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DemelzaUn romanzo della Cornovaglia, 1788-1790

La saga di Poldark

traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini

Winston GrahamDello stesso autore nel catalogo Sonzogno

Ross Poldark

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Titolo originale: DemelzaCopyright © Winston Graham 1946

Copyright © 2017 by Sonzogno di Marsilio Editori® s.p.a. in VeneziaPrima edizione: febbraio 2017ISBN 978-88-454-2634-6www.sonzognoeditori.it

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DEMELZA

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LIBRO PRIMO

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Capitolo uno

C’era qualcosa di profetico nella tempesta che si scatenò la notte in cui nacque Julia.

Maggio non era un periodo di violente bufere, ma il clima della Cornovaglia era capriccioso come un bambino. La pri-mavera era stata piuttosto mite, come l’estate e l’inverno che l’avevano preceduta; il tempo era buono e piacevole, e la terra già carica di verde. E poi maggio all’improvviso si era riempito di vento e piogge che avevano ferito la vegetazione appena sbocciata, e il fieno si piegava come in cerca di un sostegno.

La notte del quindici, Demelza cominciò a sentire i primi dolori, ma per un po’ si aggrappò alla testata del letto e riflet-té attentamente sulla questione prima di dire alcunché. Per mesi aveva atteso quella prova con calma e filosofia, senza mai disturbare Ross con falsi allarmi, e non aveva alcuna in-tenzione di iniziare proprio adesso. Quella sera era stata fuo-ri, nel suo amato giardino, a scavare intorno alle piante più giovani; poi, mentre le ombre avanzavano, aveva trovato un riccio imbronciato, aveva giocato con lui cercando di convin-cerlo a mangiare un po’ di pane e latte, ed era rientrata solo quando il cielo si era coperto di nubi e aveva cominciato a fare freddo.

Forse si era semplicemente stancata troppo, forse era que-sta la causa del dolore.

Quando si sentì come se qualcuno le stesse schiacciando la spina dorsale con un ginocchio, capì tuttavia che il motivo era un altro.

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da suo padre, e non si sarebbe limitata a qualche garbato “acci-denti” o “per Dio”, che chiunque avrebbe perdonato a una si-gnora in difficoltà. Partorire e conservare al contempo modi gentili era più di quanto si sentisse in grado di affrontare.

Per non parlare del fatto che avrebbe preferito non avere uomini intorno. Non sarebbe stato decoroso. Sua cugina ac-quisita Elizabeth aveva partorito in presenza del dottore, ma era pur sempre un’aristocratica e gli aristocratici vedevano le cose in modo diverso. Lei avrebbe di gran lunga preferito farsi aiutare dalla vecchia Betsy Triggs di Mellin, che vendeva sardi-ne e aveva mani forti quando si trattava di far nascere bambini.

Tuttavia Ross si dimostrò più determinato e la spuntò. De-melza non rimase più di tanto sorpresa nel sentirlo risponde-re: «E allora lo sveglieremo» mentre lasciava la stanza.

«Ross!» lo chiamò. In quel momento il dolore era scom-parso.

«Sì?» Il volto di lui, forte, intenso e segnato dalla cicatrice, illuminato per metà dalla candela; i capelli scuri, folti e spetti-nati che mostravano a malapena la loro sfumatura color rame; la camicia aperta sul collo. Un uomo... così aristocratico, pen-sò Demelza, riservato e irraggiungibile, con cui aveva condivi-so una rara intimità.

«Un bacio? Prima di andare...» disse.Lui tornò al letto. L’emergenza lo aveva strappato al sonno

bruscamente, senza lasciargli il tempo di provare qualcosa, a parte la preoccupazione per il parto imminente e il sollievo al pensiero che presto sarebbe tutto finito. Mentre la baciava notò il sudore che le copriva il viso e dentro di lui presero ad agitarsi le spire della paura e della compassione. Le posò le mani sulle guance, le scostò i capelli neri dalla fronte e per un istante fissò gli occhi scuri della giovane moglie. Non erano vivaci e dispettosi come al solito, ma nemmeno spaventati.

«Torno subito. Sarò di nuovo qui tra poco.» Lei scosse la testa. «Non tornare, Ross. Va’ soltanto a chiama-

re Prudie. Preferirei che... che non mi vedessi in questo stato.» «E Verity? Volevi che fosse presente.»

