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SPORT 6 MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012 IL NO AI GIOCHI È una delle manifestazioni più ambite, ma anche un’incognita che rischia di pesare sui conti di un Paese In Canada trent’anni per ripianare il passivo, ad Atene i primi passi verso il baratro. Solo Barcellona s’è rinnovata Le Olimpiadi È STATO forse il peggiore manifesto economi- co di tutte le Olimpiadi e il peggior investimen- to finanziario per chi ne ha dovuto pagare le conseguenze visto che gli abitanti di Montreal hanno finito solo nel 2006, ovvero trent’anni dopo, di pagare i debiti contratti da chi si era im- pegnato per organizzare i giochi. Il simbolo del- la «disfatta» è lo stadio che ha ospitato la manifesta- zione, soprannominato Big Owe, il grande debito. Il sindaco di allora Jean Dra- peau dopo essersi aggiudi- cato le Olimpiadi aveva di- chiarato in pompa magna che i giochi sarebbero stati tranquillamente autofinanziati. II governo ca- nadese, invece, se ne lavò subito le mani, dan- do il proprio consenso alla candidatura solo dopo aver ricevuto dal comitato organizzatore e dalla città una garanzia scritta che non vi sa- rebbe stata richiesta all’esecutivo di ripianare eventuali deficit. L’amministrazione locale de- cise di indebitarsi per una cifra intorno ai 2,5 miliardi di dollari. Il debito è stato saldato nel 2006, anche grazie ad una tassa sul tabacco. Montreal 1976 Un disastro per i cittadini debiti pagati trent’anni dopo © RIPRODUZIONE RISERVATA Città rinate e debiti infiniti quanti modi per gestire lo show a cinque cerchi Per saper quanto si possa guadagnare con lo sport, basta chiederlo ai presidenti delle società di calcio. Non c’è un bilancio i cui ricavi siano in grado di compensare le perdite. La storia è quella di aziende in un rosso continuo, che riescono a sopravvivere grazie alle munificenze di qualche ricco presidente. Nel caso delle Olimpiadi il discorso è più o meno lo stesso, solo che i magnati non si chiamano Agnelli, Moratti o Berlusconi, ma hanno i nomi degli Stati nazionali, dietro i quali ci stanno milioni di cittadini che pagano le tasse. Per realizzare infatti i giochi olimpici è necessario l’appoggio della finanza pubblica, soprattutto laddove la gestione non viene affidata ai privati. Le maggiori voci di spesa sono le infrastrutture sportive, i cui costi di ammodernamento e di messa a norma tendono sempre a lievitare rispetto ai budget iniziali. Per non parlare poi di quando queste strutture devono essere costruite ex novo. Altra voce rilevante sono i costi in sicurezza, perché da sempre le Olimpiadi sono state prese di mira come un grande palcoscenico mediatico per azioni eclatanti soprattutto di terrorismo. Non esiste una formula matematica certa che possa valutare il ritorno economico che giustifichi lo spendere un budget di 5, 10 o 15 miliardi per realizzare i giochi olimpici. Il ritorno di immagine e gli introiti aggiuntivi, che per il paese si trasformano in prodotto interno lordo, sono frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi e a sostenerli sono o le città che si apprestano a ospitare i giochi o lo Stato che si pone come garante. I benefici sono quasi sempre a vantaggio di chi opera come costruttore degli impianti, di chi trasmette gli eventi o di chi fornisce i villaggi olimpici, soggetti economici che lavorano attraverso appalti, sulla cui assegnazione bisognerebbe aprire un capitolo a parte. WALTER GALBIATI Da Montreal a Londra, i Giochi costano cari LA STORIA la ricorda come l’Olimpiade del miracolo economico e del boicottaggio da parte dell’Unione sovietica. Non perché la città californiana ai tempi navigava nell’oro, ma perché la gestione dei giochi, intera- mente privata, si ispirò a una giusta distribu- zione tra ricavi e costi. Le spese furono ridot- te all’osso, tanto che non si realizzò nessuna nuova struttura. Solo la piscina e il velodromo vennero co- struiti ex novo, per il resto si resuscitarono gli im- pianti esistenti e i capita- li utilizzati per finanziare i progetti non ricevettero nessun contributo statale. Per la prima vol- ta, la gestione mostrò un utile di 250 milioni di dollari. Il patron della manifestazione fu Peter Ueberroth che non per nulla fu nomi- nato dalla rivista Times uomo dell’anno. Una delle chiavi di successo fu l’ampio ri- corso al marketing, una voce che da allora di- ventò predominante anche nelle successive manifestazioni, nessuna delle quali tuttavia bissò il successo dell’edizione statunitense. Los Angeles 1984 Un trionfo, anche coi boicottaggi fondi privati e bilancio in attivo © RIPRODUZIONE RISERVATA PRIMA Olimpiade senza boicottaggi dopo tante edizioni, Barcellona fu una grande operazione di immagine tanto che molte strutture nate con l’evento sono diventate delle vere e proprie attrattive della città: dalla cittadella olimpica costruita sulle colline di Montjuich ai camminamenti creati lungo il mare, per- corsi oggi da tutti i turisti che ogni anno si recano nella città catalana. Non si può tuttavia dire che Barcellona e la Spagna siano uscite dai giochi con i conti a posto, ma di certo, stando ai numeri ufficiali, il comitato organizzatore ha chiuso l’edizione con un saldo positivo di 3 milioni di dollari a fronte di ricavi di oltre 1,8 miliardi di euro e di costi per 1,6 miliar- di di euro. La differenza se la sono mangia- ta gli investimenti e quel che è rimasto è appunto il saldo positivo di 3 milioni, an- che se non è noto quanto lo Stato abbia contribuito alla riqualificazione della città. Barcellona 1992 Una città trasformata per sempre ma i costi non furono contenuti © RIPRODUZIONE RISERVATA UN’OLIMPIADE a costo zero. Così doveva es- sere coronato il centenario dei giochi, avviati dall’accensione del fuoco eterno dalla mano tremolante di Cassius Clay. Il bollettino del comitato organizzatore parla di ricavi per 1,686 miliardi di dollari, di costi per 1,202 mi- liardi e di investimenti per 484 milioni di dol- lari. E il risultato dà pro- prio zero. I numeri ufficia- li, veri o no, parlano di un pareggio di bilancio, otte- nuto attraverso una pode- rosa macchina commer- ciale, guidata da William Porter Payne. Il modello è stato ovviamente quello di Los Angeles e l’obiettivo quello di non sfo- rare i conti. Per recuperare parte del capitale investito, lo stadio olimpico non restò come un debito a carico dei cittadini di Atlanta, ma venne trasformato in un campo da baseball e una metà venne smontata per essere vendu- ta pezzo per pezzo. A detta degli organizzato- ri non si risparmiò in sicurezza, anche se la manifestazione fu funestata da una bomba che provocò un morto e centinaia di vittime. Atlanta 1996 Bilancio perfettamente in pari e uno stadio venduto a pezzi © RIPRODUZIONE RISERVATA IL DOSSIER. I costi dell’evento Il giamaicano Usain Bolt, 3 ori olimpici

