapagina di un romanzo horror in cui il protagonista in prima perso-na narra in maniera iper-emotiva la casa tetra e diruta in cui si ad-dentra) in una descrizione freddamente oggettiva, o viceversa:l’effetto comico è garantito – ma anche la scoperta della natura diquesti due tipi di descrizione;

– un testo istruttivo per sua natura segue abbastanza fedelmente lasequenze di azioni da eseguire: far ricomporre un testo di questotipo precedentemente spezzato in frammenti e poi confrontare laricostruzione dei vari gruppi fa comprendere questo tratto costitu-tivo dei testi di istruzione;

– un testo narrativo deve avere una qualche forma di narratore, unafabula e un intreccio; e così via: sono tutte caratteristiche costituti-ve su cui si può lavorare smontando e rimontando testi.

b. L’analisi delle caratteristiche proprie dei generi comunicativi I «generi» realizzano concretamente uno o più tipi testuali e le lorocaratteristiche spesso variano da lingua a lingua: una lettera (che può

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realizzare tutti i tipi testuali) è un genere retoricamente molto strut-turato, richiede un mittente, un destinatario, saluti iniziali e conclusi-vi, data, ma le regole retoriche variano in italiano, francese ecc.

Attività 32: creazione di una grammatica personalizzata

La grammatica viene vista come una nozione astratta e inutile, e la«grammatica» intesa come libro è un inutile peso da comprare usatae rivendere appena possibile – la grammatica è l’apoteosi della a-mo-tivazione, più che un semplice caso di demotivazione.Il computer rende possibile la creazione di una grammatica «fai date», realizzata da ciascuno (ma se ne può anche avere una versionecollettiva, se c’è un computer in classe) mano a mano che si appren-dono elementi nuovi e che quindi si possono formalizzare.

Il principio e la procedura sono semplici:

– si discute in classe un indice, che di solito sarà basato sulle tradi-zionali parti del discorso e alcune loro sottosezioni (ad esempio, i«pronomi» saranno «personali», «possessivi», «relativi», «indefi-niti» ecc.): questo indice costituisce un primo scaffolding (usiamovolontariamente il termine inglese per «impalcatura», in quanto èil termine proprio della metodologia costruttivistica cui abbiamofatto richiamo in 1.4.2), ma emergono da subito due insufficien-ze, che vanno colmate, come vedremo;

– la prima insufficienza riguarda la modalità di accesso: catalogare ipossessivi sotto «pronomi» risulta poco produttivo, in quanto so-prattutto in lingue classiche e straniere conviene affiancare prono-mi e aggettivi possessivi. Per cui emerge la possibilità di elencare,nell’indice, la categoria dei «possessivi (aggettivi e pronomi)», econseguentemente la necessità di costruire l’indice su base alfabe-tica, anziché per parti del discorso, magari con una serie di linkipertestuali che Word può creare facilmente;

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– la seconda insufficienza emerge quando si tenta una grammatica dilingua straniera o classica: non bastano le regole morfologiche esintattiche, conviene inserire anche alcuni elementi lessicali, spessocarichi di conseguenza sintattiche: «dire» in inglese si articola in tell+ accusativo e in say + complemento di termine e il loro uso dipen-de dalla presenza di un discorso diretto o indiretto; un altro esem-pio utile è look + aggettivo, che significa «avere un aspetto…»,mentre look + preposizione + (pro)nome cambia significato a se-conda se la preposizione sia at, for, like, mentre richiede un gerun-dio se è seguito da forward, e via elencando. Gli studenti scopronoche non è vero che una lingua è fatta di lessico da una parte e digrammatica dall’altra, ma che il sistema è tutto legato e connesso;

– mano a mano che l’insegnante giudica che una data struttura lessi-grammaticale, morfologia o sintattica abbia preso corpo nella con-sapevolezza degli studenti, assegna come compito la realizzazionedella entry nel file della grammatica «fai-da-te»; se c’è un com-puter di classe, verrà dato il compito a un gruppetto di studenti dilavorare (per mail, da casa) a una definizione o descrizione comu-ne da inserire poi nella grammatica di classe, dopo che l’insegnan-te l’avrà verificata per evitare eventuali errori.

Una grammatica di riferimento personalizzata in itaL1 è il comple-tamento motivante dell’analisi grammaticale e logica; nelle lingue nonnative costituisce la versione visibile della competenza linguistica chesi viene lentamente creando, risulta quindi estremamente motivante,sostiene lo studente che mano a mano vede quanto sta acquisendo.

Va da sé che se uno studente fa la fatica di compilarsi una gram-matica ha poi il diritto di usarla quando ne ha bisogno, anche duran-te un compito in classe può ricorrere alla grammatica collettiva: non«copia», come potrebbe parere, ma va a consultare uno strumentoper colmare una lacuna che ha scoperto e che ha bisogno di colmarein quel preciso momento per svolgere quel preciso compito: è diffi-cile immaginare una condizione migliore perché il Language Acqui-sition Device si attivi.

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Attività 33: la riflessione sulle varietà della lingua

Nelle lingue classiche la variazione linguistica, se pure viene consi-derata, è trattata solo in senso diacronico; nelle lingue straniere c’èattenzione ai registri ma è invece spesso assente quella per le varietàgeografiche (e questo porta a conflitti: gli insegnanti di inglese sonotendenzialmente legati alla varietà britannica del sud, mentre gli stu-denti richiedono quella americana).

In tutte le lingue si possono analizzare le varietà legate

– al mezzo, a iniziare dall’opposizione tra la comunicazione orale equella scritta, continuando con la lingua dei giornali, quella tra-smessa (si pensi alla lingua della posta elettronica e dei messaggisui cellulari) ecc.: presentare SMS francesi in cui si legge wetu(sta per où est tu?) o inglesi con wanna C U asap (cioè I want tosee you as soon as possible) e confrontarli con gli italiani sono c8d te, tvb (sono cotto di te, ti voglio bene) porta a riflettere sul fattoche di fronte a uno stesso problema (usare il minor numero di ca-ratteri per risparmio di tempo, spazio e soldi) porta a usare la stes-sa strategia pur con meccanismi diversi in ogni lingua;

– all’età: l’esempio degli SMS visto sopra, insieme al lavoro sulleparole generazionali, fornisce materiale molto motivante;

– al tempo, cioè le varietà diacroniche, anche traducendo dalle va-rietà dei secoli scorsi a quelle odierne (vedi cap. 8);

– all’argomento, dai linguaggi settoriali alle microlingue scientifico-professionali (praticamente ignorate nell’insegnamento dell’italia-no e presenti, per le lingue straniere, solo nell’istruzione tecnica).

In itaL1 la riflessione dovrebbe toccare le varietà regionali, condue obiettivi: distinguere tra i «dialetti italiani» che sono vere e pro-prie lingue, e i «dialetti dell’italiano», come quelli dell’Italia centra-le; cogliere le caratteristiche fonologiche, morfosintattiche, lessicalidella propria varietà regionale, riconoscendone la ricchezza di vinco-lo sociale locale ma anche il rischio di confonderla con l’«italiano»tout court. In entrambi i casi è utile l’uso della tecnologia audio; la

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prima identificazione delle peculiarità può essere fatta a coppie opiccoli gruppi, da completare poi collettivamente alla lavagna.

L’esperienza che abbiamo citato nell’Attività 29 e quella che ve-dremo nell’Attività 34 sono esempi di riflessione sulle varietà che hasuscitato il piacere della scoperta socio-linguistica.

Attività 34: la riflessione funzionale, pragmatica

La competenza pragmatica o funzionale è alla base delle grammati-che usate per l’insegnamento delle lingue straniere, per cui gli stu-denti sanno fare un’analisi funzionale in termini di atti comunicativi(«ringraziare», «offrire» ecc.), ma non applicano questa loro abilitàin itaL1 e nelle lingue classiche.

Abbiamo citato un’esperienza morfosintattica e socio-linguisticanell’Attività 29, ne riportiamo un’altra, realizzata in un biennio dellascuola superiore e che a sua volta ha comportato una «scoperta». Ilcompito era quello di comparare le espressioni linguistiche usate perdue atti comunicativi semplici («salutare» e «congedarsi») nei variregistri; riportiamo qui solo la sezione italiana, ma in classe hannofatto anche le colonne francese, inglese, cinese e bengalese:

momento salutare congedarsi

Mattino - formale: buon giorno - formale: buon giorno, arrivederci- informale: ciao, come va, salve - informale: ciao, ci vediamo- volgare: ciao brutto stronzo - volgare: ciao brutto stronzo

o simili o similiPomeriggio - solo in radio e televisione: - solo in radio e televisione:

buon pomeriggio buon pomeriggio- in Toscana: buona sera - in Toscana: buona sera

Sera - come al mattino, - come al mattino, ma con buona sera ma con buona sera

Notte - come al mattino, - come al mattino, ma con buona sera ma con buona notte

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La «scoperta» che ha dato piacere agli studenti, al di là della siste-matizzazione che comunque dà piacere intellettuale, è stata che l’e-spressione buona notte non è omologa a buon giorno e buona serama possono essere usate solo come congedo e che funziona allo stes-so modo in francese e inglese; che l’inglese good afternoon sta pe-netrando in italiano attraverso i mass media, che il salut francese haun corrispondente italiano usato oggi solo dagli anziani; che ciao,come ha spiegato l’insegnante di inglese, deriva dal veneziano sciaovostro, («schiavo vostro»), che ha un corrispondente nell’austriaco eungherese servus, usato per il saluto informale.

L’esempio sopra e quello nell’Attività 29 trovavano la loro motiva-zione nel piacere, nella soddisfazione della curiosità, nella cono-scenza fine a se stessa, gratuita. In certe occasioni la comparazioneinterlinguistica mette in moto un’altra fonte di motivazione in quantoviene invece incontro a un bisogno.

Ad esempio una comparazione di funzionale italiano/inglese puòrisultare illuminante ed evitare produzioni sbagliate:

Atto comunicativo Espressione italiana Espressione inglese

Attrarre l’attenzione Scusa! Excuse me!Scusarsi Scusa! Sorry!Chiedere la ripetizione Scusa? Pardon?Aprire una lite [- Sei un …!] - Scusa!? [- You’re …!] - Say it again!

In italiano la stessa espressione, «scusa», viene usata per quattroatti comunicativi, seppure con diversità nell’intonazione, e questo in-duce a usare erroneamente anche in inglese (che ha quattro differen-ti espressioni) l’espressione più comune, sorry, oppure quella più vi-cina all’italiano, excuse me.

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Attività 35: caccia all’errore

La realizzazione è semplice: si fornisce un testo con alcuni errori e sichiede di individuarli e di correggerli. Gli errori possono essere col-locati su un unico aspetto del linguaggio (ad esempio la consecutiotemporum) oppure possono essere di vario tipo, dall’ortografia allescelte socio-linguistiche.

La realizzazione è individuale, la discussione è collettiva e quindiconsente anche una riflessione sulle diverse correzioni apportate, lad-dove ci siano proposte differenti (e in una classe di solito ce ne sono).

Si è molto discusso sull’opportunità di utilizzare questa tecnica inquanto, si obbietta, può ingenerare errori nella competenza linguisti-ca, può fare «entrare nell’orecchio» errori che vengono percepiti, perassuefazione, come forme corrette; a nostro avviso questo è possibi-le negli stadi iniziali dell’acquisizione o con parlanti molto giovani,ma con studenti di livello avanzato il rischio ci pare irrilevante; inol-tre, l’attenzione posta sulla correzione più che sull’errore dovrebbecircoscrivere il pericolo.

3.4 � Il lavoro sulle grammatiche non verbali

Il modello di competenza comunicativa che abbiamo presentato in1.1.2 ipotizza la presenza di due competenze, di due set grammaticali,quelli linguistici e quelli extralinguistici. In questo secondo caso sitratta delle grammatiche che governano la gestualità e le espressioni(«cinesica»), la distanza e il contatto interpersonale («prossemica»),l’uso comunicativo di oggetti quali status symbol, vestiario e così via(«oggettemica»; Barthes usa «vestemica» per la grammatica dell’abbi-gliamento).

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Di solito si commettono tre errori gravi in ordine alla competenza ex-tralinguistica:

a. non si è consapevoli del fatto che i linguaggi non verbali sono gover-nati da grammatiche; quindi anche in itaL1 è necessaria un’attivitàmetalinguistica di scoperta della morfologia e della sintassi dei gesti,delle distanze, dei vestiti ecc., che può portare a un’attività di classi-ficazione cognitivamente altrettanto valida di quella condotta con l’a-nalisi grammaticale, ma certo più motivante, meno connotata come«grammatica» e come «scolastica»;

b. si considerano i linguaggi non verbali come «naturali», mentre sono«culturali»: le loro grammatiche variano da cultura a cultura e que-sto crea problemi nelle lingue seconde, etniche, straniere: il gesto ita-liano di registro abbastanza volgare che significa «ma che cavolovuoi!?», eseguito con le dita rivolte verso l’alto e tutte raccolte e lamano che oscilla su e giù, significa «aspetta» nel mondo arabo ed«eccellente» in Turchia e in molte isole greche… Se consideriamoche il nostro cervello decodifica prima gli stimoli visivi e poi quellilinguistici, e che circa quattro quinti delle informazioni che giungonoalla corteccia cerebrale arrivano dagli occhi, si comprende il rischiodi una discrasia tra le dit et le vu, come dice uno dei massimi studio-si di questi linguaggi, Roland Barthes;

c. si dimentica che molti testi che siamo abituati a considerare come«linguistici» sono in realtà testi verbali e non verbali insieme: bastipensare ai testi teatrali che si fanno leggere in tutte le scuole quandosi insegna letteratura; in particolare, il teatro greco è difficilmentecomprensibile se non si considera che era recitato da tre attori maschiche, attraverso diversa gestualità e diverso abbigliamento, cioè attra-verso codici extralinguistici, assumevano tutti i ruoli realizzando tal-volta livelli di ambiguità eccezionali: l’attore maschio che impersonaun’eroina che si finge uomo, è travestito per l’intreccio ma è autenti-co in realtà.

I tre ambiti di inconsapevolezza visti sopra devono essere tradottiin conoscenza se si vuole lavorare alla (meta)competenza comunica-tiva.

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Attività 36: la classificazione dei gesti in ItaL1

La classificazione è un processo cognitivo di primaria importanza,che nell’educazione linguistica affidiamo di solito all’analisi gram-maticale e logica; ma può essere anche sviluppato classificando gesti.

Si chiede agli studenti di elencare con fotografie o film (anchecon il cellulare) quanti più gesti vengono loro in mente: si ottiene su-bito un enorme repertorio. Una volta stampate, le foto (e alcune in-quadrature del filmato che riporta il movimento, in modo da poter«montare» in sequenza le diverse immagini) vanno catalogate, equindi gli studenti devono individuare dei parametri. Basta un brevedibattito per cogliere che l’unico parametro portante è quello prag-matico, mentre gli altri elementi sono di natura socio-linguistica:

Per una classificazione pragmatica, riprendendo alcune categoriefunzionali possiamo avere:

– gesti che hanno una funzione personale, esprimono emozioni (gu-sti, dis/piacere, allegria, rabbia, seccatura ecc.);

– gesti in funzione interpersonale (richiami, saluti, congedi, offese,complicità, scherzo ecc.);

– gesti regolativi (istruzioni, ordini ecc.); – gesti referenziali (indicano dimensioni, sequenze temporali ecc.); – gesti metalinguistici, usati per sopperire ironicamente a una paro-

la che non si conosce.

La difficoltà sta nel fatto che molti gesti sono multifunzionali equindi sono difficili da attribuire – ma la crescita cognitiva sta pro-prio nella discussione, nell’individuazione di parametri di attribuzio-ne, nella creazione delle categorie; materialmente, l’attività si con-clude facendo i tabelloni e incollando e titolando le foto, magari conl’indicazione di alcuni parametri secondari, che vediamo sotto.

Quanto ai parametri socio-linguistici, si possono indicare elemen-ti come il registro neutro/volgare/offensivo; l’uso generalizzato intutta Italia oppure prevalentemente meridionale/settentrionale; gestigiovanili, generali, obsoleti.

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Infine, si può anche indicare la natura monomodale di alcuni ge-sti, eseguiti cioè solo con le mani o solo con la testa, o quella multi-modale, quando un gesto richiede anche un rumore (fischio, bacio,schiocco della lingua ecc.).

Si tratta di un’attività che richiede un periodo abbastanza lungo dipreparazione, ma questa è svolta essenzialmente fuori aula, fotogra-fando compagni, guardando film e pubblicità per trovare ulteriori ge-sti, stampando le foto, ma l’attività risulta sostanzialmente economi-ca in termini di tempo scolastico, e risulta molto motivante.

(Sui gesti degli italiani si vedano Diadori, 1997 e Caon, c.d.s).

Attività 37: la comparazione dei gesti italiani con quelli delle lingue straniere

Abbiamo accennato sopra al fatto che i gesti e le espressioni possonocambiare sia di significato sia di registro da cultura a cultura. Sulla ba-se della classificazione proposta nell’Attività 36 si può procedere al-l’individuazione di quei gesti che hanno valore diverso, in termini disignificato o registro, nelle lingue/culture straniere che si studiano ascuola in modo da completare il tabellone (o il file, se la classificazio-ne si fa su computer) con i problemi di comunicazione interculturale.

Per la gestualità e la prossemica americane non c’è problema: latelevisione inonda gli studenti di film e telefilm, che possono essereanalizzati a casa con l’avvertenza di eliminare il sonoro, in modo danon essere distratti dalla competenza linguistica; per le altre culture,inclusa quella britannica, è necessario guardare qualche film in clas-se, notando insieme i gesti e le distanze interpersonali. Esistono mol-te banche date in rete, con foto e filmati, quindi una buona parte del-la ricerca può poi essere condotta a casa, dopo aver motivato l’atti-vità con un DVD in classe. (Sui problemi interculturali legati ai lin-guaggi non verbali cfr. Balboni, 2007b.)

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Attività 38: scoprire i concetti di morfologia e sintassiattraverso il vestiario

La nozione di morfologia e quella di sintassi sono spesso difficilida cogliere per studenti pre-adolescenti, ma la morfologia divieneun concetto chiaro nel momento in cui si entra nella vestémique,cioè nell’analisi della forma dei vestiti (la pluralità di tipi di giub-botto, e dei relativi nomi, che può individuare una classe è impres-sionante; assai meno è il riconoscimento di alcune forme partico-lari: il cappello del corazziere, la berretta cardinalizia ecc.) e la sin-tassi prende vita parlando degli accostamenti sia di colore, di capidi vestiario, ad esempio di registro elegante/formale e casual/infor-male.

La funzione formativa di questa attività risiede soprattutto nellascoperta che, come la lingua, anche la moda è un système où tout setient, dove la modifica di un elemento produce a cascata la necessitàdi modificare una parte o tutti gli altri.

Una prospettiva comparativa come quella vista per i gesti nell’At-tività 37 è facilmente realizzabile anche per i vestiti e porta a consa-pevolizzare regole di grammatica vestemica che gli studenti hannoinconsapevolmente fatte proprie vedendo da quando sono nati tele-film americani, ma delle quali non si sono mai resi conto in manierariflessiva e strutturata.

Attività 39: dal testo linguistico a quello mimato

Questa attività può essere propedeutica alle precedenti, e quindi fo-calizzare il ruolo dei gesti e delle espressioni, oppure conclusiva, perriprendere e riutilizzare quanto scoperto in ordine alle grammaticheextralinguistiche.

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101Le grammatiche

Il meccanismo è semplice: uno studente legge un testo, o una cop-pia recita un dialogo, e lo/gli studente/i cavia devono mimare le scene.

Al di là dell’ilarità che alleggerisce la situazione – e che si smorzasubito quando gli studenti eccessivamente ilari vengono chiamati asostituire il compagno deriso – risulta subito chiaro quanto la gestua-lità, che sembra a tutti così naturale, sia in realtà complessa, difficilee sostanzialmente insufficiente a sopperire al linguaggio, anche in si-tuazioni abbastanza semplici.

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CAPITOLO 4

Lo sviluppo delle abilità ricettive

Widdowson distingue tra ability e skill, cioè tra il processo cognitivo ela sua realizzazione in una specifica situazione: nel nostro caso, il pro-cesso di comprensione e il fatto di saper comprendere uno specifico te-sto in una specifica lingua. In una prospettiva di educazione linguisticalo sviluppo della ability, del processo, è più rilevante della padronanzadelle skills – e questo discorso vale per tutte le abilità di cui parleremonei capitoli seguenti – per cui indicheremo attività didattiche che agi-scono su entrambi i versanti, distanziandoci dalla diffusa letteratura me-todologica anglo-americana orientata sulle skills, sull’istruzione lingui-stica intesa in senso utilitaristico.

4.1 � La natura della comprensione

La comprensione è l’abilità cardine di ogni forma di apprendimento, e lo èa maggior ragione dell’acquisizione linguistica: non c’era bisogno diKrashen per ricordare che il Language Acquisition Device può attivarsi so-lo su campioni di lingua compresi e che quindi il compito dell’insegnante edi tutto il complesso del Language Acquisition Support System è quello diselezionare testi che possano essere resi comprensibili oppure di proporreattività che ne rendano comprensibili le parti su cui si intende lavorare.

Non faremo qui una storia della ricerca sulla comprensione (ottimo

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in questa prospettiva è Chapman, 1996), se non per notare che dagli an-ni Settanta prevale una visione sintetizzata all’idea di comprensione co-me «indovinello psicolinguistico» in cui le previsioni di chi compren-de, i suoi processi cognitivi, la sua conoscenza del mondo divengonocentrali (gli studi fondanti in questa prospettiva sono quelli di Johnson-Laird a partire dalla raccolta curata da lui e da Watson nel 1977); in Ita-lia un evento chiave fu il convegno del 1985 della SLI sulla compren-sione vista «dalla parte del ricevente» (De Mauro, Gensini, Piemontese,1988). Secondo tale prospettiva, la comprensione non procede dagli sti-moli che riceviamo dall’esterno, il cui ruolo è solo quello di attivare deiprocessi cognitivi che costituiscono una «grammatica dell’anticipazio-ne» che, dall’alto, top down, guida la percezione, ne corregge gli errori(o genera errori, portandoci a prendere i classici «fischi per fiaschi»).

La comprensione si basa su tre elementi fondamentali (oltre, natural-mente, alla competenza comunicativa nella lingua-cultura in cui il testoviene prodotto):

a. la conoscenza del mondo (spesso detta «enciclopedia»), organizzatain «schemi» che ci consentono di classificare la nostra esperienza divita, di studio ecc., e in «copioni» di comportamento, ipotizzati dacognitivisti come Minsky, Schank e Abelson (in Johnson-Laird, Wat-son, 1977); a differenza dello «schema» statico, qui abbiamo «scena-ri» in cui le situazioni tipiche della vita vengono viste come il fruttodi grammatiche pragmatico-comportamentali; in altre parole: capia-mo un testo – meglio, capiamo l’informazione nuova portata da untesto quando questa è

– limitata quantitativamente rispetto al resto del testo, che richiamainformazioni già immagazzinate in memoria;

– collocata in certe posizioni ed è in qualche modo prevedibile al-l’interno di un paradigma abbastanza limitato di possibilità.

In tal modo il nostro cervello non deve esplorare tutta la banca lessi-cale in suo possesso, ma si può limitare a scegliere tra una gamma li-mitata di possibilità;

b. alcuni processi cognitivi che contribuiscono a «costruire» (è la paro-la chiave dell’impianto teorico di Gineste, Le Ny, 2002) la compren-

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sione. Tali processi legano la fonte esterna di informazioni (il parlan-te, lo scrivente e il loro testo) con la realtà psichica di chi comprende.Il principale di questi meccanismi è quello «proposizionale», secon-do il quale la proposizione (nell’accezione propria della logica for-male) da comprendere deve necessariamente includere un predicato edegli argomenti, i due elementi cardine che la mente va a cercare nel-le proposizioni che deve comprendere: i predicati (ciò che si predicadi qualcosa) non possono sussistere da soli e la memoria deve perforza cercare un «argomento» cui appoggiarli, costruendo il sensodella proposizione (si noti: «costruendolo» dall’interno, non «rece-pendolo» dall’esterno). Un altro processo è quello legato alla ridon-danza sintattica (l’articolo «le» fa prevedere nomi, aggettivi, prono-mi femminili plurali, nonché il verbo al plurale), di coerenza e coe-sione testuale, di natura inferenziale – processi che non sono com-plessi in sé ma che possono diventarlo se chi ha prodotto il testo hafrapposto ostacoli;

c. la competenza nella lingua in cui è steso il testo: divideremo questo ca-pitolo proprio sulla base del livello di competenza: attività che si pos-sono fare per lingue ancora in fase di acquisizione di base e attività perlingue di cui si ha padronanza, per cui l’attività è volta a migliorare lestrategie di comprensione e non (primariamente) ad acquisire lingua.

