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LEGGI RAZZIALI e PERSECUZIONE ITALIANA dei CITTADINI EBREI La società civile amanteana ha già, con sempre maggiore commozione e ricordo, iniziato la celebrazione del Giorno della Memoria, che culminerà oggi 27 gennaio 2012. Molte le iniziative in programma: dal Convegno del 14 genn. u.s. dal tema La memoria storica: 27 gennaio 1945 – Dall’orrore alla speranza, organizzato dall’Associazione Prospettive in collaborazione con l’I.I.S. Liceo Scientifico - Ipsia, alla presentazione, che avverrà oggi, del libro "Mauthausen" di Ivano Meli - organizzata dalla Fidapa e dall’I.T.C. Mortati ed inserita nella manifestazione ….ricordare per non dimenticare …… Dalla pubblicazione di vari articoli commemorativi su amantea3 (autori Salvatore Sciandra ed Aldo Aloe), al viaggio organizzato dall’Auser Giornata della memoria in Basilicata ed a quello dell’Agenzia Mufasa a Fossoli – Dachau - Risiera di San Sabba – Marzabotto. Dalla ricerca Conoscere, riflettere, ricordare degli allievi dell’Istituto Comprensivo “G.Mameli”, al messaggio-auspicio, inviato alla nostra città, per il tramite della D.ssa Anna Lorelli, componente distrettuale della Commissione Pubbliche Relazioni e Rapporti con la Stampa, da parte della Presidente del Distretto Sud-Ovest Calabria e Campania della F.I.D.A.P.A, perchè venga data la giusta importanza al “Giorno della Memoria”. Il 27 gennaio è stata fissata, dall’Italia e da altri paesi, quale giornata del ricordo, perché in quella data del ’45 venne liberato dai soldati dell’Armata Rossa, il campo di sterminio di Auschwitz - Birkenau (che sorge nell’odierna Oswiecim, PL). In effetti altri ebrei, d’Italia e d’Europa, vennero uccisi nelle settimane seguenti. Ma la data della liberazione di quel campo è stata giudicata più adatta di altre a simboleggiare la Shoah e la sua fine. Non si tratta, com’è evidente, di una ricorrenza ebraica, perché nell’odierno vissuto ebraico, esistono 2 ricorrenze: la giornata del ricordo dei deportati (yom ha-zikaron) in occasione del digiuno del 10 del mese ebraico di Tevet, corrispondente quest’anno al 5 gennaio 2012, ed il ricordo della Shoah (yom ha-shoah), che cadrà il 27 del mese di Nisan, corrispondente al 19 aprile 2012. La Shoah, voce biblica che significa “catastrofe, disastro”, usato per la prima volta nel 1938 nella Palestina, sottoposta al mandato britannico, durante una riunione del Comitato Centrale del Partito Socialista, in riferimento al pogrom della cosiddetta “Notte dei Cristalli”, ricorda in primo luogo quel capitolo orribile della storia umana e specificamente europea che, attraverso un complesso e preordinato insieme di azioni, fu finalizzato alla distruzione di diversi gruppi etnici, razziali e religiosi.

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LEGGI RAZZIALI e PERSECUZIONE ITALIANA dei CITTADINI EBREI

La società civile amanteana ha già, con sempre maggiore commozione e ricordo, iniziato la celebrazione del Giorno della Memoria, che culminerà oggi 27 gennaio 2012. Molte le iniziative in programma: dal Convegno del 14 genn. u.s. dal tema La memoria storica: 27 gennaio 1945 – Dall’orrore alla speranza, organizzato dall’Associazione Prospettive in collaborazione con l’I.I.S. Liceo Scientifico - Ipsia, alla presentazione, che avverrà oggi, del libro "Mauthausen" di Ivano Meli - organizzata dalla Fidapa e dall’I.T.C. Mortati ed inserita nella manifestazione ….ricordare per non dimenticare …… Dalla pubblicazione di vari articoli commemorativi su amantea3 (autori Salvatore Sciandra ed Aldo Aloe), al viaggio organizzato dall’Auser Giornata della memoria in Basilicata ed a quello dell’Agenzia Mufasa a Fossoli – Dachau - Risiera di San Sabba – Marzabotto. Dalla ricerca Conoscere, riflettere, ricordare degli allievi dell’Istituto Comprensivo “G.Mameli”, al messaggio-auspicio, inviato alla nostra città, per il tramite della D.ssa Anna Lorelli, componente distrettuale della Commissione Pubbliche Relazioni e Rapporti con la Stampa, da parte della Presidente del Distretto Sud-Ovest Calabria e Campania della F.I.D.A.P.A, perchè venga data la giusta importanza al “Giorno della Memoria”.