Le Olimpiadi - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/2012/economia/dossier_15022012.pdf · semblare quattro numeri per le previsioni di ri - cavi per le Olimpiadi 2012. Ma le stime

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SPORTn 6

MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

la RepubblicaIL NO AI GIOCHI

È una delle manifestazioni piùambite, ma anche un’incognita cherischia di pesare sui conti di un Paese

In Canada trent’anni per ripianare ilpassivo, ad Atene i primi passi verso ilbaratro. Solo Barcellona s’è rinnovata

Le Olimpiadi

È STATO forse il peggiore manifesto economi-co di tutte le Olimpiadi e il peggior investimen-to finanziario per chi ne ha dovuto pagare leconseguenze visto che gli abitanti di Montrealhanno finito solo nel 2006, ovvero trent’annidopo, di pagare i debiti contratti da chi si era im-pegnato per organizzare i giochi. Il simbolo del-

la «disfatta» è lo stadio cheha ospitato la manifesta-zione, soprannominatoBig Owe, il grande debito. Ilsindaco di allora Jean Dra-peau dopo essersi aggiudi-cato le Olimpiadi aveva di-chiarato in pompa magnache i giochi sarebbero stati

tranquillamente autofinanziati. II governo ca-nadese, invece, se ne lavò subito le mani, dan-do il proprio consenso alla candidatura solodopo aver ricevuto dal comitato organizzatoree dalla città una garanzia scritta che non vi sa-rebbe stata richiesta all’esecutivo di ripianareeventuali deficit. L’amministrazione locale de-cise di indebitarsi per una cifra intorno ai 2,5miliardi di dollari. Il debito è stato saldato nel2006, anche grazie ad una tassa sul tabacco.

