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LE POLITICHE ATTIVE PER IL REINSERIMENTO LAVORATIVO DEGLI INVALIDI DEL LAVORO: il modello sperimentale Inail di Maria Concetta Ambra Tutors: Prof. Massimo Paci Prof. Enrico Pugliese Dottorato in Sistemi Sociali, Organizzazione e Analisi delle Politiche Pubbliche Sapienza Università di Roma Anno Accademico 2009/2010

Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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LE POLITICHE ATTIVE PER IL REINSERIMENTO

LAVORATIVO DEGLI INVALIDI DEL LAVORO:

il modello sperimentale Inail

di

Maria Concetta Ambra

Tutors:

Prof. Massimo Paci

Prof. Enrico

Pugliese

Dottorato in Sistemi Sociali, Organizzazione e Analisi delle

Politiche Pubbliche

Sapienza Università di Roma

Anno Accademico 2009/2010

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INDICE

Presentazione p. 6

I. Concetti, definizioni e quadro generale p. 10

1. La disabilità come concetto

multidimensionale

p. 10

2. Dall’etichettamento alla capacitazione:

l’approccio delle capacità applicato alla

disabilità

p. 16

3. Le persone con disabilità in Italia: i dati e le

fonti ufficiali

p. 20

II. L’evoluzione della protezione sociale delle

persone con disabilità in Italia

p. 32

1. Le società di mutuo soccorso e le prime forme

di assicurazione sociale contro il rischio

infortunio e invalidità.

p. 32

2. Nascita e consolidamento del sistema di

assicurazione obbligatorio

p. 38

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3. Crisi e riforma del sistema di welfare italiano

di fronte ai nuovi rischi sociali

p. 43

III. Le politiche “passive” per le persone con disabilità in

Italia

p. 48

1. Prestazioni per le persone con disabilità civile p. 49

2. Prestazioni per i lavoratori con disabilità p. 53

3. Prestazioni per le persone con una invalidità

lavorativa

p. 54

IV. Il passaggio dalle politiche “passive” alle politiche

“attive” per l’inserimento lavorativo delle persone

con disabilità

p. 60

1. Alle origini delle politiche attive del lavoro:

dal welfare-to-work americano al work first

inglese

p. 63

2. L’approccio work first e le politiche attive del

lavoro per le persone con disabilità

p. 72

3. Verso il modello life first? p. 74

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V. Le politiche per l’inserimento delle persone con

disabilità nel mercato del lavoro italiano

p. 78

1. Dal collocamento obbligatorio al

collocamento mirato

p. 78

2. Gli attori istituzionali per l’inserimento

lavorativo delle persone con disabilità

p. 81

3. La riforma dell’Inail: nuove politiche e

nuovo modello organizzativo

p. 85

VI. Analisi della sperimentazione Inail nei suoi

aspetti organizzativi e nei risultati conseguiti

p. 92

1. Obiettivi della ricerca e metodologia

utilizzata

p. 92

2. I risultati formativi e gli inserimenti

lavorativi delle persone con disabilità

p. 94

3. Conclusioni p. 100

Riferimenti bibliografici p. 106

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Presentazione

Che cosa è la disabilità? Chi sono le persone con disabilità?

Qual è l’incidenza della disabilità sulla popolazione mondiale?

Quante sono le persone con disabilità nel nostro paese? Domande

semplici, ma di non facile risposta, dal momento che l’analisi della

disabilità per lungo tempo è stata complicata non solo dalla presenza

di una molteplicità di definizioni, ma anche dalla mancanza di dati

ufficiali, aggiornati e disponibili. Per avere una idea del problema, si

pensi che tra le vecchie stime globali sull’incidenza della disabilità

nella popolazione mondiale, la più accreditata, quella

dell’Organizzazione mondiale della sanità è del 1976, e calcolava

che circa il 10% della popolazione mondiale fosse affetta da

disabilità. Da allora, sono stati effettuati numerosi studi. Secondo le

ricerche più recenti, svolte all’inizio del 2000, l’incidenza della

disabilità sulla popolazione varierebbe tra lo 0,2% e il 21 %.

Quest’ampia oscillazione dipenderebbe più dai diversi metodi di

ricerca utilizzati per raccogliere i dati e dalle diverse definizioni di

disabilità adottate, che dal numero reale di persone con disabilità

presenti nei vari paesi. Ciò spiega il motivo e l’urgenza con la quale

l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha puntato ad

elaborare una definizione standard e internazionalmente riconosciuta

di disabilità: quella contenuta nell’Internation Classification of

Functioning (ICF), di cui parleremo più approfonditamente nel par.

1.1, dopo aver ripercorso l’evoluzione del concetto attraverso le

precedenti definizioni di disabilità internazionalmente riconosciute.

A partire dalla nuova definizione di disabilità introdotta con l’ICF e

in seguito all’approvazione della Convenzione Onu sui diritti delle

persone con disabilità, ha iniziato a delinearsi un nuovo approccio

alla disabilità, incentrato sui diritti e sulle capacità delle persone. Nel

par. 1.2 illustreremo le caratteristiche del nuovo approccio,

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sottolineando come sia possibile utilizzarlo per una più proficua

analisi del fenomeno della disabilità. Infine nel par. 1.3, dedicheremo

maggiore attenzione ai problemi di definizione della disabilità e di

raccolta dei dati nel nostro paese. L’Istat, infatti ha sottolineato che

le difficoltà di produrre informazioni e dati affidabili e confrontabili

relativi alla disabilità, sono derivate in particolare dalla

disomogeneità delle informazioni disponibili, soprattutto nel periodo

precedente al 2000. Negli anni successivi è stato possibile tuttavia,

raccogliere numerose informazioni sulle persone con disabilità, in

modo da fornire un quadro generale sul numero di persone con

disabilità presenti nel nostro paese e sulla loro inclusione nel mondo

del lavoro.

Nel secondo capitolo si è voluto ripercorrere la traiettoria che

ha condotto in Italia alla nascita di un sistema di protezione sociale

pubblico e obbligatorio, in modo da evidenziare i motivi a

fondamento della sua introduzione. Oggi infatti è in atto una

pericolosa tendenza alla “privatizzazione del rischio”, che sembra

ignorare le motivazioni storiche che hanno portato alla nascita dei

welfare states e che produce come risultato la reintroduzione di

formule private di tutela, inadeguate far fronte ai vecchi e ai nuovi

bisogni. Prima del sistema pubblico, era infatti possibile ricorrere ai

canali di protezione privati (il mercato assicurativo) e a quelli

tradizionali (la famiglia). A fronte dell’insufficienza di tali risposte

private e individuali sono state sperimentate forme collettive di

protezione sociale, come quella del mutualismo. Sono stati i limiti di

quest’ultimo a richiedere l’introduzione dell’intervento statale,

pubblico e obbligatorio.

Di fronte ai nuovi rischi sociali emergenti, tuttavia, l’attuale

sistema inizia a mostrare la sua inadeguatezza e nuovi percorsi di

riforma diventano sempre più urgenti. Nel terzo capitolo sono

descritte le attuali misure (passive) esistenti rivolte alle persone con

disabilità, sottolineando le differenze tra le prestazioni, in base alle

categorie di destinatari cui sono rivolte: invalidi civili, lavoratori con

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disabilità e invalidi del lavoro. Nel capitolo successivo si analizza il

passaggio dalle politiche passive alle politiche attive. Dal modello

originario del welfare-to-work americano, al modello del work first

inglese, fino alla sua applicazione alle persone con disabilità. A

questo approccio si contrappone quello del life first, del quale

vengono illustrate le peculiarità, per metterne in evidenza le

differenze rispetto al più diffuso work first.

Infine la ricerca si concentra sul percorso di riforma

dell’Inail e sul nuovo modello di politiche sperimentali per il

reinserimento lavorativo degli invalidi del lavoro, evidenziando gli

aspetti normativi, istituzionali, funzionali e organizzativi del

processo di cambiamento e delineando le caratteristiche del nuovo

approccio adottato. In conclusione le politiche implementate

dall’Inail, vengono analizzate negli aspetti organizzativi e nei

risultati prodotti in termini di formazione e di reinserimento

lavorativo degli invalidi del lavoro coinvolti, sottolineandone i punti

di forza e di debolezza e in generale per la riforma del sistema di

protezione sociale italiano nel suo complesso.

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CAPITOLO PRIMO

CONCETTI, DEFINIZIONI E QUADRO GENERALE

1. La disabilità come concetto multidimensionale

Il problema della quantificazione del numero di persone con

disabilità dipende in primo luogo dalla natura multidimensionale del

fenomeno stesso. Spesso la disabilità è stata concepita in modo

statico e per questo motivo, le persone che nel corso della propria

vita si sono trovate a far fronte ad un evento disabilitante, ancorché

temporaneo, non sono state incluse nell’universo rilevato, riducendo

in tal modo il numero di persone con disabilità.

“In qualunque momento della nostra esistenza possiamo

sperimentare, magari solo temporaneamente, una situazione di disabilità

causata da una malattia, un incidente, dall’invecchiamento, dall’ambiente

che ci circonda. A volte si tratta di una condizione che sappiamo essere

transitoria o che è possibile superare, a volte invece dobbiamo imparare a

convivere con il nostro limite, e trovare il modo per adeguarci” [Leonardi,

2008].

Sono inoltre escluse dalle rilevazioni, non solo le persone

con una disabilità temporanea, ma anche le persone che, per ragioni

legate all’invecchiamento o all’insorgere di malattie degenerative di

lungo corso, vanno incontro ad un progressivo processo di riduzione

dei livelli di autonomia nella gestione della propria vita quotidiana.

In questi casi infatti si parla di non autosufficienza più che di

disabilità.

Un secondo problema relativo all’analisi della disabilità

riguarda anche il modo in cui essa è valutata. In generale la disabilità

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è verificata non in termini dicotomici (persona abile vs persona

disabile) ma all’interno di un continuum di possibilità e condizioni

diverse. Così come tutti gli individui si differenziano nelle loro

abilità e ognuno presenta capacità diverse rispetto agli altri, allo

stesso modo esistono anche vari tipi di disabilità (fisica, psichica o

relazionale), diversi livelli di disabilità (parziale, totale), oltre che

diverse evoluzioni della stessa (disabilità temporanea o permanente,

progressiva, recessiva o cronica).

Se la disabilità va analizzata all’interno di un continuum, è

anche vero che, per ragioni statistiche, ma anche per poter intervenire

sulla disabilità attraverso una serie di servizi, misure e politiche,

diventa cruciale stabilire dei limiti e delle soglie lungo questo

continuum individuando delle categorie esaustive e mutualmente

esclusive in grado di distinguere tipi e livelli di disabilità. Diventa

quindi estremamente importante stabilire i criteri secondo i quali la

disabilità è riconosciuta. Ecco perché la fase della valutazione della

disabilità e il metodo con cui essa è valutata diventano centrali, dal

momento che, in base al metodo di valutazione del tipo e del livello

di disabilità, si avranno variazioni nella sua definizione e di

conseguenza nell’accesso alle misure e agli interventi destinate alle

persone con disabilità.

Nei sistemi di welfare le persone con disabilità sono tutelate

e supportate attraverso una serie di misure e servizi sia di tipo

medico-riabilitativo, sia di tipo risarcitorio e di compensazione del

mancato guadagno, sia di tipo inclusivo e di promozione della

partecipazione sociale e lavorativa.

In alcuni sistemi di welfare, come accade per esempio in

quello italiano, le misure e le politiche rivolte alle persone con

disabilità si differenziano anche in base alla causa che ha

determinato un certo tipo o livello di disabilità. Per esempio alcune

misure di sostegno economico, sono rivolte esclusivamente ai

lavoratori dipendenti diventati invalidi a causa di un incidente sul

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lavoro o ai pubblici dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni per

cause di “servizio”, mentre la possibilità di accedere a tali misure,

interventi e politiche non è prevista per tutte le persone che

acquisiscano una qualche invalidità per cause accidentali o al di fuori

del contesto lavorativo.

“L’analisi dei dati evidenzia luci e ombre nel welfare italiano,

che si è dotato negli anni di buone leggi e buoni sistemi generali

organizzativi, ma che presenta ancora difficoltà applicative, vuoti

intrecci di competenze e sovrapposizioni di regole” [Leonardi, 2008, p.

10]

Fin qui abbiamo utilizzato le parole invalidità e disabilità come

fossero sinonimi, tuttavia nel nostro sistema legislativo i due termini

non coincidono, dal momento che l’invalidità civile è riconosciuta

dalla legge 118 del 1971, mentre la disabilità è certificata sulla base

di quanto stabilito dalla L. 104/1992.

In realtà il concetto di invalidità civile compare per la prima

volta nel 1939 (L. 636/1939) e fa riferimento all’assicurato la cui

capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, si

sia ridotta a meno della metà in modo permanente, per infermità o

difetto fisico e mentale.

Secondo la L.118/1971, invece, l’invalido civile è un cittadino

affetto da minorazioni (congenite, acquisite o progressive) o da

insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali, la cui

capacità lavorativa si sia ridotta di almeno un terzo, o - nel caso di

minori di 18 anni - con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le

funzioni della propria età. Come si nota, vengono quindi stabiliti due

diversi requisiti necessari per il riconoscimento dell’invalidità civile:

nel caso di persone in età lavorativa (da 18 a 65 anni) il criterio è

quello della compromissione della capacità di lavoro non inferiore ad

un terzo; nel caso di minori, invece il criterio è quello della difficoltà

a svolgere le funzioni proprie della loro età [Leonardi, 2008, p. 23].

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Se non esistono criteri assoluti o definitivi per definire la

l’invalidità e la disabilità, e i concetti e le definizioni usate sono tutte

convenzionali e stabilite per ragioni pratiche, queste vanno anche

incontro a cambiamenti e variazioni nel corso degli anni e da paese a

paese.

Le due prime definizioni di disabilità internazionalmente

riconosciute sono state quella dell’Organizzazione mondiale della

sanità (OMS) nel 1980, e quella dell’Organizzazione delle Nazioni

Unite (ONU) nel 1993.

Secondo la definizione dell’OMS, basata sull’International

Classification od Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH):

“ la disabilità è la conseguenza di una menomazione, intesa come

perdita o riduzione di una struttura o una funzione fisica, fisiologica o

anatomica, che produce una significativa alterazione nelle capacità

dell’individuo indispensabili per condurre la propria vita quotidiana”.

Al concetto di disabilità si associa quello di handicap, ovvero di

svantaggio per l’individuo che è affetto (in maniera temporanea o

permanente) da un certo tipo o livello di disabilità. Se quindi la

disabilità è la conseguenza di una menomazione, essa tuttavia non

comporta necessariamente un handicap, ovvero una limitazione o la

perdita dell’abilità nello svolgimento delle attività quotidiane. Ma la

menomazione, la disabilità e l’handicap sono viste come tre fasi di

un processo, per cui “è necessario fare in modo che una

menomazione non diventi una disabilità e che questa a sua volta non

diventi un handicap, ovvero un ostacolo alla vita sociale di un

individuo”.

La prima versione dell’ICIDH viene approvata dall’OMS nel

1993. Nello stesso anno l’Organizzazione delle Nazioni Unite,

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attraverso la risoluzione “Standard Rules on the Equalization of

Opportunity for People with disabilities”1, precisa che:

il “termine disabilità riassume una grande varietà di differenti

limitazioni funzionali che si verificano in tutte le popolazioni presenti in

tutti i paesi del mondo. Le persone possono essere affette da disabilità che

derivano da menomazioni fisiche, intellettuali o sensoriali, da condizioni

mediche o da malattie. Tali menomazioni, condizioni o malattie possono

essere di natura permanente o transitoria”.

Secondo l’ONU la perdita o la riduzione delle opportunità nel

partecipare liberamente alla vita della comunità allo stesso livello

degli altri costituiscono un handicap. In questo modo quindi il

termine handicap descrive l’incontro tra la persona con disabilità e

l’ambiente circostante. Una persona può essere affetta da un certo

tipo di disabilità sin dalla nascita, senza tuttavia esperire alcun

ostacolo o svantaggio. Gli svantaggi nascono infatti dall’interazione

con un contesto circostante in cui esistono barriere fisiche

(architettoniche), sociali e strutturali (barriere nell’accesso al mercato

del lavoro), culturali o psicologiche. Di conseguenza l’handicap non

esiste nei contesti privi di tali barriere e può essere eliminato -

laddove esiste- attuando delle politiche di “discriminazione positiva”,

ovvero delle misure che tengano in considerazione in particolare le

esigenze delle persone disabili in modo da bilanciare le pre-esistenti

situazioni di disuguaglianza.

Nel 2001 l’OMS elabora una ulteriore classificazione della

disabilità sulla base dell’International Classification of Functioning,

Disability and Health (ICF)2. Secondo tale classificazione la

1 The Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Persons with

disabilities è disponibile on line su

http://www.un.org/esa/socdev/enable/dissre00.htm

2 ICF è disponibile su Internet all’indirizzo: www.who.int

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disabilità non si basa più sulle conseguenze di una malattia, ma sul

più ampio concetto di salute, inteso da un punto di vista biologico,

individuale e sociale. Le precedenti dimensioni (menomazioni,

disabilità ed handicap) vengono quindi sostituite dalle più neutrali

funzioni/strutture, attività e partecipazione, nei loro aspetti positivi e

negativi. Le funzioni corporee sono intese in senso fisico e

psicologico. Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo

umano, e le menomazioni sono quindi le limitazioni alle strutture o

alle funzioni del corpo di un individuo. Le attività dell’individuo

riguardano la possibilità di svolgere le azioni quotidiane e le

limitazioni sono tutte le difficoltà che un individuo può incontrare

nel compierle. La partecipazione è il coinvolgimento dell’individuo

nelle situazioni della vita in relazione alle sue condizioni di salute,

alle funzioni e strutture corporee, alle attività e ai fattori di contesto.

La restrizione della partecipazione è un problema che l’individuo

sperimenta nel modo in cui viene coinvolto nelle situazioni della

vita. La salute globalmente intesa (e la disabilità) dipende quindi

dalle funzioni e dalle strutture corporee, dalla capacità di svolgere le

attività quotidiane e dai fattori di contesto che facilitano o limitano la

partecipazione dell’individuo alle situazioni della vita.

La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della

Disabilità e della Salute (ICF) a partire dal maggio del 2001 viene

adottata all’unanimità dall’Assemblea Mondiale della Sanità3. In

questo modo si supera il modello medico di disabilità, che si fonda

sulle conseguenze della malattia e si mette invece al centro della

valutazione il funzionamento che deriva dall’interazione tra la

persona e l’ambiente. Nell’ICF, pertanto, la disabilità è il risultato

dell’interazione tra l’individuo e un ambiente non favorevole.

3 Successivamente, nel 2007, viene presentata ufficialmente la versione

ICF-CY (Children and Youth), che rappresenta una estensione della

classificazione per i bambini e i giovani.

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2. Dall’etichettamento alla capacitazione: l’approccio

delle capacità applicato alla disabilità

La letteratura esistente ha classificato le politiche per le persone

con disabilità in base al tipo di intervento da esse previsto. In un

lavoro del 1985 Semlinger e Schimdt [in Bergeskog 2001] avevano

individuato tre tipi di politiche: a) le politiche di tipo regolativo; b)

le politiche di tipo compensativo; c) le politiche di tipo sostitutivo.

Le prime avevano lo scopo di regolare direttamente o indirettamente

il comportamento degli attori, attraverso condizioni, obbligazioni,

proibizioni. Ne sono un esempio le politiche che impongono una

quota di riserva, ovvero che stabiliscono una percentuale di persone

con disabilità da inserire nel mercato del lavoro. Le politiche

compensative puntano invece a rendere le persone con disabilità

uguali alle persone senza disabilità, attraverso risorse finanziarie,

materiali o umane che accrescano le loro competenze, migliorandone

la capacità. Questo è ciò che accade per esempio attraverso le misure

di formazione professionale o con le misure di abbattimento delle

barriere architettoniche, che puntano a riadattare il luogo di lavoro in

modo da renderlo accessibile alla persona con disabilità. Le politiche

sostitutive, invece sono un tipo di misure riservate esclusivamente

alle persone con disabilità e che puntano a creare particolari ambienti

protetti, per esempio nel caso delle misure di inserimento in

particolari cooperative sociali, nelle quali sono creati posti di lavoro

speciali per le persone con disabilità.

Bergeskog [2001] ha invece distinto le politiche per le persone

con disabilità in politiche speciali e politiche generali. Nel primo

caso (targeted programmes) le misure sono destinate esclusivamente

alle persone con disabilità e si distinguono perché prevedono dei

tempi più lunghi e sono più generose. Nel secondo caso (mainstream

programmes), le misure esistenti sono pensate per rispondere allo

stesso tempo alle esigenze di tutti, incluse le persone con disabilità.

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In alcuni paesi le persone con disabilità possono accedere sia a

misure specifiche, sia a misure generali. Laddove invece le politiche

esistenti siano destinate esclusivamente alle persone con disabilità,

può sorgere il problema di discriminazione, o segregazione e quindi

di mancata inclusione sociale e partecipazione da parte delle persone

con disabilità alla vita della società.

Per evitare l’attuazione di politiche, misure e servizi ghettizzanti,

segreganti e discriminanti, recentemente è stato posto l’accento sulla

necessità di passare da un approccio passivo, in cui i requisiti di

accesso erano legati alla “etichetta della disabilità”, ad un approccio

attivo e abilitante, nel quale la persona possa essere considerata non

per le sue inabilità e con l’obiettivo di garantirle la sopravvivenza ma

sulla base delle capacità che possono essere rafforzate, in modo da

assicurarle la possibilità di vivere una vita piena e significativa.

Secondo Neil Crowther [2009, p. 67], direttore dei programmi

sulla disabilità presso la BEHCR - Britiskh Equality and Human

Rights Commission:

“per sostenere i diritti umani delle persone con disabilità non

basta eliminare gli ostacoli ma serve un’azione positiva per fornire

loro tutte le opportunità e i mezzi concreti e necessari per vivere

pienamente”.

Ogni essere umano e quindi anche le persone con disabilità

hanno il diritto di vivere la propria vita in modo libero ed eguale

rispetto agli altri, senza subire discriminazioni, limitazioni o

esclusioni. Per fare ciò quindi non basta assistere in modo “passivo”

una persona con disabilità, ma è necessario promuovere un approccio

attivo e abilitante che sia in grado di attuare quelle azioni necessarie

per inserire la persona con disabilità nel contesto sociale, relazionale

e lavorativo al pari delle persone senza disabilità.