Il 27 gennaio è stata fissata, dall’Italia e da altri paesi, quale giornata del ricordo, perché in quella data del ’45 venne liberato dai soldati dell’Armata Rossa, il campo di sterminio di Auschwitz -Birkenau (che sorge nell’odierna Oswiecim, PL). In effetti altri ebrei, d’Italia e d’Europa, vennero uccisi nelle settimane seguenti. Ma la data della liberazione di quel campo è stata giudicata più adatta di altre a simboleggiare la Shoah e la sua fine. Non si tratta, com’è evidente, di una ricorrenza ebraica, perché nell’odierno vissuto ebraico, esistono 2 ricorrenze: la giornata del ricordo dei deportati (yom ha-zikaron) in occasione del digiuno del 10 del mese ebraico di Tevet, corrispondente quest’anno al 5 gennaio 2012, ed il ricordo della Shoah (yom ha-shoah), che cadrà il 27 del mese di Nisan, corrispondente al 19 aprile 2012. La Shoah, voce biblica che significa “catastrofe, disastro”, usato per la prima volta nel 1938 nella Palestina, sottoposta al mandato britannico, durante una riunione del Comitato Centrale del Partito Socialista, in riferimento al pogrom della cosiddetta “Notte dei Cristalli”, ricorda in primo luogo quel capitolo orribile della storia umana e specificamente europea che, attraverso un complesso e preordinato insieme di azioni, fu finalizzato alla distruzione di diversi gruppi etnici, razziali e religiosi.

La legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000, è formata dai soli due articoli: Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Art. 2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere. Il ricordo della Shoah (sterminio del popolo ebraico) richiamato nell’art.1, è il principale messaggio della Legge 211/2000, però essa invita alla memoria degli altri gruppi etnici, razziali, religiosi, che hanno subito persecuzioni, ed a quanti si sono opposti al progetto di annientamento. La furia violenta del nazismo si scagliò, infatti, non solo contro gli ebrei, ma anche contro tedeschi dissidenti (dall’apertura del campo di Dachau, 1933), zingari (discriminati già nel 1935 e deportati dal 1939); Testimoni di Geova (perseguitati nel 1933 e internati dal 1935); prigionieri di guerra (dall’inizio del 1939); partigiani (dal momento in cui venivano annessi nuovi territori al Reich); omosessuali (incarcerati e condannati dal 1934); portatori di handicap (sterilizzati dal 1933; nel 1939 i primi a essere gassati in apposite “case di cura” o su camion destinati alla gassazione, in base al Programma Eutanasia); parte del clero (dal 1937, quando papa Pio XI, nell’Enciclica Mit Brennender Sorge, prese aperta posizione contro la Germania hitleriana).

La persecuzione nazista si accanì maggiormente contro gli ebrei: ben sei milioni (secondo fonti tedesche), giovani, vecchi, neonati e adulti, furono uccisi nei vari campi di sterminio. La Shoah si sviluppò in diverse fasi, suddivise in due periodi storici. Il 1° periodo, dal 1933 al 1940, quando il nazismo vide la soluzione della questione ebraica nell’emigrazione, caratterizzato dalla privazione dei diritti civili dei cittadini ebrei, la loro espulsione dai territori della Germania, la creazione di ghetti circondati da filo spinato, muri e guardie armate nei territori conquistati a est dal Terzo Reich,

dove gli ebrei furono costretti a vivere separati dalla società e in disumane condizioni sanitarie ed economiche, i massacri delle Einsatzgruppen (squadre di riservisti incaricate di eliminare ogni oppositore del nazismo nei territori conquistati dell’Ucraina e della Russia) durante le azioni di rastrellamento. Il 2° periodo, dal 1941 al 1945, quando venne attuato lo sterminio mediante la deportazione nei campi di concentramento in Polonia dove, dopo un’immediata selezione, gli ebrei venivano o uccisi subito con il gas o inviati nei campi di lavoro e sfruttati fino all’esaurimento delle forze, per essere poi comunque eliminati. Ma nell’art.1 delle legge 211 è espressamente specificato che la celebrazione del Giorno della Memoria deve servire a ricordare anche “le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Le leggi razziali: dal Manifesto sulla purezza della razza Italiana, redatto da 10 scienziati e l’adesione di tantissimi altri) del 14 Luglio 1938, al Comunicato della Segreteria del PNF sulla Razza Italiana, del 25 Luglio 1938, dal Regio Decreto per la difesa della razza nella scuola, del 5 Settembre 1938, al Regio Decreto sugli Ebrei stranieri, del 7 Settembre 1938, dalla Dichiarazione sulla razza votata dal Gran Consiglio del Fascismo, del 6 Ottobre 1938, al Regio Decreto sull'integrazione in testo unico delle norme già emanate per la difesa della razza nella scuola italiana, del 15 Novembre 1938, dal Regio Decreto per la difesa della razza Italiana, del 17 Novembre 1938, al Regio Decreto sulla disciplina dell'esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza Ebraica, del 29 Giugno 1939, sono quanto di più aberrante la società italiana abbia mai prodotto nel corso della sua storia.