Un’ultima riflessione di natura neuro-psicologica prima di procederea trarre le implicazioni glottodidattiche: la comprensione non attiva solo,come spesso si è creduto (e nella prassi didattica ancora si crede), le ope-razioni logico-linguistiche proprie della corteccia dell’emisfero sinistrodel cervello, ma anche quelle analogiche, globali della corteccia destranonché alcuni centri interni, non corticali; rimane valido anche (al di làdelle correzioni parziali cui è stato sottoposto) il principio per cui la per-cezione e la successiva rielaborazione sono direzionali, cioè seguono ilpercorso che porta dalla globalità all’analisi, dal contesto al testo. (Perapprofondimenti su materiali italiani, si vedano Corno, Pozzo, 1991, diimpianto cognitivistico; De Beni, Pazzaglia, 1992, che introduce moltielementi di linguistica; negli anni seguenti troviamo molti studi che spo-sano ricerca teorica e proposta glottodidattica, quali Piemontese, 1996;Balboni 1998; Nardi, 1999; Colombo, 2002; Ferreri, 2002).

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4.2 � La comprensione finalizzata all’acquisizione inizialedell’ItaL2 e delle lingue straniere e classiche

Il titolo del paragrafo include tre dimensioni che hanno in comune ilfatto di essere collocate all’inizio di un processo di acquisizione lingui-stico, ma che sono differenti in termini di:

a. quantità e controllabilità dell’input: in itaL2 questo è esteso per l’in-tera giornata ed è incontrollabile, mentre nelle lingue straniere e clas-siche l’input è limitato ad alcune ore settimanali ed è gestito dal do-cente (con una lieve eccezione per l’inglese dei mezzi di comunica-zione di massa);

b. tradizione glottodidattica: i docenti di itaL2 e di lingue straniere han-no assunto da decenni il principio che la «grammatica» è il puntod’arrivo e che il perno dell’azione didattica è la comprensione e pro-duzione di testi, mentre nell’insegnamento delle lingue classiche pre-vale ancora la dimensione della frase, se non della singola parola, e lagrammatica costituisce l’asse su cui si costruisce l’intero percorso.

Tratteremo le tecniche di comprensione tenendo in considerazionequeste differenze ma senza piegarci a un’idea come quella dominantenella didattica delle lingue classiche che, sul piano neuro-psicolingui-stico e filogenetico, va «contro natura» in quanto muove dall’analisi al-la funzione.

Gli studenti principianti o comunque con padronanza limitata non so-no in grado di comprendere un testo per intero e immediatamente, perquanto facile esso sia: si deve penetrare progressivamente nel testo, pro-cedendo da una comprensione estensiva, che

a. coglie ogni suggerimento dal paratesto (vedi Attività 1),b. per arrivare a carpire il significato globale, operazione dette skim-

ming nella glottodidattica internazionale e spesso anche in quella ita-liana di matrice angloamericana (vedi Attività 40),

c. cerca alcune informazioni specifiche, operazione detta scanning (ve-di Attività 42),

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d. e poi, una volta costruito il significato generale (il verbo costruire ri-manda sia a quanto detto in 4.1, sia alla possibilità di far lavorare glistudenti in coppie o in piccoli gruppi con logica costruttivistica), pro-cede a un’analisi che focalizza i punti indicati dal docente per soste-nere l’acquisizione spontanea con un apprendimento razionale, se-condo la procedura detta modal focusing dai neurolinguisti (vedi At-tività 43 e 44).

Manca un punto «e» che sarebbe logicamente prevedibile, il passag-gio dalla comprensione estensiva, magari focalizzata su alcuni aspetti, auna comprensione intensiva, profonda, sia del testo sia di quegli ele-menti socio-culturali e pragmatici che stanno «oltre» il testo: questopunto manca perché con studenti di padronanza linguistica limitata vio-la la legge del massimo utile con il minimo sforzo: ci sarà tempo nellefasi più avanzate di un corso per procedere alla lettura realmente «in-tensiva».

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Attività 40: l’esplorazione del paratesto

Saper cogliere le informazioni che sono intorno al testo – titoli, sot-totitoli, foto, didascalie, grafici, indice o titoletti – è una componentefondamentale dell’abilità di comprensione; partendo quindi da gior-nali, da videate di internet, da locandine o trailer di film, da paginepubblicitarie, si stimolano gli studenti a un brainstorming corale perprodurre ipotesi sul contenuto del testo.

È un’attività stimolante, motivante, che mette in gioco l’intuizionedegli studenti, li porta a costruire insieme, a collaborare, ciascuno sti-molato dalle ipotesi degli altri, e che non distingue gli studenti sullabase della loro competenza linguistica ma della loro abilità cognitivae della capacità di intuire. Può essere eseguita prima di affrontarequalsiasi testo – e la presenza di elementi paratestuali ricchi può esse-re uno dei criteri di scelta del materiale da presentare agli studenti.

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107Lo sviluppo delle abilità ricettive

Attività 41: la comprensione estensiva

Detta skimming nella didattica delle lingue straniere, questo tipo di at-tività – che ben si colloca dopo la Attività 40 – consiste nell’indivi-duare gli elementi chiave, il senso globale di un testo. Ottimo suppor-to grafico è una griglia, che può anche essere schizzata alla lavagnaper un lavoro collettivo, con le classiche sezioni chi, cosa, quando, co-me, dove, perché; se il testo è articolato in più situazioni in sequenza,la griglia può essere a sua volta articolata in colonne. Un esempio puòchiarire la tecnica; lo costruiamo su un testo noto, Cappucetto Rosso:

dove Casa C.R. Boscochi Nonna C.R. e lupo Cacciatore

e lupo e gli altricosaperché

Mancano le sezioni «quando» (di fatto costituita dalla sequenzadelle colonne) e «come» (non significativa a livello di comprensione);vengono dati tre «chi» perché distinguono tre situazioni. Le due ca-selle con «lupo» e una con «cacciatore» – ignote a un principiante –servono a dare due parole chiave. Una prima lettura o un primo ascol-to possono focalizzarsi su «dove» e «chi», il secondo ascolto o letturapuò puntare a individuare cosa succede; infine, si può discutere sullemotivazioni degli atti: ad esempio, la mamma manda le provviste allanonna perché è malata e dice a Cappuccetto Rosso di non fermarsicon nessuno, per proteggerla: questa casella introduce a una com-prensione analitica, ma condotta su basi pragmatiche prima che lin-guistiche. La griglia è uno strumento complesso e duttile, ma lo stes-so risultato può essere ottenuto con semplici domande aperte oppurecon scelte multiple. L’elemento caratterizzante di questa attività stanel fatto che non si chiede una comprensione primariamente lingui-stica ma contestuale e pragmatica. Alla lingua si arriverà durante lesuccessive attività di comprensione, via via più analitiche.

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Attività 42: la ricerca di informazioni specifiche

Lo scanning consiste nella ricerca di informazioni specifiche in untesto senza leggerlo analiticamente; richiede quindi un tempo limite,come in questo esempio:

In un minuto, trovare – se Cappucetto Rosso trova nel bosco un uomo o un animale;– se nella casa dove va Cappucetto Rosso trova un uomo o un

animale;– se Cappuccetto Rosso muore o non.

Certamente questo esempio è molto semplice, ma ci serve per farnotare come lo scanning possa essere considerato come una variantedello skimming visto nella Attività 40. In realtà questo tipo di attivitàè più adatto a testi più lunghi e complessi e a differenza di altre tec-niche non crea stress perché si trasforma in una sorta di gara di rapi-dità e intuizione. In realtà, mentre si cerca un dettaglio, inevitabil-mente si finisce per farsi un’idea generale del contenuto del testo equindi si recuperano le informazioni che serviranno per la compren-sione completa, successivamente.

Attività 43: l’ascolto selettivo finalizzato all’apprendimento

È un’attività (teorizzata negli anni Cinquanta da Eugene Nida) adattaall’itaL2 più che alla lingua straniera, dove l’apprendimento (cioè lacomprensione analitica e la focalizzazione su forme linguistiche) av-viene prevalentemente sulla versione scritta del testo precedente-mente ascoltato.

In itaL2, dove l’input è continuo durante tutta la giornata, è possi-bile chiedere agli studenti stranieri di focalizzare alcune forme men-

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Attività 44: la lettura analitica finalizzata all’apprendimento

L’ascolto avviene in tempi rapidi, che consentono la comprensionema non l’analisi; questa, soprattutto nelle lingue straniere dove le oredi esposizione sono poche, e nelle lingue classiche che non prevedo-no esperienze di ascolto, va compiuta sulla trascrizione di testi ascol-tati oppure su testi scritti, dove l’insegnante può focalizzare alcuniobiettivi linguistici chiedendo allo studente, che ha già compresoestensivamente il testo, di completare la sua comprensione anche inalcuni dettagli e, allo stesso tempo, notare un dato aspetto formale,che costituisce uno degli obiettivi dell’attività.

Abbiamo evidenziato «allo stesso tempo» perché si attua in talmodo un raccordo tra l’acquisizione spontanea, risultato della com-prensione dell’input (purché si verifichino alcune condizioni), e l’ap-prendimento razionale.

tre ascoltano la televisione, parlano con gli amici, leggono un gior-nalino: ad esempio

– come ci si saluta, come ci si presenta ecc., in una prospettiva fun-zionale;

– che modo verbale si usa dopo il verbo «volere», per una riflessio-ne morfosintattica;

– quali verbi di movimento si usano nella telecronaca di una partitadi calcio, per un arricchimento lessicale.

Il compito viene eseguito fuori dal tempo-scuola; al ritorno ascuola, i risultati delle diverse esperienze degli studenti vengonoconfrontati e integrati, costituendo la base per una riflessione lingui-stica e una formalizzazione di quell’aspetto.

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Attività 45: la transcodificazione

Uno dei problemi specifici dell’educazione linguistica, come abbia-mo notato in 1.2.1, è il fatto che la lingua costituisce sia l’oggetto diacquisizione, di apprendimento o di perfezionamento, sia lo stru-mento per queste operazioni. La transcodificazione cerca di aggirarequesto problema, così come pure la Total Physical Response che ve-dremo nell’Attività 46.

Come indica il nome, la transcodificazione implica il passaggio daun codice a un altro: si parte da un testo linguistico scritto o orale e losi traduce in un codice visivo o cinesico, come i questi esempi:

– il testo (orale o detto dal docente o da un compagno) dà le istruzioniper muoversi sulla mappa di una città e lo studente, segnando il per-corso con una matita, giunge a un preciso luogo: la correzione constanella semplice dichiarazione del luogo raggiunto e, in caso di errore,la traccia a matita serve per individuare il punto in cui la compren-sione non è stata buona; è una buona tecnica per la fissazione dellenozioni e delle espressioni relative allo spazio e al lessico della città;

– il testo (scritto o detto dal docente o da un compagno) dà le istru-zioni per un disegno che deve essere eseguito dagli studenti o daun compagno: ad esempio, su un foglio diviso da una linea oriz-zontale che può indicare l’orizzonte marino o da una linea ondula-ta che indica un profilo di colline, si devono collocare alberi, case,automobili ecc. a seconda di quanto viene «dettato»; nello schemavuoto di una stanza collocano gli elementi dell’arredamento, inuna strada si disegnano i vari tipi di negozi, e così via. Anche inquesto caso comprensione e fissazione nozionale o lessicale ven-gono ben sostenute da questa tecnica;

– il testo orale, di solito pronunciato dall’insegnante, descrive unascena e delle azioni che devono essere mimate da uno o più stu-denti; la tecnica è motivante e può servire come momento di alleg-gerimento in una lezione lunga.

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Attività 46: la Total Physical Response

Nelle transcodificazioni viste sopra (Attività 45) si traduce da un codi-ce all’altro, mentre nella TPR si lavora direttamente alla comprensionesenza traduzione intercodica: l’insegnante dà ordini, dirige un’attività,e gli studenti eseguono quanto richiesto. Si tratta di un’attività utilenelle fasi iniziali di un corso di lingua straniera o di itaL2 e il suo gran-de pregio consiste nel rispettare il cosiddetto «periodo silenzioso» cheè tipico di questa fase, quando lo studente si sente ancora troppo fragi-le sul piano linguistico per procedere alla produzione, operazione cheinerirebbe un filtro affettivo tale da bloccare o rallentare l’acquisizione.

4.3 � Lo sviluppo della comprensione in ItaL1 e in livelliavanzati di altre lingue

La attività viste nel paragrafo precedente possono essere una guida ancheper lo sviluppo della comprensione da parte di studenti madrelingua chehanno difficoltà, anche se vanno condotte con testi più lunghi e comples-si di quelli utilizzati per studenti in fase di acquisizione di base. In gene-rale, tuttavia, con studenti di madrelingua o studenti avanzati di linguenon native può essere più produttivo privilegiare due classi di tecniche che

– hanno molte varianti, e quindi soddisfano il requisito della varietà in-dicato da Schumann (1997) come fondamentale per la motivazionead affrontare un input in maniera produttiva per imparare;

– non creano ansia, quindi non inseriscono il filtro affettivo;– possono essere svolte a casa senza dare la sensazione di dover fare

compiti tradizionali;– possono essere predisposte dagli stessi studenti, coinvolgendoli in tal

modo nelle attività volte al recupero di lacune;– si prestano sia alla correzione collettiva sia a quella autonoma.

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Attività 47: il completamento di testi mutilati (proceduracloze e varianti)

Il principio è estremamente semplice:

a. si prende un testo e lo si mutila di alcune sue parti, b. si chiede allo studente di ricreare il testo originario o, quanto me-

no (ma non è rilevante sul piano dello sviluppo dell’abilità di com-prensione), di fornire un testo dotato di significato anche se in par-te differente da quello originale.

In tal modo si costringe lo studente a considerare i suoi problemidi comprensione non sulla base delle singole parole che non cono-sce, con conseguente ricorso al dizionario, ma come problemi testua-li globali: solo considerando il testo nel suo complesso, infatti, lostudente può intuire quali parole o espressioni o spezzoni mancano epoi ipotizzarli, prevederli, per verificare infine sul testo originale sela sua ipotesi era giusta o, quanto meno, accettabile (in quanto puòessere stato inserito un sinonimo oppure un altro elemento lessicaleche rientra nel paradigma delle possibilità accettabili).

La principale forma assunta da questa attività è la procedura cloze,che consiste nell’inserire le parole mancanti in un testo: si lascianointegre le righe iniziali, per consentire allo studente una prima conte-stualizzazione, e poi si elimina ogni settima parola. L’allievo dovràinserire una parola appropriata, anche se non si tratta di quella effet-tivamente cancellata: per farlo deve necessariamente cercare di avereuna visione globale del testo, o almeno del periodo o della frase, e sutale base immaginare che cosa può essere stato detto o scritto nellaparola cancellata.

Si possono avere diverse varianti:

a. cloze «a crescere»: si inizia eliminando ogni settima parola, poi sipassa a cancellare ogni sesta o anche ogni quinta parola;

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b. cloze facilitato, che presenta in calce le parole da inserire (spessocon l’aggiunta di una parola inutile: trovare l’intruso aggiunge untocco ludico a questa tecnica);

c. per mezzo del registratore audio o video è possibile eseguire deicloze orali inserendo una pausa di quando in quando: lo studentecerca di immaginare non tanto la parola quanto la frase o il concettoche seguiranno; si toglie poi la pausa e la correzione è immediata;

d. cloze realizzati con strumenti alternativi all’eliminazione di ognisettima parola: ad esempio, piegando il lato della fotocopia si fascomparire un centimetro o due del testo, a sinistra o a destra: percorreggere la propria esecuzione basterà riaprire la fotocopia e ve-rificare se le proprie ipotesi sono giuste; oppure si può incollareuna strisciolina di carta o un nastro adesivo-rimovibile di traversosul testo, creando quindi un vuoto casuale che va riempito: percorreggere, basterà rimuovere la striscia e verificare l’originale.

Questa tecnica, che è una sorta di gioco con se stessi, consente didiscutere gli errori uno per uno in fase di correzione, chiedendo diricostruire il percorso mentale che ha portato all’errore: in tal modol’errore diviene fattore positivo, di crescita cognitiva e linguistica, enon ha effetti frustranti.

Il cloze viene usato proficuamente anche per il testing ed esistonodei software che trasformano in un cloze qualunque file scritto inWord. (Per approfondimento su questa tecnica cfr. Oller, 1979 e Ma-rello, 1989, che offre un’ampia bibliografia).

La seconda famiglia di attività che possono essere usate per lo svi-luppo dell’abilità di comprensione è la ricomposizione di testi frantu-mati e poi scompaginati come tessere di un puzzle, che offrono il testocompleto solo dopo che sono state accostate in modo che ciascuna va-da nell’unica posizione in cui può andare. Nel nostro caso, si tratta difrantumare un testo (verbale o verbale + visivo) e di chiedere di ri-comporlo: come per l’esecuzione di un puzzle è necessario aver osser-vato con attenzione il disegno globale, così per la ricomposizione diuna testo è necessario osservare globalmente i vari segmenti a disposi-zione, e solo dopo, costruita la comprensione globale del significato,si può procedere ad analizzare i singoli segmenti (frasi, spezzoni, pa-

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role ecc.) per ricondurre il tutto alla sintesi finale. Nessuna tecnicarealizza più e meglio di questo gruppo di tecniche il percorso gestalti-co della (ap)percezione, quella stringa globalità → analisi → sintesi.

In tutti i casi si tratta di tecniche (spesso assai complesse e talvoltadifficili da portare a buon esito, anche se la prima impressione dellostudente è quella di attività semplici e rapide) che non attivano alcunfiltro affettivo, in quanto si presentano come gioco enigmistico, comesfida giocosa con le proprie capacità logiche prima che linguistiche.

Inoltre, questa famiglia di tecniche presenta un grande vantaggio intermini di autovalutazione in intinere: mentre in altre tecniche un errorein un item non impedisce di rispondere correttamente agli altri item, nelriordino blocca la possibilità di concludere l’esercizio: se si deve riordi-nare una serie di paragrafi o ricostruire un dialogo partendo dalle battu-te date in ordine casuale, un errore implica che a fine esercizio un para-grafo o una battuta rimangono inutilizzati, per cui si ottiene un feedbackin progress, lo studente viene informato che la sua ipotesi è errata equindi è necessario rivedere il tutto: nessuna tecnica glottodidattica hauna simile potenza nell’agire nel processo del farsi del significato.

Va notato che il prodotto finale non è necessariamente il testo ori-ginale che era stato frantumato: l’importante è che il risultato sia untesto où tout se tient, sul piano situazionale, semantico, testuale,morfosintattico. Per la loro facilità di realizzazione pratica, le attivitàpossono essere predisposte dagli stessi allievi, ad esempio tagliando isingoli periodi di un testo senza averlo letto e poi cercando di rico-struire l’ordine originale: il processo di crescita cognitiva nelle stra-tegie di comprensione può dunque essere autogestito una volta che lesue linee e ragioni siano state presentate agli studenti.

Questa forma di «puzzle» si presenta secondo più varianti, a se-conda che si lavori su testi dialogici (forniti in trascrizione scritta),su testi in prosa oppure su testi verbo-visuali come i fumetti. Per por-tare a termine il compito, gli studenti sono costretti a

– comprendere in maniera estensiva il contenuto di tutti i frammenti;– considerarli globalmente per elaborare un’ipotesi;– procedere a una lettura analitica dei singoli frammenti per indivi-

duare elementi di coerenza, coesione, sintassi che consentano di

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115Lo sviluppo delle abilità ricettive

confermare l’ipotesi: è una lettura molto «grammaticale», chemette in secondo piano il lessico, in quanto il compito è eseguibi-le anche se molte parole non vengono precisamente comprese.

Si può lavorare, dicevamo, su vari tipi di testo, come vedremo nel-le Attività che seguono.

Attività 48: la ricomposizione di dialoghi

Si presentano dei dialoghi le cui battute sono state scompaginate e lostudente deve restaurare l’ordine iniziale. Questa tecnica può essererealizzata in diverse varianti, caratterizzate da un grado crescente didifficoltà:

– la più semplice presenta un dialogo in cui le battute di un perso-naggio sono scritte nella successione corretta, mentre quelle delsecondo personaggio vengono stampate (oppure fatte ascoltare)secondo un ordine casuale: gli studenti devono inserire nel puntocorretto del dialogo il numero della battuta;

– si possono anche offrire le battute dei due personaggi in due bloc-chi, ciascuno dei quali contiene le battute di un singolo personaggiodate in ordine casuale, rendendo molto più complesso il compito;

– ancora più complessa risulta la variante in cui si mettono in ordinealfabetico le battute (operazione semplicissima con il computer)di entrambi i personaggi: tuttavia, per rendere eseguibile quest’ul-tima variante può essere necessario descrivere la situazione in mo-do da consentire di attivare la grammatica dell’anticipazione.

In tutti questi casi la soluzione si basa anzitutto su considerazionedi ordine pragmalinguistico e, insieme, di carattere semantico, men-tre gli aspetti morfosintattici vi giocano un ruolo molto ridotto.

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Attività 49: l’incastro tra paragrafi di un testo in prosa

Si prende un articolo di giornale, un racconto, una lettera o qualun-que altro tipo di testo; se si lavora su un testo fisico, di carta, basta ta-gliare i paragrafi, spargerli sul vetro del fotocopiatore in maniera ca-suale e poi fotocopiare, chiedendo agli studenti di numerare i para-grafi secondo la sequenza corretta; lavorando con un testo elettroni-co l’operazione è ben più semplice, in quanto il computer può se-quenziale in ordine alfabetico i singoli paragrafi agendo su un unicocomando, alla voce «Tabelle».

È un tecnica specifica per lavorare sia sulla coerenza testuale siasugli indicatori metacomunicativi («in primo luogo», «inoltre», «in-fine» ecc.) e può servire per il testing.

Attività 50: il riordino di testi

È una variante più complessa delle precedenti. Si presentano all’allievo dei testi autonomi ma correlati tra di loro:

uno scambio di mail; la sequenza tra una legge, la notifica della suacontravvenzione, il sollecito di pagamento, l’attestato di avvenutopagamento; la richiesta di fondi per una ricerca scientifica, la deter-minazione delle attrezzature necessarie, il loro ordinativo, le fatture,gli appunti dell’esperimento, la relazione conclusiva ecc. Gli allievidevono indicare la corretta sequenza dei vari testi.

La base di questa tecnica va individuata nella comprensione dellasuccessione logica e/o temporale, e ciò mette in moto l’intero pro-cesso di comprensione testuale a livello di evento comunicativo, nonsolo di singolo testo.

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117Lo sviluppo delle abilità ricettive

Attività 51: l’incastro tra testo visivo e battute verbali in un fumetto

È una variante assai motivante per gli studenti, ma molto più com-plessa di quanto essi ritengano di primo acchito. Si possono realiz-zare più varianti di questo tipo di incastro:

a. in un primo caso, le vignette vengono presentate nell’ordine cor-retto e le battute vengono date in ordine casuale in calce; l’allievodeve riportare nel fumetto il numero corrispondente a ogni battutao collegare battuta e vignetta con una freccia;

b. in una seconda versione le vignette, che includono le battute, sonoritagliate e poste in ordine casuale. Ogni vignetta è contrassegnatada un numero. L’allievo deve indicare la successione corretta dellevignette, cioè la sequenza dei numeri – il che rende l’esercizio ra-pidissimo da correggere;

c. una terza versione, assai complessa, presenza in ordine casuale siale vignette sia le battute, da collegare con linee oppure accoppian-do le lettere che indicano le vignette ai numeri che corrispondonoalle battute («A5», «C4» ecc.).

Anche in questo tipo di incastro la expectancy grammar viene atti-vata dalla considerazione globale della dinamica situazionale e poiviene guidata dai legami di coesione e coerenza testuale, dalla com-petenza pragmatica e dalla sintassi. (Per un approfondimento sullarelazione tra disegno e lingua in un fumetto cfr. Benucci, 1995).