Montreal 1976

Un disastro per i cittadinidebiti pagati trent’anni dopo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Città rinate e debiti infinitiquanti modi per gestirelo show a cinque cerchi

Per saper quanto si possa guadagnare con lo sport, basta chiederlo aipresidenti delle società di calcio. Non c’è un bilancio i cui ricavi sianoin grado di compensare le perdite. La storia è quella di aziende in unrosso continuo, che riescono a sopravvivere grazie alle munificenze diqualche ricco presidente. Nel caso delle Olimpiadi il discorso è più omeno lo stesso, solo che i magnati non si chiamano Agnelli, Moratti oBerlusconi, ma hanno i nomi degli Stati nazionali, dietro i quali cistanno milioni di cittadini che pagano le tasse. Per realizzare infatti i giochi olimpici è necessario l’appoggio dellafinanza pubblica, soprattutto laddove la gestione non viene affidata aiprivati. Le maggiori voci di spesa sono le infrastrutture sportive, i cuicosti di ammodernamento e di messa a norma tendono sempre alievitare rispetto ai budget iniziali. Per non parlare poi di quandoqueste strutture devono essere costruite ex novo. Altra voce rilevante

sono i costi in sicurezza, perché da sempre le Olimpiadi sono stateprese di mira come un grande palcoscenico mediatico per azionieclatanti soprattutto di terrorismo. Non esiste una formula matematica certa che possa valutare ilritorno economico che giustifichi lo spendere un budget di 5, 10 o 15miliardi per realizzare i giochi olimpici. Il ritorno di immagine e gliintroiti aggiuntivi, che per il paese si trasformano in prodotto internolordo, sono frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece sono certi e a sostenerli sono o le città che si apprestanoa ospitare i giochi o lo Stato che si pone come garante. I beneficisono quasi sempre a vantaggio di chi opera come costruttore degliimpianti, di chi trasmette gli eventi o di chi fornisce i villaggiolimpici, soggetti economici che lavorano attraverso appalti, sullacui assegnazione bisognerebbe aprire un capitolo a parte.

WALTER GALBIATI

Da Montreal a Londra, i Giochi costano cari

LA STORIA la ricorda come l’Olimpiade delmiracolo economico e del boicottaggio daparte dell’Unione sovietica. Non perché lacittà californiana ai tempi navigava nell’oro,ma perché la gestione dei giochi, intera-mente privata, si ispirò a una giusta distribu-zione tra ricavi e costi. Le spese furono ridot-

te all’osso, tanto che nonsi realizzò nessuna nuovastruttura. Solo la piscina eil velodromo vennero co-struiti ex novo, per il restosi resuscitarono gli im-pianti esistenti e i capita-li utilizzati per finanziarei progetti non ricevettero

nessun contributo statale. Per la prima vol-ta, la gestione mostrò un utile di 250 milionidi dollari. Il patron della manifestazione fuPeter Ueberroth che non per nulla fu nomi-nato dalla rivista Times uomo dell’anno.Una delle chiavi di successo fu l’ampio ri-corso al marketing, una voce che da allora di-ventò predominante anche nelle successivemanifestazioni, nessuna delle quali tuttaviabissò il successo dell’edizione statunitense.

Los Angeles 1984

Un trionfo, anche coi boicottaggifondi privati e bilancio in attivo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PRIMA Olimpiade senza boicottaggi dopotante edizioni, Barcellona fu una grandeoperazione di immagine tanto che moltestrutture nate con l’evento sono diventatedelle vere e proprie attrattive della città:dalla cittadella olimpica costruita sullecolline di Montjuich ai camminamenti

creati lungo il mare, per-corsi oggi da tutti i turistiche ogni anno si recanonella città catalana. Nonsi può tuttavia dire cheBarcellona e la Spagnasiano uscite dai giochicon i conti a posto, ma dicerto, stando ai numeri

ufficiali, il comitato organizzatore hachiuso l’edizione con un saldo positivo di3 milioni di dollari a fronte di ricavi di oltre1,8 miliardi di euro e di costi per 1,6 miliar-di di euro. La differenza se la sono mangia-ta gli investimenti e quel che è rimasto èappunto il saldo positivo di 3 milioni, an-che se non è noto quanto lo Stato abbiacontribuito alla riqualificazione dellacittà.

Barcellona 1992

Una città trasformata per semprema i costi non furono contenuti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

UN’OLIMPIADE a costo zero. Così doveva es-sere coronato il centenario dei giochi, avviatidall’accensione del fuoco eterno dalla manotremolante di Cassius Clay. Il bollettino delcomitato organizzatore parla di ricavi per1,686 miliardi di dollari, di costi per 1,202 mi-liardi e di investimenti per 484 milioni di dol-

lari. E il risultato dà pro-prio zero. I numeri ufficia-li, veri o no, parlano di unpareggio di bilancio, otte-nuto attraverso una pode-rosa macchina commer-ciale, guidata da WilliamPorter Payne. Il modello èstato ovviamente quello

di Los Angeles e l’obiettivo quello di non sfo-rare i conti. Per recuperare parte del capitaleinvestito, lo stadio olimpico non restò comeun debito a carico dei cittadini di Atlanta, mavenne trasformato in un campo da baseball euna metà venne smontata per essere vendu-ta pezzo per pezzo. A detta degli organizzato-ri non si risparmiò in sicurezza, anche se lamanifestazione fu funestata da una bombache provocò un morto e centinaia di vittime.