Esse furono causa dell'espulsione degli ebrei dal contesto sociale del paese e spesso la loro forzata emigrazione con danni enormi non solo per le persone discriminate ma per l'intero paese che si vide privato di cittadini di grandissimo valore. In secondo luogo nelle colonie le leggi razziali mirarono ad impedire i matrimoni misti e la nazionalizzazione delle etnie residenti nei territori conquistati, che dovevano rimanere asservite e non diventare membri della comunita' nazionale. In terzo luogo il razzismo doveva rafforzare la "razza" italica, sia nello spirito, infondendo in essa una consapevolezza che in precedenza non possedeva, che nel corpo mediante le varie istituzioni all'uopo preposte. E' un segno della confusione degli scienziati razzisti della scuola di Pende l'idea che la "razza" potesse essere migliorata mediante l'alimentazione corretta, la bonifica ambientale, l'igiene sociale e personale e l'esercizio ginnico.

Gli obiettivi della politica del regime erano estremamente immorali. L'antisemitismo e le leggi che lo implementavano in pratica ebbe le conseguenze piu' nefaste sull'Italia e causo' non soltanto le maggiori sofferenze ma anche il piu' grave imbarbarimento della vita civile del paese. Nelle colonie dell'Africa Orientale Italiana i maggiori danni alle popolazioni locali derivarono probabilmente dalle guerre di conquista condotte spietatamente e anche con l'uso dei gas tossici. All'inizio del Novecento le comunità ebraiche erano del tutto integrate in Italia, e l’antisemitismo era limitato a frange minoritarie del mondo cattolico e ad alcune riviste, come La Civiltà Cattolica dei gesuiti. Alcuni esponenti delle comunità ricoprirono cariche importanti nella politica e nell’esercito. L’avvento del fascismo non mise in crisi l’integrazione degli ebrei in Italia. Fra i 119 fondatori del fascismo ci furono anche cinque ebrei. Tra i "martiri fascisti" che morirono negli scontri con i socialisti fra il 1919 e il 1922, figuravano tre ebrei. Più di 230 ebrei parteciparono alla marcia su Roma nell’ottobre del 1922 e risulta che a quella data gli iscritti al partito fascista o a quello nazionalista (che poi nel 1923 si fusero) furono ben 746.

Nei primi anni Venti per il fascismo il problema ebraico non esisteva, anzi Mussolini – quando ciò corrispondeva ai suoi fini politici – non mancava di corteggiare le comunità israelitiche, come testimoniano le sue parole sul Popolo d’Italia del 1920: "In Italia non si fa assolutamente nessuna differenza fra ebrei e non ebrei, in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all’economia... la nuova Sionne, gli ebrei italiani, l’hanno qui, in questa nostra adorabile terra". Nel 1930, l’anno dopo il Concordato col Vaticano, il duce fece approvare la Legge Falco sulle Comunità israelitiche italiane, accolta molto favorevolmente dagli ebrei italiani. Se non si tratta di un corteggiamento, poco ci manca. La risposta delle comunità ebraiche fu ottima: tra l’ottobre del 1928 e l’ottobre del 1933, furono 4920 gli ebrei che si iscrissero al partito fascista; poco più del 10 per cento della popolazione ebraica italiana.

I primi germi dell’antisemitismo incominciarono a manifestarsi dopo la conquista del potere da parte di Hitler in Germania nel 1933. Su diversi giornali fascisti apparvero i primi segni dell’antisemitismo che, raccogliendo la letterature tradizionali, accusavano gli ebrei di voler conquistare il potere mondiale. Dal ‘34 è un crescendo di "segnali" antiebraici. La stampa ospitava sempre più di frequente articolo razzisti ed episodi di intolleranza cominciarono a verificarsi nelle colonie e nel paese. Eppure si trattava ancora di episodi limitati, non ancora di una scelta politica dichiarata dell’intero partito. E infatti si registrarono anche avvenimenti di segno opposto quali, per esempio quello della creazione della sezione ebraica della scuola marittima di Civitavecchia (molti dei partecipanti costituiranno poi il nucleo della marina israelina). La situazione andò nettamente peggiorando col graduale avvicinamento del governo fascista a quello hitleriano.