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Attività 52: la ricostruzione di una frase a partire dai suoi sintagmi

Mentre le attività precedenti lavoravano a livello di testo, in questo casosi opera a livello di spezzoni di frase, dati in ordine casuale e da ricom-porre. Si tratta di un tipo di attività presente in molti materiali didattici,ma spesso senza consapevolezza della duplice natura dei processi coin-volti, che possono essere di carattere lessicale oppure morfosintattico.

Un’esemplificazione può essere chiarificatrice. In entrambi i casivengono presentate due colonne di spezzoni di frase (semplicissimenei nostri esempi, per evidenziare la natura della grammatica chepermette di fare le ipotesi), da unire tracciando una freccia tra il seg-mento iniziale, nella colonna a sinistra, e quello conclusivo, nella co-lonna a destra.

a. Le ragazze si sono bagnatib. Le automobili hanno l’airbagc. I ragazzi si sono calmated. I motorini hanno la codae. I cani hanno due ruote

Le frasi «a» e «c» vanno risolte su base sintattica (sia i ragazzi siale ragazze possono bagnarsi e calmarsi, quindi la concordanza di ge-nere è l’unica possibile guida), mentre le altre frasi si basano sullaconoscenza del mondo. Il compito richiede di osservare l’intero uni-verso della colonna sinistra e poi di quella destra, creando una visio-ne globale delle possibilità di combinazione, attivando strategiemorfosintattiche o lessicali per poter fornire la soluzione.

È una tecnica ritenuta infantile, troppo semplice, ma se gli itemsono scelti con acutezza può essere estremamente complessa; trat-tandosi di una sfida quasi enigmistica, può essere assai motivante,soprattutto se la richiesta di eseguire la ricostruzione in due o tre mi-nuti inserisce un elemento ludico sotto forma di gara.

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119Lo sviluppo delle abilità ricettive

Attività 53: la ricostruzione di una frase a partire dalle singole parole

Anche questa variante dell’incastro, così come l’Attività 52, è rite-nuta adatta solo a bambini, ma se ben spiegata, se corretta come ve-dremo con un’analisi dei percorsi mentali, se trasformata in garaconsentendo di lavorare solo un minuto per ogni frase, essa può esse-re accettabile anche ad adolescenti e adulti.

Le parole vengono date in successione casuale o alfabetica e si de-ve ricomporre la frase di partenza o una frase accettabile, come inquesti esempi:

a. a aiuta conservare controllo della il la pressioneregolare salute

b. a aiuta avere conservare controllare di lapressione regolare salute una

In entrambi i casi probabilmente è la parola «salute» a richiamarele conoscenze pregresse; infatti, «controllo/are», «conservare», «re-golare» sono dei predicati troppo vaghi senza un argomento che liprecisi; «pressione» è una parola assai più focalizzata, ma spinge ver-so tre campi semantici diversi, quello degli pneumatici, quello dellestrutture che contengono o trasportano acqua o gas, quello socio-psi-cologico della «pressione» posta su una persona, un’istituzione ecc.

Il processo seguito da una persona efficiente nel comprendere èarticolato in (almeno) queste fasi:

– individuare tra le parole di classe aperta (quindi non i pronomi, gliarticoli ecc.) quelle con l’area semantica più precisa («salute»);

– vedere se un’altra parola insiste sulla stessa area semantica («pres-sione», precisamente quella del sangue);

– recuperare tra le proprie conoscenze del mondo i nessi tra salute epressione: questa infatti va «controllata», deve essere«regolare/ata»; la salute va «conservata»;

– procedere sul piano morfosintattico a formulare le ipotesi di frasi.

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Nell’esempio che abbiamo offerto abbiamo inserito un disturbo,la parola «regolare», che in un caso è aggettivo e nell’altro è verbo,per cui può generare ipotesi sbagliate, che vengono falsificate primadi poter concludere la frase e quindi richiamano l’attenzione su que-sta ambiguità dell’italiano.

Questa variante dell’incastro può essere estremamente stimolanteanche per un pubblico adulto, soprattutto se poi uno studente è chia-mato a spiegare il processo mentale che ha seguito (think aloud pro-tocol): in tal modo le strategie di uno studente vengono sottoposte acritica dalla classe, se ha generato una frase errata o non ha consenti-to di completare il compito, o diventano modello da seguire se si èdimostrata efficace.

Attività 54: l’accoppiamento lingua-immagine

Tecnicamente fa parte delle tecniche di ricomposizione di un’unitàsemantica verbo-visuale che unisce un’immagine e una sua descri-zione (orale o scritta): proprio per la mancanza di una dinamica dievoluzione della situazione e per il ricorrere a testi verbali descrittivie non dialogici essa si differenzia dall’incastro tra vignette di un fu-metto che abbiamo visto nell’Attività 51.

Si presenta agli allievi una serie di immagini (disegni alla lavagna,fotocopie, cartelloni, pagine pubblicitarie di giornali ecc.); ogni im-magine è contrassegnata da una lettera. Gli allievi esplorano le im-magini, poi ascoltano o leggono brevi testi descrittivi che si riferi-scono alle immagini; i testi sono numerati. L’esecuzione consiste nel-l’accoppiare il numero della descrizione e la lettera che identifical’immagine (ad esempio, A2, C1, B3) e quindi la correzione è facilee rapida.

Si sviluppa in tal modo la capacità di prevedere quali dettagli del-l’immagine potrebbero essere significativi ai fini della comprensio-ne e quindi la parte propedeutica può essere più produttiva che l’e-

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secuzione della stessa attività di accoppiamento: ad esempio, se silavora su tre foto di visi femminili, verranno richiamati alla memo-ria per essere probabilmente utili nella comprensione nozioni e les-sico quali i colori dei capelli, delle labbra e degli ombretti, le parti ele espressioni del viso, ornamenti quali orecchini, diademi, collane,piercing ecc.

Una variante più complessa utilizza due gruppi di immagini dacorrelare seguendo le indicazioni linguistiche. Ad esempio, si puòpresentare il disegno che riproduce l’interno di una stanza vuota; ac-canto vengono disegnati i vari elementi dell’arredamento (sedia, te-lefono, tavolo, vaso di fiori, poltrona ecc.): il testo descrive la stanzaarredata e l’allievo traccia delle frecce «collocando» ogni elementoal punto giusto.

L’accoppiamento è utile per la verifica della comprensione sia glo-bale (saper cogliere il senso di una descrizione e accoppiarla, adesempio, all’immagine corrispondente) sia di dettagli (quando le im-magini sono simili e si differenziano solo per alcuni particolari: adesempio, differenti relazioni di spazio tra gli stessi oggetti).

Attività 55: l’ascolto plurilingue

È un’attività adatta a studenti avanzati di lingue straniere, ad esempioun liceo linguistico o altre scuole con almeno due lingue straniere.

Per essere realizzata richiede un televisore collegato a un satellite,in modo che sia possibile seguire un evento internazionale (l’insedia-mento di un presidente, una partita di calcio, l’apertura delle Olim-piadi, una catastrofe naturale così via) cambiando ogni due o tre mi-nuti dalla trasmissione in italiano a quella della BBC, di France 24, ecosì via. Il risultato è duplice:

a. dopo poco tempo, quasi non ci si accorge del fatto che si cambiaaudio: molta della comprensione è affidata all’immagine, che vie-

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ne descritta dal commento giornalistico, e questo fil rouge seman-tico visivo permette di rafforzare l’abitudine a «capire con gli oc-chi» oltre che basandosi sull’informazione linguistica, abitudineessenziale per chi deve comunicare in lingua straniera;

b. spesso durante l’attività stessa, ma comunque sempre alla sua con-clusione, il commento degli studenti verte sulla differenza (abissalein casi come la telecronaca sportiva) nel modo in cui un testo lingui-stico che descrive lo stesso evento è realizzato nelle le varie culture.

Un’attività di questo tipo è adatta a fornire compiti specifici pergli studenti eccellenti: ne migliora i processi di comprensione senzaindurre avanzamenti particolari rispetto alla media della classe in ter-mini specifici di lessico o di accuratezza morfosintattica – migliora-mento, quest’ultimo, che allargherebbe lo iato tangibile, concreto tragli eccellenti e il resto della classe (Caon, 2008). Una variante piùcomplessa di questa tecnica è all’Attività 56.

Per la sua caratteristica di sfida oltre che per il fatto di essere lega-ta alla realtà extrascolastica è una tecnica ben accetta e motivante.

Attività 56: l’intercomprensione tra lingue romanze

Lo studente cui facciamo riferimento è di madrelingua italiana, o co-munque ha una buona conoscenza dell’itaL2, e spesso ha una com-petenza almeno ricettiva di un dialetto, cioè di una seconda lingua ro-manza; se studia anche il francese o lo spagnolo è possibile procede-re a una dimensione nuova della comprensione, quella spontanea chesi ha tra lingue della stessa famiglia di altre lingue conosciute.

Le esperienze di intercomprensione possono essere realizzate sutesti scritti e orali:

a. l’intercomprensione orale si può realizzare applicando il percorsodella Attività 55: se ad esempio gli studenti hanno il francese nel

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4.4 � Due tecniche molto diffuse, la «domanda» e la «sceltamultipla»

Abbiamo evitato di trattare tra le attività per lo sviluppo della compren-sione, pur citandole passim, due tecniche che fanno parte della tradizio-ne della verifica della comprensione, ma che possono anche essere usa-te per guidarla.

123Lo sviluppo delle abilità ricettive

loro curricolo scolastico, si può ogni tanto inserire uno spezzonedi commento anche di una televisione spagnola e gli studenti sco-prono con loro sorpresa che sono sostanzialmente in grado dicomprendere; si può fare anche un’esperienza di portoghese, maquesta lingua, così come il rumeno, è abbastanza periferica rispet-to al nucleo centrale delle lingue romanze per cui la comprensionepuò essere ridotta – ma mai assente;

b. l’intercomprensione scritta invece è più facile da realizzare diquella orale: si legge un testo nella lingua non studiata, possibil-mente di argomento noto in modo da non costituire un problema:lo scopo non è solo quello di scoprire la possibilità di intercom-prensione (con un buon risultato motivante: le lingue romanze so-no spesso ritenute inutili dagli studenti, e scoprire che studiarefrancese consente di comprendere lo spagnolo è produttivo), maquello di focalizzare l’attenzione sui meccanismi di analogia chehanno consentito di comprendere una lingua non conosciuta.

L’intercomprensione tra lingue della stessa famiglia (nelle righe pre-cedenti abbiamo fatto riferimento alle lingue romanze, ma proporre untesto in fiammingo a studenti di inglese e tedesco produce gli stessi ef-fetti) è una delle linee di politica linguistica dell’Unione Europea, co-me dimostra la serie di progetti su questo tema che sono stati finanzia-ti negli ultimi quindici anni (sono descritti nel saggio di Tost nel libroitaliano che offre il più ampio sguardo su questa nuova frontiera glot-todidattica, Benucci, 2005; sul tema vedere anche Jamet, 2007).

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a. La domandaLa più classica di queste tecniche è la domanda, che ha il pregio di andaredirettamente al punto che si vuole far notare o verificare, ma che presentaalmeno tre problemi. Da un lato la domanda è un falso pragmatico: non sichiede una cosa che non si sa, ma qualcosa di cui si conosce già la rispo-sta. È quindi un’attività assai poco motivante, mal accetta da parte deglistudenti e pone l’insegnante in funzione di giudice. Questo difetto può es-sere aggirato sia attraverso la formulazione della domanda: «leggi è trovaqueste informazioni», una griglia come quella vista nella Attività 41, e co-sì via. Il secondo problema è costituito dalla lingua in cui viene posta ladomanda: se la si pone in italiano, come è ovvio nelle lingue classiche manon è tradizione nelle lingue straniere, la domanda offre un implicito sug-gerimento alla comprensione, fornisce lessico che potrebbe altrimenti es-sere ignorato; se la si pone in lingua straniera, si aggiunge difficoltà a dif-ficoltà e la risposta non è sempre attendibile in quanto a non essere com-presa può essere la domanda e non il testo. Infine, la scelta di chiedereuna risposta in lingua straniera sposta l’attenzione dalla comprensione al-la produzione, spesso ridotta a una mera ricopiatura. A parte queste con-siderazioni sull’opportunità di usare sistematicamente le domande (di-scussione per il cui approfondimento di rimanda a Morgan, Saxon, 1991),ricordiamo che le domande sono di due tipi profondamente differenti:

– le domande referenziali trovano la loro risposta nel testo, per cui lacomprensione si riduce alla ricerca di una risposta possibile ed è mol-to guidata dalla domanda stessa, che quindi conviene usare in questaversione solo per le fasi iniziali di approccio a un testo;

– le domande inferenziali costringono a ragionare sul testo, ad andarepiù in profondità, e dimostrano una comprensione più accurata; sonomeno meccaniche e quindi più stimolanti cognitivamente.

b. La scelta multiplaEsistono più varianti; le più comuni sono quelle a doppia possibilità, disolito indicate come «vero/falso», e quella a tre o quattro possibilità. Insede di testing questa tecnica è assolutamente inaffidabile, in quantoconsente una risposta casuale con alte possibilità di essere corretta; sipossono introdurre due correttivi:

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– si chiede di giustificare la scelta, ma questo introduce un elemento discrittura in prove di comprensione;

– si inserisce un distrattore, cioè una delle possibilità di scelta, assolu-tamente incoerente e chi lo sceglie viene penalizzato di un punto, percui le possibilità di guadagnare un punto con una risposta casualeviene annullata dalla pari possibilità di perderlo: ma si tratta di unaprocedura macchinosa, che può servire più da deterrente che da pro-cedura reale (a meno che questa non avvenga automaticamente conun computer che può essere programamto in questo senso.

Creare scelte multiple è tecnicamente facilissimo, e alcuni program-mi di computer dedicati agli insegnanti hanno procedure automatizzateper crearle; è tuttavia assai meno semplice creare scelte multiple affida-bili, perché spesso i distrattori sembrano chiari, in quanto il docente sagià la risposta, ma possono risultare ambigui o addirittura fuorvianti perchi non la conosce (il tema è ampiamente discusso in Oller, 1979).

4.5 � Il contributo delle glottotecnologie

La presentazione di input sonori richiede tecnologia, a meno che non sialo stesso insegnante a declamare il testo, con tutti i problemi di autenti-cità nella pronuncia, nel ritmo, nei tratti sovrasegmentali nelle lingue stra-niere, ove l’uso del registratore audio o del lettore di CD è quindi unacondizione necessaria. Il pregio di una registrazione sonora autentica stanella sua reiterabilità senza modifiche oltre che nella semplicità dellamacchina, il registratore, lo svantaggio risiede nella deprivazione di quel-le componenti extralinguistiche e situazionali che tanto ruolo hanno nellacomprensione autentica – ma in questo senso può ovviare l’uso del DVD,più complesso perché richiede un proiettore o un televisore, ma molto piùmaneggevole della videocassetta, che implica riavvolgimenti che non ri-tornano mai al punto desiderato, con perdita di ritmo e attenzione).

Il computer è un grandioso serbatoio di testi per la comprensione, siaorali (quasi tutte le catene televisive hanno sezioni on line, e in rete si tro-vano anche canzoni, film, pubblicità, documenti autentici di ogni tipo su

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YouTube ecc.) sia scritti (dai giornali quotidiani alla gran parte della lette-ratura classica e moderna). All’interno di questa sconfinata banca dati glistudenti stessi possono cercare autonomamente i testi su cui esercitarsi perla comprensione; il gruppo degli studenti eccellenti può cercare testi, co-me ad esempio delle canzoni o delle pubblicità, scaricando i videoclip ogli spot televisivi per un lavoro di comprensione orale e il testo per un la-voro sullo scritto, in modo da predisporre materiale per una lezione diver-sa e motivante, che può coinvolgere tutta la classe. Sempre su computer, cisono molti programmi a disposizione degli insegnanti per la creazione discelte multiple, cruciverba e altre tecniche che possono essere poi stam-pate oppure eseguite dallo studente direttamente su computer. Fatti questirapidi cenni, focalizziamo la nostra attenzione su due attività che richie-dono l’uso della tecnologia e che possono proficuamente essere usate persviluppare la comprensione sia in italiano (con uno scopo di riflessionesulla lingua e sulle sue varietà) sia in lingua straniera (specialmente constudenti intermedi e avanzati): si tratta di attività che possono essere

– riservate agli eccellenti, come strumento di approfondimento;– usate con tutta la classe in momenti di stacco tra due unità didattiche

o come unità d’apprendimento aggiuntiva (cfr. 1.2.3);– oggetto di ulteriore lavoro da parte di studenti in difficoltà, che pos-

sono compiere un percorso domestico aggiuntivo ma comunque mo-tivante, ad esempio, traducendo una canzone che si è ascoltata e com-presa in classe, oppure predisponendo i dialoghi il doppiaggio di unasequenza in lingua straniera.

(Per l’uso di queste attività nella gestione degli studenti eccellenti ein difficoltà si rimanda a Caon, 2008, che riprende molte delle attivitàdescritte in questo volume declinandole per i due gruppi «eccentrici»presenti in una classe, i «secchioni» e i «somari»).

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Attività 57: l’ascolto di canzoni in italiano

Le canzoni costituiscono la principale esperienza letteraria dei giovaniche per ore al giorno hanno nelle orecchie, letteralmente, poesia canta-ta – spesso di qualità letteraria infima, spesso invece di grande pregio.

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Attività 58: l’ascolto di canzoni in lingua straniera

Una canzone è scritta in lingua viva, ha temi vicini agli interessi deigiovani – ma una canzone in lingua straniera è particolarmente diffi-cile da ascoltare perché la musica, soprattutto rock, costituisce un og-gettivo disturbo sonoro: si tratta dunque di testi motivanti ma, biso-gna ricordarlo prima di proporlo, difficili. Ma in questo caso la moti-vazione può essere prevalente rispetto alla difficoltà.

L’analisi di canzoni può essere utile

– per riflettere sulle varietà regionali dell’italiano, in quanto la mag-gior parte dei cantanti non cerca affatto di avere una pronunciastandard, anzi accentua spesso i regionalismi per enfatizzare la vi-cinanza alla lingua parlata; ma soprattutto per riflettere sulle va-rietà giovanili (le canzoni sono segnate in questo senso non solosul piano lessicale ma anche, e molto, su quello morfosintattico) ediacroniche: ascoltare canzoni degli anni Cinquanta e Sessanta peri giovani del XXI secolo è come ascoltare la lingua di un melo-dramma ottocentesco;

– per introdurre alla comprensione della letterarietà, cioè di queitratti linguistici, formali, che differenziano un testo con finalitàestetiche, come le canzoni, da un testo quotidiano; non ci riferia-mo qui solo a canzoni ormai entrate nelle antologie, da pisci spadadi Modugno ai testi di De Andrè, ma anche a canzoni come quelledi Mogol e Battisti, che giocano sull’evocatività del lessico, oquelle di Vasco Rossi che sono dense di metafore e altre figureprofondamente innovate, ma che, come in Sally, possono facil-mente introdurre alla riflessione sul concetto di opera aperta equindi sul ruolo dell’ascoltatore nel completare il testo, nel giun-gere a comprendere quel che non è detto.

(Sull’uso delle canzoni per introdurre alla riflessione letteraria ecome documento storico-culturale si veda Caon, 2005).

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Una canzone va presentata – e internet offre materiali amplissimi,su cui gli studenti si muovono a pieno agio, per cui possono esserechiamati a produrre il materiale – insieme a un buon apparato parate-stuale (vedi Attività 40) su cui lavorare a lungo per ipotizzare il si-gnificato globale. Dopo un primo ascolto che consente di procederea una comprensione globale (Attività 41) si incomincia a lavorare in-tensivamente strofa per strofa, in modo da ridurre la complessità delcompito: si ascolta una strofa, si costruisce il significato possibile, losi verifica riascoltando e, insieme, leggendo il testo trascritto. Finitala comprensione delle varie strofe della canzone, la si riascolta can-ticchiandola, in modo da essere guidati dal ritmo musicale a mante-nere un ritmo linguistico proprio di madrelingua.

È possibile effettuare sulle canzoni riflessioni di carattere morfo-sintattico, ma esse si prestano molto di più a riflessioni culturali o al-l’introduzione all’analisi letteraria (Caon, 2005); alcuni studenti (ma-gari i meno motivati al lavoro scolastico quotidiano) possono essereinvitati a condurre a casa, quindi con i propri ritmi di lavoro persona-li, una traduzione ritmica, in cui cioè il testo italiano prodotto deve es-sere cantabile sullo stesso metro musicale della canzone originale.

Sulla traduzione di canzoni si veda l’Attività 100.

Attività 59: la visione di sequenze di film in italiano

L’educazione cinematografica è, insieme a quella musicale, la grandeassente dalla scuola italiana – e poco conta che la quasi totalità delleesperienze estetiche degli adolescenti e dei giovani riguardino cine-ma e musica. Ai fini dell’educazione linguistica, e non letteraria ocinematografica, comunque, i film possono essere utili per condurreuna riflessione:

– socio-linguistica, come abbiamo detto per le canzoni nell’Attività57, con la differenza che tranne nel cosiddetto cinema-verità, ere-

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129Lo sviluppo delle abilità ricettive

de del neorealismo, le scelte relative alle varietà non dipendonodal gusto del singolo attore ma dalla sceneggiatura e dal regista;

– letteraria, soprattutto laddove il film è basato su un racconto o unromanzo (ma questo aspetto esula dallo specifico dell’educazionelinguistica e quindi ci limitiamo a citarlo);

– traduttologica, in collaborazione con il docente di lingua stranierache abbia presentato una sequenza di film (cfr. Attività 60 e 99): iltraduttore per il doppiaggio non si limita a riportare i dialoghi dal-la lingua straniera all’italiano, ma deve trovare frasi italiane cheabbiano lo stesso numero di sillabe, quindi di movimenti labiali,dell’attore che le pronuncia in lingua originale, e ciò costringe auna ri-scrittura piuttosto che a una traduzione vera e propria; inol-tre, soprattutto con film americani, la povertà delle parolacce e de-gli insulti in inglese viene spesso articolata in maniera del tuttocreativa in italiano, data la vasta gamma di scelte che offre la no-stra lingua; infine, il traduttore di doppiaggio compie scelte di va-rietà regionali che devono richiamare sociotipi e spesso sterotipiequivalenti a quelli che, attraverso la varietà regionale dell’origi-nale, vengono evocati per il destinatario del film originale.

La cosa fondamentale è che l’analisi va condotta, come indicachiaramente il titolo di questa attività, su sequenze: in termini moti-vazionali non è pensabile tornare a fare analisi dopo aver visto l’inte-ro film, e dal punto di vista dell’uso dello scarsissimo tempo scuoladedicato all’italiano non è economico vedere film integrali.

L’uso di film per l’insegnamento dell’itaL2 rientra piuttosto nellaprospettiva che vediamo nell’Attività 60 in ordine alle lingue straniere.

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Fare educazione linguistica130

Attività 60: la visione di sequenze di film in linguastraniera

Guardare un intero film in lingua straniera è stancante anche per idocenti e richiede un’ora e mezza almeno, quindi non può essereun’attività scolastica. La scelta, come abbiamo anticipato nell’Attività 59, può essere soloquella di lavorare su una sequenza, possibilmente di film che gli stu-denti abbiano già visto con doppiaggio in italiano, in modo che sianonoti il contesto e l’intreccio.

I DVD offrono diverse possibilità in quanto di solito presentano ilfilm con la scelta tra il testo linguistico in originale, doppiato, consottotitoli i lingua originale e, spesso, anche in italiano (inteso per inon udenti).

Il percorso può essere simile a quello visto nell’Attività 58 per lecanzoni: un primo ascolto della scena in lingua originale, mirato allacomprensione globale, da condividere poi tra i vari studenti dellaclasse; un riascolto sempre in originale per verificare le ipotesi emer-se e migliorare il livello di comprensione; una terza fase di compren-sione sostenuta/verificata dai sottotitoli in lingua originale, seguitoda un ascolto conclusivo della sequenza doppiata, in funzione di ve-rifica.

Un lavoro supplementare e individuale può essere costituito dal-l’analisi del doppiaggio, che costringe il traduttore a piegare il testoitaliano al ritmo delle battute originali e, dove possibile, ai movimen-ti delle labbra degli attori: studiare le soluzioni delle scuole italianedi doppiaggio, considerate forse le migliori al mondo, può essere uti-le per un lavoro congiunto tra il docente di lingua straniera e quellodi italiano, come visto nell’Attività 59.

