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Francesco Tampoia Vitale Giordano. Una vita per Euclide 2013

Le matematiche nel Seicento

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Parole chiave: Le matematiche nel Seicento. Vitale Giordano e l’Euclide restituto. Biografia di Giordano. Note epistemologiche.

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Page 1: Le matematiche nel Seicento

Francesco Tampoia Vitale Giordano. Una vita per

Euclide 2013

Parole chiave: Le matematiche nel Seicento. Vitale Giordano e l’Euclide

restituto. Biografia di Giordano. Note epistemologiche.

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Introduzione

Lo scopo del presente testo è offrire, soprattutto al lettore che abbia poco

tempo a disposizione, con altro titolo e con lievi e opportune correzioni un

estratto del volume ‘Vitale Giordano. Un matematico bitontino nella Roma

barocca, Armando Editore- Roma 2005.’ Si parte dal Seicento, il contesto

storico in cui operò il matematico Vitale Giordano, si discute circa

l’atteggiamento dei matematici del tempo nei confronti della geometria

euclidea; si discute su Giordano e tre commenti di Euclide, si danno gli

estremi dell’Euclide restituto, un’ampia e dettagliata biografia di Giordano,

e infine alcune note di storia delle matematiche e conseguenti riflessioni

epistemologiche.

Quale fu, dopo il recupero e la pubblicazione del testo greco nella editio

princeps del settembre 1533 a Basilea, insieme con il commento di Proclo al I

Libro, l’atteggiamento dei più importanti matematici, dei dotti di fronte agli

Elementi? In primo luogo un accresciuto, spiccato interesse per il testo, noto

durante il Medio Evo, da riguardare sul piano filologico ed epistemologico, sol

che si pensi alle versioni latine, tra le prime realizzate in Italia quella del F.

Commandino il 1572 a Pisa, la migliore in latino, poi tradotta in italiano a Urbino

il 1575, quella di P. C. Clavio anch’essa in XV Libri in latino con un ricco

repertorio di note dei precedenti commentatori e editori, stampata a Roma nel

1574, numerose altre in Europa, ove furono allestite traduzioni nelle lingue

nazionali dei maggiori paesi, mentre cresceva la diffusione degli Elementi nelle

Università, nelle Accademie, tra le persone dotte.

Di fronte a un ricco materiale, apparato di note, commenti, scolj, lemmi, i

matematici del Seicento, anche del Settecento, si sentono impegnati nella

riproposizione dell’opera di Euclide nel testo canonico. A livello scientifico, ma

anche divulgativo, l’esigenza più pressante è quella di restituire, restaurare gli

Elementi, basti ricordare in Italia la pubblicazione dell’Euclides restitutus 1658 e

l’Euclide rinnovato 1663 di G. A. Borrelli, del Il V Libro degli Elementi di Euclide,

ovvero della scienza universale delle proporzioni spiegata colla dottrina del

Galileo 1674 di V. Viviani, dell’Euclide restituto 1680 e 1686 di V. Giordano, in

Francia i Nouveaux elements de geometrie 1667 di F. Arnauld, in Inghilterra

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Euclidis elementorum libri XV breviter demonstrati 1655 di I. Barrow e l’Euclidis

elementa geometrica novo ordine ac methodo fere demonstrata 1678 di N.

Mercator, per citare solo i più noti. 1 In secondo luogo l’esigenza, largamente

sentita dai matematici del tempo e rispondente al nuovo clima culturale,

scientifico, sociale, di interconnettere, in modo più stretto, la matematica pura a

quella applicata, immettere per un verso le idee matematiche nello studio della

realtà fisica, dall’altro, muovendo dal mondo fisico e partendo dai dati sensibili,

spostarsi su un piano di spiegazione matematica. Ne è conferma che i geometri

erano quasi sempre dei fisici, dei meccanici, dei tecnici. Dopo aver provato un

teorema, in sede di geometria pura, passavano subito alle sue applicazioni

considerando le due fasi come entrambe geometriche.

È in questo clima stoico culturale che Vitale Giordano scrisse e pubblicò

l’Euclide restituto (I ed. 1680, II ed. 1686), con l’intento di restituire ai lettori gli

Elementi di Euclide, di restaurarli.

1. Giordano e tre commenti di Euclide.

Il libro da Giordano più amato, letto, riletto, nella versione italiana, percorso

in senso orizzontale e verticale, è il suo Commandino (Degli Elementi d’Euclide

Libri Quindici con gli scholii Antichi Tradotti prima in lingua latina da M. Federico

Commandino da Urbino e con Commentari illustrati et Hora d’ordine dell’Istesso

trasportati nella nostra volgare e da lui riveduti Urbino MDLXXV). Commandino,

esperto di lingua greca e latina, nella Introduzione scrive che lo scopo della sua

traduzione è quello di rendere in lingua italiana nel modo più pulito e più

aderente il testo, già tradotto da in greco. E in effetti riesce a conservare la

bellezza, la grandezza del meraviglioso trattato euclideo, il suo spirito. Da

aggiungere che Commandino, dopo il XIII Libro, riporta altri due Elementi, spuri

ma che hanno un significato particolare, un valore quasi simbolico, danno il

tocco aggiuntivo e finale al meraviglioso edificio greco della Geometria.

Giordano si è costruito, come matematico, anche su un altro autore,

Cristoforo Clavio, sin da quando a Zante ha ricevuto in dono l’Aritmetica, un

booklet, volumetto tascabile che ha studiato durante la navigazione. Ha letto il

Commandino nel 1659, come dettagliatamente si narra nella biografia,

successivamente ha letto con molta attenzione il commento ai quindici Libri

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degli Elementi dello stesso Clavio, importantissima fonte cui fa riferimento quasi

venti volte. Ma in questo recupero dell’esprit geometrique greco vi è un altro

attore importante Proclo, un greco del V secolo d. C. È possibile ipotizzare che il

Commandino abbia fatto da tramite tra Giordano e Proclo? Di certo Giordano ha

apprezzato Proclo per il commento al primo Libro, ma ha anche letto

l’Introduzione, di cui si avvertono, come in lontananza, significative tracce nella

prolusione alla seduta inaugurale dell’anno accademico della cattedra della

Sapienza.

A parere di molti studiosi il Prologo al Commento al I Libro degli Elementi di

Proclo è un vero e proprio trattatello di filosofia della matematica, una guida

teorica e metodologica alla professione di geometra. Qui Proclo, facendo tesoro

dei suoi Commentari al Timeo platonico sostiene che l’attività della scienza

matematica va collocata nella sfera della conoscenza ragionata, non può essere

accomunata alla scienza naturale. Possiamo rileggere, sfogliando il celebre

dialogo platonico, quello che l’astronomo e matematico Timeo di Locri dice

riguardo alla conoscenza umana della natura: “Ora ciò che soprattutto importa

è che in ogni cosa si principi dal principio naturale. Così dunque e intorno

all’immagine e intorno all’esemplare di essa bisognasse definire questo: che

quindi anche i discorsi devono essere congeneri alle cose di cui sono interpreti;

e però di ciò che è stabile e saldo e dichiarabile con l’intelligenza, stabili e

immutabili e per quanto si può inconfutabili e inespugnabili devono essere

anche i discorsi; e di queste condivisioni non deve mancarne alcuna[…] Se

dunque Socrate in molti casi e su molti punti intorno agli dei e alla generazione

dell’universo non saremo capaci di offrirvi dei ragionamenti in tutto e per tutto

coerenti tra loro e rigorosi non te ne meravigliare; ma se non meno di nessun

altro presenteremo dei probabili”(Platone, Tim 29c).2 Questa conoscenza

incerta, probabile è del naturalista, ma vi è una conoscenza stabile e salda, in

tutto e per tutto coerente e rigorosa che si ottiene con i modelli matematici.