Atlanta 1996

Bilancio perfettamente in parie uno stadio venduto a pezzi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL DOSSIER. I costi dell’evento

Il giamaicanoUsain Bolt,3 ori olimpici

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n 7

@MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

la Repubblica PER SAPERNE DI PIÙ

www.coni.itwww.olympic.org

SONO diventati forse uno dei simboli della di-sfatta economica della Grecia. Quella che do-veva essere celebrata come il grande ritorno deiGiochi nella culla che li aveva concepiti è finitaper diventare qualcosa di simile alla sconfitta diTroia. La tragedia sta tutta nei conti della mani-festazione resi pubblici nel 2004 dall’allora mi-

nistro per le finanze Geor-ge Alogoskoufis. I costi cheinizialmente dovevano es-sere di 5 miliardi di euro so-no lievitati fino alla cifraastronomica di 8,95 miliar-di di cui 7,2 a carico delloStato e soli 1,75 sostenutidai capitali privati e dal Co-

mitato organizzatore. La reintrodotta garanziadel governo alla realizzazione delle opere nonha aiutato a contenere le spese. Per il solo vil-laggio olimpico sono stati spesi qualcosa come600 milioni di euro. I costi per la gestione ope-rativa, legati soprattutto alla sicurezza, sono sa-liti a 2 miliardi. Le spese per infrastrutture a ca-rico del governo greco sono passate da 2,5 a 4,6miliardi. Gran parte dei fondi sono stati utiliz-zati per costruire ex novo gli impianti sportivi.

Atene 2004

Il simbolo della catastrofe grecagrande spettacolo e spese folli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

UN PASSIVO di 26 milioni di euro sembrauna cifra piccola per il Comitato organizza-tore, se nel bilancio non vengono presi inconsiderazione i soldi investiti dallo Stato.Per realizzare il circo bianco di Torino 2006fu messo a disposizione un budget di circadue miliardi di euro. A conti fatti, il Governo

stanziò 1,4 miliardi, men-tre degli altri 659 milioni,200 sono stati spesi dalComune di Torino, 300dai privati e 159 da altrienti.

Quei 26 milioni sonoun deficit molto limitatorispetto alle spese, finito a

carico del Comune di Torino. A detta degli or-ganizzatori si sarebbe addirittura potuto evi-tare se tutti avessero mantenuto gli impegni.Il dito fu puntato dagli organizzatori control’allora ministro Giulio Tremonti per aver di-rottato 30 milioni già promessi a Torino 2006ai mondiali di ciclismo di Varese. Senza quel-la decisione Torino 2006 si sarebbe chiusa inpareggio. Come dire però che se non paganoi torinesi, a pagare sono tutti gli altri italiani.

Torino 2006

Slalom e discese quasi in pareggionella festa pagata dagli italiani

© RIPRODUZIONE RISERVATA

METTERE in chiaro i conti delle Olimpiadi diPechino è come voler far luce su quanto am-monta l’evasione in Italia. Si possono solo farestime, perché le cifre che circolano vanno daquelle ufficiali del comitato organizzatore cheparlano di circa 15 miliardi di euro di costi finoalle stime ufficiose che arrivano a 40. Di certo,

più che una operazione fi-nanziariamente sostenibi-le, doveva essere un grandespot per un paese che sicandidava a diventare an-che dal punto di vista del-l’immagine una potenzamondiale. Le autorità cine-si hanno parlato di investi-

menti per 30 miliardi che non sono stati per nul-la ricompensati dalle entrate correnti. Tra tv,marketing, sponsor domestici, biglietti e licen-ze il comitato organizzatore è riuscito a incas-sare poco più di 2,7 miliardi di dollari. E quantosia stato il ritorno dell’evento in termini di getti-to aggiuntivo per le casse dello Stato resta un mi-stero. Gli economisti sono sempre scettici nelvalutare positivamente il ritorno economicoper lo Stato negli investimenti in grandi eventi.

Pechino 2008

Un’operazione di immagineda 15 miliardi (o forse 40)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CHE sappiano fare i conti è certo. Del resto,Londra è la capitale finanziaria europea. Qual-siasi analista della City sarebbe in grado di as-semblare quattro numeri per le previsioni di ri-cavi per le Olimpiadi 2012. Ma le stime contanopoco, perché non di rado le previsioni sulle so-cietà quotate sono sempre rosee, salvo poi ri-

servare sorprese alla fine.Al momento per i Giochi inriva al Tamigi il budget è di9 miliardi di euro, ma gliscettici parlano già un ag-giustamento al rialzo chepotrebbe arrivare fino a 12miliardi per costi non pre-visti. I vantaggi di una ope-

razione simile starebbero nella trasformazionedell’East End di Londra, un’area disagiata, in unquartiere con giardini, spazi lavorativi e alloggi,alla quale si aggiungerebbe il sempre ventilatoritorno di immagine e afflusso di turisti. Glisvantaggi sarebbero un eventuale flop, l’esplo-sione dei costi e il pericolo attentati, in una cittàche ha già conosciuto azioni terroristiche. Ov-viamente i miliardi di cui si parla sono soldi chedevono uscire dalle tasche dei contribuenti.