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131Lo sviluppo delle abilità ricettive

Attività 61: la visione di pubblicità televisiva in linguastraniera

Separiamo questa attività da quella relativa alla comprensione di se-quenze di film (Attività 60) perché il testo pubblicitario televisivo(spesso pensato per poter essere trasmesso anche per radio, senzasupporto visivo) presenta alcune caratteristiche che rendono partico-larmente difficile la comprensione (anche per i docenti, che possonotrovarsi nella necessità di collaborare con i colleghi di lingue o dichiedere spiegazioni ad amici o corrispondenti stranieri):

– ci sono moltissimi riferimenti culturali, non solo nelle immaginima anche nella lingua, che ricorre intensivamente a proverbi, limodifica, talvolta li stravolge, e usa moltissime figure retoriche egiochi di parole assai sofisticati;

– l’eloquio è spesso molto veloce, perché mai come nella pubblicitàtelevisiva è vero che il tempo è denaro;

– la traducibilità è spesso nulla, o per ragioni culturali o per ragionilinguistiche (si pensi al celebre metti un tigre nel motore che, al dilà del maschilismo che può essere condiviso con altre culture, ri-sulta impossibile nella maggior parte delle lingue europee) – equindi la sfida di tradurre lo spot è motivante, divertente, oltre chedi livello molto alto.

A fronte di questi problemi di comprensione e rielaborazione, tro-viamo una qualità estetica altissima, una cura totale di ogni dettaglio,che porta a testi brevissimi: gli spot integrali, fino ai 30 secondi, so-no comunque disponibili on line, ma in televisione si trovano soloversioni ridotte, dopo che quella completa è stata usata per una o duesettimane in fase di lancio della campagna pubblicitaria.

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CAPITOLO 5

Lo sviluppo delle abilità produttive

Nella tradizione scolastica italiana il monologo (tale è infatti l’abilità diproduzione orale, spesso confusa con il dialogo, che vedremo nel cap.6) è presente sotto forma di interrogazioni letterarie in itaL1 e in lette-ratura latina e greca (talvolta anche in letteratura straniera), mentre laproduzione scritta è presente in italiano sotto forma di tema o di dossierper l’esame di maturità, mentre è meno frequente in lingua straniera eassente in lingue classiche: come si vede, si tratta di situazioni del tuttodifformi, in parte dovute ai diversi livelli di padronanza e al fatto che lelingue classiche mancano di una dimensione orale, in parte frutto dellatradizione, che in questo ambito non è stata scalfita significativamentedall’idea di «educazione linguistica» integrata.

5.1 � La natura della produzione linguistica

La produzione orale (ad esempio la preparazione e la realizzazione diun «monologo» in un’interrogazione o un esame, la discussione di unatesi, la presentazione di un progetto ecc.) e la produzione scritta (i varitipi di composizione, di relazione, di tesi ecc.) si elaborano e realizzanosecondo un percorso abbastanza lineare: c’è una fase di concettualizza-zione, di reperimento delle idee, seguita da una fase di progettazione deltesto, di riordino delle idee; si passa poi alla realizzazione del testo, che

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nel caso di uno scritto può poi essere sottoposto a una revisione. Trattia-mo queste fasi prima di addentrarci nei singoli casi di itaL1 e itaL2 e dilingue straniere e classiche, in quanto si tratta di processi cognitivi fon-damentali, che vanno sviluppati da tutti i docenti impegnati nell’educ-zaione linguistica e che vanno portati alla consapevolezza degli studen-ti attraverso un’esecuzione il più possibile collettiva, in modo da con-sentire il confronto tra le diverse strategie utilizzate nella classe.

5.1.1 Concettualizzazione

In questa fase si reperiscono i contenuti basandosi su procedure sia oli-stiche, quali l’associazione di idee, sia analitiche, consultando enciclo-pedie, internet ecc. Il lavoro a piccoli gruppi o anche quello collettivo diclasse può aiutare a condividere strategie e percorsi.

133Lo sviluppo delle abilità produttive

Attività 62: il brainstorming e il diagramma a ragno

Sono due varianti di un’attività essenzialmente legata all’attività del-l’emisfero destro del cervello, alla sua capcità associativa, al suo es-sere svincolato dalla logica sequenziale o causale dell’emisfero sini-stro – e questo, in una scuola che da secoli privilegia l’analisi, ilbrainstorming è un percorso difficile; soprattutto è difficile convince-re gli studenti che nulla di quel che diranno sarà considerato stupido.

Il brainstorming è una vera e propria «tempesta nella mente» in cui,senza riflettere troppo e lasciando libera l’attività associativa, si butta-no giù appunti, spezzoni di idee ecc. Va da sé che un brainstorming digruppo dà risultati di gran lunga superiori a quello svolto da soli, per-ché incamera i suggerimenti e le aperture associative di più menti. Ilbrainstorming può essere svolto collettivamente, con l’insegnante cheappunta alla lavagna alcune parole chiave a futura memoria.

Una forma più strutturata di brainstorming – più adatta alle intelli-genze visive – è il diagramma a ragno o spidergram: si scrive la paro-la chiave (o le due/tre parole chiave del tema da trattare) in un cerchio

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5.1.2 Progettazione del testo

In questa seconda fase si trasformano le idee, le associazioni, le metaforeemerse nella prima fase in una scaletta, in un flowchart, in una strutturaconcettuale che fornirà al testo il filo del discorso, la coerenza testuale.

Se nella prima fase, quella di concettualizzazione, ha dominato laprospettiva associativa, anarchica, durante la progettazione si è nel mo-mento della strutturazione analitica. Ancora una volta, come si vede, sisegue il percorso neurolinguistico che muove dalla globalità per prose-guire con l’analisi e approdare alla sintesi conclusiva, cioè la stesura.

Gli studenti non sono di solito consapevoli che la scaletta può prelu-dere non solo ai testi scritti ma anche a quelli orali – e gli insegnanti nonhanno l’abitudine di lasciare qualche minuto allo studente per crearsiuan scaletta prima o durante un’interrogazione…

5.1.3 Realizzazione del testo

È la fase conclusiva in cui si produce un testo orale (monologo libero osu traccia) o si procede alla stesura del testo scritto (composizione, rela-zione, saggio).

Fare educazione linguistica134

al centro di un foglio: il cerchio costituisce il «corpo» del ragno dalquale si distaccano le varie «zampe», cioè altre parole o frasi unite al-la prima con una linea: ne risulta uno schema del tipo di quello vistonell’Attività 12. Queste parole-zampa emergono per associazione diidee oppure per conseguenza logica; ogni parola nuova può proseguirein una ulteriore stringa di parole oppure creare a sua volta una nuovacostellazione; nelle lingue straniere, una volta effettuato il diagrammasi cercano sul dizionario le parole che si sono inserite in italiano per-ché sconosciute in lingua straniera. Il ricorso al dizionario è rinviatonel tempo, per evitare che la pausa faccia perdere il filo del discorso.

La concettualizzazione libera è fondamentale per non restare pri-gionieri della fase analitica della progettazione dei testi, che nella tra-dizione è invece l’unica prima della stesura.

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È in questa fase che emergono le carenze lessicali e grammaticali, iproblemi di struttura testuale e sintattica. Nella realizzazione orale, unasoluzione sta nell’imparare a semplificare le frasi; nella scrittura, oltrealla semplificazione strutturale vista per l’orale, la procedura migliore èquella di non interrompere il filo del discorso durante la stesura per an-dare a cercare parole sul dizionario o informazioni su una enciclopediao una grammatica di riferimento: si lasciano dei vuoti e si procederàpoi, in sede di revisione, alla loro integrazione in lingua straniera.

Nell’oralità, la rilettura è ovviamente impossibile, ma il riascoltodella registrazione del proprio monologo come «prova generale» pri-ma della realizzazione pubblica del monologo può essere molto utile(cfr. 5.6).

La rilettura è invece naturale nei testi scritti, ma essa comporta un ri-schio: se si è lavorato a lungo alla progettazione e alla stesura di un te-sto, lo si conosce quasi a memoria: per evitare che la memorizzazioneimpedisca di vedere gli errori, le rigidità, le goffaggini, conviene lasciarpassare un certo tempo tra stesura e rilettura; in secondo luogo, convie-ne rileggere in due tempi dedicando dapprima attenzione alle strutturesintattiche (ogni frase ha tutti i componenti necessari? sono concordati?sono introdotti dalle preposizioni giuste?) e poi focalizzando gli aspettimorfologici (il passato del verbo x è regolare? il plurale di questa paro-la si forma così o no?).

(Per approfondimenti sui processi di scrittura, oltre ai testi citati co-me fonti generali sulle abilità, cfr. Guerriero, 2002).

5.2 � La produzione di monologhi in ItaL2 e nelle linguestraniere

Questo tipo di studenti è caratterizzato dalla scarsa padronanza che, nelmonologo, è più sensibile a livello lessicale che morfosintattico; ciono-nostante, l’esercizio al monologo è fondamentale se viene legato alla re-gistrazione della performance, in modo da poterla poi riascoltare (o ri-vedere) discutendo le scelte fatte, gli errori, le difficoltà, ma anche va-lorizzando le buone riuscite.

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Attività 63: l’(auto)biografia reale o immaginaria

Parlare di sé è una delle cose più piacevoli per ciascuno, e Lozanov, ilpadre della suggestopedia, suggerisce che il piacere massimo si ot-tiene nel parlare di un sé immaginario, il sé del desiderio, al quale lanuova lingua che si sta studiando dà voce e vita.

Brevi monologhi sulla propria storia, su episodi significativi, suaspetti quali la propria casa, la propria famiglia, e così via, sono ac-cettabili in classe senza produrre noia solo se non sono troppo lun-ghi; ciascuno può essere chiamato a predisporre una breve scalettadel proprio possibile monologo, ma poi solo due o tre persone lo ese-guono e gli altri sono chiamati a dire che cosa avrebbero detto di di-verso, quali altri aspetti avevano pensato di aggiungere. In questomodo si garantisce comunque l’attenzione, ma si sposta l’interesse alcontenuto, non alla forma – sulla quale si potrà tornare riascoltandola registrazione di uno dei monologhi; a fini di un recupero dei piùdeboli si può proporre loro di stendere per iscritto il monologo e poiprovare a produrlo a casa, registrandolo.

(Sulla narrazione, specialmente autobiografica, di studenti immi-grati e di madrelingua in difficoltà si vedano Lo Duca, in GiacaloneRamat, 2003 e Giuliano, 2004).

Attività 64: la narrazione di una storia o di un evento

La forma più semplice di narrazione guidata parte da un fumetto fo-tocopiato per tutti (oppure proiettato dopo essere stato scannerizzatoo scaricato dalla rete): uno studente inizia a raccontare la storia chevede disegnata, per cui non ha il problema di inventare una trama;ogni tre-quattro vignette un secondo studente è chiamato a prosegui-re – garantendo in tal modo attenzione da parte di tutti, perché cia-scuno può essere chiamato.

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5.3 � La produzione e riflessione sul monologo in ItaL1 e livelli avanzati di lingua straniera

Il monologo è indubbiamente più adatto a studenti con una buona pa-dronanza e il suo scopo in questo caso non è più un contributo all’ac-quisizione ma una prova che lo studente deve offrire a se stesso, primache al docente, della propria capacità di usare e di piegare la lingua aisuoi scopi e alla situazione. Oltre al racconto di storie e di eventi, giàvisto sopra, un’attività stimolante può essere la seguente.

137Lo sviluppo delle abilità produttive

Una variante prevede che gli studenti, a gruppetti, inventino la sto-ria, eventualmente con la guida delle basi basilari della morfologiadella fiaba di Propp, e poi, passandosi la parola, la raccontino allaclasse; una realizzazione può seguire questo schema:

a. la descrizione della situazione iniziale, del contesto;b. la descrizione del protagonista e dell’antagonista, con i rispettivi

deuteragonisti;c. il conflitto;d. l’arrivo o il mancato arrivo di un deuteragonista in aiuto;e. lo scioglimento del conflitto con la vittoria o la sconfitta del pro-

tagonista.

Invece di una storia di fantasia si può descrivere un evento, ma sequesto è noto agli altri studenti si va incontro a un falso pragmatico,cioè si usa la lingua non per passare informazioni ignote agli ascolta-tori ma solo per un esercizio linguistico, attività demotivante.

In entrambe queste Attività la valutazione non può essere focaliz-zata sugli errori morfosintattici o sulle carenze lessicali, che purevanno controllati e dove possibile ripresi a posteriori: l’elemento davalutare è l’autonomia, la capacità pragmatica di portare a buon fineil compito di narrare se stessi, una storia, un evento, e sul fatto di nonbloccarsi, di riuscire ad aggirare gli ostacoli, dove possibile.

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Attività 65: il cambiamento di genere e di registro

Parlando del perfezionamento testuale e socio-linguistico (cfr. Atti-vità 31 e 33) abbiamo accennato alla possibilità di chiedere agli stu-denti di proporre più volte lo stesso argomento cambiandone il gene-re e il registro.

Riprendiamo quelle proposte ai fini dello sviluppo della capacitàdi parlare sia nella madrelingua sia in lingue non native ma di cui siha forte padronanza.

Se si prende una narrazione fantastica oppure di un evento reale, sipuò chiedere a uno studente di raccontare la storia al bar agli amici, aun altro di narrarla in maniera formale, a un altro ancora di riportarlain un tribunale sotto forma di testimonianza, quindi con maggior for-malità; la stessa struttura può essere utilizzata per parlare di un temapsicologicamente rilevante, ad esempio sostenere e criticare l’uso dispinelli (o la pena di morte, o il rapporto tra amore e sessualità ecc.)con amici, in famiglia, in classe, in un dibattito televisivo.

Una sfida ancor più motivante, ma probabilmente riservata soloalla madrelingua, è quella in cui durante la narrazione o la presenta-zione dei propri argomenti il docente chiede di cambiare registro,mutando la situazione e i partecipanti: diviene quasi una specie digioco e la sfida non è certo con l’insegnante ma con se stessi.

La videoregistrazione è essenziale per dare pieno senso a questotipo di attività in quanto è solo nella riflessione critica a posterioriche essa dà un risultato in termini di maturazione da parte del prota-gonista e di riflessione critica da parte del resto della classe.

Un passaggio ulteriore può essere il compito domestico di trasfor-mare la propria performance orale in un testo scritto: questa attivitàpare particolarmente utile se lo studente che è stato protagonista del-l’attività ha difficoltà in italiano o nella lingua straniera: messo difronte alla prima esperienza, sulla base della registrazione, il dovertrasformare il testo orale in una composizione scritta lo costringe auna serie ulteriori di riflessioni.

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5.4 � La produzione scritta in ItaL2 e nelle lingue straniere

A livelli bassi di competenza in lingue non native la produzione dovreb-be risolversi nella trasposizione scritta di attività già svolte oralmente onella trattazione di argomenti che sono stati discussi in classe: la suafunzione infatti è quella di riflessione lenta, secondo i ritmi e le strategiepersonali, su quanto fatto, piuttosto che di creazione ex novo di conte-nuti e di forma in lingua non nativa.

C’è un’attività propedeutica che gli studenti ritengono infantile mache è assai utile sul piano grafemico (e non solo): la ricopiatura.

139Lo sviluppo delle abilità produttive

Attività 66: la ricopiatura come ri-produzione

Ricopiare serve a focalizzare l’attenzione sulla grafia, ma un’attivitàabbastanza lenta come questa consente di far emergere anche proble-mi morfosintattici e lessicali contribuendo alla loro acquisizione. Laricopiatura tuttavia è demotivante ed è mal accetta da parte degli stu-denti se non ne viene spiegata la funzione e se non si accentua il fat-to che ha il vantaggio di non mettere lo studente «in balia» del pro-fessore, ma di consentire l’autocorrezione e quindi la scoperta deipropri punti deboli.

L’accezione che noi diamo a «ricopiatura» in questo capitolo èmeno meccanica di quanto si possa immaginare: il compito di rico-piatura infatti va svolto leggendo una frase del testo modello e scri-vendola affidandosi alla memoria sia semantica sia ortografica, inuna sorta di ri-produzione del testo stesso.

È possibile organizzare attività che non richiedono ufficialmente laricopiatura ma che possono implicarla, addirittura dando allo studenteil piacere di sentirsi più furbo del docente: ad esempio, si può prepara-re una versione di un dialogo ascoltato in precedenza in cui si presentasolo la parte iniziale delle battute e si chiede agli studenti di comple-tarle, testando in tal modo la propria memoria. L’esecuzione parte co-

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5.5 � La produzione scritta in ItaL1 e livelli avanzati di linguastraniera

La scrittura è un’abilità complessa e per questo funziona bene solo constudenti che hanno una buona padronanza della lingua, come i madre-lingua e gli studenti avanzati in lingue non native. Nella tradizione sco-lastica dominano due forme di composizione scritta, il tema (che puòessere argomentativo, descrittivo, narrativo ecc.) e il commento a un te-sto letterario, ma ci sono altre possibili forme di scrittura. Non entriamonella descrizione di queste due forme, a tutti gli insegnanti ben note, mane proponiamo un’esecuzione diversa da quella tradizionale in cui cia-scuno lavora isolato nel suo banco e sul tavolo di studio della propriacamera. (Oltre che alle fonti già citate, rimandiamo specificamente perla scrittura a Lo Duca, 1992; Bruni, 1997; Rigo, 1998; Pallotti, 1999;Beltramo, 2002; Corno, 2002; Calò, 2003).

Fare educazione linguistica140

me una piacevole sfida a se stessi, ma ogni volta che lo studente è indifficoltà – e non può non esserlo – egli tende a barare, andando a co-piare dall’originale. E ricopiare è infatti quel che gli si voleva far fare.

Se si chiede di ri-produrre il testo usando il computer, il fatto cheWord sottolinei le parole che non riconosce graficamente costituisceun ottimo aiuto: evidenza un errore, dà quindi la possibilità di riflet-tere e correggere, e in caso di insuccesso offre, attraverso il tasto de-stro del mouse, una serie di possibili parole vicine a quella sbagliata.

Attività 67: la composizione scritta condotta in gruppo su schermo

Nella versione tradizionale – che non è negativa in quanto «tradizio-nale», ma che può essere affiancata da altre modalità esecutive – iltema, il commento o la relazione comportano che il processo di idea-

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141Lo sviluppo delle abilità produttive

zione e di progettazione del testo rimangano invisibili, chiusi nellamente dello studente, mentre l’unica cosa che diviene pubblica è lastesura, il foglio che viene dato all’insegnante; questi a sua voltasvolge un lavoro di lettura, analisi, commento e valutazione che soloin parte si trasferisce materialmente sul foglio prendendo la forma disegni rossi e, ben più importante, di un voto. Se questo è buono, lostudente presterà poca attenzione ai commenti interni; se il voto ècattivo, l’attenzione sarà mirata a dimostrare la fiscalità eccessivadelle correzioni del docente, il confronto con i compagni sarà fina-lizzato a verificare che cosa è stato segnato come errore ad altri, ecosì via. In altre parole, la parte viva del processo di composizione edi quello di correzione rimangono nelle menti dello studente e delsuo insegnante, mentre quello che ci si passa è solo il prodotto fisico,concluso. Dal punto di vista educativo è una procedura povera.

Se ipotizziamo gruppetti di tre-quattro studenti, eventualmentecon un livello diverso ma tutti coinvolti in un compito comune, fareun bel tema, e li poniamo di fronte a un computer, dove uno scrive egli altri cooperano, lo scenario cambia totalmente:

– gli studenti si confrontano in un brainstorming che si traduce inuna scaletta; su questa si può discutere, la si può modificare senzafare cancellature, frecce, asterischi, sovrascritture, si possono ac-cogliere i contributi di tutti: il processo di progettazione del testodiviene esterno, si concretizza su uno schermo, non rimane chiusonella mente; ed è un processo sottoposto alle critiche di tutti imembri del gruppo, che hanno tutti quanti lo stesso interesse a fa-re le cose faticando meno (e lavorare in gruppo riduce lo sforzo,almeno in apparenza) e producendo un buon risultato;

– trovato l’accordo sulla scaletta, si inizia la stesura del testo, com-binando l’attenzione di tre-quattro persone sull’ortografia, la sin-tassi, la scelta del lessico, l’uso di strutture subordinate meno con-torte, e così via: il processo di stesura viene condiviso e criticatonel suo farsi, non a posteriori con segnetti rossi su un foglio cheporta anche un ben più rilevante voto;

– l’insegnante non è escluso da questi processi, come nel tema sucarta: una classe di 28 persone ha 7 gruppetti al lavoro, e questo

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significa che ogni quarto d’ora l’insegnante può dedicare due mi-nuti a ciascun gruppo, visionando la scaletta, suggerendo integra-zioni e modifiche, può risolvere i problemi linguistici che affiora-no nel momento della stesura, può segnalare la presenza (non ne-cessariamente la soluzione) di errori: l’insegnante partecipa alprocesso di composizione e condivide con gli studenti direttamen-te interessati il suo processo di valutazione.

Il valore aggiunto motivazionale del lavoro collettivo e su compu-ter rispetto a quello isolato e su carta è evidente, ma ben più rilevan-te è il processo di compenetrazione tra l’azione del progettare e delloscrivere e quello del valutare criticamente il proprio prodotto, sia trai ragazzi sia con il contributo dell’insegnante.

Attività 68: il giornale di classe o della scuola

Le composizioni di cui abbiamo parlato sopra hanno un destinatario:l’insegnante. La motivazione è dubbia, in quanto dipende dall’argo-mento più o meno coinvolgente e dalla relazione con l’insegnante: cisono studenti che scrivono per dialogare con il docente, per narrarsi auna persona di cui si ha fiducia e stima, ce ne sono altri, forse in nu-mero preponderante, che vivono la composizione solo come uno deitanti compiti imposti dalla scuola.

Scrivere un articolo per il giornale di classe o della scuola cambiaradicalmente la situazione: i destinatari sono gli altri studenti dellascuola e di altre scuole, il preside, gli insegnanti (non solo quelli diitaliano), le famiglie, gli amici: «persone», tra cui rientrano final-mente anche i docenti, intesi come destinatari di comunicazione enon come giudice che promuove o boccia.

In questa prospettiva gli insegnanti di italiano (ma anche i colle-ghi di latino e di lingue) sono dei professionisti della lingua italianacui chiedere consiglio, non giudici di cui temere il verdetto; sono al-

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143Lo sviluppo delle abilità produttive

Attività 69: il romanzo collettivo

Gli adolescenti sono degli affabulatori spontanei, ma non hanno glistrumenti per tradurre questa loro potenzialità in testi adeguati: nonsanno uscire dall’autobiografismo, non sanno costruire un intrecciocomplesso, non hanno il coraggio di affrontare una dimensione mag-giore di quella della breve poesia, della pagina diaristica, della narra-zione breve. Si può quindi impostare un romanzo di classe, la cui ste-sura può durare anche un anno scolastico. All’inizio si delinea lastruttura portante: i personaggi, con le prime caratterizzazioni; ilcontesto, con alcuni elementi di potenziale conflitto su cui far nasce-re la storia; il tempo, il luogo ecc. Stabilita la cornice narrativa, unprimo gruppetto di tre studenti ha quindici giorni di tempo per sten-dere il primo capitolo, che verrà inviato a tutti e poi commentato ascuola; un secondo gruppetto si occuperà poi del secondo capitolo,introducendo nuovi eventi, eventuali nuovi personaggi, e così via, peraccumulo, in una sorta di romanzo picaresco, che cresce e lentamen-te prende forma autonoma, con il contributo di tutti.

leati che aiutano a far bella figura con i propri coetanei. Gli argo-menti sono scelti dagli studenti, discussi, calibrati all’interno di undisegno generale, cioè il complesso di quel numero del giornale: equesta responsabilità è motivante.

Si ritiene spesso che il giornale di classe o di scuola sia una perdi-ta di tempo, anche se molto del lavoro può essere svolto fuori dall’o-rario scolastico: riteniamo invece che sia probabilmente il tempo me-glio speso, almeno per quanto riguarda lo sviluppo della capacità discrittura, in tutte le sue accezioni più vaste, da chi sa scrivere il testoa chi sa trovare il titolo geniale, da chi sa comunicare con una vignet-ta satirica a chi sa lavorare sul layout, da chi contribuisce con unapoesia a chi stende un articolo «politico» di contestazione alla ge-stione delle gite da parte del Consiglio di Istituto.

