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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla natura giuridica della TIA (tariffa
di igiene ambientale) e della sua assoggettabilità all’imposta sul valore aggiunto (IVA).
In particolare, le Sezioni Unite hanno sostenuto che, come evidenziato dalla Corte Costituzionale
(sentenza n. 64 del 2010), le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene
ambientale spettano alla giurisdizione del giudice tributario, perché essa non costituisce una entrata
patrimoniale di diritto privato, ma una vera e propria variante della TARSU (tariffa per lo smaltimento
dei rifiuti solidi urbani, disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 e soppressa, a decorrere dal 1 gennaio
1999, dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997), di cui conserva la qualifica di tributo.
Quanto all’applicabilità dell’IVA al tributo in questione si è affermato che la tariffa per lo smaltimento
dei rifiuti solidi urbani non può essere assoggettata ad Iva in quanto ha natura tributaria, mentre
l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire la capacità contributiva che si manifesta quando si
acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione ex art. 3 d.p.r. n.
633/1972, e non quando si paga un'imposta, anche se destinata a finanziare un servizio da cui trae
benefici lo stesso contribuente.
Questi principi trovano fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la TIA: - assenza
di volontarietà nel rapporto tra gestore e utente; - totale predeterminazione dei costi da parte del
soggetto pubblico (essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi
pubblici); - assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento ad IVA (artt. 3 e 4 del
D.P.R. n.633 del 1972).
In sostanza, la sentenza in esame obbliga di fatto tutti i gestori dei servizi ambientali a restituire, a
titolo di ripetizione, le somme sottratte ai clienti.