Nel maggio del 1938 Hitler venne a Roma per ricambiare la visita di Mussolini. Storicamente non esiste la prova di un collegamento diretto tra la visita e la svolta razzista del Regime (e secondo molti storici, a partire da De Felice, sarebbe ingiusto scaricare le responsabilità dell’Italia e del fascismo su Hitler). Fatto sta che il mese dopo una delegazione di esperti tedeschi di razzismo arrivò in Italia per istruire funzionari italiani su questa pseudo-scienza; e appena due mesi dopo, il 14 luglio del 1938, venne pubblicato il "Manifesto della razza" , firmato da un gruppo di professori, di cui il più autorevole era Nicola Pende, in cui si sosteneva la teoria della purità della razza italiana, prettamente ariana, il cui sangue andava difeso da contaminazioni: quindi, gli ebrei sarebbero stati estranei e pericolosi al popolo italiano. Sempre in luglio l’ufficio demografico del Ministero dell’interno si trasformava in Direzione generale per la demografia e la Razza.

Il massimo consenso alla campagna razzista si manifestò tra gli intellettuali e i docenti universitari. Tutto ciò suscitava scarsi dissensi. Uniche eccezioni di rilievo furono il filosofo Giovanni Gentile, lo scrittore Massimo Bontempelli, e il fondatore del futurismo Tommaso Marinetti. Voci discordi si levarono anche in ambienti cattolici, preoccupati tra l’altro della piega "pagana" che sembrava prendere la persecuzione antiebraica, e inizialmente anche da parte del Vaticano. Il 1° settembre 1938 vennero emanate le leggi: tutti gli ebrei italiani sono messi al bando della vita pubblica; perfino le scuole sono precluse ai bambini ebrei. All’interno del partito fascista, tra i pochi ad opporsi vi fu Italo Balbo.

Il periodo 1938-1943 fu tragico per gli ebrei italiani: in questi sei anni vennero assoggettate alla persecuzione circa 51.100 persone. L’antisemitismo permeò la vita del paese in tutti i suoi comparti. In un solo anno, dei 10 mila ebrei stranieri presenti in Italia, 6480 furono costretti a lasciare il Paese. Uno degli epicentri della "pulizia etnica" del fascismo furono le scuole e le Università. Nel giro di poche settimane, 96 professori universitari, 133 assistenti universitari, 279 presidi e professori di scuola media, oltre un centinaio di maestri elementari, oltre 200 liberi docenti, 200 studenti universitari, 1000 delle scuole secondarie e 4400 delle elementari vennero allontanati dagli atenei e dalle scuole pubbliche del regno: una profonda ferita, mai completamente rimarginata, venne inferta alla cultura italiana. Molti illustri docenti furono costretti all’esilio (come Enrico Fermi, la cui consorte era ebrea); altri costretti al silenzio e alla miseria, esclusi da quegli istituti che avevano creato, come Tullio Levi Civita (fisico e matematico), che si vide persino negare l’ingresso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica della Università di Roma dal nuovo direttore, Francesco Severi. La stessa tragica sorte subirono 400 dipendenti pubblici, 500 dipendenti privati, 150 militari e 2500 professionisti, che persero i loro posti di lavoro e vennero ricacciati nel nulla, senza possibilità non solo di proseguire la loro carriera, ma spesso anche di sopravvivere.

Gli ebrei come reagirono? Quelli che avevano la possibilità, emigrarono: i più verso le Americhe, molti in Palestina. L’1 per mille dei perseguitati si suicidò. Tanti si adattarono a vivere come potevano, si organizzarono in seno alle stesse Comunità e continuarono, malgrado le loro peggiorate condizioni, ad aiutare i fratelli d’oltralpe che dall’avvento di Hitler al potere continuavano ad affluire numerosi in Italia.

Nel 1939, Dante Almansi, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, fu autorizzato dal governo a creare un’organizzazione per assistere i rifugiati ebrei giunti in Italia da altre parti d’Europa. Conosciuta come Delasem, il nome per esteso di questa organizzazione era Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei. Tra il 1939 e il 1943 la Delasem aiutò oltre cinquemila rifugiati ebrei a lasciare l’Italia e raggiungere Paesi neutrali, salvando loro la vita.

Con la guerra, però, il fascismo aggravò la persecuzione dei diritti, istituendo nel giugno 1940 l’internamento degli ebrei italiani giudicati maggiormente pericolosi (per il regime) e degli ebrei stranieri i cui paesi avevano una politica antiebraica. Nel ’40 gli ebrei italiani internati o confinati furono 200 (tra essi, vi era Leone Ginzburg con la moglie Natalia); nel ’43 raggiunsero il migliaio. Il numero degli ebrei stranieri internati fu di gran lunga più alto, anche se mancano dati precisi al riguardo.

Campi di concentramento vennero aperti in ogni parte d’Italia. I più importanti furono quelli di Campagna SA e di Ferramenti CS. Ebrei vennero rinchiusi anche nelle prigioni delle maggiori città italiane, San Vittore a Milano, Marassi a Genova e Regina Coeli a Roma.