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Un passo in avanti in questa direzione viene realizzato nel 2006,

con l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone

con disabilità4. La convenzione sottolinea l’attenzione della comunità

internazionale al tema della disabilità, segnando la nascita di un

nuovo approccio basato sul riconoscimento dei diritti umani e sul

rafforzamento delle capacità. L’obiettivo è quello di:

“promuovere, proteggere e assicurare il pieno e uguale godimento di

tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità. In

questa prospettiva, la condizione di disabilità viene ricondotta alla

esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a

quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a

lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla

società” [Borgnolo G. et al.,2009, p. 8].

La convenzione viene sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007, e

ratificata dal Parlamento italiano nel 20095. La ratifica della

Convenzione nel nostro paese comporta la necessità di rivedere il

nostro sistema normativo e legislativo, in modo da renderlo

conforme ai principi stabiliti nella Convenzione. Ciò implica una

trasformazione culturale destinata ad introdurre un nuovo impianto

concettuale, basato sull’approccio dei diritti, volto ad orientare

l’erogazione di servizi sociali e l’implementazione di politiche nei

confronti delle persone con disabilità. In tal modo diventa cruciale

spostare l’attenzione da politiche di tipo assistenziale a politiche di

inclusione, le quali concepiscano la disabilità come una condizione

che ogni essere umano si trova prima o poi a vivere nel corso della

4 Approvata a New York, il 13 dicembre del 2006 dall’Assemblea Generale

delle Nazioni Unite.

5 Si veda la legge 3 marzo 2009, n. 18, recante “Ratifica ed esecuzione della

Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”.

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propria esistenza. Si tratta quindi di un approccio universale e

destinato quindi a tutti i cittadini.

All’interno del nuovo approccio, viene assegnato un ruolo

importante alle politiche di prevenzione e alle politiche di

riabilitazione. Le prime hanno l’obiettivo di ridurre l’incidenza della

disabilità, rafforzando per esempio i controlli sulla sicurezza del

lavoro, monitorando i periodi di malattia dei lavoratori, in modo da

intervenire precocemente. Le politiche di riabilitazione invece

puntano a riabilitare la persona e permetterle di mantenere alti livelli

di autonomia. Non si tratta soltanto di un percorso di tipo clinico, ma

anche di un percorso di attivazione, di supporto psicologico, di

ricostruzione della propria autostima, di consulenza motivazionale,

di acquisizione di nuove competenze e capacità, e di ricerca delle

migliori soluzioni per partecipare alla vita sociale e lavorativa,

agevolando l’interazione tra la persone disabile e l’ambiente che lo

circonda. Rientrano in questa categoria anche le misure tese ad

intervenire sul luogo di lavoro in modo da riadattare l’ambiente

lavorativo alle mutate esigenze del lavoratore con disabilità,

evitandone quindi la fuoriuscita dal mercato del lavoro.

Con l’introduzione dell’ICF e con la ratifica da parte del nostro

paese della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità,

si delinea quindi un nuovo obiettivo: quello di realizzare un modello

dinamico e integrato di politiche e servizi socio-sanitari, in grado di

superare la frammentazione delle risposte, caratterizzato da una

offerta di interventi rivolti alla persona e alle famiglie, lungo tutto il

percorso della vita, e in grado di sostenere le fragilità, favorendo la

promozione e lo sviluppo di capacità individuali e di reti familiari.

E’ importante però che tale modello sia inserito all’interno di un

sistema di welfare, non discriminante e più rispondente alle diverse e

molteplici esigenze delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

Un welfare più di tipo comunitario, capace quindi di attivare in un

circuito virtuoso le famiglie, il volontariato e l’associazionismo

[Leonardi, 2008, p. 10].

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Sulle attuali caratteristiche del nostro sistema di welfare, e sui

cambiamenti che sono intervenuti negli anni, ma anche sulle

resistenze che ancora ostacolano una sua compiuta trasformazione, si

rimanda al secondo capitolo.

3. Le persone con disabilità in Italia: i dati e le fonti

ufficiali

Per avere un quadro del numero di persone con disabilità e con

invalidità presenti nel nostro paese, è necessario far riferimento a

diverse fonti ufficiali, dal momento che, come già ricordato, la

definizione di disabilità utilizzata nella raccolta dei dati, cambia in

base alle diverse rilevazioni effettuate e ai diversi criteri in esse

utilizzati. E’ fondamentale però precisare che non è possibile unire

dati provenienti da fonti diverse per ottenere una stima complessiva

del numero delle persone con disabilità, poiché ciò significherebbe

considerare persone individuate con parametri diversi. Per esempio

spesso si usano in modo impreciso termini come disabile,

handicappato, invalido, inabile e così via. Ma la disabilità e

l’invalidità, per quanto possano apparire come sinonimi, in realtà

sono due concetti differenti. Infatti mentre l’invalidità riguarda il

diritto di percepire un beneficio economico in conseguenza di un

danno biologico, a prescindere dalla valutazione di autosufficienza, e

fa riferimento alla legge 118 del 1971, la disabilità si riferisce alla

capacità di una persona di espletare autonomamente (anche se con

ausili) le attività fondamentali della vita quotidiana e si riconduce

alla legge 104 del 1992.

Una fonte di dati che potrebbe essere utile a stimare il numero di

disabili in Italia è la certificazione dell'handicap, prevista appunto

dalla legge n. 104/92. In ogni ASL esistono infatti apposite

Commissioni mediche che hanno il compito di certificare la

disabilità. Purtroppo però tali dati non sono utilizzabili, per due

Page 21: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

21

ordini di motivi. In primo luogo non vengono adottati criteri di

rilevazione e strumenti di registrazione uniformi. Esistono infatti

certificati diversi, da quello per la certificazione dell’invalidità civile

a quello per la definizione della situazione di alunni con handicap; da

quello per gli interventi assistenziali rivolti agli anziani non

autosufficienti a quello per l’individuazione delle capacità residue

delle persone con disabilità a fine lavorativo. Inoltre tali dati non

sono disponibili su supporto informatico, né si è cercato di effettuare

una rilevazione statistica a livello nazionale. Di conseguenza al

momento l’unica fonte di dati ufficiali cui è possibile far riferimento

per stimare il numero di persone con disabilità nel nostro paese, è

costituita dall’Indagine Istat [2007] sulle Condizioni di salute, fattori

di rischio e ricorso ai servizi sanitari del 2004-2005. Si tratta di

un’indagine campionaria, svolta mediamente ogni cinque anni, per

l’osservazione delle condizioni di salute della popolazione italiana.

Attualmente essa rappresenta l’unica fonte di dati organizzata,

informatizzata ed uniforme a livello territoriale in grado di fornire un

quadro abbastanza completo, sebbene non esaustivo6, sulle persone

con disabilità che hanno un età superiore ai sei anni e che vivono in

famiglia. Per rilevare il fenomeno della disabilità l'Istat ha utilizzato

una serie di quesiti predisposti da un gruppo di lavoro dell'Ocse

(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico),

sulla base della definizione di disabilità proposta nel 1980

6 L’indagine Istat non è esaustiva in primo luogo perché esclude i bambini

con una età inferiore ai 6 anni, in quanto lo strumento utilizzato, ovvero la

scala di misurazione dell’autonomia nello svolgere le attività della vita

quotidiana, andrebbe a considerare disabili tutti i minori, anche quando non

lo sono. In secondo luogo, sono escluse anche le persone con disabilità che

vivono stabilmente in istituti (per i quali è necessario fare riferimento alla

rilevazione dei presidi socio-assistenziali). Infine è difficile rilevare i casi di

disabilità mentale, non solo a causa dello strumento, più basato sulle

capacità fisiche e sensoriali della persona che su quelle mentali, ma anche

perché molto spesso le persone tendono a non dichiarare le malattie mentali.

Page 22: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

22

dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nella Classificazione

Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Handicap (ICIDH7).

Sono quindi considerate persone con disabilità coloro che,

escludendo le condizioni riferite a limitazioni temporanee, hanno

dichiarato di non essere in grado di svolgere le abituali funzioni

quotidiane, pur in presenza di un eventuale ausilio (protesi, bastoni,

occhiali, ecc..)8. Secondo le stime ottenute da questa indagine, le

persone con disabilità in Italia sarebbero circa 2 milioni e 600 mila,

pari al 4,8% circa della popolazione di 6 anni e più che vive in

famiglia. A queste vanno aggiunte le persone con disabilità o anziani

non autosufficienti residenti nei presidi socio-sanitari (190.134

persone secondo la rilevazione del 2003) arrivando quindi ad un

totale di circa 2 milioni 800 mila persone con disabilità. Se si

considerano infine anche le persone che dichiarano di svolgere le

attività della vita quotidiana con difficoltà, il totale arriva a 6 milioni

e 500 mila, pari all’11% della popolazione italiana, dato in linea con

le stime nei principali paesi europei. I dati Istat mostrano anche come

varia il tasso di disabilità tra le diverse aree geografiche del nostro

paese, sottolineando un tasso più alto nelle isole (5,7%) e nelle

regioni del mezzogiorno (5,2%) rispetto alle regioni del Nord (4,2%)

e del centro (4,9%)9. Tali dati non ci permettono però di distinguere

7 Il punto focale di tale classificazione è la sequenza di definizioni che porta

dalla menomazione all’handicap: la menomazione è il danno biologico che

una persona riporta a seguito di una malattia (congenita o meno) o di un

incidente; la disabilità è l’incapacità di svolgere le normali attività della vita

quotidiana a seguito della menomazione, l’handicap è lo svantaggio sociale

che deriva dall’avere una disabilità.

8 Le funzioni essenziali della vita quotidiana comprendono il sentire, vedere

e parlare, l’autonomia nel camminare, nel salire le scale, nel chinarsi, nel

coricarsi, nel sedersi, vestirsi, lavarsi, fare il bagno, ecc..

9 La regione con il tasso di disabilità più alto è la Sicilia (6,6% della

popolazione), mentre in Trentino si riscontra il tasso più basso (3%).

Page 23: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

23

le persone con disabilità, dalle persone con una invalidità (sia essa

civile o lavorativa).

Per conoscere il numero di invalidi civili presenti nel nostro

paese è possibile fare riferimento al Casellario Centrale dell’Inps, nel

quale vengono raccolti i dati sui titolari di pensioni10

. Secondo tali

dati, nel 2005, i beneficiari di pensioni e/o indennità di

accompagnamento per gli invalidi civili erano circa 2,2 milioni. Di

questi, circa il 43% residenti nelle regioni meridionali, il 37% nelle

regioni del Nord e il restante 20% nel Centro.

Il numero di invalidi del lavoro è fornito invece dalla Banca dati

disabili Inail, aggiornati annualmente. Secondo tali dati, al 31

dicembre del 2007, gli invalidi del lavoro titolari di rendita sono in

tutto oltre 832 mila, la maggioranza dei quali uomini (oltre 714

mila). Anche in questo caso si rileva una percentuale maggiore di

invalidi del lavoro nell’area Sud e Isole, dove si concentra il 31% del

totale, e una percentuale minore nell’area Nord est, con il 21% del

totale. I dati Inail ci permettono anche di conoscere il dettaglio

regionale, individuando quindi le regioni che presentano un numero

maggiore di invalidi del lavoro. Nel 2007 (si veda il grafico 1

sottostante), le regioni che presentano percentuali maggiori di

invalidi del lavoro sono: Lombardia (con il 12,1% del totale di

invalidi del lavoro), Toscana (10,4%), Emilia Romagna (9,3%),

Veneto e Sicilia (entrambe con il 7,5%), Campania (6,5%), Piemonte

(6,3%) e Lazio (6,2%).

10

All’interno del casellario, i beneficiari di pensioni vengono distinti in

sette gruppi: 1) CIV invalidità civile; 2) SUP superstiti, 3) VEC vecchiaia,

4) SOC sociale, 5) GUE guerra; 6) IND indennitarie, 7) invalidità.

Page 24: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

24

Graf. 1- Tasso di invalidità lavorativa nelle regioni italiane (2007)

Fonte: Banca dati disabili Inail, disponibile su http://bancadatidisabili.inail.it/

Poiché i dati Inail sono raccolti annualmente, è possibile anche

osservare quali siano stati i cambiamenti verificatisi nell’anno

successivo. Confrontando i dati del 2007 con quelli del 2008 (si veda

la tabella 1 sottostante), è possibile osservare che nonostante il

numero totale di invalidi del lavoro titolari di rendita al 31 dicembre

del 2008 sia diminuito, passando da oltre 832 mila a circa 795 mila,

tuttavia la distribuzione nelle diverse aree geografiche non si è

modificata. A livello regionale, invece, limitandoci alle otto regioni

sopra considerate, si notano tre diversi andamenti: una riduzione in

Toscana (dal 10,4% al 10,3%), Emilia (dal 9,3% al 9,2%) e Piemonte

(dal 6,3% al 6,2%); un aumento in Lombardia (dove si passa dal

12,1% al 12,2%) e Sicilia (dal 7,5% al 7,6%); una situazione stabile

in Campania e Lazio.

Page 25: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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Tab 1- Invalidi del lavoro titolari di rendita Inail. Anni 2007-2008

2007

MASCHI FEMMINE TOT %

NORD-OVEST 164.783 24.881 189.664 23%

NORD-EST 149.076 26.000 175.076 21%

CENTRO 173.750 32.917 206.667 25%

SUD E ISOLE 227.243 33.387 260.630 31%

ITALIA 714.852 117.185 832.037 100%

2008

MASCHI FEMMINE TOT %

NORD-OVEST 157.478 23.929 181.407 23%

NORD-EST 142.394 24.957 167.351 21%

CENTRO 165.453 31.196 196.649 25%

SUD E ISOLE 218.590 31.834 250.424 31%

ITALIA 683.915 111.916 795.831 100%

Fonte: Banca dati disabili Inail, disponibile su http://bancadatidisabili.inail.it/

Sia la disabilità sia l’invalidità sono fortemente correlate

all’avanzare dell’età. Secondo i dati Istat [2004-2005] tra le persone

con una età superiore ai 65 anni, la quota di popolazione con

disabilità è di circa il 19%, mentre tra le persone con una età

superiore agli 80 anni si arriva al 45%. Inoltre poiché nel nostro

paese l’allungamento della speranza di vita ha riguardato in

particolare le donne, si osserva un tasso di disabilità femminile di

gran lunga superiore a quello maschile (il 6,1% vs il 3,3%). A fronte

di una maggiore percentuale di donne disabili, tuttavia, come rilevato

dai dati Inail, sono gli uomini i maggiori percettori di rendita per

invalidità lavorativa.

Page 26: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

26

L’indagine Istat offre anche informazioni in merito alla

partecipazione delle persone con disabilità al mercato del lavoro.

Circa il 18% delle persone con disabilità con una età compresa tra 15

e 44 anni si dichiara occupato, contro il 62,5% delle persone senza

alcuna disabilità. Tale percentuale scende al 17% nella classe di età

compresa tra 45 e 64 anni, rispetto al 55% nel resto della

popolazione nella stessa classe di età. Attualmente la sfida dell’Istat

riguarda la possibilità di fornire informazioni attendibili sulla

disabilità utilizzando non la vecchia classificazione ICIDH ma la

nuova classificazione ICF, superando così la mera considerazione

delle limitazioni funzionali per valorizzare invece l’interazione tra le

condizioni di salute e i fattori ambientali [Solipaca A., 2009, p. 110].

Un’altra fonte di dati che ci fornisce una rilevazione sull’offerta

di lavoro in Italia, stimando anche il numero di persone con

disabilità11

in età lavorativa è l’Indagine campionaria Isfol-Plus

200512

, condotta su un campione di 40 mila italiani che vivono in

famiglia. Secondo questa indagine, nel 2005 le persone che

dichiarano di soffrire di una riduzione continuativa di autonomia

sono circa 526 mila (pari al 2,2% della forza lavoro). Risulta

confermata la stretta correlazione esistente tra disabilità ed avanzare

dell’età. Tra le persone con una età compresa tra i 50 e i 64 anni, la

11

Nella rilevazione Isfol- Plus 2005, la persona disabile è quella che

dichiara di avere una riduzione continuativa di autonomia, ovvero di patire

un problema di salute che dura da più di sei mesi e che crea difficoltà in

modo continuativo nelle attività di tutti i giorni, al punto da chiedere aiuto

ad altre persone.

12 L’indagine Isfol-Plus è una rilevazione campionaria alla sua terza

annualità, con l’obiettivo di costruire una base informativa per le analisi del

mercato del lavoro italiano, in un’ottica di complementarietà con le fonti

nazionali già disponibili (Istat e Inps) e secondo un approccio integrato.

Page 27: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

27

percentuale di persone con disabilità (pari al 59,5%) è maggiore

rispetto alla popolazione italiana senza disabilità (23,6%).

Nella seconda annualità dell’indagine, Isfol-Plus 2006, viene

stimato un numero di persone con disabilità in età lavorativa minore

rispetto alla rilevazione precedente, ovvero di circa 426 mila persone

(pari all’1,8% della forza lavoro). La percentuale di occupati tra le

persone con disabilità (44,8%) risulta di gran lunga inferiore rispetto

a quella di occupati tra le persone senza disabilità (66,5%). Si rileva

inoltre una maggiore dipendenza delle persone con disabilità dai

trasferimenti monetari, per il sostegno e le pensioni, rispetto alla

popolazione non disabile. Tra le persone con disabilità, circa il 35%

riceve infatti una pensione (di vecchiaia o invalidità), rispetto all’8%

delle persone senza disabilità. Una lettura per area geografica degli

occupati mostra la maggiore possibilità di impiego delle persone con

disabilità nel Nord Italia ed in particolare nell’area del Nord Est dove

è occupato circa il 54% delle persone con disabilità. La ripartizione

in cui invece il numero di persone con disabilità impiegate è più

bassa è quella dell’Italia centrale (35,4%).

Le persone con disabilità, in età lavorativa che si iscrivono

presso i centri per l’impiego all’elenco del collocamento mirato

hanno la possibilità di accedere alle misure previste dalla L. 68/99 e

alle specifiche leggi regionali. E’ possibile conoscere il numero degli

iscritti ai Centri per l’impiego, sulla base dei dati forniti dal

Ministero del Lavoro e presentati nelle “Relazioni al Parlamento

sullo Stato di attuazione della L.68/1999”. Secondo tali dati il

numero di persone con disabilità iscritte ai centri per l’impiego è

cresciuto progressivamente e costantemente, fino al 200813

.

Particolarmente alto risulta il numero di iscritti nell’area Sud e Isole

(62,7% del totale), mentre l’area del Nord Est costituisce il bacino

13

Si è passati da circa 575 mila iscritti nel 2004 a 645mila nel 2005; da 699

mila nel 2006 a 768 mila nel 2007.

Page 28: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

28

numericamente più ridotto (il 7,7%), seguita dall’area del Nord

Ovest (12%) e dal Centro Italia (18%). Per quanto riguarda gli

avviamenti le persone con disabilità trovano più facilmente impiego

nel settore della pubblica amministrazione, dell’istruzione e della

sanità (40,2%) e nel settore industriale (23,4%), rispetto ai settori

dell’intermediazione finanziaria e dei servizi alle imprese

(1,9%)[Ministero del Lavoro, 2007, p. 60]. Nel 2007 sono stati

realizzati oltre 31mila avviamenti al lavoro e per la prima volta, il

numero di avviamenti nel Nord Est (10.151) ha superato quelli del

Nord Ovest (9.692)[ibidem 2007, p. 91].

Secondo i dati più recenti, a partire dal 2008 si è verificata

invece una riduzione del numero di iscritti, che scende a circa 721

mila nel 2008 e si riduce ancora di oltre 15 mila unità nell’anno

successivo, arrivando a circa 706 mila persone nel 2009. Tale

contrazione risulta in particolare a carico della componente

femminile (-11.719 unità). Nonostante la riduzione del numero degli

iscritti nel biennio 2008-2009, la distribuzione geografica, con la

preponderanza di iscritti nelle regioni del Sud Italia e delle Isole,

resta invariata, attestandosi intorno al 60% del totale [Ministero del

Lavoro, 2010, pp. 66-67]. Nel 2009 su un totale di 706.568 persone

con disabilità iscritte ai Centri per l’impiego in tutta Italia (di cui

circa il 48% donne), soltanto il 3,2% è stato avviato al lavoro

(percentuale che scende all’1,3% per le donne). Ciò è dipeso non

solo dal fatto che nell’ultimo decennio la crescita complessiva

dell’occupazione è dovuta in gran parte all’aumento

dell’occupazione nei settori delle Costruzioni, dell’Intermediazione

finanziaria e dei Servizi alle imprese e alle persone [ibidem, 2010, p.

38], nei quali il reinserimento lavorativo delle persone con disabilità

è sempre stato più difficile ma anche dalla crisi economica del

biennio 2008-2009, la quale ha decisamente influito sull’inserimento

lavorativo delle persone con disabilità, come dimostrano infatti nel

biennio sia il calo del numero degli iscritti presso i centri per

l’impiego, sia la bassa percentuale di avviamenti al lavoro.

Page 29: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

29

“Gli avviamenti al lavoro di persone disabili nel corso del 2008

e 2009 ripropongono le differenze di composizione tra le quattro

macroaree geografiche già evidenziate nell’ambito delle rilevazioni

precedenti. L’osservazione di maggior rilievo riguarda la evidente

flessione subita dall’insieme degli avviamenti nel corso del biennio

di riferimento, laddove si passa da 28.306 avviamenti registrati nel

2008 ai 20.830 del 2009”[…]. Il quadro che emerge, mostra una

tendenza pluriennale alla contrazione degli avviamenti. Nel caso del

Nord Ovest e del Mezzogiorno il trend negativo data almeno dal

2005, mentre negli altri due ambiti territoriali interrompe, a cavallo

tra il 2006 ed il 2007, una tendenza certamente più positiva. Il

numero di avviati nel 2009 risulta di fatto più basso di quello

disponibile per l’anno 2000, quello cioè di avvio del varo del

collocamento mirato, lasciando intuire ancora una volta la forza

dell’impatto della crisi, con particolare riguardo a quelli che prima

del 2008 erano considerati i mercati del lavoro più dinamici del

Paese” [Ministero del Lavoro, 2010, pp. 76].

Come è possibile osservare nel grafico 2, la percentuale di

avviamenti al lavoro durante il 2009 ha subìto della grandi variazioni

tre le diverse regioni, passando da percentuali molto basse, come

quelle registrate in Campania e Sicilia, a percentuali superiori al

20%, come nel caso del Trentino Alto Adige14

. In particolare è

possibile riscontrare una maggiore e diffusa difficoltà nel

reinserimento delle donne, con l’eccezione del Trentino15

.