La conoscenza matematica comincia dall’esterno “La conoscenza

matematica invece comincia dall’esterno con la reminiscenza, e finisce coi

concetti che ha dentro di sé; è stimolata dalle cose secondarie, ma perviene

all’essenza primordiale delle specie […] la sua azione […] è un’attività

vivificatrice, si svolge e percorre l’ordinamento incorporeo dei concetti, ora

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procedendo dai principi ai risultati, ora andando in senso inverso” (ivi). Platone

insegna, più avanti ( 32c, 88e), 3 che tra mondo intellegibile e mondo sensibile

vi è un andirivieni, oltre che a livello cosmico anche a livello di umano intelletto.

Solo in base a tali principi, solo con tali ragionamenti si potrà trattare dei

tradizionali quattro elementi primordiali del cosmo, essendo essi non sostanza

bensì fenomeni, apparenza del grande flusso del divenire. Dallo stato confuso,

caotico, disordinato, chora, si passa all’ordine e alla misura con l’intervento del

demiurgo che si serve di enti intermedi matematici “che fuoco e terra e acqua

e aria siano corpi è credo chiaro a chicchesia; ed ogni forma di corpo ha anche

spessore. Ora ogni spessore comprende necessariamente la natura di

superficie; e la superficie piana e rettilinea consta di triangoli. Tutti i triangoli

poi hanno principio da due tipi di triangoli aventi ciascuno un angolo retto e due

acuti; e di essi l’uno, l’isoscele ha da un lato all’altro una parte eguale d’angolo

retto diviso da lati uguali; l’altro lo scaleno ha due parti disuguali d’angolo retto

diviso da lati disuguali “(53a ). Gli oggetti della matematica, dunque, sono degli

intermediari, e tutte le realtà derivano dai due principi supremi del Limite e

dell’Illimite.

L’essenza ultima dei corpi si compone di triangoli, numeri, solidi

geometrici e gli stessi quattro elementi fondamentali costituiscono la doppia

proporzione che tiene unito il tutto: fuoco: aria = aria: acqua = acqua: terra

(tetraedro, ottaedro, icosaedro, esaedro, cui va aggiunto il dodecaedro quale

armonia dell’universo). Proclo, nella veste e con l’esperienza di diadochos, potrà

consigliare lo studio della matematica con l seguente argomento “anche coloro

che si erano per poco accostati alla matematica per l’utilità che ne deriva, si

compiacciono in essa e vogliono studiarla, abbandonando altri interessi di

studio; cosicché chi dimostra disprezzo per la scienza matematica non ha

gustato il godimento che essa procura”.4 Nella seconda parte del Prologo Proclo

riporta una classificazione, di origine pitagorica, della scienza matematica che

nel Medio Evo avrà enorme fortuna, quella del quadrivio (aritmetica-musica,

geometria-astronomia); con essa meglio si comprende la storica oscillazione

della filosofia della matematica tra una concezione aristotelica e una

concezione platonizzante, il loro intrecciarsi e fondersi (aritmo-geometria).

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I tre commenti hanno offerto un notevole sostegno a Giordano nell’esegesi,

nell’interpretazione e commento degli Elementi, quello di Proclo gli ha prestato

in più lo sfondo filosofico.

Alla fine della lettura dell’Euclide restituto, in uno sguardo d’insieme, di

sintesi, si sente che Giordano ha colto il valore più interno, intimo dello spirito

greco, quello spirito greco che Euclide ha racchiuso nel suo trattato scientifico,

la volontà di Dedalo, di Platone di volare verso il volume per liberarsi degli

enigmi planari. In questo eros risiede il nucleo forte dello spirito greco, la parte

più sostanziale e memorabile del miracolo greco, come ha scritto in modo

impareggiabile M. Serres. Con lo studio dei poliedri regolari Platone ha voluto

esortare i geometri a liberare la loro scienza dagli elementi empirici, spingerli

verso nuovi mondi sul modello della geometria, dei poliedri appunto (Rep.

528bc). Come per Proclo, Commandino e Clavio anche per Giordano, un

matematico dalla forma mentis del gevmetrhV, del geometra tecnico, gli

Elementi cominciano con Platone, le definizioni di punto, di retta, i primi tre

postulati che si riferiscono a costruzioni da eseguire con riga e compasso per

rette e cerchi, e si chiudono con le meravigliose immagini dei poliedri platonici.

Gli ultimi due Libri, non scritti da Euclide, devono essere aggiunti per arricchire

l’intero corpus e completare l’opera.

2. L’Euclide restituto

L’Euclide restituto di Vitale Giordano nell’edizione 1686, Euclide restituto da

Vitale Giordani da Bitonto, Libri XV Seconda Impressione con nuove Additioni,

ed. in Roma per Angelo Bernabò M. D. C. LXXXVI, di complessive 792 pagine 5 ,

escluso il frontespizio, la dedica dell’Autore e l’invito al lettore di Sebastiano

Mattei, si presenta, nella sua veste tipografica, diversa dalla prima edizione

scritta in caratteri più piccoli, contiene delle modifiche non sostanziali nei

confronti della prima, è ponderosa, stampata a carattere tondo per il testo base,

in corsivo per il commento personale dell’Autore.

L’edizione di Thomas L. Heath, testo base per gli Elementi, oggi molto

seguita, corrisponde quasi perfettamente a quella di Giordano, escludendo,

ovviamente, i libri XIV e XV. Nella edizione Heath abbiamo un totale di 468

proposizioni, nella edizione di Giordano al Quinto Libro nove proposizioni in più

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che Giordano giustifica con uno scolio, al Settimo due in più connesse alle

precedenti, al Decimo otto in meno, giustificate con uno scolio al termine del

Libro. In questi spostamenti, avendo Giordano aggiunto qualche proposizione

nel suo Euclide restituto abbiamo un totale di 478 proposizioni.

Giordano ripropone nelle sue parti principali l’edizione Commandino, fa

moltissimi riferimenti a quella di C. Clavio e per il I Libro al commento di Proclo,

segue anche numerosi altri autori antichi e moderni, tra questi Apollonio,

Archimede, Posidonio, Pappo, Campano per citare solo i più noti.

Nella dedica, sempre alla seconda edizione de l’Euclide restituto, rivolta a

Luigi XIV, il re Cristianissimo, il matematico così scrive:

“Quella vaghezza, che tra le rovine delle paterne Scuole dei Pittagorici mi

venne già di applicare alle Matematiche, spenta senz’alcun dubio da una

perversa fortuna in me stata sarebbe se la Maestà Vostra, intenta ad arricchire

colle buone arti il mondo tutto, agio dato non mi avesse di mantenerla sempre

più viva a beneficio della gioventù francese in questa sua Reale Accademia.

Nella quale perciò, dopo molte fatiche da me sostenute, non solo per agevolar

le materie con chiaro metodo e breve ai discepoli poco esperti dell’italiana

favella; ma per dar anche fuori qualche mia particolare inventione mi è non so

come riuscito di comporre alcune Opere, che particolarmente la Machina tutta

di così alta scienza discuoprono.