Posò la mano sul braccio di Ross e lui si svegliò subito.«Sì?»«Penso... penso che dovresti andare a chiamare Prudie.» Lui si tirò su a sedere. «Perché? Cosa c’è?»«Ho male.» «Dove? Vuoi dire...»«Ho male» ripeté lei senza scomporsi. «Credo sia il caso di

andare a chiamare Prudie.» Ross si alzò rapidamente dal letto e lei rimase ad ascoltare

il raschiare ruvido della selce sull’acciaio. Dopo un attimo, lo stoppaccio prese, e lui accese una candela. Nella luce tremo-lante, la stanza si rivelò: le pesanti travi di tek, la tenda davan-ti alla porta che ondeggiava appena sospinta dalla brezza, la bassa panca sotto la finestra coperta di gros-grain rosa, le sue scarpe lì dove le aveva abbandonate, una delle due capovolta, il cannocchiale di Joshua, la pipa e il libro di Ross, una mosca che zampettava qua e là.

Lui guardò Demelza e capì all’istante. Lei gli sorrise, palli-da, come per scusarsi. Ross andò al tavolo accanto alla porta e le versò un bicchiere di brandy.

«Bevi questo. Mando Jud a chiamare il dottor Choake.» Cominciò a vestirsi.

«No, no, Ross, non ancora. È notte fonda. Starà dormendo.» Da settimane erano in disaccordo sull’opportunità di inter-

pellare o meno Thomas Choake. Demelza non riusciva a non pensare che, appena dodici mesi prima, era ancora solo una domestica, che Choake, benché fosse solo un dottore, era il proprietario di una piccola tenuta acquistata con i soldi della moglie, e che il suo livello sociale gli consentiva di considerare persone come lei beni di poco conto. Ma poi aveva sposato Ross e la sua posizione era cambiata. Sapeva di essere in grado di ostentare raffinatezza e buone maniere, e ci riusciva piuttosto bene; ma con un dottore la questione era diversa. Con un dot-tore ci si trovava sempre in una condizione di svantaggio. Se il dolore fosse diventato troppo forte, quasi certamente si sarebbe messa a imprecare alla vecchia maniera, come aveva imparato

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se di nuovo, con violenza. Il berretto da notte di Jud scivolò via e una goccia di grasso della candela gli cadde sulla testa. Il servo si svegliò e attaccò subito a imprecare, poi vedendo Ross si tirò su a sedere e cominciò a massaggiarsi il capo.

«Cosa c’è?»«Demelza non sta bene.» Come chiamarla se non Demel-

za, quando si rivolgeva a un uomo che era stato lì quando lei, una tredicenne randagia vestita di stracci, era arrivata a Nam-para? «Devi andare subito a chiamare il dottor Choake. E sve-glia Prudie. Ci sarà bisogno anche di lei.»

«Che cos’ha?»«Le doglie sono cominciate.» «Ah, è questo. Avevo capito che non stava bene.» Jud si

accigliò toccandosi la chiazza di sego rappreso sulla testa. «Possiamo fare io e Prudie. Prudie sa tutto di questa roba qui. Non è difficile da imparare. Davvero non capisco perché la gente la fa tanto lunga. Sì, insomma, non è proprio facile ma una volta che hai capito come funziona...»

«Alzati.» Jud riconobbe il tono e obbedì senza aggiungere altro. In-

sieme svegliarono Prudie, che si pulì il naso con un lembo della camicia da notte, la grossa faccia lucida che sbucava da un groviglio di unti capelli neri.

«Oh, misericordia, ci penso io alla pulce. Povera cara.» Prese ad allacciarsi un corsetto sudicio sopra la camicia da notte. «Io lo so come vanno queste cose: mia madre mi ha spiegato tutto, mi ha detto com’era quando era lei che stava per scodellarmi. Mi ero spostata, mi ero girata. Dicevano che era una brutta cosa cronica. E poi sono venuta fuori che sem-bravo un topolino debole e malato, nessuno credeva che sarei arrivata viva al battesimo...»

«Raggiungila appena puoi» disse Ross. «Io vado nella stal-la a prendere Darkie. Non credo ti serva la sella.»

«Forse ce la faccio ad arrivare fin lì a pelo» borbottò Jud. «Certo che se uno scivola nel buio e magari casca giù di testa e si rompe l’osso del collo, poi è spacciato, no?»

«Domani mattina. Non è giusto costringerla a uscire nell’a-ria della notte. Mandala a chiamare domattina.»

