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Le reti di imprese e i processi di internazionalizzazione Enzo Rullani Venice International University, Tedis Laboratorio Network RLN, Venezia t.Lab CFMT, Milano Scuola di Sistema Confartigianato Imprese Grottaferrata (Roma) 27-28 giugno 2012

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Le reti di imprese e i processi di internazionalizzazione

Enzo Rullani

Venice International University, Tedis

Laboratorio Network RLN, Venezia

t.Lab CFMT, Milano

Scuola di Sistema Confartigianato Imprese

Grottaferrata (Roma) 27-28 giugno 2012

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Capire la crisi

per uscirne prima e meglio di altri

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ANATOMIA DI UNA CRISI

La crisi non nasce solo da errori o contingenze sfavorevoli: sarebbe molto facile trovare rimedi che la curano, se così fosse

In superficie, tocchiamo con mano due problemi cronici, che marciscono da anni e a cui non si e’ ancora trovata risposta:

- l’eccesso di debito, dovuto specialmente al deficit spending dello Stato e dunque alla bulimia della politica, specie in certi paesi;

- l’eccesso di speculazione finanziaria che fa lievitare le aspettative sul futuro per scommetterci su, spesso barando al gioco, cosicchè ogni boom prepara il successivo sboom

In realtà, ci sono tre cause strutturali che vanno ben oltre:

1. Un aumento vertiginoso della INTERDIPENDENZA NON GOVERNATA;

2. L’esplosione di SQUILIBRI COMPETITIVI globali;

3. l’INSOSTENIBILITA’ dei molti processi dissipativi messi in movimento dagli automatismi nei vari campi

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SE IL MONDO DIVENTA COMPLESSO, BISOGNA IMPARARE A VIVERCI IN ALTRO MODO

La crisi non è una malattia da cui si guarisce e tutto ricomincia come prima: è il segno attraverso cui emerge un nuovo modo di funzionare del paradigma emergente:

IL CAPITALISMO GLOBALE DALLA CONOSCENZA

In questo nuovo paradigma bisogna correggere le tre crisi con rimedi diversi e complementari:

1. INSTABILITA’: dare forma organizzata alla flessibilità nelle filiere, nei territori, nei rapporti con la finanza e col fisco con la CONDIVISIONE degli investimenti e dei rischi

2. COMPETITIVITA’: aumentare di molto la produttività (valore per ora lavorata e per euro investito) con una NUOVA ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

3. SOSTENIBILITA’: rigenerare le premesse (ambientali, sociali, cognitive) della crescita, in modo che possa durare, costruendo soggetti collettivi che correggano RIFLESSIVAMENTE gli automatismi dissipativi della modernità

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La domanda di fondo: CRISI O TRANSIZIONE?

• Ciò che farà la differenza – tra dieci o venti anni – sarà la capacità di persone, imprese e territori di fare INVESTIMENTI A RISCHIO che scommettono sul proprio futuro

• L’atteggiamento ATTENDISTA alla lunga non paga, perché gli investimenti devono rimediare ad un gap di competitività (e di produttività) rispetto ai nuovi concorrenti low cost

• C’è differenza tra crisi e transizione: la prima suggerisce l’idea di ripristinare l’equilibrio pre-crisi come obiettivo da realizzare; la seconda induce invece ad usare la crisi come transizione verso un nuovo paradigma produttivo, un nuovo modo di generare valore

La crisi è un cantiere in cui si de-costruisce il vecchio edificio e con quei materiali si ri-

costruisce il nuovo

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LA CRISI NON SEGNA SOLO CROLLO DEL VECCHIO SISTEMA, E’ ANCHE IL PERCORSO ATTRAVERSO CUI SI COSTRUISCE IL NUOVO

• La crisi dei paesi ricchi coesiste con un fortissimo ritmo di crescita dei paesi emergenti (BRIC e dintorni) = è un fenomeno dualistico, di destabilizzazione indotta dagli squilibri tra due motori diversi dello sviluppo;

• La crescita dei BRIC continuerà a prescindere dalla nostra crisi perché è mossa da un imponente flusso di conoscenze codificate che si sposta nel mondo alla ricerca dei paesi che hanno un minor costo dei fattori

• I paesi ricchi devono investire a rischio in intelligenza

• Il processo durerà decenni, perché ci sono grandi riserve di lavoro a basso costo nel mondo da saturare, e perché la molla dello sviluppo in questo caso è interna (l’uscita dalla povertà)

Questo processo è in grado di generare un ENORME POTENZIALE DI VALORE che si traduce genera ogni anno in un grande

SURPLUS (per le differenze di costo e per i maggiori moltiplicatori della conoscenza)

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A CHI VA IL SURPLUS GENERATO DALL’EMERGERE DEL CAPITALISMO GLOBALE

DELLA CONOSCENZA?• in parte (ma solo in parte) va ai paesi emergenti = alle loro

imprese, ai loro lavoratori, ai loro Stati, alle loro banche• in parte va alle multinazionali che attivano e sfruttano i vantaggi

del flusso di conoscenze trasferite nelle nuove filiere globali (macchine, investimenti diretti, costruzioni, nuovi mercati di consumo)

• in parte va ai consumatori dei paesi ricchi e agli acquirenti industriali che possono comprare componenti, lavorazioni, macchine, prodotti a basso prezzo

NELLE NUOVE FILIERE GLOBALI ESISTE UN GRANDE POTENZIALE DI VALORE DA INTERCETTARE E DISTRIBUIRE IN BASE AL POTERE CONTRATTUALE DI CUI SI DISPONE per

cui:1. Il surplus si concentra nelle fasi (imprese, lavoro, luoghi) in cui è

presente la conoscenza generativa (intelligenza in azione) necessaria a produrre nuova conoscenza e a gestirne la moltiplicazione replicativa

2. Questo rende incerto il futuro destabilizzando i valori finanziari e facendo esplodere il RISCHIO DEL FUTURO = il vero fulcro intorno a cui ruota la crisi attuale (non la domanda, non la distorsione politica)

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Reti di impresa

OGGETTO OSCURO DEL DESIDERIO

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PERCHE’ PARLIAMO DI RETI?