Londra 2012

Nella City sanno fare i contima il budget è salito alle stelle

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il sondaggio suRoma 2020:siete favorevoli ocontrari alladecisione delgoverno?

REPUBBLICA.IT

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POLITICA INTERNAn 10

MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

la RepubblicaLA CRISI FINANZIARIA

PER SAPERNE DI PIÙwww.repubblica.itwww.difesa.it

Il bilancio si è già ridotto del 30%ma in futuro salari e pensionidovranno calare al 50 per cento

Approvata dal Consiglio dei ministrila riforma. Il ministro Di Paola:“Più operatività e tecnologia”

La DifesaMeno armamenti e generalile spese militari colpite dai tagli

IL DOSSIER.La riforma del governo

La spesa

Gli stipendi del personaleassorbono il 75% del bilancio

La «struttura» della spesa è quella chedovrebbe cambiare quando la riforma delgoverno Monti sarà pienamente a regime(in tutto ci vorranno 20 anni). Oggi il 75%della spesa per la «funzione Difesa»,ovvero le spese del ministero meno ilbilancio dei carabinieri, è destinato astipendi e pensioni dei personale. Il 12%

viene destinato all’esercizio(addestramento, mantenimentodei mezzi, formazione) e il 18%agli investimenti (l’acquisto dimezzi e materiali nuovi). L’idea èquella di riequilibrare a favore

degli investimenti e dell’esercizio: inEuropa l’equilibrio a cui si tende è il 50-25-25. C’è un’altra differenza con i maggioripaesi europei, ed è quella delle percentualidi Pil destinate alla Difesa. In Italia è lo 0,9per cento, in Europa la media è del 1,61%.Ma su questo Di Paola e i militari sannoche «incrementi in queste condizionieconomiche sono impossibili».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

È diventato il simbolo della spesa militare, iltotem attorno a cui danzano i numeri dei taglialla Difesa. La revisione del ministroDi Paola non prevede lacancellazione dell’F-35, il cacciainvisibile ai radar prodotto dallaLockheed Martin e che 40 ditteitaliane (a partire dall’Alenia

Aeronautica) costruiranno anche inuno stabilimento a Cameri, vicinoNovara. L’Italia doveva acquisirne131, secondo fonti del ministerodella Difesa si potrebbe scendere a90 macchine con un taglio del 30%.

«Il programma difficilmente poteva esserecancellato», dice una fonte della Difesa,«innanzitutto perché l’Italia ha già speso 2miliardi di dollari per la fase di sviluppo e percostruire la fabbrica di Cameri». Ma poiperché nel giro di 15 anni andranno sostituitii caccia Tornado, Amx e AV-8B, ovvero tuttala linea dei cacciabombardieri di Aeronauticae Marina. Quei velivoli sono 155.

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Gli squilibri

Un esercito con troppi ufficialibisogna rinunciare a 40mila unità

Da tempo lo ammettevano gli stessi alti gradidella Difesa, dal punto di vista del personale lostrumento militare italiano da tempo erasquilibrato. Troppi ufficiali e sottufficiali inrelazione alla truppa e soprattutto in relazionealla effettiva operatività garantita. La grandesfida della riforma annunciata ieri sarà quindiproprio questa: ridurre i numeri del personale

di circa 40mila unità. Secondoalcune stime preliminari, i tagliriguarderebbero 22 mila militari sui112mila dell'Esercito, 6mila sui 34mila della Marina militare e 10milasui 44 mila dell'Aeronautica. I tagli

dovrebbero ridurre da 22.250 a 18 gli ufficiali,da 25.000 a 18.000 i sottufficiali. Per i graduatidi truppa e la truppa i numeri si aggiranoattorno ad una riduzione da 142 mila militari a115 mila. Sono numeri assai pesanti, che - nonpotendo essere ottenuti con licenziamenti -lasciano ipotizzare il trasferimentosoprattutto dei sottufficiali ad altreamministrazioni dello Stato.