Lui la baciò di nuovo.«Dimmi che mi ami, Ross.»Lui la guardò, sorpreso.«Sai benissimo che ti amo!»«E dimmi che non ami Elizabeth.» «Sai benissimo che non amo Elizabeth.» Cos’altro avrebbe

potuto dire? Nemmeno lui conosceva la verità. Non era il tipo d’uomo che dava voce con facilità ai suoi sentimenti più pro-fondi, ma ora si sentiva impotente, incapace di aiutarla, e sa-peva che solo le sue parole, e non le sue azioni, potevano es-serle di qualche conforto. «M’importa solo di te» disse. «Ricor-datelo. Tutti i miei parenti, i miei amici, e anche Elizabeth e questa casa e la miniera... getterei tutto al vento per te, e lo sai, lo sai. Se non lo sai, significa che in tutti questi mesi ho fallito, e allora nessuna parola potrebbe correggere questa mia man-canza. Ti amo, Demelza. Siamo stati talmente felici insieme, e lo saremo ancora. Non dimenticarlo mai, mia cara. Mai.»

«Non lo dimenticherò, Ross» disse lei, soddisfatta perché le parole che aspettava erano arrivate.

Lui la baciò di nuovo, si voltò e accese altre candele. Infine ne prese una e uscì svelto dalla stanza, il grasso bollente che gli scorreva sulla mano. Il vento si era attenuato dal giorno prima, non restava che una brezza. Aveva la sensazione che fossero circa le due.

Spalancò la porta all’altro capo del ballatoio e raggiunse la stanza in cui dormivano Jud e Prudie. La porta sghemba della camera da letto si aprì con un lungo cigolio che si perse nel len-to russare raschiante di Prudie. Ross grugnì disgustato quando un caldo odore di sudore gli riempì le narici. L’aria notturna poteva anche essere pericolosa, ma aprire la finestra durante il giorno per fare uscire quella puzza male non avrebbe fatto.

Attraversò la stanza, scostò le tende e infine andò a scrol-lare Jud. Gli unici due denti rimasti al servo comparvero come lapidi nella sua bocca. Prendendolo per le spalle, Ross lo scos-

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«Ebbene, ebbene! Cosa c’è? Cos’è tutto questo chiasso, dannazione?»

Sentendo quella voce e notando quelle sopracciglia, Jud capì subito di aver disturbato l’uccello giusto.

«Il capitano Poldark mi ha mandato a chiamarvi» borbottò. «Dem – um – la signora Poldark non sta bene e c’è bisogno di voi.»

«Quale signora Poldark? Quale signora Poldark?»«La signora Demelza Poldark. Di Nampara. Quella che

aspetta il suo primo.» «Ebbene, che problema c’è? Non vi hanno detto per cosa

mi vogliono?»«Sì. Sta per partorire.» «Ma che assurdità. L’ho visitata la scorsa settimana e ho

detto al capitano Poldark che non sarebbe successo niente prima di giugno. Tornate indietro e ditegli che resto della mia opinione.»

La finestra venne chiusa bruscamente.Jud Paynter era un uomo dalla natura malevola ed egoista,

interessato soltanto all’appagamento dei suoi bisogni; ma a volte accadeva qualcosa che lo spingeva in altre direzioni. Questa era una di quelle volte. Era arrivato lì contrariato per la leziosa fiacchezza di Demelza e per l’ingiusta durezza di Ross, che lo aveva costretto a uscire in una pungente notte di maggio senza nemmeno il conforto di un goccio di rum; ciò nonostante in quel momento giunse alla conclusione che Ross era il suo padrone e Demelza una del popolo come lui.

Tre minuti dopo, il dottor Choake fece di nuovo capolino dalla finestra.

«Ma che fate? Così butterete giù la porta!»«Mi hanno detto di venirvi a prendere.» «Insolente che non siete altro! Vi farò frustare per questo!»«Dov’è il vostro cavallo? Lo vado a prendere intanto che vi

mettete i pantaloni.» Il chirurgo si ritirò, la voce blesa di Polly Choake risuonò in

sottofondo e a un certo punto la sua capigliatura gonfia passò

Ross scese di corsa le scale. Mentre raggiungeva la porta gettò un’occhiata al nuovo orologio che avevano comprato per l’atrio. Le lancette segnavano le tre meno dieci. Non man-cava molto all’alba. Alla luce delle candele, le cose sembrava-no sempre più gravi.

Nella stalla, si prese qualche minuto per sellare Darkie, rammentando alle dita impacciate che quanto stava accaden-do era qualcosa che tutte le donne, prima o poi, affrontavano. Con gli anni le gravidanze diventavano una routine, si succe-devano una dopo l’altra, come le stagioni. Ma voleva assicu-rarsi che Jud non avesse problemi; se quell’idiota fosse cadu-to, ci avrebbe impiegato ore. Se solo si fosse fidato dei Paynter abbastanza da lasciarli da soli con Demelza, sarebbe andato lui stesso a chiamare il dottore.