La rete di imprese è una forma stabile di collaborazione per cui diverse imprese portano avanti un progetto comune sfruttando le loro complementarità, senza rinunciare alla propria autonomia imprenditoriale

OBIEZIONI: non sono una novità, quando serviva le

abbiamo praticate da sempre (cooperative, consorzi, ATI, joint ventures, catene stabili di fornitura nell’indotto della grande imprese o nei distretti industriali)

l’individualismo italiano (e soprattutto imprenditoriale) le ha ridotte ad una soluzione di second best: prima viene il fai-da-te e da solo, se puoi

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SE OGGI PARLIAMO ANCORA DI RETI O PARLIAMO DI NUOVI MODI DI STARE IN

RETE E’ PERCHE’ …

BISOGNA SCALARE UN MUROE CI SERVE UNA SCALA

LA RETE CI FORNISCE UNA SCALA DA USARE A QUESTO SCOPO

Non importa se la scala ci piace poco, è difficile da realizzare, ha qualche scalino da mettere a punto

Non importa se alcuni non vedono il muro e altri non hanno intenzione di investire e prendere i rischi necessari per scavalcarlo

Oltre il muro non c’è solo il superamento della crisi, ma un nuovo paradigma produttivo dotato di grandi potenzialità di espansione e valore

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IL MURO: comparazione dei livelli salariali tra diverse aree concorrenti nel mondo

post-2000Svezia 28,7 Portogallo6,0Germania 27,1 Turchia 5,2Giappone 24,4 Rep. Ceca 4,5USA 24,3 Ungheria 4,3Francia 20,9 Argentina 4,1ITALIA 18,0 Brasile 3,4Spagna 16,7 Messico 3,0

Corea 16,4 Polonia 2,5_______________________________________Cina 2,0 Sudafrica 2,2Romania 1,7 Marocco 2,1India 0,5 Tunisia 1,5

* salari orari pagati da una nota multinazionale che opera in 23 paesi diversi (Zaghi, Nomisma 2004)

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LA SCALALo svantaggio strutturale nei costi dei fattori è

destinato a pesare sempre di più man mano che i paesi low cost attraggono le conoscenze trasferibili e imparano a loro volta, investendo il surplus ottenuto: è quello che sta accadendo e accadrà nei prossimi 50 anni

Riguarda tutti i settori e tutti i luoghi: non ci sono nicchie che possano rimanere per sempre al riparo, conservando gli attuali livelli di reddito

Il rimedio (la scala) può essere solo trovato sul terreno della produttività (valore per ora lavorata e per euro investito), realizzando un differenziale di pari entità e capace di crescere man mano che i concorrenti attuali apprendono

Si può trovare in un solo modoINVESTENDO IN CONOSCENZA E FACENDOLA

RENDERE: LA RETE SERVE A QUESTO

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CI SONO TANTE FORME DI RETE

QUELLE CHE CI SERVONO SONO QUELLE CHE AUMENTANO DI QUALCHE ORDINE DI GRANDEZZA

IL VALORE GENERATO DAGLI INVESTIMENTI IN CONOSCENZA FATTI DA CIASCUNO

In che modo? - usando diversamente la conoscenza disponibile, in

modo da sfruttare i vantaggi della complementarità (la conoscenza non si consuma con l’uso e dunque è una risorsa moltiplicabile)

- dividendosi il lavoro e l’investimento richiesto per produrre nuova conoscenza

- aumentando la capacità della piattaforma di competenze e risorse messe al servizio di un progetto complesso

- accrescendo la massa critica nei confronti di clienti, fornitori, banche e pubblica amministrazione

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SI STA INSIEME NON PER AMORE, O PER DOVERE, MA PERCHE’ E’ CONVENIENTE: AD

ESEMPIO ..

Due imprese che si mettono in rete possono:- Ridurre del 50% l’investimento e il rischio

assunto, specializzandosi reciprocamente- accedere in tempi rapidi e in modo mirato

alle competenze che servono scegliendo la «via alta» della competizione, invece che quella bassa della concorrenza di costo

- aumentare del 100% il bacino di uso (e il valore) delle proprie competenze, visto che le usa anche il partner

- co-innovare col committente, col fornitore e con la pubblica amminitrazione in campi difficili

- condividere in uno spazio affidabile le eccedenze cognitive di ciascuno (rete tra imprese, comunità professionali, comunità di consumo)

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Ma anche se abbiamo la scala ….PER INVESTIRE SUL FUTURO,

BISOGNA CREDERCI

e poi sapere come fare per giocare al meglio le proprie

carte

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L’ITALIA NON E’ TAGLIATA FUORI DALLE NUOVE FORME DELLO SVILUPPO

- viviamo in un mondo che diventa sempre più complesso (vario, variabile e indeterminato) = dove gli automatismi (tecnologia, macchine, modelli matematici, mercati, calcolo, procedure) non funzionano, entra in campo l’intelligenza fluida degli uomini

- il futuro instabile ci espone a rischi crescenti = il capitalismo dell’impresa diffusa distribuisce investimenti e rischi tra qualche milione di imprenditori, non lo concentra in poche mani, non lo delega alla finanza speculativa

- la piccola impresa ha imparato dalla sua debolezza ad accettare di dipendere da altri (il mercato, la tecnologia, ecc.) che non ha il potere di controllare = sa ascoltare e adattarsi

MA HA ANCHE UN DEFICIT DI ORGANIZZAZIONE=individualismo E DI PROIEZIONE SUL FUTURO POSSIBILE =

tradizionalismo, sapere pratico e informale, localismo

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IL NUOVO PARADIGMA DELLA PRODUZIONE post 2000

Lo tsunami che sta cambiando il volto del sistema produttivo mondiale è l’emergere del

CAPITALISMO GLOBALE DELLA CONOSCENZAcaratterizzato da:

1. un flusso imponente di conoscenza replicabile (codificata, meccanizzata, copiabile)si sposta dai paesi sviluppati (high cost) ai paesi emergenti (low cost)

2. I paesi ricchi sono «condannati» a riposizionarsi o forzando il ritmo dell’innovazione o sfruttando in prima persona il processo di globalizzazione

3. Per farlo devono investire risorse crescenti nella conoscenza generativa (esplorazione del nuovo, relazioni), ad altro rischio e tempi lunghi di ritorno

4. Outsourcing, alleanze e investimenti diretti all’estero creano filiere globali, rivoluzionando le catene di fornitura in tutti i paesi, anche in Italia

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LA FILIERA E’ DIVENTATA IL NUOVO ORGANISMO PRODUTTIVO

Nel fordismo (1900-1970), la regola è la massima integrazione verticale possibile (massimo controllo) = l’organismo produttivo è l’impresa che ricorre ai fornitori esterni per funzioni non strategiche da ottenere al minimo costo

Quando si sviluppa il capitalismo flessibile (1970-2000) aumenta l’outsourcing e si sviluppano catene stabili di subfornitura nei distretti industriali (specializzati in specifici settori) = l’organismo produttivo diventano le filiere territoriali

Dal 2000 in poi, con l’avvento del capitalismo globale della conoscenza, i vantaggi competitivi passano alle filiere globali (multi-localizzate)

IN ITALIA LE MEDIE IMPRESE ACQUISTANO ALL’ESTERNO IL 79% DEL VALORE CHE VENDONO AL CLIENTE (COME

FATTURATO)

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COME?

