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Il mensile di attualità e cultura dei Castelli Romani e Prenestini Anno XX n. 4 - aprile 2011 Associazione Culturale “Photo Club Controluce” http://www.controluce.it 5.395.000 visite di navigatori DIFFUSIONE GRATUITA ISSN 1973-915X Le nostre rubriche pag. 2-4 Visto da... pag. 5 Dal mondo pag. 6-12 I nostri paesi - Cronache pag. 13 I nostri Dialetti pag. 14 I nostri paesi - Storia pag. 15 Scienza e Ambiente pag. 16 Cultura pag. 17-19 Società e Costume pag. 20-21 Spettacoli e Arte pag. 22 Letture pag. 23 L’angolo della poesia Prossima apertura Mostre, concerti, corsi, presentazioni, conferenze, convegni proiezioni, accesso wifi internet escursioni gastronomiche ...a Monte Compatri [email protected]

Le nostre rubriche - Notizie in Controluce...anche per questo, il rapimento di una "sola" donna, sia pur bellissima, non potrebbe più essere un motivo oggi accettabile. Tutt'al più

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Il mensile di attualità e cultura dei Castelli Romani e Prenestini Anno XX n. 4 - aprile 2011

Associazione Culturale “Photo Club Controluce” http://www.controluce.it5.395.000 visite di navigatori

DIFFUSIONE GRATUITA

ISSN 1973-915X

Le nostre rubrichepag. 2-4 Visto da...pag. 5 Dal mondopag. 6-12 I nostri paesi - Cronachepag. 13 I nostri Dialetti

pag. 14 I nostri paesi - Storiapag. 15 Scienza e Ambientepag. 16 Culturapag. 17-19 Società e Costume

pag. 20-21 Spettacoli e Artepag. 22 Letturepag. 23 L’angolo della poesia

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Rubrica a cura di: Domenico Rotellae-mail: [email protected]

2Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

Sito web: www.controluce.it 5.395.000 visiteVisto da...Le moderne guerre di Troia

NOTIZIE IN…CONTROLUCE - ISSN 1973-915XIl mensile di attualità e cultura dei Castelli Romani e Prenestini

EDITORE: Ass.ne Culturale Photo Club ControluceVia Carlo Felici 18 - Monte Compatri - [email protected] - fax 0694789071DIRETTORE RESPONSABILE: Domenico RotellaDIRETTORE DI REDAZIONE: Armando Guidoni - 3392437079PUBBLICITÀ: Tarquinio Minotti - 3381490935REDAZIONE: Giuliano Bambini, Marco Battaglia, Giulio Bernini, Mirco Buffi, Silvia Coletti, PaolaConti, Claudio Di Modica, Rita Gatta, Giuliana Gentili, Maria Lanciotti, Tarquinio Minotti, SalvatoreNecci, Luca Nicotra, Enrico Pietrangeli, Alberto Pucciarelli, Eugenia Rigano, Consuelo ZampettiREGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA n.117 del 27 febbraio 1992. Gli articoli e i servizi sonoredatti sotto la responsabilità degli autori. Gli articoli non firmati sono a cura della redazione. Finito distampare il 3 aprile 2011 presso la tipolitografia Spedim di Monte Compatri tel. 069486171HANNO COLLABORATO: Sandro Angeletti, Giovanna Ardesi, Francesco Basile, GiuseppinaBrandonisio, Giuseppe Chiusano, Luigi Cirilli, Stefania Colantoni, Paola Conti, Wanda D’Amico,Gianni Diana, Settimio Di Giacomo, Susanna Dolci, Lina Furfaro, Luigi Fusano, Toni Garrani, RitaGatta, Antonella Gentili, Fausto Giuliani, Armando Guidoni, Hamadoum Ibrahima Issébéré, MariaLanciotti, Luca Marcantonio, Marcello Marcelloni Pio, Gelsino Martini, Maurizio Massaro,Marisa Monteferri, Luca Nicotra, Dario Olivastrini, Riccardo Orioles, Francesca Panfili, AriannaPaolucci, Patrizia Pezzini, Enrico Pietrangeli, Graziella Proto, Alberto Pucciarelli, EugeniaRigano, Arianna Saroli, Leila SpallottaIl giornale è distribuito gratuitamente nei Castelli Romani e Prenestini.

Vergogna, libertà, democrazia(Gelsino Martini) - Se l'umanità può vantare un fallimentoprimario, questo non può che essere la guerra. Un primariosenso di difesa che esalta l'offesa dell'individuo. Una posizionedi forza che tende ad imporre uno stato di supremazia indivi-duale o sociale. Un'ipotesi di sicurezza sociale che mette a nudola debolezza del dialogo umano. La società non è basata sulpacifismo e la non violenza. Questi sostantivi sono l'essenza diun idealismo, attualmente, inapplicabile all'indole umana. Resta,certamente, la forza di proporli e radicarli nella società intera;grandi uomini hanno pagato con la vita l'applicazione della "nonviolenza". È l'ipocrisia che ci induce all'accettazione dei fatti, diuna realtà cruda che non lascia spazi al dialogo e all'autodeter-minazione degli individui. Queste condizioni ci inducono a giu-stificare gli errori commessi nel passato per garantire o difen-dere i nostri interessi, economici e sociali, legati a beni di consu-mo ed energetico. Dimentichiamo continuamente il termine di"autodeterminazione dei popoli". Questa condizione non è legatasolo ad eventi esterni alla società che intervengono per imporre ipropri indirizzi, o quantomeno per collocare politiche favorevoliad altre necessità. L'autodeterminazione è l'evento democraticoche una società sviluppa nel suo interno, riconoscendo, libera-mente, una classe dirigenziale o chiedendone la sostituzione perun ricambio politico o generazionale. Il nuovo millennio ci stapresentando il conto del colonialismo, ovvero dello sfruttamentodi nazioni e continenti a nostro uso e consumo. Di post colonialismo,che ci ha visto protagonisti di insediamenti dittatoriali strumentalialle nostre esigenze. Di non esserci accorti che le nuove genera-zioni hanno una loro visione di società e gestione del territorio.Sarebbe opportuno non dimenticare che da Saddam ai Talebani,dallo Zimbabwe di Mugabe alla Birmania, da guerre e dittaturedimenticate nei vari continenti, la nostra democrazia è sinonimodi interesse energetico o commerciale. Un'onda anomala si èsviluppata in nord Africa. Le nuove generazioni, sia per i nuovisistemi di comunicazione che per l'indole dei giovani, hanno rivol-to la propria energia per chiedere nuovi spazi e libertà di decisio-ne dinanzi a forme dittatoriali più che trentennali. Su questi ventidi richiesta si sono sviluppate due situazioni: la prima che portaTunisia ed Egitto all'autodeterminazione sociale dopo le resisten-ze del potere; la seconda come Iran e Libia con repressioni mili-tari violente a seguito delle richieste dei cittadini. Una terza situa-zione di resistenza del potere, per ora limitata, si riscontra nelBahrein e nello Yemen. La Libia, alle porte di casa, è il nostropartner di riferimento nel commercio energetico e in molti inte-ressi industriali. Questa condizione ci ha indotto a una sudditanzapsicologica per lo sfruttamento delle risorse, sino a ridicolibaciamani. La Libia possiede nel sottosuolo la più grande riservamondiale di petrolio. Questo ha fatto sì che, amichevolmente econ patti bilaterali, si sia barattato lo scambio commerciale con idiritti umani; si è corsi in prima fila per spartirsi il cambiamento,per impadronirsi della fonte energetica. Chi, senza ipocrisia, hacondannato Gheddafi per la violazione dell'autodeterminazione diun popolo perpetrata per 40 anni, rinunciando alle agevolazionienergetiche? Chi è in grado di definire se le barbarie di Gheddafisono maggiori di una guerra non dichiarata? Senza ipocrisie, chiha soluzioni da porre su una bilancia che compensi tutti i costienergetici di cui beneficiamo giornalmente? La mia indole pacifi-sta si scontra con una realtà nella quale non trovo risposta.

(Luca Nicotra) - Nel XII secolo a.C. circasi svolse una cruenta guerra fra Micene eTroia, che si concluse con la completa di-struzione di quest'ultima. Le motivazioni delconflitto erano, molto probabilmente, i con-trasti economici ed egemonici fra la Greciae l'Asia Minore, di cui quelle città erano icentri più importanti. Ma tali vili e realisticheragioni non hanno diritto alcuno di cittadinan-za nell'epica, genere letterario che, per defi-nizione, narra in maniera poetica il passatoremoto di un popolo, ponendone in evidenza,e amplificandole, le gesta eroiche di perso-naggi straordinari forse realmente esistiti.L'Iliade, poema epico per eccellenza, per-tanto non poteva narrare la guerra di Troiaelencandone le motivazioni economiche edegemoniche, come potrebbe fare oggi unesperto di geopolitica. Anche la poesia, la piùalta e sublime, non riuscirebbe a mascherarela mancanza di nobiltà di tali ragioniinfimamente terrene. Occorreva una moti-vazione più confacente alla poesia epica: cosadi meglio del rapimento di una delle donne piùbelle dell'epoca, Elena, moglie di Menelao,rapita da Paride proprio sotto gli occhi delmarito? Un rapimento è di per sé un attobiasimevole, un reato, ma se il movente è pas-sionale acquista una dimensione tutta positi-vamente umana e indulge alla comprensione.Così, l'Iliade, con tutte le atrocità di una guerralunga e sanguinosa, finisce in fondo con il can-tare, anche se tragicamente, l'inarrestabile for-za dell'amore. Evidentemente il gusto dellatrasposizione epica delle reali e regali "ragiondi stato", ovvero economiche e di dominio, èentrato nel DNA dell'uomo occidentale, cheda sempre ha studiato meticolosamente i gran-di poemi epici classici e in primis proprio l'Iliade(alla scuola media inferiore, ai miei tempi, era-vamo obbligati a parafrasare per intero i duepoemi omerici, riempiendo diversi grossi qua-derni). Questa nobile eredità culturale, ormaicodificata nel nostro DNA, spiega quasi sicu-ramente l'abitudine invalsa nei governanti oc-cidentali d'oggi (che sono certamente perso-ne di grande cultura) di muovere novelle guer-re di Troia. Ma la motivazione "poetica" nonpuò più essere il rapimento della donna piùbella del mondo, perché (grazie a Dio) la bel-lezza femminile è oggi numericamente moltopiù generosa che nel passato, testimoni ne sonogli innumerevoli concorsi di bellezza (s'inten-de femminile...i maschi non fanno testo in que-sto campo). All'Elena della guerra di Troia si ècosì sostituita in maniera naturale la "demo-crazia", che come la grande bellezza femmi-nile dei tempi remoti, non ha ancora una diffu-sione proprio planetaria. Però i tempi sonocambiati e quindi qualcosa di innovativo oc-correva pur introdurlo nella moderna epica,altrimenti qualche critico severo avrebbe po-tuto accusarla di limitarsi semplicemente adessere una brutta replica dei grandi poemi epicidel passato. E allora, a cosa hanno pensato inovelli Omero? Una novità assoluta, un'ideageniale: l'esportazione della democrazia.La novità è triplice. Riflettiamo attentamente.Da una parte la sostituzione di qualcosa dimateriale, concreto (la bellissima Elena in carnee ossa) con un concetto astratto (la democra-

zia), dando così prova dell'enorme progressodello spirito umano, che liberatosi dei vincolirestrittivi del "concreto" si è librato nelle altesfere dell' "astratto". In secondo luogo, fareuna guerra per una sola donna oggi sarebbeveramente contrario agli alti principi di soddi-sfazione dei bisogni della collettività: Elenadoveva tornare al marito soltanto e tutti quelliche per lei avevano fatto la guerra non dove-vano per questo certamente avanzare alcunapretesa (altrimenti povera Elena ...). Dunque,anche per questo, il rapimento di una "sola"donna, sia pur bellissima, non potrebbe piùessere un motivo oggi accettabile. Tutt'al piùsi potrebbe pensare a un rapimento in massa,un nuovo "ratto delle Sabine", in modo da darsoddisfazione a molti e non ad uno solo. Lademocrazia, invece, è un bene che riguardatutta la collettività. Infine, la novità più origina-le: gli achei mossero guerra ai troiani per "ria-vere" la bellissima Elena, mentre, oggi, l'Occi-dente (tutto unito) decide molto generosamen-te di "regalare" la democrazia a un Paese che,poverino, ne è privo. C'è dunque una nobilissi-ma inversione di senso: dall'"avere" (o riave-re) al "dare" di evangelica memoria. E tuttoquesto sacrificando migliaia di vite umane in-nocenti (e non consenzienti ...)! Cosa può es-serci di più nobile e altruistico? Tutto questodovrà essere "cantato" da un novello aedo deitempi nostri, un moderno Omero, che sicura-mente prima o poi nascerà nell'evoluto mondooccidentale, perché ormai c'è materiale perscrivere non una, ma almeno tre Iliadi.Figlio di un matematico e nipote di un poeta,ho trascorso tutta la vita ondeggiando fra questidue mondi, quasi "risuonassi" fra l'uno e l'altrocome certe molecole, che i chimici chiamano"ibridi di risonanza" perché a volte presentanoun certo tipo di legame chimico e a volte unaltro, senza essere mai interamente né l'unané l'altra forma strutturale, analogamente almulo, che pur avendo caratteristiche sia delcavallo sia dell'asino non è per una parte unasino e per l'altra un cavallo. E allora, quandoin questa risonanza mi trovo più dalla partematematica, un barlume di malizia scientificami induce a domandarmi: perché non si fa unamappa mondiale di tutti i Paesi privi di demo-crazia, in modo da organizzare una volta pertutte non una, due, tre, ma tutte le guerre ne-cessarie per esportare la democrazia a tutti?Non è ingiusto che soltanto qualche Paese siabeneficiato di tanto altruismo? Ma subito ri-prendo me stesso: "Che domanda ingenua,occorre dare delle priorità, non si può accon-tentare tutti! Prima i più bisognosi, lo dice an-che il Vangelo". Infine rifletto sul fatto che c'èun sincronismo meraviglioso che si sposa conqueste priorità: le richieste di democrazia daparte dei Paesi più bisognosi coincidono pro-prio con i bisogni economici degli esportatori!Meglio di così, cosa vogliamo? E poi c'è chiparla male del "caso"! Qualche malizioso avolte parla con cinismo di guerre del petrolio edel gas, insinuando che tali siano state le guer-re in Iraq, in Afghanistan e ora in Libia; mache sciocchezze! Come si permettono? Nonsi può distruggere la poesia, tacciano per sem-pre questi sciagurati: non sanno che sono lemoderne guerre di Troia?

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3Rubrica a cura di: Domenico Rotellae-mail: [email protected]

Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

Sito web: www.controluce.it 5.395.000 visite Visto da...Sono stufa!!!!

Politica in pilloledi Alberto Pucciarelli

Ora è tutto facile. Da sempre i governanti si sonoarrovellati per capire quale fosse la strada per ottenere ilbene comune, e quindi raggiungere e compiacere il mag-gior numero di individui. Studio dei filosofi, ascolto deiconsiglieri, invocazioni alle divinità, notti insonni. Ma nonpotevano scoprire i sondaggi qualche secolo prima?La vittima. Una legge sulla prescrizione brevissimaper gli incensurati. Il tentativo di manipolare l’anagra-fe di un paesino in Marocco. Un emendamento perreintrodurre la retroattività di benefici assortiti. Tuttodi nascosto, di nascosto e all’insaputa del cui prodest.Quando uno è una vittima!Il cavallo di Troia. È proprio vero che la Storia inse-gna poco. La Lega ha ‘regalato’ all’Italia qualche mi-nistro; per espugnarla meglio, dall’interno.Denti nascosti. Il rapido cambio di platea ha trasfor-mato il caimano in camaleonte. Ma non ci si può fer-mare a pensare. Il camaleonte è così, si trasforma e… di nuovo morde.Inseguendo. Baci a Gheddafi, schiaffi a Gheddafi. Sor-volo sulla violazione dei diritti, indignazione per la viola-zione dei diritti. Civili dimenticati, civili da difendere. Pacee guerra, pacifisti che si convertono alla guerra. C’èuna volpe che sta scappando e tutti la inseguono, azzur-ri, bianchi e rossi: è nera, oleosa, e costa un tot a barile.Riforme. Responsabili, volenterosi … Sembra urgen-te una riforma del Dizionario.I pensieri sono dell’inizio della terza decade di mar-zo; l’evoluzione frenetica degli scenari può spun-tarli o ucciderli.

4/3/2011, DanieleÈ l’alba, di una notte abbracciatadi un sogno ed un calore atteso.La quiete della notte ci riprendela calma del mattino ci invita.È il corpo che sorride,si prepara all ’ incontro.Emozioni nell’ariariscaldate dalla luce,dagli sguardi complicidagli eventi vissuti.Noi, insieme,uniti nella distanza di un comune pensiero.Il tremolio, la stanchezza della notte passataci unisce lungo il filo che ci lega alla vita.Ed è allora, nell’alba di una notte velatadove un soffio Divino illumina il giorno.Gelsino Martini

Art. 3Tutti i cittadini hanno pari dignità so-ciale e sono eguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso, di razza, dilingua, di religione, di opinioni politi-che, di condizioni personali e sociali.

150, le facciamo la festa?(Toni Garrani) - È bello vivere in un Paese libe-ro. E il nostro Paese è davvero assai libero. È cosìlibero che ognuno può interpretare le leggi comecrede. E questa non è un'affermazione genericaquanto polemica, è la constatazione dei fatti. Nonsono solo i cittadini a poter interpretare a piacerele leggi, ma sono proprio coloro che le leggi ema-nano a dichiarare che esse sono interpretabili equindi, diciamo così, più che leggi possono essereconsiderate "suggerimenti", più o meno chiari e in-dicativi. Facciamo un esempio: il 17 marzo è statadichiarata giornata di festa per i 150 anni dell'Uni-tà d'Italia, con apposito decreto legge. La festivitàprevedeva parecchie manifestazioni pubbliche, chesi sono svolte ordinatamente e in un clima pacifi-co. Come è ovvio, tali manifestazioni hanno impli-cato un aggravio di lavoro per le Forze dell'ordineche hanno presidiato le piazze e sorvegliato l'anda-mento degli eventi. Ma i lavoratori della Polizia diStato sono, appunto, impiegati dello Stato, e cometali hanno diritto di veder riconosciuti i loro diritti dilavoratori tutelati dal loro contratto. I sindacati diPolizia hanno quindi correttamente chiesto al Mi-nistero dell'Interno se il 17 marzo fosse da consi-derare festivo a tutti gli effetti, e di conseguenzafosse da retribuire in quanto tale. La risposta delMinistero dell'Interno è un inno alla libertà di pen-siero nel nostro libero Paese.Recita la nota del 16 marzo: «Al momento il testodel Decreto Legge 22 febbraio n.5, recante di-sposizioni per la Festa nazionale del 17 marzo 2011non consente un'agevole interpretazione ai fini ap-plicativi, né le relazioni allegate al disegno di leg-ge di conversione del decreto stesso offrono ri-solutivi chiarimenti al riguardo...» ...sublime!Ecco, questo è davvero un bel modo per fare lafesta all'Italia.

(Paola Conti) - Considerazioni a marginedell'art. "Donna, dignità e invidia" apparsosul numero di marzo 2011 di ControluceSono stufa di maschi (e sottolineo maschi e nonuomini) che mi fanno la predica, che giudicano(diverso sarebbe approvare o meno) le mie scel-te, che mi dicono in nome di una "morale", diuna ideologia "politica", di una abitudinestratificata da generazioni, in nome di un falsoperbenismo (e la lista sarebbe lunga assai), quelloche devo e non devo fare, cosa devo pensare,come devo usare il mio corpo e perché, persinoquello per cui sono stata creata! E sono stufa disentire discorsi banali, vuoti, senza senso, chevengono ripetuti come unritornello che ti entra nelcervello e che non riesci acacciare perché sei troppostanco (della vita!??) o per-ché la testa è ormai inca-pace di reagire a qualsiasistimolo. Come può, un maschio, parlare dellamia dignità quando, appunto è un maschio e nonha più coscienza critica, ammesso l'abbia maiavuta, per non rendersi conto che "lui", sì il ma-schio, è prigioniero di un ruolo, anch'essostratificato dai secoli.Inoltre come si fa a non infuriarsi soprattuttoora - ma come in ogni epoca - della mercifica-zione che viene fatta della nostra vita? E diconostra, includendo donne e uomini. Oggi siamotutti in "attesa", in "mostra", in "vendita", e ledonne più degli uomini, naturalmente, perchéancora considerate (almeno quelle "belle") comeoggetto per il sollazzo maschile! Le sembra nor-male, caro sig. Marcello, che siano all'ordine delgiorno scandali a base di "cene e puttane", e

non mi riferisco solo al nostro Presiden-te del Consiglio? Povera Italia!Da quanto tempo passa il concetto "nonpreoccuparti di studiare, non buttare annie anni sui libri, non vantarti più della tuaintelligenza"? Ci sono dei modi più faciliper essere apprezzati, per avere succes-so, "per valere" (c'è una pubblicità cherecita alle donne "perché noi valiamo!"Peccato reclamizzi cosmetici!), per rag-giungere facilmente il potere, la ricchez-za. Quando persino ministri della Repub-blica dicono che la cultura non si man-gia, quali valori trasmettiamo sopratuttoai giovani? Il vuoto assoluto.A tutto questo si può e ci si deve ribellare.E questo ha espresso la manifestazione"delle donne" del 13 febbraio c.a. Lei si-curamente sarà quello che si definisce"una persona perbene" e scrivendo quello

che ha scritto voleva forse solo unirsi al corodelle pecore che difendono ancora il nostro capodi governo. Cosa assolutamente lecita difende-re qualcuno, sopratutto se ha la nostra stessalinea politica. Ma la falsità macroscopica e aber-rante che si vuole sostenere per difendere l'at-taccamento alla propria sedia di governo (peralcuni, per altri proprio non riesco a capirne ilmotivo), è quella di affermare - circa i ben notiavvenimenti - che «è vita privata» e «non si ècommesso un reato penale» e che, di conse-guenza, non siano perseguibili legalmente.Falso, perché avere rapporti sessuali con mino-renni è reato; anzi, per un capo di governo lo è

doppiamente, si legga l'arti-colo 54 della Costituzione!Ed anche in caso di "dub-bio" la magistratura è obbli-gata ad indagare perchél'eventuale reato è tra i piùgravi e abietti sia moralmen-

te che penalmente. Lei nell'esaltare il corpofemminino dice - cito le sue parole - «non c'èmanifestazione, se non strumentale [ma da par-te di chi? N.d.R], che possa condannare un sen-timento personale anzi personalissimo tendenteal soddisfacimento di un desiderio innato in quelcapolavoro silenzioso che è il corpo della don-na»: mi scusi, ma cosa sta giustificando in nomedel «corpo della donna creato per essere ama-to»? Sfruttamento della prostituzione, pedofilia,stupro?O forse ritiene che il «soddisfacimento di undesiderio innato» non debba verificarsi soltantotra consenzienti? Ma non si è consenzienti se losi fa piegati dalla necessità o da discriminazioniindebite, od anche per brama di carriera frau-dolenta, cioè non derivante dal merito. Il puntoè proprio questo.Se il prigioniero mangia la "sbobba" lo fa percontinuare a vivere, come lo schiavo costrettoal lavoro forzato. Coartata da una minaccia do-vrei forse essere felice di subire violenza perpermettere il «soddisfacimento di un desiderioinnato» del mio carnefice? Stiamo scherzando,evidentemente. La donna ha una sua dignità inquanto essere umano e non la si può ridurre aun «capolavoro silenzioso», bambola gonfiabilee inerte, nata "per sollazzare il reale augello" -per dirla con la frase di un film.Poi, per nostra fortuna, l'articolo 3° della Costi-tuzione italiana, stabilisce che «Tutti i cittadinihanno pari dignità sociale e sono eguali davantialla legge, senza distinzione di sesso, di razza, dilingua, di religione, di opinioni politiche, di condi-zioni personali e sociali». Finalmente, e non solograzie a Dio!