14

Sul totale di persone con disabilità iscritte presso i centri per l’impiego al

collocamento mirato, la percentuale di avviamenti (obbligatori e non )

realizzati al 31 Dicembre del 2009, varia nelle regioni tra l’1% e il 28%.

15 Un caso che si distingue è quello della provincia di Bolzano, dove si

rileva una percentuale di donne avviate al lavoro pari al 44% delle iscritte.

Page 30: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

30

Graf. 2 - Avviamenti al lavoro di persone con disabilità iscritte ai CPI

nelle regioni Italiane alla fine del 2009.

Bassa %

Sicilia,

Campania, Puglia,

Calabria

Sardegna, Lazio, Molise

Basilicata

Abruzzo

Media %

Toscana,

Marche, Piemonte,

Friuli,

Lombardia, Valle

D’Aosta

Liguria, Emilia,

Veneto

Alta %

Trentino

Fonte: V Relazione al Parlamento sullo Stato di attuazione della L.68/1999.

Per contrastare gli effetti della crisi economica e favorire

l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, di lavoratori

svantaggiati e con disabilità, nella manovra finanziaria del 2010 sono

state introdotte e finanziate nuove disposizioni sperimentali16

. Si 16

Tali misure, finanziate dalla manovra finanziaria del 2010, (Legge 191

del 23 dicembre 2009) saranno gestite da Italia Lavoro Spa, d’intesa con la

Direzione Generale degli ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione

del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Page 31: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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tratta di misure che incentivano le agenzie per il lavoro autorizzate e

gli intermediari speciali a prendere in carico i lavoratori svantaggiati

e con disabilità, erogando loro un bonus compreso tra i 2500 e i 5000

euro, per ogni lavoratore iscritto nelle liste, ricollocato e assunto con

contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato o a termine, ma

di durata non inferiore a dodici mesi [Ministero del Lavoro, 2010,

p.55-56].

Page 32: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

32

CAPITOLO SECONDO

L’EVOLUZIONE DELLA PROTEZIONE SOCIALE

DELLE PERSONE CON DISABILITA’ IN ITALIA

1. Le società di mutuo soccorso e le prime forme di

assicurazione sociale contro il rischio infortuni e

invalidità.

All’inizio dell’ottocento le uniche forme di protezione contro i

rischi di infortunio, invalidità e morte prematura erano quelle private.

Gli individui potevano infatti ricorrere a due canali di sostegno in

caso di necessità: quello tradizionale della famiglia, contando sul

supporto materiale, economico e di cura offerto da parenti o amici, e

quello privato del mercato assicurativo, che garantiva un

risarcimento economico sulla base della stipula di una polizza, previo

pagamento di un premio commisurato al proprio profilo di rischio.

Già alla fine del settecento in tutta Europa operavano diverse società

private di assicurazioni, prevalentemente nei rami trasporti, vita e

incendio17

. Con il passaggio da un economia prevalentemente

agricola ad un economia industriale si verifica però un

peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli operai delle

fabbriche e in particolare nel nord del paese, crescono in modo

significativo gli infortuni sul posto di lavoro. Nella pressoché totale

assenza di una moderna legislazione sociale in grado di garantire

17

Per un approfondimento si veda Cassandro P.E. [1963], Le gestioni

assicuratrici e Padoa Schioppa A. [1962], Le assicurazioni in Milano dal

1815 al 1915, entrambi in Galli A. M., a cura di [1992], La Formazione e lo

sviluppo del sistema bancario in Europa e in Italia. Letture scelte, Vita e

Pensiero, Pubblicazioni della Università del Sacro Cuore, Milano, pp. 587-

613.

Page 33: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

33

protezione e assistenza e a fronte dell’aumento dei rischi collegati al

lavoro in fabbrica, gli operai iniziano ad organizzarsi, dando vita alle

prime società operaie di mutuo soccorso. Il principio su cui esse si

basano è quello del mutuo aiuto in caso di bisogno, attraverso la

costituzione di una cassa comune, finanziata volontariamente dagli

aderenti con i versamenti prelevati dai propri salari. In questo modo

gli operai iniziano a tutelarsi contro i rischi che avrebbero potuto

annullare o limitare la propria capacità lavorativa. Secondo

Tomassini [1999] il mutualismo nella sua larga diffusione, ha

rappresentato un fattore importante di articolazione della società

civile e un fertile terreno di coltura delle concezioni della solidarietà

e della rappresentanza tra le classi popolari. Inizialmente il fenomeno

mutualistico era concentrato in particolare in Piemonte, essendo

questo l’unico stato in cui lo Statuto Albertino aveva mantenuto i

principi dello stato liberale, inclusa la libertà d’associazione18

. Nel

resto del paese invece, e fino al 1848, l’associazionismo di mutuo

soccorso era stato invece ostacolato dalle limitazioni alla libertà di

associazione. Inizialmente quindi la distribuzione del mutualismo nel

territorio nazionale si presentava molto squilibrata. Nel sud in

particolare si registrava non solo una minore presenza di associazioni

ma anche una minore efficienza delle stesse [Tomassini, 1999]. Già

a partire dalla metà dell’Ottocento le società di mutuo soccorso

avevano però iniziato a diffondersi notevolmente nell’Italia centro-

settentrionale [Paci, 1989]. Ma la svolta vera e propria su scala

nazionale si ebbe nel 1861 con l’unità d’Italia, l’estensione a tutto il

regno dei nuovi principi liberali e la veloce diffusione delle società

operaie di mutuo soccorso. Questo momento rappresenta un

importante fase di cambiamento per le tradizionali modalità di

protezione esistenti, poiché inizia a delinearsi una modalità collettiva

- ancorché categoriale - di protezione sociale e di solidarietà tra i

lavoratori, basata sul meccanismo di tipo assicurativo. E’ importante

18

Fra il 1800 e il 1850 le società di mutuo soccorso esistenti in Italia erano

circa 824, la maggior parte delle quali in Piemonte.

Page 34: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

34

sottolineare che rispetto al sistema di protezione privato, dove gli

assicurati dovevano pagare un premio commisurato al proprio profilo

di rischio, nel sistema mutualistico gli aderenti versavano un

contributo proporzionale al salario percepito.

All’inizio tra le varie forme di tutela offerte dalle società di

mutuo soccorso, quella contro le malattie è la più diffusa. Tutte le

società infatti, erogano un sussidio in denaro per un certo periodo di

tempo ai soci che si ammalano. Successivamente a questo obiettivo,

si aggiungono, anche se in misura minore e più variabile, anche altre

finalità classiche del mutualismo quali: “i sussidi per le vedove e gli

orfani dei soci, i sussidi per i malati cronici o gli invalidi permanenti,

le pensioni di vecchiaia e i sussidi nei casi di disoccupazione forzata”

[Tomassini, 1999]. Le due principali tipologie di società di mutuo

soccorso sono le società miste o territoriali, spesso chiamate anche

“generali” cui possono iscriversi i lavoratori occupati in settori

diversi ma operanti nella stessa realtà locale e quelle professionali, in

cui i soci svolgono lo stesso mestiere e che possono ulteriormente

differenziarsi in società professionali territoriali, di fabbrica o di

categoria19

. In generale le società di mutuo soccorso sono costituite

da una base sociale molto larga e diversificata, che coinvolge operai,

artigiani e, anche se in misura ridotta, anche gli agricoltori. Sono

invece esclusi i lavoratori poveri del sottoproletariato urbano, i quali

probabilmente non erano in grado di versare la quota associativa in

modo regolare e continuo20

. Gli iscritti sono per la maggior parte

uomini con una età massima compresa tra i 45 e i 50 anni21

.

19

Nel 1863, le società miste o “generali” sono 267, con 85.495 soci, mentre

quelle professionali sono 115 con 26.113 soci. Nelle statistiche del 1885 su

3.900 società, il 77% dei soci apparteneva a società territoriali, e solo il 17%

a società professionali [Tomassini, 1999].

20 Nei quartieri più poveri delle città più grandi spesso si creavano reti di

relazioni e di solidarietà e associazioni informali e temporanee, che

assolvevano funzioni analoghe a quelle del mutualismo. In questi casi, i soci

Page 35: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

35

Le principali caratteristiche del modello mutualista italiano, che

lo differenziano da quello di altri paesi sono: a) la prevalenza dei

sussidi di malattia acuta rispetto agli scopi più “pesanti” e strutturati

come l’assistenza medica, l’erogazione di farmaci e la previdenza

pensionistica, molto più sviluppati per esempio in Francia; b) la

flessibilità nella determinazione di contributi e sussidi e la possibilità

di un loro adeguamento in caso di necessità; c) le ridotte spese di

amministrazione; d) l’agilità e la snellezza organizzativa del modello

territoriale. Le società infatti erano per la maggior parte di piccole

dimensioni e distribuite capillarmente su tutto il territorio. Il numero

medio di soci era estremamente basso e vi era un alto ricambio

interno. Secondo Tomassini, proprio questa forma organizzativa di

base leggera e non vincolata ai problemi derivanti dal cronicismo,

dalle pensioni e dai sussidi a vedove ed orfani costituirà uno dei

punti di forza del mutualismo italiano. Tra il 1873 e il 1874 iniziano

a sorgere anche società di mutuo soccorso cattoliche22

che si

distinguono da quelle laiche, fino a quel momento prevalenti, per la

maggiore attenzione nei confronti delle categorie più marginali e in

generale agli aspetti caritativi e assistenziali. Le società cattoliche

sono composte da un numero maggiore di soci agricoltori,

presentano un numero di donne iscritte più che doppio rispetto alle

società laiche e infine anche le quote dei soci onorari e benefattori

sono sensibilmente maggiori [Tomassini, 1999].

si tassavano per quote “da sborsarsi ogni qualvolta si verificava l’infermità

di uno degli iscritti” con quote fisse, generalmente più basse di quelle medie

delle società organizzate [Tomassini, 1999].

21 Nel 1862 la percentuale di donne iscritte è inferiore al 10% e nel 1904

scende all’8,3% [Tomassini, 1999].

22 Nel 1891, anno dell’enciclica Rerum Novarum, le società operaie

cattoliche arrivano a 284 con 73.796 iscritti, la maggior parte dei quali

(circa il 71%), anche in questo caso si concentra nel Nord del paese

Page 36: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

36

Nel 1883, mentre le società di mutuo soccorso continuano a

crescere23

, nasce su base volontaria, la Cassa nazionale infortuni.

Inizia quindi ad emergere un interesse pubblico nei confronti del

tema della protezione sociale. Tre anni più tardi, nel 1886 viene

approvato infatti il primo intervento legislativo organico dello Stato

italiano in materia di mutuo soccorso: la “legge Berti”, che stabilisce

la possibilità per le società di mutuo soccorso di essere riconosciute

giuridicamente ed ottenere così delle agevolazioni pubbliche. Si

tratta di un primo intervento pubblico in materia di mutuo soccorso,

il quale tuttavia lascia la più completa libertà alle società che non

chiedono il riconoscimento e non affronta la questione delle pensioni

di invalidità e vecchiaia.

Intanto il numero delle società di mutuo soccorso raggiunge il

suo picco più alto24

, anche se si abbassa la media di iscritti per

società e cresce il tasso di ricambio interno. Si iniziano quindi a

intravedere le prime difficoltà. Sono gli anni delle grandi migrazioni

dal sud, durante i quali il numero di scioglimenti delle società

esistenti continua a crescere ed iniziano ad emergere anche i limiti di

una struttura organizzativa così “leggera e flessibile”. Infatti con il

passare degli anni e in assenza di una allargamento consistente della

base sociale, gli iscritti iniziano a raggiungere età più elevate

caratterizzate da una maggiore morbilità e questo elemento inizia ad

influire sulle spese.

Nel 1898 si stabilisce che l’assicurazione contro gli infortuni sia

obbligatoria e non più volontaria, ponendo in tal modo le basi in

23

Si stima che nel 1885 le società di mutuo soccorso erano 4896 [Marucco,

in Paci, 1989].

24 Nel 1904 si contano oltre 6535 società , con oltre un milione di iscritti, su

un totale di tre milioni e mezzo di operai dell’industria all’epoca [Marucco

in Paci, 1989, p. 79]

Page 37: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

37

Italia della tutela antinfortunistica sull’esempio tedesco25

. Se fino ad

allora la nozione di rischio professionale aveva costituito la

giustificazione del primo intervento in tema di infortuni sul lavoro,

adesso invece, si stabilisce il principio in base al quale le

conseguenze del verificarsi di certi eventi sfavorevoli per i lavoratori

devono essere sopportate anche dai datori di lavoro che traggono

vantaggio dallo svolgimento del lavoro dei propri operai. Tale

cambiamento rappresenterebbe quindi il “tentativo di elaborare un

concetto di solidarietà limitata ai prestatori e ai datori di lavoro”

[Paci, 1989, p. 84-85].

Nello stesso anno, il 20 aprile 1898 viene approvata anche la

legge che istituisce una Cassa nazionale di previdenza per la

vecchiaia e l’invalidità degli operai, anche se l’adesione è ancora

volontaria. L’istituzione della Cassa segna una svolta e le

organizzazioni che rappresentano il mutualismo, iniziano a

concentrarsi sulla revisione e sul miglioramento della legge. Nel

1900 si costituisce la Federazione nazionale delle società di mutuo

soccorso allo scopo di premere sul governo per l’ottenimento di una

migliore legislazione sociale. Nel 1912 il presidente del consiglio

Giolitti pone il problema del monopolio delle assicurazioni sulla vita,

con l’obiettivo di realizzare un sistema previdenziale statale. Intanto

alla vigilia della prima guerra mondiale la base di assicurati contro la

invalidità e vecchiaia era diventata consistente, rendendo in tal modo

più agevole la transizione verso un sistema di assicurazioni sociali

direttamente controllato e organizzato dallo Stato [Tomassini, 1999].

E’ infatti proprio durante la guerra che con la cosiddetta

“mobilitazione industriale” si estende l’intervento statale in settori

prima lasciati alla libera regolazione del mercato e delle forze sociali

e con due provvedimenti (d.l. 29.4.1917 e d.l. 24.7.1917) viene

introdotto il principio della assicurazione obbligatoria di invalidità e

25

Il sistema di assicurazione obbligatorio contro gli infortuni viene istituito

con la legge n. 80 del 17 marzo 1898.

Page 38: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

38

vecchiaia. Inizialmente l’obbligo riguardava soltanto circa un

milione di operai degli stabilimenti mobilitati, ma successivamente

(con il d.l. 29.4.1919) si istituisce un sistema di assicurazione

obbligatoria con contributi paritetici di imprenditori e operai e con il

concorso dello Stato. Da questo momento nasce un sistema

previdenziale obbligatorio, organizzato e controllato dallo Stato,

destinato ad oltre 10 milioni di lavoratori dipendenti [Tomassini,

1999].

2. Nascita e consolidamento del sistema di assicurazione

obbligatorio durante il fascismo

Nel 1919 con l’istituzione del sistema di assicurazione sociale

obbligatoria, si passa da un sistema di protezione sociale di tipo

mutualistico e volontario ad un sistema di protezione sociale

pubblica e obbligatoria. Il modello italiano di protezione sociale si

struttura sin dall’inizio sulla base del modello bismarckiano adottato

in Germania, collegando la tutela dai rischi alla condizione di

lavoratore e alla posizione lavorativa occupata. Si tratta di un sistema

in cui la protezione pubblica asseconda le linee di demarcazione e le

disuguaglianze che si strutturano all’interno del nel mercato del

lavoro, in quanto le prestazioni erogate dallo Stato non sono

destinate a tutti i cittadini, ma riservate esclusivamente ai lavoratori

“assicurati” che versano i contributi. La realtà ancora molto presente

e vitale delle società di mutuo soccorso, con circa 5.719 società

esistenti al 1924 e 885.393 soci, viene sempre più confinata al settore

dell’assistenza alla malattia. Nel 1925 la Federazione italiana delle

società di mutuo soccorso viene abolita e l’anno successivo con un

intervento legislativo le funzioni assistenziali vengono attribuite ai

sindacati fascisti, i quali possono stabilire contenuti e limiti delle

politiche assistenziali all’interno dei contratti collettivi di lavoro. Nel

1927 inoltre ai sindacati fascisti viene affidato il compito di stabilire

Page 39: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

39

le strutture per avviare l’assicurazione generale contro le malattie,

così come stabilito dalla Carta del lavoro del 21 aprile.

Il fascismo cerca di favorire l’assorbimento delle società di

mutuo soccorso nelle mutue sindacali organizzate su base

professionale26

. Nel 1929 viene creato il Ministero delle

Corporazioni e l’assicurazione obbligatoria viene estesa in modo da

proteggere i lavoratori anche contro il rischio di malattie

professionali (R.D. 13-5-1929 n. 928).

Nel 1933 la Cassa nazionale infortuni viene sostituita

dall’Istituto nazionale di assicurazione contro gli infortuni sul

lavoro”(R.D.L. n. 264 del 23-3-1933) e nel 1935 viene istituita la

Federazione nazionale casse mutue di malattia dell’industria. Nello

stesso anno viene inoltre approvato il testo unico (R.D. 17-8-1935 n.

1765) che stabilisce alcune caratteristiche fondamentali del sistema,

che permangono ancora oggi, tra cui il principio dell’automaticità

delle prestazioni (che garantisce che le prestazioni vengano erogate

dallo Stato, anche se il datore di lavoro non è in regola con il

versamento dei contributi) e l’erogazione delle prestazioni sanitarie

oltre a quelle economiche. Sono due ulteriori garanzie da parte dello

Stato, che differenziano il sistema di assicurazione pubblica da

quello privato e dal sistema delle mutue.

Nonostante l’introduzione di un sistema pubblico di protezione

sociale abbia comportato un notevole passo avanti nella protezione

contro i rischi professionali, esso tuttavia non presenta le

26

Le casse mutue sindacali sono1107 con 682.356 iscritti e si distinguono in

mutue sindacali aziendali (per le aziende con più di 100 operai); mutue

sindacali territoriali (per lavoratori di più aziende inquadrati dal medesimo

sindacato) e mutue sindacali categoriali (per l’intera categoria di lavoratori).

Esistono anche molte altre mutue sindacali intermedie con notevoli disparità

di fisionomia e di funzionamento .

Page 40: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

40

caratteristiche dei sistemi di sicurezza sociale, nei quali

l’assicurazione contro i rischi è destinata a tutti i cittadini a

prescindere dalla loro condizione lavorativa. Il sistema italiano infatti

distingue e privilegia i lavoratori la cui protezione è assicurata dal

versamento dei contributi, rispetto tutti gli altri cittadini che non

lavorano o che non possono vantare alcuni anni di versamento dei

contributi richiesti. Il dualismo insito nel sistema italiano di welfare è

individuato anche da Paci [1989, p.85], secondo cui:

“Il sistema di welfare che l’Italia repubblicana eredita dal

fascismo era caratterizzato dall’operare di due principi o logiche

generali: da un lato la logica assicurativo-corporativa, espressione

di una solidarietà limitata ai soli lavoratori e datori di lavoro e

riproducente in quanto tale la stratificazione dei gruppi socio-

professionali operata dal mercato; dall’altro la logica della

discrezionalità burocratica nell’attuazione di programmi di

assistenza, fonte di dipendenza politico-clientelare di singoli gruppi

e categorie. Tali due logiche di fondo hanno in comune la stessa

tendenza all’espansione dell’intervento pubblico, tramite la

creazione di regimi, enti e istituti differenziati, volti a soddisfare i

bisogni di singoli o di categorie e l’interesse della classe politica per

il mantenimento del consenso sociale, lasciando intatta la struttura

delle disuguaglianze sociali create dal mercato”.

Progressivamente l’obbligo di assicurazione viene esteso per

inclusioni successive e incrementali ad altre categorie di lavoratori,

quali gli impiegati, i lavoratori agricoli, i lavoratori autonomi. La

progressiva estensione delle copertura assicurativa su base

categoriale, resterà un elemento immutato di path-dependency

all’interno del sistema di welfare italiano, il quale si presenta tuttora

come un sistema frammentato e costituito da schemi differenti in

base alle diverse categorie occupazionali.

Dopo la caduta del fascismo il primo tentativo di riformare la

previdenza sociale fu quello della Commissione D’Aragona dal

Page 41: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

41

nome dal parlamentare socialista che la presiedette, istituita

nell’aprile del 1947. I lavori della commissione furono influenzati

dai principi universalistici che avevano cominciato a diffondersi e a

trovare applicazione nel governo laburista inglese del dopoguerra.

La Commissione puntava a proporre una riforma del sistema di

welfare italiano in direzione di un sistema di sicurezza sociale,

all’interno del quale fosse quindi stabilito un livello di protezione di

base in prestazioni e servizi destinata a tutti i cittadini e su basi

egualitarie. Si tratta di un approccio innovativo ed egualitario che

tuttavia non venne adottato.

“le proposte della commissione non furono adottate dal governo

e si procedette invece attraverso interventi legislativi omogenei al

modello duale (assicurativo-corporativo e assistenziale-clientelare)

ereditato dal fascismo, all’espansione incrementale e

particolaristica del modello pre-esistente” [Paci, 1989, p. 87].

All’indomani della caduta del regime fascista, le caratteristiche

strutturali del sistema di welfare italiano vengono riaffermate nella

carta costituzionale del 1948, la quale sancisce la distinzione tra

l’assicurazione sociale obbligatoria per tutti i lavoratori e l’assistenza

sociale per il diritto al mantenimento dei tutti i cittadini inabili al

lavoro e sprovvisti di mezzi. Il sistema di welfare italiano continua

dunque a mantenere un carattere duale di tipo assicurativo-

previdenziale per i lavoratori che contribuiscono al sistema e di tipo

residuale e assistenziale per tutti i cittadini inabili al lavoro e

sprovvisti di mezzi. L’evoluzione legislativa successiva per almeno

due decadi, lascia inalterata la funzione originaria dell’assicurazione

contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che è quella

di offrire una tutela economica privilegiata al lavoratore in

considerazione dell’origine lavorativa dell’evento lesivo occorso al

lavoratore.

A partire dalla metà degli anni settanta la spesa pubblica per le

prestazioni pensionistiche inizia a crescere in maniera squilibrata.

Page 42: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

42

Importanti trasformazioni economiche e la crescente disoccupazione

influisce sul numero di lavoratori che versano i contributi con una

conseguente riduzione delle entrate pubbliche. Allo stesso tempo

cambiamenti demografici quali l’allungamento della speranza di vita

e l’invecchiamento della popolazione influiscono sull’aumento del

numero dei pensionati facendo crescere le uscite.