1.Creando idee originali, che vengano incontro ai desideri latenti o espliciti degli utilizzatori (fino al consumatore finale) e che siano, al tempo stesso, riconoscibili e moltiplicabili negli usi;

2.Costruendo reti che consentano di sfruttarle allargando il bacino degli usi e interagendo in modo affidabile con clienti e fornitori anche lontani,

Le reti sono per le pmi una RISORSA ABILITANTE che aumenta le competenze disponibili, riduce i costi, i rischi e i tempi necessari per fare cose NUOVE E DIFFICILI,

che vanno oltre le capacità della singola azienda

LA RETE SERVE A RIPOSIZIONARE LE IMPRESE DELLA FORNITURA E DEI

PRODOTTI DEL MADE IN ITALY

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1.

CREARE IDEE ORIGINALI E MOLTIPLICABILI

ovvero

INNOVARE CHE PASSIONE

L’innovazione di oggi è diventata più difficile e complessa che in passato

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LE DUE FONTI DEL VALORE, OGGI

PER ACCRESCERE IL VALORE PRODOTTO DALLE IMPRESE E DAL LAVORO ISOLARSI NON

SERVE

Bisogna invece intercettare e sfruttare l’energia delle due forze che stanno

plasmando il mondo di oggi:

1.La forza generativa delle innovazioni di worldmaking (“creazione di mondi” attraverso nuovi significati e nuove tecnologie) = nuovo significato dell’innovazione

2.La forza moltiplicativa della sempre più estesa condivisione della conoscenza (ogni ri-uso della stessa conoscenza si crea un valore aggiunto a cui non corrisponde un costo equivalente) = nuovo significato delle economie di scala

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INOLTRE: NON BASTA MASSIMIZZARE LA «TORTA» DEL VALORE PRODOTTO

• BISOGNA anche riuscire ad intercettare e avere una adeguata FETTA DEL SURPUS DI FILIERA (valore creato meno costi necessari di produzione)

• La distribuzione del surplus di filiera dipende dai prezzi interni di trasferimento tra i diversi operatori (dal prezzo pagato dal consumatore finale ai prezzi delle forniture e dei servizi)

• questi prezzi tendono al minimo (ossia alla copertura dei costi soltanto) se un operatore di filiera svolge una funzione altamente SOSTITUIBILE

• Per avere accesso al surplus occorre dunque rendersi INSOSTITUIBILI in questo processo, in modo da avere un ruolo attivo nell’evoluzione della filiera e un potere contrattuale nei confronti dei committenti

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Primo step: CREARE NUOVI MONDI

1. Il worldmaking passa per innovazioni di sistema o di grande impatto che cambiano il modo di vivere o di lavorare di molte persone

2. Siamo passati dal MONDO DEI BISOGNI (dati e standard) a quello dei DESIDERI (che vanno costruiti e sono differenziati)

3. Il valore dei beni è in molti casi legato più al significato (desideri, esperienze) che alla prestazione fisica di per sé, in termini di risposta ai bisogni

4. La scienza, i media e internet propagano le idee nel mondo, più rapidamente di quanto si possa fare con i beni fisici

5. Questa propagazione delle idee che generano un effetto di world making aggiunge ai moltiplicatori del ri-uso i moltiplicatori dell’esplorazione, protesi verso lo spazio del nuovo e del possibile

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Il valore oggi dipende in gran parte dalla qualità delle IDEE, dei

SIGNIFICATI, delle ESPERIENZE e dei SERVIZI

FONTI immateriali DEL VALORE che catturano gran parte del valore nelle filiere

globali• scienza, tecnologia • concezione del prodotto • gestione degli acquisti • controllo di qualità • logistica • progettazione, • design • comunicazione, marchi• commercializzazione • garanzie • servizi al cliente • finanza

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Secondo step: CONDIVIDERE PER MOLTIPLICARE

Le razionalizzazioni efficientistiche servono ma possono aumentare la produttività di poco Le macchine possono essere rinnovate ma non fanno la differenza perché i produttori low cost le possono comprare anche loro

E ALLORA? C’E’ UN’UNICA RISPOSTA:

USARE IL POTERE MOLTIPLICATIVO DELLA CONOSCENZA che

1.Non si consuma con l’uso2.Ha un costo di riproduzione zero o comunque basso (rispetto al costo di produzione iniziale)

SE IL BACINO DI USO PASSA DA 1 A 10, DA 100 A 1000, DA 1000 A UN MILIONE

IL VALORE PRODOTTO CRESCE DI ALTRETTANTE VOLTE SENZA UNA CORRISPONDENTE CRESCITA

DEL COSTO

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I MEZZI CHE AUMENTANO I MOLTIPLICATORI

1. .Internet (web dialogico 2.0, “fine della distanza”, communities)

2. la globalizzazione (grandi numeri di ri-uso, differenze tra paesi, outsourcing nelle filiere globali)

3. La smaterializzazione del valore (conoscenze “liberate”, significati condivisi, servizi personalizzati e interattivi)

GRANDI MOLTIPLICATORI

=

GRANDE INTERDIPENDENZA

Il problema è come gestire l’interdipendenza sempre più grande che nasce dalla condivisione

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Terzo step: PROTEGGERE IL PROPRIO SISTEMA DEL VALORE

Il mercato e la gerarchia (due forme tradizionali di organizzazione del sistema del valore) non sono efficaci nel proteggere il valore per ragioni diverse (il mercato non paga la conoscenza, la gerarchia la fa costare troppo)

Le forme collaborative (tra cui le reti) sono efficienti nel ridurre i costi e aumentare il valore della «torta» complessiva, ma possono essere anche affidabili nel governare gli usi che se ne fanno e nel distribuire il reddito conseguenti

Ci possono essere molte forme collaborative diverse: licenze di uso (per brevetti, copyright, marchi), joint ventures e srl di scopo, ATI, alleanze tecnologiche, linee stabili di fornitura, consorzi o cooperative, contratti di rete