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Rubrica a cura di: Domenico Rotellae-mail: [email protected]

4Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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(Maria Lanciotti) - Ammutolire per l’orrore nonè solo un modo di dire: è un fatto. E quando laparola viene a mancare cala il silenzio dellasconfitta. Taci, il nemico ti ascolta. E chi è ilnemico, se non la disperazione dell’impotenzache annienta ogni reazione? Uno sforzo, prego,e tiriamo fuori quel po’ di anima che ancora ciresta in corpo. Cominciando da dove capita.La primavera non porta più rondini ma bombe,san Giuseppe non si festeggia più con i bignèma con missili cruise. Ergo: la primavera e lafesta del papà portano male.Il 2003 è passato da poco, dovremmo ricordarciqualcosa. George Bush - il texano dagli occhi digreggio - lanciando il suo ultimatum giurò cheda solo o in compagnia avrebbe ripulito il piane-ta del male che si annidava a Bagdad sotto lespoglie di Saddam. Il 19 marzo si visse col cuo-re in gola, sperando in un miracolo. E la mattinadopo gli angloamericani fecero tremare Bagdad,alla faccia del mondo intero che diceva no allaguerra. A Bagdad c’erano i nostri Alpini del sud- tanti di loro davanti alle telecamere dichiara-rono onestamente che stavano lì per uno stipen-dio e una divisa che conferisse loro dignità erispetto, carenti dove regnano mafia e malavita- e c’erano mezzi e armamentari partiti dai no-stri porti, ma per bocca dell’ex imprenditore, an-che allora nostro Presidente del Consiglio, l’Ita-

Silenzio, prego: parlano le bombe

lia si proclamò paese non belligerante e solo pre-sente nel teatro di guerra come forza di pace.Esattamente un secolo fa, al 50° dell’Unità, l’Ita-lia fece guerra coloniale alla Libia. Oggi, al 150°,alle 17:45 di sabato 19 marzo, si riparte per l’en-nesima guerra santa. Ci siamo scaldati, in que-sti ultimi tempi. Abbiamo riscoperto l’orgoglionazionale, il senso dell’inno di Mameli, il signifi-cato del Tricolore. E qui sorge il dubbio che tan-to fervore comporti dei rischi grossi, là dove laragione non sia tanto radicata da resistere ai bol-lori del sangue.“Odissea all’alba”. Guerra lampo. Armi intelli-genti. E l’articolo 11 della nostra Costituzioneopportunamente interpretato. E torna pesante il

sospetto che gli interessi in gioco, in quella terrabenedetta dal dio petrolio, prevalgano ancora unavolta sul principio di difesa delle popolazioni in-sorte, che come da copione le beccheranno datutte le parti. Il povero Gheddafi, nato mostro eche mai ha nascosto questa sua orrenda defor-mità, non è che sia comparso improvvisamentesulla scena. Gonfio e tronfio, si è goduto pure ilsoggiorno qui da noi, dove si è messo comodo aricevere baciamani e altri salamelecchi. Il po-vero Gheddafi che cosa doveva pensare, di fron-te a tanta condiscendenza e riverenza riscossein suolo occidentale, se non che fosse dalla par-te del giusto in quanto potente fra i potenti? E ilnostro grande, grandissimo presidente Napoli-tano, perno indispensabile di questa nostra scric-chiolante democrazia, come ha potuto accetta-re, e anzi avallare, questo ennesimo sgarro dellastoria, lanciata - sembrerebbe - a reiterare al-l’infinito i suoi passi falsi?Quando ci si infila in un tunnel poi se ne deve usci-re, e anche stavolta si troverà il modo di venirnefuori con la ragione in pugno. E speriamo che sia-no ragioni fondate non sulla crudeltà della guerra,ma sulla necessità di lavorare per una effettivavolontà di pace. Ma queste sono belle parole trop-pe volte gridate al vento, e non convincono più. Eallora si spegne l’audio. E torna il silenzio. Da quinon si sentono gli scoppi delle bombe.

Un soldato dell’esercito di Gheddafi

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Rubrica a cura di: Paola Contie-mail: [email protected]

5dal m ondoNotizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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Pellegrini della fede(Sandro Angeletti) - Nell’anno del suo centena-rio, la città di Juazeiro si consacra e si propone comeil Nuovo Santuario del Nordest del Brasile, dove idevoti provenienti da tutto il mondo, s’inginocchia-no sulle strade e sui pavimenti alla ricerca di Dio.Incontrano la speranza per continuar a vivere.Juazeiro è la nuova Canaan, la terra promessada Dio, che in accordo con la Bibbia simboleggia illuogo di conquista spirituale. Come gli ebrei fuggi-rono dal deserto e dalla guerra, i pellegrini incon-trano in Juazeiro il sacro spazio per la loro conver-sione. Durante il pellegrinaggio, la città si convertein un centro di devozione, con messe, benedizioni,processioni, novene, peregrinazioni e visite ai luo-ghi considerati sacri per gli attuali pellegrini. «AJuazeiro, si ricerca l’accogliente ombra dell’alberodella vita, rappresentata dalle pareti e dal tetto delsantuario chiamato casa di Maria e casa del po-polo, che desidera la salvezza nel Sacro Cuore diGesù», così afferma il vescovo Don Fernando Panìconella sua seconda carta pastorale denominata “Pel-legrini e riconciliazione”. La carta si apre con unacitazione di Padre Cicero, il popolare Santo delNordest: “Juazeiro è un rifugio dei naufraghi dellavita”. Milioni di pellegrini annualmente si recano aJuazeiro del Nord, per essere esauditi o ringraziareper le precedenti preghiere ascoltate. La città, di240.000 abitanti è diventata il maggior centro di pel-legrinaggio del Nordest del Brasile e nel calendario,gli eventi più indicativi sono condivisibili nei mesi difebbraio, luglio, settembre e novembre. In questiperiodi la popolazione si moltiplica e la città si tra-sforma. Sono eventi indimenticabili e indescrivibili,quando la miseria fraternizza con la speranza, rive-lando un profondo senso religioso. È l’ora di chiede-re aiuto, di pagare le promesse e di onorare le richie-ste anteriori già esaudite. È la catarsi collettiva chesecondo il filosofo greco Aristotele, è la purificazionedelle anime per mezzo di una scarica emozionaleprovocata da un dramma. La sala dei miracoli delSantuario è la prova concreta di una devozione, cheattraversa il tempo e le avversità quotidiane. A pri-ma vista sembra un deposito d’orrori: gambe, brac-cia, teste di cera e legno e altre riproduzioni del cor-po umano fatte con qualsiasi tipo di materia prima.Migliaia di foto, disegni e scarabocchi, che rappre-sentano un monumento alla religiosità creato da gentesemplice, con profonda fede e tanta gratitudine.

Un’altra forma di pagare le promes-se è il sacrificio fisico. È comuneveder file di pellegrini che si carica-no pietre fino all’alto della collinadell’Horto, o che si spremono instrette crepe che il tempo ha taglia-to nella roccia. Senza parlare dellesofferenze del viaggio, delle diffi-coltà d’arrangiar cibo o un angoloper passar la notte, nell’intenso ca-lore e nella sporcizia delle strade.La tradizione popolare si fonde an-che con l’aspetto moderno del San-tuario, inaugurato nel 1988, un’operaprima dell’architettura moderna,con l’auditorium, la biblioteca e unmuseo con tutte le illustrazioni poli-tiche, culturali e religiose della città.I pellegrini sfilano nei corridoi cre-ando spazio, ansiosi di dimostrarela propria fede. È ora di ringraziaree di chiedere nuovi favori, perchéla bontà del Signore è infinita!

I “Calçots” catalani(Stefania Colantoni) - In Catalogna, la primavera è la sta-gione dei Calçots: una qualità di cipolle simile alle nostrecipolline fresche lunghe e sottili, ma con un gusto molto piùdeciso e cremoso.Si coltivano dall’inizio di febbraio alla fine di aprile e la produ-zione viene utilizzata esclusivamente per la preparazione diuna tipica pietanza della cucina catalana: la Calçotada, chesi può tradurre “una mangiata di Calçots”. Le Masìe, tipiciristoranti situati fuori città, in aperta campagna e solitamentecircondati da vigneti, sono attrezzati per celebrare questoevento gastronomico primaverile.A terra si prepara una grande brace di legna di vite poi, soprauna larga griglia, vengono messi a cuocere i Calçots tutti benallineati. Una volta abbrustoliti sono pronti per essere servitiin coppi di terracotta, affinché si mantengano caldi. Per que-ste occasioni si prepara la tavola molto rusticamente, contovaglie di carta e, al posto del tovagliolo, ai commensali vie-ne fornito un largo e lungo bavagliolo da legare al collo comei bambini, perché ci si imbratterà e impataccherà alla grandedato che Il Calçot si mangia con le mani. Con abile mossaviene sbucciato, privato delle pelli esterne bruciacchiate e poisi gusta tutta la parte interna, tenera e saporosa intingendola,prima di metterla in bocca, in una salsa color rosa chiamataRomero o Salvitxada a base di pomodoro secco, mandorle,nocciole, aglio, pane tostato e grattugiato, aceto, olio, sale epepe. Il sapore di quei buoni bocconi è delizioso, basta nonpensare al conseguente odore dell’alito dopo averne mangia-ti almeno una decina a testa.Il menù Calçotada prevede come secondo piatto una grigliatadi carni miste cotte sulla stessa brace: agnello, pollo, maiale echorizo che è la tipica salsiccia catalana.Accompagna la festa un buon vino rosso della zona bevutodirettamente dal Porron, una brocca di vetro dotata di unlungo e sottile beccuccio laterale da cui versarsi direttamentein bocca la bevanda di Bacco: i bicchieri non sono ammessiin tavola. Posso assicurare per esperienza che la sfida è ar-dua, almeno per i principianti. La bravura sta nell’azzeccareperfettamente la direzione del getto del vino e accoglierlodirettamente in bocca senza toccare il beccuccio con le lab-bra. È semplice immaginare come in tal modo ci si possafacilmente sbrodolare, e qui il previdente bavagliolone prece-dentemente indossato sarà di grande aiuto. Il Porron vienefatto girare fra i commensali, affinché tutti possano bere emostrare la propria abilità, con applausi o fischi del resto dellacompagnia ad ogni bevuta o tentativo.Insomma ogni Calçotada è una buona occasione per fareuna gita all’aria aperta in compagnia di amici tra buoni sapori,allegria e folclore.

Dopo il Giappone(Riccardo Orioles) - Stavolta non è col-pa di Berlusconi. Né dei comunisti. Né diPutin o di Obama, né di alcun potere uma-no conosciuto.È proprio che siamo deboli, noi umani. Cistrappiamo a vicenda acqua, bancomat epezzi di terra ma - quando viene il mo-mento - siamo tutti formiche nelle manidella natura. Che non abbiamo domato af-fatto, né con le buone né con le cattive. Igiapponesi, dopo Hiroshima, hanno inven-tato Godzilla, il mostro inarrestabile chespunta dal profondo. Poi l’hanno dimenti-cato, e allora hanno costruito le centrali.Non ci sono ideologi a cui rifarsi, in questecose; solo poeti (io, italiano, penso al no-stro Leopardi) e basta. È tutto, concet-tualmente, da inventare. E da inventarealla svelta, perché coi sistemi attuali - co-m’è oggi evidente - l’Atlantide affonda.Il terremoto ha dato il primo colpo, e giàqui noi formiche eravamo impotenti. Lacentrale il secondo, perché avevamo bi-sogno - alla svelta - di sempre più energiafacile; e Godzilla dormiva. Il terzo colpo -che deve ancora arrivare - è quello del-l’impatto sul sistema economico mondia-le (insurance, subprimes, ecc.), enorme-mente acuito da tutte le speculazioni chehanno già provocato il piccolo Ventinovedi tre anni fa. Tanto “inaspettato” (easpettabile) quanto un terremoto. E tantosproporzionato, nella sua incontrollabileenormità, alla misera forza di noi povereformiche.Ecco: di questi colpi, almeno due si posso-no parare. Non pretendendo di più di quelche il pianeta - coi suoi mostri dormienti -ci consente. E non consentendo più, aiGodzilla artificiali di un’economia ormaiesplosa, di calpestare la terra e la carnesenza controllo alcuno. Bisogna cambia-re sistema, profondamente. Un socialismo,un’anarchia, un cristianesimo, un Tolstoi...- un’utopia qualunque, da mettere in ope-ra subito, a partire da ora. Senza bisognodi darle un nome ma credendo profonda-mente nella necessità di essa. Perché così,col “realismo” che abbiamo, stiamo finen-do male e ogni alternativa è meno peggio.Davvero questo Giurassico folle, percor-so da tirannosauri che calpestano ognicosa, è l’unico modo di vivere che abbia-mo? Davvero il mondo dev’essere am-ministrato solo dagli uomini maschi, conun pisello fra le cosce e una clava tecno-logica in mano? E se la “finanza” svanis-se, e tornasse a regnare la produzione? Ese governassero le donne, la signoraRoccuzzo, la regina di Saba, o quelle comemia nonna? Gli basterebbe governare “an-che” loro (che non è mai accaduto: ci sonotante donne al comando oggi quante nel-l’Egitto dei Faraoni), per imporre final-mente i loro antichi valori: la lentezza, gliaffetti umani, la spesa meditata, la gioia enon rapina del sesso, l’armonia.È “utopistico”, certo, miei signori. Ma tan-to, peggio di così non può andare. Sull’or-lo dell’abisso, l’utopia è ragionevole e lapigrizia del “realismo” è la rovina.

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6 Rubrica a cura di: Alberto Pucciarellie-mail: [email protected]

Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

Sito web: www.controluce.it 5.395.000 visiteCronache i nostri paesi...

(Maria Lanciotti) - Qui dove volano gli aeropla-ni non approdano soltanto pendolari e migranti,ma, come tradizione vuole, anche qualche pio-niere intenzionato a piantare qui la sua tenda. Esat-tamente come per il passato, breve e industrioso,di questa cittadina oggi all’avanguardia, ma ten-dente all’anonimato se non avrà il nerbo e la lun-gimiranza di salvare e valorizzare peculiarità sto-riche e ambientali che ne fannouna realtà del tutto particolare. Ementre il Sacro Cuore finisce dimarcire sotto gli occhi di tutti, inuna sorta di incubo senza risve-glio, un uomo con un’idea in mentee un progetto in tasca aspettafiducioso di poter realizzare il suosogno: creare un Consorzio fraArtigiani per dare vita alla Coo-perativa di San Giuseppe.Gennaro Massa, classe ’40, haredatto il suo progetto nel 1991 eda allora aspetta imperterrito cheil suo sogno - semplice e perfetto- possa concretizzarsi.Gennaro chiede spazio. Un gran-de spazio di terra libera o con unaserie di capannoni già edificati. Enon lo chiede in forma gratuita, ma come un in-vestimento di utilità sociale e culturale.Gennaro è geometra, ma quel diploma è come unmattone nello stomaco che dopo mezzo secoloancora non riesce a mandar giù. Si è diplomatoper volere del padre, ragioniere e finanziere, chevoleva fare di lui un professionista a tutto tondo,con tanto di studio e titolo attaccato alla parete.Gennaro ce l’ha a morte con i pezzi di carta strap-pati a forza a chi vorrebbe fare un lavoro manualee viene costretto a perseguire altre strade che nonsono le sue. Gennaro voleva fare il muratore, vo-leva impastare calce e impilare mattoni. Già daragazzino raccoglieva in uno smorzo vicino alla suaabitazione, a Roma all’Alberone, piastrelle e fram-menti di materiali per costruirci le sue casette. Presoil diploma di geometra, e assecondato così il voleredel padre, va a cercare nei cantieri il lavoro chepiù lo appassiona. Ma non avendo avuto una ade-guata formazione fisica, l’apprendistato che forgiaqualunque artigiano, si trova in difficoltà perché lesue braccia non allenate non rispondono alle esi-genze della manovalanza. Gennaro tiene duro, echiede al suo organismo più di quanto possa dargliin termini di strenua fatica quotidiana. Finché il suomedico gli dice: “O cambi mestiere o finisci su unasedia a rotelle”. E Gennaro opta per una via dimezzo, fra il costruire case e il progettarle. Apreun piccolo Colorificio a Ciampino, e intanto ristrut-tura appartamentini e perfino la caserma del cara-binieri di Civitavecchia, “una a monte e una amare”, dove si sente trattato con tutto il rispetto ela stima che si merita.Quando uno ha un sogno in testa, è difficile chenella vita riesca a sgomitare per farsi largo.E così Gennaro subisce una serie di rovesci che loprivano del reddito dell’appartamento ereditato aRoma, dalla casa presa in affitto viene sloggiato efinisce a convivere con i rumeni da una affittaca-mere, poi nell’ottanta cede l’attività e acquista ilnegozietto in cui oggi vive e ancora lavora, quandogli capita qualche richiesta che solo un artigianocome lui è in grado di soddisfare. Gennaro, nella

sua attività di smussi, pratica tagli e buchi amaioliche e marmi, e la polvere che respira diceche non la sente più, e comunque è quello il suoposto e non lo abbandona. In passato i giovani diRifondazione ogni tanto lo andavano a prelevare egli pagavano un breve soggiorno all’Ostello di Casaldei Monaci, tanto per fare una doccia e dormire inun letto con le lenzuola, ma anche questo lusso è

finito, il precariato penalizza anchele buone intenzioni. Anche seGennaro, come fa chiaramente in-tendere, non capisce come ragazzidi 20, 25, 30 anni, possano farsimettere sotto dal precariato, senzatrovare proprie risorse. Lui invecedi risorse ne ha tante: una piastraelettrica per scaldarsi d’inverno eper cucinarsi i pasti, una brandinarialzata addosso al bancone da la-voro che la sera diventa il suo gia-ciglio, una televisione da mezzo pol-lice sempre accesa, una campanellache quando qualcuno entra o esceimpazzisce di gioia, e un viavai diamici che se non passano a salutar-lo e a scambiare quattro chiacchie-re non vivono una lieta giornata.

Gennaro chiede spazio con un progetto in manoe un capitale sociale di 400.000 euro, tutto quelloche possiede in immobili da liberare e renderefruttiferi: l’appartamento ereditato a Roma e illocale in viale Marino al civico 66.Abbiamo qui il suo progetto, e ci pare assurdoche nessuno, dopo oltre venti anni, si sia reso contodell’enorme valore della proposta. Che Gennarocosì riassume: «Prendere uno spazio dai mille metriquadri in poi, non di meno, si divide in tanti spaziminori, massimo dieci, che ogni occupante pa-gherà in proporzione, si crea un polo per valoriz-zare e consolidare l’attività artigianale italiana intutti i suoi aspetti, e i ragazzi trovano una verascuola di lavoro». Un progetto che fila e che, serealizzato, ridarebbe smalto a una cittadina tradi-zionalmente operosa nel campo dell’artigianato,e forse possibilità lavorative a tanti giovani che,come Gennaro, sarebbero più portati a costruirecon le proprie mani che a fare i professionisti perforza, e per giunta disoccupati.

CIAMPINO

“Cooperativa di san Giuseppe”: spazio a GennaroROMA

Gioielli nel fango(Alberto Pucciarelli) - La biblioteca GuglielmoMarconi è nell’omonimo quartiere, ad un passoda Trastevere, Monteverde e Testaccio. Qui, sa-bato 5 marzo, per l’inaugurazione della mostraReflexus imago aquae pluviae, c’è stato un

magico incontro tra immagini fotografiche, poe-sia e storie popolari. Originale l’idea del foto-grafo Marco Lorito di catturare i monumenti egli scorci più affascinanti di Roma riflessi nellospecchio naturale delle buche - altra nota carat-teristica della vetusta capitale - riempite dallapioggia. Le foto sono tanto inconsuete quantosplendide: chiese, piazze, colonne e palazzi diuna Roma capovolta ed emergente da sampietrinilucidi e pozzanghere fangose, come perle disper-se per eccesso di bellezza. In perfetta sintoniale ‘perle’ di poesia dal libro Questa terra chebestemmia amore di Maria Lanciotti e del can-tastorie Daniele Mutino nell’interpretazione deIl Drago di Malagrotta e altre storie romane:fango e dolore della guerra e di una ricostruzio-ne difficile e spersonalizzante nelle liriche, sto-rie cupe di mostri o vive di amori nelle ballate;entrambe avviate, però, verso la luce della spe-ranza ed il conforto della bellezza. Pubblico stu-pito e rapito dalla energia dei contenuti e dallaefficacia delle esecuzioni. Antonella Fede e Ro-berto Pennacchini hanno letto le intense lirichedella Lanciotti nell’ambito del progetto di“LIBRazioni” ideato da Valeriano Bottini e fina-lizzato a rappresentare la parola scritta comecultura viva e interattiva. Daniele Mutino, natocome pianista classico, dopo la laurea in antropo-logia diviene, per passione della ricerca,

etnomusicologo, fisarmoni-cista e cantastorie raffina-to; compone musica perfilm e teatro e porta in sce-na spettacoli per il progetto“Cantastorie per TempiModerni”. Queste brevitracce danno il senso di unaoperazione - realizzata inquesto polo culturale - altempo stesso complessa esemplice, di nicchia e popo-lare, intima e di largo respi-ro. È soprattutto un segnaleper andare in direzione di unacultura senza trombe etromboni, senza i soliti gessie le statue di cera autocelebrative che hanno il di-fetto di sciogliersi alla provadella realtà, lasciando solotracce scivolose.

Una foto della mostra

SAN CESAREO

2a Corsa del Donatore(Luca Marcantonio) - Si svolgerà sabato 16 aprile la seconda edizionedella “Corsa del Donatore”, un’iniziativa meritoria che il successo delloscorso anno ha giustamente indotto gli organizzatori a replicare. ErnestoMoriero, presidente della Do.Sa.Vo, ha quindi unito le forze con la GDSLibertas Atletica per mettere sul piatto una gara che, oltre ovviamente allavalorizzazione dell’aspetto puramente sportivo, ha come scopo la sensibi-lizzazione di cittadini e istituzioni alla cultura della donazione del sangue, ungesto di importanza vitale nel vero senso della parola. La Do.Sa.Vo èpertanto sempre attivissima nella sua opera di raccolta sangue e di realiz-zazione di iniziative volte ad accogliere sempre più persone nel novero deidonatori. L’evento del 16 aprile si avvale del patrocinio di Regione Lazio,Provincia di Roma, Comunità Montana Castelli Romani e Prenestini, Co-mune di San Cesareo e FIDAS, la Federazione Italiana Donatori e Asso-ciazioni Sangue di cui la Do.Sa.Vo è giustamente ed orgogliosamente mem-bro. Si spera pertanto in una massiccia partecipazione nel segno di unaltissimo gesto di solidarietà come quello della donazione del sangue. Perinformazioni sul percorso e sulle modalità di iscrizione rivolgersi al numero069570427 o all’indirizzo email [email protected]

Il progetto c'è e anche una bellacifra per avviarlo

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MONTE COMPATRI

Frane: chi interviene?(Giovanna Ardesi) - La recente sentenza del TarLazio, II sezione, dovrebbe chiarire finalmente (e fu-gare anche ogni dubbio dell’Amministrazione comu-nale) a chi compete l’obbligo di rimuovere da unastrada comunale frane di terra provenienti da areeprivate sovrastanti e di eseguire le opportune operedi sostegno, sostenendone per intero le spese. Il caso(non ancora risolto) che riguarda la frana verificatasiin via Leandro Ciuffa a fine dicembre 2004 sembra,infatti, calzare a pennello con la fattispecie trattatadal Tar Lazio. Si legge nella suddetta sentenza che aimargini di una proprietà di un appezzamento di terre-no, sito in Roma, si sviluppa una scarpata di un’altez-za variabile da 5 a 9 metri, confinante con una stradacomunale e con la sua fascia di pertinenza demaniale.In detto luogo per effetto di copiose precipitazioni nelfebbraio 2010 si verificava uno smottamento di terrache rendeva necessario l’intervento dei Vigili del Fuo-co, volto ad evitare pericolo o danno per le personetransitanti nel tratto di strada prospiciente, anche inconseguenza della possibile caduta di massi tufacei.A questo punto il Comune di Roma notificava al pro-prietario del terreno, dal quale era iniziato lo smotta-mento, una diffida con la quale lo invitava ad esegui-re le opere necessarie per bloccare i movimentitellurici in atto. Il proprietario rispondeva comunican-do all’Amministrazione di essere pronto a realizzare ilavori (in base al progetto del geologo incaricato) con-sistenti in opere di canalizzazione delle acquemeteoriche, allo scopo di bloccare l’invasione dellasede stradale dal materiale precipitato, e proponevaall’Amministrazione comunale che le ulteriori opereda eseguire sulla scarpata (es. muro di sostegno) fos-sero a carico della medesima. Ma il Comune di Romaemanava un provvedimento con il quale respingevala proposta e invitava il privato ad eseguire a sue spe-se tutte le opere indicate dal tecnico comunale. Il pro-prietario del terreno, niente affatto convinto, presen-tava allora ricorso al Tar, impugnando il provvedimentodell’Amministrazione comunale che gli intimava larealizzazione delle opere descritte. Il Tar del Laziodecideva (con sentenza n. 38225/2010) che il ricorsoera fondato, condannava così il Comune di Roma apagare le spese processuali, annullava i provvedimenticomunali impugnati e stabiliva che debbono gravaresulla Pubblica Amministrazione gli oneri relativi allamanutenzione della parete, che si innalza verticalmentelungo il ciglio stradale, costituente pertinenza della stra-da pubblica. Pertanto la manutenzione della pertinen-za di una strada spetta al soggetto titolare del dema-nio statale (Comune, Provincia o Regione). D’altrocanto - precisa la sentenza - “l’art. 30 n. 4 del Codicedella Strada, stabilisce che la costruzione o riparazio-ne di opere di sostegno volte ad assicurare la stabilitào la conservazione delle strade pubbliche è a caricodell’ente proprietario delle stesse”. Detta sentenza siattaglia perfettamente al caso specifico di MonteCompatri, sopra citato. Tuttavia, nel 2005 l’allora sin-daco Franco Monti, anziché provvedere direttamen-te a spese del Comune, emanava un’ordinanza neiconfronti dei proprietari del terreno franato, Blasi ePrimavera, invitandoli a fare a loro spese le necessa-rie opere di sostegno per superare l’inconveniente,mentre con la nuova Amministrazione, nonostante leripetute lettere firmate dai residenti della strada chela invitavano a provvedere, non veniva intrapresa al-cuna iniziativa. Però, se c’è stata inerzia da partedell’attuale Amministrazione sulle frane, bisogna one-stamente riconoscere il suo attivismo in opere di ab-bellimento del paese.