Contiene la Prima, in cui le fondamenta si gettano, gli Elementi di Euclide,

da me nella primiera lor giacitura restituiti e confermati con quelle pruove di

che specialmente i principi delle parallele e delle Proportioni haver bisogno fin

qui si è creduto; ancorché la pruova dipendesse dagli antecedenti e noti principi

non so in che modo da tanti celebrati Scrittori non mai avvertita, non senza

qualche scherno di Euclide, che per questo difetto in più forme, che il favoloso

Proteo, si è lasciato vedere.

Hora questi Elementi che primi nell’ordine sono e primi parti del mio debile

ingegno, consacro humilmente al nome sempre Invitto di V. M. ed ai raggi del

suo profondo intendimento gli espongo ch’è quanto dire gli espongo alla publica

luce, quando dal suo gradimento quello anche dipende dell’Universo. Con

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questo così tenue tributo io non presumo però di satisfare nepure in picciola

parte all’infinito debito in che mi veggio costituito dalla sua Regia Benevolenza,

sapendo io bene che appresso la M. V. la stessa satisfazione, se sia gradita,

riceve tanto di grazia che si converte in debito e che il debito stesso è così

prezioso che di qualunque satisfatione è maggiore. Ma poiché la presente Opera

quanto fa più apparire la Verità per la mia poca industria, tanto può esser più

esposta all’odio altrui ed all’invidia, io solamente intendo di stabilirla sotto il

potentissimo Patrocinio della M. V. che coll’eccelsa prerogativa di Primogenito

della Chiesa e di Promotor zelantissimo della Religione quella ben giustamente

vanta fra l’altre di perpetuo Difensore della Verità. Difenderà ella nel tempo

stesso la Matematica tutta, la quale dalla Verità dei suoi principi appunto questo

nome a tutte l’altre discipline commune meritare ha potuto… Si degni dunque

la M. V. di accoglier con lieto ciglio questa ancorché lieve dimostrazione del mio

riverentissimo ossequio; giacchè (se grata non le sia come al commodo della

guerra insieme e della pace ordinata) il riflettere in mezzo alle sue più alte

occupationi alle cose più humili non è disdicevole a quella fortezza che

unicamente risplende nell’animo suo e che sola per eccellenza fu dagli Antichi

appellata Virtù. Ed a V. M. profondissimamente m’inchino.

DI VOSTRA MAESTA’

Humilissimo e divotissimo Servo

Vitale Giordani”

3. Note biografiche

Nell’anno 1659 all’età di 26 anni (era nato probabilmente il 15 Ottobre 1633

a Bitonto, giorno in cui fu battezzato presso la Parrocchia di S. Caterina, da

Francesco Giordano e Minerva Terriero) 6 Giordano ha scoperto la sua vocazione

per le matematiche e sta leggendo l'Aritmetica di Francesco Vieta. Un

pomeriggio, per distrarsi dalla continua applicazione nella lettura del libro, esce

da castel S. Angelo, fortezza ove è arruolato come soldato, e va a visitare un

sacerdote, suo compaesano, presso la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.

Questi gli chiede cosa facesse di speciale in quei giorni. Giordano risponde che

ha impiegato molti mesi a leggere e rileggere un libro di Francesco Vieta

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comprato da una bancarella in Piazza Navona. Fino a quel giorno, però, non gli è

stato possibile capirne granché. La lettura gli è servita solo ad acquistare

disposizione e resistenza allo studio di cose difficili.

In effetti Giordano, da autodidatta qual era, ha sottovalutato il libro di

Vieta, ha pensato di cavarsela facilmente come gli era riuscito con l'aritmetica

di P. Clavio. L’amico sentenzia che per applicarsi alle matematiche e intenderne

le più profonde, oscure ragioni bisogna partire dagli Elementi di Euclide: è con

questi che si apprende facilmente la geometria e la rete di definizioni, postulati,

assiomi. Se, prosegue, avete desiderio di apprendere le matematiche, andate

alla biblioteca di S. Agostino (l’attuale biblioteca Angelica) e chiedete una copia

degli Elementi al padre custode. E Giordano sarebbe andato subito se l’amico

non gli avesse detto che la biblioteca era aperta solo di mattina. L’indomani, di

buon'ora, corre al convento di S. Agostino, entra in biblioteca e chiede al padre

custode gli Elementi di Euclide. Il padre gli dà la copia commentata di Federico

Commandino. Giordano la apre, comincia a leggere con avidità le definizioni, i

postulati, gli assiomi, finchè giunge, senza incontrare alcuna difficoltà, alla

prima proposizione. All’ora di chiusura il padre custode è costretto a separarlo

dal libro quasi con forza, facendogli notare che non gli era più consentito

trattenersi, ma che il giorno seguente avrebbe trovato lo stesso volume da

leggere a suo piacimento. Giordano ritorna il mattino seguente e molte altre

volte tornerà per scrivere appunti da studiare e rielaborare, appena tornato al

Castello. Dopo qualche tempo, comprerà un Euclide che in meno di quattro

mesi leggerà più volte.

Siamo alla svolta esistenziale di Vitale Giordano, il fondamentale incontro

e la scoperta di Euclide.

Dopo un periodo di malattia ha deciso di lasciare il posto a Castel S.

Angelo per dedicarsi a tempo pieno allo studio delle matematiche. Lo

incoraggiano in questa scelta alcuni amici esperti della materia. L’abate

Michelangelo Ricci, divenuto poi cardinale, ingegno acuto e profondo che scrisse

un interessante lavoro sui Massimi e minimi, molto apprezzato da matematici

italiani e stranieri, tra cui Evangelista Torricelli. Giovan Alfonso Borelli, filosofo e

matematico, che molto ammirò Giordano, che gli fece capire che le

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dimostrazioni matematiche si fondano su pochi principi, innati all’umano

intelletto, da cui derivano, per via logica come a cascata, le conclusioni, l’una

dipendente dall’altra.

In questi giorni, come ha scritto il Torrini, ”la matematica, cui si era dato

soprattutto per curiosità, o per esigenze pratiche, gli si trasformava in un modo,

anzi nell’unico modo di conoscere e interpretare la realtà. Non solo, i suoi

principi, lungi da essere frutto di peregrine astrazioni, trovavano la loro validità

e la loro conferma <<in noi medesimi>>.7

Mentre cresceva la sua notorietà a Roma, Giordano allarga i suoi orizzonti

scientifici e culturali studiando la meccanica, i moti delle acque, l’ottica, la

scenografia, l’astronomia e molte altre parti della matematica con la lettura di

autori quali Archimede, Luca Valerio, Tolomeo, Galileo e altri ancora che, pur

difficili da comprendere, si erano tutti ispirati agli Elementi. La sola dottrina dei

moti dei gravi e dei proietti, le coniche di Apollonio Pergeo, l’algebra, l’analitica,

per sua confessione, gli procurano difficoltà. In esse riuscirà a perfezionarsi solo

con grande fatica e nella piena maturità.

Intanto per accogliere gli allievi, che aumentavano, prende in affitto

presso S. Maria Nuova, detta Vallicella, un’abitazione idonea per impartire le

lezioni. Amico di Francesco Levera, fu da questi proposto come matematico alla

regina Cristina di Svezia, in quel tempo residente a Roma. La regina, avute

buone credenziali anche dal cardinale Azzolini, suo fidato amico, volle

conoscerlo e ragionare con lui di matematiche, scienze in cui era versata.

Trovatolo pienamente istruito, lo nominò suo matematico assegnandogli un

adeguato stipendio. Com’è facile immaginare l’incarico procurò a Giordano

molti altri uditori importanti e di rango, specialmente cavalieri al servizio della

regina.