Ma non finì quì. Nel maggio 1942 gli israeliti di età compresa tra i 18 e i 55 anni furono precettati in servizi di lavoro forzato(ma su 11.806 precettati, ne saranno avviati al lavoro solo 2038). Nel maggio-giugno 1943 vennero creati dei veri e propri campi di internamento e lavoro forzato per gli ebrei italiani.

Soltanto all’Estero, la situazione era visibilmente migliore: in Francia, Jugoslavia e Grecia, i comandi italiani intervenivano spesso a difesa degli ebrei e sottraevano molti di loro ai tedeschi, salvandoli dalla persecuzione e dalle deportazioni.

Il governo Badoglio, dopo la destituzione di Mussolini (25 luglio ’43) rilasciò i prigionieri ebrei, abrogando le norme che prevedevano il lavoro obbligatorio e i campi di internamento ma – nonostante la sollecitazione dei partiti antifascisti - lasciò in vigore le leggi razziali, che non furono revocate neppure dal Re. Forse qualche peso nella decisione lo ebbe anche la nota della Santa Sede al Ministro dell’Interno badogliano secondo cui la legislazione in questione "ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma".

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, gli ebrei rifugiati al Sud tirarono un sospiro di sollievo. La persecuzione finì e il Governo Badoglio prese atto delle richieste degli Alleati. L’articolo 31 del cosiddetto armistizio lungo era chiaro al riguardo: "Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede od opinioni politiche saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate". E infatti il 24 novembre del ’43 il consiglio dei ministri cominciò ad abrogare le leggi razziali.

Nel centro-nord occupato dai tedeschi, invece, la situazione degli ebrei si aggravò ulteriormente. Dopo alcuni episodi di arresti ed uccisioni di piccoli gruppi di ebrei in varie parti d’Italia, la prima retata delle SS fu quella del 16 ottobre 1943 a Roma: quel sabato vennero rastrellati 1259 ebrei; due giorni dopo 1023 di essi furono deportati ad Auschwitz (tra di essi vi era anche un bambino nato dopo l’arresto della madre); di questi deportati, solo 17 sopravviveranno.

La neonata Repubblica di Salò non fu più tenera del fascismo con gli ebrei. Venne anzi annunciato che tutti gli ebrei sarebbero stati inviati ai campi di concentramento, fatta eccezione per quelli gravemente malati o di età superiore ai settant’anni. Tutte le proprietà ebraiche nella Repubblica di Salò furono sequestrate e confiscate (parte assegnate alle vittime dei bombardamenti alleati). Alla data di Liberazione il numero dei decreti di confisca sarà di circa 8mila; la Rsi si approprierà di terreni, fabbricati, aziende, titoli, mobili, preziosi, merci di famiglie ebraiche pari a oltre 2 miliardi di lire.

Già il 1° dicembre ’43 le autorità italiane cominciarono ad arrestare gli ebrei e a internarli in campi provinciali; alla fine di quel mese iniziarono a trasferirli nel campo nazionale di Fossoli, nel comune di Carpi, in provincia di Modena. E’ un fatto ormai accertato che i 4210 ebrei deportati dopo l’Ordine n. 5, siano stati arrestati quasi tutti dalle autorità italiane. Una "caccia" che durerà fino alla fine: il 25 aprile del 45, un gruppo di militi fascisti in fuga verso la Francia, si fermava a Cuneo per prelevare sei ebrei stranieri e li uccideva, gettando i loro corpi sotto un ponte.

L’8 febbraio del 1944 il campo di Fossoli passò sotto il comando tedesco e il comandante italiano del campo, che pure aveva assicurato più volte che non avrebbe mai consegnato i suoi prigionieri ai nazisti, all’atto pratico non mantenne le sue promesse. Dal campo modenese, infatti, gli ebrei catturati dalle autorità italiane vennero inviati nei lager dell’Europa orientale. E che in quei luoghi gli ebrei non andavano in gita ma venivano uccisi, Mussolini lo sapeva almeno dal febbraio del ‘43, quando aveva ricevuto un rapporto segreto di Ciano sulle deportazioni e le "esecuzioni in massa degli ebrei" in Germania.

Il 15 marzo del ’44 Mussolini compì un ulteriore grave passo: istituire un Ufficio per la razza, alle dipendenze della Presidenza del Consiglio, e porvi a capo il super-razzista Giovanni Preziosi che sosteneva apertamente che il "primo compito" della Rsi era "quello di eliminare gli ebrei". Preziosi

si adoperava per inviare nei campi di concentramento non solo gli ebrei puri, ma anche i cittadini di "origine mista", e per confiscare i beni anche degli ebrei "arianizzati".