Sono sempre importanti in questi casi le ragioni che rendono affidabile il comportamento altrui: fiducia, impegni vincolanti, scambio di ostaggi, investimenti network specific e infine …. reciprocità e dono

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COME CAMBIA LA CATENA DI FORNITURA Nel nuovo contesto competitivo i fornitori a monte

non hanno accesso a due chiavi fondamentali nella creazione di valore della filiera: l’interazione col consumatore finale (per il consumatore finale); la riconoscibilità del loro apporto (per risultare insostituibili)

Devono comunque innovare per presidiare questi due aspetti, senza dimenticare però che il primo ad essere pressato dalla nuova concorrenza globale è il committente, che deve tener dietro alla crescita del worldmaking e dei moltiplicatori

Il committente si trova per questo a dover gestire una complessità crescente che vorrebbe volentieri delegare a qualcuno scelto come fornitore di primo livello

Il ruolo del fornitore di primo livello diventa dunque quello di contribuire con le sue competenze e idee alle innovazioni del committente, diventando così insostituibile

Per gestire al complessità delegata dal committente il fornitore di primo livello dovrà anche dotarsi di una propria rete di fornitori di secondo e terzo livello

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2.

COSTRUIRE RETI

andando oltre i confini della prossimità e dell’informalità

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Infatti:

1. lavora in filiera, con altri specialisti, di grande e piccola dimensione, del manifatturiero e dei servizi

2. prende dal territorio le sue conoscenze e relazioni (capitale sociale, imitazione, lavoro qualificato, servizi)

3. mobilita le persone, mettendo le relazioni familiari e interpersonali al servizio della produzione

OGGI QUESTE RETI NON BASTANO PIU’ E DEVONO ESTENDERSI IN SENSO TRANS-TERRITORIALE E

TRANS-SETTORIALE CERCANDO INTERLOCUTORI NUOVI

LA PICCOLA IMPRESA E’ GIA’ UNA RETE INFORMALE

INFATTI ESSA NON E’ SOLO PICCOLA MA …….

FA PARTE DI UN SISTEMA PIU’ GRANDE (distretto, catena di fornitura, sistema territoriale) DA CUI

PRENDE UNA PARTE FONDAMENTALE DELLE SUE RISORSE

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LA PICCOLA IMPRESA OGGI TENDE A TRASFORMARSI IN IMPRESA RETE

La piccola impresa che ereditiamo dal passato si appoggia ad una rete locale e lavora con conoscenza informale, incorporata nelle trasformazioni manifatturiere (macchine) di oggetti materiali (prodotti)

• La rete locale deve diventare globale e multilocalizzata

• la conoscenza informale deve appoggiarsi ad una serie di linguaggi formali (ingegneria, informatica, management, contabilità, diritto, estetica ecc.) e produrre risorse immateriali (marchi, reti commerciali, ricerca, sistemi ERP, CRM, circuiti logistici e di servizi)

L’IMPRESA RETE NON E’ SOLO UN MODELLO DI

PICCOLA IMPRESA MA ANCHE DELLA GRANDE (IMPRESA ESTESA)

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LA RETE HA UNA BASE TECNOLOGICA, MA E’ SOPRATTUTTO UN MODO PER ESPLORARE

INSIEME IL NUOVO E IL POSSIBILELa rete è un modo di produrre che usa l’intelligenza fluida e i

legami che le rendono capaci di interagire con: le altre imprese, i lavoratori della conoscenza, i consumatori, i finanziatori, il territorio

Le piccole imprese possono essere moderne e usare bene la conoscenza se si attrezzano per usare la loro risorsa chiave: l’intelligenza distribuita in tanti nodi diversi e differenziati

Oggi le ICT sono lo strumento necessario, SPECIE PER LE PICCOLE IMPRESE, per mettere in rete le idee, cercare consumatori potenziali, costruire filiere, allargare il bacino di uso delle proprie soluzioni consentendo il coordinamento a distanza

MA QUESTA RIMANE PER ORA UNA POTENZIALITA’, NON UNA RISORSA GIA’ DISPONIBILE

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Che cosa è in sostanza una RETE: la trama su cui la conoscenza si propaga

COMUNICAZIONE

interpreta la conoscenza che cambia contesto

LOGISTICA

Trasferisce la conoscenza nello

spazio e nel tempo

Diritti di proprietà, contratti, consorzi, fiducia, reciprocità, dono

Trasporti, Stocks, ICT, Internet

GOVERNANCE

Regola i diritti e i doveri dello scambio o

della condivisione

Linguaggi, significati e codici condivisi

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A COSA SERVONO LE RETI IN TERMINI DI ECONOMIA DELLA CONOSCENZA

La rete è un sistema stabile di collaborazione tra imprese che consente ai singoli nodi (persone o imprese) di mantenere la propria autonomia decisionale ma al tempo stesso di:

• Specializzarsi reciprocamente aumentare il bacino di uso delle conoscenze di ciascuno

• Abbattere i costi e i tempi di accesso alle conoscenze che servono per portare avanti innovazioni complesse

• Co-innovare usando competenze diverse distribuendo l’investimento e il rischio tra più soggetti

• Condividere le conoscenze in un ambiente reciprocamente affidabile

• Espandere il bacino di uso di una buona idea da un luogo all’altro, da un settore all’altro, da un’applicazione all’altra

La RETE è una forma di divisione del lavoro conveniente ma richiede che ciascuno accetti di dipendere dagli altri per aspetti essenziali del suo processo di produzione del valore

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1. La rete è una forma organizzativa della produzione che – con i suoi legami di interdipendenza - occupa la Terra di Mezzo tra MERCATO (perfetta indipendenza tra venditore e compratore) e GERARCHIA (perfetta dipendenza da un centro di comando che coordina tutti)

2. Una volta si pensava che la collaborazione tra imprese fosse soltanto collusione tra concorrenti che avrebbero dovuto rimanere reciprocamente estranei. Poi si è capito che in certi campi la collaborazione è necessaria per avere soluzioni efficienti

3. Al tempo del fordismo, le collaborazioni tra imprese prendevano la forma delle ATI (associazioni temporanee in genere per rispondere ad una gara di appalto) dei consorzi o delle cooperative di secondo livello (tra cooperative), essendo il consorzio una impresa vincolata ad agire per il vantaggio del socio (e non di sé stessa)