Dal 1950 al 1980 le pensioni di invalidità destinate ai lavoratori

assicurati, in particolare nel mezzogiorno, crescono in modo

esponenziale, passando da circa 501 mila ad oltre cinque milioni e

300 mila nel 1980. Come ricorda Ferrera [2006, p. 256] la crescita

del numero di destinatari di pensioni di invalidità è da attribuirsi alla

“dilatazione del concetto di invalidità, avvenuta a causa delle

pressioni provenienti dal mercato assistenziale e dai circuiti

clientelari”. I lavoratori diventati invalidi a causa di un infortunio

sul lavoro, venivano infatti assicurati per la perdita, anche parziale

della capacità di guadagno. Spesso le ridotte capacità di guadagno

venivano ricollegate alle condizioni socio-economiche dell’area di

residenza, determinando un incremento del numero dei destinatari

nel mezzogiorno. In sostanza le pensioni di invalidità in assenza di

misure di sostegno del reddito e di adeguate misure di contrasto della

povertà, venivano utilizzate come equivalenti funzionali delle

politiche di assistenza sociale. In tal modo il diritto previdenziale,

legato al versamento dei contributi, si trasformava in un vero e

proprio mercato assistenziale. Per porre rimedio a tale situazione, si

rende quindi necessaria una riforma. Un primo intervento sulle

pensioni di invalidità viene attuato nel 1984 attraverso l’abolizione

del riferimento alla capacità di guadagno e mantenendo

esclusivamente il riferimento alla capacità di lavoro. Tale riforma

però, non riguardando anche le pensioni di invalidità civile, non

risolve il problema e dal 1984 al 1990 si verifica una “sindrome di

sostituzione”, ovvero a fronte della riduzione delle prestazioni di

invalidità di tipo contributivo, aumentano le pensioni di invalidità

civile.

Page 43: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

43

3. Crisi e riforma del sistema di welfare italiano di fronte ai

nuovi rischi sociali

A partire dalla metà degli anni novanta il sistema di welfare

italiano non riesce più a rispondere in modo adeguato ai bisogni della

popolazione. Con il passaggio da una società basata su un economia

industriale ad una post-industriale, si verifica un importante

cambiamento della domanda di protezione sociale, e si rendono

necessarie nuove trasformazioni del sistema di protezione sociale

esistente. Secondo Esping-Andersen [2000] i welfare states

contemporanei rispecchiano una società che non è più quella di una

volta. La crisi dei regimi di welfare dipenderebbe a suo avviso dal

disallineamento tra la configurazione istituzionale esistente e i

cambiamenti endogeni ed esogeni quali: i) i cambiamenti

demografici; ii) le trasformazioni nella natura e durata dei rischi; iii)

all’interno del mercato del lavoro; iv) i cambiamenti intervenuti nella

famiglia; v) la crescita della spesa pubblica e i nuovi vincoli

finanziari.

I cambiamenti demografici, ovvero l’allungamento della vita,

l’invecchiamento della popolazione, la riduzione della natalità,

hanno influito sulle caratteristiche della popolazione e sulla domanda

di nuove politiche e servizi. Grazie ai progressi della medicina e al

prolungamento della vita le persone colpite da malattia o con

disabilità vivono più a lungo, anche se in molti casi in uno stato di

duratura dipendenza dai servizi sanitari e di prolungata esigenza di

cura e assistenza. L’allungamento della vita collegato al processo di

invecchiamento della popolazione determina inoltre un aumento del

numero di anziani non più auto-sufficienti e per i quali i tradizionali

sostegni (come l’indennità di accompagnamento) non sono più

adeguati. Inoltre poiché la disabilità è correlata all’età, al crescere

della popolazione anziana aumentano le persone con disabilità che

necessitano di misure, servizi e interventi specifici. Infine anche se

gli incidenti sul lavoro sono diminuiti, e con essi anche il numero

degli invalidi del lavoro, la necessità di estendere la copertura anche

Page 44: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

44

ai soggetti prima esclusi fa crescere la domanda individuale di

protezione.

Anche il cambiamento della natura dei rischi tradizionali, nei

confronti dei quali il sistema delle assicurazioni obbligatorie offriva

una protezione, rende necessario un cambiamento nelle misure negli

interventi e nelle politiche adottate in risposta. Secondo Rosanvallon

[1997], il cambiamento della natura dei rischi che da “aleatori e

circostanziali” diventano stabili e duraturi, richiede il passaggio ad

una concezione diversa di rischio e un analogo cambiamento nel

sistema di protezione sociale e nell’offerta di politiche adeguate.

Oggi, di conseguenza diventa urgente passare da un sistema di

politiche che punta alla compensazione di un disfunzionamento

passeggero ad un insieme di politiche in grado di far fronte a rischi

non più congiunturali

A queste trasformazioni, si aggiunge anche la flessibilizzazione

del mercato del lavoro e la destrutturazione delle caratteristiche

standard del lavoro dipendente e a tempo indeterminato. Le persone

con disabilità, che già incontrano numerose difficoltà nell’ingresso

nel mercato del lavoro, di fronte alla moltiplicazione di tipologie di

lavoro atipiche e prive delle tradizionali tutele esistenti, sono

maggiormente esposte ai rischi di disoccupazione e alle difficoltà

connesse ai periodi di non lavoro.

Per quanto riguarda le trasformazioni all’interno della famiglia,

in un sistema sociale come il nostro, in cui il supporto offerto dallo

Stato è sempre stato residuale e prevalentemente in trasferimenti

monetari, i servizi di cura per le persone con disabilità hanno gravato

principalmente sulla famiglia, ed in particolare sulle donne, le quali

oggi, a causa della crescita del numero di anziani non autosufficienti

o con problemi di disabilità multiple con un bisogno continuativo di

assistenza, ma anche nel caso di giovani con disabilità poiché anche

in questi casi si rileva una loro maggiore permanenza nel nucleo

familiare, si trovano sempre più strette tra il desiderio e la necessità

Page 45: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

45

economica di lavorare e il compito di cura dei familiari. La

mancanza di una fitta rete di servizi in risposta a bisogni complessi e

diversificati delle persone con disabilità e i tagli alla spesa pubblica

destinata alle famiglie, hanno reso queste ultime sempre più esposte

alle difficoltà, indebolite e isolate nel sostenere compiti sempre più

impegnativi.

La pressione esercitata dai fattori fin qui descritti sul sistema di

welfare esistente, dipende anche dal fatto che tali cambiamenti si

intrecciano e si rafforzano tra loro. Per esempio l’invecchiamento

della popolazione, la crescita del numero di anziani non

autosufficienti e l’aumento dell’incidenza della disabilità, in un

sistema di welfare come quello italiano che non prevede programmi

pubblici di assistenza, finisce per gravare totalmente sulle famiglie

[Ranci, Da Roit e Pavolini, 2008]. A ciò si aggiunga che il sistema

sanitario è inadeguato ad affrontare i problemi della cronicità e dalla

non auto-sufficienza (le risposte sono inappropriate e i costi

eccessivi), rendendo necessaria una ri-articolazione pubblica di

servizi integrati e territoriali maggiormente in grado di offrire

risposte mirate.

La richiesta di risposte sempre più personalizzate e a lungo

termine - dal momento che i rischi sono maggiormente diffusi,

colpiscono in maniera personale e comportano un prolungamento

dello stato di bisogno – rendono necessario un ampliamento dei

destinatari da tutelare e un offerta di servizi, interventi e politiche

sociali mirate, personalizzate e individuali. Per rispondere ai nuovi

bisogni il sistema di welfare entra in una nuova fase di

sperimentazione e vengono avviate riforme parziali in particolare in

materia di pensioni, politiche sociali e dell’occupazione [Ferrera,

Hemerjick e Rhodes, 2000; Paci, 2004, p. 195].

Una possibile risposta al dilemma di nuovi e maggiori servizi,

ma con sempre meno risorse pubbliche, proviene dal contesto

americano, con il diffondersi di nuovi paradigmi di policy, come ad

Page 46: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

46

esempio il welfare-to-work. In tale approccio viene posta una

maggiore enfasi sull’importanza di adottare politiche in grado di

favorire il passaggio da programmi di protezione sociali a programmi

di inserimento al lavoro. L’obiettivo è quello di ridurre la “costosa”

dipendenza dal welfare, indotta dai programmi di protezione sociale.

Al loro posto vengono quindi introdotti nuovi programmi, nei quali

viene ampliata la “condizionalità”. In sostanza i destinatari vengono

vincolati al rispetto di requisiti più stringenti e sottoposti ad una serie

di controlli e sanzioni, in modo da collegare l’ottenimento di un

beneficio economico al mantenimento di un posto di lavoro,

qualunque esso sia. Si ritiene infatti che “qualsiasi lavoro sia

migliore di nessuno” e sulla base di questo approccio vengono ridotte

le spese in politiche “passive”. Tale strategia si diffonde anche in

Europa, e il modello di “politiche attive” viene adottato, a

prescindere da una sua valutazione complessiva nei risultati ottenuti.

Nel quarto capitolo approfondiremo le caratteristiche di questo

approccio e la sua applicazione anche nei confronti delle persone con

disabilità. Per concludere questo breve riferimento al welfare

americano, possiamo riportare l’opinione di Hacker [2004], secondo

il quale va sottolineato il processo di privatizzazione del rischio che

si è innescato negli Stati Uniti. Si tratta di un processo di

frammentazione e indebolimento degli strumenti di assicurazione

collettiva che offrono una protezione meno costosa, nei confronti

anche dei più alti rischi e verso tutti i cittadini, inclusi quelli con i

redditi più bassi. Al posto di questo sistema, e attraverso una serie di

aggiustamenti, si è arrivati invece ad una situazione in cui gli

individui e le famiglie vengono lasciati soli nell'affrontare i nuovi

rischi sociali emergenti. Secondo Hacker il declino nella protezione

collettiva, sta diventando sempre più comune anche in altri paesi,

facendo dell'esperienza americana una guida in merito agli effetti a

lungo termine di queste emergenti ma potenti tendenze. Anche nel

nostro paese, infatti esiste il rischio di un ritorno alle vecchie opzioni

privatiste e di mercato, ignorando le motivazioni storiche che hanno

portato alla nascita dei welfare states. Di questo e dei cambiamenti

Page 47: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

47

necessari e possibili nel nostro sistema, parleremo ancora nel

capitolo conclusivo.

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48

CAPITOLO TERZO

LE POLITICHE “PASSIVE” PER LE PERSONE CON

DISABILITA’ IN ITALIA

L’attuale sistema italiano di protezione sociale per le persone

con disabilità è estremamente frammentato e categoriale e differenzia

notevolmente le misure di sostegno economico destinate ai disabili

civili, rispetto a quelle riservate ai lavoratori con disabilità o alle

persone che hanno acquisito un certo livello di invalidità per cause di

lavoro o di servizio.

La protezione di tipo assicurativo-contributivo è destinata

esclusivamente ai lavoratori che possono vantare almeno cinque anni

di iscrizione all’Inps e tre anni di versamenti contributivi. Per il

ricevimento dei trasferimenti economici sono inoltre previste soglie

di accesso diverse per le persone gli invalidi civili rispetto agli

invalidi del lavoro.

Per i primi la protezione sociale esistente è di tipo assistenziale,

ovvero un sostegno discrezionale, condizionale e soprattutto

insufficiente, se si osserva che i trasferimenti monetari erogati sono

insufficienti a permettere alle persone affette da disabilità la

possibilità di condurre una vita adeguata, esponendoli quindi,

nonostante l’assistenza ricevuta, al rischio povertà. Inoltre l’accesso

ai trasferimenti assistenziali è possibile soltanto a partire da livelli di

disabilità molto gravi (pari al 74%) e solo in seguito al

riconoscimento dello stato di bisogno.

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1. Prestazioni per le persone con disabilità civile

Nel nostro sistema di welfare i cittadini disabili che non hanno

mai lavorato o non sono iscritti all’Inps da cinque anni (avendo

versato almeno tre anni di contributi) hanno diritto esclusivamente

alle prestazioni di natura assistenziale, finalizzate ad assicurare a tutti

gli individui con un reddito insufficiente, un livello di vita

dignitoso27

. Si tratta di un insieme composito di trattamenti che fanno

riferimento a provvedimenti normativi differenziati e, in origine,

fortemente frammentati, finanziati generalmente attraverso la

fiscalità generale e i cui destinatari sono sottoposti alla prova dei

mezzi.

L’istituto dell’invalidità civile si basa sull’art. 38 della Carta

Costituzionale, che stabilisce che “Ogni cittadino inabile al lavoro e

sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento

e all’assistenza sociale”. Nel 1971, con la legge 118, si è proceduto

ad una prima razionalizzazione della materia, unificando l’assistenza

agli invalidi civili in un testo unico, a esclusione di ciechi e

sordomuti per i quali esisteva già una normativa a tutela della loro

minorazione (l. 66/1962 e l. 381/1970). Quindi nel 1992 ulteriori

27

Il sistema italiano prevede cinque tipologie di prestazioni previdenziali a

seconda della natura istituzionale della prestazione e dell'evento che ha

determinato l'erogazione della stessa: 1) vecchiaia; 2) invalidità; 3)

superstiti, 4) indennitarie, 5) assistenziali. La maggior parte delle

prestazioni è erogata dall’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale)

per il settore privato e dall’Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i

dipendenti delle amministrazioni pubbliche) per quello pubblico. Accanto a

questi enti di maggiore dimensione numerosi altri enti previdenziali erogano

prestazioni sostitutive di quelle di base o integrative di queste.

Page 50: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

50

interventi normativi hanno disciplinato il settore dell’invalidità civile

regolamentandone specifici aspetti28

.

Le prestazioni economiche continuative previste a favore di tutti

gli invalidi civili sono la pensione di inabilità e l’assegno sociale. La

loro erogazione ha un carattere “discrezionale” in quanto

strettamente dipendente dal riconoscimento da parte delle

commissioni mediche integrate delle Asl di un certo livello di

disabilità (almeno il 74% di disabilità) e dall’impossibilità di far

fronte allo stato di bisogno autonomamente (dimostrando di non

avere un reddito sufficiente). Oltre al requisito medico sanitario, il

disabile civile in età da lavoro (compresa tra i 18 e i 65 anni) deve

mostrarsi disponibile ad iscriversi alla lista unica per il collocamento

mirato ed essere quindi disposto ad accettare un posto di lavoro

ritenuto idoneo alle proprie capacità residue. L’obbligo di iscrizione

alla lista unica presso i centri per l’impiego provinciali è un requisito

che sottolinea il carattere dell’erogazione monetaria. Solo le persone

che veramente ne hanno bisogno e che tuttavia, nonostante le proprie

limitazioni si dichiarino disposte a lavorare possono accedere alla

misura. L’assegno viene infatti sospeso nel caso in cui la persona con

disabilità gravi rifiuti di accettare il posto di lavoro, perché magari lo

ritiene non adatto alle proprie capacità. Per ricevere l’assegno

mensile di assistenza deve presentare all’Inps entro il 31 marzo di

ogni anno, una dichiarazione che attesti l’iscrizione nelle liste

speciali dei centri per l’impiego. Se la dichiarazione non viene

consegnata, l’Inps sospende temporaneamente il pagamento

dell’assegno al fine di controllare il possesso dei requisiti.

Le persone con una disabilità totale, che a causa delle loro

condizioni di salute, pur essendo in età lavorativa (18-65 anni) non

possono svolgere alcuna attività e che hanno un reddito annuo

personale non superiore ad una certa soglia possono richiedere la

28

Attraverso la legge n. 104 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione

sociale e i diritti delle persone handicappate” che riconosce il diritto alle

provvidenze per invalidità civile.

Page 51: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

51

pensione di inabilità, il cui importo29

è equivalente all’assegno

ordinario di invalidità erogato alle persone con disabilità superiore al

74%. Tale pensione è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi

tipo di attività lavorativa, sia essa dipendente o autonoma, ma è

reversibile ai familiari.

Nei casi di disabilità totale è possibile che la persona non sia

auto-sufficiente e in grado di muoversi o spostarsi autonomamente.

In tal caso, il disabile civile ha diritto a richiedere un sostegno

aggiuntivo alla pensione di inabilità, ovvero l’indennità di

accompagnamento, istituita nel 1980 ed erogata dall’Inps30

. Si tratta

di una misura assistenziale di natura monetaria alla quale hanno

diritto tutti i cittadini italiani cui sia stata accertata una inabilità al

100% ed è generalmente riconosciuta a tutte le persone che non sono

più in grado di camminare o di compiere autonomamente le normali

attività della vita quotidiana. Questa prestazione monetaria ha

carattere universalistico ed è quindi erogata indipendentemente dalla

condizione reddituale del beneficiario o del nucleo familiare di

appartenenza attraverso procedure automatiche e standardizzate. Tale

prestazione, pur essendo inizialmente destinata esclusivamente alle

persone in età da lavoro ma non in grado di lavorare (inabili), grazie

al suo carattere universale è stata estesa anche agli anziani inabili. Si

stima che la quota di cittadini anziani che fruisce di una indennità di

accompagnamento è del 9%, ma almeno un 2% della popolazione

anziana in condizioni di disabilità molto gravi è esclusa dalla misura

29

La pensione di inabilità e l’assegno ordinario di invalidità, di tredici

mensilità entrambi, sono passati da 247 euro nel 2008 a 260 euro nel 2011.

30 L’indennità di accompagnamento, introdotta dalla L. 18/1980 comprende

l’indennità di accompagnamento a favore di invalidi civili totali, quella di

frequenza per minori di 18 anni, di comunicazione per i non udenti, le

indennità speciali per i ciechi parziali, le indennità di accompagnamento per

i ciechi assoluti e infine le indennità di assistenza e di accompagnamento ai

grandi invalidi di guerra.

Page 52: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

52

pur avendone bisogno e diritto. Sono inoltre escluse le persone con

invalidità di ordine psichico e cognitivo, in forte espansione con

l’avanzare dell’età dei richiedenti. Uno dei limiti recentemente

evidenziati, in merito all’indennità di accompagnamento riguarda la

sua impossibilità di rispondere in modo differenziato a bisogni

diversi. L’indennità infatti, prevede l’erogazione di una somma

fissa31

non modulata in base alle diverse condizioni economiche dei

beneficiari o in base al grado e tipo di invalidità e bisogno. Questo

genera:

“l’effetto paradossale che la tutela pubblica viene offerta in

modo eguale a cittadini che, per condizioni di salute o situazione

economica, fronteggiano bisogni completamente diversi e

sproporzionati. Il bisogno non costituisce in alcun modo un criterio

utilizzato per regolare la distribuzione dell’indennità, che ubbidisce

a una logica totalmente amministrativa, che non trova riscontro nei

programmi europei più avanzati” [Ranci, Da Roit e Pavolini, 2008,

p. 12-13].

Al compimento dei 65 anni di età le persone con disabilità grave

o totale, con un reddito inferiore ad un certo livello, possono

richiedere in sostituzione al sostegno monetario ottenuto, l’assegno

sociale di importo più alto32

.

31

L’indennità di accompagnamento di dodici mensilità è passata da 465

euro nel 2008 a 487 euro nel 2011.

32 Per il 2011 l’assegno sociale è di 417 euro.

Page 53: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

53

2. Prestazioni per i lavoratori con disabilità

I lavoratori iscritti all’Inps da cinque anni e che almeno negli

utlimi tre anni abbiano versato i contributi, in caso di invalidità

hanno diritto, così come previsto dall’art.38 della costituzione a

ricevere “l’assicurazione dei mezzi adeguati alle loro esigenze di

vita”. Le prestazioni previste, di natura previdenziale sono la

pensione di inabilità e l’assegno di invalidità. Si tratta di prestazioni

economiche erogate ai lavoratori cui è accertata la ridotta capacità

lavorativa a meno di un terzo a causa di infermità fisica o mentale o

l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività

lavorativa. A differenza delle misure di tipo assistenziale, a somma

fissa, previste per i disabili civili, queste misure dipendono dai

contributi versati e non sono richiedono requisiti di reddito.

L’assegno ordinario di invalidità è erogato dall’Inps ai

lavoratori con una disabilità parziale, dopo l’accertamento da parte

dei medici dell’Istituto, delle condizioni di disabilità. I medici in

particolare sono tenuti a verificare che la disabilità acquisita dal

lavoratore pregiudichi la sua capacità di lavoro e ciò significa che

deve essere riscontrato un livello di disabilità superiore al 66%.

L’assegno ordinario ha una durata temporanea di tre anni (e non

di un anno come per il disabile civile) e può essere rinnovato su

richiesta del lavoratore. Solo dopo tre rinnovi consecutivi diventa

definitivo. Esso non è reversibile e poiché il suo importo è calcolato

sui contributi versati, nel caso in cui sia troppo basso è possibile fare

richiesta di una “integrazione al minimo”, ovvero dell’aumento

dell’assegno di una cifra non superiore all’assegno sociale. Se la

persona che lo riceve si dedica ad una attività lavorativa dipendente o

autonoma, tale assegno viene ridotto.

In caso di disabilità totale, così grave da impedire lo svolgimento

di qualunque attività lavorativa, il lavoratore ha diritto alla pensione

di inabilità, erogata dall’Inps, il cui importo è calcolato aggiungendo

ai periodi di contribuzione precedentemente versati dal lavoratore un

“bonus contributivo”, pari agli anni mancanti per il raggiungimento

Page 54: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

54

dell’età pensionabile. In questo caso, oltre alla pensione di inabilità, i

lavoratori con disabilità possono richiedere l’assegno di assistenza

per gli invalidi non auto-sufficienti non condizionato dai limiti di

reddito.