Prima dell’arrivo delle forze alleate, gli ebrei vennero trasferiti nel campo di Bolzano-Gries, luogo noto per le torture e gli assassinii. Dalla Risiera di San Sabba a Trieste un numero alto di ebrei venne indirizzato a morte sicura e lo stesso destino incontrarono 1805 ebrei di Rodi e Kos. Le SS e la milizia fascista catturavano e giustiziavano sommariamente più di duecento ebrei (77 vennero fucilati alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo, insieme a molti partigiani).

Per fortuna la persecuzione degli ebrei trovò scarso consenso nel popolo italiano, salvo poche eccezioni; molti, pur consci del pericolo cui si esponevano, salvarono la vita a ebrei italiani e stranieri, nascondendoli nelle loro case; i partigiani accompagnavano alla frontiera svizzera vecchi e bambini, e li mettevano in salvo. Tra tutti, spiccarono gli atti di eroismo di Giorgio Perlasca e del questore di Fiume Giovanni Palatucci (poi morto a Dachau). Anche la Chiesa Cattolica intervenne in modo deciso. Molti ebrei trovarono rifugio e salvezza nei monasteri o nelle parrocchie (solo a Roma il Vaticano aiutò oltre 4 mila ebrei).

Quante vittime ha fatto la deportazione degli ebrei in Italia? Gli ebrei arrestati e deportati nel nostro Paese furono 6807; gli arrestati e morti in Italia, 322; gli arrestati e scampati in Italia, 451. Esclusi quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah furono 5791. Ovvero circa il 20 per cento della popolazione ebraica italiana.

Per quanto riguarda gli italiani che hanno subito la deportazione e che vanno ricordati durante la “giornata della memoria (art. 1 L.211/2000), bisogna ripercorrere alcuni avvenimenti che precedettero tale immane sacrificio.

Fino all'8 settembre del 1943, l’Italia fascista e la Germania nazista erano alleate (Asse Roma-Berlino), ma, dopo l’armistizio firmato da Badoglio con gli anglo-americani e dopo la costituzione, nel nord, della Repubblica di Salò guidata da Mussolini, per i nazisti l’Italia era un paese nemico e, in più, traditore.

Iniziò allora, dal territorio della Repubblica di Salò, la deportazione degli italiani, favorita dalla collaborazione fra la Milizia fascista e le SS.

La stima più accreditata fissa in circa 44.000 il numero di italiani che furono rinchiusi nelle centinaia di lager, di cui il regime hitleriano aveva costellato l’Europa invasa.

Dei deportati italiani (oltre ai 5791 ebrei) vi furono circa 30.000 fra partigiani, antifascisti e lavoratori (questi ultimi arrestati in gran parte dopo gli scioperi del marzo 1944), a cui si aggiunsero circa 5.000 IMI o carcerati militari o ufficiali antifascisti. Circa il 90% di loro persero la vita nei campi. Tutti gli altri, ebrei e politici, furono gasati, annientati dalle privazioni, dalle punizioni disumane, dal lavoro estenuante e massacrante.

Tra i primi deportati a conoscere la tragedia dei KZ nazisti, gli ebrei, gli antifascisti condannati al carcere o al confino, i militari arrestati sui diversi fronti di guerra. Militari detenuti presso le carceri di Peschiera del Garda furono i primi deportati italiani, giunti a Dachau il 22 settembre 1943. La maggioranza delle vittime dei nazisti trovò la morte nei lager di Auschwitz, Birkenau, Dachau, Flossenbuerg, Dora, Neuengamme, Ravensbrueck, Mauthausen.

Da Roma, dopo il trasporto degli ebrei rastrellati nel Ghetto e in altri quartieri della città, un trasporto di oltre 300 prigionieri di Regina Coeli, partì il 4 gennaio 1944 alla volta dapprima di Dachau, poi di Mauthausen. Un altro trasporto prese la via di Dachau, subito dopo l’eccidio delle Ardeatine.

Molti politici italiani furono deportati in seguito agli scioperi del marzo 1944. Circa 700 dal Piemonte, 200 da Torino (dalla Fiat, in particolare). Oltre 100 da Savona e molte centinaia dalla Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna. Nell’area di Milano ben 98 furono le aziende che videro i lavoratori scendere in sciopero, tra cui l’Alfa Romeo, il Corriere della Sera, la Falk. L’Edison, la Montecatini, la Magneti Marelli, la Franco Tosi, la Pirelli, la Borletti. A Prato si registrò lo sciopero totale delle industrie del tessile e da questa città, nonché dalla provincia, gli operai vennero deportati a Ebensee. A Bologna, praticamente, tutte le aziende scioperarono, per arrivare nella giornata del 13 aprile al quasi totale blocco di ogni attività produttiva. Anche a Roma molte aziende registrarono scioperi e sospensioni del lavoro, nonostante la presenza di truppe di occupazione tedesche particolarmente agguerrite e delle SS, quotidianamente a caccia degli oppositori, dei partigiani e degli ebrei. Nonché pronte a feroci azioni di rappresaglia e di intimidazione preventiva della popolazione.