4. La impresa fordista ha “fatto rete” attraverso le forme a gruppo (stesso centro di comando, differenziazione delle società e autonomia delle stesse) che possono identificare divisioni diverse o fasi diverse della stessa filiera: ma non sono autonome

5. Nelle multinazionali hanno preso forma gruppi internazionali formati dalle diverse filiali nazionali, ma anche in questo caso l’autonomia è limitata dall’unità del centro di comando

LA RETE: UNA STORIA CHE VIENE DA LONTANO

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Reti post-fordiste sono reti che hanno avuto un grande sviluppo dopo il 1970. Esse sono basate sullo sviluppo di collaborazioni stabili tra imprese che rimangono autonome:

• L’impresa estesa che rinuncia all’autosufficienza fordista, costruendo joint ventures tecnologiche o di mercato, alleanze non azionarie, licenze brevettuali che impegnano ad allineare i comportamenti di chi cede la licenza e di chi la acquista

• Le catene di fornitura che praticano l’outsourcing in forma stabile e ricorrente, dando luogo ad un sistema articolato di fornitori che assicura ai committenti le lavorazioni conto terzi, la componentistica, i servizi, le conoscenze di cui hanno bisogno

• I distretti industriali sono formati da reti di specialisti delle diverse competenze e lavorazioni di un settore che, in risposta al mercato, danno luogo a filiere flessibili e creative, che possono re-inventarsi e dilatarsi (per imitazione) giorno per giorno

• Le 4.000 medie imprese italiane usano l’outsourcing in modo stabile e massiccio (79% del fatturato per acquisti di materia prima, energia, componenti, lavorazioni, servizi, conoscenze fa fornitori in gran parte stabili) = imprese capofiliera

LA RETE POSTFORDISTA E LE SUE PROMESSE

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1. Oggi le nuove reti nascono dalla necessità di mettere insieme competenze diverse per fare cose nuove e difficili (andare all’estero, aprire un nuovo campo di applicazione, cercare soluzioni originali con la ricerca, fare marchi comuni ecc.) che le singole imprese non sarebbero capaci di fare da sè o sarebbero troppo lente nel farlo

2. La rete serve se le imprese, una volta insieme, non continuano a fare le stesse cose (come accadeva nei consorzi), ma si specializzano in competenze e funzioni complementari, riducendo così l’investimento singolo e condividendo il rischio del risultato in valore ottenuto dalla collaborazione

3. La rete serve anche a far crescere le persone e le competenze interne dell’impresa senza perderle, perché le unità più dinamiche possono dar luogo a spin offs che danno loro autonomia, rimanendo collegati

4. Le reti sono la risposta organizzativa all’esigenza di arricchire il prodotto per sottrarlo alla concorrenza di costo da parte dei nuovi competitors emergenti.

5. Per arricchire il prodotto bisogna aderire al modo di pensare dell’user e, scendendo nella filiera, del consumatore finale. Che, pensando alla casa, al cibo, all’abbigliamento, allo stile di vita non si sofferma sui singoli “pezzi” del mosaico, ma guarda alla sua esperienza emotiva e simbolica del servizio ottenuto e al significato di insieme che ne ricava.

OGGI, LA RETE SERVE PER ARRICCHIRE IL PRODOTTO E DILATARE LA COMPLESSITA’ GOVERNABILE

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 1. Il sistema della pmi italiana è ricco di reti informali che

esistono di fatto (nelle filiere, nei territori e nelle relazioni interpersonali), ma ha anche una grande esperienza di reti formali (consorzi, cooperative, Associazioni Temporanee di Impresa, joint ventures ecc.)

2. Distretti industriali e catene di subfornitura sono reti informali, legate ai vantaggi della prossimità e del coordinamento diretto. Oggi la divisione del lavoro tra i nodi fa fatta a scala internazionale e in presenza di forme complesse di coordinamento. Si possono fare investimenti e assumere rischi che dipendono dal comportamento altrui solo se c’è una garanzia

3. Oggi le reti informali hanno bisogno di riconoscimento giuridico per impegnare i soci reciprocamente quando si tratta di fare cose nuove, difficili e che richiedono investimenti consistenti. E’ stato a questo proposito varato da poco il contratto di rete, legato ad un progetto condiviso a cui si dedica un patrimonio e un sistema di governance unitaria che (si spera) sarà riconosciuto anche dai terzi e dalla Pubblica Amministrazione a tutti gli effetti

LA TENDENZA: RENDERE PIU’ IMPEGNATIVE LE RETI INFORMALI PER FARE COSE PIU DIFFICILI

E COMPLESSE

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Le risorse connettive possono essere presenti come “capitale sociale” ad accesso gratuito o quasi (distretti) ma in certi casi vanno invece create con investimenti

importanti e con l’assunzione di rischi condivisi

LA FORMA GIURIDICA IN QUESTI CASI CORRISPONDE ALLA NECESSITA’ DI ORGANIZZARE IN MODO

AFFIDABILE LA CONDIVISIONE DELL’INVESTIMENTO E DEL RISCHIO

Ma spesso la formalizzazione del rapporto arriva dopo un iter di reciproca conoscenza che ha creato affidabilità

e complementarità

Il CONTRATTO DI RETE risponde a questa esigenza (condivisione organizzata dei rischi e delle decisioni,

rappresentanza unitaria verso l’esterno = banche, fisco, istituzioni, fornitori, clienti)

LA RETE ESISTE IN UNA MOLTEPLICITA’ DI FORME GIURIDICHE CHE IL CONTRATTO DI RETE ORDINA,

NON CREA

LA FORMA GIURIDICA E’ IMPORTANTE PER FARE PASSI IMPEGNATIVI

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Come si fa rete, in pratica

Una grande varietà di forme e di percorsi con alcune costanti

Da: AIP, Reti di impresa oltre i distretti,

Ed. Il Sole 24 Ore, 2008 = 100 casi• AIP, Fare reti di impresa, Ed. Il Sole

24 Ore, 2009 = 20 casi

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Tipologia di reti (su 100 casi): alcuni esempi

• Baricentriche Lotto Sport (calzature sportive, Treviso), Luxottica (occhiali, Belluno), Polo aeronautico campano (Alenia, Napoli)

• Orizzontali di condivisione Di.Co Service (meccanica, Ozzano BO), Consorzi vari

• Professionali Studio Legale Bonelli, Erede, Pappalardo (avvocati, Milano), Turn (designer, Torino)