VELLETRI

Musica proprio così(Alberto Pucciarelli) - Prosegue intensamentela stagione di Musica da Camera, Battute d’in-contro 2011- 3° edizione, con il Patrociniodel Sistema Bibliotecario dei Castelli Romani.I concerti si svolgono in vari siti. Martedì 8

marzo nel Palazzo Sforza Cesarini di Genzanorappresentazione di Colomba Antonietti: sto-ria di una donna tra eroismo e sentimento -a cura dell’Ass. culturale ‘Sentieri dell’anima’- e concerto di Luca Mereu, mandolino, eDamiano Mercuri, chitarra, con musiche dellostesso Mereu, Carlo Carfagna, Beethoven,Marucelli e Rossini. Testi ed armonie in omag-gio di una eroina del Risorgimento che ha com-battuto a Velletri contro le truppe borbonichenel 1849 e morta nello stesso anno a Porta S.Pancrazio in difesa della Repubblica Romana.Nell’Antico Casale di Colle Ionci di Velletri, il13 marzo, interessante proposta di Storie pro-prio così, con Andrea Pandolfo, tromba, Pa-squale Laino, sassofono, Rosario Liberti, tuba,che hanno suonato brani di loro composizione.Questi professionisti di grande spessore, com-positori di musiche per il teatro, per famosi film,sceneggiati e spettacoli televisivi, hanno ideatoil progetto Out of Tune - fuori tono - per creare,in piena libertà, musica colta contemporanea,con contaminazioni di ogni genere dal popolareal jazz. Soprattutto è musica da vedere, musicanarrante, tra l’allegorico ed il grottesco dei ca-polavori di Fellini ed il gitano anarchico di unBregoviæ alleggerito e filtrato. Andrea Pandolfo,presentando i pezzi, ha ricordato una ispirazionealla libertà e alla fantasia della scrittura di Kipling(Storie proprio così è infatti il titolo di un suofamoso libro di racconti per l’infanzia, spiega-zione di miti ed apologhi ad uso anche – soprat-tutto? - dei grandi). Il concerto è stato uno svol-gere di immagini, un susseguirsi di melodie econtrappunti tra squilli, ritmi e sincopati da gu-stare e ballare con ogni senso ed immaginazio-ne. I brani, pur nella dichiarata libertà creativa,in qualche modo rispettano strutture e dinami-che della musica ‘classica’ così da permettereuna lettura perfetta dei temi che arrivano a smuo-vere le emozioni. Un incontro che apre una im-portante finestra sulla musica moderna che di-venta classica non per un’etichetta applicatasconsideratamente, ma per la sua propria forzaevocativa e comunicativa. Novità di questo li-vello sono di enorme utilità per il progredire del-la cultura musicale, anche con prospettive diattenzione ai giovani. I concerti proseguono,come da programma, anche per il mese di apri-le. Info tel. 3337875046 [email protected] -www.associazionecolleionci.eu

P. Laino A. Pandolfo R. Liberti

ROCCA PRIORA

Prospettive per l’artigianato(Gelsino Martini) - Il 150° anniversario dell’Unitàd’Italia è anche un momento di riflessione sullaCostituzione Italiana. È scritto nell’articolo 18: «Icittadini hanno diritto di associarsi liberamen-te, senza autorizzazione, per fini che non sonovietati ai singoli dalla legge penale».Il vento della crisi scuote il mondo del lavoro, in-vestendo con forza le piccole aziende. È il mondodell’artigianato che paga un prezzo elevato allacrisi, sia per la mancanza degli investimenti, siaper la scarsa liquidità dei cittadini, sia per i costielevati a cui è soggetta una ditta artigiana perrispettare le regole del lavoro. Queste sono unaparte delle motivazioni che hanno spinto gli arti-giani di Rocca Priora a ‘riorganizzare’ l’Asso-ciazione locale dell’Artigianato. Da tempo, variartigiani ritenevano necessario riattivare l’asso-ciazione, che per motivi vari aveva perso smaltoe presenza nel territorio.Il 10 marzo un’assemblea di oltre 40 artigiani si èincontrata nell’aula consiliare del Comune, pren-dendo coscienza della necessità di rilanciare l’arti-gianato. Dietro la spinta dell’assemblea è statoproposto un gruppo ristretto (circa 20 artigiani) perorganizzare un direttivo e proporre uno statuto dasottoporre all’assemblea. È su questo punto che siblocca la progressione dell’associazione, la defini-zione di uno strumento, primario come lo statuto,da cui scaturiscono la struttura dirigenziale e leregole fondamentali della costituenda associazio-ne. Una nuova convocazione dell’assemblea, peril 18 marzo, non è stata in grado di produrre lenecessarie garanzie di rappresentanza unitaria. Sirende, forse opportuno, definire alcuni principi dimassima attinenti all’organizzazione.Gli obiettivi dell’associazione diventeranno unnuovo ed utile strumento per gli iscritti: consulen-ze sul lavoro, corsi per la sicurezza, visite medi-che, consulenze commerciali e legali, collabora-zione tra imprese e quanto altro interessa buro-craticamente e legalmente una ditta artigiana.Sarà chiaramente una nuova forza nel territorio,in grado di interloquire con l’AmministrazioneComunale, di proporre progetti e recuperi del ter-ritorio, di offrire garanzie nell’esecuzione dei la-vori e di manutenzione ai cittadini e, non ultimo,avviare una collocazione territoriale per l’impie-go giovanile. Coinvolgere tutti gli artigiani localisignifica sviluppare uno strumento a disposizionedi tutti, non un’associazione a vantaggio di pochi,che rischi di monopolizzare l’economia locale.Molti altri devono essere gli obiettivi dell’asso-ciazione, tra cui evitare la selvaggia aggressionedel territorio che è stata perpetrata negli anni pas-sati, contribuire a recuperare un rapporto uomo-territorio che tra 10/20 anni sia garanzia di svilup-po e non di sostenere l’ennesima chiusura di unterritorio destinato al collasso. Riconquistare di-gnità e pregio di un centro storico di caratterecontadino, con lo sviluppo contiguo del centrourbano e delle nuove periferie, realizzando servi-zi e strutture pubbliche e recuperando edifici co-munali e zone demaniali.Un progetto di ampio respiro, in accordo conl’Amministrazione, intenta a proporre il nostropaese come meta turistica o residenziale dellacapitale. Anche questo può incrementare lo svi-luppo artigiano.Il dialogo è aperto, la soluzione, ci si augura, ra-pida e condivisa.

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(Paola Conti) - Alcune lettere all’Italia, IVelementare, sez. A e B di Colonna.

Cara amica Italia, ti volevo scrivere per farti gliauguri. Sei un po’ vecchia: compi 150 anni e moltisono stati anni brutti e difficili. Molte persone sonomorte per avere un’Italia come quella di oggi: un’Ita-lia unita, dove tutti possano vivere tranquillamentesenza i rumori dei fucili e senza tutto quel sanguesparso. A scuola ci sono molti compagni stranierima io penso che siamo tutti uguali perciò dovrem-mo aiutarci l’uno con l’altro e avere rispetto tra dinoi. Ad esempio il rispetto per la religione. Io sono diuna religione diversa e quando si fanno dei lavorettiin classe tutti mi dicono «Non c’è niente di male afare questo, non sai cosa ti perdi!» Però io pensoche ognuno conosce la propria religione e sa qualisono i motivi perché non fa certe cose. Io pensoanche che non mi perdo niente perché sto benecosì, anche senza feste! Ciao amica Italia. Denise

Cara Italia, mi chiamo Claudiu e sono un bambi-no romeno. Quando sono venuto in Italia, non sape-vo parlare, non sapevo leggere, non capivo niente.Quando sono venuto i compagni mi hanno accoltobene, mi aiutavano soprattutto nelle parole che nonconoscevo. Le maestre mi aiutavano. Adesso misento come un italiano: so parlare, so lavorare esoprattutto capisco. Mi piace la pasta soprattutto lapasta al sugo. Quando sono arrivato non mi piace-va la mozzarella, però mi hanno detto di assaggiarla,io l’ho assaggiata e mi è piaciuta. Io sto molto benequi, però spesso mi viene la nostalgia della Romaniae mi manca. Mi mancano gli amici, i compagni discuola. Però qua ho trovato altri amici. Quando sta-vo in Romania volevo andare in altri paesi e adessosto da te e sto molto bene e mi sento mezzo italiano.

La maestra ci ha raccontato la tua storia e ho capitoche hai sofferto tanto per diventare unita. Per questoti scrivo per farti gli auguri per i tuoi 150 anni. Claudiu

Cara Italia, mi chiamo Jae Hwan, sono un bambi-no coreano. Quando sono venuto in Italia avevo dif-ficoltà a parlare, ma adesso ho imparato a parlare.Non mangiavo la pasta o gli spaghetti ma la mia mam-ma mi ha fatto provare ed erano buoni e così ho im-parato a mangiare il cibo italiano. All’inizio quandoero a scuola avevo paura e piangevo, ma le mie ma-estre mi facevano calmare. Io non sapevo come stu-diare e facevo il riassunto di quello che leggevo. Mapoi ho imparato a studiare bene. Io qua in Italia misento libero perché in Corea fanno studiare tutto ilgiorno. In Corea se vai all’università ti fanno studiaredalle sei fino a notte. Qui in Italia è meglio perchè hoil tempo di giocare con gli amici. E quando incontroun bambino sorrido e anche lui sorride. La mia mam-ma dice che devo avere sempre un sorriso per diven-tare amico. Tanti auguri per i tuoi 150 anni. Jae Hwan

Cara Italia, io sono Martina e ti vorrei raccontareche noi bambini, insieme alla maestra Ombretta stia-mo leggendo il libro Cuore per i tuoi 150 anni. Nellibro si raccontano le storie di alcuni bambini che lot-

tano per la formazione dell’Italia. Il racconto che mi èpiaciuto tanto è La piccola vedetta lombarda. Noici siamo commossi quando la maestra lo leggeva. Miè piaciuto anche perchè c’è un bambino che sacrifi-ca la sua vita per aiutare i soldati. In classe stiamoparlando molto di te, la maestra ci ha raccontato an-che delle guerre mondiali e di come si è formata laRepubblica Italiana. E anche di quando i soldati sonoandati in guerra per salvare tutti noi. Ti vorrei parlareun po’ dei miei compagni di classe. Ho degli amiciche vengono da altri paesi: Corea, Romania, Bulga-ria, Egitto. Loro mi sono molto simpatici. Quando sonovenuti dai loro paesi si sentivano un po’ in difficoltà aparlare l’italiano. Poi ci sono i bambini che sono natiin Italia. Qualcuno simpatico, qualcuno chiacchiero-ne, qualcuno bravo e qualcuno meno bravo. Tutti,pero, ci sentiamo amici e tutti insieme vogliamo fartigli auguri per i tuoi 150 anni!! Ti voglio bene, Martina

Cara Italia, io sono metà tuo cittadino e metà citta-dino romeno. Devo dire che mi piace vivere qui, misento come se fossi un cittadino d’Italia. Devo dire,però, che mi manca la mia Patria, la mia casa in Ro-mania. Quando sono arrivato pensavo di non trovar-mi bene perchè pensavo che qui avrei avuto pochiamici e poche persone con cui giocare, chiacchiera-re. Ma invece tutto il contrario. Il mio primo giorno discuola tutti mi hanno accolto bene, sia i compagni chele maestre e tutti sono stati gentili con me. Hannoaspettato che imparassi l’italiano, e adesso siamo comeuna grande famiglia. Mi trovo bene con i miei amici,con loro scherzo, gioco, litigo ma subito facciamo lapace. Non ci sono differenze tra noi, perchè siamotutti uguali e non ha importanza se siamo di un’altrareligione o abbiamo abitudini diverse. Grazie Italia diavermi accolto come tuo cittadino. Dino

COLONNA

150° Italia unita: noi la pensiamo così!

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9Rubrica a cura di: Alberto Pucciarellie-mail: [email protected]

i nostri paesi...Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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(Rita Gatta) - L’anno della memoria storica rife-rita all’Unità d’Italia, ha suggerito alle docenti del-la scuola primaria dell’Istituto Ambrosini un lavorodi équipe molto interessante, circoscritto al nostroterritorio. “Rocca di Papa - Repubblica di un gior-no”, tale il titolo della rappresentazione effettuatadagli alunni dell’Istituto, ultima tappa di un bel pro-getto elaborato dall’insegnante Teresa Cammarata.I bambini si sono impegnati in una ricerca nell’ar-chivio della nostra città, coadiuvati da Carlo Cofini,direttore della Biblioteca Comunale, nonché auto-re del libro Rocca di Papa Repubblica per ungiorno - La Spiga; hanno poi proposto, alle Auto-rità, alle rappresentanze sociali e ad un casualecampione della popolazione, una serie di intervisteper un’indagine conoscitiva sul territorio. Il 18 feb-braio un numeroso pubblico ha intonato un com-mosso Inno di Mameli, coinvolgendo anche le Au-torità presenti nel teatro del Centro Congressi Mon-do Migliore, dove si è potuto assistere alla signifi-cativa ricostruzione storica I piccoli protagonisti, intipico costume locale, attraverso la lettura dei pas-si più salienti dei documenti e diverse drammatiz-zazioni in dialetto, hanno ripercorso le tappe piùsignificative della rivolta del popolo rocchegiano,sommossa avvenuta il 1° maggio 1855, in pienoperiodo risorgimentale. Sei giorni durò l’insurre-zione contro la famiglia Colonna, da secoli pro-

ROCCA DI PAPA

La Repubblica di Rocca di Papa rappresentata dai piccoli alunniprietaria dei nostri territori, responsabile di una sof-focante gestione amministrativa che opprimeva contasse, gabelle e poca solidarietà civica i boscaioli ecarbonai rocchegiani, privati del loro diritto di legnaree carbonare nel territorio della Selva Grande oMacchia della Fajola.Tale era la concessione fir-mata nella Bolla del Pontefice Martino V ( OddoneColonna) nel 1425 e puntualmente disattesa daidiversi Principi Colonna che si sono succeduti.Nel 1850 e nel 1855 il Principe Giovanni Colonnaordinò di disboscare il territorio dove i Rocchegianipotevano rivendicare i diritti concessi; non solo, conl’inganno promise loro il diritto di coltivare e, unavolta liberato il terreno dalla vegetazione, revocò lasua autorizzazione, denunciandoli come predoni. Inseguito alla seconda cioccatura della Macchia dellaFajola, territorio dove attualmente si estendono iPratoni del Vivaro, il popolo insorse nella notte del30 aprile 1855 e all’alba le campane suonarono afesta annunciando, il primo maggio, la “Repubblicadi Rocca di Papa”. Duecento contadini occuparo-no i terreni dei Colonna e in Piazza della Barcacciavenne innalzato l’albero dell’indipendenza. Sulla cimac’era un berretto rosso e lo stemma pontificio erastato sostituito dall’insegna “Dio e Popolo”. Un Diodei poveri, un Dio giusto verso una popolazione sof-ferente che si ribellava e reclamava i suoi diritti controun padrone prepotente ed egoista. L’insurrezione

che registrò una vittima, una guardia che aveva ten-tato di rimuovere il manifesto, fu presto domata dal-la gendarmeria inviata dallo Stato Pontificio; non ènoto il nome dei rivoltosi e degli arrestati che si fe-cero ammanettare senza darsi alla macchia. Lanotizia fece scalpore e si diffuse ovunque: all’este-ro, fu registrata e fatta divulgare: tanta fu la solida-rietà nei confronti di quei cittadini stanchi di soprusie prepotenze. Curiosamente, invece, GiuseppeGioacchino Belli aspramente criticò i Rockenpapen(alludendo alle origini bavaresi di alcune famiglie lo-cali). Proprio da lui, l’autore de La famija poverella,ci si sarebbe invece aspettati pietà e commozionenei confronti di quella popolazione che protestavareclamando i suoi sacrosanti diritti. Tornando allabella iniziativa, un meritato plauso va ai ragazzi checon le loro insegnanti si sono impegnati a conoscerela propria storia, gli usi, i costumi e le tradizioni,riproponendoli attraverso l’ interessante rifacimen-to teatrale. In ognuno di loro resterà vivo il ricordodel sacrificio e dell’impegno dei nostri avi carbonaiper la conquista di un più umano vivere quotidiano.Ancora una volta la scuola ha dimostrato che cono-scere la storia, le tradizioni, gli usi e i costumi ,interagendo con le parti sociali e valorizzando le ric-chezze culturali del territorio, non può che far na-scere nei futuri cittadini una coscienza civica cheriscopre nel passato i valori del presente.

Roma e dintorni in mostraa cura di Susanna Dolci

I fasti della Famiglia Farnese, Palazzo Farnese,sino al 27 aprile, via Giulia, 186, tel. 06.32810.Leonardo da Vinci, sino al 30 aprile. Palazzo DellaCancelleria, piazza della Cancelleria, 1, tel.06.69887616. Aleksandr Deineka, maestrorusso della modernità, sino al 1 maggio, Palaz-zo delle Esposizioni, via Milano, 13, tel.06.39967500. I colori del mondo del NationalGeographic, sino al 2 maggio, Palazzo delle Espo-sizioni, via Milano, 13, tel. 06.39967500.Caravaggio a Roma, una vita dal vero, sino al15 maggio, Archivio di Stato, Sala Palazzo Bolo-gna in Via di Santa Chiara, 4. La Bottega delGenio. Caravaggio, sino al 29 maggio, MuseoNazionale di Palazzo Venezia, via del Plebiscito,118, tel. 06.32810. Laboratorio Schifano, operedegli anni ’80 e ’90, sino al 12 giugno, MACRO,via Nizza, 138, tel. 06.0608. Giuseppe Pietro-niero e Zimmerfrei, arte moderna, sino al 12giugno, MACRO, Via Nizza, tel. 06.0608. I Pre-raffaelliti, GNAM, sino al 12 giugno, via delle BelleArti, 131, tel. 06 322981. Lorenzo Lotto, Scude-rie del Quirinale, fino al 12 giugno, via XXIV Mag-gio, 16, Tel. 06 39967500. Giovani Artisti dellascena romana, sino al 15 giugno, MACRO, ViaNizza 138, tel. 06.0608. Tamara de Lempicka,la regina del moderno, sino al 10 luglio, Com-plesso Monumentale del Vittoriano, piazza Vene-zia, tel. 06.6780664. Michelangelo Pistoletto,sino al 15 agosto, MAXXI, via Guido Reni, 4a , tel.06.39967350. Il Confine evanescente, arte ita-liana 1960-2010, al 2 novembre, MAXXI, viaGuido Reni, 4a, tel. 06.39967350. Il Guercino ri-trovato, fino al 12 giugno Castel S. Angelo, l.reCastello 50, tel. 06.6819111. Roma e l’Antico,fino all’8 maggio, Fondazione Roma Museo viaMinghetti 22, tel. 06.697645599. Titoli e date dadefinire: Munch e l’arte del nord Europa.

(Maurizio Massaro) - Il3 aprile 1991, presso lo stu-dio del notaio Giuliano inFrascati, si riunì un grup-po di ragazzi con l’intentodi creare una struttura or-ganizzata in associazionedi volontariato con finalitàsolidaristiche volte a pre-venire rischi e pericoli, oad intervenire in emer-genza e a supporto deglienti preposti e della popolazione in caso di neces-sità. La struttura, denominata Beta 91 e con sedein Monte Compatri, ha operato sempre con pas-sione ed impegno nel campo della protezione ci-vile, sostenuta inizialmente da contributi dei socio di sostenitori. Oggi può godere di contributi del-la Regione, del Comune e della Provincia. Hacontribuito con i propri volontari ad emergenzenazionali importanti quali il terremoto dell’Umbria,di San Giuliano e di L’Aquila, essendo dotata distrumenti e capacità per tali interventi. Domeni-ca 17 Aprile 2011, in occasione del 20° anniver-sario della costituzione, l’amministrazione comu-nale ha chiesto alla stessa associazione di coro-nare questo importante percorso di crescita, nonsolo con i festeggiamenti di rito, dovuti per tantoimpegno e perseveranza, ma cogliendo l’occa-sione per testare il vigente piano di protezionecivile comunale e la macchina organizzativa lo-cale con un’esercitazione sul rischio sismico, incollaborazione con il C.O.I. (Centro OperativoIntercomunale) di Frascati, che racchiude i co-muni di Frascati, Monte Porzio Catone, RoccaPriora, Grottaferrata, Rocca di Papa e MonteCompatri. Inoltre parteciperanno all’esercitazio-ne anche il gruppo di Protezione Civile Pegaso di

MONTE COMPATRI

20° della Beta 91 ed esercitazione di protezione civileColonna, la delegazionedella locale C.R.I. e i Vi-gili del Fuoco del coman-do Provinciale di Roma;il tutto sotto il coordina-mento della Prefettura diRoma e della RegioneLazio. L’esercitazioneprenderà in considerazio-ne l’area del centro stori-co e avrà un tema e unoscopo ben preciso, ovve-

ro si simulerà un sisma di grado non distruttivo, mache provochi lesioni di varia entità alle strutture, alfine di avere un numero considerevole di sfollati aiquali dare assistenza fino al momento in cui gli or-gani competenti non dichiarino nuovamente agibilile strutture lesionate. Tale esercitazione, come giàdetto, è volta a testare il grado di efficienza e orga-nizzazione della struttura di Protezione Civile loca-le nei frangenti successivi al manifestarsi dell’even-to, con l’allestimento dell’area di accoglienza de-putata dal piano di protezione civile locale per ilcentro storico, che è quella di Viale Busnago. Vistii lavori di ristrutturazione in essere, verrà utilizzata,in via eccezionale, la vicina Piazza Garibaldi; verràinoltre allestita l’area di ricovero per gli sfollati pres-so lo stadio comunale; tutto sarà coordinato dalC.O.C. (Centro Operativo Comunale) che sarà incostante contatto con la sala operativa regionale econ la Prefettura di Roma. Il programma comple-to della giornata potrà essere consultato sul sitointernet della Beta 91. L’associazione è alla co-stante ricerca di persone che vogliano parteciparea questo grande impegno sociale; pertanto, coloroche siano interessati a collaborare, possono con-tattarla: www.protezionecivilemontecompatri.it/[email protected] - 06 94288730

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Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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ROCCA DI PAPA

Progetto “Donna sicura”(Rita Gatta) - Chi di noi non si è mai trovato afronteggiare momenti critici come quelli di uno sco-nosciuto che si avvicina troppo in quello che è ilnostro spazio personale, o che pare osservarci trop-po insistentemente alla fermata dell’autobus, o cisembra troppo interessato alle nostre azioni men-tre in un garage non custodito ci accingiamo a pren-dere l’automobile? Il cuore accelera i suoi battiti,siamo tese, affrettiamo il passo; magari quandosiamo al sicuro ci rendiamo conto che abbiamolavorato troppo con la fantasia e che lo sconosciu-to in realtà era immerso nei suoi pensieri e nonaveva neanche notato la nostra presenza. A que-sta ottimistica ipotesi si contrappongono purtroppoepisodi di violenza e aggressione che sono materiaprima per gli articoli di cronaca. Ancora, quantevolte è capitato che un’amica o una parente, unacollega o anche una perfetta sconosciuta raccon-tasse in privato o in tv, o sui giornali di essere statainfastidita, minacciata, perseguitata da qualcunoche non intendesse disinteressarsi a lei, magari fru-strato da un rifiuto o con una sorta di vendicativarivalsa nei suoi confronti? Purtroppo in alcuni casinon sono solo paure e timori infondati: in questiultimi anni sta balzando tristemente alle cronacheun’altro tipo di violenza, soprattutto psicologica, lostalking. Si tratta di un comportamento che portaqualcuno, lo stalker, ad assumere una serie di at-teggiamenti persecutori che vanno dalla telefona-ta assillante, alle lettere, agli sms ripetuti e continui,agli appostamenti: la vittima non vive più, è osses-sionata, vive in un continuo stato di tensione che laporta alla paranoia, al terrore, annullando la suapersonalità, togliendole ogni forza per reagire. So-prattutto di questo si è parlato il 5 marzo nell’AulaConsiliare, alla presenza delle Autorità cittadine,nel corso di un incontro finalizzato al progetto “Don-na sicura”, con la collaborazione dell’Assessoratoalle Politiche Educative e Sociali e l’AssociazioneKari No Yado , dell’istruttore Fesik (FederazioneEducativa Sportiva Italiana Karate) Andrea Pa-nattoni. Francesca Re, legale dell’Associazionestessa, è intervenuta con un interessante appro-fondimento circa le norme legali che regolano ladifesa personale, con chiari e mirati riferimenti dilegge e consigli circa le modalità con le quali af-frontare una situazione di aggressione, sia dal pun-to di vista legale, che della gestione della vita ditutti i giorni. La vittima, diceva, tende a restare incasa, ha paura ad affrontare la quotidianità; si deveinvece reagire, anche preparandosi fisicamente auna propria gestione di difesa personale. E qui pocodopo è stata organizzata una lezione pratica nellapalestra comunale, dove l’istruttore Panattonicoadiuvato da uno staff di collaboratori, ha pre-sentato e fatto sperimentare alle persone presenti,le tecniche di difesa personale di Krav Maga, unapratica di combattimento basata sulla rapidità del-la reazione della vittima, attraverso una serie diapprendimenti veloci ed efficaci. Anche personenon più giovani e scattanti possono avere la possi-bilità di organizzare una prima difesa che consentadi allontanarsi e chiedere aiuto in caso di aggres-sione. L’esercitazione, nonostante la gravità dellaproblematica affrontata, si è svolta in un clima digioiosa partecipazione dei presenti che, pur nellaleggerezza del lavoro svolto, hanno comunque trattopreziosi suggerimenti di difesa personale, con lasperanza, comunque, di non aver mai l’occasioneper sperimentarli nella realtà.