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5.6 � Il ruolo delle tecnologie

Abbiamo già detto nel corso dei paragrafi precedenti quale contributopossono dare le tecnologie, e precisamente:

– le tecnologie di registrazione, audio o video, consentono una analisicritica di quanto detto in un monologo;

– le tecnologie del trattamento di testi, ad esempio Word, consentonodi rendere evidenti i processi di progettazione e stesura dei testi, con-sentendo un approccio cooperativo e l’intervento continuo dell’inse-gnante, che collabora in itinere e non giudica a posteriori;

– le tecnologie della trasmissione dei testi consentono di scrivere gior-nali scolastici o romanzi on line, scambiandosi i testi, i capitoli o gliarticoli mano a mano che nascono e si evolvono.

Abbiamo voluto dedicare un piccolo paragrafo autonomo alle tecno-logie per far notare come queste non siano solo un sussidio, non svol-gano solo una funzione ancillare: esse consentono attività che non so-no possibili altrimenti, costituiscono un valore aggiunto reale, non so-lo in termini di facilitazione dell’esecuzione di alcuni compiti o atti-vità. Le glottotecnologie non costituiscono quindi un’opzione, ma sonoelementi necessari ed essenziali dell’insegnamento delle abilità pro-duttive – e di molte altre delle attività che fanno parte dell’educazionelinguistica.

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La motivazione è altissima, tutti sono spinti alla lettura attenta diquanto scritto dai compagni coautori (cosa impossibile durante lacorrezione di temi tradizionali), tutti divengono critici sia sul pianodella costruzione dell’intreccio, dell’evolversi dei personaggi, dellacoerenza narrativa, sia sul piano linguistico, della accuratezza dellascrittura – e l’insegnante è arbitro nelle controversie, il consulenteletterario e linguistico: si realizza una modifica di ruolo essenzialesul piano relazionale ed educativo.

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CAPITOLO 6

Lo sviluppo dell’abilità di interazione

L’abilità di interazione non è la somma di fasi di comprensione e di pro-duzione, bensì una co-costruzione del significato cui partecipano tuttigli interlocutori.Usando la lingua e gli altri codici disponibili, ciascuno dei partecipantiallo scambio comunicativo persegue i propri scopi pragmatici, e per far-lo e negozia con l’interlocutore un punto di incontro tra i rispettivi inte-ressi, punti di vista ecc.

La dimensione della co-costruzione, della negoziazione dei signifi-cati, è spesso ignota agli studenti e dunque sul piano educativo la sco-perta del dialogo come inter-azione e non come assalto all’altro è unameta fondamentale.

(Per un approfondimento generale sul dialogare cfr. Bazzanella,2002; sezioni glottodidattiche sul dialogo sono presenti in tutte le operecitate come fonti generali nel primo capitolo).

6.1 � I problemi nella valutazione dell’interazione orale

La prevalenza dell’aspetto pragmatico negli scambi comunicativi poneforti problemi nel caso in cui, oltre a esercitare questa abilità, si vogliavalutarla: infatti, se nelle abilità ricettive la valutazione si focalizza ne-cessariamente sull’aspetto semantico e situazionale e in quelle produtti-

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ve si valuta non solo l’efficacia pragmatica ma anche l’appropriatezzasocio-linguistica e la correttezza formale, nella valutazione dell’abilitàinterazionale

– ci sono almeno due studenti coinvolti, spesso di più: proprio per l’i-dea di dialogo come co-costruzione di un testo, al singolo possonoessere ascritte imperfezioni lessicali o grammaticali, ma il complessodel dialogo non è ascrivibile al singolo; inoltre, in una coppia di stu-denti eccellenti o di studenti in difficoltà ciascuno contribuisce se-condo i propri mezzi, ma in coppie miste vengono entrambi penaliz-zati: l’eccellente non trova sostegno nella co-costruzione, il «soma-ro» viene schiacciato dalla superiorità del compagno;

– se è vero che un dialogo cerca un punto di incontro tra gli scopi prag-matici degli interlocutori, valutare significa vedere se quel punto èstato raggiunto, ma questo significherebbe sapere in anticipo gli sco-pi di ciascuno, il livello minimo di soddisfazione su cui si accetteràdi chiudere lo scambio: il che non solo è irrealistico, ma contrastacon una delle caratteristiche fondanti degli scambi interazionali, cioèil loro essere flessibili, il fatto che alcuni scopi possono essere la-sciati cadere e nuovi scopi possono essere assunti durante lo scambiostesso;

– lo scambio comunicativo avviene in tempo reale e quindi la valuta-zione ha necessariamente una forte componente soggettiva, tant’èvero che tutte le certificazioni internazionali focalizzano da anni laloro ricerca proprio sulla valutazione dell’abilità di interazione; solola videoregistrazione (non la semplice registrazione audio, che can-cella la componente non verbale della comunicazione, fondamentalenell’interazione) può consentire una valutazione per quanto possibi-le oggettiva;

– il peso da attribuire ai parametri di valutazione è opinabile: efficaciapragmatica, appropriatezza socio-culturale, accuratezza linguistica emorfosintattica sono gli aspetti chiave, e già decidere il loro peso èun fatto arbitrario; ma in una prospettiva più complessa, non si pos-sono trascurare anche elementi di psicologia relazionale come adesempio il grado di empatia (la capacità di mettersi «nei panni» del-l’interlocutore per meglio agire su di lui portandolo sulle proprie ra-

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gioni) oppure tratti della personalità come le opposizioni remissi-vo/aggressivo, realista/velleitario e così via.

Queste riflessioni ci portano a concludere che valutare in modo ac-curato e affidabile la competenza interazionale è sostanzialmente im-possibile o, comunque, è caratterizzato da un alto livello di soggetti-vità e approssimazione: ciò non significa rinunciare a valutare la ca-pacità di dialogare, ma essere consapevoli che questa valutazione, purriguardando l’essenza filogeneticamente più vera della comunicazionelinguistica, l’interazione, offre solo l’opinione del valutatore – opinio-ne onesta, accettabile in termini generici, ma comunque sempre sog-gettiva.

Va infine notato, prima di procedere a descrivere i vari tipi di attivitàche si possono svolgere in classe per sviluppare questa abilità, che seb-bene l’interazione sia tradizionalmente considerata orale, la tecnologiaha posto in atto un’altra possibilità, quella dell’interazione scritta inmail, chat, SMS, blog, vlog e così via, in cui si usa una varietà orale an-che se per iscritto, e quindi dovremo tener conto anche di questo aspet-to della padronanza nell’interazione linguistica, cui dedicheremo il pa-ragrafo 6.5.

6.2 � Il dialogo autentico e simulato

Nell’insegnamento di itaL1 il dialogo può essere autentico, cioè coin-volgere due o più interlocutori in un’attività che mira a raggiungere unrisultato vero – convincere su un’idea, passare informazioni, concorda-re su qualcosa da fare. Non è però escluso che, quasi come in un giocoteatrale, gli studenti vengano coinvolti in simulazioni: ma sono simula-zioni accettabili proprio perché dichiaratamente tali e finalizzate a mi-gliorare la propria capacità di (con)vincere in un dibattito.

Anche in itaL2 il dialogo è autentico quando l’italiano è la sola lin-gua condivisa da studenti di madrelingue differenti, mentre diviene si-mulazione un dialogo in italiano tra due studenti albanesi, che condivi-dono la lingua materna; nella situazione normale delle classi e dei labo-

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ratori di itaL2, tuttavia, questo aspetto di inautenticità può facilmenteessere eliminato scegliendo coppie o gruppi di madrelingua diversa.

Nelle lingue straniere il dialogo è autentico solo se c’è uno stranieropresente fisicamente in aula o presente virtualmente in teleconferenza,su skype o con altri sistemi di trasmissione di suono e immagine. Altri-menti il dialogo è necessariamente simulato e si basa su un doppio «fal-so pragmatico»:

– un falso linguistico: due italiani che condividono la madrelingua de-vono faticare per scambiarsi informazioni in una lingua straniera; aquesto problema non si può porre rimedio se non condividendo congli studenti le ragioni per cui si esegue la simulazione ed eventual-mente considerandola una sorta di prova generale preliminare al fattoche una coppia verrà chiamata a ripetere la sua simulazione di frontea tutti e, dove possibile, questa sarà videoregistrata e commentata aposteriori: si trasforma in tal modo la simulazione fine a se stessa inuna sorta di teatro con una forte componente giocosa (nel senso chesi «gioca» un ruolo in un play);

– un falso pragmatico: due persone che non hanno alcun interesse nelfornire e ricevere alcune informazioni, o nell’invitarsi al pub, o nelprogettare un viaggio a Rennes, o nel prenotare una paella o a discu-tere della riunificazione tedesca devono comunque sforzarsi perscambiarsi informazioni non desiderate o addirittura già note all’in-terlocutore: viene modificato un elemento chiave di ogni comunica-zione, lo scopo, che non è più scambiare informazioni ma esercitarela lingua. Questa perversione dei fini può essere sanata, ancora unavolta, trasformando la simulazione in una prova preliminare a unaperformance teatrale.

In entrambi i casi torna il concetto di «gioco», che ha due conse-guenze positive: da un lato sposta l’attenzione dall’autenticità a unarealtà in cui le «regole del gioco» non devono necessariamente esserefedeli a quelle della vita quotidiana – e tra queste regole c’è l’uso dellalingua straniera anche tra due parlanti di madrelingua italiana; dall’al-tro il gioco è autotelico, fine a se stesso, quindi abbatte il filtro affetti-vo in quanto anche l’eventuale brutta figura fa parte del gioco, è in

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qualche modo estranea alla realtà autentica dello studente (Caon, 2005,2006a).

6.3 � Dialogare in ItaL2 e nelle lingue straniere

Se sul piano pragmatico le due situazioni sono opposte, in quanto initaL2 il dialogo è autentico mentre in lingua straniera è prevalentemen-te simulativo, sul piano delle attività didattiche non ci sono differenze.Le presentiamo in ordine crescente di autonomia concessa agli studenti.

Attività 70: la drammatizzazione

La drammatizzazione consiste nella «recita», a memoria o leggendoil copione, di un testo dialogico; i giovanissimi l’accettano facilmen-te, gli adolescenti e i giovani adulti assai meno, a meno che non sitratti di un testo significativo sul piano del contenuto, una piccolapièce teatrale – ma questa significatività è difficile da ottenere lavo-rando con studenti di ridotta padronanza linguistica.

È comunque possibile organizzare delle drammatizzazioni all’in-terno della classe, suddividendola in piccoli gruppi che durante un’oradi lavoro si preparano e nella lezione successiva recitano, per poi rive-dere le videoregistrazioni – indispensabili per dar senso all’attività –nella stessa lezione o anche in una terza occasione, se necessario.

Una versione completa della drammatizzazione sul piano glotto-didattico è quella in cui sono i gruppi o la classe intera che predi-spongono il testo, scrivendolo in toto o comunque scegliendo i testi escrivendo le sezioni di raccordo, come in molte rappresentazioni difine anno delle scuole elementari e medie.

Le difficoltà per gli studenti-attori sono solo mnemoniche, se siprevede la recita a memoria, mentre i vantaggi sono molti, in terminidi memorizzazione di materiale linguistico, di attenzione all’intona-

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zione, alla velocità dell’eloquio – ma il vantaggio maggiore sta nellaoggettivazione della propria performance in sede di visione criticadella videoregistrazione.

A fronte di questi vantaggi va considerato il fatto che a secondadelle caratteristiche personali l’esibirsi di fronte alla classe può atti-vare filtri affettivi, produrre incidenti relazionali tra compagni, sca-tenare reazioni negative superiori al vantaggio linguistico. Inoltre,per il tempo che richiede preparare, eseguire e visionare le registra-zioni, si tratta di un’attività che può essere proposta pochissime voltein un anno di lavoro.

(Sulla drammatizzazione nelle L2, dove sono presenti studenti dipiù culture, fondamentale è Kramsch, 1998; sull’uso del teatro nel-l’insegnamento delle lingue non native i testi base sono Maley, Duff,1982, e Mac Rae, 1986).

Attività 71: il role taking

Anziché recitare un copione gli studenti hanno un canovaccio, di so-lito di natura pragmalinguistica, cioè composto da atti comunicativi:

– Entra nel negozio e saluta.– Risponde al saluto e chiede come può essere utile.– Chiede se hanno …– Risponde di sì ma dice che ce ne sono di vari tipi.– Ecc.

Si tratta di un’attività assai frequente nella scuola, ma non attivaalcuna creatività da parte dello studente: è una simulazione priva disignificatività, mera esercitazione – tuttavia è utile se svolta rapida-mente, a coppie (e qui emerge il problema della composizione dellecoppie tra eccellenti, medi, scadenti), dopo aver spiegato chiaramen-te che è un’attività utile per acquisire dimestichezza con l’interazione

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orale. Non è di fatto possibile alcuna valutazione durante l’attività,anche perché l’inevitabile rumore di una dozzina di coppie che par-lano e la necessità di tenere sotto controllo la classe impedisce diprestare reale attenzione alla performance di singole coppie.

Molto cambia se, come suggerito in 6.2, l’esecuzione in coppieviene presentata come una prova per la performance che una o duecoppie saranno chiamate a svolgere di fronte a tutti (con tutti i pro-blemi, già visti per la drammatizzazione, relativi all’atteggiamentopersonale di fronte a questo task pubblico): se gli studenti sanno didover riproporre a tutti quanto stanno «provando», vi dedicano mag-giore attenzione; dunque la discussione collettiva delle performancepuò dare significato a una tecnica che molti fautori dell’approcciocomunicativo propongono acriticamente, in quanto di «comunicati-vo» il role taking non ha assolutamente nulla.

Se si ha una esecuzione pubblica, allora diventa possibile per l’in-segnante raccogliere dati, forse insufficienti per una valutazione, da-to lo stress che inevitabilmente accompagna questa attività, ma co-munque utili per arricchire il profilo dei singoli studenti.

Attività 72: il role play

I «giochi di ruolo» sono ben noti agli studenti, che spesso vi dedica-no ore del loro tempo libero, e quindi sono meglio accettati delle dueattività meno creative e libere che abbiamo visto sopra.

Il role play consiste di un canovaccio molto più sintetico di quellodel role taking, in quanto gli studenti non devono solo assumere(take) un ruolo ma creare, recitare (play) sulla base di un canovaccioche indica la situazione e gli scopi, senza entrare nel merito dei sin-goli atti comunicativi con i quali essi vengono realizzati.

I problemi organizzativi sono gli stessi del role taking e lo stessovale per le procedure (prima a coppie, poi alcune coppie effettuanoun performance pubblica che viene discussa da tutta la classe), men-

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tre aumenta la possibilità per l’insegnante di avere informazioni sul-la padronanza linguistica, fermi restando i problemi di emotività de-gli studenti-attori e del suo impatto sulla loro performance.

Attività 73: il dialogo aperto

Lo studente ascolta le battute di uno dei personaggi di un dialogo, dicui conosce la situazione e il contesto, e deve reagire con le risposteadeguate: ad esempio, se ipotizziamo un dialogo tra un agente diviaggio e una persona che vuole acquistare un biglietto aereo, le bat-tute (soprattutto domande) dell’agente sono facilmente prevedibili elo studente risponde dando i propri dati, comunicando la propria de-stinazione, le preferenze di giorni, di orari, di posti ecc. Questo si-gnifica che lo studente deve aver avuto un certo tempo per preparar-si alle prevedibili domande.

Le modalità di esecuzione sono due e cambiano significativamen-te il valore di questa attività:

– esecuzione individuale di uno studente con l’insegnante: è un’atti-vità individuale, appunto, che presuppone silenzio nella classe, co-sa possibile solo se l’attività non viene ripetuta più volte, altri-menti genera disattenzione; il grande vantaggio di questa modalitàdi esecuzione sta nella flessibilità accordata al ruolo preordinato,quello dell’agente di viaggio per restare nell’esempio visto sopra:l’insegnante-agente può adeguare le sue domande alle risposte erendere più comunicativo e verosimile lo scambio comunicativo;

– esecuzione di tutti gli studenti in laboratorio linguistico: il vantag-gio sta nel fatto che tutti gli studenti sono coinvolti (e poi uno odue di loro possono essere chiamati a ripetere la performance conaudio generalizzato, quindi di fronte a tutti), lo svantaggio sta nel-la non flessibilità del ruolo preordinato (l’agente di viaggio), le cuibattute sono pre-registrate e non tengono conto né di risposte im-

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previste, di richieste di ripetizione, né del fatto che alcuni studentirispondono rapidamente, per cui c’è una pausa di silenzio innatu-rale prima della battuta seguente, mentre altri rispondono conmaggiore difficoltà e quindi stanno ancora parlando quando il la-boratorio passa alla domanda successiva.

L’utilità di questa tecnica risiede nel fare toccare con mano aglistudenti la loro padronanza, la loro capacità di interagire in una si-tuazione verosimile; le variabili emozionali e personali sono tuttaviatroppe perché i dati ottenuti siano affidabili in termini di verifica.

Attività 74: la tele(video)fonata con parlanti non di madrelingua straniera

È l’una forma di interazione autentica realizzabile con studenti dilingua straniera – e proprio per la difficoltà insita nella comunicazio-ne autentica abbiamo precisato che fino a un livello B1 essa dovreb-be avvenire con studenti non madrelingua nella lingua studiata, inmodo che la disparità di padronanza non infici la stessa possibilità diun dialogo vero.

Questa attività risulta motivante e significativa se c’è un accordopreventivo, eventualmente condotto via mail, sui temi di cui parlare,in modo che lo scambio non si riduca a «come ti chiami?» e «che tem-po fa da te?»: la situazione ottimale si ha quando gli studenti stannopreparando uno scambio internazionale, ad esempio nell’ambito deiprogetti Comenius dell’Ue, per cui devono negoziare dettagli organiz-zativi, discutere dell’ospitalità, avanzare richieste particolari, e cosìvia; oppure quando alcune discipline vengono portate avanti in ungruppo internazionale, per cui gli studenti devono compiere gli stessiesperimenti in diverse città europee, predisporre relazioni comuni, ecosì via. In altre parole: la tecnologia offre la possibilità di realizzare

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6.4 � La riflessione sul dialogo in italiano e livelli avanzati di lingua straniera

Le attività viste in 6.3 sono finalizzate all’acquisizione della lingua enon consentono di lavorare a uno sviluppo della metacompetenza suldialogare, sulle strategie pragmatiche, sulla natura della dialettica. Leattività che proponiamo in questo paragrafo hanno invece una finalitàmetacomunicativa alla quale si può lavorare solo con studenti di madre-lingua o di competenza avanzata in lingue non native; in tutti i casi lapresenza di una videoregistrazione da commentare a posteriori rendepiù significativa l’attività, ma non è indispensabile in quanto commentisulle strategie dialettiche, sul modo di interagire, sulla scelta dei registrie così via possono tranquillamente essere discussi senza necessaria-mente rivedere il tutto.

una comunicazione autentica, ma perché questa lo sia davvero è ne-cessario che il significato non sia fatico, limitato al fatto di contattarsie parlarsi, ma porti a uno scambio di informazioni rilevanti.

Questa tecnica è resa possibile dalla trasmissione in streaming (cioèl’uso di una webcam collegata a internet) per un’interazione da classea classe o da gruppo a gruppo, mentre per interazioni uno a uno si usaskype, possibilmente accompagnato dalla trasmissione di immaginiattraverso la webcam, per garantire l’uso dei codici extralinguistici, es-senziali tra persone con una padronanza linguistica limitata.

Chiaramente questa attività, estremamente motivante e vera rea-lizzazione dell’approccio comunicativo, non si presta per una valu-tazione formale, in quanto troppa parte della performance dello stu-dente italiano dipende dalla qualità dell’interlocutore straniero; se nepuò comunque ricavare una buona indicazione circa il grado di auto-nomia ed efficacia comunicativa degli studenti.

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Attività 75: il role making

Mentre il role taking (Attività 71) chiede allo studente la mera esecu-zione di atti comunicativi già preordinati e il role play (Attività 72) la-scia spazio limitato alla creatività in ordine all’evolversi dello scambiocomunicativo, il role making attribuisce allo studente la piena respon-sabilità circa quel che vuole fare, make, una volta accettato il ruolo dagiocare. L’organizzazione di un role making può avvenire in due modi:

– realizzazione a coppie o piccoli gruppi: dato un contesto (un di-battito televisivo sui risultati del campionato, l’organizzazione diun sabato sera, la pianificazione di un weekend ecc.) si attribui-scono i ruoli a ciascuno dei membri del gruppo, che riceve ancheun’indicazione riservata su quale scopo deve perseguire o, in unaversione più complessa, anche della chiave psicologica che deveassumere (aggressività, remissività, tendenza ad esser «bastiancontrario» e così via): il gruppo è libero di gestire la conversazio-ne come vuole, purché il tutto avvenga in un tempo fissato entro ilquale si deve giungere a una conclusione; si tratta di un gioco incui gli studenti dimenticano che lo scopo è un esercizio linguisti-co. Alla conclusione, si verifica chi ha raggiunto i propri scopi echi ha fallito, se ne analizzano le ragioni comunicative, si chiededi indovinare quale era la chiave psicologica assegnata ai compa-gni e si discute sul modo in cui è stata realizzata;

– realizzazione da parte di un gruppo di fronte a tutta la classe: lastruttura è la stessa, ma sono gli studenti-spettatori che dovrannopoi indicare quali erano, secondo loro, lo scopo e la chiave psico-logica di ciascun studente-attore. In questo caso la dimensione lu-dica è molto forte e l’attenzione della classe è comunque garantita.

Si tratta di un’ottima tecnica per discutere sulle strategie di nego-ziazione e può dare materiale di lavoro anche per studenti poco moti-vati, convinti di essere già in grado di dialogare, soprattutto in italiano.

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Attività 76: lo scenario

È una tecnica complessa da organizzare, ma estremamente coinvol-gente e funzionale a una analisi a posteriori estremamente comples-sa, soprattutto se c’è una videoregistrazione.

Si definisce una situazione potenzialmente conflittuale, ad esem-pio un processo per un divorzio, un dibattito sulla pena di morte osulla liberalizzazione degli spinelli, e così via. Se prendiamo comeesempio la discussione su un divorzio, avremo un gruppo di studentidalla parte di lui e uno dalla parte di lei (i due coniugi, i loro avvoca-ti, i testimoni ecc.), più un terzo gruppo che svolge la funzione digiudice. Il gruppo può essere più numeroso dei ruoli attivi previsti, inquanto la performance è solo la parte conclusiva del lavoro – e anchequella meno significativa in termini di riflessione sulle strategie diinterazione, pur essendo quella più motivante per gli studenti.

Una prima ora può essere dedicata al lavoro dei tre gruppi, che pre-parano le loro strategie, decidono la chiave psicologica da tenere, pre-vedono le domande dei giudici e degli avvocati di parte avversa, scel-gono argomenti da usare e definiscono quelli di fronte ai quali svico-lare, e così via; il lavoro può continuare via posta elettronica, mano amano che vengono nuove idee e si sviluppano nuove riflessioni.

La seconda ora è quella della realizzazione dello scenario: gli stu-denti che rivestono ruoli sono in prima linea, ma possono chiedere ericevere suggerimenti dai membri del loro gruppo.

La fase della discussione, soprattutto se condotta sulla base di unavideoregistrazione, serve a far vedere quali sono stati i punti in cuiuna parte ha prevalso sull’altra, dove le strategie previste sono stateperdenti, dove l’espressione linguistica non è stata all’altezza oppureè stata eccellente.

Questa attività (proposta da Di Pietro, 1987; ripresa in Coppola,2002) è probabilmente la più complessa ma anche una delle più effi-caci per una riflessone meta-comunicativa generale sull’interazioneorale.

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Attività 77: il cambio di ruolo

Attività antichissima, usata dai pedagoghi greci e latini, consiste inun dibattito a due, sostenitori di ipotesi contrapposte precedentemen-te elaborate con un gruppo di compagni. Il dibattito inizia e dopoqualche minuto l’insegnante con un cenno ribalta le parti: chi soste-neva, ad esempio, l’inutilità della pena di morte deve sostenerne ivantaggi e viceversa. Lo scopo è quello di far notare come ancheun’interazione orale, lungi dall’essere spontanea, va accuratamenteprogrammata, come si fa per la produzione scritta.