• Associative Km zero (agricoltura, Italia), Samorin (meccatronica, Vicenza)

• Distrettuali estese Tarì (oreficeria, Caserta), Consobiomed (apparecchi medicali, Mirandola)

• Territoriali Consorzio Zai (logistica, Verona), Kilometro Rosso (meccatronica, Bergamo)

• Progettuali per l’innovazione Torino Wireless, ECSA (Ict+Spazio, Busto Arsizio)

• Epistemiche e culturali Slow Food (Piemonte), Habitech (edilizia sostenibile, Trento)

• Generatrici di eventi Festival della letteratura (Mantova), Esterni (designer, Milano)

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L’ARTE E IL CANTIEREIl kit del costruttore di reti

Che cosa si impara dallo studio dei casi• Adattarsi alla contingenza l’importante è partire• Mettere in movimento il motore cognitivo della

rete se si guadagna non servono tanti discorsi• Esercitare la leadership o usare il traino di un

megatrend avere un baricentro serve • Puntare su idee motrici qualche volta il baricentro è

un’idea “forte” intorno a cui fare rete• Gestire la discontinuità arriva sempre il momento

della verità• Assicurare la governance discutere va bene, ma ci

deve essere chi decide col consenso degli altri• Imparare a gestire la finanza di rete la finanza di

rete è possibile (es. Cis-Interporto Campano-Vulcano, Napoli)

• Gestire i problemi del riconoscimento giuridico o comunque dei diritti e obblighi la partnership implica la reciproca responsabilità, ma se gli investimenti sono consistenti serve la formalizzazione

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LA GLOBALIZZAZIONE

IL CONVITATO DI PIETRA, PRINCIPIO E FINE

DI TUTTI I NOSTRI DISCORSI

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All’inizio c’era l’INTER-nazionalizzazione (commercio tra diversi) = scambi di mercato

Poi è arrivata la MULTI-nazionalizzazione (espansione di una impresa sull’estero e di un paese leader su altri paesi) = unità dell’organizzazione e del comando manageriale

Alla fine arriva la GLOBALIZZAZIONE (anni ottanta) con l’idea del prodotto globale e del consumatore universale

= omologazione dei territori, scomparsa delle differenze

Tante idee di globalizzazione

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Le imprese hanno imparato a sfruttare i territori per le loro differenze

nel mercato globale le differenze acquistano più valore perché fanno emergere delle vocazioni specializzate con clienti in molti paesi

le differenze possono essere tra imprese ma anche tra territori ossia tra imprese localizzare in contesti di esperienza diversi

Le differenze legate al significato e alla qualità del territorio sono originali e difficilmente imitabili altrove

OMOLOGAZIONE?

Le cose non sono andate così

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nelle reti transnazionali ogni nodo (locale) apporta un valore aggiunto dovuto alla sua differenza e unicità

i nodi che contano sono quelli che hanno accesso a conoscenze, relazioni e a risorse differenziali

Le conoscenze tacite, l’organizzazione produttiva (distretti, value chains), il lavoro qualificato, la cultura, le università, le infrastrutture creano vantaggi competitivi del territorio

questi vantaggi attraggono le imprese nazionali e transnazionali nelle loro scelte localizzative o generano scambi e specializzazioni con altri territori

La cura strategica dell’identità territoriale rende riconoscibili e organizza queste differenze

Produzione a rete: la globalizzazione di oggi dà valore

alle differenze

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L’Italia delle piccole imprese e dei distretti è stata da sempre legata ad una forte proiezione sull’export

Ma oggi questa non è più sufficiente, serve il presidio delle filiere e dei mercati a scala internazionale

Le multinazionali ce l’hannoE noi? Facciamo pochi investimenti diretti

all’estero (IDE) e pochi ne riceviamoDunque siamo disallineati rispetto alle

nuove esigenze. Ma è proprio vero?I DATI NON CI FANNO VEDERE QUELLO CHE LE IMPRESE HANNO FATTO DI NUOVO SU

QUESTO VERSANTEL’internazionalizzazione italiana

avviene allargando le reti locali aprendole a monte e a valle a clienti,

fornitori, alleati a scala globale

Internazionalizzarsi? Ma come?

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L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

INVISIBILE

UNA SPECIALITA’ ITALIANA

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L’internazionalizzazione invisibile

La visione tradizionale dell’internazionalizzazione:EXPORT + IDE (Investimenti diretti all’estero)(nel capitalismo mercantile + fordismo) due modi di non vedere, trascurando: le specificità nazionali le specificità storiche

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GLOBALIZZAZIONE COGNITIVA

L’internazionalizzazione genera valore non allocando meglio fattori immobili, ma propagando le conoscenze da un luogo all’altro processo moltiplicativo (la conoscenza non si consuma con l’uso, ma si può condividere) non solo trasferimento, ma apprendimento (ruolo attivo di chi apprende, rigenerando le conoscenze altrui) economia di filiera (divisione del lavoro tra diversi specialisti) la condivisione delle conoscenze destabilizza la filiera: necessità di una governance della distribuzione del valore ottenuto

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Perché ce ne siamo accorti solo adesso

La grande transizione degli ultimi trenta anni: dallo sviluppo per accumulazione allo sviluppo per propagazione

lo sviluppo non trabocca dai centri sulla loro immediata periferia

ma viene intercettato e agito dalla periferia (ruolo attivo) che potenzia la propria capacità di assorbimento e i propri processi di apprendimento e propagazione delle conoscenze altrui

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ITALIA: ECONOMIA DELLA FILIERA

FILIERA = specialisti che organizzano la propagazione in un bacino di interdipendenzaIN ITALIA: abbiamo filiere frazionate (piccole imprese) e locali (distretti) che usano conoscenze tacite, propagabili SENZA INVESTIMENTI RELAZIONALI consistenti (usano capitale sociale gratuito o quasi) e che usano conoscenze importate dall’esterno, non autoprodotte con INVESTIMENTI in AUTOPRODUZIONE di conoscenze originali ed esclusive (ricerca, sperimentazione, creazione di significati)

OSSIA: PROPAGAZIONE SENZA INVESTIMENTO

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LA DOPPIA RIVOLUZIONE DA AVVIARE

1) Ampliare i bacini di propagazione (globalizzazione)

2) Spostarsi dalla fabbricazione di cose alla creazione di significati e di servizi associati alle cose (smaterializzazione)

MA CHI LO FARA’?

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CHE COSA BISOGNA FARE?