CASTEL GANDOLFO

Sull’obesità infantile(Arianna Saroli) - Anche quest’anno al via il pro-getto per promuovere la diffusione di stili di vita at-tivi per bambini, famiglie e insegnanti, dal titolo “Dia-moci e Ridiamoci una mossa”, ideato dall’Ente dipromozione sportiva UISP e patrocinato dal Mini-stero della Salute. L’iniziativa, partita nel 2006, si èampliata nel corso degli anni coinvolgendo un nu-mero sempre maggiore di persone, come ci spiegal’insegnante Laura Mazzone, referente del proget-to per l’Istituto Comprensivo Castel Gandolfo e re-sponsabile del settore scuola e formazione dell’UISPregionale. La necessità di promuovere questo im-portante progetto nasce dalla diffusione delle stati-stiche sull’obesità infantile, che nel nostro Paese stadiventando una piaga sociale a causa dello stile divita sempre più sedentario, che vede i bambini im-pegnati per troppe ore al giorno davanti a televisio-ne e computer, magari in compagnia di cibi e bevan-de tutt’altro che salutari. L’Italia si è aggiudicata ilprimo posto nel mondo per obesità infantile, supe-rando addirittura l’America. Dott. ssa Mazzone,in che modo il progetto intende contrastare que-sto allarmante fenomeno sempre più increscita?«Noi dell’UISP abbiamo divulgato nellescuole il progetto “Diamoci una Mossa” poiché ab-biamo sperimentato che è un modo divertente perinsegnare ai bambini a fare più movimento e a man-giare quotidianamente cibi sani divertendosi; il pro-getto agisce su tre fronti: bambini, famiglia e scuola.Le classi che hanno aderito al progetto hanno rice-vuto un diario personale, un libretto informativo peri genitori e una guida rivolta ai docenti. Il diario diDiamoci una Mossa è strutturato in modo da poterraccontare, mese per mese, tutte le esperienze, idee,avventure, le scelte alimentari effettuate e il tipo diattività fisica svolta; il libretto informativo rivolto allefamiglie fornisce informazioni sugli alimenti e sul mo-vimento attraverso la Piramide Alimentare e quelladel Movimento, appunto, sensibilizzando i genitori adare sempre meno spazio alla sedentarietà e a dedi-care molto più tempo al gioco e al movimento al-l’aria aperta; la guida è inoltre fornita di tabelle con-tenenti parametri di riferimento per conoscere, inbase al rapporto sesso, età, peso, altezza, lo stato disalute dei propri figli; la guida per i docenti parla diattività fisica, alimentazione e suggerisce tanti gio-chi da poter facilmente condividere, anche se nontanto in uso tra i bambini in quanto appartenenti allatradizione dei giochi di una volta. Stimolante per noiinsegnanti è stato coinvolgere i bambini in giochicome Regina Reginella, i Quattro Cantoni, la Cam-pana, Ruba Bandiera, Mosca Cieca, Palla Prigio-niera … Oltre ai diari le classi hanno ricevuto anchetanti poster colorati da appendere, sui quali i bambi-ni hanno avuto modo di scrivere racconti, esporredisegni, foto degli appuntamenti organizzati a scuolae nella propria città; il tutto all’insegna dello stareinsieme e del divertimento. La rilevazione dei datieffettuata negli anni attraverso la somministrazionedi questionari, ha dimostrato un miglioramento delleabitudini alimentari e dell’attività fisica di oltre il 20%,con un evidente aumento della consapevolezza cherisultati positivi sono possibili solo se si lavora in modosinergico e mirato. Come tutti gli anni, nel mese dimaggio, sarà realizzata una festa finale nella quale ibambini dei due plessi di Scuola Primaria, famiglie edocenti, potranno condividere i giochi, divertirsi, sta-re insieme, in sintonia con lo slogan del Progetto:uno stile di vita attivo + un’alimentazione corretta =uno stile di vita sano»

VELLETRI

Una signora Festa(Alberto Pucciarelli) - Straordinario successo, il19 e 20 marzo, della 17° Festa delle Camelie. Lacittà, con il favore di un provvidenziale migliora-mento del tempo, è stata invasa da visitatori pro-venienti da tutta Italia con significative presenze

anche di stranieri. In realtà la manifestazione si staaffermando a livello nazionale anche perché il ter-ritorio veliterno è, per clima e qualità del terreno,tra le zone più vocate, insieme al circondario dellago Maggiore, per la coltivazione di questa piantacosì generosa di fiori nel periodo di passaggio dal-l’inverno alla primavera. C’è una antichissima tra-dizione di adornare ogni vigna con camelie di varicolori, dal rosso, al bianco, al rosa, con infinitescreziature derivanti anche da ibridazioni naturali.Una specie di addolcimento o compensazione del-la natura schiva dell’agricoltore locale dedito dasecoli alla coltivazione di viti e olivi. Bastava, comeè stato egregiamente fatto, mettere in luce e pro-muovere queste bellezze e sensibilità nascoste. Ilsegno della passione dei veliterni per le camelie èdato dalla collaborazione ampia e spontanea a tuttii livelli. La città si è trasformata in una piattaformadi eventi di ogni genere: mostre di pittura, fotogra-fiche, di antiquariato, di lavori degli studenti del li-ceo artistico, degustazioni di gastronomia, vini edolci, gare di cucina tematica, cortei storici e Paliodei Priori, artisti di strada e sbandieratori, concertidi musica profana medioevale e rinascimentale, dimusica leggera, apertura di biblioteche e musei (lavisita al Sarcofago delle Fatiche di Ercole, del IIsecolo, vale da sola il viaggio). Naturalmente con-vegni e vaste esposizioni di camelie. Ma l’attratti-va ed il gradimento maggiore lo hanno riscosso levisite guidate gratuite a ville, casali, frantoi, canti-ne, con grotte di impressionante struttura, eagriturismi dove si possono ammirare piante parti-colarmente antiche, belle e numerose. Bus navet-ta continui hanno trasportato migliaia di persone inquattro percorsi diversi organizzati e gestiti dalla Proloco. Sul posto studenti dell’Istituto Turistico - Al-berghiero ricevevano gli ospiti, mentre altri dell’Isti-tuto Agrario illustravano le splendide piante ricor-dando l’origine del nome, apposto dal grande Linneoin onore del missionario gesuita Georg Joseph Kamelche importò il fiore dal Giappone alla fine del XVIIsecolo. Gli studenti, anch’essi effervescenti per l’ina-spettata esperienza, fornivano ancora notizie sull’am-biente e sulle modalità di coltivazione della elegantepianta del genere delle Theaceae (dalle foglie dellaCamelia Sinensis si ottiene il tè, ormai diffuso in tut-to il mondo anche con l’aggiunta di essenze svaria-tissime). Insomma la delicata e discreta camelia -per pudore priva di profumo - è stata resa famosa inletteratura da Alexandre Dumas figlio e, quindi, dal-la Traviata di Verdi; ma anche Velletri non scherza:la celebra con una Signora Festa.

Giovani guide e camelie secolari

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ROCCA DI PAPA

Le note dell’Inno di Mameli nell’Aula Consiliare(Rita Gatta) - Quante volteallo stadio abbiamo visto, so-prattutto negli anni passati,calciatori italiani, cantare inplayback il nostro Inno Nazio-nale: ci fosse stata un’inqua-dratura nella quale il labialeavesse dato la giusta espres-sione al sonoro! Diceva unfamoso comico italiano, in unaperformance al cabaret: «Fa-tegli cantare Le bionde trec-ce, gli occhi azzurri e poi …,- riferendosi alla famosa Canzone del Sole di LucioBattisti - così evitiamo di fare figure di …»Criticato e sottovalutato, a volte grossolanamentefrainteso, il nostro Inno Nazionale è più che mai at-tuale: ad una rilettura attenta e con un serio appro-fondimento storico, ci si rende conto che esso rical-ca un vero programma di vita più che mai necessa-rio in questo periodo; rivaluta il concetto di uno Statounito, coeso, nel quale il primato deve essere dellacollettività, scavalcando gli individualismi; una Na-zione nella quale gli Italiani devono sentirsi “fratelli”,figli di una stessa madre ed eredi di una stirpe dallastoria eroica come quella di una Roma antica con laquale volle unificarsi il popolo italico, divenendo unoStato destinato ad un futuro glorioso, quando le at-tuali civiltà europee non erano ancora nate. Un bri-vido di fierezza nell’Aula Consiliare di Rocca diPapa, il 27 gennaio, ha accomunato un uditorio at-tento alle vibranti parole del Professor FrancoTamassia docente di Diritto Pubblico presso la Fa-coltà di Economia dell’Università di Cassino. Coin-volgente nella dialettica e nei colti riferimenti stori-co-letterari del relatore, lo stimolante incontro “L’Innodi Mameli: Italia da espressione geografica ad uncomune sentire”, è stato organizzato dall’Associa-zione culturale L’Osservatorio, nella persona diAntonia Di Lonardo che ha introdotto la conferen-za insieme a Claudio Santangeli, alla presenza delPrimo Cittadino Pasquale Boccia e di un attento,interessato pubblico. Scritto nel 1847 da un giova-nissimo Goffredo Mameli, morto a soli ventidue anniper una ferita ricevuta durante la difesa della Re-pubblica Romana, musicato da Michele Novaro, l’In-no è il “Canto degli Italiani” che si rifà al program-ma mazziniano, dove il popolo è un soggetto a sestante, dotato di una propria spiccata personalità.Ma torniamo indietro di poco più di un secolo e mezzo,

in pieno Risorgimento e sare-mo testimoni di un eroico mo-mento di riscatto di un’Italiadivisa per troppo tempo in di-versi Stati, sotto la dominazio-ne dei Borboni nel Sud, degliAustriaci nel Nord, del Papa edello Stato Pontificio nel Cen-tro, dei Savoia nel Regno di Sar-degna, con una manciata di pic-coli staterelli tra un confine el’altro. Spiccano in quel perio-do figure di alto valore come

Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II,trascinatori di eroi chiamati alla lotta, alla ribellioneda un rigurgito di orgoglio. Quel “Stringiamoci acoorte …” è l’urlo del giovanissimo poeta che gridaal riscatto, che anela al risveglio nella coscienza ditutti della necessità di unirsi, superando gliindividualismi, sotto un unico simbolo, quel tricoloreche era faro e luce per i patrioti. E il rinnovato slan-cio è proprio quello che spinge a mettere l’elmo del-la vittoria, gloriosa e immortale proprio come quelladi Scipione l’Africano vincitore su Annibale a Zama.Nell’inno si legge tutto l’amor proprio e la grandecultura che l’autore dispiega per incitare gli Italianialla lotta di liberazione: siamo tra il popolo dei Co-muni lombardi che a Legnano sconfigge l’impera-tore Barbarossa: una Lega lombarda vittoriosa cheè un inno all’unità, non alla secessione; stringiamonella mano quel sasso che Gianbattista Perasso, ilBalilla genovese scaglia con rabbia contro gli Au-striaci e che fa brillare tra la cittadinanza la micciadella rivolta popolare; vibra in noi la rispettabilità diFrancesco Ferrucci che difende Firenze contro l’im-peratore Carlo V ed in punto di morte dà lezione dicavalleria e dignità al mercenario Maramaldo; cilasciamo coinvolgere nella ribellione siciliana deiVespri contro i Francesi. Immortali pagine di storiascritte in un’Italia che era stata definita “espressio-ne geografica” dallo straniero che ci disprezzava,che contribuiva ad alimentare in noi un senso di sfi-ducia, rassegnazione, umiliando e calpestando ogninostra dignità. Questo quanto denunciavano i pa-trioti cercando di scuotere il torpore nel quale gliItaliani parevano essere caduti. Pur pervaso da unamentalità laica, il nostro Inno Nazionale è una liricasacra che rispecchia il programma della vera reli-gione umana: quella della ragione, della reale con-quista della dignità di un popolo che ha il dovere e ildiritto di essere unito nella ricerca della Libertà, quellastessa che eleva l’Uomo e lo immortala nella Sto-ria. Non male sarebbe in questo anniversario deicentocinquanta anni dell’Unità di Italia che la Sto-ria, quella epica che i nostri Padri della Patria hannoscritto nei secoli, venisse riletta e studiata con veraconsapevolezza di essere Italiani, senza strumenta-lizzazioni e censure; con umiltà e serietà, evitandofraintendimenti dovuti a una colossale ignoranza ali-mentata dalla presunzione di coloro che “con la cul-tura non mangiano”, ma che si saziano, anche trop-po, con quelle che dovrebbero essere le risorse diquesta nostra bella Italia, ormai stanca di essere presaper i fondelli e non più disposta ad essere lo zimbellodegli altri Paesi del mondo. Il senso dell’onore edignità non possono più attendere e nessuno di noi,credo, è disposto ad essere cittadino di quell’Italiettapre-unitaria. Lo stesso Voltaire diceva: «La Terradegli Arlecchini tornerà ad essere la Terra degliScipioni». Che aspettiamo?

ROCCA PRIORA

Conferenza cittadina(Gelsino Martini) - È previsto dallo statuto,convocare la conferenza cittadina per program-mare ed illustrare il bilancio comunale. In paro-le semplici, la comunità deve sentirsi partecipedell’atto amministrativo più importante: l’utiliz-zo delle risorse economiche del Comune.La discussione con le associazioni e con i settoriproduttivi si esplica con richieste di necessità diparte. Dai propositi delle conferenze si passa allarealtà amministrativa, quando il Consiglio devefar quadrare la contabilità con le intenzioni. Laspinosità dell’ICI è definita dal dissesto econo-mico, mentre l’ottimismo pervade l’Amministra-zione, che prevede entro due anni la stabilità, edavvia sin da ora progetti per il riordino del perso-nale e l’obiettivo di uno sviluppo territoriale.L’attuale maggioranza sembra orientata verso unosviluppo dell’ambiente per ridurre l’impattocementizio del territorio. Capire come una sceltaturistica, nel nostro paese, si concili con alberghiche chiudono mentre la ricettività turistica è as-sente o priva di proposte, è difficile; come veder-la in prospettiva di sviluppo turistico - ambientale.Il tempo trascorre e, dopo 30 anni, ci si accorgedella natura del nostro territorio: non è mai troppotardi. Vedere che le proposte e gli studi dell’As-sociazione Vulcano del 1996 per il ripristino del“Pantano della Doganella”, bocciate dalle passa-te amministrazioni, oggi sono progetti di “azionedi sviluppo turistico e tutela della falda acquifera”,dà la misura del tempo perduto. Per ora sentovagare per la testa un luogo comune: “la speran-za è l’ultima a morire”.Nel corso del Consiglio è stato proposto ed ap-provato di intitolare il giardino pubblico di via Gio-vanni XXIII - via della Cunetta ad un cittadinoonorario di Rocca Priora, il sig. Peter Konstroffer.Peter risiedeva in Saarlouis, in Germania, dovevive ancora il nostro concittadino Ennio Fiore. Illoro attaccamento al nostro paese ha attivato permolti anni scambi culturali, con appendici rilevan-ti per l’interscambio anche nel calcio. Particola-re, molto più suggestivo e poco conosciuto, è chePeter, direttore dell’Hotel Panorama, ha dedica-to una sala delle conferenze a Rocca Priora, na-turalmente tappezzata con fotografie varie delnostro paese. Un riconoscimento ed una gratifi-cazione che giungono a persone che, pur vivendoin Germania, spesso si sentono legate alla nostracittadina con una passione più forte della nostra.

ROMA

Diritti dei bambini del mondo(Arianna Saroli) - Presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma TorVergata, a partire dal 7 marzo e per 10 incontri con cadenza settimanale, si tiene un corso diformazione sulle politiche della cooperazione internazionale a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.L’iniziativa, organizzata dall’UNICEF Italia e dal CREG (Centro di Ricerche Economiche e Giuri-diche) di Tor Vergata, è inserita nell’ambito del progetto “Tutela dell’infanzia e dell’adolescenza: peruna nuova cultura della solidarietà internazionale attraverso la partecipazione dei giovani”, finanzia-to dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri.Attraverso ore di formazione in aula ed esperienza sul campo, i partecipanti avranno modo di riflet-tere sul ruolo dell’educazione quale strumento di promozione dello sviluppo umano e sull’importanzadella cittadinanza attiva che all’interno di una società civile deve perseguire la tutela dei diritti umani,in particolar modo contro la violenza sull’infanzia e sull’adolescenza. A conclusione del corso, che sirivolge agli studenti di tutte le Facoltà, ma anche a laureati, ricercatori, personale amministrativo e achiunque fosse interessato ad approfondire tali tematiche, saranno organizzati due viaggi in Brasile,a Rio de Janeiro e a Belo Horizonte, che permetteranno agli studenti selezionati di fare esperienzasul campo grazie ad incontri e conferenze con operatori della società civile e con ONG che sonoimpegnate attivamente sul territorio per garantire i diritti del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.

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12 Rubrica a cura di: Alberto Pucciarellie-mail: [email protected]

Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

Sito web: www.controluce.it 5.395.000 visiteCronache i nostri paesi...

SAN CESAREO

Nasce il gruppo volontari dell’ANC(Luca Marcantonio) - Un esordio degno dei valori di cui è portatore. Il 17marzo scorso, infatti, ha festeggiato la sua prima uscita il neonato GruppoVolontari dell’Associazione Nazionale Carabinieri, approfittando delle cele-brazioni organizzate per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia. In quelpiovoso giovedì mattina, tra gli stand allestiti per l’occasione tra un tripudio dibandiere tricolori, sono apparse infatti per la prima volta le divise dei volon-tari fortemente voluti e creati dalla sempre fervida mente del LuogotenenteAntimo De Pasquale. L’ex comandante della Stazione dei Carabinieri diSan Cesareo, in pensione ma più che mai attivo e presente sul territorio, èora presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri locale, in seno allaquale ha voluto inserire queste nuove figure, col compito di controllo e osser-vazione del territorio, ma anche di collaborazione laddove fosse necessarioa sostegno delle forze dell’ordine in occasione di eventi particolari. Conside-rando l’importanza di una presenza così particolare e utile, sarebbe auspicabileun interesse concreto da parte dell’amministrazione e delle autorità compe-tenti, affinché il gruppo dei volontari abbia non solo una sede idonea maanche divise e strumenti per poter svolgere al meglio un compito apparente-mente marginale ma nei fatti di grandissima importanza ai fini della sicurez-za dei cittadini. Il corpo dei volontari sarà formato sia da carabinieri in quie-scenza sia da persone che hanno fatto propri i valori e le finalità dell’ANC.Una giornata quella del 17 marzo che pertanto sarà ricordata non solo per lecelebrazioni del centocinquantenario ma anche per la nascita ufficiale di ungruppo pieno di voglia di fare, di competenza, di professionalità e di passione,sempre al servizio della gente, come del resto nel pieno spirito dell’Arma deiCarabinieri. L’ennesima idea del Luogotenente De Pasquale, il cui legamecol territorio è certificato da fatti concreti, trova la sua realizzazione praticain un’iniziativa dalle poche parole ma dai molti fatti e dall’indiscutibile utilità,ai fini di una sempre maggiore sicurezza per la collettività. Tornando allamanifestazione che anche a San Cesareo ha visto celebrare l’anniversariodell’Unità d’Italia, la pioggia non ha scoraggiato i numerosi cittadini interve-nuti all’evento che si è svolto alla presenza, tra gli altri, del Maggiore Matteo

De Marco, del maresciallo Daniele Esposito coman-dante della Stazione Carabinieri di San Cesareo, delLuogotenente Antimo De Pasquale e del sindacoPietro Panzironi. Sulla piazza erano stati schierativeicoli militari in perfetto stato di conservazione ealcuni mezzi dei Carabinieri di alcuni anni fa, un sug-gestivo revival nel segno della continuità e della mo-dernità ma sempre nel solco della tradizione del-l’Arma e dei suoi valori, tra i quali appunto la fedeltàalla Patria e alla Bandiera, simbolo dell’unità nazio-nale. La cerimonia è consistita nell’esecuzione del-l’Inno di Mameli da parte dei valenti musicisti dellaBanda Comunale, nella distribuzione di bandierine ri-cordo, e nella deposizione di una corona dei fiori almonumento ai Caduti.

ROCCA PRIORA

Il declino del Parco Madonna della Neve(Arianna Paolucci) - Il Parco Madonnadella Neve è abbandonato a se stesso.Mentre nel paese le macchine non trova-no posteggio per mancanza di suolo, l’im-mensa area verde adibita al nulla è oggettodell’attenzione dei vandali. A luglio la ma-nutenzione passa dalla Regione Lazio alComune che stipula una convenzione perla manutenzione generale del parco. Si trattadi 120.000 euro stanziati per un contrattotriennale che prevede per il primo anno unservizio di guardianìa, pulizia e gestione degliaccessi, mentre nei due anni successivi unservizio integrato che comprende, oltrequanto sopra, anche il taglio e la potaturadel verde. Attualmente nessuno entra nelparco tranne qualche cane randagio, la si-

tuazione è desolante; se si alzano gli occhi più di quindici lampioni risultanospaccati ed alcuni pali buttati giù da qualche teppista, inoltre i barbecue e lepanchine sono inutilizzabili, per non parlare della fontanella da cui sgorga acquacontinua, un vero controsenso per la sinistra ecologista che ha fortemente vo-luto la struttura. Dove sono i soldi che servono alla manutenzione e soprattuttoperché il parco è ridotto come una discarica? Intanto una larvata protesta e undissenso comune si alza da parte dei cittadini che reputano l’intera storia unospreco di soldi pubblici per raccogliere voti alle scorse regionali. La maggioran-za dei roccaprioresi, ormai abituati alla scarsa attenzione delle istituzioni localiafferma sconsolata che non c’era bisogno di un altro parco, bastava semplice-mente ristrutturare l’area Dandini e costruire degli spazi per i parcheggi nel-l’area Pallottini o viceversa. In questo caso registriamo il fallimento dell’operae della parte politica che l’ha voluta, non ci vuole molto ad interpretare il volereed i bisogni di una comunità che chiede solo di essere ascoltata.

GROTTAFERRATA

Lavori di riqualificazione(Toni Garrani) - In data 28/02/2011 si è dato inizioai lavori relativi al progetto di “Riqualificazione Ur-bana di Piazza Cavour”, intervento compreso nelpiano di Decoro Urbano. Il progetto prevede l’am-pliamento dello spazio antistante il Monumento aiCaduti, la sostituzione dell’arredo urbano esistente(panchine e cestini portarifiuti), la pulitura della fon-tana centrale, con ripristino delle parti mancanti odanneggiate, e riattivazione dell’impianto idrico del-la stessa. Si sta predisponendo inoltre la pulizia del“fontanaccio” (nel passato abbeveratoio degli ani-mali) posto lungo via Domenichino, la sistemazionedel verde e dell’impianto di illuminazione dell’areadel Monumento ai Caduti e delle aiuole laterali.«L’obiettivo di questa Amministrazione - hanno di-chiarato l’Assessore Castricini e la consiglieraVentrone - è di intervenire nel pieno rispetto delletradizioni e delle preesistenze architettoniche epaesistiche, valorizzando gli spazi urbani restituen-done il decoro e la vivibilità».