Se si dedica qualche minuto di fine lezione a scegliere tre-quattrotemi e a formare i gruppi che «istruiscono» il dibattito su ciascun te-ma, scegliendo al loro interno anche i due contendenti, e poi si lasciauna settimana perché per mail o con incontri ad hoc i gruppi elabora-no le argomentazioni pro e contro, poi si può dedicare un paio d’oredi lavoro ai dibattiti e alla discussione sul modo in cui si sono svolti.

È quindi una attività che non richiede molto tempo-classe per l’or-ganizzazione, non ha tempi morti, ma che risulta estremamente mo-tivante per gli studenti, sia per la rilevanza dei temi che si scelgono,sia perché ha una forte connotazione ludica e teatrale.

Attività 78: il role play letterario, storico o filosofico

I ruoli che vengono assegnati agli studenti non sono di carattere sociale(commesso/cliente, viaggiatore/bigliettaio ecc., come abbiamo vistonell’Attività 72) bensì dei tipi indicati nel titoletto, spostando la naturadi questa tecnica a una dimensione teatrale abbastanza accentuata, incui le «parti» vanno preparate in gruppo come abbiamo visto per loscenario (Attività 76) – il che consente di variare anche la metodologiadella valutazione, affiancando questi dialoghi ai tradizionali monologhidelle interrogazioni: un giardino in cui si incontrano Lucrezio e Catullo

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a discutere di poesia didascalica ed emozionale; oppure un incontro traMonti, Foscolo e Leopardi a discutere della nuova sensibilità romanticache sostituisce il neoclassicismo; ma anche un dibattito tra Shakespearee Beckett sulla natura del teatro; o tra Mazzini e Garibaldi sulle prioritàimmediatamente successive al 1848-49; un simposio in cui Alessandroe il suo maestro Aristotele discutono del potere insieme a Dioniso di Si-racusa e il suo mentore Platone, o in cui ne discutono Alessandro, Ce-sare e Napoleone, i tre massimi esponenti del potere assoluto come«idea»: il grado di libertà concessa da questa tecnica è enorme.

Si potrebbe continuare a elencare combinazioni stimolanti, impre-vedibili, svincolate da spazio e secolo, unite solo dal fatto che questipersonaggi devono parlare in italiano formale o in lingua straniera,devono essere convincenti, per cui gli studenti devono trasformare inmessaggio orale le pagine scritte dai critici, trasformare in tesi da so-stenere e difendere le astrazioni distanti degli storici.

Un’attività di questo tipo raggiunge il suo meglio se c’è integra-zione tra i vari docenti impegnati nell’educazione linguistica, per cuii migliori in inglese discuteranno in quella lingua e in quelle ore suun tema relativo a quella letteratura, e lo stesso faranno i migliori infrancese o tedesco o spagnolo, mentre i migliori in lingue classichediscuteranno (in italiano, naturalmente) di temi classici, dando occa-sione a ogni studente di emergere.

Attività 79: la tele(video)fonata con parlanti di madrelinguastraniera

Si ripete qui la Attività 74 con una variazione sostanziale: là, in con-siderazione del livello limitato di padronanza, si proponeva il contat-to in lingua straniera con un parlante di altra madrelingua, qui inve-ce, con le stesse procedure organizzative, si comunica con un parlan-te nativo, in una forma di comunicazione autentica.

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159Lo sviluppo dell’abilità di interazione

6.5 � L’interazione scritta on line

È stata ipotizzata in questi anni una nuova varietà di lingua, quella «in-viata», che tecnicamente è lingua scritta, ma di fatto avviene in una si-tuazione di quasi oralità perché

a. le battute si susseguono rapidamente come in un dialogo;b. ciò che viene scritto in un computer compare sincronicamente nel

computer del corrispondente, per cui non è possibile avere ripensa-menti formali, rileggere il testo prima di spedirlo;

c. l’interesse per l’accuratezza linguistica è minima, soprattutto sul pia-no ortografico – dove anzi abbondano abbreviazioni che consentonodi velocizzare lo scambio; l’interesse maggiore sul piano formale è alivello socio-linguistico in quanto la comunità dei «chattanti» è mol-to esigente in termini di netiquette, di rispetto di regole sociali di in-terazione online.

È con questa lingua che funzionano le chat e i forum sincroni su sitididattici, su blog e su vlog – ambienti comunicativi molto noti e usatidagli studenti. Per quanto forzando un po’ l’attribuzione, possiamo con-siderare italiano inviato anche gli scambi informali via mail, sebbene inquesto caso sia possibile un’attività di progettazione e correzione del te-sto: il disinteresse formale visto al punto «c» si applica spesso ancheagli scambi mail.

Attività 80: la decrittazione di sms

I ragazzi usano molto gli sms, che sono necessariamente brevi inquanto lo spazio di caratteri è limitato.

Raccolti alcuni sms, il lavoro interessante è quello di analizzare lestrategie di abbreviazione, cioè rendere consapevoli gli studenti delmodo in cui si realizza la sintesi tra «arbitrarietà» del segno e sua«convenzionalità», cioè la necessità che sia riconoscibile e interpre-

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tabile (abbiamo messo tra virgolette due parole chiave per la semioti-ca); inoltre, dal confronto tra diversi messaggi abbreviati secondostrategie differenti può nascere una riflessione sulla maggiore effica-cia di alcuni sistemi rispetto ad altri.

Alcuni esempi (tratti da messaggi reali, raccolti da studenti di so-cio-linguistica all’Università di Venezia) possono chiarire quale ana-lisi si può condurre sulle strategie di abbreviazione:

– «Lui nn s rende cnt d qt ml riesce a farm qd mi da dll matta» [luinon si rende conto di quanto male riesce a farmi quando mi dàdella matta]: essenzialmente vengono eliminate le vocali;

– «C moi ki tapel tjours» [C’est moi qui t’appelle toujours], «Were ru?» [Where are you?]: oltre all’eliminazione di vocali e apostrofo,si ricorre al suono alfabetico delle lettere («C» in francese èomofono di «c’est»; «R» di «are» e «U» di «you» in inglese) e al-l’uso, comune anche in italiano, di «k» per il fonema /k/, scritto«ch» in italiano «qu» in francese;

– «arriverò +o-x le 7» [Arriverò più o meno alle sette]: si usano se-gni matematici omofoni delle parole;

– «Thx 4 da invite 2 ya party soundz cul» [Thanks for the invitationto your party, it sounds cool]; «Sono c8 D te» [Sono cotto di te]:oltre ai meccansimi visti sopra, si usano anche pronunce collo-quiali come «da = the» e «ya = you», «soundz = sounds» (in que-sto caso, senza risparmio di carattere, quindi per pura scelta socio-linguistica);

– «Tas ok? Q tal? Chao» [Estàs ok? Que tal? Chao, ciao]: come sivede, anche in spagnolo si applicano i meccanismi abbreviativi vi-sti sopra per italiano e inglese;

– «Wetù je T’M» [Où est-tu? Je t’aime]: la logica è la stessa vistanell’esempio sopra, con la particolarità della scelta di «W» per la«u» semivocalica;

– «BRB CUZ» [I’ll be right back; see you soon], «tvukdb» [Ti vo-glio un casino di bene]: sono due delle tante sigle che vengonousate sia per risparmio sia perché sono proprie di ogni «tribù» (iltermine definisce i gruppi di amici che negli sms usano sigle par-ticolari, creando un vero e proprio gergo).

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161Lo sviluppo dell’abilità di interazione

Una forma sempre più diffusa di interazione on line riguarda l’ap-prendimento delle lingue straniere e la richiamiamo qui anche se nonè pienamente congruente con la natura di questo capitolo.

Attività 81: il tandem linguistico

Due studenti, ad esempio un bolognese che studia tedesco e un berli-nese che studia la nostra lingua, lavorano insieme usando chat ed e-mail e avendo come oggetto dell’interazione le due lingue: ci si cor-regge i compiti vicendevolmente spiegando gli errori, il che porta auna riflessione metalinguistica sulla propria lingua materna in logicacomparatistica – riflessione autonoma, motivante, in cui si «fa gram-matica» per un collega coetaneo e non per un professore –, ci si spie-ga modi di dire presenti in canzoni o film, ci si scambia file musica-li o video, pagine di giornale, ci si aiuta nelle ricerche letterarie, arti-stiche, storiche: si svolgono attività sulla lingua o su altre disciplineavendo come regola condivisa che metà dell’interazione avviene initaliano e metà in tedesco, che quando si parla di storia o arte gli er-rori di lingua vengono comunque segnalati e corretti.

L’avvento di skype e la diffusione della webcam stanno rapida-mente trasformando il tandem tradizionale in video tandem, ma ser-ve fare attenzione al fatto che non diventi una mera interazione oraleperdendo la sua caratteristica saliente, l’uso delle due lingue per par-lare (anche, ma non necessariamente solo) delle lingue stesse.

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CAPITOLO 7

Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

Le abilità linguistiche che consentono di trasformare un testo sono spes-so molto rilevanti nell’ambito delle abilità di studio (prendere appunti eriassumere, in primis) e sono spesso funzionali allo sviluppo di altrecompetenze (parafrasare, scrivere sotto dettatura), ma la tradizione sco-lastica le ha fatte percepire più come attività didattiche che come abilitàcognitive e linguistiche. Tra le abilità di trasformazione di testi abbia-mo tralasciato, sopra, la traduzione; le dedichiamo un capitolo a sé siaperché questa abilità è stata oggetto di un ostracismo fortissimo, per cuimerita una discussione approfondita, sia perché la traduzione è insiemel’abilità e l’attività più complessa nell’educazione linguistica, in quantofa interagire (almeno) due lingue e riguarda tutte le «grammatiche», nelsenso ampio del termine che abbiamo visto nel capitolo 3, nonché tuttele caratteristiche che rendono ricco, complesso, ambiguo il lessico.

7.1 � Lo sviluppo delle abilità di riassumere

Riassumere non è (soltanto) un’abilità linguistica quanto primariamen-te un’abilità cognitiva che si basa su un testo linguistico e lo trasformain un secondo testo linguistico più breve, ordinato sequenzialmente,senza discorso diretto: i testi sono la fonte e l’esito, ma l’attività centra-le è cognitiva e si basa, a livello di lettura analitica, su tre azioni:

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a. individuazione dei nuclei informativi, composti da un elemento car-dine e da una serie di informazioni accessorie su quell’argomento;

b. divisione dei nuclei informativi tra essenziali, senza i quali il testo fi-nale non ha più lo stesso significato globale del testo di partenza, eaccessori – questi ultimi gerarchizzati in rango di importanza;

c. ricostruzione della sequenza intrinseca (logica, temporale ecc.) deinuclei informativi essenziali, indipendentemente dall’ordine in cuicompaiono nel testo di partenza;

e solo dopo questa attività cognitiva giunge la fase linguistica che nellatradizione didattica si definisce «riassumere», cioè

d. stesura di un testo strutturato secondo la sequenza «c», in cui sianopresenti tutti i nuclei essenziali ed eventualmente alcuni dei nucleiaccessori più rilevanti, a seconda della valutazione personale di chisvolge il riassunto.

Come si vede, mentre i processi cognitivi sono molto chiari, l’azionelinguistica è più vaga e lascia un ampio margine di decisione autonoma.Per fare del riassunto un’attività produttiva sul piano dell’educazionelinguistica occorre declinare questa abilità di trasformazione in una se-rie di attività didattiche che ne facciano emergere i nodi di fondo.

163Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

Attività 82: la contrazione di un testo, in qualsiasi linguastudiata

È un’attività propedeutica al riassunto e può essere svolta anche a li-velli abbastanza bassi di competenza in una lingua non nativa: essamira a far distinguere a livello di frase e di breve periodo l’essenzia-le rispetto all’accessorio e si realizza cancellando con una matita leparole, le subordinate ed eventualmente anche sezioni più ampie,senza procedere alla stesura di un riassunto ma limitandosi a ridurrele dimensioni del testo, aggiungendo semplicemente quegli elementidi raccordo sintattico che possono essere necessari una volta elimi-nati parole o frasi.

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È un’attività destinata a studenti molto giovani, in quanto l’abi-lità di riassumere si imposta alle elementari, lavorando primaria-mente sull’italiano, e si consolida nella scuola media, dove si puòlavorare anche sulle lingue straniere. Per dare una dimensione ludi-ca, con quel minimo di sfida che risulta proficua con studenti giova-ni, si può partire da un testo scritto in word, di cui quindi si conoscefacilmente il numero di parole, e di chiedere di eliminarne almeno il20% lavorando da soli, poi un altro 20% lavorando in coppia in mo-do da far interagire due strategie, e poi chiedendo a gruppetti, adesempio due coppie, di eliminare quant’altro è possibile in una sor-ta di gara.

Il confronto tra le varie proposte offre una buona occasione di di-scussione sull’individuazione delle informazioni essenziali rispetto aquelle accessorie.

Per il suo ricorrere alla cancellatura fisica, visibile, che traduce intratto di matita una valutazione astratta di importanza informativa,questa attività aiuta gli studenti in cui prevale l’intelligenza visiva.

Attività 83: la selezione delle informazioni, in qualsiasilingua studiata

È una variante in positivo dell’Attività 81: laddove nella contrazionesi taglia, qui si mette in rilevo, usando un evidenziatore per le infor-mazioni essenziali e una sottolineatura di un altro colore per le infor-mazione di rango secondario, lasciando intatte le sezioni totalmenteaccessorie.

Rispetto all’Attività 81 costituisce tuttavia un passo in avanti, inquanto chiede un’analisi non più in termini sì/no, cioè permane oesce dal testo, ma in termini più articolati: l’essenziale viene deter-minato immediatamente e viene evidenziato, e lo stesso dicasi con iltotalmente accessorio che viene trascurato, ma si crea una fascia in-termedia di informazioni interessanti ma non essenziali.

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Svolta questa attività in maniera autonoma e discussa poi con laclasse l’individuazione delle tre fasce, un passo successivo è quellodi eliminare circa metà della fascia intermedia, allargando l’eviden-ziazione a tutto quel che deve rimanere in un riassunto.

Anche se in questo caso, come nell’Attività 81, non è necessarioprocedere alla stesura e ci si può limitare alla risistemazione sintatti-ca resa necessaria dai tagli – revisione che comunque è interessantesul piano dello sviluppo della competenza linguistica e che può co-stituire un buon spunto di lavoro nelle lingue straniere.

Per il suo ricorrere alla cancellatura fisica, visibile, che traduce incolori una valutazione astratta di importanza informativa, questa atti-vità aiuta gli studenti in cui prevale l’intelligenza visiva.

Attività 84: la stesura del riassunto in ItaL1

Le Attività 82-83 non prevedono la stesura di un riassunto vero eproprio e operano sul versante cognitivo, anche se la risistemazionesintattica conclusiva rappresenta un esercizio utile. Questa terza at-tività, che costituisce un’evoluzione utile dopo aver svolto alcuneattività dei primi due tipi, presuppone sia l’attività cognitiva, per cuisi identificano e gerarchizzano le informazioni sulla base del lororuolo nel testo, sia l’attività linguistica, di cui si devono chiarire leregole:

– le informazioni che vengono conservate per il riassunto vanno col-locate in ordine temporale (prima, durante, dopo), logico (tesi, an-titesi, sintesi), causale (causa, effetto) ecc., anche se nel testo dipartenza – come avviene soprattutto in testi narrativi – ci sono fla-shback, anticipazioni, percorsi temporali paralleli: questa «rego-la» del riassunto va spiegata agli studenti riflettendo sulla finalitàdel saper riassumere, che è la base delle abilità di studio e rappre-senta il percorso di memorizzazione alternativo all’apprendere

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mnemonico: chi riassume si appropria dei contenuti essenziali fa-cendoli propri, ma per poterli acquisire i contenuti devono avereun ordine che poi si possa logicamente, temporalmente, causal-mente ripercorrere;

– il discorso diretto, per le stesse ragioni di memorizzazione vistesopra, viene ridotto alla sua essenza e quindi a discorso indiretto.

Nella tradizione italiana si chiede «un riassunto», in molte tradi-zioni straniere si chiede «un riassunto di x parole»: la differenza ope-ra sul piano cognitivo, di gerarchizzazione delle informazioni, manon su quello linguistico.

Attività 85: la stesura del riassunto in ItaL2 e lingue straniere

Mentre nell’Attività 84 si crea un testo nuovo e il fatto che gli stu-denti siano di madrelingua garantisce la conoscenza di iperonimi(permettono di sintetizzare una serie, ad esempio, di cani, gatti e altrianimali domestici in un breve «gli animali»), quelle forme verbalinecessarie per passare dal discorso diretto a quello indiretto, e cosìvia, nelle lingue straniere e in itaL2 di fatto il riassunto rischia dicoincidere con una contrazione del testo originale, trasformandosi inun esercizio di ricopiatura selettiva.

Ammesso che inizialmente questo processo sia inevitabile, far sten-dere qualche riassunto/contrazione può essere utile per procedere poi auna correzione collettiva in cui l’insegnante mostra come si potevascrivere un testo nuovo che non fosse una semplice contrazione del te-sto base. In altre parole, il contributo del riassunto in lingue di cui nonsi ha piena padronanza sta nella fase di correzione piuttosto che inquella di esecuzione: se non c’è tempo o possibilità di lavorare a lungoalla correzione collettiva, si può fare a meno di svolgere riassunti.

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167Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

Attività 86: la stesura del riassunto di testi in lingue classiche

Nello studio delle lingue classiche prevale l’abilità ricettiva, la lettu-ra, rispetto a quella produttiva, la scrittura: si scrive in latino e grecosolo quando si traduce qualche frase o breve testo. Il riassunto in lin-gua classica, che ha le stesse caratteristiche di quello visto nell’Atti-vità 85, può costituire un’occasione per svolgere attività scritta in cuil’attenzione non sia concentrata sul tradurre: anche in questo caso, ilvalore dell’attività sta nella sua correzione e discussione collettiva,altrimenti si riduce a un esercizio di copiatura con qualche integra-zione morfosintattica.

La stesura di riassunti in italiano di testi in lingua classica è inrealtà una prova di comprensione.

Attività 87: la riflessione sulla riassumibilità

Nella percezione degli studenti tutti i testi sono riassumibili (quindiogni testo può essere studiato, memorizzato, riassumendolo) e quindipuò essere opportuno procedere a tentativi di riassunto su testi chenon accettano un riassunto:

– testi regolativi, ad esempio un articolo di legge, un regolamentodi classe: togliere un elemento – se il testo è ben costruito – si-gnifica snaturare il testo. Un ottimo testo di partenza può esserecostituito dai tre articoli del Diritto di Famiglia che gli studentihanno sentito recitare frettolosamente a ogni matrimonio cui han-no partecipato e che regolano la vita coniugale: hanno l’immedia-ta possibilità di valutare cosa cambia in una famiglia al taglio diuna sola parola;

– testi che descrivono relazioni logiche o matematiche: «in un trian-golo rettangolo, il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente

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7.2 � Lo sviluppo dell’abilità di parafrasare

La parafrasi ha una duplice natura, come il riassunto: da un lato c’è unadimensione cognitiva, quasi sempre trascurata nella scuola e che invecepuò avere un valore formativo, cognitivo rilevante che trascende l’educa-zione linguistica per riguardare l’educazione tout court; dall’altro c’è ladimensione linguistica che consiste nella trasformazione morfosintatticadi un testo. Vediamo queste due attività più da vicino, rilevando come inrealtà esse non riguardino tanto lo sviluppo dell’abilità di parafrasi, chenon ha grande spendibilità nella comunicazione, quanto piuttosto lo svi-luppo di altre competenze o abilità attraverso un lavoro sulla parafrasi.

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alla somma dei quadrati costruita sui cateti» è un testo non riassu-mibile; potevano esserci delle incidentali, per esempio per spiega-re «ipotenusa» e «cateto» o per far notare che «equivalente» signi-fica che «ha la stessa area, non la stessa forma»: in tal caso, il rias-sumere, cioè eliminare queste uniche informazioni accessorie,coincide esattamente con il processo di studio;

– testi letterari: per definizione, ogni parola è frutto di una sceltadello scrittore quindi la sua eliminazione è una «violenza» lettera-ria – ma questa azione può facilmente far scoprire anzitutto la dif-ferenza strutturale tra poesia, dove nulla può essere toccato, e pro-sa o dramma, da un lato, e poi tra teatro o narrativa di buona qua-lità, dove nulla è accessorio, e produzione letteraria meno curata.

Attività 88: la parafrasi di un pensiero

Molta psicolinguistica, soprattutto di origine russa a partire daMelcuk, ritiene che i significati sia concettuali sia pragmatici esista-no nella struttura profonda della mente e che poi essi vengano para-frasati, con maggiore o minore facilità, nelle varie lingue disponibili

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nel repertorio di una persona; quindi il «verbalizzare» è in realtàun’operazione di parafrasi (e, conseguentemente, il tradurre significarisalire dalla parafrasi del pensiero realizzata in lingua A al pensieroprofondo e poi ri-parafrasarlo in lingua B).

Come attività di riflessione sul verbalizzare, cioè sul parlare e loscrivere, nonché sul tradurre si può fare qualche esercizio di parafra-si di un pensiero, di una sensazione, in una sorta di gioco collaborati-vo che poi può portare a concordare su due o tre parafrasi eccellentidi quel pensiero: ad esempio, si può chiedere di dare parole alla sen-sazione che si prova al tramonto quando si è lontano dai propri cari(l’insegnante può poi calare un asso difficilmente battibile: «Era l’o-ra che volge al disio…»); si può poi proseguire ri-parafrasando inlingua straniera una prima parafrasi italiana o viceversa.

Si possono, in questo gioco, inserire regole particolari, ad esem-pio l’eliminazione delle metafore, che costituiscono la più rapida esemplice maniera di parafrasare un pensiero.

Questa attività, che non ha senso ripetere più volte in quanto serveper stimolare una riflessione sul rapporto pensiero/verbalizzazione,è comunque utile in quanto fa notare come lo stesso pensiero o lastessa sensazione possano essere parafrasati in più modi, non in unosolo, e come quindi divenire via via più abili nello scrivere, nel par-lare, nel tradurre significhi divenire consapevoli di più «parafrasi»alternative e scegliere quella migliore in sé o in relazione al contesto.

Attività 89: la parafrasi di un testo linguistico

Sul piano linguistico, nella nostra tradizione la parafrasi viene spessodegradata a mera trasposizione in prosa di testi poetici, o alla riscrit-tura senza discorsi diretti di testi narrativi in prosa – attività che cisembrano diseducative in termini di consapevolezza dell’essenza pri-maria del testo letterario, le cui scelte linguistiche per definizionenon sono parafrasabili.

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7.3 � Lo sviluppo dell’abilità di scrivere sotto dettatura

Scrivere sotto dettatura è un’abilità utilissima per alcune professioni, daquelle segretariali a quelle di raccolta di informazioni, ma per la mag-gior parte delle persone non è una abilità linguistica ma solo un’attivitàscolastica, legata all’apprendimento dell’ortografia e alla valutazionenelle lingue straniere.

In realtà il concetto di dettato necessita di una riflessione in ordinealla sua pertinenza, per riprendere il parametro di Carroll visto in 1.3:

a. scrivere sotto dettatura attiva competenze diverse da lingua a lingua:in spagnolo, lingua con una corrispondenza fono-grafemica abba-stanza stretta, il dettato è un esercizio di ortografia, e in qualche mo-do lo è anche in italiano, sebbene la corrispondenza tra fonemi e se-gni grafici sia assai meno reale di quanto si percepisce di solito; intedesco è necessaria un’analisi grammaticale per individuare i so-stantivi da scrivere con la maiuscola; in francese c’è una forte com-ponente morfosintattica, se si pensa che gli indicatori del femminile e

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In realtà qualche attività di parafrasi può essere utile come stru-mento (quindi non come fine da sviluppare in sé) per l’eserciziomorfosintattico e lessicale, i due ambiti in cui si deve agire per tra-sformare un testo – ma in tal caso conviene partire da testi della vitaquotidiana, senza umiliare un testo letterario considerando insignifi-cante le scelte dell’autore e convincendo, implicitamente, gli studen-ti che la letterarietà sta nell’intreccio (che non viene modificato dallaparafrasi) anziché nelle scelte fonologiche, lessicali, morfosintatti-che, testuali.

Un altro possibile uso strumentale è la parafrasi diacronica, adesempio di una pagina di Boccaccio in un italiano odierno: ma ci pa-re che questa attività pertenga all’ambito della traduzione e la tratte-remo quindi nell’Attività 102.