Non solo esportareNon solo fare investimenti direttima anche irrobustire le reti di propagazione attiva e passiva del nostro paese mediante investimenti in:

comunicazione (linguaggi formali, marchi, reti di vendita) logistica (trasporti, ICT) garanzia (sistemi di accreditamento e di garanzia verso il cliente)

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SONO LE FILIERE CHE DEVONO INTERNAZIONALIZZARSI

L’internazionalizzazione è una cosa troppo seria per lasciarla alle singole imprese,

specie se sono piccole: c’è bisogno di nuovi PIONIERI

IMPRESE LEADER IMPRESE COMMERCIALI E TERZIARIE ALLEANZE TRANS-NAZIONALI RETI A PROGETTO CHE NASCONO DAL BASSO

e di nuove FORME

RELAZIONI CON LA DISTRIBUZIONE E IL CONSUMATORE FINALE FORNITORI STRATEGICI, ACCESSI TECNOLOGICI

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LE SCELTE STRATEGICHE

PER ACCELERARE IL PASSO

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Nuovi modelli di business nella produzione a rete

sense making: produrre e vendere significati = si usa la rete per arricchire il prodotto/servizio offerto di significati, esperienze, identità attraverso le risorse immateriali (l’innovazione tecnologica, lo stile di vita, il design, il racconto, la comunicazione)

global service: mettersi nei panni del cliente e organizzare la rete di fornitura a monte = si usa la rete per integrare competenze e capacità di molte imprese complementari in modo da offrire al cliente un servizio o un prodotto più complesso

networking: replicare altrove le idee di successo, anche col franchising = si usa la rete per trovare partner in questo disegno

produzione modulare: fare economie di scala con i moduli senza alla flessibilità nelle architetture che li combinano (modello Lego) = si usa la rete per mettere insieme – grazie ad una interfaccia standard condivisa - gli specialisti che fanno singoli moduli per molti clienti (e usi), con i sistemisti che invece forniscono prodotti/servizi personalizzati al singolo cliente/uso

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Idee motrici

Al crocevia tra lavoro e vita

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Un futuro può essere costruito al crocevia tra esigenze diverse, oggi divenute

complementari

SENSO

Passaggio dai bisogni ai desideri

LEGAMECondivisione della conoscenza, dei

commons e dei rischi

Ibridazione con mercato, welfare pubblico, reti profit per moltiplicare il

valore del servizio offerto

Reti, cooperazione, capitale sociale, dono

VALOREInvestire in conoscenze

che sono sostenibili solo se replicate

Senso nel lavoro, nel consumo, nella produzione

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1. in risposta alla domanda di senso, lo scambio di utilità (mercato) e la norma pubblica (servizio, regolazione) si affiancano con l’appartenenza comunitaria, la condivisione etica, il principio di responsabilità e reciprocità

2. In risposta alla domanda di legame il rapporto di indipendenza (privato) o di dipendenza (pubblico) evolve verso i LEGAMI DEBOLI delle reti di dialogo, interazione, comunicazione, personalizzazione

3. in risposta alla domanda di valore il calcolo di convenienza economica ad assumere il rischio di investimento si associa con la voglia di esplorare il futuro, di assumere rischi comuni, di mettere in valore i commons della conoscenza sociale e dell’ecologia naturale

Il crocevia tra senso, legame, valore genera continuamente significati nuovi

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Nel capitalismo globale della conoscenza bisogna vendere idee prima che prodotti: le idee corrono

più in fretta, si riproducono a costo inferiore e soprattutto creano un legame di senso tra coloro che

le fanno proprie.

Ma le idee devono riguardare i significati di fondo del vivere, del produrre e del lavorare, non solo il

business e le utilità spicciole

Abbiamo già due campi in cui il made in Italy si è affermato appoggiandosi a idee motrici di grande

portata:

- la moda, con gli stilisti che hanno creato una batteria seducente di stili di vita definiti nella forma dell’apparire

- l’alimentare , con esperienze diverse in cui sono recuperati significati del cibo e della terra (Slow Food, prodotti doc, marchi collettivi ecc.)

Usare il senso come collante dell’azione collettiva intorno ad alcune idee motrici

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la casa (il “buon abitare”)

la salute (il “ben-essere”)

il divertimento

l’arte, la cultura e l’uso creativo dei media

la storia dei luoghi

la nuova giovinezza degli anziani

il mondo dell’infanzia

il global service nella fornitura (lo “spirito di servizio”)

la produzione coinvolgente (“credo in quello che faccio”)

il vivere urbano (“il mio spazio vitale”)

l’educazione ecc.

Quante altre idee motrici potremmo elaborare per organizzare a rete la creatività

imprenditoriale intorno a significati condivisi?

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NODI DA SCIOGLIERE

INVESTIMENTI E UOMINI

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IL PRIMO NODO DA SCIOGLIERE:

FARE INVESTIMENTI

ADEGUATI ALLE ESIGENZE DELLA TRANSIZIONEI nostri punti di forza rischiano di

mutarsi in fattori di debolezza

le reti locali non bastano più (sono piccole e non usano i fattori più convenienti) per rendere convenienti gli investimenti nel nuovo

il territorio che resiste all’innovazione, non investe o non lo fa nelle direzioni giuste, diventando un problema, invece di una risorsa

le persone invecchiano e possono inibire la crescita autonoma dell’azienda, che spesso richiede un ricambio delle persone e delle competenze: anche in questo caso l’investimento latita

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IL TALLONE D’ACHILLE DELL’ATTUALE CAPITALISMO DI TERRITORIO

LA DEBOLEZZA DI FONDO DEL MODELLO DISTRETTUALE E’ DATA DALLA

PROPAGAZIONE delle conoscenze SENZA INVESTIMENTO

scarso investimento in capitale intellettuale

scarso investimento in capitale relazionale

E INVECE C’E’ STATO un massiccio sfruttamento di capitale sociale

(intellettuale e relazionale) accessibile a costo zero nei sistemi locali

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bisogna investire in CONOSCENZE ORIGINALI (innovazioni, marchi, comunicazione, sperimentazione, qualificazione del personale e del management) e propagarne l’uso in RETI ESTESE (reti tecnologiche, reti di fornitura e co-produzione, reti commerciali e di servizio), che richiedono ulteriori investimenti

ogni famiglia e ogni impresa si trovano di fronte un sentiero IN SALITA di investimento nelle proprie capacità, con un fabbisogno che supera i mezzi finanziari a cui ha normalmente accesso

chi finanzierà questi investimenti?