La regina, dopo alcuni mesi, partì per Amburgo e Giordano perse

l’incarico. Ma ormai la sua fama aveva superato i confini nazionali ed era giunta

anche in Francia, ove le arti e le scienze, protette dal re Luigi XIV, erano molto

fiorenti. Il re francese desideroso di istituire nel suo regno centri di

perfezionamento nelle arti della Pittura, Scultura, Architettura, e sapendo che

dette arti potevano essere meglio apprese a Roma studiando direttamente le

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antiche statue e fabbriche, stabilì di fondarvi, a proprie spese, l’anno 1666

un’Accademia. Scelti i giovani francesi più intelligenti e promettenti li mandò a

Roma, accompagnati da un direttore, qui furono ospitati e accolti in una sede

idonea fornita di tutti i mezzi necessari. Le suddette arti hanno una particolare

relazione con le matematiche, e si pensò di assumere un professore che

istruisse i giovani in queste discipline. Fra i molti matematici candidati

all’ambìto, prestigioso impiego fu scelto Giordano che, dopo aver insegnato in

modo egregio un anno intero, fu confermato lettore di matematica nella Reale

Accademia con brevetto regio.

Nell’anno 1672, essendo papa Clemente X, gli veniva conferita la patente

e l’incarico di Ingegnere della Real Fortezza di S. Angelo, che mantenne per

alcuni anni con fedeltà, diligenza e spirito di servizio; né rifiutò altre incombenze

provenienti dalla Santa Sede.

Giordano scrisse molti lavori scientifici, ma la sua opera maggiore resta

l’Euclide restituto (I edizione il 1680), cioé restaurato, nota per la restaurazione

degli Elementi, in particolare del parallelismo e della composizione delle

proporzioni. Si tratta del primo tomo di un ampio e ambizioso progetto di

matematica pura e applicata in più volumi, previsto da Giordano.

C. Bigolotti nella sua biografia8 riporta la curiosa vicenda della

pubblicazione della seconda edizione dell’Euclide restituto . Per quanto non

fosse ancora pronta, le istanze dei discepoli, particolarmente dell’abate

Bastiano Mattei, che scrisse la prefazione e concorse alla spesa, lo persuasero a

dare il libro alle stampe. Ma non avendo ben previsto i costi Giordano si trovò a

corto di denaro e costretto a chiederlo a un mercante, cui diede in pegno alcuni

fogli del volume. Per trascuratezza di quest’ultimo, i fogli furono rosi dai topi e il

povero Giordano dovette rifarne una seconda stampa. Finalmente l’opera uscì

l’anno 1686 con dedica a Luigi XIV.

Scrisse anche un trattato sulle sezioni coniche e la quadratura della

parabola, illustrò le opere di Archimede, la dottrina delle linee spirali, dei

conoidi e sferoidi, della sfera, del cilindro, degli equiponderanti e galleggianti,

aggiungendovi altro sul centro di gravità dei solidi, con il rimanente della

meccanica.

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Numerosi gli inediti, tutti ruotanti dalla matematica pura alla matematica

applicata, alla meccanica, ad altre discipline affini, come si può osservare anche

leggendo i programmi di insegnamento dei corsi alla Sapienza. Gli anni Ottanta

e Novanta rappresentano certamente il periodo più fecondo della sua attività di

scienziato, periodo in cui riservò poche ore del giorno e della notte al riposo e

nessuna al divertimento. Ma per quanto conducesse una vita dura e difficile

nondimeno il desiderio di sapere e gustare la vera natura delle cose gli rendeva

agevole e gradita la fatica.

Nell’anno 1685 si era resa vacante la cattedra di matematica

all’Archiginnasio della Sapienza di Roma e molti candidati aspiravano a

occuparla. Giordano dubitando delle proprie forze, in particolare della sua

padronanza del latino, lingua usata nell’insegnamento, non osava presentare la

domanda. Gli amici, che ben conoscevano la sua preparazione e la sua più che

sufficiente abilità nella lingua latina, lo spinsero a presentare istanza. Fu, infatti,

preferito fra tanti agguerriti concorrenti.

Nello stesso anno, cinquantaduesimo della sua età, dichiarato pubblico

Lettore, pronunciò alla Sapienza una dotta prolusione alla presenza del Cardinal

Paluzzo Altieri, Camerlengo di S. Chiesa, che volle intervenire insieme con molti

Prelati, gli Avvocati Concistoriali e i maggiori letterati di Roma. Dimostrò quanto

siano necessarie alla vita civile le matematiche, scienze che guidano il nostro

intelletto dalla sfera del sensibile a quella dell’intellegibile, e viceversa

dall’intellegibile al sensibile, innalzandolo con le loro supposizioni, quasi per

gradi, fino ai principi primi. Per questo esse furono accolte, favorite e protette

non solamente da Principi e Re; ma anche studiate, promosse e venerate dai

Santissimi Padri e dai supremi capi del Cristianesimo. Pronunciata la prolusione,

cominciò a leggere, secondo il cerimoniale, dalla cattedra dell’Archiginnasio,

dove ebbe un gran concorso di uditori, meravigliati nel sentirlo spiegare con

incomparabile chiarezza le opere matematiche.

In casa di Monsignor Ciampini, Prelato della Corte Romana e illustre

mecenate, da tempo era insediata sin dall’anno 1674 l’Accademia

Fisicomatematica sotto la protezione di Cristina Alessandra Regina di Svezia,

tornata a Roma. Qui i più celebri filosofi, matematici e letterati, non solo di

Page 13: Le matematiche nel Seicento

Roma e d’Italia, ma di ogni altra parte d’Europa dibattevano e si esercitavano

nelle scienze naturali e sperimentali, investigando con le matematiche, secondo

l’insegnamento di Galilei, i più mirabili e reconditi segreti della terra e dei corpi

celesti, per tanti secoli tenuti nascosti.

Giordano frequentava questa Accademia nell’anno 1687, quando sorse la

questione se i ‘momenti dei gravi’ si componessero per addizione e per

moltiplicazione. Fu del parere che si componessero per addizione, mentre il

gesuita G. F. Vanni stimò che si componessero diversamente. Giordano insistè

nella sua tesi e diede alle stampe una dissertazione di pochi fogli, che intitolò

De componentis gravium momentis 1687, che dedicò a Monsignor Buratti

Rettore dell’Archiginnasio della Sapienza di Roma.

La dissertazione verteva su un principio generale della Meccanica di

Galilei presentato successivamente, come teorema, da Torricelli. Giordano,

integrando Galilei, provò il suo assunto con una successiva operetta a stampa,

che intitolò Fundamentum doctrinae motus gravium del 1688, in cui non

soltanto dimostrò geometricamente per ragion di statica la verità di detto

principio, ma evidenziò la scarsa fondatezza dell’opinione contraria. Fece

seguire un’aggiunta e la ristampò (con il titolo Fundamentum doctrinae motus

gravium, & comparatio momentorum gravis in planis sejunctis ad gravitationes,

quibus pondus plana concurrentia premit, geometricè restituta à Vitali Jordano

Bitontino in Romano Archigymnasio, necton in Regia Gallorum Accademia in

Urbe Matheseos Professore, editio altera priori longè auktior, atque emendatior,

cum appendice. Rome 1689 ex Typographia Joannis Jacobi Komarek, apud S.