(Arianna Saroli) - Dal mese di febbraio, fino agiugno, in tutte le regioni d’Italia, l’Indire ha avviatocorsi di formazione rivolti ai docenti di ogni ordine egrado per l’apprendimento dell’uso della LIM - La-vagna Interattiva Multimediale -. Si tratta di una la-vagna speciale, collegata generalmente a un com-puter, su cui è possibile scrivere, proiettare filmati,spostare immagini e altri oggetti multimediali con lemani o con apposite penne digitali, salvare le lezioni,usare software didattici in modo collettivo. Cambiail modello della lezione dove non è più l’insegnanteche dalla cattedra svolge la lezione o il suo monolo-go con gli alunni passivi che ascoltano e ricevononelle loro teste la ‘sapienza’ del docente. La LIMconsente l’interattività: tutti simultaneamente e construmenti innovativi, adeguati ai ‘nuovi studenti/alun-ni’, sono coinvolti nel processo di insegnamento-ap-prendimento. Pur alternando momenti di didatticafrontale ad altri più laboratoriali, l’alunno preferiscequesto stile comunicativo che arriva prima e restanella memoria in modo più efficace e coinvolgente.Molto funzionale è anche per l’insegnante che nondeve faticare a convogliare l’attenzione degli stu-denti sulle sue lezioni. La Lavagna InterattivaMultimediale svolge un ruolo chiave per l’innova-zione della didattica: è uno strumento ‘a misura discuola’ che consente di integrare le Tecnologie del-l’Informazione e della Comunicazione nell’insegna-mento in classe e in modo trasversale alle diversediscipline. La formazione svolge la funzione di svi-luppare e potenziare l’innovazione attraverso l’usodelle tecnologie informatiche. A tal fine, l’intentodegli Organi Istituzionali preposti è quello (dopo unaprima sperimentazione in alcune scuole) di dotaretutte le scuole di Lavagne Interattive Multimediali

GENZANO

Innovazione didattica e “Nuove Tecnologie”per la didattica in classe, da utilizzare non più unatantum in forma laboratoriale, bensì nella prassiquotidiana. Ecco allora la necessità di un piano na-zionale di formazione dei docenti. Anche a Genzano,che comprende anche i Circoli di Lanuvio, Ariccia,Albano, Castel Gandolfo e Grottaferrata, è statoavviato un corso edulab-indire che consta di ore inpresenza e di ore online. I corsisti dopo essersi iscrittiricevono un nome utente e una password attraver-so la quale possono accedere alla classe virtuale.Edulab è per l’appunto la classe virtuale dove tutti icolleghi iscritti possono interagire con messaggi,forum, chat, inserendo e visionando materiali per ladidattica; insomma visionano materiali, video, par-tecipano all’ambiente formativo come in una vera epropria classe. La formazione prevede più steps:uno iniziale di conoscenza e uso del nuovo strumen-to; uno relativo alla navigazione nella classe virtuale,dove si prevede l’utilizzo di tutte le possibilità che lapiattaforma offre; si utilizza un repository per leproprie attività e si registrano tutte le esperienzeformative proprie e dei colleghi; un alto appunta-mento è quello dedicato alla progettazione di un’uni-tà di apprendimento da strutturare con l’uso dellaLIM; infine si immettono i materiali creati da ognisingolo o gruppo nella piattaforma, a dimostrazionefinale di saper usare la nuova tecnologia. Il tuttoovviamente con l’attento e scrupoloso sostegno dellatutor D. Piccin. Insegnanti di ogni ordine e grado discuola, di ogni età e formazione culturale, si metto-no in gioco come degli scolaretti alle prese con unanovità che affascina e intimorisce al tempo stesso,come tutto ciò che non si conosce ma che è desti-nato a divenire, nel futuro più che prossimo, unainsostituibile risorsa.

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Rubrica a cura di: Tarquinio Minottie-mail: [email protected]

13 i nostri...

DialettiNotizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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ColonnaColonnaColonnaColonnaColonnaOnore ai cadutiQuarche giornu fa m’è ‘rrivata ‘na lettera da parte de u Sindicu, era ‘ndirizzata a mi comme Presidente de la RanningEvoluscio, ‘nzomma dei nui che iamo sempre a curre…Diceva de i domenica 20 marzo su ‘npiazza a Colonna perché siccomme che stevino a fa’ ssi festeggiamenti deli 150 anni dell’unità d’Italia, allora toccheva co’ tutte l’associazioni i a Messa e po’ porta ‘na corona de fiuri a umonumento ai caduti. Ma vui lo sapete io che tenevo da fa’ domenica 20 marzo? A Roma c’era la maratona, chenun è comme quella che facemo ogni annu a Colonna a fine settembre ‘ndo tocca curre pe’ dieci chilometri… Quai chilometri da fa so’ 42! Io siccomme sto mezzu ‘nfortunato nun la so potuta curre, però nsaccu de atleti mei ciso iti e allora secondo vui, onore ai caduti ‘nguerra pe’ carita, ma io purtroppo so tenutu da i a Roma perché sottol’Artare della Patria, ‘ndo steva posizionatu u quarantesimu chilometru… ne so riccoti pochi… de caduti!

Fausto Giuliani

FrascatiFrascatiFrascatiFrascatiFrascatiL’Agnellu de PasquaEcco Pasqua: è primavera…rinverdisce ogni fogliame…ogni tavola “sbandiera”òva, pizza co salame.

Tuttu ‘ntorno è ‘na bellezza,ma lu simmelu più bbelluè mostrato dall’agnelluche te ‘ncute tenerezza.

L’omo ipocrita commossu:“si che tenera bestiola”…Mentre pensa a ‘na braciolada sporpasse fin’all’ossu!

Pe’ scaccià lu spauracchiude fa u sentimentalone,sa’che fa? Ce cambia nomee lu ribattezza: abbacchiu.

Quissi so fatti evidenti.Si, perché ‘ssa tenerezza(co’ garbata gentilezza)issu ‘a sente sott’ai denti.

E così po’ t’esce foral’imbarazzu de’ la scerta:cott’au furnu o a’ cacciatoracon apposita sarzetta.

Rusichenno ‘na porzione,co’ ‘n bellu bicchiere ‘e vinu,prova ‘npo’ de compassionepe’ llu poveru agnellinu.

Quesse sò, bisogna dillo,lacrime de coccodrillo…perché pensa sotto tono:“Si, m’ammazzelu che bbonu!”

Luigi Cirilli

GenzanoGenzanoGenzanoGenzanoGenzanoGenzano mioGenzano mio, comme te voio bene‘n po’ capi’chello che me se smove quanno te pensoe strade tie so e miei sentieri tii so’ de casaer core me fa su e giu e nun scherzoio so’ giovanema me paro vecchio certe volte,purtroppo me piace ricorda’dico purtroppoperché quadunu storce u nasuma io so’de pelo tostue te dico pure qua difettutroppo caos ce scombussolaa piazza ‘na vota era umana,troppe maghine troppo asfartoce convie’ i pe’ pratima ‘n do’ stanno ormaimanco a u campu santu.

Dario Olivastrini

Monte CompatriMonte CompatriMonte CompatriMonte CompatriMonte CompatriUn ricordo di nonno Erpìdio detto CacèllaSaràjo tenuti undici o dudici anni quanno, a li primi de lu mese de luglio, nonno Erpidiome chiese de ì co’ issu a lu Ponde Ranne. Loco ce tenéa ‘n béllu pézzu de terra co’tandi, tandi frutti de tutte le qualità: fìcora, pérzica, bricòcula, granati… Quillu giornononno jétte a còje ‘n canéstru de prunga “Goccia d’oro” pe’ vénnele a la piazza de lumercato. Così appena rrivati messe ‘n po’ de fòje de ficora a lu funnu de lu canestru.Pó, co’ tutta la delicatezza possibile pe’ nó leva’ la pannétta, ppoggià le prunga cótesopre a le fòje de fìcora e pó are fòje pe’ coprì le prunga e pó are prunga sopre a le fòjefino a quannu lu canéstru n’era pjinu. A la fine, a sopre a sopre, ce messe ‘n béllumazzu de càpiti frischi. Era ‘n spettacolu da vedésse! Po’ nzéme ce ne jèmmo a pedifin’a la piazza de lu mercato de lu Monde. Appena rrivàti più de quà fémmona ce seccostà pe’ vedé e pó pe’ combràsse quà mézzu chilu de frutti.La matinata s’era messa bè perché emo guasi vennùtu tuttu lu canéstru quanno… ‘nafèmmona, pprofittènno de ‘n attimu che nonno stéa a chiacchjerà, pià ‘n mani ‘naprunga. La tastà bene bene e pó la rejettà a lu canestru; ne repià ‘n’ara e li fece fa’ lastessa fine…..fin’a quanno quelle póche prunga che eru remaste fecénu pena a vardasse:lucide e cavujaticce che parènu reccòte da la monnezze. A ‘stu pundu l’ócchji me só itia la faccia de póru nonno che me paréa quella de lu gghiàvolu quanno sta pe’ schioppàpe’ portasse l’anime a l’inferno. E così fu!“Che te smucìni! Ma va’ a smucina’ la fr…. de màmmota!”E così dicènno revuticà le prunga co’ tuttu lu canéstru…. e appréssu pure la belàngiaaddóssu a quella fémmona ch’era rennescìta a rovinacce la giornata.Só passati parecchi anni e ngóra me sto a vergogna’, ma penzènnoce be’ me sa chenonno è statu pure troppu educatu perché la belangia, nvece de tiralla, li sarìa dovutabatte ngapu!

Gianni Diana

VelletriVelletriVelletriVelletriVelletri‘O padroneMe pare che sto monnose sta a scontà per tutti i tortiche glie semo fatto.Se semo comportatida padroni,semo scavato ‘a tera,sbuciato fila de montagnee semo iettatodrento mari e fiumitutto chelloche n’ce potea servine.‘O sole na’ rescalla piùcomme ‘na vota,pecchè po maleche semo fatto a’ tera,puro isso c’ha ito de mezzo.E co tutta sta rabbiache tiè n’corpo sto monnoancora continua a girane.

Leila Spallotta

PalestrinaPalestrinaPalestrinaPalestrinaPalestrinaLo terzo sì, de Mario e VeraCinguand’anni fa’ se diciéro, sìdenanzi a ‘st’ ardare benetettooggi ce so’ ddovuti revenìpe’ poté rennovane lo condratto.

Mario e Vera, pe’ la terza vòtadenanzi allo prete, be’ mmestitico’ tand’amichi che ce fanno còtas’énno fatto, rebbenedì le fiti.

Ernesto, Maria, Luigi e Giuliettache dde issi, sò stati ggeniturissetuti sopre a ‘nna nuolettadallo cèlo ce fanno l’aucuri.

E li figli, Ernesto co’ Fabbrizziole conzuorti, Dèbbora e Luciaso’ tistimoni de ‘sto sposalizzio‘nziem’a chill’angioletto, ch’è Sofia.

Mò tutti l’immitati fànno còrosenza scordasse ‘na cuosa ‘mbortandeoggi se bbrinda, pe’ le nozze d’òro‘spettenno ‘nziemi chelle de “tiamande”.Luigi Fusano

Rocca di PapaRocca di PapaRocca di PapaRocca di PapaRocca di PapaI spappuoliMe recuorduquannu nonname facea i spappuoli:mettea i totari stotaratitrent’ a ‘na pilucciaco’ ‘n guccettu d’oju,po’ recoprea tuttu

co ‘n coperchiue a mettea ‘n cima au fuocu;ma mic’appoggea a pila,

macchè:a tenea bella rittareggennola p’i manici,e a facea girà come

‘n zurariellu‘n gima a fiamma:se senteanu i totariche ‘ntintinneanu come‘n sonariellu.Doppo po’, tuttu ‘nziemicominceanu a schioppettà:primu unu, po’ doa,appriessu appriessututti chillari schioppeanucome ‘na mitraja.Quandu ‘n se sentea più gnentenonna scoperchieae da ‘lli pochi totaric’atera messu(io pare accerca che vedeo!!!)a pila s’era reiempitade spappuoli belli bianchi:‘na ddora pe’ l’ariache prim’ancora de magnàgià t’i sentei ‘nm’ occa!Po’ nonna j mettea‘na pizzicatella ‘e salee revotichea tuttutrendo a ‘na ‘nsalatiera

ancora calli:me faceo certe magnate!!E eteranu proprio bbonipure pecchè, ‘nsiemi au sale,essa j metteatuttu u core .

Rita Gatta

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Rubrica a cura di: Maria Lanciottie-mail: [email protected]

14Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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i nostri paesi...

La battaglia di Lepanto - 3(Patrizia Pezzini) - Le seigaleazze, guidate dal ve-neziano Francesco Duo-do, vedendo la flotta tur-ca avanzare a semicer-chio e temendo l’accer-chiamento, aprirono unfuoco violentissimo. Ebbecosì inizio un combatti-mento che, iniziato versomezzogiorno, proseguì perquasi cinque ore con ar-rembaggi, esplosioni,scontri con l’archibugio eduelli all’arma bianca: laflotta di don Giovannid’Austria, riuscirà infinead avere il sopravvento suquella di Mehmet Alì.Qualche problema si pose al fianco sinistro ilcui comandante Barbarigo, ferito da una frec-cia ad un occhio (morirà dopo due giorni) avevadovuto cedere il comando a Federico Nani, cherischiò di essere aggirato dalle navi di Muham-mad Saulak: il pericolo fu sventato anche grazieall’intervento dei rematori cristiani che, riuscitiinaspettatamente a liberarsi dai banchi nelle naviturche, si scagliarono contro i loro carcerieri.Più problematica la vicenda dell’ala destra chedoveva proteggere il lato del mare aperto, dovemaggiore era il rischio dell’accerchiamento; perevitare questo pericolo il Doria aveva spostatodi molto verso destra le proprie galee, aprendocosì un varco nel quale abilmente si infilarono legalee di Ulugh Alì: intervenne con tempismo edabilità la retroguardia del Santa Cruz mettendoin fuga le navi ottomane; in questo frangentetrovò il suo momento di gloria anche MiguelCervantes che, ferito, perderà il braccio sinistro.La flotta turca, o meglio quello che restava del-la flotta, si ritirò a questo punto verso l’internodel golfo: più di cento tra galee e galeotte erano

state affondate e 120 cat-turate; ottomila i turchifatti prigionieri e trentami-la tra morti e feriti. Laflotta cristiana, temendo latempesta in arrivo, cercòrifugio nel porto di Petala:aveva perduto solo 15galee e liberato 15.000cristiani ridotti in schiavi-tù nelle galee turche;7.650 i morti - di cui 4.800veneti - e 7.780 feriti. Acausa del maltempo in-combente e dell’imminen-te periodo invernale (legalee non erano fatte persostenere un mare burra-scoso) Giovanni d’Au-

stria, insieme con il Consiglio di guerra, stabilì dinon proseguire il cammino verso Istanbul, cheavrebbe invece permesso di portare a compi-mento la vittoria, approfittando anche della mo-mentanea superiorità navale; decise piuttosto ditornare a Messina dove venne diviso il bottino.Contrastanti sono le testimonianze delle riper-cussioni a Istanbul, ma senz’altro preveggentefu l’affermazione del gran Visir MehemetSokolli: «Lepanto ci hasolamente tagliata labarba; essa cresceràpiù folta di prima; Ve-nezia con Cipro ha per-so un braccio e questonon cresce più». I tur-chi non avevano subitoperdite territoriali, rior-ganizzarono ben prestola flotta e Cipro rimasenelle loro mani.Questa grande vittorianavale, seppur non

Curiosità storiche dagli archivi comunali di Colonna(Antonella Gentili) - In una lettera inviata al Gonfaloniere di Colonnail 3 luglio 1855 la direzione amministrativa della strada ferrata Roma-Frascati (linea inaugurata nel 1856) comunicava di voler ampliare taleprogetto prolungando la ferrovia fino a Napoli. Il proposito era quellodi dotare del trasporto ferroviario i diversi paesi dei Castelli Romani ePrenestini. «Gli unici luoghi vicino Roma, che si prestino alla villeggia-tura, e somministrino salubre e delizioso soggiorno nelle stagioni estivaed autunnale, sono i paesi posti alle falde dei monti albani e tusculani.Ivi moltissime famiglie si trasferiscono nella calda stagione a dimorareanche per ragione di salute; ivi vanno egualmente moltissimi a sog-giornare l’autunno; ivi nelle feste un gran numero di persone si reca amomentaneo diporto, per il che un rilevante numero di vetture é incontinua attività in tutte le direzioni» (Angelo Galli 1846 da Wikisource).Da Frattocchie la linea doveva transitare per Albano e poi toccareGrottaferrata, Monte Porzio, Colonna e scendere sulla Casilina pergiungere a Palestrina e da lì a Ceprano. Il progetto non fu mai posto inessere. Infatti si preferì far proseguire la ferrovia passando per Frat-tocchie, Albano, Ariccia, Genzano,Velletri e Valmontone, procedendoinfine per Ceprano, al confine con il Regno delle due Sicilie. Soltantonel 1892, con la variante di Ciampino, il territorio di Colonna fu percor-so dalla strada ferrata. La linea, infatti (che è ancora in uso oggi),partiva da Roma e raggiungeva Cassino. Finalmente i problemi chesino ad allora avevano gravato sulle casse comunali, riguardanti i pas-saggi delle truppe, si attenuarono grazie alla ferrovia.

“Come eravamo...”

sfruttata dall’Occidente, rappresentò per l’Eu-ropa del sud un evento liberatorio: permise larimozione della paura del turco e sancì la finedel mito della sua invincibilità, mito leggendarioche da secoli attanagliava gli animi. Grandiosifurono i festeggiamenti. Ricordiamo quelli dispo-sti per Marcantonio Colonna nel suo feudo diMarino: possiamo ancora trovarne testimonian-za nei monumenti della città e nella famosa “Fe-sta del Vino” che si tiene in ottobre con un cor-teo storico che celebra il ritorno del Colonna,ricorrenza che coincide con la festa della Ma-donna della Vittoria istituita da Pio V.Per l’eroico comportamento degli uomini diPerasto in un precedente evento, Venezia ave-va affidato a questa cittadina interna alle Boc-che di Cattaro il privilegio di custodire il gonfa-lone veneto e fornire, in tempo di guerra, la guar-dia a detto vessillo nella galera capitana: aLepanto su dodici gonfalonieri perastini ne mo-rirono ben otto. Questo stesso gonfalone fu se-polto dai perastini sotto l’altare maggiore dellacattedrale il 22 agosto 1797, dopo il Trattato diCampoformio: famoso è il discorso alla cittadi-nanza del conte Viscovich che culminò con leparole rivolte a Venezia “ ti con nu, nu con ti”.L’evento è rappresentato in un celebre quadrodi Giuseppe Lallich, pittore dalmata esule.

Galea

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ScienzaA mbiente

(Luca Nicotra) - Ma cos’è la base di un siste-ma di numerazione? La risposta è contenuta nel-l’operazione matematica più elementare, con-tare, per la quale è necessario rappresentare consimboli i numeri. Contare significa, infatti, stabi-lire una corrispondenza biunivoca (ovvero unarelazione uno-uno nei due sensi) fra gli elementidi un insieme di oggetti (concreti o astratti) e inumeri dell’insieme naturale 1,2,3 … Ma que-sta semplicissima operazione “mentale” nonsarebbe possibile se non s’inventasse un nome(e il corrispondente fonema) o un segno scritto(detto numerale) per ciascun numero naturale.Infatti, in ultima analisi, quando pensiamo evo-chiamo mentalmente o suoni o immagini: senzané gli uni né le altre non sarebbe possibile nes-suna forma di pensiero. Così non sarebbe pos-sibile pensare a un numero (né evocarlo) senzaattribuirgli un fonema o un simbolo. Quando siescogita un criterio per assegnare a ciascun nu-mero naturale un nome-fonema e un simbolo, sistabilisce un sistema di numerazione rispettiva-mente “parlata” e “scritta”. Per esempio, al se-condo numero naturale noi attribuiamo il nome“due” (con il corrispondente fonema nella lin-gua italiana) e il simbolo 2 (nel nostro sistemaindo-arabo). Così facendo, la corrispondenzabiunivoca fra l’insieme di oggetti da contare el’insieme dei numeri naturali si trasforma in unacorrispondenza biunivoca fra il primo insieme el’insieme dei nomi e fonemi dei numeri naturali(se contiamo “oralmente”) o l’insieme dei loronumerali (in un conteggio “scritto”).Prima che si affermasse universalmente, alla finedel Medioevo, l’attuale sistema di numerazioneindo-arabo, ogni popolo aveva un suo sistema dirappresentazione dei numeri. E così i romani an-tichi ne ebbero uno proprio, di cui è interessantescoprire le origini, che molto probabilmente ri-salgono, in tempi assai remoti, all’usanza (co-mune a tutti i popoli primitivi) dei pastori di con-tare il bestiame e tenerne traccia in registrazio-ni scritte. Come? Tramite l’incisione su un pez-zo di legno, o di osso di animale, di una taccaper ogni unità di bestiame. Questo metodo nonera altro che una sostituzione di ciascuna unitàdel bestiame con una tacca incisa, quindi non sipuò parlare di un vero e proprio sistema di nu-merazione, in grado di rappresentare rapida-mente e concisamente un numero. Tale meto-do, in realtà, rappresentava le singole bestie, noni numeri: l’insieme degli animali da contare era“sostituito” dall’insieme equipotente delle tac-che incise. La visione di quest’ultimo insiemenon poteva dare l’idea immediata del numerocorrispondente: per capire quale numero fosserappresentato il pastore doveva ripetere il com-puto, questa volta sulle tacche anziché sui sin-goli animali. Dunque si trattava in realtà di unarappresentazione della “numerosità” del bestia-me, concetto ben distinto da quello di numero.L’espressione latina rationem putare, che indi-cava l’azione del contare, esprimeva molto chia-ramente questa aritmetica primitiva rurale. Moltele citazioni latine: Putare rationem cum aliquo(Plauto) = liquidare il conto con qualcuno; Probinis putabuntur (Catullo) = si conteranno perdue; re comesa, rationem putat (Plauto) = dopoaver consumato la cosa, fa il conto. La parolaputare significava eliminare il superfluo inciden-do o tagliando, mentre ratio aveva il duplice si-

gnificato di “conto” e “rapporto”. Rationemputare significava, quindi, stabilire un rapporto,una relazione fra gli oggetti da contare e le tac-che incise, ovvero “incidere per stabilire tale cor-rispondenza”. Tuttavia, proprio dalle difficoltàdi lettura di tali registrazioni del bestiame trami-te una semplice successione di tacche uguali,probabilmente, nacque l’impulso a cercare so-luzioni più intelligenti ed economiche, che con-dussero all’ideazione di un vero e proprio siste-ma di numerazione in grado di assegnare a ogninumero naturale un nome-fonema (sistema dinumerazione orale) o un simbolo (sistema di nu-merazione scritta). Così, il numerale 2874 co-munica immediatamente al lettore l’idea del nu-mero “duemilaottocentosettantaquattro”, men-tre la rappresentazione “ingenua” dello stessonumero tramite duemilaottocentosettantaquattrotacche uguali ||||||||||||||……..||||| non dà nessunainformazione immediata, perché obbliga a con-tarle per capire che rappresentano quel nume-ro. Ma essendo i numeri naturali infiniti, dovrem-mo inventare infiniti nomi-fonemi e infiniti nu-merali, soluzione inaccettabile per ovvi motivi.A questo punto entra in gioco il concetto di“base” di un sistema di numerazione. Il princi-pio di economia, che sarebbe disatteso se in-ventassimo (ammesso che fosse possibile) unnome e un numerale diverso per ogni numeronaturale, suggerisce l’idea di effettuare raggrup-pamenti periodici degli oggetti contati e paralle-lamente di inventare simboli e nomi speciali perindicare tali gruppi. Ciascuno di questi costitui-sce la base del sistema di numerazione. Comenacque la base del sistema di numerazione ro-mano? Indagini sperimentali e statistiche hannodimostrato che mediamente il potere risolutivodell’occhio umano arriva a distinguere facilmen-te, in un sol colpo d’occhio, non più di quattrotacche uguali successive. Così, mentre la suc-cessione di quattro tacche | | | | dà immediata-mente l’idea del numero quattro, la successioneche contiene una tacca di più obbliga, media-mente, un individuo a contare le singole taccheper capire che si tratta del numero cinque. Se-

condo un’ipotesi molto accreditata, sarebbe statoquesto il motivo che spinse i primitivi pastori del-l’Italia (e quindi anche i romani) a sostituire laquinta tacca con un’incisione diversamente in-clinata rispetto alle precedenti quattro, in mododa distinguerla facilmente.1 L’analogia delle ditadella mano destra con le tacche incise dovettesuggerire, probabilmente, l’uso di una tacca in-clinata come il pollice aperto:

Successivamente, la tacca inclinata venne resapiù distinguibile aggiungendo un altro tratto diver-samente inclinato assegnando così al numero cin-que un suo simbolo specifico:

Fra queste forme a Roma prevalse la “V”.Nel proseguire il conteggio del bestiame, tuttavia,si ripresentava al pastore lo stesso problema didistinguere in un sol colpo d’occhio il numero dieci,per il quale ricorse allora a un altro simbolo spe-cifico che desse immediatamente l’idea del dop-pio di cinque:

I romani adottarono la prima forma: X. Arrivatoal numero “quindici” il pastore riutilizzava lo stes-so simbolo del “cinque”, al numero “venti” il sim-bolo del “dieci” e così via fino al numero “qua-ranta”, per il quale utilizzava per la quarta voltaconsecutiva il simbolo del “dieci” X:

IIIIV IIIIX IIIIV IIIIX IIIIV IIIIX IIIIV IIIIX 5 10 15 20 25 30 35 40----------------1 Cfr. Georges Ifrah, Storia universale dei nu-meri, Milano, Mondadori, 1989, pp.171-172

I numeri nell’antica Roma - 2

(Parco Nazionale del Circeo, Bosco di Palo, ecc.),anche i faggi e i castagni delle colline della Tolfa,dei Castelli Romani, Lucretili, Simbruini, potran-no rimboscare le aree montane oltre i 1300 metriper salvarsi dall’estinzione. In questo modo, leforeste mediterranee e sempreverdi di leccio esughera potranno restare nelle zone costiere eoccupare anche le aree collinari lasciate libereda faggio e castagno. Le foreste sono il “polmo-ne verde” del nostro Paese: secondo la mappaturadella superficie forestale nazionale intrapresa dalCorpo Forestale dello Stato, quasi il 35 per centodel territorio italiano è coperto da foreste. Gli al-beri italiani sarebbero in grado di assorbire pocopiù di 10 milioni di tonnellate della CO2 emessaogni anno, ovvero circa l’11 per cento delle emis-sioni che l’Italia si è impegnata a tagliare quandoha sottoscritto il Protocollo di Kyoto. Ma pur-troppo non siamo riusciti a tagliare le emissionidel 6,5 per cento rispetto al 1990, anzi le abbiamoincrementate del 9,9 per cento. E gli ecosistemiforestali pagano il prezzo delle nostre promessenon mantenute.