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I risparmi

Accorpare comandi e centri logisticima molti generali si oppongono

La riforma più difficile che il ministro dellaDifesa Di Paola dovrà imporre al suoministero sarà quella di ridurre, accorpare,ridimensionare i comandi, i centri logistici, glienti centrali e territoriali in cui sono articolatele forze armate. Già il precedente capo di Statomaggiore, Vincenzo Camporini, neldisinteresse politico del suo ministro Ignazio

La Russa, aveva provato a unificaread esempio i centri logistici e dimanutenzione per risparmiare sullespese. Ma chiudere enti militari,oltre all’opposizione dei generali(vengono tagliati comandi e centri

di spesa) trova contrari molti membri delParlamento che, in rappresentanza delterritorio, negli anni hanno sempre ostacolatola chiusura di molti comandi militari. In ognicaso, il piano presentato prevede la chiusuradei comandi territoriali dell’Esercito ancoralegati alla vecchia presenza dettatadall’esigenza di gestire la leva, e di molti centrilogistici di Marina e Aeronautica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I progetti

Fregate ed elicotteri da rivederesi va avanti con “il soldato futuro”

Buona parte del dibattito pre-riforma dellaDifesa si è incentrato sull’F-35, il cacciainvisibile ai radar che dovrebbe costare 15miliardi di euro in 20 anni. Ma il progetto diDi Paola prevede altre riduzioni di mezzi emateriali per le tre forze armate. La Marinamilitare, la forza armata «di provenienza»del ministro, dovrà rivedere i suoi

programmi per l’acquisizionedelle fregate franco — italianeFremm e per gli elicotteri NH-90.L’Esercito ha in piedi programmidi ammodernamento nonsoltanto dei mezzi (blindati e carri

armati) ma soprattutto per la creazione del«soldato futuro», ovvero la creazione di unambiente net-centrico in cui il soldatoviene trasformato nel terminale ultimo diun sistema informatico in cui convergonole rilevazioni di sensori come radar o aereispia. Anche in questo caso, come per l’F-35, i programmi verranno rallentati ealleggeriti, ma non cancellati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA — Lo slogan che il ministro della Difesa Giampaolo DiPaola sceglie per presentare la sua riforma è quasi da volantinocommerciale: «Meno generali, meno ammiragli, più operatività etecnologia». Ma per spiegare politicamente la revisione, il ministrocita anche Gramsci: «Per essere cosmopoliti prima bisogna avereuna patria». L’ammiraglio-ministro traduce il pensiero gramscianoin «per essere europei nella Difesa prima bisogna essere italiani».Come dire che per ambire a far parte di un sistema di sicurezzacontinentale intanto bisogna far funzionare bene la Difesa nazionale.La riforma che il governo ha approvato ieri in Consiglio dei ministriha una premessa che il ministro accetta come un dato immutabile:

«Ogni 100 euro di Pil, l’Italia destina alla Difesa 90 centesimi:realisticamente non possiamo chiedere di più». In 10 anniil bilancio si è ridotto del 30%, per cui a ridursi sarannole dimensioni dello strumento militare. Verrannotagliati uomini e mezzi. La «forza» verrà portata da

191mila a circa 150 mila uomini, con un forte tagliodegli ufficiali e dei sottufficiali. Nel lungo periodo

(20 anni) proverà a riequilibrare il modo in cuispende il suo bilancio: oggi con il 70% paga

stipendi e pensioni del personale, in futurola quota dovrà essere 50%.

VINCENZO NIGRO

I numeri

GLI UFFICIALI

Gli ufficiali, cheoggi sono 22.250saranno ridottia 18.000. Da25.000 a 18.000anche i sottufficiali

22.250IL BILANCIO

Il 70% del bilanciocopre le spese perstipendi epensioni: in futurola cifra sarà del50%

70%GLI UOMINI

Il personale,soprattutto traufficiali e sottuf-ficiali, sarà ridottoda 191 mila a 150mila persone

Confermato l’acquisto degli F 35ma ci sarà una riduzione del 30%

Il caccia-simbolo

I CACCIA

Nella foto, ilCaccia LockeedF35. Era previstol’acquisto di 131di questi aereiinvisibili ai radar:una cifra scesaperò a 90 pezzi

150mila

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n 15

@MERCOLEDÌ 15 FEBBRAIO 2012

la Repubblica PER SAPERNE DI PIÙwww.european-council.europa.euwww.moodys.com

Molti sono convinti che tra qualchemese Atene sarà di nuovo in crisie dovrà abbattere ancora il debito

Le misure di austerità fin qui presehanno contribuito a deprimere il Pilsceso del 7% nell’ultimo trimestre

Lo scenario

MAURIZIO RICCI

IL DOSSIER. L’emergenza debito

Grecia, torna l’ipotesi defaultin pochi credono al nuovo pianosenza euro più turisti e capitali0