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del plurale quasi sempre si scrivono ma non si pronunciano, che mol-te desinenze di verbi sono mute oppure omofone ma con grafie di-verse; in inglese, oltre alla dose di arbitrarietà (assai inferiore allapercezione che se ne ha) che caratterizza la relazione tra fonemi egruppi di lettere usati per rappresentarli, è necessaria un’analisi sin-tattica per distinguere, ad esempio, i casi possessivi singolari o plura-li dai semplici sostantivi plurali o accompagnati da is o has abbrevia-to; nelle lingue pittografiche invece il dettato è un esercizio di me-moria relativo ai caratteri;

b. il dettato avviene in tempo reale per cui può essere una piacevole sfi-da con se stessi se è autocorretto, per cui ciascuno si misura con sestesso, ma può essere anche una fonte di ansia se è strumento di va-lutazione: la personalità dello studente, il ritenersi bravo o «somaro»,la sua capacità di restare concentrato anche in presenza di disturbi(una penna che cade, un autobus che passa), il suo tipo di intelligenzapiù o meno visiva, e altre variabili individuali (Torresan, 2008; Caon,2008) introducono una forte componente personale che rende inaffi-dabile il dettato come test;

c. c’è una sostanziale differenza tra il dettato a viva voce e quello che uti-lizza una fonte, ad esempio un CD o un DVD. Nel primo caso, lo stu-dente è abituato alla pronuncia dell’insegnante, il quale da parte sua èinevitabilmente portato a rallentare, a scandire le parole che ritiene dif-ficili per i suoi studenti, a pronunciare ogni segmento con un’intona-zione che tende ad essere conclusa in sé, diversa da come lo stessosegmento viene pronunciato nel contesto globale della frase; il dettatoa viva voce ha però il vantaggio che consente di rispondere agli impre-visti – un colpo di tosse, un campanello esterno ecc. Il dettato da unafonte preregistrata ha una maggior accuratezza fonologica, intonativa,ritmica, ma è rigido sul piano della somministrazione e propone pro-nunce e introduce un elemento di ulteriore difficoltà dovuto alle voci ealle pronunce diverse da quelle cui gli studenti sono abituati.

Vediamo, consapevoli dei limiti che abbiamo appena ricordato, comesi può usare il dettato per l’educazione linguistica proponendo alcuneattività in ordine crescente di difficoltà (e, probabilmente, in ordine de-crescente di utilità).

171Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

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Attività 90: la trascrizione, l’auto-dettato

È una forma individuale di dettato che, una volta spiegata agli stu-denti, può essere molto utile in fase di recupero – e non solo ortogra-fico, in quanto inevitabilmente chi si auto-detta un testo cerca dicomprendere quel che legge/scrive e la comprensione è la base ne-cessaria dell’acquisizione. La procedura è estremamente semplice epuò essere condotta in maniera autonoma, come compito a casa o,soprattutto, come strumento di recupero, in due modi diversi:

a. trascrizione: partendo da un testo pre-registrato, ad esempio undialogo del libro di lingua straniera o di itaL2 (testo che per stu-denti in difficoltà dovrebbe preferibilmente essere già noto, perevitare un sovraccarico di operazioni), lo studente trascrive le fra-si o segmenti significativi, inserendo la pausa per avere il tempodi scrivere, e poi verifica direttamente sul libro di testo;

b. autodettato: lo studente legge ad alta voce una frase o una sua se-zione significativa e la trascrive; finito il periodo, verifica autono-mamente l’ortografia individuando immediatamente gli errori.

Questa è una tecnica che non inserisce elementi emotivi ma siconfigura piuttosto come una sorta di sfida con se stessi – ma la suanatura (accoppiare memoria sonora e visiva, rafforzando gli automa-tismi motori della mano) e la sua utilità per il recupero vanno spiega-te agli studenti per evitare che la trascrizione e l’autodettato venganoritenuti attività «infantili».

Attività 91: il dettato cloze

Utile in lingua straniera o lingue classiche, questa tecnica si basa suun testo in cui alcuni sintagmi, meglio che parole, o alcune brevi fra-

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173Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

si sono state eliminate: il docente (o la fonte pre-registrata) leggonola parte stampata ma anche le parole o i sintagmi da inserire.

In questo modo, lavorando ovviamente su un testo sconosciuto, silega molto l’attività di comprensione della parte presente del testocon quella di comprensione dei segmenti mancanti, che vengono tra-scritti in quanto compresi in quel contesto. Se quindi lo studente sal-ta una parola, ciò dipende più da difficoltà di comprensione che discrittura; se scrive con errori qualche parola, si ha comunque unaconferma dell’avvenuta comprensione, in quanto l’errore è solo gra-femico (fatto salvo quanto diremo nell’Attività 92).

Attività 92: il dettato per la valutazione e l’autovalutazione

In alcuni casi, il fatto di aver scritto una parola non significa che essasia stata compresa: se a un italiano si detta «strello» non ha alcunadifficoltà nello scriverla, ma indubbiamente non la comprende per ilsemplice fatto che non esiste; e anche in inglese alla parola pronun-ciata /bail/ è molto probabile che corrisponda la grafia bile o byle,per cui in un dettato si può scegliere casualmente e avere il 50% dipossibilità di successo.

Di converso, il fatto di non aver scritto una parola non significanon conoscerla: spesso, soprattutto in lingua straniera, una parolanon compresa a un primo ascolto viene individuata in un ascoltosuccessivo: la parola era già nota ma risultava difficile da individua-re nella stringa sonora o nella varietà geografica del parlante; e lamancanza di una parola non significa neppure il non saperla scrive-re: può esserci un disturbo esterno, oppure si può essere più lentinello scrivere di quanto presupponga chi legge il testo. Infine, è pos-sibile che manchi una stringa intera: chi scrive sotto dettatura puòaver perso tempo cercando di riflettere su una parola della cui grafiaè incerto, o può essere tornato indietro a correggerla dopo averla

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7.4 � Lo sviluppo dell’abilità di prendere appunti

Saper prendere appunti è funzionalmente utilissimo per studiare, sia chegli appunti riguardino una lezione orale sia che derivino da un manualescritto; in questo secondo caso spesso la stesura di appunti coincide conil riassunto, per cui focalizzeremo l’attenzione sugli appunti da un testoorale (anche se certe considerazioni si applicano a entrambi i contesti),attività sempre più necessaria nelle esperienze di CLIL (Content andLanguage Integrated Learning, uso veicolare della lingua straniera perstudiare altre discipline; cfr. Coonan, 2002; Serragiotto, 2003).

La raccolta di appunti è un’abilità con tre componenti:

a. una componente linguistica, in quanto si deve comprendere il testo econtemporaneamente scrivere gli appunti, che devono essere abba-stanza chiari da essere poi riletti e interpretati; se si prendono appun-ti da un testo in lingua straniera, la componente linguistica si accen-tua non tanto sul piano della comprensione, quanto su quello dellascrittura: gli appunti (anche se all’inizio gli studenti stentano a ren-dersene conto) sono necessariamente presi nella stessa lingua del te-sto di partenza, perché tentare di tradurre quel che si comprende pertrascriverlo rallenta troppo e impedisce di seguire il testo;

b. una componente extralinguistica, costituita da frecce, sottolineature,

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trascritta erratamente, e si trova ad essere indietro rispetto al ritmodella dettatura…

Quindi il dettato è un test assolutamente inaffidabile; invece, inuna logica di autovalutazione il dettato è una tecnica ottima perchémette ogni studente di fronte alle proprie caratteristiche (stress, len-tezza nello scrivere, tendenza a soffermarsi troppo per sciogliere undubbio perdendo di fatto le dieci parole successive ecc.) e alla pro-pria competenza linguistica.

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segni che indicano relazioni logiche, rimandi, opposizioni ecc.;c. una componente cognitiva, cioè la capacità di analisi le informazioni

in termini «rilevante vs. accessorio» – analisi che deve essere effet-tuata in maniera rapidissima e che risulta quindi assai più complessadi quella, lenta e riflessiva, consentita dal riassunto.

Nella tradizione italiana questa abilità viene sostanzialmente trascu-rata – e gli effetti si colgono soprattutto nel triennio delle superiori e al-l’università, quando la necessità di prendere appunti diviene via via piùrilevante.

175Lo sviluppo delle abilità di trasformazione di testi

Attività 93: la ricostruzione differita del testo originalepartendo dagli appunti

Se si vuole sviluppare questa abilità, l’unica attività possibile è quel-la di proporre agli studenti una sfida con se stessi – in quanto gli ap-punti sono sempre personalissimi, nessuno può usare o valutare ap-punti altrui, se sono ben personalizzati: la sfida consiste nel prendereappunti su un testo di qualche minuto, non guardarli più per un mesee poi, autonomamente o lavorando con un paio di compagni, provarea ricostruire il significato del testo originale.

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CAPITOLO 8

La traduzione e l’educazione linguistica avanzata

In glottodidattica la parola «traduzione» indica due realtà: da un lato,essa definisce una delle abilità linguistiche, assai complessa perché in-tegra ricezione e produzione e può essere svolta per iscritto oppure oral-mente; dall’altro, la traduzione è anche una tecnica glottodidattica, cioèuna attività utilizzata per acquisire/apprendere una lingua e, sebbenesenza alcuna affidabilità, per valutare la competenza (perfino negli esa-mi di maturità, per quanto riguarda le lingue classiche).

Da mezzo secolo, nella didattica delle lingue straniere la traduzione èconsiderata una tecnica controproducente perché può abituare a tradur-re dalla L1 alla lingua straniera anziché a generare testi direttamente inquesta lingua; nella temperie della reazione all’approccio grammatico-traduttivo si sono applicati alla traduzione come tecnica quei parametri«giusto → sbagliato», «buono → cattivo» che in 1.3 abbiamo indicatocome estranei alla valutazione scientifica delle tecniche glottodidatti-che: il risultato è stato una «diffamazione» della traduzione che ha por-tato alla sua esclusione di fatto dall’insegnamento delle lingue stranieremoderne; questo dibattito non ha interessato il settore delle lingue clas-siche dove la traduzione è ancora la tecnica didattica di base.

Vogliamo far nostre le parole con cui Laura Salmon inizia la sua ri-flessione sulla traduzione in glottodidattica (2004, p. 78): «Alcune del-le cose che sosterrò in questo mio intervento parranno a qualcuno pro-vocatorie o almeno strane». In realtà, e lo dimostra la scelta di dedicareun capitolo intero alla traduzione anziché collocarla nel capitolo 7 tra le

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abilità di trasformazione di testi, cui pure appartiene, ci pare che siagiunto il momento di reagire all’ostracismo acritico e di ragionare suipregi e i difetti della traduzione come tecnica glottodidattica.

Precisiamo anche che vogliamo far nostro il punto di vista che si inte-ressa della traduction pédagogique (Carpi, 2006) come processo, come«azione segnica», come «semiosi traduttiva» (Arduini, Stecconi, 2007,pp. 55 ss.): in prospettiva glottodidattica non ci interessa il prodotto del-la traduzione perché sono i processi che fanno crescere competenza emetacompetenza nei discenti, indipendentemente dai prodotti generatida tali processi. Indubbiamente, l’uso della traduzione che i formalistihanno fatto per secoli nella didattica delle lingue straniere e continuanospesso a fare in quelle classiche è perverso, nel senso pieno di questo ag-gettivo, va contro il «verso naturale»: ha come scopo quello di esercitareo, peggio ancora, di valutare la morfosintassi e il lessico, anziché quellodi sviluppare la sensibilità e la flessibilità nell’uso della lingua: hannolavorato, per usare i parametri di Gardner, all’intelligenza logico-mate-matica anziché a quella linguistica (Torresan, 2008). È perverso (nel-l’accezione, questa volta, di «cattivo», con un tocco di sadismo glottodi-dattico) imporre a studenti che non hanno ancora strumenti linguistici eculturali sufficienti una delle abilità più complesse di uso della lingua,un’abilità che si basa su una semiosi complessa e deve vedersela conl’alterità culturale; è controproducente, ai fini della comunicazione, abi-tuare gli studenti a produrre lingua straniera traducendo dalla L1: la tra-duzione è un processo lento (si svolge prevalentemente nella cortecciacerebrale dell’emisfero sinistro, che è sequenziale e quindi richiede tem-po), faticoso (trascura quelli che i neurolinguisti e gli psicolinguisti chia-mano «processi automatizzati» e favorisce i «processi controllati»), di-sabitua alle strategie di aggiramento dell’ostacolo (carenze lessicali,strutture morfosintattiche complesse) fondamentali per comunicare.

Potremmo continuare elencando l’uso perverso, errato ed eccessivoche si è fatto per secoli della traduzione in glottodidattica, ma ciò nongiustifica l’ostracismo radicale a una tecnica didattica. In questo capito-lo studieremo dunque l’uso glottodidattico della traduzione come tecnicadi lavoro su testi, con il presupposto che il suo uso richiede una buonapadronanza della lingua straniera o classica; indicativamente, con riferi-mento alla struttura della scuola italiana, diremo che in un liceo il trien-

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nio può ospitare attività di traduzione del tipo che vogliamo proporre. Cibaseremo, oltre che sulle opere citate sopra, su: Aa.Vv. 1982 e 1984, rac-colte che fecero il punto sul ruolo della traduzione in glottodidattica, manon ebbero seguito, almeno fino a Borello, 1999; Salmon, 2003, per unateoria della traduzione; Mazzotta, 2006, per il ruolo della comprensionenel processo traduttivo; Montella, Marchesini, 2007, che include anchemolte riflessioni glottodidattiche tra cui un saggio di Borello sulla storiadella traduzione in glottodidattica; Mazzotta, Salmon, 2007, dedicato al-la traduzione delle microlingue scientifico-professionali. Tra i libri inlingua straniera, un punto di riferimento è Forges, Braun, 1997.

8.1 � La traduzione come tecnica glottodidattica

Per la valutazione di una tecnica abbiamo suggerito alcuni parametri in1.3; riproponiamo qui quelli pertinenti a una riflessione sulla traduzione.

8.1.1 Obiettivi

Le tre risposte che si possono dare alla domanda «perché usare la tradu-zone?» hanno una caratteristica comune: la traduzione

– serve a far riflettere, a produrre metacompetenza; – è uno strumento per l’apprendimento e non per l’acquisizione, (nei

termini di Krashen), per cognizing e non per knowing (in terminichomskyani);

– sviluppa i processi controllati e non quelli automatici (in termini psi-colinguistici);

– mira all’analisi dei testi, non alla produzione di testi, anche se ne pro-ducono;

– non è uno strumento di azione pragmatica, sociale e culturale bensìuno strumento di analisi e comparazione socio-pragma-culturale.

Queste caratteristiche (che confermano la necessità di una soglia diconoscenza linguistica solida e ampia prima di procedere alla traduzio-

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ne glottodidattica) si realizzano operativamente in tre direzioni: meta-linguistica, metaculturale, ermeneutica.

a. Strumento di metacompetenza linguistica Non è necessario approfondire, in questa sede, questo evidente obiettivodella traduzione, sia in ordine alla lingua generale, sia soprattutto allemicrolingue scientifico-professionali e a quella letteraria.

Gran parte delle attività traduttive che proporremo in seguito miranoa raggiungere questo obiettivo.

b. Strumento di riflessione interculturale Uno dei classici di Robert Galisson, dove esplodeva il concetto di lessi-cultura, si chiamava De la langue à la culture par les mots (1991; fon-damentale anche il saggio del 1999); un testo «classico» di uno dei mas-simi traduttologi, Basil Hatim (1996), si chiama Communication AcrossCultures; un terzo titolo, di Umberto Eco (2003) è significativo: Direquasi la stessa cosa, in cui l’intraducibilità è attribuita non tanto alladifficoltà di equivalenze linguistiche bensì culturali.

Si tratta di osservazioni ben note a tutti coloro che si occupano di pas-saggio da una lingua all’altra e, soprattutto, da una cultura all’altra, anchein considerazione dell’ipotesi di Sapir (senza giungere all’estremo dellasua versione con Whorf) per cui la lingua è lo strumento di percezione eacquisizione culturale: come tradurre culturalmente «amare» e «voler be-ne» in inglese dove love li assomma, in francese dove aimer li include masignifica anche «piacere», in spagnolo dove querer è sia «amare» sia«volere» – per non parlare del fatto che «amare» unifica la filia e l’erosaristotelici, entrambi forme di amore, non di semplice «voler bene»?

La traduzione mette lo studente di fronte all’alterità culturale non tra-ducibile e getta immediatamente in crisi, di riflesso, la sua identità. Qualealtra tecnica può costringere lo studente alla metaconosceza intercultura-le, così facile a sfuggire in una glottodidattica ridotta a comunicativismospicciolo? Quale altra tecnica «implica la comprensione, il riconoscimen-to, l’ascolto dell’altro [?…]. Grazie a questo lavoro [nel senso freudianodi elaborazione], l’atto del tradurre si presenta come un vero modello eti-co di integrazione tra gli individui, le culture, gli Stati […], un luogo dimediazione tra identità e alterità» ( De Carlo, 2006, pp. 125-26).

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c. Strumento ermeneutico, di scoperta induttiva della lingua straniera oclassicaNel Rinascimento l’uso diffuso di testi latini con traduzione interlinearein volgare era il mezzo preferito per l’apprendimento sia del latino siadi altre lingue moderne. L’obiettivo in questo caso era di supporto er-meneutico, anche perché non si poteva parlare di insegnamento ma piùche altro di autoapprendimento tutorato da qualche ecclesiastico.

Oggi la traduzione «interlineare» si presenta sotto forme inedite, nonpiù interlineari ma che ne riprendono la natura, quali ad esempio:

– l’opzione dei DVD che consente di vedere il film in lingua originaleavendo la sottotitolazione in italiano;

– la possibilità di scaricare dalla rete versioni in più lingue dello stessotesto tecnico, giuridico ecc.

Da quando la globalizzazione e la conseguente mobilità delle persone edei testi ha imposto il LLLL, Life Long Language Learning, l’accentua-zione sull’autoapprendimento delle lingue (per quanto introdotto da uncorso intensivo e sostenuto da tutor, quasi sempre on line) è esponenziale,e un uso di testi con traduzione interlineare classica oltre che nelle versio-ni viste sopra può essere sensato, soprattutto se accompagnato da suppor-ti tutoriali. Tra gli obiettivi di uso della traduzione non abbiamo parlato diverifica e di valutazione. La comparabilità dei risultati è una componenteessenziale di una tecnica di verifica, e la traduzione è probabilmente lapiù non-comparabile delle attività didattiche, insieme al dialogo libero:troppe sono le variabili, troppo alto il ruolo della componente personale.Certo, dalla traduzione possono emergere carenze lessicali, morfosintatti-che, ortografiche – ma per valutare queste dimensioni esistono tecnicheche richiedono molto meno sforzo e tempo e sono molto più accurate. Ve-rificare tali elementi usando la traduzione corrisponde alla classica cacciaalla zanzara usando il cannone: sono più i danni che i risultati.

8.1.2 Lo studente e la traduzione

Tradurre è un’attività faticosa, difficile: la motivazione – tranne per glistudenti che hanno uno spiccato interesse personale per la lingua – può

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nascere solo se il ruolo della traduzione nell’apprendimento viene chia-rito dall’insegnante e se si premette la separazione tra il lavoro traduttivoe la valutazione. Per motivare il lavoro traduttivo è necessario che questo

– venga condotto su testi psicologicamente rilevanti: il giardino di Lu-cullo era certamente bello, ma che cosa può interessare a uno studen-te?; il testo va scelto accuratamente ed eventualmente può essere ta-gliato nelle parti non rilevanti;

– venga percepito come compito fattibile, realizzabile, per rispondereai parametri dell’attrattiva dell’input e della fattibilità del compito,propri del modello motivazionale di Schumann (1997);

– sia una forma di piacere di lavoro sulla lingua, di riflessione sulleproprie competenze, di gara tra persone, coppie, gruppi per trovaresoluzioni migliori, di cooperazione per giungere a un testo conclusi-vo condiviso da tutti come la miglior traduzione possibile;

– venga posto soprattutto come sfida con se stessi, per cui la traduzioneva presentata come la più alta, complessa, sofisticata sfida possibile.

La motivazione deve essere tale da durare a lungo, perché la traduzio-ne richiede tempo e sforzo sia di realizzazione (possono essere necessa-ri tempi differenziati da parte di ogni allievo, che quindi deve lavorareanche a casa, ricorrendo a dizionari, internet e quant’altro) sia di corre-zione, intesa come commento in classe, come ricerca delle soluzioni mi-gliori tra quelle proposte dagli studenti, come creazione di un testo con-diviso: cercare di giungere a una traduzione condivisa, cioè frutto del la-voro di tutti, è l’attività chiave senza la quale la traduzione non ha sensoglottodidattico e non viene accettata dagli allievi, che la subiscono comeun dovere, come la più «scolastica» di tutte le attività glottomatetiche.

Da tutto ciò consegue che la traduzione non è quindi un’attività «eco-nomica» (nell’accezione di Carroll riportata in 1.3), anzi richiede moltotempo – e quindi non può essere un’attività sistematica, routinaria. È benvero che il talento di un traduttore cresce in relazione alla frequenza e al-la continuità delle esperienze di traduzione: ma nella scuola non si pre-parano traduttori, ci si limita a insegnare le lingue straniere e classiche,ma per la rilevanza che abbiamo visto in 8.1.1 qualche esperienza di tra-duzione è necessaria anche se non si devono formare traduttori.

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8.2 � Modalità di realizzazione

Ci sono altre due riflessioni propedeutiche all’analisi dei vari tipi di tra-duzione: in quanti si lavora e con quali strumenti.

a. Numero di studenti impegnati nella traduzioneSopra abbiamo parlato, in relazione all’economicità della traduzione, diuna sua esecuzione individuale, con riferimento al fatto che i ritmi sonodiversi da persona a persona e che in un’attività complessa come questala diversità viene amplificata e può diventare un disturbo: ci riferivamoovviamente alla traduzione scritta dalla lingua straniera o classica – maci sono varianti della traduzione che vedremo sotto e che ben si adatta-no al lavoro in classe (ad esempio, la traduzione orale «all’impronta» diun testo scritto), e comunque qualche breve esperienza di traduzione inclasse, collettiva, soprattutto dall’italiano alla lingua straniera o classi-ca, può essere utile: focalizza il processo di traduzione, permette di con-dividere la conoscenza e quindi di disseminarla tra i compagni, vienecondotta sotto la guida di un esperto, il docente, che quindi sopperisceladdove necessario alle lacune degli studenti diventando uno «strumen-to» a loro disposizione.

Una modalità interessante può essere quella della traduzione in pic-colo gruppo possibilmente di fronte a un computer:

– si mettono insieme sia le conoscenze dei membri del gruppo sia le lo-ro capacità di controllo formale sul testo che viene prodotto;

– si lavora su un testo pulito, senza cancellature e rinvii, il che rendepiù agevole il lavoro e il controllo della qualità del testo;

– il docente può passare di gruppo in gruppo in modo da seguire il pro-cesso in itinere, coprendo lacune, dando suggerimenti, richiamandol’attenzione su errori o improprietà;

– a fine lezione, ogni gruppetto può mandare direttamente la propriatraduzione alla mail di tutti i compagni di classe (o di corso, all’uni-versità) in modo che ciascuno possa eventualmente modificare lapropria traduzione originale prendendo il meglio (o quel che consi-dera tale) dagli altri;

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– nella lezione successiva, la lettura di una di queste traduzioni «defi-nitive», intercalata con la discussione con chi ha operato scelte diver-se, può completare il percorso.

b. StrumentiQuanto agli strumenti, che sono utilizzabili solo nella traduzione scrittadalla lingua straniera o classica verso l’italiano, il loro uso deve esserecompatibile con le procedure di percezione e comprensione del nostrocervello e della nostra mente. Richiamiamo qui brevemente il fatto che la comprensione avviene at-traverso una prima fase di globalità, in cui si attiva anzitutto l’emisferodestro e si recuperano le informazioni situazionali e contestuali, si sfrut-ta la conoscenza del mondo in termini di schemi, frame, script, si crea laridondanza cotestuale, si attiva la strategia di skimming; a questa primalettura estensiva fa seguito la fase di analisi, basata essenzialmente sul-l’emisfero sinistro (cfr. 4.1).

Gli strumenti di supporto non vanno usati nella fase della globalitàproprio per non interferire con il processo. Dizionari, grammatiche diriferimento, banche date su internet ecc. vanno usati solo dopo averscorso il testo da tradurre e, se possibile, anche dopo aver schizzato unaprima traduzione in cui le parti non comprese rimangono in bianco (evi-denziando in tal modo le lacune, ai fini dell’autovalutazione delle pro-prie capacità).