(Giuseppina Brandonisio) - Altri cent’anni, pas-sati trascurando l’effetto dei cambiamenti clima-tici, e l’habitat di foreste laziali progressivamentesi disgregherà per colpa dall’aumento della tem-peratura e della siccità. La prima vittima desi-gnata da questa potenziale sciagura era stato ilBosco di Palo, nei dintorni di Roma. A questaconclusione erano giunti gli esperti del Diparti-mento di Biologia Vegetale dell’Università degliStudi la Sapienza che, nell’ambito delCONECOFOR (CONtrollo ECOsistemiFORestali) avevano diffuso (a partire dal 2008) idati del progetto BioRefugia , co-finanziato dal-l’Unione Europea, allo scopo di individuare sia learee a rischio sia i nuovi siti dove “trasferire”animali e vegetazione, permettendo così all’eco-sistema forestale di riadattarsi. Identificare le zonedove, potenzialmente, gli alberi possano trovarerifugio, è un lavoro importante e costante nel tem-po, poiché per far crescere una foresta occorro-no migliaia di anni, per perderla, solo 50-100. Labuona notizia comunque è che, oltre alle forestedi cerro e di carpino bianco delle aree costiere

Foreste laziali a rischio e possibili rimedi

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(Settimio Di Giacomo) - Mos maiorum, la tra-dizione degli avi, la cultura arcaica cui i Romanifaranno sempre riferimento nel loro essere ri-volti al futuro. Roma crogiolo di culture e di re-ligioni, fondanti sull’incontro tra civiltà indoeu-ropee e mediterranee che, attraverso un proce-dimento di stratificazioni e apposizioni successi-ve, giunse a elaborare in mille anni l’idea di unospirito universale e rigeneratore basato sull’uni-tà del divino. L’uomo romano è un uomo piodegno del mitico antenato, il pius Aeneas, ma lasua religiosità non tange la sfera dei sentimentiaffettivi. Essa si volge al Divino attraverso laricerca dell’”essere” appropriato al suo confron-to; pietà filiale, patriottismo, i sacri valori, pietremiliari di questo modo di “essere”. Per Cicero-ne la religiosità (pietas), sarà la giustizia versogli dei: «pietas iustitias adversum deos». Lareligio è il cultus deorum, ovvero l’arte di ono-rare gli dei (colere); la religione è una pratica.Alla giusta religio si contrappone la neglegentia:la superstitio nega per eccesso, la neglegentianega per difetto. Il sacrum per Rudolf Otto èun mysterium tremendum, un mistero che fatremare. Nella Roma arcaica il crogiolo fonde ilnucleo mediterraneo della Terra Mater e le sueemanazioni di potenti divinità femminili con i tregrandi Dei funzionali dell’ideologia tripartita diorigine indoeuropea: sovranità, forza guerrierae fecondità. Nel 509 a. C., secondo la tradizio-ne, ha termine l’occupazione etrusca la cui cul-tura, fino a quel punto dominante, viene messada parte in quanto tra ellenismo e il pensiero deiRomani si va instaurando un fecondo rapportodi simbiosi. L’ellenizzazione del pantheon roma-no procede attraverso l’assimilazione e il presti-to. L’assimilazione tradotta come interpretatiograeca è un fenomeno di traduzione fondato suun sistema di equivalenze tra divinità corrispet-tive, attraverso il quale gli dei latini, pur conser-vando immutati nomi e riti, acquisiscono i carat-teri antropomorfici (personalità, iconografia, mi-tologia) delle divinità greche omologhe per fun-

zione divina. Giove, dio sovrano, signore dellafolgore, garante del giuramento, della buona fedee dell’ospitalità è identificato con Zeus, del qua-le assumerà il volto barbuto, lo scettro e il suouccello simbolico: l’aquila. Marte, signore dellaguerra, sarà assimilato ad Ares, ma mentre nel-la triade indoeuropea non ha legami genealogicicon Zeus, a Roma sarà figlio della coppia so-vrana Giove-Giunone. Giunone sarà identifica-ta con Era, dalla quale deriverà oltre all’icono-grafia, la dignità matronale e persino il carattereirascibile - tale almeno appare in Virgilio -, so-rella e sposa del re degli dei. L’interpretatio èfenomeno generalizzato tra le religioni antiche esolo l’egizia era ritenuta inassimilabile (quindil’ambito di ogni divinità era ben definito nellediverse culture). Erigere un tempio a una divini-tà straniera era creare un tramite per le sue gentie con esse. Libero è assimilato a Bacco-Dioniso(come lo era stato il Fufluns etrusco), dio del-l’estasi mistica e della salvezza nell’altro mon-do, signore delle iniziazioni violente; la vite e ilvino sono i mezzi di apertura dei sensi. Cerere èassimilata a Demetra, dea greca dispensatricedi cereali, che ha rivelato la cultura del grano eapproda sulle rive del Tevere minacciate di ca-restia, coi carichi campani. Demetra è la deadei misteri di Eleusi, madre dolorosa di Persefo-ne, che le viene sottratta per il tratto dell’annoin cui è costretta negli Inferi. Mentre l’inter-pretatio si limita a complementare e definire ca-ratteri preesistenti, è tramite il prestito che ilpantheon romano si amplia con le adozioni diCastore, Apollo (Apollon), Ercole (Heracles),Esculapio (Asclepios). Più difficile credere cheil Mercurio cui si consacra nel 495 a. C. un tem-pio al Circo Massimo sia diretta importazionedell’Hermes greco, in quanto non ne conserva ilnome. Il Mercurio romano (merx, merces) èprettamente il dio dei commerci, mentre l’Her-mes greco presiede agli scambi interumani insenso assai più lato, non tralasciando quelli frut-to di razzia né quelli verbali e culturali.

Più vivo che maia cura di Giuseppe Chiusano

Calzolaio: colui che fa le scarpe; calceolarius era coluiche costruiva i calcei stivaletti, tipiche calzature dei romaniche coprono tutto il piede, a volte, fino al polpaccio diversidalla solea che era un semplice sandalo e dalla caliga cheera la tipica scarpa dei militari.Diverbio: scambio di botte e risposte, battibecco; i latini indi-cavano con diverbium, formato da dis prefisso che indicadualismo o contrapposizione e verbum parola, discorso, la partedella rappresentazione in cui due attori parlavano alternativa-mente senza coro e senza musica…Esplicare: sviluppare, spiegare; explicare derivato da exfuori e plica piega che, letteralmente, intende fuori dallepieghe ed è l’azione di chi fa dichiarazioni chiare ed apertesenza deviazioni ed omissioni…Fauna: specie di animali che vivono in una regione; da Faunusdio latino, protettore delle greggi e degli armenti raffiguratocon i piedi di capro e cornuto, il cui nome deriverebbe dalverbo favere favorire o da Favonius venticello caldo di pri-mavera che favorirebbe la rinascita della vita…Italia: grande paese chiuso nella parte continentale dalleAlpi, allungato nel mare Mediterraneo coronato da grandiisole e da arcipelaghi abitato dagli Itali, così chiamate, daiGreci, le popolazioni che abitavano la terra che aveva ab-bondanza di pascoli e di vitelli diminutivo di vitulus vitello…

Una nuova Pandemia(Wanda D’Amico) - La prossima pandemiad’influenza potrebbe arrivare da un vecchio vi-rus, del tipo H2N2, conosciuto in passato dal-l’uomo ma ormai “dimenticato” dal nostro si-stema immunitario. Ne è convinto Gary J Nabel,del Centro di Ricerca sui Vaccini dei NationalInstitutes of Health (Nih) degli Stati Uniti, chein un intervento pubblicato lo scorso 10 Marzo,sulla rivista Nature, invita a vaccinarsi subito,considerando che il vaccino esiste già. L’allar -me, lanciato da Nabel, si basa soprattutto sullalezione data dall’ultima pandemia e sulla somi-glianza del virus H1N1, comparso nel 2009, conquello della terribile Spagnola, che nel 1918 hacausato circa 50 milioni di morti. L’allarme, inrealtà, non è nuovo: nel giugno 2009, uno studiopubblicato dalla virologa Ilaria Capua, dell’Isti-tuto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,sulla rivista Plos Pathogens, aveva messo inguardia contro lo stesso pericolo. Nello studio siaffermava che una futura possibile pandemiasarebbe potuta emergere per mezzo di un virusche aveva già causato altre pandemie nel pas-sato. Dopo aver causato la pandemia del 1957-58, il virus H2N2 ha continuato a circolare finoa quando fu spostata dal virus H3N2 nel 1968,che ha innescato una nuova pandemia e da allo-ra ha continuato a circolare. Mentre i ceppiH2N2, per molti anni, non sono stati rinvenuti inesseri umani, essi si riscontrano nei suini e neivolatili, e potrebbero presto rimodularsi e diven-tare infettivi per l’uomo, proprio com’è accadu-to per il virus H1N1 del 2009. Tra il 2003 e il2007, gli autori dall’articolo Vaccinate for thenext H2N2 pandemic now, hanno testato 90persone per gli anticorpi del virus H2N2. I risul-tati ottenuti hanno mostrato che le persone sot-to i 50 anni hanno poco o nessuna immunità con-tro il virus, e che comunque la resistenza au-menta notevolmente per gli ultra cinquantenni.In riferimento a ciò, essi suggeriscono alcunipossibili strategie di vaccinazione preventiva ela ricommercializzazione del vaccino autorizza-to nel 1957, giacché la somiglianza genetica deiceppi di H2N2 esistenti suggerisce che il tipo divaccino utilizzato decenni fa sarebbe ancora ingrado di fornire una protezione adeguata. An-che in Italia è stato sperimentato, qualche annofa, un test simile a quello americano, sempre dalgruppo di lavoro della dottoressa Capua e, an-che allora gli anticorpi presenti in 30 campioni disiero prelevati da persone vaccinate contro ilvirus dell’influenza stagionale 2006-2007 (quin-di contro i ceppi H1, H2 e H3), messi alla provacon gli attuali virus aviari H1, H2 e H3, hannodato una protezione minima o nulla. I due studi,in tempi e luoghi diversi, hanno dato lo stesso tipodi risposta, ma sebbene il rischio che un vecchiovirus possa scatenare una futura pandemia siapiù che reale, per entrambi i gruppi di ricerca leposizioni sulla vaccinazione hanno punti di vistadiversi. Per l’americano Nabel bisogna program-mare fin d’ora una strategia preventiva di vacci-nazione, utilizzando il vaccino messo a punto nel1957, mentre più prudente è la posizione di Capua,secondo la quale prima di programmare una vac-cinazione bisognerebbe rendersi conto di quantoeffettivamente il virus del tipo H2 stia circolandonegli uccelli e nei suini. E a noi, come al solito,non resta altro da fare che aspettare e sperareche questa pandemia non arrivi!

La religione dei romani

Ad inizio di quest'anno abbiamo decisodi promuovere una nuova iniziativa cul-turale ed oggi stiamo allestendo una nuo-va sede che possa ospitare una serie dipiccoli eventi: mostre, musica, spettaco-li, proiezioni, conferenze, dibattiti, corsi.Tutti gli aggiornamenti relativi a questaattività saranno resi disponibili sul porta-le di controluce www.controluce.itVi attendiamo numerosi e vi diamo ap-puntamento all'inaugurazione della sedeprevista tra aprile e maggio.

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Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

Sito web: www.controluce.it 5.395.000 visite SSSSSocietà e Costumeocietà e Costumeocietà e Costumeocietà e Costumeocietà e Costume

(Graziella Proto) - Ci siamo lasciate alla vigilia del-la grande manifestazione delle donne indignate dalsistema politico e dai criteri dei cast, ma i giorni aseguire hanno totalmente coperto questo evento dirilevanza politica e sociale immensa. Noi ripartiamodallo stesso punto dove ci siamo lasciati e proponia-mo storie di “belle donne”, raccontate da altre don-ne, con la loro sensibilità e capacità di scendere nelprofondo. Per esempio raccontiamo Franca Violache a metà degli anni sessanta ha scompigliato lecarte del delitto. Ci sono due donne che per la primavolta nella storia occupano posti strategici. Gesti-scono in campi diversi un grosso potere: SusannaCamusso ed Emma Marcegaglia parlano lingue di-verse ma la loro presenza in quelle postazioni è im-portante. La proposta di candidare Rosy Bindi apresidente del Consiglio andava presa molto sul se-rio. Il Pd ha perso un’altra grande occasione. Que-ste donne così diverse fra loro ci danno una caricad’ottimismo, ci fanno sperare. Loro sanno che don-na non è una categoria. Nel momento in cui scrivia-mo è in atto la manifestazione in difesa della Costi-tuzione. Cortei colorati, allegri, chiassosi. Sfaccettati.Tantissimi i bambini, insegnanti, pensionati, profes-sionisti, operai, disoccupati, studenti, attori, cantan-ti... tutte le categorie. Tutte le fasce. In moltissimepiazze della penisola. Un’esigenza, il diritto e il doveredi difendere quel pezzo di carta che tanti, anche seminoranza, vorrebbero stravolgere. Metterci le manisopra con la scusa che è vecchia. Una miriade distriscioni e cartelli inondavano il cielo. In uno sta scrit-to “Sciascia: ad ognuno il suo”. Il ragazzotto venuto incittà per la movida del sabato sera lo legge e poi conaria saputella e saccente dice al suo amico: ad ognu-no il suo lo capisco, ma Sciascia che vuol dire? Ecco,la questione è tutta qui, nella cultura, nell’istruzione enel diritto allo studio. Nella crescita sociale ed indivi-duale. La colpa non è dei ragazzi; lo dice ancheVecchioni nella sua ultima canzone divenuta già innodella manifestazione d’oggi. I ragazzi in piazza con i

mano i libri vogliono cambiare il mondo. Il libro comeunica arma. Invece, tagli su tagli. Su tutto certamen-te, ma sulla cultura in generale molto di più, senza chela ministra che dovrebbe battersi per il contrario fac-cia una piega. Impreparata. Inesperta.Dai paesi del mondo arabo giunge un vento dolce-amaro. Porta la freschezza dei giovani, la grinta dichi ha raggiunto il limite e non ne può più. È stataintrapresa la strada della dignità, del riscatto, dellalibertà. Tunisia, Egitto, Libia... Le situazioni sono moltodiverse fra loro, la freschezza e il sacrificio uguali.Interi popoli, oppressi da decenni, si sono rimbocca-te le maniche e spesso a mani nude sono andaticontro il nemico da battere. Un vento che cercaemancipazione e libertà. Un vento contagioso. Mi-naccioso per chi ha coda di paglia. Fra tutte la situa-zione libica sembra la peggiore. Il dittatore folle ne-gli anni ha creato troppe ingiustizie sociali. Calpe-stato la democrazia, represso con la forza ogni ane-lito di diritto o libertà. Gheddafi è pericoloso, non vaprotetto, deve essere cacciato e bisogna fargli sa-pere che della sua amicizia non ce ne frega nulla. Cirendiamo conto, bisognerà trattare, non si sa quantodurerà, cosa succederà... Un processo complicatoper tutti: quelli che sono dentro la Libia e quelli chene stanno fuori. Operai, esuli, perseguitati politici,ma anche ambasciatori, capi di Stato, mediatori vari.Severità e rigore. Nessuna concessione in tal sen-so. Nessuna genuflessione.Il governo Berlusconi, nonostante le prove di fiducia,accumula contraddizioni, debolezza, arroganze ed in-capacità di risposte. Una cosa per il momento è cer-ta: i proclami dell’opposizione che ormai siamo allafine, che è questione di poco, che ormai... Non è così.L’allerta deve essere altissima - così non pare - per-ché il danno che può fare questo governo in termini diregressione e arretramento sociale è grandissimo.Noi donne del movimento rispondiamo “SIAMOVIGILI”. Vi daremo filo da torcere. (Casablancan. 171 - marzo 2011)

Costituzione, Donne, Miti e Rivoluzioni

(Alberto Pucciarelli) -Negli anni Ottanta c’eraqualcuno che scriveva percontestare il gesto del pre-sidente Francesco Cossi-ga che, in occasione del-l’otto marzo e durante unacerimonia ufficiale, omag-giava alcune donne agen-ti di Polizia con mazzolinidi mimosa. Il gesto, anchemotivato dalle migliori in-tenzioni, pareva non anda-re in una direzione di veracrescita e poteva sembra-re una sottolineatura di dif-ferenze, una galanteria sminuente, considerato ilcontesto e la serietà, anche per motivi storici, dellaricorrenza. Nel dibattito apertosi ci fu chi ricordavache in un certo paese arabo vi era una festa dedica-ta al cane, e in quel giorno le bestioline venivanoaccudite e coccolate eccezionalmente, salvo la ri-presa, all’indomani e per tutto il resto dell’anno, del-le bastonature consuete; altri proponevano provo-catoriamente una festa del negro. Eccessi forse,posizioni eccentriche o elitarie. Il rischio c’era, maben bilanciato da proclami solo di facciata e da unastanca routine inconsapevole. Oggi le asprezze e lefanfare sono quasi scomparse per merito dei risul-tati raggiunti e di una maturazione generale, anchese indebolita da persistenti zone d’ombra. E si spre-cano i nuovi slogan alla moda: «l’8 marzo è ognigiorno» e «l’otto tutto l’anno». Speriamo che, oltreche accattivanti, siano sentiti e praticati. In concretooccorre sottolineare il cambio di passo delle istitu-zioni e delle argomentazioni proposte dalla cultura edalla stampa. Il presidente Napolitano ha effettuatoun intervento concreto e senza retorica sottolinean-do che «per raggiungere una parità sostanziale ènecessario incidere essenzialmente sulla cultura dif-fusa […] la parità di genere non può non essereparte di una generale ripresa di valori civili». Non hamancato poi riferimenti alla questione dolorosa edattuale della «donna oggetto», alle «nuove italiane»e al «divario e le strozzature che pesano nell’acces-so al mercato del lavoro»; a tale proposito alcuniarticoli evidenziavano che un aumento della percen-tuale di donne che lavorano, appena vicino alla me-dia europea che è di circa il 60%, comporterebbeun incremento del Pil intorno ai 6-7 punti. Tali argo-menti sollecitano riflessioni sulle cosiddette quoterosa. In una realtà priva di condizionamenti, alcuniquasi ancestrali, e di comodi vantaggi fondati su ille-galità varie e violenze striscianti, di quote rosa nonce ne sarebbe alcun bisogno. La donna, per capaci-tà intellettive, impegno e serietà, ha obiettivamentesuperato l’uomo negli studi e nel lavoro, anche sen-za godere delle stesse condizioni (figuriamoci ceterisparibus, come dice con ricercato sfoggio il gover-natore Mario Draghi per altre questioni). Dunque lequote rosa, che possono essere offensive e anche

dannose (in caso di malaapplicazione, tanto per ri-spettarle), sono un pun-tello, un aiuto provvisorioper reagire a storture inatto, proprio derivanti dauna certa cultura maschi-lista. Ma da questa con-tingenza si sta uscendoper una evoluzione di fat-to, dovuta al rispetto del-le leggi già vigenti e suffi-cienti, unita alla consape-volezza individuale e, fi-nalmente, diffusa. Vienein mente un triste anniver-

sario che può fare da paragone: sono circa trent’anniche è stato abolito il ‘delitto d’onore’, anch’esso in-

Riflessioni a mimose sfioritesulto al diritto e alla parità (in quel caso non si tratta-va solo di ‘donna oggetto’, ma addirittura di ‘donnaproprietà’). Arriverà il giorno, siamo sicuri, che saràfestosamente abolita la festa della donna, almenonel senso oggi proposto. L’importante sarà, in ognicaso, rimanere nei canoni, nel rispetto, diremmo, na-turale della natura e normale delle regole. Raggiun-ta la parità - ci potranno pure essere raffreddorifisiologici - non sarebbe bello e utile andare oltre. Ladonna che, sull’abbrivio, acquisisce gli stessi difettidell’uomo sarebbe una mutazione pericolosa, per-ché potrebbe iniziare un nuovo ciclo di cui, con buo-na pace delle teorie scientifiche, non si sente desi-derio. Quindi fiori ed omaggi a volontà, ma recipro-ci, come nella leggera pubblicità nella quale una leioffre un mazzo di rose ad un lui affacciato al balco-ne. Che male c’è? Magari dipende dalle intenzioni,ma, se sono reciproche, viva la vita.

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18Notizie in... CONTROLUCE aprile 2011

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Cristo si è fermato a Eboli(Rita Gatta) - Da tempo si parla di Unità d’Italia,ci si infiamma con l’Inno di Mameli che viene rivi-sitato, spiegato, commentato, rivalutato; si rievo-cano episodi di eroismo e l’amor patrio sembrasprizzare da ogni poro. Si ascoltano canti patriotti-ci come il Va pensiero del Nabucco di GiuseppeVerdi o La Leggenda del Piave, che ci affratellanonella mente di chi prima di noi ha lottato perchéquesta Italia fosse un Paese unito. Si rileggono li-bri, si partecipa a conferenze sul Risorgimento, sulRomanticismo e si rispolverano biografie dei Padridella Patria. Un bel fervore, non c’è che dire: tut-ti… o quasi, ne siamo presi, coinvolti, appassiona-tamente trascinati. Recentemente, però, mi è ca-pitato di essere testimone di un episodio singolareche interessa, tuttavia, una sparuta minoranza: sonogli abitanti di una zona d’Italia dimenticata da tutti,trascurata, cancellata forse anche dalle carte geo-grafiche. Una zona che si trova in una delle piùbelle regioni del Sud, testimone della grandezza dellaMagna Grecia. Un nome emblematico tristemen-te noto per tragedie che si sono succedute nel tem-po e che confermano che l’Unità d’Italia è qual-cosa ancora di là da venire. Chi non ricorda qual-che anno fa, quando la tragedia di FrancescoFortugno, medico e politico assassinato nel 2005 aLocri, catalizzò la pubblica opinione? I giovani locresiinsorsero con un «E ora ammazzateci tutti!». Forum,telegiornali, tavole rotonde, accesi dibattiti e la sco-perta dell’acqua calda: non ci sono collegamentidegni di tale nome, vie, strade, treni, aerei, carroz-ze e diligenze che conducano direttamente nellaJonica, in questo meraviglioso luogo profumato disole e di mare, ma isolato dal resto del mondo. Perraggiungerlo, comodamente si può arrivare conl’aereo a Reggio Calabria, a Lamezia Terme e dalì si può noleggiare un’auto se si vuole arrivare aSiderno, a Locri, a Gerace… per non parlare dellezone interne aspromontane. Oppure con il treno sigiunge, sempre comodamente, se si vuole viaggia-re di notte in cuccetta, alla stazione di Lamezia e lìcon un confortevole autobus delle ferrovie si per-viene alla costa in tre ore o forse più, ammettendodi avere il mezzo pronto a disposizione. Esistevafino a poco tempo fa un collegamento ferroviarioche consentiva di viaggiare la notte e giungere di-rettamente alla stazione di Locri. In gennaio è sta-to soppresso: l’insistente e prolungata voce di pro-testa degli abitanti del posto, dello stesso Vescovodi Locri è rimasta inascoltata. Così gli studenti chefrequentano a Roma l’Università, per raggiungerela famiglia, magari si sottopongono a otto ore diautobus o si adeguano alle condizioni appena de-scritte. Recentemente una collega ha affrontatoquesto viaggio: partita da Termini poco prima dimezzanotte è arrivata a Lamezia Terme dopo lecinque del mattino, ma l’autobus non è stato dispo-nibile che dopo le 6 e 40, con vive proteste deiviaggiatori che avevano invece programmato do-vesse essere là sul posto; avrebbero potuto altri-menti organizzare altre modalità per proseguire ilviaggio. Morale della favola: soltanto dopo pocopiù di tre ore sono riusciti a giungere a destinazio-ne. Tutto questo a circa 600 chilometri da Roma.Quasi dieci ore di viaggio (da notare che Roma-Milano, stessa distanza, con la ferrovia si copre intre ore ed è possibile proseguire agevolmente nel-le zone periferiche!). A quanto pare nel 2011, allavigilia del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, purcon il discusso progetto del Ponte sullo Stretto diMessina, Cristo è ancora fermo a Eboli.