Migliaia furono i patrioti ed i partigiani, catturati soprattutto durante i grandi e pesanti rastrellamenti nazifascisti - molto attivo l’operato dei militi della Repubblica Sociale Italiana, esercito fantoccio e servo dei nazisti – che ebbero luogo dal gennaio – marzo 1944 fino al febbraio 1945, nel nord Italia. La maggior parte fu deportata a Mauthausen e suoi sottocampi, a Neuengamme, a Flossenbuerg, a Dachau, a Buchenwald.

L’art. 2 della L. 211/2000, invita ad organizzare cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere. Se eventi simili, per fortuna, non sono più accaduti nel nostro paese dal 1945, fine della guerra, ad oggi, non altrettanto possiamo dire dell’intera umanità, che si è purtroppo macchiata, più volte, dalla replica di una delle pagine più buie della storia dell'uomo.

Il massacro di Srebrenica (40 anni dopo la fine della guerra, nella civilissima Europa!)

Durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina le forze serbo-bosniache riuscirono a compiere uno dei peggiori genocidi, il massacro di Srebrenica avvenuto l’11 luglio 1995.

Era l’estate del 1995 e la guerra in Bosnia stava per finire. La città di Srebrenica, un’enclave musulmana protetta dai Caschi Blu dell’ONU era assediata dall’esercito serbo del generale Mladić. Nonostante Srebrenica fosse “zona di sicurezza”, ciò non impedì ai serbi di entrare nella città il 9 luglio 1995, superando diversi avamposti dell’ONU presidiati da soldati olandesi e prendendo trentadue di loro in ostaggio. Il comandante olandese, chiese con urgenza l’incursione aerea della Nato, ma la richiesta fu trasmessa a Zagabria, dove i funzionari dell’ONU lasciarono passare alcuni giorni per valutarla. Mentre l’assedio della città era duro e spietato, e la popolazione senza cibo e medicine, l’11 luglio aerei dell’Alleanza furono autorizzati ad entrare in azione, ma dopo aver colpito due carri serbi fu loro ordinato di sospendere l’attacco perché i serbi minacciavano di uccidere i trentadue soldati olandesi. Oggi diventa difficile credere che improvvisamente il 30 maggio 1995 l’ONU dichiarò che le forze di interposizione dei Caschi Blu in Bosnia dovevano farsi da parte. Una scelta che permise ai serbi di iniziare a bombardare la città, mentre i Caschi Blu erano obbligati al non intervento.

La caduta di Srebrenica fu il momento più buio della storia dell’impiego dell’ONU in Bosnia. Mentre i Caschi Blu olandesi stavano a guardare, i serbi avevano separato tutti gli abitanti maschi della città dai 12 ai 77 anni e li portarono via, invece le donne, i bambini, i vecchi ed i malati furono espulsi dalla regione. Oltre 13.000 finirono ammassati in un campo per i rifugiati, nelle vicinanze dell’aeroporto di Tuzla. Due generazioni per un totale di 10.000 uomini, tra i 12 e i 77 anni, furono uccisi dalle truppe serbe di Mladić. Divisi in gruppi di centinaia venivano trasportati a bordo dei camion nei centri vicini di Bratunac, Zvornik e Kravica, dove venivano massacrati e sepolti in fosse comuni in gran segreto. Srebrenica è il più grande massacro avvenuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, e rappresenta la vittoria dei nazionalisti e la sconfitta delle Nazioni Unite. All’epoca, l’incaricato per i diritti umani dell’ONU Mazowiecki definì l’azione serba “una violazione molto seria e su scala enorme dei diritti umani, descrivibile solo con la parola barbarie: attacchi alla popolazione civile, uccisioni e stupri”. La città di Srebrenica svuotata dei propri abitanti viene presa d’assalto da famiglie serbo-bosniache, quasi tutte profughe a loro volta che alterarono la composizione e la cifra etnica della cittadina. Le autorità serbo-bosniache e jugoslave inizialmente avevano negato quanto accaduto. Fino ad oggi circa 6.400 vittime sono state ritrovate tra i boschi e i vicini comuni. Uno sterminato cimitero musulmano e un maestoso monumento alla memoria, presso Srebrenica, inaugurato nel 2003, ne ha sepolti tantissimi mentre tanti altri corpi esumati aspettano ancora i risultati per essere ufficialmente identificati. I responsabili della strage

negli anni successivi al compimento del genocidio fecero di tutto per nascondere le prove, svuotando molte fosse originarie e riseppellendo i cadaveri frazionati in più fosse disseminate in un arco di cinquanta km da Srebrenica.