-1,3

-4,4 -4,4 -4,6

-8,6 -8,0 -7,3

-5,0

-7,0

-3,5

-0,8 -0,7-0,4

20092008 2010 2011

La crescita greca Pil a prezzi costanti per trimestre, in percentuale

12/15GLI ERRORI

Dei 15 defaultdal 1975, S&pe Moody’s in12 casi l’annoprima davanochance al 2%

365LO SPREAD

Dopo il tagliosull’Italia diMoody’s lospread Bund è sceso a 365punti base

PER fare domanda, c’è tempo fino a ve-nerdì: per i suoi uffici di Francoforte -avverte l’apposita bacheca online - la

Banca centrale europea cerca due econo-misti che vadano a rimpolpare la divisioneGestione Rischi. Con la marea di titoli a pe-gno che stanno affluendo a Francoforte,nel quadro dei megaprestiti alle banchelanciati da Mario Draghi, in effetti, il “riskmanagement” - normalmente non un’at-tività di primo piano per un istituto diemissione - si avvia a diventare un pilastrocruciale del lavoro quotidiano della Bce.Anche perché i prossimi mesi si annuncia-no forse più tormentati di quelli appenatrascorsi. L’ennesimo piano di salvataggiodella Grecia, infatti, non è ancora decolla-to e i prossimi passaggi (il via libera Ue, l’ac-cordo con i creditori privati, il voto dei Par-lamenti) sono tutt’altro che scontati. Ma,fin d’ora, fra operatori, analisti, economi-sti e politici si sta facendo largo l’idea che ilpiano serva solo a guadagnare qualchemese. «Presto - ha scritto Wolfgang Mun-chau sul Financial Times - bisognerà inter-venire nuovamente a tagliare il debito gre-co. E questo non è neanche lo scenario piùpessimistico». Sono in molti, infatti, a in-vocare ormai apertamente un default diAtene, l’annuncio che, puramente e sem-plicemente, non intende pagare i suoi de-biti. L’aspetto inquietante è che a dirlo, ora,sono sia gli economisti di scuola anglosas-sone, convinti che l’euro e la Grecia si sal-vano solo con massicci interventi direttidella Bce, sullo stile della Fed americana,che politici tedeschi, olandesi, lussembur-ghesi che, sino ad ora, avevano insistitosulle proprietà risananti dell’austerità.

In parte, è un riflesso della sfiducia nel-l’impegno effettivo della classe dirigente diAtene. Negli ultimi due anni, i governi gre-ci hanno più volte promesso interventidrastici, in materia di liberalizzazioni, pri-vatizzazioni, lotta all’evasione, tagli aglisprechi, che non si sono poi materializza-ti. In parte, però, è anche un mancato rico-noscimento di quanto i greci, in effetti,hanno fatto. In soli tre anni, il disavanzopubblico primario (cioè senza i drammati-ci interessi sul debito) è sceso in misura pa-ri all’8% del prodotto interno lordo. La Gre-cia è anche l’unico paese della Ue, in cui ilcosto del lavoro si sia ridotto (e non di po-co: 5,4%) rispetto alla media degli altri pae-si. In realtà, tuttavia, il fallimento del risa-namento greco è, in buona misura, conse-guenza diretta dei parametri irrealisticiche l’Europa aveva imposto. Come ridurreil disavanzo dal 15 al 3% del Pil entro il 2014o tagliare il debito dal 160 al 120% del Pil en-tro il 2020. Questo calendario accelerato hareso ancora più controproducente la ricet-ta d’austerità imposta all’economia greca.I tagli hanno aggravato la recessione: fra ildicembre 2010 e il dicembre 2011 il Pil gre-co è sceso del 7%, una percentuale daGrande Depressione anni ’30. In questecondizioni, se l’economia non riprende,ridurre il debito è, praticamente, impossi-bile.

Il ministro delle Finanze tedesco, Wolf-gang Schauble, ha recentemente ammes-so che il programma di risanamento greco

non riuscirebbe comunque a ridurre l’in-cidenza del debito greco sul Pil al di sottodel 136%, anziché il 120. In realtà, non famolta differenza. Il 120% è un parametropuramente occasionale, probabilmentescelto perché è esattamente il rapporto de-bito/Pil italiano. La differenza è che l’Italiaha una ricchezza privata e una struttura in-dustriale, fortemente indirizzata alleesportazioni, che rendono quel debito, incondizioni normali, come ha più volte sot-tolineato la Banca d’Italia, indesiderato,ma sostenibile. La Grecia non ha questecarte da giocare. Ecco perché molti econo-misti ritengono che, anche un debito al120% non sarebbe sostenibile: ovvero laGrecia, anche se attuasse tutti gli impegni,non potrebbe, senza ulteriori aiuti, pagarei creditori.