Cali il silenzio su Yara(Toni Garrani) - Mi hanno invitato a RAI 2 adibattere su un tema assai scivoloso: la richiestadi silenzio stampa sul caso della giovane Yaraavanzata dal parroco di Brembate Don CorinnoScotti. Ebbene credo che valga la pena di pre-mettere che sono e sarò sempre fieramente con-trario ad ogni genere di censura, preventiva e non,e ad ogni genere di bavaglio che a qualunque tito-lo si voglia imporre alla informazione.E inoltre mi pare quantomeno paradossale che talebavaglio venga invocato da un parroco che, con lesue prediche infuocate, non ha certamente contri-buito a placare gli animi ea smorzare i toni. Quan-do infatti si grida "all'orcoche è tra noi", quando silancia una provocazioneforte sostenendo che "èmeglio avere un figliomorto che un figlio assas-sino", quando infine si pa-ragona la povera Yara addirittura a Santa MariaGoretti, non ci si può poi candidamente stupire deipubblici pellegrinaggi sul luogo del delitto.Ciò detto, va però considerato che una qualche for-ma di autolimitazione sarebbe bene che fossero perprimi gli stessi operatori dell'informazione a porsela,ed in primis coloro che occupano gli spazi di cosid-detto "approfondimento" che dilagano nei pomerig-gi e nelle tarde serate della nostra televisione, pub-blica e privata, fatta una meritoria eccezione perLA7. Mi è capitato qualche giorno fa di passare da"Casa Perego" su Canale 5 a "Verissimo" su RAI 1,da "Pomeriggio sul 2" a "Porta a Porta", per finire a"Matrix", e di trovarvi dalle tre del pomeriggio al-l'una di notte una lunga giornata dedicatamonotematicamente al "caso Yara". Ora io so benequali sono i meccanismi che sottintendono alla scel-ta di incentrare una puntata su un caso "forte" cheassicura ascolti con poco sforzo, tratta un argomen-to che non ha implicazioni politiche, e che quindi noncrea problemi alla redazione, permette di invitareopinionisti di vario genere e a vario titolo (la scelta diinvitare me ne è lampante esempio), e si ammantaper di più del nobile titolo di "caso di cronaca". Avendocondotto per moti anni un noto talk show quotidianodel mattino su RAI 3, so bene quanto sia allettanteoccupare una delle cinque caselle del palinsesto set-timanale con qualcosa di sicuramente remunerativosul piano degli ascolti, e di facile e veloce prepara-zione. Se poi le caselle diventano due a settimanatanto meglio. Ma se poi si moltiplica questo mecca-nismo per la miriade di programmi di tale genereche l'offerta televisiva ci propone, se ne ha un effet-to a cascata che rende il fenomeno autoreferenziale,nel senso che costringe tutti a parlare di quell'argo-mento a prescindere dalla pressione degli eventi, masolo per non lasciar sguarnita la vantaggiosa posta-zione mediatica. Se insomma devi coprire decine diore per un fatto che è redditizio dal punto di vistadell'audience, quando hai qualcosa da raccontare lofai, ma se non c'è niente di sostanzialmente nuovoda raccontare allora si ricorre alla tecnica delle rico-struzioni e dei dettagli cruenti e pruriginosi. Il risulta-to sono decine e forse centinaia di ore di chiacchie-re su un fatto che si avvita su se stesso, e da cuibisogna spremere a tutti i costi elementi di dibattito,e se tali elementi non li fornisce il fatto stesso allorasi ricorre alle ipotesi, alle illazioni arbitrarie, e allafuga di notizie non controllate.Ma come si possono definire questo tipo di trasmis-

sioni? Come possiamo catalogare le centinaia di oreperse a disquisire su Yara, Sarah, Erika e Omar,Meredith, e persino ancora della povera Elisa Clapse addirittura della Cesaroni? Non sono certo "intrat-tenimento", perché mi rifiuto di credere che la gentesi diverta a seguire tali vicende con lo stesso spiritodi chi si appresta a vedere una partita di calcio o unfilm. Allora sono cronaca? Ma la cronaca, e la mi-gliore delle cronache, è quella che mette a disposi-zione dell'opinione pubblica i fatti, li rende noti e neverifica le fonti. Cosa ha a che vedere la cronacacon quel chiacchiericcio generico che si nobilita de-

finendosi "commento",affidato come spesso ac-cade a qualche esperto ea molti commentatori ra-cimolati tra la compagniadi giro che accalca i talkshow nostrani? Cosa re-sta infine di quelle centi-naia di ore dedicate a rie-

vocare gli ultimi tragici minuti, la serie delle coltella-te inflitte, lo stato di putrefazione del cadavere, lapresenza e la qualità di liquidi organici, i riflessi didifesa della vittima nello spasmo della morte, e viadi questo passo? Cosa resta di tutto il tam-tammediatico attorno a Yara, Sarah, Erika, Meredith,cosa possono conservare di utile coloro che sonostati indotti per mesi a seguire nei dettagli più atrocila vicenda della uccisione di un essere umano? Checosa ci hanno raccontato, che narrazione è stataofferta al pubblico? Insomma: a cosa serve?Mi si obietta che spesso tali programmi hanno lafunzione di mettere sotto l'occhio degli inquirentiun caso altrimenti dimenticato. Certamente, onorea programmi come "Chi l'ha visto", che hanno nelloro titolo una funzione sociale che può esseremeritoria, cioè il contribuire al ritrovamento di per-sone scomparse e a volte persino essere il conte-nitore dove arrivano informazioni anonime altrimentiirraggiungibili. Ma una cosa è prodigarsi per aiuta-re a risolvere un caso, altro è diventare parte stes-sa del caso creando ad arte ipotesi, tracce, pistespesso basate sul nulla, con l'unico scopo di porta-re a casa un'altra puntata di successo e di prepa-rare i presupposti per la prossima.Mi si obbietta ancora che, soprattutto di recente, taliprogrammi hanno contribuito a mettere in luce graviinefficienze del nostro sistema investigativo. Effet-tivamente, se si analizzano i metodi di conduzionedelle indagini che emergono dai casi trattati, moltidubbi sull'efficienza delle nostre svariate polizieemergono inquietanti. Ma nascondere dietro il nobi-le manto del "giornalismo di denuncia" una serie ditrasmissioni che non fanno che scavare con piglionecrofilo e quasi pornografico nei lati piùsanguinolenti e macabri delle vicende narrate, è ope-razione ambigua. Se poi il problema che emerge èlo scarso livello di affidabilità degli inquirenti, alloradavvero sarebbe il caso di fare una bella serie dipuntate su un tema così spinoso e delicato, che avreb-be però lo svantaggio per le varie redazioni di crea-re non pochi grattacapi nei rapporti con l'autoritàcostituita. Però quello sarebbe davvero "approfon-dimento" e si potrebbe vantare di essere vero "gior-nalismo di denuncia". Insomma, per essere chiari, afronte delle centinaia di ore dedicate ai vari casi Yara,quante ore sono state dedicate a quel clamoroso,intricato e appassionante caso che fu l'assassiniodel povero Stefano Cucchi da parte di alcuni rap-presentanti delle Forze dell'ordine?

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Le “Parole della politica” - 5/8(Francesca Panfili) - Il terzo incontro su Le pa-role della politica è stato presieduto dal prof. Ste-fano Rodotà e dal prof. Vito Mancuso, relatori dellediscussioni rispettivamente intitolate Vita e tecni-ca” e “Laicità. L’affermazione che il potere con-trolla il nostro corpo attraverso l’uso o l’abuso del-la tecnologia spiega il significato del binomio in ri-ferimento alla prima delle due discussioni. Essen-do la tecnica un «complesso di norme che regola-no l’esercizio pratico e strumentale di una scien-za», essa - ha sostenuto il relatore - ha consentitodi andare oltre la biologia, ha fatto sì che la biologianon fosse più un destino e che l’uomo tornasse aessere faber suae quisque fortunae: ha cioè resopossibile l’autodeterminazione in riferimento allafine della vita. Ciò che ne consegue è la capacitàdi esercitare liberamente il potere di governo dellapropria vita attraverso la «tecnologia della soprav-vivenza». Tuttavia, se da un lato l’alleanza tra lavita e la tecnica si pone nel segno di una liberaautodeterminazione, e dunque della possibilità discegliere per la propria vita, dall’altro la determi-nazione, da parte della tecnica, tende ad espro-priare l’uomo della sua libertà di scelta. Nel tempogli attori del giudizio si sono invertiti. Il potere poli-tico ha cercato di impadronirsi dei corpi e della vitadelle persone negando ad esse il diritto di control-larne lo svolgimento tanto che sembra inutileopporvisi: «Ciò che viene imposto dall’alto, da unlato non lo si può (o non lo si vorrebbe) accettare,dall’altro non vi si può rinunciare». Il rischio è chela persona diventi «oggetto di disumanizzazione eassimilazione; non più soggetto, ma oggetto in mo-vimento, espropriato della vitalità e della libertà».Un’interessante considerazione da parte delrelatore è stata inerente all’immagine che l’uomoha nella vita reale e che può essere ben diversa daquella fornita su internet: la tecnica ha portato allacreazione di un doppio virtuale e diverso, dal qualedipende il grado di visibilità. Le problematiche in-torno all’uso e all’abuso di potere sul nostro corposono tante e Rodotà ne ha menzionate alcune, trale quali la proposta di installare il body scanner intutte le stazioni ferroviarie, a suo avviso ridicola siaperché prospetta situazioni grottesche sia perché,secondo l’ipotesi di introdurla solamente per i treniFrecciarossa, realizzerebbe una discriminazione fravite umane. Si cerca di arginare l’abuso di potereesercitato attraverso l’invasione della tecnologiafacendo leva sulle rivendicazioni della privacy; te-

nere fermo un riferimento eviterebbe la facile de-responsabilizzazione, ma la domanda verte su chipuò mediare e legittimare. Rodotà ha inoltre giudi-cato negativamente la Legge del Testamento Bio-logico, il cui disegno di legge, presentato dalla Fon-dazione Umberto Veronesi in tema di dichiarazionianticipate di trattamento, è ora quiescente alla Ca-mera dei Deputati. Nel complesso il discorso dellatecnica non può prescindere da quello della bioetica,che inerisce a problemi morali ed etici sollevati incampo medico e biologico e che, a sua volta, portache con sé il discorso del biodiritto e della biopoliticacome «l’insieme delle norme e delle pratiche adot-tate da uno stato per regolare la vita biologica»: seprima eravamo di fronte solo alla necessità e al de-stino ora è possibile interrompere una gravidanzagrazie alla legittimazione giuridica dell’aborto, comeè possibile evitarla grazie alla contraccezione o rea-lizzarla attraverso le tecniche di procreazione assi-stita. La domanda su chi avrà diritto di accederealle nuove tecniche porrà di nuovo un problema diuguaglianza: il moderno divario digitale distingue glialfabetizzati digitalmente (e il loro grado di digitaliz-zazione) e i relativi analfabeti. Il Paleolitico fu l’epo-ca in cui si sviluppò la tecnologia umana con l’intro-duzione dei primi strumenti in pietra: la vita si schie-rò con la tecnica anche per addomesticare la naturae sottrarla al destino. Sin dalla sua nascita, tuttavia,l’alleanza non fu lineare dal momento che i due ter-mini sono stati spesso percepiti in radicale opposi-zione. Il divario umano verte da sempre sulla co-struzione di una società in qualche modo castale.Tuttavia, lungi dal voler prendere una posizione al-l’interno del dibattuto binomio, Rodotà ha designatoi valori della libertà, dell’uguaglianza e della libertàcome misura della tecnica, indicando nel loro rispet-to il criterio per valutare e delimitare la tecnica, es-sendo questa intesa come idea positiva, possibilità diricostruire se stessi attraverso le tecnologie, di utiliz-zare delle tecniche che liberino l’uomo daicondizionamenti della natura e aggiungano miglio-ramenti come il potenziamento della memoria e del-le funzionalità cerebrali. Considerando che tali valo-ri ci accompagnano dall’avvento della modernità edunque dall’inizio del periodo rivoluzionario france-se, Rodotà crede possibile avvalorare l’ipotesi diun’autodeterminazione di ciascuno di noi: «Dal mo-mento che tali valori valgono per la vita, proprio essidevono essere il nostro scudo per far sì che nondiventiamo succubi della tecnica». (Continua)

Il discorso del Re(Toni Garrani) - La sera prima che lo splendidofilm Il discorso del Re portasse a casa una cestapiena di Oscar, sono andato a vederlo in quel pic-colo miracolo di sala cinematografica che NanniMoretti ha allestito a Roma per il nostro e il suopiacere. Ad un tratto, mentre le immagini scorre-vano, ho sentito uno strano pizzicore alla gola, comeuna sensazione di calore sotto la laringe, come unbruciore che velocemente risaliva fino agli occhi.Mi sono stupito. Mi stavo commuovendo. La com-mozione è un sentimento sublime, che ti colpiscealle spalle, all’improvviso, scavalcando la ragionee dilagando direttamente nell’anima senza preav-viso. Ebbene, io mi stavo commuovendo, al cine-ma, come una quindicenne davanti ad un filmd’amore, con l’ingenua partecipazione di uno spet-tatore senza troppe difese razionali, io stavo en-trando in vibrazione e in consonanza con quello chele immagini mi venivano raccontando come se fosseuna storia che mi appartenesse e mi toccasse nelprofondo. E perché mi stava succedendo questo?Qual era il misterioso percorso attraverso il qualela storia di un principe inglese balbuziente entravanella mia vita e vi reclamava un tributo emotivocosì inaspettato? La risposta sta in una scena delfilm, e neanche tra le più eclatanti, che però perme ne riassume tutta la forza e il significato pro-fondo: il principe Alberto, ormai divenuto Re Gior-gio VI, assiste con tutta la famiglia ad uncinegiornale che mostra Hitler durante uno dei suoiinfuocati e deliranti comizi che di lì a poco avreb-bero incendiato l’Europa, riducendola ad un cu-mulo di ceneri. La piccola Elisabetta, allora bam-bina, chiede al padre «Papà, ma cosa dice quelsignore?» e il re risponde «Non lo so, ma lo dicebene». Ecco, in questo rapido confronto a distanzac’è tutta la potenza della parabola che il film cipropone. È la storia di un uomo timido e problema-tico, che non vorrebbe dover assumere alcun in-carico pubblico, barricato dietro la sua balbuzie chelo rende inadeguato al ruolo che la storia vorràaffidargli, che ingaggia con se stesso una lotta do-lorosa per potersi trovare pronto ad assumere latremenda responsabilità di guidare una nazione inguerra contro il nazismo. Ed è la storia di un popo-lo che trova identificazione in chi, a costo di gran-de fatica, riesce a esprimere valori profondi e con-divisi, dandogli peso e sostanza non con la potenzadella retorica infuocata né con l’enfasi della folliadeclamatoria ma con la fatica dell’impegno perso-nale, al servizio di qualcosa di superiore agli inte-ressi del singolo individuo. È la bella parabola dichi sente tutto il peso di essere chiamato a fare dariferimento agli altri, pur magari non sentendoseneall’altezza, ma assumendosene tutta la responsa-bilità con l’impegno personale, convinto di doverassolvere il giuramento che il destino gli impone; dichi, posto davanti al dilemma tra “essere e nonessere”, sceglie coraggiosamente la via dell’impe-gno e del sacrificio senza mirare a scopi personalio egoistici. E dietro questa figura, così fragile macosì piena di dignità, si intravede un popolo altret-tanto dignitoso ma testardo e fiero, che trova con-forto nelle parole piene di verità e di dolorosa par-tecipazione di colui che a fatica cerca di comuni-care ad altri quel coraggio che ha dovuto dare a sestesso. Ecco, io mi sono commosso perché nelprofondo dell’animo questo è ciò che io vorrei sen-tire nei confronti del mio popolo e di chi è oggichiamato a guidarlo. E un profondo senso di fru-strazione mi avvolge.

(Giuseppina Brandonisio) - Si chiamanoReading Education Assistance Dogs(R.E.A.D.) e sono caniaddestrati ad affiancarei bambini mentre leggo-no, ad ascoltare pazien-temente i loro suoni e amanifestare loro gesti diapprovazione per losforzo intrapreso. Fan-no parte di un progettosperimentale statuniten-se e rientrano nella ca-tegoria degli animali “daterapia”, cioè quelli cheassistono non vedenti edisabili in generale. Gli esperti dell’associazio-ne Intermountains Therapy Animals (operan-

Cani che aiutano i bambini a leggerete negli U.S.A., in Canada e nel Regno Unito)hanno notato che la compagnia di un cane, du-

rante questa delicatafase d’apprendimento,ha effetti positivi sullapsiche del bambino per-ché aumenta l’autosti-ma. I migliori risultatisono stati ottenuti conbambini affetti dalla sin-drome di Down. Gli ani-mali da addestrare sonoscelti dopo un accuratoesame attitudinale. Pur-troppo in Italia ancoranon esistono iniziative

analoghe. Sull’argomento è utile visitare il sitohttp://www.therapyanimals.org

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(Giuseppina Brandonisio) - Bello, seducen-te, attraente: Kim Rossi Stuart, con la sua in-terpretazione, propone un Renato Vallanzascache si fa amare. Ma, nonostante la letteraturacinematografica sia costellata di eroi negativi,il film, diretto da Michele Placido, suscita mol-te polemiche: la biografia del bandito che ter-rorizzò Milano negli Anni Settanta, secondomolti, non dovrebbe apparire così affascinan-te agli occhi del pub-blico. In questo modo- dicono i detrattori delfilm - si rischia di fareun torto alla storiagiudiziaria del nostroPaese. Dopo le pole-miche con la LegaNord, anche l’antepri-ma palermitana dellapellicola è stata accol-ta dalle proteste: un sindacato di polizia ha di-stribuito volantini invitando la gente a boicot-tare il film. Michele Placido, da parte sua, di-fende il proprio lavoro e le capacità dei suoiattori. Rossi Stuart, protagonista e co-sceneg-giatore, in molte interviste aveva parlato dellungo lavoro di preparazione che è servito percostruire il personaggio e degli incontri perso-nali che ha avuto col criminale, nel carcere diOpera, a Milano, dove il rapinatore epluriomicida sta scontando 4 ergastoli: «Mi sonoavvicinato a questo personaggio in maniera lai-ca, cercando di assorbire le sensazioni che ri-cevevo. Di raccontare il dramma, la violenza,ma anche l’autoironia e l’autodistruzione, ele-menti contrastanti che comunque fanno partedi Vallanzasca». Troppo simpatico perché siacattivo, il Vallanzasca rappresentato dal regi-sta foggiano fa emergere alcuni elementi, tra-scurati anche nelle sedi processuali: la con-fessione dell’omicidio dell’amico Enzo (inter-pretato nel film da Filippo Timi) è una di que-ste verità. Michele Placido, da regista, ha inau-gurato un proprio filone cinematografico rac-contando molte storie tratte da avvenimenti dicronaca nera e giudiziaria: da Romanzo cri-minale, ispirato alla Banda della Magliana aUn eroe borghese, che narra le vicende el’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il suo, apparecome una sorta di “cinema-verità”, una testi-monianza. Moltissimi italiani lo ricordano an-cora nell’interpretazione del commissarioCattani nello sceneggiato televisivo La Pio-vra, ma il profilo cinematografico di Vallanza-sca, di questo film, in sala dal 2011, appareatipico, poiché, nonostante il realismo e ladrammaticità dei fatti raccontati, il carattere

ironico e sornione del personaggio rischiereb-be di esaltare i tratti positivi della biografia delprotagonista: le numerose ed “eroiche” eva-sioni da vari carceri italiane di Vallanzasca, in-fatti, sono state intervallate da una serie di ra-pine, sequestri e omicidi molto efferati, comequello dell’amico Massimo Loi, pugnalato e de-capitato per tradimento da Renato che, dopoaver infierito sul corpo del morente, avrebbe

giocato a calcio con lasua testa. Il film è am-bientato nel 1985. Amettere in moto la tra-ma è il racconto deltrentacinquenne, dete-nuto nel carcere diAriano Irpino, che par-la delle sue impreseadolescenziali (il primofurto, compiuto all’età

di 8 anni), dell’esperienza del carcere minorile,del supporto ricevuto da alcuni amici, grazie alquale riesce a diventare “il boss dellaComasina”, della rivalità col capo-zona FrancisTuratello (Francesco Scianna, nel film), delquale insidia il dominio negli Anni Settanta, dellarapina al portavalori, che gli procura l’arrestoe la prima evasione dopo quattro anni (quandoVallanzasca contrae volontariamente l’epatiteiniettandosi urine nel sangue e mangiando cibiavariati, allo scopo di uscire dal carcere, fa-cendosi ricoverare in ospedale), del matrimo-nio con Giuliana (ruolo affidato all’attrice Fe-derica Vincenti), una sua ammiratrice dallaquale riceveva numerose lettere, fino al ter-mine della sua epopea che lo vede ancora rin-chiuso nel carcere milanese per scontare unapena di 260 anni. Il film Vallanzasca, gli an-geli del male s’avvale di una colonna sonorache segna il ritorno nei palasport dei Negra-maro, noto gruppo musicale salentino che, fir-mando la canzone Gli angeli del male, ha giàregistrato il “tutto esaurito” in diverse date delsuo tour. Nel realizzare il film, dice Filippo Timi,si è creata «un’irripetibile alchimia», per rac-contare una storia che arriva al cuore di tutti,probabilmente sopraffatta dal suo carico di pas-sione e fantasia che rischia di stravolgere larealtà e che divide le opinioni della critica ci-nematografica. Coinvolta nella promozione delfilm, è anche Antonella D’Agostino, l’attualemoglie di Vallanzasca, autrice del libro Letterea Renato, pubblicato nel 2007. Il film non èpiaciuto nemmeno a Renato Vallanzasca, al qua-le è stato concesso il diritto di vederne l’ante-prima, in carcere, dopo essersi visto negare ilregime di semilibertà, richiesto pochi mesi fa.

Vallanzasca: cronaca tradita Il quinto stato(Eugenia Rigano) - Nerovestito avanza compattoil plotone. Espressione proterva e andatura marzia-le. Armato di tacchi a spillo e tubino nero fasciato,si dirige deciso sull’obiettivo: lo yacht del riccastro/politicante di turno. Azione? Coca-party di rito, piùattività aggiuntive. E ci perdoni Pellizza da Volpedose abbiamo parafrasato il suo celebre titolo. Per-ché il popolo che avanza nella scena che abbiamovoluto prendere a chiave di tutto il film non è il pro-letariato, ma un nutrito manipolo di escort (oggi siusa dire così, ma lo sapevate che dietro l’esotismoeufemistico c’è il latino, in cui suona scortillum,diminutivo da scortum, e che anche il povero Cice-rone in una Catilinaria ci parla indignato di una«scortorum cohors praetoria», “schiera di corti-giane come coorte pretoria”? beh, è noto che, aitempi suoi, i costumi a Roma non erano molto mi-gliori dei nostri!). Insomma le nostre signorine, al-meno una dozzina (ma in certi ambienti si vendonocome le rose, solo a dozzine), avanzano, e in primafila c’è lei: Alice, operatrice dilettante del settorecon l’accattivante nome d’arte di “Morena”, preci-sato dall’attributo “torbida”, per lasciar ben spera-re i futuri clienti. Introdotta al “mestiere” dalla benpiù esperta (e meglio all’uopo attrezzata) Eva, lapovera Alice è stata costretta a tanto dopo esserprecipitata dal suo status di nuova ricca, con villacon piscina, personale di colore ecc., in conseguenzadella morte improvvisa del consorte. Questi infatti,“geniale” imprenditore, ideatore della tazza (WC)a due piazze, stordito dopo un incontro di sesso ex-traconiugale, si schianta in moto, lasciando Alicevedova inconsolabile, nonché indebitata fino al col-lo per le sue spericolate manovre finanziarie. Spa-riscono così di colpo villa con piscina, falsi amici egli altri orpelli, e Alice si vede costretta ad abitarecol figlioletto in un lavatoio umido e a frequentarealtri poveracci come lei. Ma sarà proprio tra que-sta umanità, che nella vita precedente Alice igno-rava o bistrattava con la volgarità dell’incolto chemaneggia denaro recente, che la donna troverà ami-ci veri, e anche l’amore (un Raul Bova, immutabileicona di se stesso, con l’espressività di un“botulinato”). Il quale senza difficoltà scoprirà il se-greto della doppia vita cui Alice si è vista costretta.Ma il perdono finale, giunto dopo che egli stesso siè trovato a sperimentare il bisogno, e la dipendenzadal denaro altrui, riporterà all’inevitabile lieto finequesta commedia, Nessuno mi può giudicare , fir-mata da Massimiliano Bruno. Piuttosto scontata,per la verità, per schema narrativo e morale finale,ma colorita da una duttile e vivacissima PaolaCortellesi (Alice), nonché da una serie di bozzettidi genere nella rappresentazione dei clienti e delleloro perversioni, dall’”educazione severa” (comeusava dire nelle “case” d’antan), al travestimento,alle immancabili “sostanze”.