Il capitale sociale non basta più:

e allora?

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Linguaggi, ricerca, ambiente creativo, marchi, reti commerciali e di fornitura richiedono investimenti rilevanti in CAPITALE INTELLETTUALE (conoscenze originali) e in CAPITALE RELAZIONALE (reti esclusive)

Le piccole imprese sono invece abituate ad avere accesso gratuito alle conoscenze e relazioni che trovano embedded nei distretti e nel territorio

Per alimentare il cambiamento bisogna trovare nuovi investitori a rischio (le famiglie, le imprese locali, le imprese internazionali, i territori e se può lo Stato nazionale) …..

…….. e nuove fonti di finanziamento (neo-imprese, nuovi soci, private equity o capital venturing, borsa) e un nuovo rapporto con le banche che sono in grado di stimare il rischio

L’ostacolo chiave da superare

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IL SECONDO NODO DA SCIOGLIERE:

PREPARARE LE DONNE E GLI UOMINI

A LAVORARE A RISCHIO NELLA COMPLESSITA’

LE NUOVE IDEE CAMMINANO SULLE GAMBE DEGLI UOMINI E DELLE DONNE CHE LE PRODUCONO E SE NE FANNO PORTATORI

In Italia, finora, chi ha fatto questo mestiere?

• gli imprenditori, piccoli e medi, che hanno anche coperto le imprese dal lato finanziario;

• i lavoratori esperti prodotti dalle scuole professionali e della pratica

• i molti apprendisti dell’estetica e del gusto che comunque il nostro paese ha prodotto, arricchendo la fabbricazione degli oggetti di un valore immateriale che oggi è diventato prezioso

BISOGNA SPERARE CHE QUESTE RISORSE CONTINUINO AD OPERARE ATTIVAMENTE NEL

PROSSIMO FUTURO. MA CERTO NON BASTANO PIU’

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PROFESSIONISTI DELLA CONOSCENZA CERCASI (DISPERATAMENTE)

BISOGNA EVITARE CHE, COME E’ AVVENUTO IN PASSATO, CI SIANO

• imprenditori che accentrano il sapere e il potere, riducendo i percorsi di esplorazione del nuovo ai territori che sono culturalmente e finanziariamente alla loro portata;

• lavoratori della pratica privi di sapere di base, che non riescono a muoversi nelle reti globali e immateriali in cui le conoscenze sono espresse in linguaggi formali

Utilizzando non solo la competenza tecnica astratta, ma anche lo spirito creativo delle persone e la loro capacità emotiva di sviluppare estetica e gusto per comunicare la propria differenza a nuovi clienti e nuovi paesi, riuscendo a convincerli

Servono DONNE E UOMINI NUOVI, possibilmente GIOVANI, dotati di una esperienza diretta delle nuove tecnologie e dei nuovi significati emergenti nella comunicazione globale

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• Una nuova intelligenza imprenditoriale, che riesca a dominare la pratica con i linguaggi formali, esplorando creativamente il business ed entrando in relazione diretta con clienti globali. Questa intelligenza mette a frutto le idee al di fuori del solito circuito, ricavandone il massimo valore potenziale possibile•Una nuova intelligenza del knowledge worker, che investe sulla sua professionalità prima del lavoro e durante, chiede autonomia e responsabilità, assume i rischi relativi a questo nuovo ruolo

Le nuove idee di business hanno bisogno di nuova intelligenza

imprenditoriale e di nuovi lavoratori della conoscenza

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CHE TIPI DI UOMINI e DONNE SARANNO?

Bisogna cambiare la concezione del LAVORO e dei processi FORMATIVI, passando:

• dalle competenze tecniche alle competenze intellettuali, associate a canali si professionalizzazione pratica in alcuni campi su cui cimentarsi sin dai primi anni di scuola (scienza associata al recupero della manualità e dell’arte)

• dal binomio generalismo/specializzazione alle risorse della specializzazione reversibile (robusto zoccolo di sapere generale, trasversale agli specialismi professionali, con puntate veloci su argomenti molto applicativi da cui si torna indietro)

• dall’esecuzione secondo programma a ruoli creativi e di condivisione delle responsabilità, che implicano un maggiore profilo di autonomia, intelligenza, rischio

• dal teaching (standard) al learning (con percorsi personalizzati, di auto-apprendimento assistito), nella FORMAZIONE

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Riepilogando: LE CINQUE COSE DA CUI DIPENDE IL NOSTRO FUTURO

• Sviluppare nuove qualità personali (AUTONOMIA, RISCHIO, INTELLIGENZA) nel lavoro imprenditoriale e nel lavoro dipendente. Giovani e donne apportano nuove qualità

• Organizzare la condivisione in rete di conoscenze, significati, responsabilità, visioni del futuro usando queste risorse comuni come fonte di valore

• Estrarre e propagare le idee dai prodotti, dai settori, dai luoghi e dalle aziende in cui sono incorporate (DEVERTICALIZZAZIONE, IMPRESE AUTONOME DI SERVIZI, IBRIDAZIONE)

• Organizzare la produzione modulare (MODELLO LEGO = interfaccia standard, SPECIALISTI DI FILIERA, CORE BUSINESS)

• Costruire la nuova finanza per l’impresa pluri-personale (SOCI, BANCA PARTNER, IMPRESE RETE, COOPERATIVE, FILIERE, ASSOCIAZIONI)

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GRAZIE PER L’ATTENZIONE

Per chi volesse approfondire i temi trattati:

• Rullani E. (e altri), Innovazione e produttività, Angeli, Milano

• Rullani E., Modernità sostenibile. Idee, filiere e servizi per uscire dalla crisi, Marsilio, Venezia, 2010

• Prandstraller F., Rullani E., Creatività in rete. L’uso strategico delle ICT per la nuova economia dei servizi, Angeli, Milano, 2009

• Rullani E.,Verso una società imprenditoriale consapevole, in Costruire il futuro. PMI protagoniste: sfide e strategie (a cura di G. Nardozzi e L. Paolazzi), Sipi, Roma, 2011, pp. 39-102

• Plechero M., Rullani E., Innovare. Re-inventare il made in Italy, Egea, Milano, 2007

• Bonomi A., Rullani E., Il capitalismo personale. Vite al lavoro, Einaudi, Torino, 2005

• Rullani E., La fabbrica dell’immateriale, Carocci, Roma, 2004

• Rullani E., Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma, 2004

SITO: www.rullani.net