Quale strada allora? Il default, dicono glistessi economisti. Uscendo dall’euro, conuna moneta fortemente svalutata, la Gre-cia potrebbe riguadagnare competitività,attirare turismo e investimenti, riprenderea crescere. Il prezzo da pagare sarebbe unacrisi ancora più grave nell’immediato, av-velenata da fiammate inflazionistiche.L’alternativa, per far tornare l’economiagreca competitiva, tuttavia, insistono, nonc’è: i più maligni osservano che, per porta-re la Germania Est più vicina al livello del-la Germania Ovest ci sono voluti vent’annie migliaia di miliardi di euro di investi-menti e di tasse di solidarietà. Una pro-spettiva, oggi, impensabile a livello euro-peo.

In realtà, la Grecia è destinata, probabil-mente, a rimanere ancora in bilico neiprossimi mesi. Il ciclo elettorale 2012-2013potrebbe modificare gli equilibri politici inFrancia e Germania e modificare le strate-gie anti-crisi. Più semplicemente, l’ultimoprogramma di risanamento, se approvato,potrebbe funzionare meglio di quantoprevedano gli scettici. Resta da capire per-ché l’idea di un default, recisamente esclu-sa fino a pochi mesi fa, sia oggi materia diaperto dibattito. I motivi sono due. Il primoriguarda la Grecia: con un disavanzo, alnetto degli interessi, vicino al 5%, Atenenon è troppo lontana dal punto in cui, se fa-cesse bancarotta e smettesse di pagarequegli interessi, potrebbe comunque assi-curare il funzionamento dello Stato, senzaessere costretta a cercare nuovi (e impro-babili) prestiti. Il secondo riguarda i mino-ri pericoli di contagio agli altri paesi debo-li d’Europa. Italia e Spagna sembrano, og-gi, più solide. Le banche europee, a partequelle greche, hanno avuto il tempo dismaltire il grosso dei titoli di Atene dai loroportafogli e paiono in grado, grazie alleoperazioni di liquidità della Bce, di assor-bire meglio le perdite. I tedeschi per primisi sono preoccupati di far sapere che il pro-gramma di aiuti al Portogallo (il primo in-diziato di contagio dalla Grecia) prose-guirà senza sbandamenti. Il terremoto suimercati, insomma, potrebbe essere conte-nuto. Non sarebbe la prima scommessaazzardata dell’Europa, in questi due annidi crisi. Finora, le ha, quasi sempre, rim-piante.

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La congiuntura

E l’Italia entra ufficialmente in recessioneVALENTINA CONTE

ROMA — L’Italia è in recessione.Ora anche tecnicamente, visto chequest’oggi l’Istat dovrebbe certifi-care, secondo quanto anticipatoda alcuni analisti, il secondo tri-mestre consecutivo con un Pil ne-gativo: -0,2% tra luglio e settembredel 2011, -0,5% (o -0,6%) tra otto-bre e dicembre. Cifre fosche chetuttavia non sorprendono, sem-mai rendono lo scenario per il 2012ancora più allarmante. «Siamopreoccupati del basso potenzialedi crescita dell’Italia», ha ammes-so ieri Olli Rehn, Commissario eu-ropeo per gli Affari economici,commentando i dati del nuovorapporto sugli squilibri macroe-conomici nell’Unione europea.

Un rapporto - il primo da quan-do il meccanismo di “alert”, previ-sto dall’accordo “Six pack” di di-cembre, è entrato in vigore - da cuiemerge un Paese che cresce poco,con troppe debolezze strutturali,un debito pubblico molto alto,quote di export «ridotte del 20% dametà degli anni ‘90» e una bilancia

dei pagamenti «passata da unavanzo del 2% ad un disavanzo di3,5% nel 2010». «Preoccupa il dete-rioramento costante della compe-titività», ha rimarcato Rehn, se-gnalando l’inserimento dell’Italia(che però, con la Spagna, «sta con-ducendo con grande determina-zione le riforme strutturali») nelgruppo di 12 paesi europei a “ri-schio” e dunque “da rivedere”. Ilcampanello d’allarme sensibile anuove instabilità finanziarie - nel-le intenzioni, uno strumento diprevenzione delle crisi “alla greca”- è suonato anche per Francia, Re-gno Unito, Svezia, Finlandia e Da-nimarca, oltre che per i più “scon-tati” Spagna, Belgio, Bulgaria, Ci-pro, Ungheria, Slovenia. In alcunidi questi, ha avvertito Rehn, sareb-be in atto una nuova bolla immo-biliare (Svezia e Danimarca). Così,in attesa di passare l’esame euro-peo (per ora nessuna raccoman-dazione ufficiale dalla Commis-sione), da oggi i conti dell’Italia re-gistrano l’ingresso nella recessio-ne.

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COMMISSARIO

Olli Rehn,commissarioeuropeo per gliAffari Economici

3LE AGENZIE

Solo 3 agenziesonoaccreditate alivello globale:S&p, Moody’s,Fitch