Davanti a casa, sotto l’albero di lillà, Jud si stava allaccian-do i calzoni.

«Chissà se troverò la strada, buio com’è» disse. «Sembra di stare con la testa dentro un sacco, già. Magari dovrei portarmi una lanterna su un’asta. Un’asta bella lunga, così potrei vede-re avanti...»

«Muoviti, altrimenti l’asta te la spacco sulla testa.» Jud montò a cavallo. «Cosa faccio se dice che non vuole

venire?»«Portalo qui» tagliò corto Ross dando a Darkie una pacca

su un fianco. Quando Jud raggiunse i cancelli di Fernmore, la tenuta di

Thomas Choake, notò con una punta di disprezzo che la casa era poco più di una fattoria, anche se il dottore e la moglie se ne vantavano come se fosse stata Blenheim. Scese da cavallo e bussò alla porta. Tutto attorno c’erano grandi pini, e le cornac-chie e le taccole, già sveglie, volavano in cerchio facendo un gran baccano. Jud sollevò la testa e tirò su col naso. Il giorno prima gli uccelli erano stati molto agitati anche a Nampara.

Quando bussò per la settima volta, una finestra del piano di sopra si aprì con un cigolio acuto e un berretto da notte comparve come l’uccellino di un orologio a cucù.

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valle, chiamò in tono aspro Jinny Carter, che ogni giorno ve-niva a lavorare a Nampara ed era appena arrivata.

«Quello è il dottor Choake?»Lei si chinò sulla figlia piccola che aveva portato fin lì te-

nendola sulla schiena e che adesso si trovava in una cesta in cucina. «Sì, signore. Ha detto che il bambino non arriverà di sicuro prima di cena e che sarà qui di nuovo per le nove o le dieci.»

Ross si voltò per nascondere il fastidio che provava. Jinny lo guardò con occhi devoti.

«Chi ti ha aiutata a far nascere i tuoi figli?» le chiese.«Mia madre, signore.» «Andresti a chiamarla? Credo che sia più degna di fiducia

di quel vecchio idiota.» Lei arrossì, lusingata. «Certo, signore. Ci vado subito. Sarà

contenta di dare una mano.» Fece per andarsene, poi esitò lanciando un’occhiata alla bambina.

«Baderò io a lei» disse Ross.Jinny lo osservò per un attimo, quindi afferrò in tutta fretta

la cuffia bianca e uscì dalla cucina. Ross percorse il corridoio dal soffitto basso, si fermò ai piedi

delle scale, maledisse il silenzio, e infine si spostò nel salotto per versarsi un bicchiere di brandy. Guardò la sagoma di Jinny sparire rapida in direzione di Mellin, quindi tornò in cucina. La piccola Kate non si era mossa e giaceva sulla schiena scalcian-do, ridendo e rivolgendogli gridolini di gioia. Quello scricciolo aveva nove mesi e non aveva mai visto suo padre, che stava scontando una condanna di due anni per bracconaggio nel carcere di Bodmin. A differenza dei due figli più grandi, che avevano preso dal padre, la piccola Kate era una Martin in tut-to e per tutto: capelli biondo cenere, occhi azzurri, minuscole lentiggini che già cominciavano a ricoprirle il nasino.

Il fuoco non era ancora stato acceso quella mattina e della colazione non c’era traccia. Con l’attizzatoio, Ross rovistò tra la cenere, ma ormai era spenta; prese alcuni ramoscelli e si prepa-rò ad accendere il camino, chiedendosi irritato dove fosse finito

davanti alla finestra. Lei e il marito si stavano consultando. Alla fine Choake, in tono freddo, disse: «Dovete aspettare. Saremo da voi tra dieci minuti.»

Jud aveva abbastanza familiarità con i vezzi del dottore per capire che Choake stava parlando solo di sé.

Ventuno minuti dopo, i due uomini partirono in un silen-zio glaciale. Le cornacchie volavano ancora in cerchio, grac-chiando, e a Sawle Church il baccano era assordante. Era qua-si giorno. A nord-est erano apparse screziature verde pallido e il cielo in cui sarebbe sorto il sole era di un vivido arancione chiaro dietro le costole nere della notte. Un’alba selvaggia e stranamente immobile. Dopo i venti degli ultimi giorni, re-gnava una calma profonda. Passando accanto alla miniera Grambler, superarono un gruppo di ragazze che cantavano andando al lavoro, le voci acute, dolci, giovani e fresche come il mattino. Jud notò che le pecore di Will Nanfan erano radu-nate nell’angolo più riparato del campo.