Angelus Custodem).9

Nello stesso anno conobbe, pare nello studio di V. Viviani, il 25 o il 29

ottobre il matematico e filosofo G. Leibniz, che durante il suo soggiorno romano

ebbe contatti con l’Accademia Ciampiniana. Con Leibniz, massima autorità della

cultura filosofica e scientifica europea del tempo, il nostro avrà un interessante

scambio di tre lettere, il cui tema principale è l’Euclide restituto e la definizione

di linea retta.

Si dedicò con molto impegno ad illustrare le opere di Archimede e di

Apollonio Pergeo nella nostra volgar lingua, opere che, sebbene avesse già

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commentato per uso degli scolari, nondimeno andava sempre ripulendo,

riesaminando e arricchendo di osservazioni per darle alle stampe.

Nell’anno 1690 il 5 Ottobre fu istituita a Roma da vari letterati e scienziati

l’Arcadia, frequentata dai più valenti cultori di ogni genere di lettere, arti e

scienze, non solamente di Roma e d’Italia, ma di altre parti d’Europa. Giordano

vi si iscrisse il 5 Maggio del 1691 e prese il nome di Serrano Condileo. Fu molto

legato all’accademia, ricevette stima e riconoscimenti da tutti i Pastori fin dopo

la sua morte.

Nel 1697, a letto per malattia, si fece portare un libro intitolato

Universale usualis Mathematicae teoria autore Michaele Angelo Fardella, nel

quale erano esposte varie obiezioni agli elementi di Euclide, parte del suddetto

autore, parte riportate dagli antichi e molte altre tratte da Malebranche e

Gemino Posidonio. Dopo averle ben studiate, appena guarito difese

puntigliosamante Euclide con una lunga lettera.

Con lo stesso impegno passò a difendere il suo grande Autore per gli

errori che gli erano addebitati da Antoine Arnauld, insigne letterato e scienziato

francese, autore del fortunato volume, Nouveaux elements de geometrie,

pubblicato il 1667. Arnauld, qualche anno prima, nel libro La logica o l’arte di

pensare del 1662, noto come la logica di Port-Royal, scritto con Pierre Nicole,

aveva messo in evidenza numerosi difetti della geometria euclidea in sintonia

con il clima antieuclideo francese del tempo. La difesa di Giordano è una lettera

in cui Giordano replica punto per punto, con solide ragioni e dimostrazioni, alle

critiche mosse a Euclide dai due francesi.

Giordano non trascurò, tuttavia, di studiare le proprietà dell’algebra e

dell’analitica, creduta da qualcuno universale e atta a dimostrare tutti i

problemi e teoremi. Su questo tema, alquanto dibattuto al suo tempo, fu

dell’opinione, condivisa da molti grandi geometri del tempo, che l’analitica, pur

giovandosi di caratteri brevi e di pratici algoritmi, necessita pur sempre delle

cognizioni della geometria, può essere solo una tecnica coadiutrice della

geometria, capace di sciogliere solamente piccoli problemi geometrici, per

quanto possa scioglierne un’infinità di aritmetici.

Page 15: Le matematiche nel Seicento

Apprezzò le bellissime, sottilissime e speculative soluzioni di Pier de

Fermat, del Marchese dell’Ospital, in particolare quelle molto ingegnose intorno

alle invenzioni delle tangenti alle curve. Le considerò tutte ammirabili, ma inutili

e di nessun giovamento all’uso civile, sottigliezze ideali, appoggiate ad ipotesi

che riguardano l’infinito e per ciò stesso remote dalla rigorosa infallibile

geometria.

Compose un’opera in varie lettere intitolata Uso & abuso dell’analitica

speciosa, con la quale manifestò fin dove si estende il suo principale uso, utilità

e bisogno per quanto riguarda la Geometria, l’Aritmetica e le altre parti della

Matematica.

Fu anche componente di una commissione istituita dal pontefice l’anno

1700 incaricata per la sistemazione dell’anno civile, come richiesto da diversi

stati europei. Ne facevano parte in qualità di Prefetto il Cardinale Noris, assistito

da due Porporati, i Cardinali Panfilio e Ferrari, e il Segretario Monsignor

Bianchini, suo Cameriere d’Onore, Giordano come primo matematico e

Professore dell’Archiginnasio della Sapienza di Roma, l’abate Domenico

Quarteroni Professore anch’esso di matematica in detto Archiginnasio, l’abate

Taccagni Custode della Biblioteca Vaticana, l’abate de Miro Custode della

medesima, i P.P. Baldigiani e Schinardi della Compagnia di Gesù, l’abate del

Torre, Vescovo d’Adria, il Padre Bonjour Agostiniano e il Priore Serra.

Nell’anno 1705 allo scopo di sollevare a Monte Citorio la colonna dedicata

all’Imperatore Antonino Pio, ritrovata sotto le rovine del Monte, ne fu dato

incarico al cavalier Carlo Fontana e al cavalier Francesco suo figlio, architetti di

gran valore. Questi ad imitazione del cavalier Domenico Fontana, che a suo

tempo aveva sollevato l’obelisco vaticano per ordine di Sisto V, costruirono un

modello in legno. Seguendo un modellino alzarono il castello intorno alla

colonna e situarono i sostegni del castello a troppa distanza l’uno dall’altro,

armandoli di semplici traverse di legno troppo fragile. Ma, ciò che è più grave,

misero le girelle tutte in una traversa e con le forze degli argani non equilibrate,

di maniera che, nel dar loro il moto, un’archereccia e la traversa, dov’erano

disposte le girelle, e un sostegno del castello patirono e minacciarono il crollo.

Fu subito ordinata la sospensione dei lavori e istituita una commissione della

Page 16: Le matematiche nel Seicento

quale fece parte Giordano. In essa si cercò il modo di sollevare la colonna senza

rimuovere il castello dal suo sito. Nella successiva riunione Giordano esibì un

disegno in cui il castello e gli argani erano meglio fortificati, e le ventole e le

girelle lavoravano in modo equilibrato. Il disegno fu approvato e messo in opera

dai Fontana che così sollevarono e distesero felicemente in terra la colonna.

Era Giordano nel settantaquattresimo anno d’età e per quanto fosse

disturbato dal sibilo d’orecchio, che lo tormentava particolarmente quando c’era

umidità nell’aria, nondimeno non smetteva di lavorare sia con i discepoli, che

udivano le quotidiane lezioni nell’Archiginnasio, sia con quelli che andavano a

prendere lezione nella sua casa. Non smise nemmeno di scrivere epistole,

alcune già citate, delle quali poi si servì per migliorare l’opera intitolata Uso ed

abuso dell’Analitica Speciosa.

Fu, in ogni modo, attivo fino a tarda età. Va ricordato, di questo periodo,

lo scritto dal titolo Galilei lemma circa gravium momenta, l’ultima fatica che

forse gli costò la vita.10

La notte del 3 Novembre 1711 fu colto da un attacco epilettico che lo

stroncò. Dopo onorevoli esequie il suo corpo fu sepolto nella basilica di S.

Lorenzo in Damaso a spese della sua povera eredità, consistente in mobili di

casa e adeguato numero di libri, la maggior parte matematici e filosofici.

Il papa Clemente XI partecipò la perdita di tale uomo con dolore, un

uomo a lui molto caro in vita e del quale si era valso in molte occasioni, un

uomo che aveva soccorso con la Sua munificenza, del resto sempre rivolta agli

scienziati e agli artisti. La morte di Giordano fu pianta anche da tutta la Città

per la sua riconosciuta dottrina e pietà, soprattutto dai discepoli di cui ebbe

sempre cura e amore particolare. Fu pianta anche dai poveri ai quali

somministrava quanto gli permetteva il suo stato. In Arcadia fu molto sentita la

perdita di uno scienziato che aveva seguito e frequentato con regolarità le

adunanze, un uomo che le aveva dato tanto onore.