Genocidio in Cambogia

A 30 anni dalla fine della 2^ guerra mondiale, ma fuori dall’Europa, si consumo il terribile genocidio della popolazione cambogiana.

La Cambogia, ex-colonia francese, era stata coinvolta dagli USA nella guerra del Vietnam e nel 1975 i Khmer rossi, alleati dei Vietcong, avevano rovesciato l’autoritario regime filo-americano per instaurare la loro spietata dittatura con l’appoggio della Cina. Nel 1979 l’esercito vietnamita li aveva spodestati installando un governo collaborazionista combattuto dalla guerriglia, formata in parte da Khmer rossi. Lo spietato governo del famigerato leader marxista Pol Pot è accusato dell’autogenocidio della propria popolazione: dal 1975 al 1979 due dei sei milioni di cambogiani perirono di fame, stenti, malattie e per le violenze e le esecuzioni dei fanatici rivoluzionari maoisti che governavano questo sventurato paese dell’Indocina. I Khmer rossi volevano eliminare ogni elemento o deviazione borghese ed occidentale dalla società cambogiana ed era sufficiente la conoscenza di una lingua straniera o l’uso degli occhiali per essere giustiziati. Un altro aspetto del loro regime fu il trasferimento coatto degli abitanti delle città nelle campagne che causò moltissime vittime e spopolò la capitale Phnomh Penh. Fu il drammatico film Urla del silenzio a svelare al mondo le atrocità di Pol Pot e solo con la fine della Guerra Fredda, il ritiro vietnamita ed il disarmo dei Khmer rossi in Cambogia è potuta tornare una fragile democrazia che sta iniziando solo ora a fare i conti col passato.

Genocidio in Ruanda

Nella martoriata Africa a 49 anni dalla fine della 2^ guerra mondiale.

Il genocidio in Ruanda del 1994 fu uno dei piu' sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Dove, per l'ennesima volta, il colpevole disinteresse del mondo ha permesso e contribuito al verificarsi dei tragici eventi. Dal 6 aprile 1994 al 16 luglio 1994 vennero massacrate sistematicamente, a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati, tra 800.000 e 1.100.000 persone (Uomini, Donne e Bambini). Le vittime sono state in massima parte di etnia Tutsi, che costituisce una minoranza rispetto agli Hutu, a cui facevano capo i due gruppi paramilitari principalmente responsabili dell'eccidio, Interahamwe e Impuzamugambi. I massacri non risparmiarono neanche una larga parte di Hutu moderati, soprattutto personaggi politici.

Le divisioni etniche del paese sono state opera principalmente del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, che inizio' a dividere le persone con l'introduzione della carta d'identita' etnica e favorire quelli che consideravano piu' ricchi e di diversa origine: i Tutsi. In realta' Tutsi e Hutu fanno parte dello stesso ceppo etnico culturale Bantu e parlano la stessa lingua. Il genocidio termino' col rovesciamento del governo Hutu e la presa del potere, nel luglio del 1994, dell'FPR, il Fronte Patriottico Ruandese.

Genocidio in Darfur

Ancora nella martoriata Africa, a 58 anni dalla fine della 2^ guerra mondiale.

Il Darfur è una regione situata all'ovest del Sudan, nel deserto del Sahara. È in maggioranza costituita da popolazioni mussulmane, come nel resto del nord della nazione. A lungo governato dai mussulmani, il sultanato del Darfur raggiunse la massima potenza tra la fine del XVII ed il XVIII secolo. Inglobato nell'Egitto nel 1874, fu coinvolto nella rivoluzione mahdista, ottenendo, nel 1898, una certa indipendenza.

Dal 2003 il Darfur è teatro di un feroce conflitto che vede contrapposti la locale maggioranza nera alla minoranza araba (maggioranza nel resto del Sudan). . Il conflitto, iniziato nel febbraio del 2003, vede contrapposti i Janjaweed, un gruppo di miliziani reclutati fra i membri delle locali tribù nomadi dei Baggara, e la popolazione non Baggara della regione (principalmente composta da tribù dedite all'agricoltura). Le stime sul numero di vittime del conflitto variano a seconda delle fonti da 50.000 (Organizzazione Mondiale della Sanità, settembre 2004) alle 450.000 (secondo Eric Reeves, 28 aprile 2006). La maggior parte delle ONG reputa credibile la cifra di 400.000 morti fornita dalla Coalition for International Justice e da allora sempre citata dalle Nazioni Unite.I mass media hanno utilizzato, per definire il conflitto, sia i termini di "pulizia etnica" sia quello di "genocidio". Il Governo degli Stati Uniti ha usato il termine genocidio, non così le Nazioni Unite.

Dante Perri