3. Prestazioni per le persone con una invalidità

lavorativa

Fin qui abbiamo fornito un quadro generale sulle misure di

sostegno economico e monetario (di tipo assistenziale e

previdenziale) erogate dall’Istituto di previdenza sociale alle persone

con disabilità. Esistono però anche prestazioni di tipo “indennitario”,

rivolte esclusivamente ai lavoratori diventati invalidi a causa di una

malattia professionale o di un infortunio lavorativo. Tali prestazioni

sono erogate dall’Inail a tutti i lavoratori dipendenti che svolgono

attività a rischio, anche nel caso in cui i datori di lavoro non abbiano

versato regolarmente il premio assicurativo. Inoltre sebbene tali

misure non siano cumulabili con quelle offerte dall’Inps, il lavoratore

può tuttavia scegliere il trattamento economico più favorevole. Nel

2000, in seguito alla riforma dell’Inail (si veda in particolare su

questo il par. 5.3), viene introdotto un nuovo regime indennitario,

con il quale, la soglia minima di invalidità riconosciuta per ricevere

un risarcimento si abbassa dal 10% al 6%. Allo stesso tempo si

procede ad allargare la platea dei destinatari delle prestazioni Inail,

per cui ai dipendenti, agli artigiani, ai lavoratori agricoli e ai

pescatori, si aggiungono anche i lavoratori parasubordinati, i

dirigenti, gli sportivi professionisti dipendenti e le casalinghe33

[Inail,

33

L’assicurazione obbligatoria per le casalinghe era già stata introdotta

dalla legge n. 493/99 “Assicurazione contro gli infortuni domestici”, allo

scopo di tutelare la persona, donna o uomo, di età compresa fra i 18 ed i 65

anni, che svolge in via esclusiva una attività finalizzata alla cura del proprio

nucleo familiare. Tuttavia alle casalinghe non è assicurato il principio della

Page 55: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

55

2008]. Con il nuovo regime indennitario, oltre all’indennizzo del

danno in termini patrimoniali, viene riconosciuto anche quello per il

danno biologico permanente. L’introduzione del danno biologico alla

persona si deve al D. Lgs. 38 del 23 febbraio 2000 (art.13), il quale

stabilisce che le menomazioni conseguenti ad un infortunio o ad una

malattia professionale devono essere valutate e indennizzate in

ambito medico-legale come “lesioni all’integrità psicofisica della

persona”. Tra le altre misure offerte dall’Inail, le più importanti sono:

l’indennità per la mancata retribuzione, l’integrazione della rendita,

l’assegno di incollocabilità, l’assegno mensile per l’assistenza

personale continuativa, l’assegno per le spese funerarie e lo speciale

assegno continuativo mensile.

L’indennità per la mancata retribuzione (o indennità per

inabilità temporanea assoluta) è una indennità giornaliera

riconosciuta nei casi di astensione dal lavoro per più di tre giorni a

causa di una invalidità temporanea. E’ erogata al lavoratore, a partire

dal quarto giorno successivo alla data di infortunio o dalla

manifestazione della malattia professionale, fino alla guarigione

clinica, ed è calcolata sulla retribuzione giornaliera34

. L’integrazione

della rendita è erogata dall’Inail in caso di revisione del danno,

quindi a distanza di dieci anni dall’infortunio e di quindici anni in

caso di malattia professionale. Altre misure economiche integrative,

automaticità delle prestazioni, per cui in caso di infortunio domestico dal

quale derivi una inabilità superiore al 27%, se non si è in regola con il

pagamento del premio, non si ha diritto alla tutela fornita dall’Inail [Inail,

2008].

34 Per una assenza di tre mesi dal lavoro, si ha diritto al 60% della

retribuzione. Oltre il terzo mese (e fino alla guarigione clinica) il

risarcimento sale al 75% del salario. Tale indennità non è riconosciuta alle

casalinghe, cui è erogata una rendita solo in caso di invalidità uguale o

superiore al 27%. In questo caso la rendita è calcolata sulla retribuzione

convenzionale nel settore industria e varia in relazione al grado di invalidità.

Page 56: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

56

sono quelle destinate ai grandi invalidi con una invalidità superiore

all’80% (e dal 2007 anche agli invalidi del lavoro con invalidità

superiore al 60%), se non superano un tetto di reddito stabilito

annualmente, e - a prescindere dal reddito - anche alle persone

totalmente invalide che ricevono l’assegno mensile per l’assistenza

personale continuativa (l’accompagno) e ai figli minori di 12 anni35

.

L’assegno di incollocabilità è versato ai lavoratori in età

lavorativa e con una inabilità superiore al 34%, (a partire dal 1

gennaio del 2007 anche in caso di invalidità superiore al 20%),

riconosciuti “incollocabili” dagli organismi competenti.

L’assegno mensile per l’assistenza personale continuativa (di

487,39 euro nel 2010) spetta invece ai lavoratori con invalidità totale.

In caso di morte per infortunio o malattia professionale, l’Inail

assicura ai supersiti un assegno per le spese funerarie36

e una rendita

mensile, erogata a decorrere dal giorno successivo alla morte. Se la

morte di un lavoratore già titolare di rendita diretta, si verifica per

cause indipendenti dall’infortunio, l’Inail riconosce ai superstiti, in

base al loro reddito, uno speciale assegno continuativo mensile, pari

al 65% della rendita percepita dal titolare con un grado di inabilità

permanente non inferiore al 65% (a partire dal 1° gennaio 2007anche

in caso di invalidità superiore al 48%).

Oltre alle prestazioni economiche, l’Inail fornisce

periodicamente anche strumenti e mezzi tecnologici necessari per lo

svolgimento della vita quotidiana e di relazione, come ad esempio le

protesi, progettate e realizzate su misura dall’Inail presso il Centro

35

Nel 2007 l’integrazione per i grandi invalidi era di 187,28 euro, quella per

i titolari di assegno per assistenza personale continuativa era di 232,64 euro,

quella per i figli con età inferiore a 12 anni era di 54,68 euro.

36 L’assegno per le spese funerarie è erogato ai superstiti o a chiunque

dimostri di averle sostenute. Nel 2007 era pari a 1.725,47 euro.

Page 57: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

57

Protesi di Vigorso di Budrio (Bologna) e la filiale di Roma. Infine,

allo scopo di garantire ai lavoratori assicurati il massimo recupero

possibile della salute e delle potenzialità lavorative, se il medico

dell’Inail lo richiede, il lavoratore può usufruire di cure

idrofangotermali e soggiorni climatici. In questo caso l’Inail paga le

spese di viaggio e di soggiorno in alberghi convenzionati sia

all’invalido sia ad un accompagnatore, nel caso sia accertata dal

medico la necessità della sua presenza.

In chiusura di questo paragrafo dedicato alle prestazioni Inail, ci

preme sottolineare l’esistenza di una ulteriore differenziazione

prevista dal nostro sistema di protezione sociale e riservata

esclusivamente ai dipendenti della pubblica amministrazione.

Anch’essi sono infatti soggetti all'assicurazione contro gli infortuni

sul lavoro e le malattie professionali, tuttavia mentre la tutela Inail

copre solo gli infortuni o le malattie strettamente connessi all'attività

lavorativa, la normativa pubblica invece, tutela anche i fatti

occasionali (cadute, incidenti, ecc.) purché in relazione

all'espletamento del servizio. Secondo il DPR 461/2001 (art.1), tutti i

lavoratori dipendenti pubblici, siano essi dirigenti o impiegati o

operai alle pubbliche dipendenze (inclusi quindi anche i magistrati

ordinari, amministrativi e della giustizia militare; gli avvocati e i

procuratori dello Stato; i militari delle forze armate, dei corpi ad

ordinamento militare; le forze di polizia, compresa quella

penitenziaria e del corpo forestale dello Stato e i vigili del fuoco)

possono richiedere l’invalidità per causa di servizio. Si tratta di una

pensione privilegiata erogata ai dipendenti pubblici, in caso di

lesioni o infermità temporanea o permanente, acquisita durante lo

svolgimento del pubblico servizio. Tale pensione non è calcolata in

base alla durata effettiva del servizio prestato, e non è proporzionale

all'entità della contribuzione versata. Anche in questo caso è

necessario il riconoscimento medico, attestante l’invalidità, la sua

entità e il nesso causale tra questa e l'attività di servizio. Oltre alla

pensione privilegiata, i dipendenti pubblici possono ricevere anche

Page 58: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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l’equo indennizzo, ovvero una indennità "una tantum" variabile a

seconda della gravità della malattia e commisurata alle funzioni e al

livello retributivo del lavoratore. I due trattamenti non si escludono

l'un l'altro, anche se chi riceve la pensione privilegiata può ottenere

soltanto un equo indennizzo ridotto. Anche questa distinzione tra

dipendenti pubblici e privati sottolinea la natura “categoriale” e il

carattere incrementale della protezione sociale nel nostro sistema di

welfare.

Page 59: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

59

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60

CAPITOLO QUARTO

IL PASSAGGIO DALLE POLITICHE “PASSIVE” ALLE

POLITICHE “ATTIVE” PER L’INSERIMENTO

LAVORATIVO DEI DISABILI

Nei primi anni Ottanta del secolo scorso diversi paesi

dell’Europa occidentale per far fronte alla considerevole perdita di

posti di lavoro nel settore industriale hanno introdotto strumenti di

assistenza pubblica e politiche passive (come gli schemi di pre-

pensionamento) per attenuare i costi sociali della forte riduzione

dell’occupazione. Dalla metà degli anni Ottanta, la costante crescita

della spesa pubblica in politiche passive si arresta, anche se con una

significativa differenza da paese a paese. A partire dal 1993 il

governo americano decide di adottare una nuova strategia: il

“welfare to work”, la quale punta a riformare il sistema di welfare

americano, sostituendo le politiche passive con le politiche attive del

lavoro. Tale approccio viene diffuso nel 1994 dall’Oecd a tutti i paesi

membri, attraverso una serie di raccomandazioni raccolte nella “Job

Strategy”. Tali tendenze di riforma e in particolare il nuovo

paradigma di policy si diffondono presto, dapprima nel Regno Unito,

con la sperimentazione del New Deal e in seguito anche in Europa,

dove nel 1997, viene lanciata la “Strategia Europea

sull’Occupazione”, con lo scopo di aumentare la partecipazione al

mercato del lavoro e promuovere il reinserimento lavorativo di

donne, disoccupati di lungo periodo, giovani e persone scarsamente

istruite.

Page 61: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

61

Secondo alcuni autori la strategia per l’occupazione

elaborata in ambito europeo, combacia per diversi aspetti con quella

elaborata nell’ambito dell’Oecd, in particolare per l’enfasi data alle

politiche attive per migliorare l'occupabilità. Mentre le due strategie

apparirebbero discordanti sul ruolo dei sistemi di protezione sociale,

che è residuale secondo l’Oecd e centrale secondo l’Unione Europea

[Beraldo e Patalano, 2003].

Altre ricerche hanno evidenziato che la strategia dell’Oecd

del 1994, la Strategia Europea per l’occupazione dell’Unione

Europea del 1997 e il Summit di Lisbona del 2000 rappresentano la

prima generazione di politiche di attivazione [Da guerre ed

Etherington, 2009]. Queste politiche hanno l’obiettivo di ridurre la

disoccupazione e l’inattività, attraverso la sostituzione delle misure

di politica passiva con politiche attive del lavoro, in particolare

quelle che pongono una maggiore enfasi sulla formazione.

Nonostante tali politiche di prima generazione siano supportate da

una serie di raccomandazioni e principi guida (dell’Oecd e

dell’Unione Europea) la loro efficacia tuttavia non sembrerebbe

dimostrata da studi e ricerche.

In seguito all’entrata in vigore nel 1996 negli Stati Uniti del

Personal Responsibility and Work Opportunity Reconciliation Act

(PRWORA), gli Stati hanno la possibilità di definire in modo più

flessibile programmi innovativi di welfare-to-work. Molti elementi

contenuti nella nuova norma - inclusi i limiti di tempo per l’ingresso

ai programmi e i requisiti più esigenti ed impegnativi - premono

perché gli stati possano realizzare programmi su vasta scala in grado

di aiutare effettivamente i destinatari del welfare a trovare e

mantenere un lavoro. Molti Stati nel ridisegnare i loro programmi

utilizzano la strategia work first, che ha l'obiettivo di far trovare ai

partecipanti un lavoro non sussidiato nel minor tempo possibile,

attraverso misure di ricerca al lavoro, brevi corsi di formazione o di

esperienze di lavoro.

Page 62: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

62

Nel 1997 viene pubblicata la guida “Work first: How to

implement an employment-focused approach to welfare reform”,

nella quale si descrive appunto la filosofia di fondo dei programmi di

questo tipo:

“Quello che definisce tali programmi è la loro filosofia

complessiva secondo la quale qualsiasi lavoro è un buon lavoro e

che il miglior modo per avere successo nel mercato del lavoro è

entrarci, sviluppando abitudini e competenze sul lavoro” [Brown,

1997, p.2]

I programmi di tipo work first puntano a fare in modo che i

destinatari di programmi di sussidio erogati dal welfare, possano

trovare un lavoro nel minor tempo possibile, veicolando un forte

messaggio, ovvero che il lavoro per i partecipanti non deve essere

soltanto un obiettivo ma anche una aspettativa. Ad ogni modo tale

guida non intende suggerire che il modello work first sia il più

efficace tra le strategie di welfare-to-work, poiché la possibilità di

individuare un modello migliore dipende dagli obiettivi specifici,

dalle risorse disponibili e dalle condizioni locali. Nonostante tale

premessa, il modello work first inizia a diffondersi, diventando il

modello prevalente in Europa nell’orientamento delle riforme delle

politiche sociali e del lavoro e dei sistemi di protezione sociali.

Vengono quindi condotte numerose ricerche per valutarne l’efficacia.

Malgrado i primi studi pubblicati, mostrino risultati contrastanti,

tuttavia nel 2003 l’Oecd, rivedendo la Job strategy lanciata nel 1994,

suggerisce di estendere l’approccio work first anche ad altri

destinatari, tra cui le persone con disabilità e le persone multi-

problematiche.

Nel paragrafo seguente esamineremo con attenzione

l’approccio del welfare-to-work e l’adozione del modello work first,

illustrando, sulla base della letteratura esistente e delle ricerche

effettuate, le sue caratteristiche e i limiti. Infine nell’ultimo paragrafo

Page 63: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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proveremo a individuare gli elementi centrali di un nuovo alternativo

approccio, definito life first.

1. Alle origini delle politiche attive del lavoro: dal

welfare-to work al work first

A partire dalle riforme del sistema di welfare realizzate dal

governo Clinton negli Stati Uniti inizia a diffondersi la tendenza a

modificare le politiche sociali e del lavoro, legando il ricevimento

dei sussidi del welfare alla partecipazione a programmi di politica

attiva del lavoro. L’obiettivo del governo democratico era infatti

quello di riformare l’assistenza destinata ai gruppi più disagiati della

popolazione americana attraverso la riduzione dei trasferimenti a

pioggia e l’ampliamento di incentivi di natura fiscale per coloro che

accettavano un’occupazione, per quanto mal pagata. In tal modo si

puntava a rendere il sistema di welfare americano più work-oriented.

Lo slogan di Clinton era “Make work pay”. Da qui il concetto di

“welfare-to-work” [Bertoldi, 2006]. E’ possibile comprendere la

natura dei cambiamenti in atto, dalle parole di Clinton in un suo

discorso del 1992, nel quale afferma:

“Continueremo ad aiutare le persone che non sono in grado di

farcela da sole e coloro che hanno bisogno di educazione,

formazione e servizi per i bambini. Ma coloro che sono in grado di

lavorare dovranno farlo. Noi daremo loro tutto l’aiuto di cui hanno

bisogno per almeno due anni. Dopodiché se sono in grado di

lavorare essi dovranno accettare un lavoro nel settore privato, o

iniziare a guadagnarsi da vivere attraverso la community service i

servizi della comunità” [citato in Bertoldi, 2006].

La più importante di queste riforme è la massiccia espansione

dell’Earned Income Tax Credit (EITC), uno strumento originale e

innovativo di sostegno del reddito. Nei casi di salari molto bassi, i

Page 64: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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contribuenti americani ricevono una riduzione che può superare

l’ammontare delle imposte versate. E’ chiaro che in questo caso

l’EITC si trasforma in un sussidio salariale presentato, per ragioni di

convenienza politica, come una riduzione d’imposta.

All’EITC fu affiancato nel 1996 il Personal Responsibility and

Work Opportunity Act, che definiva limiti temporali per certi benefici

del welfare ed imponeva obblighi occupazionali a coloro che

usufruivano di programmi di welfare. L’impatto di queste misure sul

mercato del lavoro fu positivo: il numero di persone nei programmi

di assistenza sociale si ridusse considerevolmente; il tasso di

disoccupazione scese sotto il 4%; per la prima volta in più di

vent’anni le differenze di reddito si ridussero, seppur lievemente e

infine diminuì anche il numero di persone con un reddito al di sotto

del livello di povertà.

Il nuovo sistema di welfare-to-work sembra aver funzionato bene

in un periodo di forte crescita economica, assorbendo senza

eccessive tensioni il rallentamento dell’inizio degli anni Novanta. Il

suo principale limite è di natura sociale piuttosto che economica.

Come notano Blank ed Ellwood [citati in Bertoldi, 2006], coloro che

non hanno successo nei loro tentativi di trovare e mantenere un

lavoro e coloro che si ritrovano disoccupati a causa del ciclo

economico più severo di quello recentemente attraversato, rischiano

di essere i perdenti di una riforma che nel suo complesso sembra

essere coronata da un considerevole successo. Tuttavia è importante

precisare anche che durante il ciclo economico recessivo del 2001,

seguito dalla jobless recovery del 2002-2003, alcune categorie di

disoccupati hanno scarsamente beneficiato delle nuove misure. In

particolare, ex-lavoratori (principalmente maschi) precedentemente

occupati nel settore manifatturiero o in settori in declino o esposti ai

processi di globalizzazione hanno avuto notevoli difficoltà a ritrovare

un’occupazione che corrispondesse alle loro abilità lavorative. Molti

di essi si sono semplicemente ritirati dal mercato del lavoro una volta

Page 65: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

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esaurito il sussidio di disoccupazione e dunque non appaiono nelle

statistiche come disoccupati [Bertoldi, 2006].

In conclusione quindi nonostante il welfare-to-work abbia

contribuito a far entrare nel mercato del lavoro persone che prima ne

erano escluse (o si autoescludevano), esso non sembra essere stato in

grado di offrire incentivi sufficienti a certe categorie di disoccupati

per farle restare nel mercato del lavoro [Bertoldi, 2006].

Il nuovo sistema sembra adattarsi alle esigenze della “nuova

economia”, generando un circolo virtuoso nel quale la rapida crescita

attira sul mercato del lavoro gruppi che precedentemente basavano la

propria sussistenza sui sussidi forniti dal welfare. L’afflusso di

questa forza-lavoro addizionale ha contribuito a contenere la

dinamica salariale, senza però che i lavoratori con bassi salari

risentissero significativamente di questa dinamica, poiché i loro

salari erano sostenuti dall’Earned Income Tax Credit. L’economia ha

potuto così continuare ad espandersi senza significative tensioni

inflazionistiche.

Se a prima vista non sembra che il sistema di welfare-to-work

abbia bisogno di correzioni significative, tuttavia esso rischia di

funzionare bene soltanto se l’economia cresce a ritmi sostenuti e la

disoccupazione resta relativamente bassa. Esso infatti, allentando

parte della rete di assistenza di base, poggia sulla scommessa che il

rallentamento della crescita economica sia temporaneo e di breve

durata [Bertoldi, 2006].

Il modello statunitense di workfare, rielaborato con

l’introduzione di alcuni aspetti tipici del modello scandinavo,

configurerebbe la strategia d’intervento inglese, dando vita, secondo

Beraldo e Patalano [2003] all’approccio work first. Esso punta a

convertire, nel minor tempo possibile, i beneficiari del sistema di

protezione sociale in lavoratori-contribuenti, utilizzando misure a

carattere d’incentivo che mirano ad eliminare la cosiddetta rational

Page 66: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

66

dependency degli individui dal sistema di protezione sociale. Queste

misure, infatti, da un lato, tramite la previsione di obblighi cui è

necessario ottemperare, riducono l’appetibilità dei benefici erogati, e

dall’altro, tramite l’introduzione di agevolazioni di tipo fiscale e la

disponibilità di servizi all’impiego, tendono ad incrementare i

rendimenti che gli individui possono ottenere dal lavoro (making

work pay). Tale modello inoltre propone un sistema di protezione

sociale che si contraddistingue per la temporaneità delle prestazioni

erogate e per l’assenza di una rete di assistenza residuale, che

dovrebbe garantire una protezione a quegli individui che mancano di

adempiere alle obbligazioni previste [Beraldo e Patalano, 2003].

Il nucleo centrale delle riforme attuate in Gran Bretagna a partire

dal 1998 è costituito dal New Deal, un programma che, in linea con il

modello del work first approach cui s’ispira, è strutturato in modo da

fornire agli individui la necessaria assistenza per migliorare la

propria occupabilità e la prospettiva di trovare e mantenere un

lavoro.

“uno degli obiettivi del New Deal è quello di assicurare che le

persone si trovino meglio senza i benefici piuttosto che

ricevendoli”[Beraldo e Patalano, 2003, p. 21-22].

Il programma è gestito su base locale dai Jobcentre Plus,

coinvolgendo anche imprenditori, autorità amministrative, società di

formazione, centri del lavoro (jobcentres), associazioni di

volontariato, ed altri enti o organizzazioni interessate. Dopo un certo

periodo iniziale, durante il quale le persone senza un lavoro

beneficiano dell’assistenza pubblica ricevendo un sussidio di

disoccupazione (Jobseeker Allowance, JSA) diventa obbligatorio

partecipare al programma. Esistono quattro schemi di intervento

destinati a quattro gruppi diversi di destinatari: a) i giovani (New

Deal for Young People);b) idisoccupati di lungo periodo (Enhanced

New deal for long-term Unemployed people); c) i genitori soli (New

deal for Lone Parents); d) i disabili (New deal for Disabled People).

Page 67: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

67

Questi ultimi due schemi si distinguono per la natura volontaria della

partecipazione ed in tal senso sembrano meno orientati verso il

modello work first.

Il “New Deal for Disabled People”(NDDP) in particolare è stato

introdotto sperimentalmente nel 1998 ed è tuttora il principale

programma (su base volontaria) per promuovere il reingresso al

lavoro delle persone disabili che percepiscono gli income benefits.

Esso permette ai partecipanti non solo di ricevere un sostegno di tipo

economico, ma anche di fruire, con il supporto di un consulente

personale di una serie di servizi per la ricerca di un lavoro, per la

formazione, per il riadattamento del luogo di lavoro.

Oltre al New Deal, sono stati promossi nel Regno Unito ulteriori

programmi destinati alle persone con disabilità: l’access to work e il

patways to work. Il primo ha permesso di stanziare dei fondi destinati

ai datori di lavoro in modo da permettere loro di affrontare le spese

necessarie per il riadattamento dell’ambiente di lavoro e renderlo

accessibile alle persone con disabilità. Il secondo è un programma

pilota introdotto nel Regno Unito a partire dall’Ottobre del 2003 e

destinato a circa il 10% dei beneficiari di Income Benefits (IB). Un

elemento centrale del programma è la possibilità per il beneficiario di

scegliere una serie di servizi destinati a migliorare le sue capacità,

come ad esempio i servizi di riabilitazione e di supporto, gli in-work

benefits erogati come premio durante il programma di preparazione

per il reingresso al lavoro, gli out-of-work benefits e i return to work

credit (RTWC37

), il Management Programme (CMP) per aiutare le

persone disabili che non lavorano a comprendere e gestire la propria

condizione di salute. Secondo alcuni esperti, il programma pathways

to work non ha funzionato in particolare nei confronti delle persone

37

I return to work credit consistono in un rimborso di 40 sterline al mese

(fino ad un anno) a coloro i quali ritornano a lavorare per almeno 16 ore la

settimana ma percepiscono un salario inferiore a 15,000 £.