Forse era scomparso l’ultimo dei geometri greci, un geo-metra, gevmetrhV,

soldato di mare e di terra che, misurando empiricamente la distanza delle navi

in mare, navigando e ammirando il cielo stellato, aveva scoperto il valore delle

Page 17: Le matematiche nel Seicento

distanze e la grandezza dello spazio. Nel profondo della sua anima

mediterranea aveva scoperto la nascosta armonia che regna nell’ordine

cosmico e nell’ordine della psyche (Eraclito frammento D. 54), aveva ritrovato il

mondo ideale delle figure disegnate dai greci, la loro perfezione, la loro

bellezza. Il sole, la riva del mare, l’onda marina, la nave all’orizzonte, il cielo

stellato, la geometria, di cui Giordano è innamorato, discende da questi

elementi naturali e paesaggistici e dai circuiti di umane astuzie generate come

per magia soltanto nel Mediterraneo Orientale. Del resto, che si chiamasse

Talete o come si vuole il primo geometra era stato un uomo del Mediterraneo

Orientale.

4. Dalla biografia all’epistemologia

Dalla lettura delle vicende biografiche, dal quadro storico-critico della Roma

del Seicento, dall’esame dello status delle scienze in Italia ed Europa, emerge

un Giordano immerso pienamente nel suo tempo. Un uomo che vive un secolo

contradittorio, ambiguo, un mundus furiosus, un secolo di paure, di violenze, di

guerre.

La biografia della giovinezza di Giordano ci mostra un giovane irrequieto, a

volte violento, ribelle, ma anche un soldato pronto ad affrontare le più disparate

situazioni e difficoltà, un uomo dall’esistenza apparentemente duplice, divisa in

due tempi, in un prima e un dopo, incommensurabili e discontinui. Dalla nascita

a Bitonto, l’infanzia, i primi studi, la fuga a Taranto, il trasferimento a Roma,

dopo un omicidio colposo, per inseguire una forzata, anche se promettente,

carriera militare, alla conversione, infine, in matematico e uomo di scienza, che

sembra un’altra persona.

Scoperta la vocazione scientifica, per l’intensa pratica dell’insegnamento e

per gli impegni di studio non viaggerà più, né si allontanerà da Roma, eletta a

suo domicilio e sua città. Avventuroso, pronto alla guerra e all’uso delle armi, fu

altrettanto metodico, regolare, raccolto negli studi, che lo portarono ad

apprezzare sempre più la matematica, la cultura scientifica, a riconoscere e a

richiamarsi, come ebbe modo di scrivere nella dedica all’Euclide restituto, alle

sue radici culturali pitagoriche, greche.

Page 18: Le matematiche nel Seicento

Per comprendere adeguatamente la sua personalità e la sua opera è

opportuno evidenziare la notevole pratica d’insegnamento, senza la quale non

si capirebbe gran parte della sua vita, né la decisione di stampare l’Euclide

restituto. Lo dice lui stesso nella dedica al volume citata all’inizio. Frasi di

convenienza, si dirà, ma nello stesso tempo premessa all’opera, didattica,

accurata e puntuale nell’organizzare la materia; nello stesso tempo

ambiziosamente impegnata sul piano della ricerca e della innovazione, come è

giusto che faccia uno studioso di alto livello.

Sicuramente fu uno dei maggiori commentatori degli Elementi, un

matematico vero per la rara padronanza degli Elementi e per avere aggiunto

suoi personali e innovativi contributi alla letteratura delle parallele e alla teoria

delle proporzioni. Può essere stato anche accanito nel difendere Euclide, come

scrive M. T. Borgato 11, ma non fu un euclideo piatto e servile, fu pronto a

intervenire sul testo laddove fosse necessario. Fu abbastanza reattivo di fronte

al celebre rompicapo del V Postulato. Nel difendere gli Elementi fu portato a

ridimensionarne gli errori, le ripetizioni e le sfasature, a richiamare l’attenzione

dei critici sui grandi meriti di Euclide, a considerare l’opera nel suo complesso.

Sentì come suo compito primario quello di insegnare e illustrare gli Elementi,

compito di chi deve trasmettere quello che pensa, al momento, l’intera

comunità scientifica. Senza dubbio può essere definito uno scienziato normale

alla T. Kuhn per il quale “La scienza normale significa una ricerca stabilmente

fondata su uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una

particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la

capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore”.12

Nel mio volume Vitale Giordano. Un matematico bitontino nella Roma

barocca 2005 ho illustrato la situazione delle matematiche nel Seicento. Secolo

di rivoluzione ma anche consolidamento delle scienze, secolo in cui non era

facile etichettare uno scienziato conservatore o innovatore, o come si disse

allora archimedeo, non archimedeo, o altrimenti innovatore, così come non era

facile separare la scienza normale da quella straordinaria. Spesso la scienza

normale, seguendo ancora il paradigma kuhniano, mette in discussione teorie

riconosciute per rispondere a sopraggiunte difficoltà. E nella maggioranza delle

rivoluzioni, soprattutto nelle matematiche, la novità non emerge come Atena

Page 19: Le matematiche nel Seicento

armata dalla testa di Zeus, è piuttosto una trasformazione di risultati, di

linguaggi, di strumenti preesistenti.

Cartesio nel Discorso sul metodo riportandosi con la memoria al tempo dei

suoi studi giovanili così scriveva: “Più di tutto mi piacevano le matematiche per

la certezza e l’evidenza dei loro ragionamenti ma non ne vedevo ancora l’uso

migliore”.13 Mi piacevano le matematiche, ma ritenevo potessero avere un ri-

orientamento gestaltico, un gestalt switch, una svolta concettuale senza

spargimento di sangue. In un altro passo, sempre del Discorso, riaffermerà la

sua preferenza per le matematiche anche per il loro valore formativo

“Considerando quindi come fra tutti quanti hanno finora cercato la verità delle

scienze, soltanto i matematici sono riusciti a trovare alcune dimostrazioni o

ragionamenti certi ed evidenti, non dubitai che quelle fossero le verità prime da

esaminare, sebbene non ne sperassi altro vantaggio che di abituare la mia

intelligenza alla ricerca fondata sul vero e non su falsi ragionamenti”.14 La sua

innovazione in campo matematico è l’unificazione di algebra e geometria

nell’analitica “e pensai, allora, che nel primo caso mi convenisse esprimerli i

rapporti e le proposizioni con linee, perché non trovavo nulla di più semplice e

facile per rappresentarli distintamente all'immaginazione e ai sensi, e nel

secondo caso mi convenisse esprimerli mediante alcune cifre, le più brevi

possibili; in questo modo avrei preso tutto il meglio dell'analisi geometrica e

dell'algebra, e avrei corretto i difetti dell'una per mezzo dell'altra”.15 Nella

Geometrie darà diverse prove applicative dell’algebra all’analisi geometrica, in

cui l’equazione algebrica, mentre cresce il grado di astrazione matematica, si

dimostra strumento più adatto e più potente nell'applicazione pratica. Sembra

che l’algebra possa prendere il posto della geometria, possa monopolizzare gli

approcci e le tecniche di risoluzione matematica, ma Cartesio, che

sostanzialmente è un continuista, dice che non è sua volontà cancellare la

matematica classica, la geometria euclidea.