Kim Rossi Stuart nei panni di Vallanzasca

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(Luca Nicotra) - Il18 febbraio si è tenu-ta ad Hong Kong laprestigiosa competi-zione internazionale disalsa Asia PacificSalsa Open Cham-pionships, che que-st’anno ha visto sali-re sul podio dei vinci-tori Marvin Ramos eCristina Iannilli, in arte“Kristin”. Una vitto-ria che ha premiatosoprattutto il nostroPaese, essendo Mar-vin nato a Barranquil-la in Colombia, ma ormai da molti annidomiciliato in Italia (dal 1999), dove vivee lavora come ballerino, coreografo ci-nematografico e teatrale. Il titolo diCampioni Mondiali dell’ Asia PacificSalsa Open Championships rendeorgogliosi in particolar modo i lettori diControluce trovandosi la scuola di bal-lo Sabor de America, diretta daKristin, nell’area dei Castelli Romani,vicino Ciampino, presso il ClubFioranello.Tutto iniziò nel 2004. Il desiderio di tra-smettere, attraverso la danza, emozio-ni uniche vissute fin dalla più teneraetà - Marvin ha iniziato a ballare al-l’età di cinque anni -, ha spinto il balle-rino colombiano a ideare e realizzare ilprogetto Sabor de America, con l’in-tento di portare in Italia il folklore e letradizioni dell’America Latina. Ma ilsuccesso di questo progetto è statopossibile anche grazie alla collabora-zione di Cristina, che ancor prima avevaaffiancato Marvin come ballerina innumerose esibizioni pubbliche in Italiae all’estero, offrendo spettacoli di altascuola in locali, piazze, teatri e trasmis-sioni televisive d’Italia e nelle trasfertein Bulgaria, Svezia, Germania, Fran-

Trionfo mondiale italo-colombianocia, Inghilterra, dovesi sono tenuti i mag-giori Congressi di Sal-sa, riscuotendo sem-pre generosi consensida parte del pubblico.L’attenzione di Mar-vin è stata sempre ri-volta allo studio deipiù particolari e anti-chi stili di danza. Lascrupolosa cura del-l’apprendimento lo haportato a rielaborarein maniera felice-mente personale lostile della salsa, rea-

lizzando cosi un risultato unico nel suogenere. Nonostante molte vicissitudi-ni, quali due interventi operatori ai gi-nocchi a seguito di una caduta duranteun’esibizione di capoeira, Marvin si èsempre fatto coraggio e la sua forza divolontà lo ha spinto dove nessunoavrebbe mai immaginato di poter arri-vare, riprendendo ottimamente la for-ma fisica necessaria per continuare ilsuo ambizioso progetto.Gli spettacoli di salsa di Marvin e Kristinsono pregni di eleganza raffinata, gra-zia, ritmo, misura “matematica” neimovimenti, spesso acrobatici, scanditidalla rigorosa osservanza dei tempi, iltutto reso leggero da una magistraleinterpretazione mimica e colorato daifantasmagorici costumi di scena,sapientemente da loro disegnati.

(Francesca Panfili) - Dal 23 al 27febbraio al Teatro Di Documenti aRoma, il nuovo spettacolo, diretto daCamilla Migliori, ha messo in scenaun testo, firmato da Stefania Porrino,che fonde i generi della narrativa edel teatro. I protagonisti Viola e

Vasco, interpretati da EvelinaNazzari ed Edoardo Persia, si alter-nano a raccontare ciascuno il pro-prio vissuto, ma il loro flusso di co-scienza appare guidato da un terzopersonaggio - un narratore internoalla cornice del racconto - che a trattiinterrompe ponendo un freno all’in-quietudine interiore dei due. Nellesfrenate corse contro il tempo Violasi ritrova prigioniera di un “dialogointerno” di cui le sfugge il controllo,ma dopo essere stata vittima di unincidente stradale il doppio sguardodi lei si estranea dal corpo avvolto inun letto d’ospedale accanto al qualevede seduti il padre e l’ex-marito.Dopo aver interrotto il flusso di pen-sieri che hanno alterato la sua per-cezione del mondo, il narratore pre-senta infine una donna diversa, libe-ra da ogni tipo di condizionamento.Il desiderio di cambiare il mondo ap-parentemente ordinato in cui si erasentito costretto a vivere, aveva por-tato Vasco a rinunciare alla proprialibertà ponendosi al servizio di un’or-

Corpi-Prigioniganizzazione terroristica che utilizza-va la sua genuina motivazione ideo-logica per i suoi principi iniqui. Eragiunto così a uccidere un uomo persalvare l’organizzazione piuttosto chese stesso, giacché la sua libertà giàda tempo non gli apparteneva più. Ilnarratore interrompe il flusso dei suoipensieri e la sua coscienza inizia arisvegliarsi: nessun ideale può vale-re la vita di un uomo. Proprio al mo-mento della condanna egli si senteun uomo libero e capace di esserese stesso al di là del bene e del male.«Non è facile liberarci da limiti chenon vogliamo accettare e che noistessi ci siamo costruiti» confrontan-doci con inutili ideali di perfezione cheda piccoli ci sono stati impressi. «Sa-remo liberi solo quando ci saremo ri-conosciuti prigionieri» e avremo pro-vato compassione anche verso noistessi: nel commento finale il narra-tore-regista invita a lasciare chemente e sentimenti fluiscano tra lepersone, liberi dai loro corpi. La sce-na, opera di Alessandro Ciccone, sicaratterizza per pochi elementi es-senziali, qualche panchina, il tavolodi un bar e qualche sedia, ma soprat-tutto simboliche figure di cartone difronte alle quali i due protagonistiparlano come davanti a uno spec-chio con il proprio alter ego. Una sor-ta di ombre che il terzo personaggio,interpretato da Giulio Farnese, d’im-provviso sottrae ai due protagonistiche, privati del loro intimo specchio,finalmente si incontrano per spec-chiarsi l’uno nell’altro: i due raccontiparalleli si intrecciano e le due ani-me si uniscono al di là della cronacache li divide - lui un omicida, lei unasemplice vittima. L’intimità del lorodialogo dimostra la vacuità di unasorta di velo che troppo spesso co-pre la verità delle essenze.

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Rubrica a cura di: Enrico Pietrangelie-mail: [email protected]

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De André in classe, di Massimiliano Lepratti(Giuseppina Brandonisio) - Come si può conciliarel’etica laica e libertaria di Fabrizio De Andrè con lamorale cattolica? Massimiliano Lepratti, nel suo DeAndré in classe (pubblicato dall’Editrice MissionariaItaliana, lo scorso dicembre, 2010) propone una letturadidattica dei testi del cantautore genovese e concepi-sce un libro biografico e ricco di spunti tematici, rivoltoai giovani studenti. Tracce musicali che si trasformanoin tracce per compiti in classe, allo scopo - sostiene donAndrea Gallo, autore della prefazione - di «promuove-re un rinnovamento profondo del modo di essere e diagire della scuola italiana». Il libro si pone l’obiettivo diavvicinare le diverse interpretazioni della vita all’etica:le istituzioni ai giovani, l’espressione colta alla culturapopolare, il messaggio evangelico all’aspra, cruda edisinibita critica sociale di un cantastorie che comun-que fu un anarchico, anche nel vivere il senso dellapropria religiosità. Secondo il sacerdote, fondatore del-la Comunità di San Benedetto, presso il porto di Geno-va, le opere di De André, citate nel libro di Lepratti,sono quelle che «più sottolineano la “pietas” verso gliemarginati e la morale evangelica-libertaria». I temi,proposti nella seconda parte del libro (mentre nella pri-ma c’è un’accurata biografia, scandita cronologicamen-te), sono pensati in una logica interdisciplinare emulticulturale, per avvicinarsi meglio alla prospettivaartistica e umana che era appartenuta al cantautore.Trovare spunti didattici nei testi di De André, d’altraparte, non è mai stato difficile: i personaggi stilizzatinelle sue ballate hanno già ispirato trattati di filosofia, dilinguistica, di metrica, di storia e di sociologia. La lette-ratura italiana, può fregiarsi ormai da anni della grandez-za della sua poesia, nonostante gli intenti artistici del can-tautore rifuggissero da ogni consapevole pretesa formativao d’insegnamento morale. Con il libro di Lepratti, le ope-re di De André diventano un pretesto per lo studio dellematerie umanistiche, del francese, della religione, per-mettendo allo stesso tempo ai giovani di esprimere leproprie idee e le proprie emozioni. Portare La buonanovella di De André in classe, insomma, appare un’ope-razione lodevole, anche se il pericolo di travisarne il si-gnificato sovversivo resta sempre in agguato.

Volevo vedere l’Africa(Susanna Dolci) - È stato editato dalla casa edi-trice piemontese, L’Araba Fenice Edizioni, natanel 1991 con lo scopo di “di far rinascere libriimportanti, ingiustamente dimenticati dall’edito-ria di largo consumo”. È un volume elegante nel-la grafica ed estremamente agile nella lettura,nonostante la ben visibile corposità. Ricorda, al-tresì, l’accuratezza dei testi di una volta che veni-vano sfogliati con mano esile e delicata per nonarrecar loro danno alcuno. L’autore si chiamaTeresio Asola, classe 1960 in quel di Alba (tramerci, venditori, contadini, nonni, nomi, cognomie memorie ormai perse nelle nebbie medievali),laureato in lingue e manager aziendale. Nonchépadre di un’ottima famiglia, la sua, in quel di Tori-no. Ma più di tutti ed importante assai, scrittore dibella penna e foglio, narratore della miglior tradi-zione italiana ed italica che nulla ha da invidiarealle letterature degli altri mondi ma da far loro,invece ed assolutamente, invidia. Il titolo, Volevovedere l’Africa, prelude ed introduce al viaggio“vero” di azioni e parole, con un protagonista “re-ale” di respiri e gesti ma ed anche “viandante” inun narrativo di norma ir-reale e di ampio respiro.“Swing, cannoni, cammelli e musette. Storia diun giovane, oltre il mare di Alboràn” che possonbastare al lettore ma che non sono sufficienti arendere la fluidità della lettura e la profondità disentimento del protagonista che è, al contempo,uno e più di uno ma anche nessuno ed insiemetutti. Eternamente ascrivibile al tempo im-periturodella scrittura che passa, resta e corre già nell’al-trove di un tempo indefinito nella sua indefinibilità.Ed è così che il protagonista, Primo, ci rivolge dauna foto sbiadita d’oro luccicante uno sguardodai ritmi d’essenza impenetrabile. Di quell’essenzadi colui che sa perché ha visto, sentito, respirato,toccato… Nei ritmi del tempo e delle epoche….Un romanzo del romanzo e nel romanzo chemerita di essere letto perché “semplicemente” dibella scrittura e narrazione. Il che non è poco,assolutamente.

Poesie, di Claudio Damiani(Alberto Pucciarelli) - Claudio Damianinasce a San Giovanni Rotondo, ma vive aRoma dall’infanzia, insegna e scrive poe-sie; normale, ma è anche uno dei nostrimaggiori poeti contemporanei. Le sue rac-colte hanno ricevuto tutti i più importantipremi letterari (Metauro, Aleramo, Mon-tale, Frascati, Mario Luzi, Lerici Pea …).Verrebbe facile pensare all’accademia, aldifficile, allo specialistico fuori dalla vita;è vero tutto il contrario; la sua poesia sisviluppa piana, il suo sguardo vivifica ognipiccola esistenza, e, dal piccolo al grande,il discorso poetico, con purezza lirica rara,approda naturalmente a riflessioni alte efilosofiche: «Che bello che questo tempo /è come tutti gli altri tempi, / che io scrivopoesie / come sempre sono state scritte… Che bello che questo tempo, come ognitempo, finirà / che bello che non siamoeterni, / che non siamo diversi / da nessunaltro che è vissuto e che è morto, / che èentrato nella morte calmo / come su unsentiero che prima sembrava difficile, erto/ e poi, invece, era piano.». Il libro, dal sem-plice titolo Poesie, Fazi Editore, raccogliein 170 pagine un florilegio di liriche, dal1984 al 2010, dalle precedenti opereFraturno, La mia casa , La miniera, Eroi,Attorno al fuoco, Sognando Li Po, oltreall’inedito Il fico sulla fortezza. Nella pre-fazione Marco Lodoli segnala: «Il ritmodei versi è il respiro profondo e ciclico dellavita … è una poesia grandissima perchéva al cuore del problema, là dove la vita ela morte si guardano negli occhi …» eancora «… malinconia e consolazione, undolore grande e la convinzione ancora piùgrande che, nonostante le apparenze, tut-to abbia un senso …». Aggiungiamo noiche in questa poesia vi è una contempla-zione che trasuda essenza; così negli ine-diti finali intenerisce la precarietà del ficosulla fortezza che andrà distrutta, affasci-na la dignità esistenziale della cassiera deldiscount, ed è sublime l’invito «Allora dico:non ci immaginiamo cose tanto strane /ma guardiamo quello che ci sta vicino, /lasciamoci ferire dalla sua bellezza / e nellasua sapienza riposiamo il cuore.»; un mi-racoloso incontro tra poesia e filosofia cheillumina senza abbagliare, rasserena sen-za ingannare.Ma i tempi ci vedono spesso impotentiverso i soprusi messi in atto dalla societào dalla politica, o verso la violenza dellacultura ripudiata e dell’offesa per la giu-stizia negata; e anche Damiani è costret-to a considerazioni e conclusioni tanto lu-cide e potenti quanto amare: «Bisognaavere un cuore di ferro / come Ulisse, pervivere. / Penelope è davanti a noi e pian-ge / e noi dobbiamo tacere, non possiamodire niente, / non possiamo commuoverci./ È tutto così chiaro / eppure non possia-mo rivelarci.». Ma la speranza torna sem-pre, lieve ma ferma: «C’è qualcosa, sì, chenon vediamo, / ma sta ferma e respira /come un animale che dorme. / C’è qual-cosa che sta immobile / al di là del visibile,/ che non vediamo ma sentiamo».

Delle marionette dei burattini e del burattinaio(Enrico Pietrangeli) - L’idea di fondo èquella insita nel teatro, nello specifico del-le marionette, quale rifrazione allegoricadella messa in scena del vivere. Una tra-dizione d’intrattenimento funzionale a pa-rodie e non solo, poiché remota e rap-portabile a quella fiabesca ed orale. Conl’autrice il confine si dilata e confonde,sino a divenire “sfocato”. “Tra fiaba eparabola” vengono comunque situate lecoordinate preposte al lettore perché visi avventuri, gustandone le osservazionigeneranti conseguente ironia, nella con-statazione di ruoli e stereotipi. I personaggi si avvi-cendano dentro e fuori la scena invocando oppureignorando un’accertabile regia nella rappresentazio-ne. Regia che, di fatto, continuamente sfugge nel-l’oblio salvifico per una recita dell’impotenza. Rilet-tura fantastica del teatrino che non è soltanto me-tafora del vivere, ma anche una costante analisi spe-culativa nonché, soprattutto, in accordo alla letturadella Moschini, “una rielaborazione dell’Io in vista diuna traduzione esistenziale post-moderna”. Possibilefiaba “per soli adulti”, di “una scena riflessa” su “spec-chi concavi e convessi” in una teatrale lotta per emer-gere dall’anonimato di un “diorama lirico contempo-

raneo” sono ulteriori osservazioni ap-prontate dal critico Busà. Autrice diopere visive a tema inserite nel libro non-ché sorella di Liliana, Giovanna Ugolinidiviene efficace sintesi del testo attra-verso la copertina, con un’illustrazioneche colpisce nell’interposizione di ma-schere sullo stesso livello del burattinaioe talune valenze di tinte opache sullosfondo. Una riuscita associazione cheva a corredare una struttura mista inprosa e poesia mediando un divertisse-ment fondato sulla ricerca nell’etica di

una ragione accondiscendente all’imponderabile,esito ultimo, questo, del copione di un Grande Bu-rattinaio. “Del Burattinaio non seppi/se non quan-do vidi passare in carri/i veli della storia”. Ricor-dando che “la finzione lavora la realtà”, si toccanoanche argomentazioni attuali, come il digitale e lasua proiezione virtuale, in grado di simulare doppievite. Frutto di una ricollocazione appesa al filo diun comune mistero, marionette, burattini ed umanine condividono magia e tragedia nella disperata ri-cerca di un fine che, attraverso altre mani, distrag-ga e ricomponga altrimenti impossibili sensi voltialla coscienza di un oltre.

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23angolo della poesiaL’ Rubrica a cura di: Giulio Berninie-mail: [email protected]

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Passerò per Piazza di SpagnaSarà un cielo chiaro.S’apriranno le stradesul colle di pini e di pietra.Il tumulto delle stradenon muterà quell’aria ferma.I fiori spruzzatidi colori alle fontaneocchieggeranno come donnedivertite. Le scalele terrazze le rondinicanteranno nel sole.S’aprirà quella strada,le pietre canteranno,il cuore batterà sussultandocome l’acqua nelle fontanesarà questa la voceche salirà le tue scale.Le finestre saprannol’odore della pietra e dell’ariamattutina. S’aprirà una porta.Il tumulto delle stradesarà il tumulto del cuorenella luce smarrita.Sarai tu - ferma e chiara.

Cesare Pavese (1908-1950)

Il Canto degli ItalianiFratelli d’ItaliaL’Italia s’è desta,Dell’elmo di ScipioS’è cinta la testa.Dov’è la Vittoria?Le porga la chioma,Ché schiava di RomaIddio la creò.Stringiamci a coorteSiam pronti alla morteL’Italia chiamò.

Noi siamo da secoliCalpesti, derisi,Perché non siam popolo,Perché siam divisi.Raccolgaci un’unicaBandiera, una speme:Di fonderci insiemeGià l’ora suonò.Stringiamci a coorteSiam pronti alla morteL’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,l’Unione, e l’amoreRivelano ai PopoliLe vie del Signore;Giuriamo far liberoIl suolo natìo:Uniti per DioChi vincer ci può?Stringiamci a coorteSiam pronti alla morteL’Italia chiamò.

Dall’Alpi a SiciliaDovunque è Legnano,Ogn’uom di FerruccioHa il core, ha la mano,I bimbi d’ItaliaSi chiaman Balilla,Il suon d’ogni squillaI Vespri suonò.Stringiamci a coorteSiam pronti alla morteL’Italia chiamò.

Son giunchi che pieganoLe spade vendute:Già l’Aquila d’AustriaLe penne ha perdute.Il sangue d’Italia,Il sangue Polacco,Bevé, col cosacco,Ma il cor le bruciò.Stringiamci a coorteSiam pronti alla morteL’Italia chiamò.Goffredo Mameli, 1847

La pietra ove sgorgano fontiBen oltre le ruvide zolleSvanita da un pezzo la stradaScintillano l’ultime polleE il culmine colma l’arcata

Di su da la cresta del colleDi là dalla vetta argentataDa sopra il profilo un po’ molleDi bruma d’autunno e rugiada

Di là dove un vento ribelleRivela il suo canto tra l’erbeDi là poco sotto le stelleLa voglia d’osare s’accrebbe

La voglia di spazio e infinitoSorprese il mio fragile voloSvelando ben oltre il mio ditoun mondo, oltre l’ultimo polo

E là, solo là la mia metaDipinta la traccia tra i montiSeguendo un sentiero di cretaLa pietra ove sgorgano fonti.Settimio Di Giacomo

Ho compreso il mondoHo guardato ad una porta che non si è mai aperta.Ho camminato per strade a me ignote.Ho cercato una persona mai nata,Ho sposato la solitudine come compagna.Ho tradito l’amicizia per l’amore.Ho parlato a gente che non sentiva.Ho amato i fiori e li ho calpestati.Ho guardato a nord quando tutti stavano a sud.Ho pregato ed ho ascoltato,Ho peccato ed ho compresoHo giocato e son cresciuto.Ho messo altre vesti e tutte mi stringevano.Ho amato la notte tradendo il giorno,Ho riso e pianto.Ho gioito e sofferto.Ho cercato sotto ciò che stava sopra.Ho ascoltato a destra ed ho girato a sinistra.Francesco Basile

MarzoDi notteha sempre vogliadi riuniregruppi di stellecapricciose:sembrache si divertanofra i pinie sul mareinvecesubito piove.Marisa Monteferri

Pini...Pini, figli di Roma,tronchi incrinati, specchi del tempo,streghe che siedonosui collie che sanno.

A volte parlano. Dicevano:il tempo è sereno, il cielo azzurro,la gente felicee il conforto sta nel bello.

Un randagio preda dell’accalappiacanisulla più bella piazza del mondoe che così disperato guaivacongedandosi dalla vita

nemmeno la bambina,che così piangeva per il cane,sapevano cos’è la bellezza,e i pini non glielo dicevano.

E neanche a me dicevano,perché il mondo è così tremendo.

Jaroslaw Iwaszkiewicz (1894-1980)(Versione di Paolo Statuti)

Il periodo clandestinoFu un amore, amici, che doveva finire;credemmo che gli uomini fossero santi,i cattivi uccisi da noi,credemmo diventasse tutta festa e perdono,le piante stormissero fanfare di verde,la morte premio che brillacome sul petto del bambinola medaglia alle scuole elementari.Con pena, con lunga ritrosia,ci ricredemmo.Rimane in noi il giglio di quell’amore.

Mario Tobino (1910-1991)

Si nascevaCase anguste e freddea lume di candelaassistite alla megliodalla nonna del nascituroe dalla mammana di turno

Il fiasco bollivasulla brace del fornelloper assicurare acqua pura

Il fuoco scintillavanel vano del caminorischiarando l’atmosferafumosa e semibuia

L’attesa era soffertae ansiosa più dellancio del satellitenello spazio lunare

Un vagito squillante e fortemetteva fine all’andirivienidei nervosi passi del papàrimbombanti nell’ambitodella cucina.Era una festa per tutti

Marcello Marcelloni Pio

FrammentiTra la cenerevecchi cocci sparsiumidi, ammuffititizzoni di legni arsi,

resti di tegole scrostatecorrosi dal sole cocenteraschiati dal tempo…sembrano esserequei sentimentispazzati dal vento.

Sotto la pioggiabattente, copiosauna mano si chinasola, speranzosa.

Lina Furfaro

Canto XLVIGià il tepore che scioglie le neviriporta primavera, e già al dolcesoffiare dello zéfiro si quietanoi furori del cielo equinoziale.Lascia, Catullo, la pianura frigiae i campi fertili di Nicea torridae vola alle famose città d’Asia.Già freme il cuore in ansia di vagare,già lieto il piede sente nuova forza.O care compagnie d’amici, addio!Lasciata insieme la patria lontana,là ci riportano ora varie vie.

Catullo (84 a.C. - 54 a.C)(da le “Georgiche”, trad. S.Quasimodo)

L’intrusoChe cosa è venuto a cercareAll’incrocio dei continenti alla derivaQuesto fanciullo fragile allattato alle mammelleaffamate di mondi deformi?La sua fama si perde nella notte dei tempiPoiché amaro è il latte nel seno dei popoliChe niente altro hanno da offrireChe odio e violenzaMediocrità e compatimento!Quale avvenire! Dei, quale avvenire!Vittima inerme in un mondo di rapaciL’uomo ferito di questo secoloSarà sepolto dall’uomo.

Hamadoum Ibrahima Issébéré

Hassan“Il dio mioè il dio tuo, di tutti:uno.ArahmaniArahimiAl KadiroAl Gafouro.Vedi, lo scrivo sulla sabbia.Lo puoi chiamarecon sessanta nomie sempre lui ti risponde”.

Maria Lanciotti

EmozioniIl mare dormeIl mare respiraIl mare ansimaIl mare si arrabbiaIl mare s’infuriaIl mare urlaIl mare sorrideIl mare mi parlaIl mare mi accarezzaIl mare mi cullaIl mare mi schiaffeggiaIl mare mi travolgeIl mare mi ascoltaIl mare… è sempre lì,davanti a me,immenso abbracciodella mia anima.

Luca NicotraAttimiAttimo che è dentro di me,dentro di te.Sui nostri voltiche hanno paura di guardarsi,sulle nostre labbrache hanno paura di parlare.Silenzi interminabiliche sembranoscaturire dal vento,attimi che fannodel tuo ricordola mia ragione di esistere.

Leila Spallotta

MigrazionePerduto nei pensieriquando il freddo assale la mentel’amorespezzata celeste prigionesprizza fuorifino alle sensibiliterminazioni di pellea crear figuread alimentar amoreanomalia di mentedormientema ora destapronta a prenderdalla tua menteper far partedel suo il tuo corpo

Armando Guidoni

BandieraCadute lancee gusci d’acciaioqueste manipietose e inarrendevoliricucionolembidell’anticabandiera.

Maria Lanciotti

Amorevole carezzaMollementecon dolcezzadeponi il caposul mio senoAmorevole volauna carezzasui tuoi occhisulle tue labbrati avvolge, caldati acchetaTenero soporenon turbatodal respiro miosoffocato

Armando Guidoni

Con una voglia di pace sulla pelleMasticare rumori di casacolorare sedili in cui si posala lunache riposa in fienili di ricordi(balle di paglia, bolla figlia)da difendere, difendere la memoriache sfolla il cuore e la testain quest'inverno primaverile di primaveriliinverni, un vinile (bianco) lunaregira ora - e non a festa -(sul fianco solare un abbaglio di suonoappare), mentre fuori di quis'assapora una rivoluzionecrudele e di miele forseper chi verrà dopo quest'aborto di pace,chi verrà solo a curare l'orto senza il torto(di dover rompere quello di chi ugualenon è in richezza materiale e non solo),il miele colerà dal vinile lunare forseper chi verrà a dare la manoalla Ricostruzione, a impugnareuna notte di Pace senza ma e senza forse,senza il rumore di spari allattare al senocol senno del poi, e non col non sennodell'ora-distruzione-guerra, mai più.La guerra dev'essere tabù.E i rari fischi alle mie orecchie sono comescricchiolii di sedie antiche, di amichelontane, mai vane, già vecchie.

Caterina Rosolino

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