Page 68: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

68

con problemi di salute mentale o con difficoltà di apprendimento38

.

Tali destinatari sono infatti risultati “difficili da raggiungere” e di

conseguenza in luogo di un percorso di inserimento lavorativo queste

persone hanno ricevuto poche risorse finanziarie a titolo di

compensazione [Crowther N., 2009, p. 75].

Numerosi studi di valutazione hanno mostrato i limiti

dell’adozione del modello work first in generale. In primo luogo esso

finisce per negare il diritto alla protezione e all’assistenza, In

secondo luogo ricorre ad un tipo di formazione troppo breve, in

modo da realizzare un rapido reinserimento nel mercato del lavoro,

con il rischio che la persona sia costretta ad accettare più facilmente

un cattivo lavoro. Infine ciò si traduce in bassi salari, nel rischio di

svolgere lavori precari e instabili, e con la possibilità di ritrovarsi in

quello che è definito carrousel effect, ovvero la possibilità di

fuoriuscire nuovamente e facilmente dal mercato del lavoro

[Daguerre ed Etheringhton, 2009, p.22].

A partire dal 2000-2001, iniziano a diffondersi studi e ricerche

per il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia delle politiche

attive del lavoro implementate nei diversi paesi. L’obiettivo è quello

di verificare quali politiche funzionano e quali no, quali destinatari

rispondono meglio a certi programmi, e quali elementi permettono ai

programmi di funzionare. I principali programmi analizzati sono stati

quelli americani, dove il loro monitoraggio è obbligatorio. Poche

sono state invece le valutazioni rigorose su programmi di politiche

38

E’ importante ricordare che nel Regno Unito, se il tasso di disoccupazione

per le persone con disabilità è del 48%, tra le persone con problemi mentali

esso arriva all’80% e nel caso delle persone con difficoltà di apprendimento

sale all’83%.

Page 69: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

69

attive realizzate in Europa (Regno Unito, Svizzera, Germania,

Belgio, Irlanda e Paesi Nordici).

Le ricerche condotte sulle politiche americane di tipo

workfarista, che sono riuscite a ridurre i beneficiari del welfare,

introducendo controlli e sanzioni hanno mostrato che le sanzioni

dovevano essere utilizzate con cautela, poiché secondo uno studio

condotto nel 1999 da Schott, Greenstein e Primus, esse tendevano a

colpire in particolare proprio le persone che avevano più difficoltà ad

accedere al mercato del lavoro [in Bertoldi 2006]. Inoltre coloro i

quali venivano sanzionati, il più delle volte mostravano delle

difficoltà a comprendere le regole e i requisiti richiesti dai

programmi e le conseguenze della mancata partecipazione agli stessi.

Alle stesse conclusioni giungono Hasenfeld et al. [2004], in uno

studio in cui si sottolinea come paradossalmente venivano sanzionate

proprio le persone più svantaggiate. Inoltre tali persone in alcuni casi

non avevano neanche compreso i motivi per cui erano state

sanzionate.

Esistono poche prove sugli effetti a lungo termine delle politiche

attive del lavoro. La maggior parte delle ricerche di valutazione

condotte in modo rigoroso sono in grado di mostrare esclusivamente

gli effetti nel breve termine, nel migliore dei casi a distanza di uno o

due anni dalla conclusione dei programmi [Martin e Grubb, 2001]. Si

tratta comunque di un periodo troppo breve comunque per poter

valutare il ritorno privato e sociale degli investimenti pubblici in

misure attive del lavoro.

Molti programmi sono stati implementati in scala sperimentale e

di conseguenza anche se si riscontra una valutazione positiva di tali

programmi, non è possibile stabilire quali possano essere i costi e

l’efficacia dell’estensione del programma su vasta scala [Martin e

Grubb, 2001, p. 11]. Inoltre sulla base della letteratura esistente sulla

valutazione dei programmi, non è ancora chiaro come sia possibile

estendere i risultati ottenuti sull’efficacia del programmi individuali,

Page 70: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

70

al livello macro [Martin e Grubbs, 2001, p. 13-14]. In definitiva

l’approccio work first, che utilizza misure di formazione

relativamente economiche e che puntano ad un veloce reinserimento

nel mercato del lavoro, sembra possa portare le persone ad accettare

lavori di bassa qualità, contribuendo alla creazione di “bad job” e

“working poor”.

Un altro problema è relativo alla eterogeneità dei risultati in aree

geografiche diverse, anche se in media, il programma risulta

funzionare [Martin e Grubb, 2001, p. 12].

Questo aspetto è stato ulteriormente analizzato da due studiosi

italiani, Altavilla C., Caroleo F.E., [2006] i quali, utilizzando un

modello econometrico, hanno esaminato gli effetti delle politiche

attive del lavoro sulle dinamiche dell'occupazione nelle diverse

regioni italiane. I risultati mostrano che le politiche attive del lavoro

producono effetti asimmetrici dovuti alle differenze economiche

strutturali che caratterizzano le diverse regioni italiane. In particolare

l'uso dei contratti a causa mista (formazione e lavoro) tende a ridurre

maggiormente la disoccupazione nelle regioni del nord più che nelle

regioni del mezzogiorno. Lo stesso accade per le misure di

stabilizzazione dei lavoratori a termine. Al contrario invece i sussidi

all’occupazione sembrano funzionare maggiormente al sud piuttosto

che al nord. Inoltre la diminuzione del tasso di disoccupazione in

risposta all'adozione di identiche misure di politiche attive del lavoro

in regioni diverse avviene con velocità diverse e con intensità diverse

nelle regioni del nord rispetto a quelle del mezzogiorno. Ciò dipende

dal fatto che nelle regioni del Nord il numero dei disoccupati è

minore ed esistono maggiori posti di lavoro a differenza delle regioni

del sud. In generale le politiche attive del lavoro sembrano produrre

dei risultati maggiori al nord piuttosto che al sud.

Infine Kluve [2006] analizzando i risultati di oltre 100 studi di

valutazione dell’efficacia delle politiche attive del lavoro in tutta

Europa conclude che l’efficacia delle politiche attive del lavoro non

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71

dipende da fattori istituzionali o dalle condizioni economiche del

paese in cui sono state realizzate, ma dal tipo di programma

implementato. L’analisi si basa sulla correlazione tra l’efficacia del

programma (positivo, negativo, nessuno) rispetto ad un set di

variabili quali il tipo di programma, il contesto istituzionale e il

background economico del paese nel momento in cui il programma

veniva implementato. I tipi di misure analizzati sono stati suddivisi

in quattro categorie: 1) programmi di formazione (in classe o sul

posto di lavoro, generale o specifica), al fine di aumentare la

produttività e l’occupabilità dei partecipanti, rafforzandone le

competenze ed il capitale umano; 2) incentivi per la creazione di

lavoro nel settore, con l’obiettivo di incoraggiare i datori di lavoro ad

assumere nuovi lavoratori o a mantenere posti di lavoro nei settori

potenzialmente a rischio. Tali misure sono dirette generalmente ai

disoccupati di lungo periodo o agli individui più svantaggiati; 3)

programmi di creazione diretta dell’occupazione nel settore

pubblico diretti ai soggetti più svantaggiati, con l’obiettivo di evitare

che le persone perdano il capitale umano e relazionale; 4) servizi e

sanzioni, che include tutti i programmi che aumentano l’efficienza

della ricerca del lavoro, con misure come l’assistenza nella ricerca di

un lavoro, il tutoraggio, il monitoraggio e le corrispondenti sanzioni

nel caso in cui il destinatario non rispetti le regole del programma

[Kluve, 2006, p.5]. Secondo Kluve i programmi che aumentano la

probabilità dei partecipanti di reinserirsi nel mercato del lavoro, sono

questi ultimi. Mentre i meno efficaci sarebbero i programmi che

creano lavoro direttamente nel settore pubblico.

In definitiva, nonostante le significative variazioni tra i paesi,

molti stati membri dell’Oecd utilizzano l’approccio work first,

implementando quindi politiche attive del lavoro basate

sull’approccio del bastone e della carota, alternando le sanzioni agli

incentivi economici e riservando i servizi di supporto alle persone

che ne hanno più bisogno [Da guerre ed Etherington, 2009].

Page 72: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

72

2. L’approccio work first e le politiche attive del lavoro per le

persone con disabilità

I risultati contrastanti sull’efficacia delle misure ispirate al

principio del work first hanno però spinto l’Oecd nel 2003 a rivedere

la strategia lanciata nel 1994. L’edizione del 2006 dell’Employment

Outlook dell’OECD propone infatti una rivisitazione generale della

precedente strategia sull’occupazione. L’enfasi è ora posta su come

rendere più efficaci le politiche attive del lavoro, piuttosto che sulla

crescita della spesa in misure attive e la nuova strategia si concentra

in particolare sul reinserimento dei disabili nel mercato del lavoro. Il

primo paese che ha intensificato gli sforzi per attivare tutte le

persone in età lavorativa, inclusi i destinatari di incapacity benefits è

stato il governo inglese, paese più all’avanguardia nell’adozione

della strategia work first [Daguerre ed Etherington, 2009]. Alle

persone con disabilità in cambio di un sostegno al reddito, viene

richiesto di rendersi disponibili a lavorare, introducendo quindi delle

sanzioni nei confronti di quanti non si attengono ai requisiti richiesti

dai nuovi programmi. L’approccio del bastone e della carota,

applicato alle persone che hanno più difficoltà ad acceder al mercato

del lavoro non solo nega il diritto all’assistenza, ma non sembra

funzionare nei casi più problematici.

Daguerre ed Etherington [2009] hanno recentemente esaminato i

programmi di politica attiva che sono stati adottati a livello

internazionale con l’obiettivo di comprendere quali siano state le

politiche attive del lavoro che hanno funzionato meglio. Secondo la

loro analisi è importante tenere in considerazione quattro elementi

cruciali:

1) utilizzare i programmi di attivazione erogando un sostegno di

tipo personalizzato e intervenendo precocemente nei casi di

persone maggiormente svantaggiate.

2) E’ importante che il rapporto tra lo staff all’interno dei centri

per l’impiego e i destinatari delle politiche sia adeguato, in

Page 73: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

73

quanto questo fattore influisce effettivamente sulle

performance del programma.

3) E’ necessario offrire un supporto maggiore e specifico alle

persone multi-problematiche

4) I lavori sussidiati combinati con programmi di formazione al

lavoro permettono di ottenere risultati occupazionali

sostenibili.

Gli approcci che prevedono servizi, misure ed interventi

personalizzati, incluso il tutoraggio, in modo da seguire la persona

soprattutto nelle fasi iniziali, ottengono risultati migliori. E’

importante quindi che il personale addetto all’erogazione di tali

misure di politica attiva del lavoro sia in numero adeguato rispetto al

numero dei beneficiari e sia qualificato a svolgere tale lavoro di

supporto.

La tendenza ad offrire un sostegno mirato e personalizzato è

stato riscontrato sia in Olanda nel programma Obligation to Learn

and Work Initiative for Youth e in Australia nel programma Job

Capacity Assessment for people with disabilities. In entrambi i casi si

riscontra però una rafforzamento della condizionalità dei programmi

applicata anche ai gruppi più difficili da reinserire come i giovani e i

disabili. L’assistenza personalizzata è sicuramente più costosa e

richiede l’utilizzo di un piano di azione personale il quale deve

riflettere sia i bisogni individuali in termini di competenze, sia le

specifiche aspirazioni personali.

Le ricerche condotte sulle politiche attive destinate a disabili,

soggetti multi-problematici e persone svantaggiate hanno mostrato la

necessità di ricorrere a sostegni economici maggiori, tempi più

lunghi e minori condizionamenti in termini di sanzioni.

L’importanza di tali fattori risulta confermata anche dalla nostra

ricerca sul programma sperimentale di politiche attive del lavoro

implementato in Italia dall’Inail e destinato esclusivamente agli

invalidi del lavoro (si veda par. 6.2).

Page 74: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

74

Infine è stato riscontrato che le politiche di formazione al lavoro

in combinazione con la creazione di lavori sussidiati, ha permesso

l’ingresso nel mercato del lavoro di soggetti, come i disabili o gruppi

di persone più vulnerabili, che non avrebbero altrimenti avuto

accesso ad un mercato del lavoro. Un esempio di successo è il

programma implementato in Danimarca per i disabili e il programma

Olandese per i giovani. Si tratta di programmi costosi ma che

sembrano produrre buon risultati per le persone più svantaggiate

[Daguerre ed Etherington , 2009]

3. Verso il modello life first?

Anche se non esiste un unico sentiero di riforma delle politiche

sociali e del lavoro e dei sistemi di welfare, l’approccio che ha

orientato i policy makers nell’ultimo decennio è stato quello del work

first [Brown 1997], attraverso il quale è stato possibile ridurre gli alti

e persistenti tassi di disoccupazione in Europa attraverso l’adozione

di politiche attive del lavoro che hanno subordinato l’erogazione dei

benefici del welfare all’accettazione di un lavoro qualsiasi.

Diverse sono state le critiche rivolte a tale approccio. Secondo

van Oorschot e Hvinden [2000] il limite principale è stato quello di

restringere l’accesso alle misure passive di tutela e sostegno al

reddito, introducendo controlli più severi e sanzioni nei confronti dei

destinatari che rifiutano di prendere parte ai programmi di politica

attiva del lavoro perché non li considerano adeguati ai loro bisogni e

capacità, negando in modo il diritto alla protezione sociale.

Oltre a negare il diritto alla protezione sociale, l’approccio work

first, secondo alcuni autori [Dean et al. 2005] rafforzerebbe gli utenti

del welfare in quanto consumatori, piuttosto che in quanto cittadini.

Gli investimenti in formazione sembrano infatti finalizzati a

migliorare il funzionamento di una persona in termini di attore

economico e non invece ad accrescere le sue capacità di scegliere la

vita che vorrebbe vivere [Sen 1987]. In tal modo il concetto di

Page 75: Le Politiche Attive Per Il Reinserimento Lavorativo Degli Invalidi Del Lavoro_ Il Modello Sperimentale Inail

75

capacità verrebbe declinato nella sua accezione di «rafforzamento del

capitale umano», restringendo il concetto dei diritti umani ad una

interpretazione liberal-individualista [Dean et al. 2005].

Dean invece propone l’adozione di un approccio di tipo life first

secondo il quale non solo è fondamentale garantire il diritto

all’assistenza e alla protezione sociale, e tale diritto non può e non

deve essere in alcun modo condizionato. Ma è anche importante

puntare al rafforzamento delle capacità umane, in modo da ampliare,

piuttosto che restringere le possibilità di una persona di scegliere e

agire liberamente. Dean fa riferimento al concetto di capacità umane

di Sen, sottolineando la differenza esistente tra questo concetto e

quello di capitale umano. Lo stesso Sen [1997] affermava che il

capitale umano costituisce solo una faccia della medaglia dello

sviluppo umano, quella che fa riferimento alle risorse materiali, ma è

necessario tenere presente anche l’altra faccia, quella delle capacità

umane, perché gli esseri umani non sono soltanto mezzi di

produzione, ma anche l’obiettivo ultimo del produrre [Sen 1997].

Se la scelta tra uno dei due approcci può non essere rilevante in

termini di riduzione della disoccupazione, in quanto entrambi

contribuiscono alla sua decrescita, tuttavia essa è cruciale

nell’aumento o nella diminuzione dei livelli di disuguaglianza

sociale. I dati Oecd [2006, 16] dimostrano infatti che entrambi gli

approcci ottengono buoni risultati sul piano della crescita

dell’occupazione, ma mentre la strategia work first, nel contrastare la

disoccupazione, abbassa la spesa pubblica, riduce il livello di tutela

del lavoro e accresce le disuguaglianze sociali, di contro la strategia

life first riesce a promuovere un’ampia partecipazione al mercato del

lavoro e contiene la crescita delle disuguaglianze sociali, pur se con

costi economici più alti [Oecd 2006, 16].

Sintetizzando i due approcci è possibile evidenziare quindi tre

differenze principali tra l’approccio work first e quello life first:

1) nell’approccio work first il sostegno al reddito è vincolato alla

sottoscrizione di un patto tra beneficiario e assistente sociale. Chi

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76

non collabora o rifiuta un lavoro, perde il beneficio mentre

nell’approccio life-first il sostegno al reddito non è condizionato alla

sottoscrizione di un patto o alla partecipazione ad un programma. Il

beneficiario può scegliere in aggiunta al sostegno economico, anche

di intraprendere un percorso formativo adatto al rafforzamento delle

proprie capacità e che meglio si concilia con i propri bisogni e con il

proprio percorso di vita. Il rifiuto di un lavoro ritenuto non adatto o

inconciliabile con le proprie esigenze di vita non è penalizzato

2) nell’approccio work first la partecipazione al programma è

obbligatoria. I percorsi formativi possono essere più o meno

personalizzati ma sempre obbligatori, pena l’esclusione dal

programma e dal sostegno al reddito, mentre nell’approccio life first

la partecipazione ai vari corsi di formazione è volontaria. Il diritto

delle persone che si trovano in stato di bisogno (disoccupati, disabili,

ecc…) a ricevere un sostegno al reddito non è in alcun modo ridotto,

limitato o condizionato dalla mancata partecipazione ai programmi.

I percorsi formativi non sono “calati dall’alto” ma co-progettati con

i beneficiari, in modo individuale e personalizzato in base a bisogni e

capacità.

3) differenze nei risultati: con l’approccio work first si persegue

una politica di riduzione della spesa pubblica ma anche di riduzione

dei diritti umani e della libertà di scelta; spreco delle risorse umane.

Il limite è che esso contribuisce alla crescita delle disuguaglianze

sociali, e all’aumento di bad jobs e working poor. Con l’approccio

life first si persegue una politica di interpretazione dei bisogni umani,

di rafforzamento delle capacità, di ampliamento della libertà di scelta

di creazione di nuova e buona occupazione e di riduzione delle

disuguaglianze sociali. Anche se tale approccio influisce

sull’aumento della spesa pubblica.

Il modello Inail di politiche attive per il reinserimento degli

invalidi del lavoro sembra avere adottato un approccio di tipo life

first, non solo perché le politiche attive di formazione e

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77

reinserimento non escludono le misure di sostegno economico (quali

l’indennizzo per danno permanente, l’integrazione della rendita, lo

speciale assegno continuativo, l’integrazione di fine anno, ecc.), ma

soprattutto perché il reinserimento socio-lavorativo dell’invalido è

realizzato nella logica della valorizzazione delle capacità

dell’individuo. L’invalido del lavoro che riceve un sostegno di tipo

economico, può candidarsi volontariamente a partecipare ad un

progetto di formazione individuale, costruito insieme alla équipe

locale Inail, in modo da rafforzare le proprie capacità residue e

reinserirsi nel mondo del lavoro. Chi non partecipa ai progetti non

perde i benefici economici.

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78

CAPITOLO QUINTO

LE POLITICHE PER L’INSERIMENTO DELLE

PERSONE CON DISABILITA’ NEL MERCATO DEL

LAVORO

1. Dal collocamento obbligatorio al collocamento mirato

Fino alla fine degli anni sessanta non esisteva in Italia una

specifica normativa che agevolasse in modo chiaro l’accesso delle

persone con disabilità nel mondo del lavoro, ad eccezione delle

persone che avevano riportato delle menomazioni a causa della

guerra.

Nonostante la Carta Costituzionale stabilisse la pari dignità di

tutti i cittadini (art.3) e il diritto al lavoro per tutti i cittadini (art.4) è

solo nel 1968 che si arriva a disciplinare con la legge 482 “le

assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le

aziende private”.

Si tratta di una norma a carattere impositivo e assistenzialistico

che stabilisce l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità,

attraverso l’avvio numerico sulla base di una graduatoria e quindi

senza alcuna attenzione nei confronti dell’adeguatezza della

mansione lavorativa da svolgere. Il cosiddetto sistema delle quote

infatti stabiliva per le aziende pubbliche e private con almeno 35

dipendenti, il collocamento obbligatorio del 15% di persone con

disabilità39

, etichettate come “categorie protette” e che comprendeva

i disabili civili, gli invalidi del lavoro, di guerra e per servizio, le

39

Tale percentuale doveva poi essere ripartita tra le varie categorie di

persone con disabilità.

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79

vedove e gli orfani degli stessi, e i sordomuti. L’assunzione era

vincolata all’esistenza di uno stato invalidante intesa come riduzione

della capacità lavorativa.

La facile eludibilità dell’obbligo e dei controlli, l’estrema

burocratizzazione dei processi, il carattere assistenziale del

collocamento obbligatorio e la poca chiarezza nella definizione dei

requisiti di invalidità all’interno delle commissioni mediche, resero

tale riforma poco efficace e solo il 3-4% delle persone con disabilità

riuscirono con questo sistema ad essere inserite nel mercato del

lavoro.

Nonostante i risultati fallimentari, si deve attendere l’inizio degli

anni novanta per individuare nuovi provvedimenti legislativi in

favore delle persone con disabilità. Nel 1991 con la L. 381 vengono

definiti gli ambiti di intervento delle cooperative sociali, le quali

attraverso la possibilità di stipulare convenzioni con gli enti pubblici,

possono sviluppare imprese per l’inclusione delle persone

svantaggiate. Nel 1992 entra in vigore la legge 104, fondamentale

per la costruzione di un quadro di insieme dei diritti delle persone

con disabilità. In questa legge vengono infatti stabiliti gli indirizzi

fondamentali per un approccio integrato alla disabilità, mettendo

insieme una sera di temi che fino a quel momento erano stati trattati

in modo disaggregato e disfunzionale. Nella legge viene anche

considerato il tema del lavoro, ma nei fatti soltanto l’inserimento

nelle cooperative sociali e i “laboratori protetti” sembrano costituire

gli unici canali di accesso al lavoro, mentre il mercato regolare resta

ben lontano dall’integrare al suo interno le persone con disabilità

Nel 1999 con la legge 68 si decide quindi di introdurre nuove

norme per il diritto al lavoro dei disabili. In luogo del collocamento

obbligatorio la legge istituisce il “collocamento mirato”, che consiste

in una serie di servizi di sostegno e di politiche volte a favorire

l'inserimento lavorativo della persona giusta nel posto giusto. A tale

scopo si stabilisce un nuovo metro di valutazione della disabilità di

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80

tipo “medico-sociale”, tale da permettere di individuare le “capacità

residue” della persona con disabilità che opportunamente rafforzate,

possano favorirne il reinserimento lavorativo. Si passa quindi da una

valutazione dei bisogni della persona per fini esclusivamente

economici, ad un’analisi valutativa multi-disciplinare e multi-

dimensionale, in grado di tenere conto dei possibili progressi grazie

anche all’inserimento nel mondo del lavoro.