Leibniz è considerato con Newton l’inventore del calcolo. Ma il suo percorso

intellettuale, non sempre rettilineo, mimetico, barocco nell’inappagata

ricercatezza, è per la natura dell’uomo eccezionalmente multilaterale e

variegato. All’inizio del Nova Methodus fornisce un’interpretazione geometrica

delle basi del calcolo, dopo cambia approccio e traduce le relazioni spaziali in

Page 20: Le matematiche nel Seicento

termini algebrici. Segue, per un tratto, il programma cartesiano di geometria

analitica, ma poi se ne distacca e interpreta il calcolo in un’ottica diversa. È

consapevole di essere davanti a un bivio, mantiene lo scarto, come ha scritto M.

Serres “la distanza tra due semplicità, quella della geometria e quella del

pensiero algoritmico: sistema pesante e chiaro di fronte al calcolo pronto, cieco

e avvolgente… Si può immaginare di costruire degli Elementi con questa

matematica tutta dalla parte della finezza?”16 È la stessa domanda che si pone

Giordano negli ultimi anni della sua vita. Leibniz crede di sì, si avvale

dell’analitica cartesiana, ma è certo di poterla riformare, di poter riportare ogni

discorso scientifico al linguaggio universale, in cui la funzione dell’intuizione

come fondamento della verità matematica cede il passo alla logica.

Giordano nella disputa, allora attuale e accesa, sui rapporti tra geometria e

algebra non è lontano dalle posizioni di Cartesio, di Fermat, di tanti altri. Ritiene

l’algebra un metodo da applicare per risolvere problemi sia geometrici sia

aritmetici, uno strumento euristico, e sappiamo che anche Newton è su questa

linea, come dimostra il manifesto atteggiamento di sottomissione dell’algebra

alla geometria nei suoi Principia. La maggioranza dei matematici italiani e

stranieri è sulle posizioni del maestro di Newton, I. Barrow, il quale concorda

con Cartesio sul principio che l’algebra e la geometria si occupano di grandezze

e sostiene che l’oggetto dell’aritmetica è identico all’oggetto della geometria.

Barrow interpreta giustamente il francese, perché quando Cartesio dice che la

geometria e l’aritmetica sono scienze con un unico apparato di assiomi e

postulati, quando parla di idee chiare e distinte non pensa ad altro che alla

geometria.

In una sua nota, M. T. Borgato ha puntualizzato, al di là di quanto scrive

il non sempre informato e credibile Bigolotti, che Giordano studiò con impegno

la geometria analitica di Cartesio tanto da essere all’altezza dei più esperti

italiani in materia. 17 Affermare questo, porre Giordano sul piano dei matematici

italiani più esperti in analitica, non basta purtroppo a giustificare il ritardo suo e

più o meno generalizzato di una generazione di matematici italiani. Prendere

atto che in Italia la grande maggioranza (conservatori?) dei matematici,

nell’ultimo quarto del Seicento, predilige il metodo geometrico classico e

respinge quello analitico, che ignora del tutto il calcolo non è certo

Page 21: Le matematiche nel Seicento

un’attestazione di merito, è invece il riconoscimento di scarsa apertura, di una

lacuna, di un limite, di cui il principale colpevole è V. Viviani.

Nel 1676 Viviani volendo vendicare il suo grande maestro Galileo per una

battuta maliziosa di Leibniz volle sfidarlo con uno scritto dal titolo Aenigma

geometricum, inviato a tutti i matematici d’Europa, pubblicato sugli Acta

Eruditorum e sui Philosophical Transactions. L’enigma provocò grande clamore.

Fu un attacco? Un atto di ritorsione nei confronti di Leibniz? È certo che Leibniz

risolse l’enigma a tempo di record dimostrando in modo schiacciante la validità

del suo calcolo, nella circostanza applicato a un problema di geometria solida.

È evidente che Leibniz aveva assunto nei confronti della geometria greca e

di Archimede un atteggiamento diverso da Viviani, non aveva pensato alla

restaurazione dei grandi matematici greci, opera rispettabile e meritoria, aveva

osato, invece, superarli usando metodi e tecniche nuove. Dopo l’eccezionale

risultato potrà scrivere in una lettera a Magliabechi il 18 Agosto 1692

“excogitavi enim novum Calculi genus, qua praesto in Geometria Archimedea,

quod Cartesius fecerat in Apolloniana, ut scilicet ab imaginationis labore res

traducatur ad calculum”. 18

Viviani correttamente, nella prefazione al suo ultimo libro De locis solidis, il

1701 riconoscerà pubblicamente la grandezza di Leibniz e lo chiamerà

“Galilaeus alter”.

Non ho trovato documentazione che coinvolgesse direttamente Giordano

nella disputa, tuttavia il suo silenzio con l’amico Viviani negli anni 90 fa

pensare. Che Giordano, ormai avanti negli anni, avesse perso la grinta, la forza

di replicare, di intervenire in un caso che fece tanto clamore negli ambienti

scientifici italiani? Oppure che con il suo silenzio avesse voluto prendere le

distanze da Viviani? Nell’ultimo suo scritto scientifico Galilei lemma circa

gravium momenta abbiamo un segnale che fa pensare a una ultima stagione

scientifica della vita di Giordano. Riprendendo l’oggetto dell’epistola Clarissimo

Hyacinto Christophoro (Roma 1705) e rifacendosi al suo Fundamentum

modificava in parte le sue posizioni degli anni 87- 88. Ha cambiato la sua

posizione anche a riguardo della geometria analitica? Non lo sappiamo in via

documentale e siamo obbligati a sospendere il giudizio. Sappiamo della sua

Page 22: Le matematiche nel Seicento

continua riflessione sul testo Uso & abuso dell’analitica speciosa, sappiamo

anche che confermò, nei programmi di insegnamento alla Sapienza, gli

Elementa Euclidis fino all’anno 1710 come oggetto principale delle lezioni.

Come definire Giordano? È Giordano un postgalileano, un ultimo discepolo

di Galilei? All’apparenza sembrerebbe di sì, anche se, per dare risposte più

precise ed esaurienti sarebbe necessario approfondire i suoi numerosi inediti.

Dalla lettura di Proclo, dalla conoscenza dell’opera galileana, Giordano ha tratto

il convincimento, come ha scritto Popper, “che a partire da Platone e da Euclide,

ma non prima, è la geometria, piuttosto che l’aritmetica, ad apparire lo

strumento fondamentale di ogni spiegazione e descrizione fisica, tanto nella

teoria della materia, che nella cosmologia”.19 È questo il nucleo forte della sua

filosofia della matematica, credere che gli Elementi siano lo strumento più

adatto a rappresentare gli oggetti dell’esperienza sensibile, fatta dall’uomo e

per l’uomo che vive sulla terra. Per Giordano, insomma, la geometria è una

scienza semiempirica, va intesa come ontologia, gli Elementa non sono soltanto

un trattato di geometria, bensì un catalogo ragionato del mondo.

Sento di confermare la mia tesi interpretativa della filosofia della

matematica e della geometria di Giordano come geo-metria, come strumento

unico per leggere e interpretare il mondo, emersa nelle pagine del citato mio

volume. Sul concetto di geo-metria, come pure sull’influenza platonica in

Giordano è opportuno insistere, ricordando l’innegabile influenza

dell’insegnamento matematico presso l’Accademia francese, svolto in approccio

interdisciplinare insieme con i maestri di Pittura, Scultura, Architettura,

ricordando che Giordano tra gli inediti ci ha lasciato un tomo di Astereometria.