Quanto alla traduzione dall’italiano alle lingue straniere o classiche –procedura che ci pare saggio usare con estrema parsimonia, come ve-dremo – è fondamentale, per l’autovalutazione delle proprie capacità,che lo studente proceda a un primo abbozzo di traduzione delle sezioniin cui è in grado di farlo: la quantità di spazi vuoti gli darà la percezionetangibile della sua (in)competenza.

Non va infine dimenticato che l’acquisizione delle abilità di uso deldizionario, delle grammatiche di riferimento e delle banche dati infor-matiche costituisce uno dei vantaggi «collaterali» delle esperienze ditraduzione, anche se la padronanza di questi strumenti va costruita conmolte più attività che non la sola traduzione.

La traduzione può essere effettuata secondo diverse modalità, che ve-dremo di seguito.

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Attività 94: la traduzione scritta dalla lingua straniera o classica all’italiano

La direzione indicata dal titolo non solo è quella classica (la rispetta-vano già i latini nelle loro scuole, dove si traduceva sempre dal grecoal latino; solo con l’imporsi dei volgari si traduce dalla L1 al latino),ma è anche quella naturale (si parte da ciò che si sa meno, la linguanon nativa, per dare un prodotto in ciò che si sa meglio, la madrelin-gua) nonché quella normalmente praticata tra i traduttori professio-nisti.

Questo tipo di traduzione concentra l’attenzione sia sulla lingua dipartenza, quella straniera o classica, sia sulla qualità della linguad’arrivo, l’italiano, contribuendo così all’educazione linguisticacomplessiva – perché questa è una delle grandi potenzialità della tra-duzione, agire contemporaneamente su entrambe le lingue, le culturee le enciclopedie di riferimento.

L’obiettivo primario del lavoro con questa modalità traduttiva è illavoro sul lessico, nell’accezione più vasta – dalla connotazione, fon-damentale nei testi letterari, alla precisione terminologica di quellimicrolinguistici; dalla scelta dei registri, almeno alla quantità di im-pliciti culturali che sono impigliati in ogni parola.

Oltre all’attenzione lessicale è possibile un lavoro meno evidente,ma non per questo meno importante, sulla sintassi del periodo, so-prattutto nella ricollocazione delle subordinate in posizioni diverseda quelle dell’originale e nella trasformazione della struttura paratat-tica, tipica dei testi inglesi che preferiscono la coordinazione, in unastruttura ipotattica, basata sulla subordinazione, più propria delle lin-gue romanze; è possibile anche l’opposto, con la trasformazione del-l’eccesso ipotattico di Cicerone in italiano del XXI secolo.

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Attività 95: la traduzione orale dalla lingua straniera o classica all’italiano

Nella scuola e nei corsi di laurea non finalizzati all’interpretariato latraduzione orale → orale dalla lingua straniera può essere solo con-secutiva (si ascolta un segmento in lingua straniera e lo si riproponeimmediatamente in italiano): si lavora sulla comprensione in un con-testo molto vincolato nei tempi e quel che conta è l’efficacia prag-matica, il riuscire a veicolare in italiano i significati e gli scopi del-l’enunciato in lingua straniera.

Sul piano dell’apprendimento questa tecnica non è utile per chi laesegue (il livello di stress è molto alto, quindi si attivano i meccani-smi di difesa noti come «filtro affettivo») e dopo un po’ neppure peri compagni, in quanto richiede molta concentrazione e questa tende asparire rapidamente se non si è direttamente impegnati. Tuttaviaqualche esercitazione di questo tipo, purché contenuta nei tempi, puòessere una sfida motivante.

Una forte riduzione dello stress, e quindi una maggiore efficacianell’acquisizione, si ha se il testo di partenza è scritto e si chiede unatraduzione orale, prassi molto diffusa nell’insegnamento delle lingueclassiche e, di fatto, anche nel lavoro su testi italiani antichi di cui sichiede sempre di fare la «prosa» in italiano contemporaneo, che altronon è se non una traduzione diacronica (vedi Attività 102).

In entrambi i casi, se la traduzione orale viene registrata, l’effica-cia della tecnica aumenta radicalmente in quanto diventa possibile ri-percorrere la traduzione, coinvolgendo tutti gli studenti nell’analisisia del modo in cui è stato compreso il testo di partenza sia della qua-lità del testo d’arrivo, in termini anzitutto pragmatici (la traduzioneha riportato correttamente tutti i significati?) e poi anche formali. Inquesto senso l’analisi delle incertezze, degli enunciati saltati, deglierrori diviene un momento fondamentale e, se condotto collettiva-mente, non demotiva chi ha eseguito materialmente la traduzione an-che se ne mette in evidenza i limiti.

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Attività 96: la traduzione dall’italiano alla lingua straniera o classica

È la forma classica della traduzione nell’approccio formalistico enell’approccio grammatico-traduttivo, è quella che è stata «diffama-ta» – diffamazione giusta in quanto era l’unica tecnica, insieme aldettato, che veniva utilizzata, tra l’altro ridotta a traduzioni di frasidecontestualizzate o assolutamente prive di significato pragmatico,come la celebre frase da tradurre in francese:

Un cammello pieno di pidocchi e carico di giocattoli e gioielliinciampò nei ciottoli del deserto, cadde e si ruppe le ginocchia

in cui tutte le parole sottolineate sono irregolari o insolite al plurale. La traduzione orale dall’italiano alla lingua straniera, ancorché pu-

ramente consecutiva, è estremamente difficile e può essere una sfidache si fa una o due volte l’anno quasi per gioco – ma un «gioco» chepuò essere utile se si usa il registratore e poi si rivedono insieme lerealizzazioni. Ma come recita il proverbio «ogni bel gioco dura poco».

Se si vuole fare qualche esperienza di traduzione verso la linguanon nativa conviene lavorare su testi scritti, che consentono anche unmaggior tempo per la riflessione e quindi contribuiscono alla meta-cognizione sui meccanismi traduttivi e linguistici messi in atto.

Mentre la traduzione verso l’italiano (Attività 93 e 94) focalizzal’attenzione sul lessico italiano e sulla sua qualità, la traduzione ver-so la lingua straniera o classica fa emergere soprattutto le difficoltàmorfosintattiche e, laddove si tratta di lessico, si limita a distingueretra lessico conosciuto e lessico ignorato, da recuperare sul dizionario– ed è proprio l’uso del dizionario che viene rafforzato da questa atti-vità di traduzione, se si investe tempo nel discutere insieme alcunicasi di traduzione eccellente e altri di traduzione scadente o errata,chiedendo agli studenti di spiegare ad alta voce i percorsi che sonostati seguiti nel dizionario per giungere alla traduzione.

Non possiamo ignorare la annosa discussione sul ruolo del diziona-rio monolingue: il suo uso ci pare tuttavia inadatto, a livello scolastico,

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perché la ricerca sul dizionario monolingue richiede percorsi di ap-prossimazione progressiva assai sofisticati, propri di chi si specializzanelle lingue straniere e non della scuola. Insegnare a usare un diziona-rio monolingue a un pubblico il cui obiettivo è imparare la lingua, nonla traduzione, è sbagliato in termini di programmazione degli obiettivi.

In questo tipo di traduzione la scelta del testo è di particolare deli-catezza: la tradizionale traduzione in lingua non-nativa di testi lette-rari non trova alcuna giustificazione

– testuale: il testo letterario è quello linguisticamente più complesso,richiede un’analisi letteraria prima della traduzione e presupponecompetenze altissime nella lingua d’arrivo;

– glottodidattica: non serve a rafforzare la produzione nella LS«quotidiana» e ha sempre un effetto demotivante, perché rappre-senta una sfida troppo alta, il cui risultato è sempre e comunquedeludente se viene poi confrontato con la traduzione fatta da unprofessionista.

Attività 97: la retrotraduzione

Il meccanismo è semplice: si prende un testo italiano nella traduzio-ne in lingua straniera e si chiede agli studenti di tradurlo in italiano,dopo di che si confronta il testo ottenuto con quello di partenza e siriflette sulle discordanze – il che talvolta consente di scoprire super-ficialità o errori nelle traduzioni anche dei professionisti, con unabuona occasione per riflettere sulla traduzione.

È possibile anche il percorso inverso, con un testo originale stra-niero o classico presentato nella traduzione italiana e ri-tradotto ver-so la lingua d’origine – ma questa variante della retrotraduzione èmolto più complessa, come tutte le traduzioni verso la lingua non na-tiva; l’analisi della propria traduzione è sempre deludente e quindidemotivante, in quanto la padronanza della lingua d’arrivo è limitata

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e non può reggere il confronto con il testo tradotto da un professioni-sta di madrelingua.

Il principale pregio della retrotraduzione è psicodidattico, in quan-to il compito si presenta come una sfida dello studente (o della cop-pia, del gruppo di studenti) con se stesso, con un testo, non con un in-segnante-giudice: anzi, l’insegnante diviene un punto d’appoggio, unconsulente che guida la discussione e non il depositario della cono-scenza di ciò che è giusto o sbagliato. L’idea non è nuova: la mettevain pratica con il nome di double translation method Roger Ascham(1515-68), precettore della futura Regina Elisabetta, per l’insegna-mento del latino (Borello in Montella, Marchesini, 2007, p. 149).

Attività 98: la traduzione da una lingua straniera a un’altrao dalla lingua classica alla lingua straniera

Nelle scuole dove si studiano due lingue straniere e nei licei dove sistudiano le lingue classiche è possibile – e motivante, se viene pre-sentata come una sfida – anche la traduzione tra le lingue studiate,ad esempio dal latino all’inglese o dal francese all’inglese.

Lo scopo di questa variante della traduzione non è tanto o solo lin-guistico, ma soprattutto metodologico: allo studente appare immedia-tamente chiaro che tradurre seguendo il percorso «inglese → italiano→ francese» oppure «latino → italiano → inglese» è inefficiente,complica le cose inutilmente, per cui diventa evidente che la traduzio-ne è un passaggio psicolinguistico da comprensione a produzione.

Anche in questo caso, come nell’Attività 95, il ricorso a traduzioniufficiali può essere proficuo per la discussione, pur con tutte le cau-tele e i limiti che abbiamo esposto parlando della retrotraduzione.

Un particolare aspetto positivo della traduzione tra lingue non na-tive riguarda il coinvolgimento di docenti di varie lingue, e quindi larealizzazione di un’azione di educazione linguistica in senso proprio.

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Attività 99: la traduzione di dialoghi di film stranieri

Si parte dalla versione del film in DVD con i sottotitoli nella linguaoriginale, in modo da agevolare la comprensione perché il focus del-l’attività è infatti la traduzione, non la comprensione; fatta la tradu-zione, si rivede la scena con sottotitoli in italiano e si confrontano letraduzioni, tenendo presente che spesso i sottotitoli sono più brevidell’originale per ragioni di spazio; il secondo passaggio si attua conil confronto con il doppiaggio in italiano, in cui

– la traduzione deve avere un numero di sillabe in italiano (quasi)pari a quello che si intuisce dal labiale nelle immagini;

– i riferimenti culturali propri del mondo straniero, facilmente indi-viduabili allo spettatore di madrelingua, vanno resi comprensibiliallo spettatore italiano;

– battute non traducibili vanno sostituite con battute equivalenti mache funzionino in italiano;

– il turpiloquio (che, per limitarci all’inglese, consiste quasi essen-zialmene dei due intercalari fuck e shit) va espanso a tutta l’ampiagamma di «parolacce» italiane, con le loro connotazioni e marca-tezze socio-linguistiche;

– le scelte socio-linguistiche, sia in termini di registro (in quantifilm si sente la traduzione «Chiamami Paul», anche se «Call mePaul» significa «diamoci del tu»!) sia laddove i personaggi origi-nali sono linguisticamente caratterizzati in termini diatopici, usa-no cioè varianti locali della lingua: la dimensione socio-linguisti-ca può rappresentare il principale focus di questa variante dellatraduzione, che per il resto rientra nella retrotraduzione vista nel-l’Attività 97.

Sulla visione di film stranieri cfr. anche l’Attività 60.

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Attività 100: la traduzione di canzoni straniere

Mentre nel doppiaggio (vedi Attività 97) il primo problema riguardal’equilibrio tra il testo italiano e il movimento labiale dell’attore stra-niero, la traduzione di canzoni deve produrre un testo che si adagi nelnumero di sillabe permesso dalla struttura di accenti richiesto dal rit-mo e all’accentuazione musicale – ritmo e accentuazione di cui glistudenti sono pienamente padroni vista la loro consuetudine con testicantati.

Questa attività, molto motivante come tutte quelle che riguardanotesti multimodali di cui gli studenti sono utenti intensivi, funzionamolto bene se condotta in picccoli gruppi, che possono anche lavora-re per mail, in orario extrascolastico, lasciando all’attività in aula lafase di confronto tra le varie traduzioni, in modo da giungere a unaversione condivisa da cantare insieme.

Sull’uso della canzone si veda anche l’Attività 58.

Attività 101: la traduzione di pubblicità televisiva

La pubblicità è un testo particolare da un lato per il suo uso spessospregiudicato di figure retoriche, di scarti linguistici, di sintesi traparlato e cantato, dall’altro per l’altissima presenza di elementi cul-turali, che rappresentano l’enciclopedia implicita di riferimento cherende comprensibili ed efficaci testi complessi che spesso durano po-chi secondi.

La traduzione di pubblicità si presenta dunque come un compitoapparentemente semplice (quindi fattibile, nella percezione dello stu-dente), stimolante, breve – e si traduce in un lavoro difficilissimo, manon per questo meno stimolante. E certo utilissimo.

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Attività 102: la traduzione diacronica

È un’attività che ha uno scopo utilitaristico (rendere più facilmenteleggibili testi scritti in una varietà antica di una lingua) e uno forma-tivo, far riflettere sull’evoluzione della lingua.

La struttura della traduzione diacronica è semplice in quanto pre-vede di riportare alla lingua contemporanea, nel registro adeguato,un testo scritto in varietà classiche della lingua. Se l’attività vienesvolta anche solo una o due volte nella carriera dello studente, macoinvolge nella stessa settimana tutte le lingue moderne insegnate, lapresa di coscienza è indubbiamente positiva e, a differenza delle altrevarianti, non riguarda l’acquisizione linguistica ma la riflessione sul-la diacronia delle lingue.

I suggerimenti che abbiamo avanzato nei paragrafi precedentihanno un corollario di carattere teorico, indipendente dalla riflessio-ne sulla traduzione come tecnica, che ci rimanda a quanto abbiamosostenuto nel primo capitolo:

a. crediamo di aver dimostrato quanto sia inappropriato valutare unatecnica su basi storiche, filosofiche, «ideologiche», e come invecevada vista sulla base delle sue caratteristiche operative: la tradu-zione, in questo caso, serve a fare alcune cose, ad attivare alcuniprocessi e a stimolare e guidare alcune linee di riflessione sullalingua, sul rapporto lingua/cultura ecc.;

b. emerge chiaramente, parlando della traduzione, come variandoanche solo un elemento (tradurre da soli, in coppia, in gruppo; cono senza supporti, dizionari ecc.) vari il risultato complessivo diuna tecnica in termini glottodidattici: considerazione che poniamoalla conclusione non solo del capitolo ma di tutto il volume e chevale per tutte le attività presentate.

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Indice analitico

Abelson R., 103Acquisizione spontanea, 52Allwein G., 12Analisi

del periodo, 83, 88-90grammaticale, 69, 83, 85-87, 98logica, 69, 83, 88-89, 98

Anderson M., 4Anthony E., 5Antonello D., 34Antonimia, 57Approcci

comunicativo, XIformalistico, XXIIumanistico-affettivo, 29

Arduini S., 177Aristotele, 158Ascham R., 188Autodettato, 82, 172

Balboni P.E., 12, 19, 35, 56, 69, 99,104

Barthes R., 96-97Barwise J., 12Bazzanella C., 145Beltramo M., 140

Benucci A., 117, 123Berruto G., 83Bimodalità degli emisferi cerebrali,

20Bloomfield L., 74Bonvino E., 28Borello E., 178, 188Boscolo P., 4Bradford B., 81Brainstorming, 133, 141Braun A., 178Bruner J., 67, 69Bruni F., 140

Cadamuro A., 34Calò F., 140Campi nozionali, 46Campi semantici, 46Canepari L., 80Caon F., XII, 23, 24, 27, 29, 34, 39,

99, 122, 126-128, 149, 171Cardona M., 16, 45Cardoso M., A., 39Carpi E., 177Carroll B.J., 25, 28, 170, 181Castelfranchi C., 83

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Chapman C., 103Chomsky N., 23, 67-68, 75Ciliberti A., 67Classe ad abilità differenziate (CAD),

39Cloze, 112-113Co-occorrenze, 45, 58-59Cognitivismo, 20Cognizing, 68, 82, 178Colombo A., 67, 104Comoglio M., 39Competenza

comunicativa, 8, 9, 15-17, 24, 28extralinguistica, 16linguistica, 16

Conoscenzadichiarativa, 4procedurale, 4

Content and Language IntegratedLearning (CLIL), 52, 174

Conversazione maieutica, 18Coonan C., M., 52, 174Coppola D., 156Corda A., 45Corno D., 4, 104, 140Cruciverba, 51, 57, 126Cummins J., 9Curve Intonative, 80

Danesi M., 28, 30D’Annunzio B., 23De Beni R., 104De Carlo M., 179Della Puppa F., 23Dell’Armellina R., 80De Mauro T., 46, 103De Sanctis F., 71Dettato, XII, 24, 170-173Diadori P., 99Diagrammi a ragno, 48-49, 133

Dialetto, 93Dibattito, 31Di Pietro R., 156Doppiaggio, 129, 189Duff A., 150

Eco U., 179Emozioni primarie, 38Esercizi

manipolativi, XIIstrutturali, XII

Espectancy grammar, 117

Fabbro F., 37Falso pragmatico, 137, 148Ferreri S., 46, 53, 104Filtro affettivo, 111, 150, 185Forges G., 178Freddi G., 20, 28

Galisson R., 179Gardner H., 27, 30, 32, 177Gensini S., 103Giacalone Ramat A., 136Gineste M., D., 4, 103Giochi grammaticali, 31Giuliano P., 136Giunchi P., 67Glottodidattica

americana, 3britannica, 3, 59italiana, XI, 9, 69

Glottotecnologie, 125-126, 144Goleman D., 37Grammatica

cinesica, 67, 96-99dell’anticipazione, 33, 103, 115extralinguistiche, 67, 96-101fonologica, 65, 81grafemica, 65-66, 81

Indice analitico202

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morfologica, 73morfosintattica, 66oggettemica, 67, 96-97pragmalinguistica, 66prossemica, 67, 96-97ragionevole, 83razionale, 83sintattica, 73-74sociolinguistica, 66testuale, 66

Guerriero A., R., 135

Hatim B., 179

Idioletto, 53Intelligenza

emotiva, 37-38linguistica, 31, 35, 59, 177logico matematica, 31, 36, 59, 177musicale, 31, 36, 65spaziale, 31, 36visiva, 164-165personale, 31, 36

Intercomprensione, 122-123Intonazione, 81Inventional grammar, 71Iperonimia, 57Iponimia, 57ItaL1, 21, 44, 53-54, 58, 65, 67-69, 86,

92-94, 111, 132-133, 137, 147, 165ItaL2, 29, 39, 42, 71, 105, 108, 111,

129, 133, 135, 139, 149, 166

Jamet M., C., 123Jigsaw (incastro di spezzoni di frasi),

78Johnson-Laird P., N., 4, 103

Kagan S., 39Knowing, 68, 82, 178

Kramsch C., 150Krashen S., 10, 44, 68-69, 102, 178

Language Acquisition Device (LAD),23, 67-71, 92, 102

Language Acquisition Support Sy-stem (LASS), 69-71, 102

Larsen Freeman D., 28Learning, 68Le Ny J., F., 4, 103Lessico, 44-64, 162, 184, 186

arricchimento, 54-55attivo, 53memorizzazione, 46-48ricettivo, 53uso sovversivo, 63-64

Letturadi testi, 50globale, 31

Lewis M., 44-46, 59Lexical approach, 46Lezione ex-cathedra, 18Life Long Language Learning (LL-

LL), 180Lingua

classica, 11-12, 71, 94, 105, 109,132-133, 167, 172, 177, 183-186dei segni, 12etnica, 10-11, 17, 44, 68franca, 11materna (L1), 8-10, 17, 33seconda (L2), 10straniera (LS), 10, 42, 71, 94, 105,109, 111, 132-135, 137, 166, 172,176-177, 183-186

Linguaggi extralinguistici, 17Lingue non native, 44Linguistica

acquisizionale, XII, 69pragmatica, 15

203Indice analitico

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tassonomica, 74Lo Duca M., G., 67, 86, 136, 140Lombardo Radice G., 9, 71Lozanov G., 136Luise M., C., 29

Mac Rae J., 150Maggio M., 46Maley A., 150Marchesini G., 178, 188Marello C., 45, 113Mariani L., 34Mazzini G., 158Mazzotta P., 29, 67, 178Medici M., 85Melcuk I., 168Memoria

cinestetica, 64musicale, 64semantica, 46verbale, 47, 64visiva, 47

Metodo, 5-6Metodologia

collaborativa, 5costruttivistica, 5ludica, 5-43umanistico-affettiva, 5

Minimal pair, 80Minsky M., 103Modelli operativi, 3, 5, 6, 8Mollica A., 60Monologo, 135-136Montella C., 178, 188Morosin S., 75

Nardi E., 104Neo-comportamentismo, 20Neologizzazione, 62-63Neuroni specchio, 75

Nida E., 108Norman S., 28

Oller J., 113, 125

Pallotti G., 140Palmer H., 71Parafrasi, 168-170Parisi D., 83Parole emozionali, 60Patrimonio lessicale, 60Pattern drill, 74-76Pazzaglia F., 104Periodo silenzioso, 111Pidgin, 11Piemontese M.E., 103-104Polisemia, 56-57Polywords, 45Pontecorvo C., 46Porcelli G., 25, 29, 45, 80Pozzo G., 4, 34, 104Produzione

orale, 132scritta, 132, 140

Psicologiacognitiva, 4, 8comportamentistica, 74della Gestalt, 20relazionale, 146umanistica, XII, 29

Prat Zagrebelsky M., T., 45Processi di certificazione, 19Prodi R., 11Propp V., 137Proverbi, 45Psicodidattica, 29Psicolinguistica, XII

RACE (acronimo), 25Ranking, 59

Indice analitico204

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Regole di pronuncia, 65, 73Renzi L., 83Retrotraduzione, 187-188Revell J., 28Riassunto, 162-167Rigo R., 28, 140Riordino di parole, 31Role play, 31, 157-158Rossi V., 127

Sabatini F., 89Salmon L., 176, 178Sapir E., 179Scanning, 105, 108Schank R., 103Scheda di auto-osservazione, 35Schumann J., 37, 111, 181Scienze

cognitive, XIIdel linguaggio, 4dell’educazione, 4della cultura, 4della mente, 4

Second Language Acquisition Theory,10

Sequenza gestaltica, 68, 114Sequenze acquisizionali, 24Serragiotto G., 52, 174Simone R., 85Sinonimia, 57Sistemi completi, 47Skehan P., 35Skimming, 105, 107, 183Skinner B., F., 16, 74Sociolinguistica, 15Spazio di azione didattica, 8, 12-14

Stecconi U., 177Stevick E., 29Stili d’apprendimento, 32-34, 36-37Suggestopedia, 136

Tecniche didattiche, XI-XII, 3, 6, 14Tecniche in prospettiva cooperativa,

38Tesnière L., 89Think aloud protocol, 120Tipi di intelligenza, 29-36Titone R., 20, 67Torresan P., XII, 27, 32, 171, 177Tost M., 123Total Physical Response, 110-111Traduzione, XII, 176-191

di testi letterari, 31diacronica, 185, 191interlineare, 180orale, 185

Tratti della personalità, 34, 37Tutorato tra pari, 39

Unit, 18Unità d’apprendimento (UA), 19-23Unità didattica (UD), 19-24Ur P., 28

Van Patten B., 67Vygotskij L., 24, 69

Watson P., C., 4, 103Whorf B., 179Widdowson H., G., 102

Zone di sviluppo prossimale, 24, 69

205Indice analitico

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