Il vecchio sistema delle quote viene mantenuto, ma modificato e

l’obbligo di assunzione viene esteso anche alle aziende con almeno

15 dipendenti. In base alle modifiche introdotte, le aziende

(pubbliche e private) che occupano da 15 a 35 dipendenti devono

assumere almeno una persona con disabilità; quelle con un numero di

lavoratori compreso tra 36 e 50 addetti, sono tenute ad impiegarne

due; le imprese con un numero di lavoratori superiore a 50, devono

riservare il 7% dei propri posti alle persone con disabilità. Le aziende

che non presentano la richiesta di avviamento al lavoro di persone

con disabilità ai competenti uffici del lavoro vengono sanzionate con

il pagamento di una multa proporzionale al numero di persone non

assunte e moltiplicato per il numero di giorni di mancata assunzione.

Se nei confronti dei datori di lavoro, l’obbligo di impiegare i

lavoratori con disabilità viene mantenuto, la nuova legge cerca

invece di individuare per la persona con disabilità, sul fronte

riabilitativo-occupazionale, un nuovo percorso di reinserimento più

attento alle capacità della persona. Si delinea quindi un nuovo

modello di politiche attive del lavoro, applicato alle persone con

disabilità.

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2. Gli attori istituzionali per l’inserimento lavorativo

delle persone con disabilità

Nel 1999 vengono introdotte nuove disposizioni, (L. 144)

riguardanti gli incentivi all’occupazione, il riordino degli enti

previdenziali e la normativa che disciplina l’Inail. In particolare con

l’art. 55 si procede a modificare il sistema di assicurazione contro gli

infortuni sul lavoro e le malattie professionali, conferendo all’Inail il

compito di sperimentare nuove politiche attive per il reinserimento

degli invalidi del lavoro. Per sperimentare un nuovo modello di

politiche attive per le persone con invalidità lavorativa, nel triennio

1999-2001, si stabilisce che l’Inail possa destinare 150 miliardi di

vecchie lire provenienti dalla lotta all’evasione contributiva, per la

realizzazione di progetti formativi e di riqualificazione professionale

“sperimentali” destinati esclusivamente agli invalidi del lavoro.

E’ da questo momento che ha inizio una differenziazione tra le

politiche attive del lavoro realizzate dall’Inail per gli invalidi del

lavoro e quelle implementate dai centri per l’impiego per il

collocamento mirato delle persone con disabilità (e in generale

quindi sia per i lavoratori disabili che per i disabili civili).

La già sancita distinzione tra disabili civili, lavoratori disabili e

invalidi del lavoro, in merito alla diversa protezione economica

offerta dal sistema di protezione italiano si amplia. Si tratta di un

elemento di resistenza insito nel sistema italiano di welfare di stampo

“lavorista”, che offre una maggiore protezione ai lavoratori (e quindi

anche agli invalidi del lavoro), in quanto contribuiscono al

finanziamento del sistema di protezione sociale. Il netto dualismo

esistente tra “i beneficiari forti” e “i beneficiari deboli” discende

dall’art.38 della Costituzione italiana, che distingue la protezione

sociale offerta ai lavoratori, dall’assistenza destinata a chi non

lavora, al fine di garantire a questi ultimi esclusivamente il diritto al

mantenimento e all’assistenza sociale.

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82

Agli invalidi del lavoro oltre ad un più favorevole trattamento

economico, vengono destinate in via esclusiva le nuove politiche

attive sperimentali promosse dall’Inail con l’obiettivo di rafforzare le

capacità residue degli invalidi del lavoro e reinserirli nel mercato del

lavoro. A ciò si aggiunga che la legge 68 del 1999, introducendo

nuove norme per il collocamento mirato delle persone con disabilità,

aveva confermato la differenza tra gli i disabili civili e gli invalidi del

lavoro, stabilendo per questi ultimi una soglia di invalidità più bassa

per l’accesso alle politiche di re-inserimento nel mercato del lavoro.

Gli invalidi del lavoro infatti possono accedere ai progetti di

formazione e reinserimento promosse dall’Inail, se hanno un livello

di disabilità medio-grave (ovvero superiore al 33%), mentre i disabili

civili possono accedere ai servizi di collocamento mirato gestiti dai

centri per l’impiego, solo con un livello di disabilità superiore al

45%.

Con la possibilità di prendere parte ai progetti di formazione

Inail, gli invalidi del lavoro non solo possono continuare a ricevere

un sostegno economico da parte dell’Inail (per esempio attraverso la

rendita per il danno patrimoniale e per il danno biologico), ma

possono – se vogliono – anche partecipare ai percorsi individuali per

la formazione professionale e il reinserimento lavorativo.

Si crea quindi un doppio sistema di valutazione della disabilità:

uno per i disabili civili gestito dalle commissioni mediche integrate

presenti nelle Asl, e uno per gli invalidi del lavoro gestito dalle

equipe multidisciplinari Inail40

.

Il percorso di valutazione dei disabili civili presso le Asl si

caratterizza come una valutazione medico-sociale realizzata con

40

Le commissioni mediche integrate per la valutazione della disabilità sono

state introdotte dalla L.104/ 1992 (art.4).

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l’obiettivo di ottenere un certificato attestante il livello di disabilità,

utile sia per ottenere dall’Inps (solo in presenza di determinati

requisiti di disabilità e di reddito) un sostegno economico, sia per

iscriversi alla lista unica per il collocamento dei disabili, presso i

centri per l’impiego.

Nel capitolo terzo abbiamo già sottolineato le differenze esistenti

tra i requisiti richiesti ai disabili civili e quelli richiesti ai lavoratori

con disabilità e agli invalidi del lavoro per l’ottenimento di un

supporto economico. Qui invece ci interessa precisare quali siano le

differenze che riguardano la valutazione delle capacità residue,

realizzata dalle Asl rispetto all’Inail.

Nelle Asl la valutazione è effettuata dalle commissioni mediche

integrate, le quali considerano la disabilità in termini di percentuale e

la certificano compilando una scheda, contenente le informazioni

sulla natura e il grado della disabilità. A tali informazioni si

aggiungono quelle riguardanti le attitudini personali, il livello

d’istruzione e capacità lavorative, in modo da facilitare presso i

centri per l’impiego (CPI) il percorso di collocamento mirato. Presso

i CPI al certificato di disabilità rilasciato dalle Asl, si aggiunge una

scheda personale, nella quale vengono presi in considerazione diversi

altri parametri, tra cui l’anzianità di iscrizione al collocamento, la

condizione economica, il carico familiare, la difficoltà di

spostamento sul territorio. In questo modo è possibile creare una

graduatoria unica ai fini delle assunzioni, in grado di facilitare

l’eventuale richiesta di lavoro proveniente delle imprese e consentire

un inserimento mirato nel mercato del lavoro.

Se il percorso attuato dal disabile civile per ottenere un sostegno

economico e per cercare di inserirsi nel mercato del lavoro ha

previsto il confronto con diversi attori istituzionali (Asl e CPI),

quello dell’invalido del lavoro è invece gestito interamente ed

esclusivamente dall’Inail. L’Inail infatti “prende in carico” l’invalido

assicurandogli un sostegno completo e integrato che include sia le

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prestazioni di tipo economico, sia un percorso riabilitativo

individuale, sia un percorso di formazione professionale e di

reinserimento lavorativo. Anche la valutazione dell’invalidità è

gestita in via esclusiva all’Inail, che a partire dal 2001 ha reso

operativo un nuovo modello organizzativo quello delle equipe

multidisciplinari. Si tratta di equipe composte da tre diverse figure

professionali: il medico legale, il funzionario e l’assistente sociale e

che lavorano in maniera integrata e coordinata. La presenza di figure

professionali diverse permette di realizzare una valutazione medico-

sociale dell’invalidità, nella quale, vengano considerate allo stesso

tempo, sia le conseguenze mediche dell’infortunio o della malattia

professionale che ha comportato un certo livello di invalidità, sia le

conseguenze sociali dello stesso.

Nel concludere questo paragrafo, ci sembra importante

sottolineare la differenza esistente tra l’approccio di politiche attive

seguito dall’Inail per gli invalidi del lavoro e quello seguito dai centri

per l’impiego nei riguardi dei disabili civili.

L’approccio dell’Inail si avvicina maggiormente ad un approccio

di tipo life first, in quanto gli invalidi del lavoro hanno accesso sia

alle politiche passive, sia alle politiche attive e queste ultime non

condizionano o riducono i diritti e le possibilità di scelta dei

destinatari, ma anzi arricchiscono il ventaglio delle opzioni a loro

disposizione.

L’approccio utilizzato dai centri per l’impiego per il

collocamento mirato dei disabili civili, invece, non solo condiziona il

ricevimento di un sostegno economico a requisiti più stringenti, ma

obbliga anche le persone con disabilità all’accettazione di un lavoro

che sia ritenuto dall’operatore del CPI idoneo alle capacità trascritte

nella scheda individuale. I disabili civili inoltre, non sono soltanto

esclusi dalle misure economiche previste invece per gli invalidi del

lavoro (come l’eventuale assegno di incollocabilità dell’Inail), ma

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85

sono esclusi anche dall’accesso alle politiche di formazione e

reinserimento promosse dall’Inail.

3. La riforma dell’Inail: nuove politiche e nuovo modello

organizzativo

Nel 1999 ha inizio il processo di cambiamento e di riforma

dell’Inail. Le nuove disposizioni in materia di assicurazione contro

gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, introdotte con la

L.144, avevano conferito all’Istituto il compito di sperimentare la

realizzazione di politiche attive per gli invalidi del lavoro, in modo

da facilitarne il reinserimento lavorativo.

Per una “macchina” complessa e articolata come quella dell’Inail,

si tratta di un grande cambiamento, che rende necessario anche un

riadattamento funzionale e organizzativo dell’Istituto e che introduce

interessanti elementi di novità.

Il riadattamento funzionale ha inizio con l’individuazione da

parte del consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inail di indirizzi

programmatici per la promozione e il finanziamento dei progetti di

reinserimento. Successivamente il consiglio di amministrazione

dell’Istituto, stabilisce la tipologia e la finalità degli interventi, i

criteri e le modalità per la formulazione dei progetti, per la loro

ammissione e l’entità delle risorse da destinare, ripartendo i

finanziamenti stanziati (150 miliardi di vecchie lire, per il triennio

1999 -2001, pari a circa 77.469 euro) tra le tipologie di progetti

realizzabili.

Gli interventi vengono distinti in: 1) progetti formativi di

riqualificazione professionale degli invalidi del lavoro; 2) progetti di

incubazione di nuove attività imprenditoriali (artigianali, agricole o

di servizi, gestite, sia pure in forma non esclusiva da lavoratori

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disabili, anche sotto forma di cooperative sociali); 3) progetti per

l’abbattimento delle barriere architettoniche; 4) progetti sperimentali

regionali.

Tutti i progetti attuabili hanno in comune la finalità di favorire il

reinserimento dei lavoratori invalidi nell’azienda di provenienza,

preferibilmente nelle mansioni già svolte in precedenza. Nel caso in

cui il reinserimento nella stessa azienda, non sia praticabile, i progetti

possono puntare ad agevolare l’inserimento lavorativo in un’altra

azienda.

In questo modo ai tradizionali compiti svolti dall’Inail, quali la

presa in carico dell’assistito, la gestione della pratica per il

riconoscimento del supporto economico, e la formulazione di un

progetto riabilitativo personalizzato si aggiunge (art. 24 del D. Lgs.

38 del 2000), anche quello di promuovere progetti formativi e di

riqualificazione professionale, che favoriscano il reinserimento

lavorativo degli invalidi del lavoro.

Parallelamente l’Inail intensifica la tutela erogata e la estende

anche a nuovi destinatari. L’assicurazione contro gli infortuni e le

malattie professionali viene offerta anche alle casalinghe, ai

parasubordinati, ai dirigenti e agli sportivi. La protezione contro i

rischi derivanti da un infortunio o malattia professionale, viene

riconosciuta anche nei casi di infortunio in itinere (ovvero durante il

tragitto casa - lavoro - casa). Infine con l’introduzione del concetto di

“danno alla persona”, vengono riconosciute e risarcite le

conseguenze di un eventuale infortunio non solo in termini di danno

patrimoniale (perdita di guadagno) ma anche come danno alla

persona.

A partire dal 2001 l’Inail rende operativo anche un nuovo

modello organizzativo, in grado di gestire sia la fase di valutazione

delle capacità residue attraverso una valutazione medico-sociale, sia

la fase di reinserimento al lavoro, attraverso la sperimentazione di

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progetti formativi e di riqualificazione professionale. Per uniformare

la realizzazione di tali progetti, la direzione centrale dell’Inail invia a

tutte le sedi Inail le linee guida, la cui analisi ci ha permesso di

individuare alcuni elementi di particolare interesse del nuovo

modello organizzativo, tra cui: 1) l’istituzione delle equipe

multidisciplinari e multilivello e della valutazione medico-sociale

delle capacità residue; 2) l’integrazione tra le politiche passive e le

politiche attive del lavoro; 3) la centralità dell’utente nella

costruzione del proprio progetto formativo; 4) il sistema di tipo

bottom-up nella formulazione dei progetti; 5) il decentramento

amministrativo e l’importante ruolo attribuito agli attori Inail di

livello locale.

Le equipe multidisciplinari Inail composte dal medico legale, da

un funzionario amministrativo e dall’assistente sociale, gestiscono

tutte le fasi dell’intervento previsto. Quella della presa in carico,

della valutazione della disabilità, dell’erogazione dei benefici e dei

servizi previsti, ecc.. Il medico verifica le conseguenze

dell’infortunio e certifica la eventuale invalidità; l’assistente sociale

considera le implicazioni dell’infortunio sulla mutata situazione

personale dell’utente e della sua famiglia. Il funzionario porta avanti

le pratiche burocratiche per l’ottenimento di un sostegno economico

laddove previsto. Le equipe sono presenti anche nella fase di

definizione insieme all’utente di un percorso individuale e

personalizzato di riabilitazione e in quella di formulazione di un

adeguato progetto formativo e di reinserimento lavorativo. Tali

equipe sono operative non solo in tutte le sedi locali Inail (equipe

multidisciplinare di primo livello), ma anche nelle direzioni regionali

(equipe multidisciplinare di secondo livello) e nella sede centrale

dell’Inail (equipe multidisciplinare centrale)41

.

41

Le equipe locali gestiscono la fase di valutazione medico-sociale, la

formulazione del piano riabilitativo personalizzato, e quella di formulazione

e proposta del progetto formativo e di reinserimento; le equipe regionali,

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Un secondo elemento di novità del modello Inail è l’integrazione

tra le misure di tutela economiche e riabilitative e gli interventi di

formazione, riqualificazione professionale e reinserimento

lavorativo. L’integrazione è concretamente attuata dalle assistenti

sociali, che svolgono un ruolo di coordinamento all’interno delle

equipe multidisciplinari, conciliando le misure passive (come il

risarcimento, in rendita o in capitale del danno subito, l’eventuale

assegno di incollocabilità) con gli interventi attivi (come i corsi di

formazione e riqualificazione professionale e l’inserimento

lavorativo). La partecipazione ai progetti formativi non condiziona

quindi i diritti dell’invalido, né questi è obbligato a partecipare ad un

progetto qualsiasi, pur di ricevere un sostegno economico.

Questo punto si collega al terzo elemento caratteristico del

modello Inail: la centralità dell’utente. L’invalido del lavoro

partecipa alla costruzione del proprio percorso formativo e di

reinserimento. Anche gli strumenti operativi utilizzati nella

formulazione del progetto puntano a tenere conto non solo delle

abilità residue dell’invalido che possono essere valorizzate, ma anche

delle aspettative dell’utente e dei suoi familiari. Il progetto formulato

al livello locale, viene quindi inviato al livello regionale per la fase

della valutazione dei criteri di ammissibilità dello stesso, dei

finanziamenti necessari a realizzarli, e del rispetto dei criteri stabiliti

nelle linee guida.

La formulazione del progetto formativo dell’invalido preso in

carico, procede quindi dal livello locale al livello centrale (modello hanno il compito di valutare i progetti, esprimendo un parere sulle spese da

sostenere. In caso di parere negativo il progetto può essere respinto o

rimandato alla sede locale per una variazione sui contenuti o sulle modalità

di realizzazione, mentre in caso di approvazione il progetto viene inviato

alla direzione Centrale Riabilitazione e Protesi. L’equipe multidisciplinare

centrale, infine monitora l’andamento dei progetti e fornisce su richiesta,

consulenza alle strutture regionali.

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bottom-up) e questo rappresenta un quarto elemento di novità del

modello Inail42

. Ogni progetto, per essere realizzato deve essere

approvato anche dal cda dell’Inail, cui viene inviato dalla sede

centrale, dopo che la direzione regionale ha espresso un parere

favorevole sulle spese da sostenere43

.

Infine è importante sottolineare, un quinto elemento innovativo

del modello Inail: il forte impulso dato al decentramento. Non solo si

attribuisce un ruolo di primo piano alle sedi locali nella formulazione

di progetti formativi, ma viene anche favorito il contatto tra le

assistenti sociali Inail e gli attori istituzionali esterni all’Istituto. Le

assistenti sociali Inail per la prima volta sono infatti chiamate a

relazionarsi con i centri per l’impiego, gli enti di formazione, le

imprese, in modo da individuare il posto di lavoro adatto per

l’invalido preso in carico. Tale contatto tra gli attori esterni all’Inail e

l’assistente, e tra questa e l’utente, facilita la formulazione di un

progetto di riqualificazione professionale rispondente sia alle

capacità dell’utente e sia ai profili richiesti dai datori di lavoro e dalle

imprese, permettendo così al tempo stesso, la valorizzazione delle

capacità dell’individuo e la costruzione di progetti formativi in linea

con i profili professionali richiesti nel mercato del lavoro locale.

42

Per la precisione si tratta di un modello di tipo bottom-up, relativamente

alla fase di progettazione, che diventa un modello a rete nella fase di

implementazione dei progetti.

43 In caso di parere negativo il progetto può essere respinto o rimandato alla

sede locale per una variazione sui contenuti o sulle modalità di

realizzazione. Tutti i progetti approvati sono costantemente monitorati

infine dalla equipe multidisciplinare centrale della direzione centrale

riabilitazione e protesi, che fornisce su richiesta, anche una consulenza alle

direzioni regionali.

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A partire dal 2007, i progetti formativi, che erano accessibili

esclusivamente agli invalidi del lavoro con un livello di disabilità

medio-grave (ovvero superiore al 33%) sono diventati accessibili a

tutti gli invalidi. L’Inail infatti, con una nuova delibera del Consiglio

di Amministrazione, ha esteso le politiche di formazione e

reinserimento lavorativo anche ai disabili con livello di invalidità

lieve (inferiore al 33%) che rischiavano di perdere il proprio posto di

lavoro. In tal modo la platea dei potenziali fruitori delle politiche

attive di formazione e reinserimento al lavoro si è estesa.

Sulla base dei dati della Banca Disabili Inail, alla fine del 2008,

gli invalidi del lavoro in età lavorativa in Italia erano

complessivamente 328 mila persone. Tra questi, quelli con una

disabilità grave (superiore al 33%) erano circa 83mila, mentre quelli

con una invalidità lieve erano circa 245 mila. Stando a tali dati, si

sarebbe passati quindi da una platea di 83 mila invalidi ad un totale

di 328 mila potenziali partecipanti alle misure di politica attiva

promosse dall’Inail.

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92

CAPITOLO SESTO

ANALISI DELLA SPERIMENTAZIONE INAIL NEI

SUOI ASPETTI ORGANIZZATIVI E NEI RISULTATI

CONSEGUITI

1. Obiettivi della ricerca e metodologia utilizzata

La presente ricerca nasce con l’obiettivo di analizzare le

caratteristiche delle politiche attive del lavoro promosse dall’Inail per

la formazione e il reinserimento lavorativo degli invalidi del lavoro. I

primi contatti con l’Inail, sono avvenuti alla fine del 2006 e la ricerca

si è conclusa alla fine del 2009. L’analisi è stata condotta in tre

diverse fasi, utilizzando una metodologia di ricerca mista, con

tecniche qualitative e quantitative.

Nella prima fase, iniziata con l’incontro dei dirigenti della

Direzione Centrale Riabilitazione e Protesi, sono state raccolte le

informazioni disponibili sui progetti in corso, le diverse circolari

dell’Ente e tutte le normative di riferimento al fine di definire un

quadro iniziale. Durante questa prima fase sono stati raccolti diversi

documenti: le Linee guida Inail [2001] le Guide alle prestazioni Inail

[2008, 2010] e si è proceduto all’approfondimento della normativa

esistente [L. 482/1968; L. 68/1999, D.Lgs 38/2000]. I documenti

raccolti, sono quindi stati analizzati con l’obiettivo di comprendere e

descrivere le caratteristiche dell’approccio adottato dall’Ente.

Particolare attenzione è stata rivolta alle Guide alle prestazioni Inail

[2008, 2010], per verificare quali erano stati i cambiamenti introdotti

dal processo di riforma dell’Ente (per es. l’introduzione del danno

biologico, l’ampliamento dei destinatari assicurati, l’abbassamento

delle soglie di invalidità per l’accesso alle prestazioni erogate;

l’introduzione del nuovo regime indennitario); e alle “Linee guida”,

fondamentali per osservare il funzionamento del nuovo modello

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Inail. Per iniziare la sperimentazione dei progetti di formazione e

reinserimento lavorativo degli invalidi del lavoro l’Inail ha infatti

dovuto modificare il proprio modello organizzativo ed elaborare un

nuovo modello. Quest’ultimo, messo a punto dalla Direzione

Centrale Riabilitazione e Protesi è stato quindi trasmesso a tutte le

sedi locali e regionali nel maggio del 2001, al fine di uniformare

regole, pratiche e politiche. La sperimentazione quindi, ha avuto

inizio soltanto in seguito al ricevimento delle Linee guida, ovvero nel

momento in cui era stato stabilito che la sperimentazione si sarebbe

dovuta concludere. Tuttavia l’Inail ha portato avanti

l’implementazione delle politiche come previsto nel modello e ha

proceduto ad attivare tramite protocolli e circolari le procedure

necessarie per la realizzazione dei progetti. In questa prima fase

quindi gli attori Inail hanno operato seguendo le linee guida e

confrontandosi con le situazioni che di volta in volta si presentavano.