La concezione globale delle scienze e della geometria di Giordano sembra

giustificare, infine, l’etichetta di postgalileano da me attribuitagli per le

amicizie, le affinità culturali con i vari Ricci, Borelli, Viviani. Ne abbiamo

conferma quando andiamo a tentare una sua collocazione “politica” o di scuola,

con la provata avversione ai padri gesuiti, almeno ad alcuni gesuiti, vissuta,

tuttavia, non in modo acceso ma fermo, perché il matematico non si sentì, né

volle essere direttamente coinvolto in questioni teologiche o politiche, molto

preso, come lui stesso dichiarava, dai suoi impegni didattici. Fu sicuramente

filofrancese. Intrattenne, lo abbiamo visto, ottime relazioni con papi e cardinali.

Page 23: Le matematiche nel Seicento

Una lettera inviata a Viviani il 14 Maggio 1689 forse ci fa comprendere meglio il

suo posizionamento tra gli schieramenti, il suo sostegno alla causa galileana, la

sua polemica contro i detrattori del grande pisano. Unendo alla lettera una

copia del suo Fundamentum doctrinae motus gravium così scrive a Viviani:

“La fama, che si have acquistata V. S. Ill. ma nelle scienze matematiche, come il

suo dottissimo trattato de Maximis et Minimis ne fa piena testimonianza, non è

mediocre al mondo, né a me pellegrino; e perciò non è chi possa dubitare, che

se V. S. Ill. ma havesse voluto prendere la difesa del Galileo intorno al principio

controverso da i persecutori di quel grand'Uomo, non l’havesse conseguito con

maggior facilità d'ogni altro. Lodo il riguardo, che lo ha divertito da tale

impegno, né io mi sarei immerso in simile inquietudine se i medesimi avversari

non mi ci avessero a viva forza spinto; perché ho tante occupationi causatemi

dalla pubblica lettura della Cattedra e dall’Accademia Reale de’ Francesi, con

una moltitudine di altri discepoli, che mi occupa il rimanente del giorno [...] che

ogni altro pensiero haverei fuorché prendere simili impegni ed acciocché V. S.

Ill. ma sia intesa di tutto, sappia che in una Accademia di Roma fu chi volse

prendere le difese del Galileo con tanta miseria di sapere che invece di

convincere l'Avversario gli dava senz'alcun dubbio le armi in mano ”. 20

Più avanti nella stessa lettera, facendo cenno ai padri gesuiti aggiunge: ”la

squadra de i solipsisti si rivoltò contro di me, e con una lettera, ch’io serbo

appresso di me, mi furno fatte varie interrogationi, et obbiettioni, alle quali

per sfuggire l’impegno non volli rispondere... (ma) alle quali sarò obbligato a

rispondere, e perché delle operette stampate quasi ne sono rimasto senza,

penso fare una seconda impressione, nella quale sono per mutare alcune

cose, che considerate da me a sangue freddo, non sono di mia

soddisfazione, altre ne espungerò, altre ne aggiungerò e con la risposta alle

difficoltà, et obbiettioni fattemi spero dar fine a tutte le altercazioni”. Si

tratta della seconda edizione del Fundamentum doctrinae motus gravium, di

cui si è fatto cenno nella biografia.

Il presente testo è un estratto, con aggiustamenti, del volume : Francesco

Tampoia, Vitale Giordano. Un matematico bitontino nella Roma barocca,

Armando Editore- Roma 2005. È stato presentato il 12 giugno 2007 nella chiesa

di S. Giorgio in Bitonto (BA)-Centro Ricerche di Storia e Arte di Bitonto.

Page 24: Le matematiche nel Seicento

Note

1) Per un inquadramento generale leggi: Morris Kline, Storia del pensiero

matematico- I. Dall’antichità al Settecento, Einaudi Torino 1991- titolo originale

“Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” 1972 , p. 103.

Francesco Tampoia, The origin of Europe and the esprit de géométrie l’esprit

geometrique, su Newropean Magazine 15 October 2006.

2) Platone, Opere complete. Laterza, Roma-Bari 1982-88

3) Platone, ivi.

4) Proclo, Commento al I Libro degli Elementi i Euclide, Introduzione,

traduzione e note di Maria Timpanano Cardini, Giardini Editori in Pisa 1978, p.

38-9

5) Euclide restituto da Vitale Giordanio da Bitonto, Libri XV Seconda

Impressione con nuove Additioni, ed. in Roma per Angelo Bernabò M. D. C.

LXXXVI, di complessive 792 pagine.

6) Archivio Diocesano Bitonto : “Fede di Battesimo: A dì 15 ottobre 1633-

Bitonto- Parrocchia S. Caterina.

7) M. Torrini, Dopo Galileo. Una polemica seicentesca. Firenze S. Olshki

1979, p. 107

Page 25: Le matematiche nel Seicento

8) Le note biografiche su Vitale Giordano sono tratte, con opportuni

adattamenti e correzioni, da C. Bigolotti in Crescimbeni Giovanni Maria, Vite

degli Arcadi illustri, III Roma 1714 pp. 147-198.

9) Ho ricostruito nel modo più plausibile la datazione delle opere.

10) Vedi Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 55.

11) Maria Teresa Borgato, relazione al Convegno “Giornate di Storia della

Matematica” Settembre 1988 a Cetraro (CS), pubblicata a cura di M. Galuzzi.

‘Una presentazione di opere inedite di Vitale Giordani’ Editel Seminars and

Conferences- Editor Massimo Galuzzi, Cetraro (Cosenza) 1988. Nel

volumetto si tratta anche di scritti editi di Giordano. Per le parallele vedi p.

9.

12) I. Lakatos, La falsificazione e la metodologia dei programmi di

ricerca scientifica, in Vari, Critica e crescita della conoscenza,

Introduzione di G. Giorello, Milano 1976. p. 265.

13) Cartesio, Discorso sul metodo, Laterza Roma-Bari 1979, p.48.

14) Ivi, p. 64.

15) Ivi, pp. 64-65. Per un quadro generale sulle problematiche

dell’epistemologia novecentesca mi permetto di rinviare al mio “Il filosofo

dimezzato” Armando Editore Roma 2000 cap. IX “Un villaggio di palafitte”.

16) M. Serres, Le origini della geometria, Feltrinelli Milano 1994, p. 198-

199.

17) Maria Teresa Borgato, Una presentazione di opere inedite di Vitale

Giordani, Editel Seminars and Conferences- Editor Massimo Galuzzi, Cetraro

(Cosenza) 1988, p. 17.

18) Roero, Clara Silvia Roero, Viviani and Leibniz: Two Different Attitudes

Towards Archimedean Tradition, in Leibniz’Auseinandersetzung Mit Vorgangern

und Zeitgenossen- Herausgegeben von Ingrid Marchlewitz und Albert

Page 26: Le matematiche nel Seicento

Heinekamp- Franz Steiner Verlag Stuttgart 1990. “Therefore his attitudes and

his opinions had a negative influence on the Italian mathematics of that period:

Many scholars kept working at classical geometry; only a few studied cartesian

geometry and nobody ventured on the Leibnizian calculus. On the other hand

the clamour generated by the Aenigma had positive consequences: at the

beginning of the XVIII century the supporters of the leibnizian calculus, Jacob

Hermann and Nicolaus Bernouilli, entered on the chair of mathematics at

Padua” p. 238.

19) Popper, Congetture e confutazioni, vol. I, Società Editrice Il Mulino

Bologna 1972 p. 154.

20) M. Torrini, Dopo Galileo cit. p. 120-21