Nella seconda fase, sono state condotte interviste in profondità

alla Dirigente della Direzione Centrale Inail Riabilitazione e Protesi,

agli assistenti sociali Inail in due regioni (Sicilia e Lazio) con

l’obiettivo di comprendere come era stato implementato il modello

delineato nelle linee guida e se erano state adottate delle modifiche

non previste per andare incontro ad eventuali situazioni o esigenze da

parte dei beneficiari delle politiche in esame. Questa fase si è

conclusa con un focus group presso la Direzione Centrale, cui hanno

partecipato la dirigente nazionale e i responsabili delle Inail regionali

di Piemonte, Emilia Romagna e Toscana. In tal modo è stato

possibile verificare quali progetti sono stati effettivamente realizzati,

confrontando il modello stabilito nelle linee guida con le pratiche

attuate e le politiche concretamente implementate, individuando

anche limiti e punti di debolezza del modello.

Infine nella terza e ultima fase sono stati valutati gli esiti dei

progetti realizzati, attraverso l’analisi dei dati del Monitoraggio

conclusivo dell’Inail [2009]. In particolare ci siamo soffermati sul

risultato della formazione e del reinserimento degli invalidi del

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lavoro che avevano partecipato ai progetti in tutta Italia. Oltre al dato

complessivo, è stato possibile distinguere i risultati ottenuti nelle

quattro aree geografiche: Nord Ovest, Nord Est, Centro e Sud e Isole.

Non è stato invece verificato l’esito dei progetti in ogni singola

regione, dal momento che, in particolare nelle regioni del Sud e nelle

Isole sono stati realizzati pochi progetti (in alcuni casi come nel

Molise o in Basilicata nessuno) oppure i pochi, a volte singoli,

progetti realizzati, non hanno permesso la riqualificazione o il

reinserimento degli invalidi coinvolti.

L’analisi di dati secondari provenienti da diverse fonti è stata

utilizzata non soltanto nella fase finale della ricerca, ma anche

inizialmente. Infatti facendo ricorso ai dati contenuti nella Banca dati

Disabili Inail [2008, 2009] è stato possibile definire il numero degli

invalidi del lavoro titolari di rendita Inail e attraverso i dati

dell’indagine Istat sulle condizioni di salute della popolazione

italiana [2004-2005], conoscere anche il totale delle persone con

disabilità presenti nel nostro paese. Infine i dati del Ministero del

Lavoro e delle Politiche sociali [2005, 2007, 2010] ci hanno fornito il

totale delle persone con disabilità iscritte alla lista unica per il

collocamento mirato presso i centri per l’impiego e la percentuale di

avviamenti al lavoro realizzati dal 2004 al 2009.

2. I risultati formativi e gli inserimenti lavorativi

In questo paragrafo presenteremo una valutazione dei risultati

delle politiche attive di formazione e reinserimento al lavoro, che

l’Inail ha realizzato dal 2001 al 2008 su tutto il territorio italiano. Per

l’analisi sono stati utilizzati i dati del monitoraggio finale dell’Inail

[2009] riguardanti il numero e la tipologia di progetti promossi e il

numero di invalidi coinvolti, riqualificati e reinseriti.

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Complessivamente l’Inail ha realizzato in tutta Italia 269 progetti

di riqualificazione professionale, che hanno interessato 1.390 invalidi

del lavoro. Per valutare la riuscita della formazione abbiamo

rapportato il numero degli invalidi del lavoro che hanno concluso

positivamente la formazione al totale dei partecipanti ai progetti. La

percentuale di invalidi formati è del 72%, (998 persone) e tra i

formati, la percentuale di invalidi reinseriti nel mercato del lavoro è

del 56% (556 persone).

Gli invalidi del lavoro che hanno concluso il progetto formativo

sono, dunque, quasi i tre quarti dei soggetti coinvolti e quelli

reinseriti nel lavoro sono oltre la metà di quelli che hanno concluso

la formazione. Un risultato tutto sommato positivo, tenendo presente

che stiamo esaminando la fase di sperimentazione del programma.

Per dare una idea più precisa del quadro reale e delle differenze

territoriali emergenti dall’implementazione dei progetti, abbiamo

approfondito l’analisi per aree geografiche (Nord- Ovest, Nord-Est,

Centro, Sud e Isole), in modo da confrontare i differenti esiti

formativi e di reinserimento ottenuti nelle quattro aree individuate44

.

Dalla comparazione sono emerse evidenti differenze tra le aree

geografiche. Per quanto riguarda l’esito della formazione, i progetti

realizzati nelle aree centrale e nordorientale del nostro paese hanno

ottenuto risultati migliori in termini formativi rispetto ai progetti

promossi nelle aree del Nord-Ovest e del Sud e Isole (cfr. tab. 1).

Il dato peggiore è quello del Sud e Isole dove solo il 60% dei

partecipanti ha concluso la formazione, mentre il risultato migliore è

quello dell’area del Nord-Est dove ben il 90% dei partecipanti è stato

riqualificato. Per spiegare tale differenza, abbiamo formulato

l’ipotesi che l’esito della formazione dipenda dalla personalizzazione

dei progetti “individuali” realizzati. In base al modello Inail, definito

dalle linee guida, i progetti realizzati sono stati sostanzialmente tre:

44

Non si è proceduto ad una comparazione tra le regioni, in quanto in

alcune di esse (in particolare quelle del Sud Italia) non è stato proposto

alcun progetto formativo o non è stato reinserito alcun invalido.

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1) i progetti locali individuali; 2) i progetti locali non individuali; 3) i

progetti regionali sperimentali (collettivi).

Dall’analisi dei dati del monitoraggio Inail, sul totale di 269

progetti realizzati, ben il 90% è stato promosso dalle sedi locali. (Ciò

significa che il decentramento stabilito nelle linee guida è stato

effettivamente praticato). Il dato più interessante però riguarda la

differenza tra i progetti locali individuali e quelli regionali collettivi.

I primi, quelli «individuali», costruiti cioè a partire dalle esigenze del

soggetto coinvolto e richiedendo la partecipazione del destinatario

alla fase di elaborazione del progetto stesso, sono stati 184 pari al

68% del totale dei progetti45

. I progetti collettivi organizzati dalle

direzioni regionali e definiti dall’Inail «sperimentali», invece hanno

coinvolto più invalidi contemporaneamente in un unico corso di

formazione. Per esempio in Calabria, la direzione regionale Inail, ha

promosso un unico progetto sperimentale, denominato «Centro

territoriale nuova occupazione», nel quale sono stati coinvolti 176

invalidi del lavoro46

.

45

Il restante 22% dei progetti locali realizzati hanno coinvolto più invalidi

contemporaneamente.

46 I progetti sperimentali regionali sono stati realizzati soltanto in sei

regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Liguria e Calabria.

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TAB. 1 Esito della formazione Inail per area geografica. Anno

2009 (valori assoluti e percentuali)

Aree

geografiche

Progetti

realizzati

(v.a.)

Invalidi

coinvolti

(v.a)

Invalidi

Formati

(v.a)

Invalidi

Formati

(%)

Nord –Ovest 58 556 375 67%

Nord-Est 126 290 260 90%

Centro 62 243 181 74%

Sud e Isole 23 301 182 60%

Italia 269 1390 998 72%

Fonte:elaborazione su dati del monitoraggio conclusivo Inail 2009.

In ogni area geografica il livello di personalizzazione dei

progetti è stato uno dei fattori che ha influito sulla riuscita della

formazione. Al crescere della percentuale di progetti individuali

infatti, è aumentata la percentuale di invalidi formati tra i

partecipanti. Nell’area centro orientale, dove sono stati realizzati una

percentuale maggiore di progetti individuali e personalizzati, si

riscontra pertanto una percentuale maggiore di invalidi riqualificati,

rispetto alle aree del Nord-Ovest e del Sud e Isole.

È anche vero però che, se la formazione ottiene più successo

al crescere della personalizzazione dei progetti, la riuscita della

formazione non risulta l’unico fattore in grado di influenzare il

reinserimento lavorativo.

Come si nota nella tab. 2, sebbene i progetti realizzati

nell’area centro-orientale si siano conclusi con un’alta percentuale di

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formati tra i partecipanti, tuttavia il maggior numero di reinserimenti

è stato ottenuto invece nell’area Nord del paese. Abbiamo ipotizzato

quindi che la più alta percentuale di reinserimenti lavorativi nelle

aree del Nord (Ovest ed Est), rispetto alle aree del Centro-Sud e Isole

dipendesse dalla diversa capacità dei mercati di assorbire l’offerta di

lavoro. In tal caso sarebbe la maggiore domanda di lavoro nel Nord

del paese ad influire sul reinserimento lavorativo delle persone con

una invalidità.

Per verificare tale ipotesi abbiamo analizzato, sulla base dei

dati Istat [2009], come varia la distribuzione delle imprese sul

territorio italiano. Infatti la domanda di lavoro «obbligata» per i

disabili varia, in base a quanto stabilito dalla legge, al crescere del

numero delle imprese presenti nelle diverse aree geografiche e

all’aumentare della grandezza delle aziende. Distinguendo queste

ultime in: 1) piccole: con meno di 50 addetti, tenute ad assumere da

uno a due disabili; 2) medie: con un numero di lavoratori compreso

tra 50 e 99 e con l’obbligo di impiegare da 4 a 7 disabili; 3) grandi:

con oltre 100 dipendenti e con l’obbligo di assumere oltre 7 disabili,

i dati Istat ci permettono di osservare che la percentuale di imprese

presenti al Nord Ovest (38%) e nel Nord Est (26%) è maggiore

rispetto a quella delle altre aree (il 22% al Centro e 14% al Sud), e

aumenta anche al crescere della grandezza delle imprese (43% di

grandi imprese al Nord Ovest contro il 28% al Nord Est, il 17% al

Centro e il 12% al Sud).

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TAB. 2 Esito del reinserimento per area geografica. Anno 2009

(valori percentuali)

Aree geografiche Invalidi Formati (%) Invalidi Reinseriti (%)

Nord –Ovest 67,4% 62%

Nord-Est 89,7% 73%

Centro 74,5% 46%

Sud e Isole 60,5% 30%

Italia 72% (998) 56% (561)

Fonte: elaborazione su dati del monitoraggio conclusivo Inail, 2009.

Al Nord del paese non solo esiste un numero maggiore di

imprese «obbligate» ad impiegare i disabili, ma sono anche più

numerose le aziende di grandi dimensioni, tenute ad assumere al loro

interno un numero maggiore di disabili. Questo dato spiegherebbe

perché le politiche attive del lavoro che puntano a rendere più

occupabili gli invalidi attraverso corsi formativi personalizzati, non

producono i risultati attesi in termini di reinserimenti nelle aree con

una bassa domanda di lavoro.

Nel concludere questo paragrafo, è utile soffermarci su

alcuni elementi di criticità che possono aver ulteriormente influito

sul numero complessivo dei progetti di inserimento realizzati e sulle

differenze osservate nell’implementazione dei progetti nelle diverse

aree geografiche del nostro paese47

.

Anzitutto va notato che dei circa 150 miliardi di vecchie lire

stanziati per il finanziamento dei progetti formativi e di

47

Questi elementi di criticità sono emersi in gran parte nel corso delle

interviste effettuate con dirigenti locali e assistenti sociali dell’Inail.

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100

reinserimento lavorativo, al 30 giugno 2006, solo circa il 20% era

stato effettivamente speso e per la maggior parte nelle regioni del

Nord.

Un altro limite che può avere influito sull’esito dei progetti

riguarda la carenza nel personale dell’Inail, di assistenti sociali, che

svolgono un importante compito di coordinamento all’interno

dell’équipe multidisciplinare. Solo alla fine del 2009 infatti è stato

bandito un nuovo concorso per ripristinare l’organico di assistenti

sociali presenti in ogni sede. È chiaro che nei casi in cui un’unica

assistente sociale si trova a dover svolgere il compito di coordinare i

progetti promossi in diverse sedi locali, la capacità organizzativa

dall’Inail è più bassa rispetto alle regioni in cui in ogni sede è

presente una o più assistenti sociali. Potrebbe essere utile quindi non

solo verificare come varia la spesa per i progetti realizzati tra le aree

individuate, ma anche controllare se e come cambia l’esito della

sperimentazione al crescere del numero di assistenti sociali Inail

presenti nelle diverse regioni e sedi considerate.

3. Conclusioni

Questa ricerca è nata inizialmente con l’obiettivo di analizzare e

descrivere la sperimentazione di politiche attive per la formazione e

il reinserimento lavorativo degli invalidi del lavoro. Successivamente

essa ci ha permesso non soltanto di conoscere le caratteristiche del

nuovo modello implementato dall’Inail, e verificarne i risultati, ma

anche di individuare i limiti e i punti di forza nel processo di riforma

dell’Ente, fornendoci anche l’occasione di ripensare al sistema

sociale italiano nel suo complesso.

Per quanto riguarda i risultati della sperimentazione Inail a

livello nazionale è emerso che laddove la formazione è stata attuata

in modo personalizzato, e i progetti sono stati individuali o hanno

previsto la partecipazione di un ristretto numero di partecipanti,

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101

questo ha prodotto dei migliori risultati formativi, nel senso che il

numero dei partecipanti ai progetti che hanno concluso la formazione

è stato più elevato. Tuttavia la personalizzazione e il buon esito della

formazione, sebbene siano stati fattori importanti, non sono stati

determinanti nei reinserimenti lavorativi. E’ vero che la percentuale

reinserimenti, pari al 40% tra i partecipanti, sale al 56% se si

considerano esclusivamente gli invalidi del lavoro riqualificati,

ovvero quelli che hanno portato a termine il progetto formativo.

Approfondendo l’analisi nelle diverse aree geografiche, si è potuto

notare che nell’area centrale, dove i progetti formativi hanno ottenuto

un buon esito, tuttavia la percentuale di reinseriti è stata più bassa,

rispetto all’area del Nord Ovest, dove è accaduto il contrario. In base

ai dati contenuti nelle relazioni al parlamento sullo stato di attuazione

della L.68/1999, la quota di posti di lavoro obbligati scoperti per il

reinserimento degli invalidi del lavoro formati è maggiore nel Nord

del paese, dove infatti sono stati realizzati il maggior numero di

reingressi al lavoro. Le disuguaglianze territoriali ed in particolare le

differenze tra i mercati del lavoro hanno quindi influito sull’esito

degli inserimenti e ciò significa che non solo le politiche che puntano

all’offerta di lavoro, ma anche quelle che ne stimolano la domanda,

sono fondamentali.

Rispetto al secondo punto, ovvero ai punti di forza e di

debolezza emersi dall’analisi del processo di riforma dell’Inail, la

ricognizione delle diverse misure e prestazioni esistenti ha

evidenziato che uno dei principali limiti consiste nella mancanza di

una protezione sociale universale, riconosciuta a tutti i cittadini, a

prescindere dalla propria condizione lavorativa. In realtà questo

elemento è sempre stato peculiare nel nostro sistema di welfare, il

quale a partire da un modello di tipo bismarckiano, è andato

modificandosi, secondo una logica incrementale, con l’aggiunta di

misure e prestazioni destinate a diverse categorie di destinatari.

Nonostante i cambiamenti, il fondamento lavorista non è mai stato

messo in discussione. Come abbiamo visto, in particolare nel

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102

capitolo 3, tuttora, la tutela offerta è fortemente differenziata. Le

forme di protezione previste vanno dall’assistenza, residuale e

discrezionale nei confronti dei cittadini privi di mezzi e in stato di

bisogno, all’assicurazione e previdenza per i lavoratori che

contribuiscono al finanziamento del sistema con il versamento dei

contributi. Una ulteriore distinzione si evince dal trattamento

privilegiato riservato ai dipendenti pubblici rispetto a quelli privati.

La mancanza di strumenti di sostegno universale, ha comportato, a

volte, l’utilizzo improprio di strumenti previdenziali a scopo

assistenziale, come nel caso delle pensioni di invalidità erogate come

equivalenti funzionali di misure di sostegno al reddito, provocando

una opaca commistione tra previdenza e assistenza, oltre che la

sovrapposizione tra Inps e Inail nell’offerta delle prestazioni.

Un secondo limite, riguarda l’incapacità del sistema attuale a

rispondere al cambiamento della natura dei rischi, non più

temporanei e contingenti, ma durevoli e prolungati, di fronte ai quali

la protezione sociale esistente, oltre ad essere differenziata e quindi

iniqua, diventa sempre più insufficiente e inadeguata. I bisogni

sociali si moltiplicano, si differenziano, richiedono forme di

intervento e di risposta più estese, personalizzate, offerte localmente

e in grado di adeguarsi tempestivamente ai cambiamenti in atto.

A ciò si aggiungono ulteriori processi di cambiamento. La

fragilizzazione della famiglia, sempre più in difficoltà nell’offrire il

proprio tradizionale sostegno di cure e assistenza nei confronti dei

componenti affetti da disabilità, in particolare a causa dei tagli alla

spesa pubblica, che colpiscono i trasferimenti monetari destinati alle

famiglie e a causa dell’insufficienza dei servizi territoriali e

domiciliari. Anche le trasformazioni del mondo del lavoro, con

l’introduzione di nuove forme contrattuali instabili e atipiche che non

prevedono l’assicurazione contro i principali rischi della vita, come

la disoccupazione, la malattia, l’infortunio aggravano ulteriormente

la condizione delle persone con disabilità, già difficilmente in grado

di inserirsi nel mercato del lavoro e oggi ancora più instabili e

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103

insicuri se occupati attraverso le nuove e più precarie forme

contrattuali; Infine i nuovi vincoli di bilancio posti dall’adesione

all’Unione Europea, con l’imposizione del mantenimento del

rapporto tra deficit pubblico e prodotto interno lordo e spingono in

direzione di una ulteriore riduzione della spesa pubblica, in

particolare in una fase di recessione economica mondiale e di

conseguente diminuzione del prodotto interno lordo.

Il processo di cambiamento dell’Inail, ci ha permesso non solo di

individuare i punti deboli ma anche di cogliere tre punti di forza: a)

l’estensione della protezione a destinatari prima esclusi, come i

lavoratori parasubordinati e le casalinghe. Anche la riduzione della

soglia di invalidità minima riconosciuta per ottenere un risarcimento

monetario va in questa direzione, così come il riconoscimento

dell’infortunio in itinere, durante il tragitto casa-lavoro-casa e

l’indennizzazione del danno biologico alla persona, oltre che di

quello patrimoniale; b) l’introduzione di un sistema di tutela globale

e integrato, in grado di prevenire gli infortuni e l’insorgere di

malattie professionali, ma anche di sostenere economicamente

l’utente, offrirgli cure mediche e piani individuali di riabilitazione; c)

la promozione di un intervento pubblico, partecipato e abilitante, che

nei progetti Inail ha permesso la compartecipazione del destinatario

alla definizione del proprio progetto formativo, il rafforzamento delle

sue capacità residue e il successivo reinserimento sociale e

lavorativo.

Il primo punto di forza individuato nel processo di riforma

dell’Inail, ovvero l’estensione della protezione, richiama la necessità

di rivedere i requisiti di accesso alla protezione sociale offerta dal

nostro sistema, in modo da estendere la tutela alle persone

attualmente escluse. In questo senso va interpretata la proposta di

adottare un approccio di tipo life first, basato sul riconoscimento dei

diritti e sul rafforzamento delle capacità, in luogo del modello work

first, nel quale soltanto chi dimostra di “meritare” protezione può, a

determinate condizioni, ottenerla. L’estensione della protezione

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sociale, andrebbe ad incidere su uno degli elementi forti di path

dependency del nostro sistema di welfare, ovvero quello della tutela

forte solo per i lavoratori forti e della tutela debole o assente per le

componenti più marginali all’interno del mercato del lavoro. Inoltre

ciò permetterebbe di eliminare i casi di utilizzo improprio di misure

previdenziali, di commistione tra previdenza e assistenza e di

sovrapposizione tra Inps e Inail.

Il secondo punto di forza: l’introduzione di un sistema di tutela

globale e integrato, sottolinea l’importanza di stabilire non solo

standard minimi di assistenza di tipo universale, ma di introdurre

anche un sistema di protezione pubblica di secondo livello, in grado

di erogare di volta in volta servizi e prestazioni aggiuntive e

proporzionali al diverso grado di bisogno dei cittadini. Mentre

l’erogazione dei servizi e delle misure standard di primo livello

potrebbe essere finanziato dalla fiscalità generale, per il secondo

livello di tutela si potrebbero invece introdurre finanziamenti

addizionali, prevedendo la compartecipazione dei destinatari sulla

base della loro capacità di contribuzione (utilizzando come strumento

l’Isee). In tal modo si andrebbe incontro all’esigenza di costruire un

sistema di tutela globale e integrato, in grado di offrire localmente

servizi e prestazioni pubbliche, personalizzate e quindi adeguate non

solo ai diversi bisogni dei cittadini beneficiari, ma anche alle loro

possibilità economiche.

Infine il terzo punto di forza: la promozione di un intervento

pubblico, partecipato e abilitante. In primo luogo si sottolinea la

rilevanza del pubblico (come meglio evidenziato nel capitolo

secondo) senza che ciò comporti l’esclusione di una

compartecipazione da parte dei privati del mercato o del terzo

settore. Nel modello Inail le linee guida sono state predisposte infatti

per uniformare standard, pratiche e procedure. Anche se le risorse

sono state rese disponibili a livello regionale e le misure e i servizi

erogati localmente, il coordinamento, il monitoraggio e la

valutazione delle politiche realizzate sono rimaste in capo al livello

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centrale, pubblico e statale, in modo da garantire livelli minimi ed

essenziali di intervento e la disponibilità dei servizi a tutti i cittadini

su tutto il territorio nazionale.

I tre punti di forza rilevati nel processo di riforma dell’Inail, se

estesi al sistema di protezione sociale nel suo complesso, potrebbero

quindi permettere la costruzione di un sistema non più limitato

all’offerta di un sostegno economico differenziato per categorie

diverse di destinatari, ma in grado di fronteggiare rischi sociali

sempre più individualizzati attraverso prestazioni, servizi e politiche

attive rivolte a tutti i cittadini e in grado di tutelare e al tempo stesso

riqualificare e reinserire nel mercato del lavoro.

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