Durante quel tragitto silenzioso, il dottor Choake si perse tra i suoi pensieri e questo dissipò in parte la sua irritazione, così quando raggiunsero Nampara non si lamentò con Ross ma si limitò a salutarlo con distacco prima di salire con passi pesanti al piano di sopra. Lì scoprì che non si era trattato di un falso allarme. Rimase con Demelza per mezz’ora, le disse che doveva essere coraggiosa e che non c’era niente di cui avere paura. Poi, dal momento che la giovane donna era così spa-ventata e sudava molto, fu attraversato dal sospetto che aves-se un po’ di febbre. Per sicurezza, le praticò un salasso, che la fece stare davvero male, cosa che rallegrò il dottore perché dimostrava che era stata afflitta da una condizione tossica e che quel trattamento aveva provocato un’auspicabile remis-sione della febbre. Un infuso di corteccia da assumere ogni ora avrebbe impedito il rialzarsi della temperatura. A quel punto, il dottore tornò a casa per fare colazione.

Ross si stava lavando sotto la pompa nel tentativo di to-gliersi di dosso le pene di quella notte, e quando entrò in casa e vide una sagoma corpulenta allontanarsi a cavallo lungo la

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Sconsolato, tornò al piano di sotto giusto in tempo per dare il benvenuto alla signora Zacky Martin, la madre di Jinny. La donna entrò in cucina starnutendo, un’espressione decisa e competente sul volto piatto, tallonata da cinque bambini, i due più grandi di Jinny, i tre più piccoli suoi; si sistemò gli occhiali, spiegò a Ross che non aveva nessuno di fidato a cui lasciarli, salutò Jud, chiese di Prudie, fece un commento sull’odore di maiale fritto, s’informò sulle condizioni della paziente, disse di aver bevuto un po’ di latte speziato caldo e birra prima di usci-re perché anche lei non si sentiva troppo bene, si rimboccò le maniche, chiese a Jinny di mettere sul fuoco un infuso di raviz-zone e cardiaca, che alla partoriente avrebbe fatto molto me-glio di qualunque intruglio, e infine scomparve su per le scale prima che qualcuno avesse il tempo di aprire bocca.

Ora, in cucina, ogni sedia disponibile era occupata da un bambino. Se ne stavano lì, come timidi birilli a una fiera di campagna, in attesa di essere buttati giù. Jud si grattò la testa, sputò nel fuoco e imprecò.

Ross tornò in salotto. Sul tavolo c’erano un lavoro all’unci-netto che Demelza aveva lasciato lì la sera prima e un giorna-le di moda che le aveva prestato Verity: un’autentica novità appena giunta da Londra. La stanza aveva un’aria vagamente polverosa e trascurata.

Erano le sei e un quarto.Quel mattino gli uccelli non cantavano. Per un attimo, una

lama di luce solcò il prato ma quasi subito scomparve. Ross guardò gli olmi che ondeggiavano come scossi da un terre-moto. I meli, più riparati, si chinavano protendendo le foglie verso l’alto. Il cielo era carico di nubi veloci.

Prese un libro. I suoi occhi scivolarono sulla pagina senza leggere nulla. In fondo alla valle, il vento già ruggiva. In quel momento entrò la signora Zacky.

«Ebbene?»«È molto coraggiosa, capitano Ross. Io e Prudie ce la cavia-

mo bene, non dovete preoccuparvi neanche un po’. Ce ne vorrà di tempo prima che torni il vecchio dottor Tommie.»

Jud. Ci sarebbe stato bisogno di acqua calda, di asciugamani e di bacinelle, ma lì nessuno aveva ancora preparato niente. Ac-cidenti a quell’insolente di Choake, che se n’era andato senza nemmeno parlargli.

Da tempo i loro rapporti erano piuttosto freddi. Ross di-sprezzava la sua stupida moglie, che continuava a spettegola-re sul conto di Demelza; e quando disprezzava qualcuno, ra-ramente riusciva a nasconderlo. Ora si sentiva fumante di rabbia al pensiero di ritrovarsi alla mercé di quel vecchio idio-ta, retrogrado e ostinato, che purtroppo era l’unico medico disponibile nel raggio di chilometri.

Il fuoco aveva appena iniziato a scoppiettare quando Jud entrò in cucina, seguito dal vento che subito riempì la stanza.

«Sta per venire giù l’inferno là fuori» disse guardando Ross con occhi arrossati. «E avete visto quelle onde maledette?»

Ross annuì impaziente. Fin dal pomeriggio del giorno pri-ma, il mare aveva cominciato a ingrossarsi.

«Vanno in tutte le direzioni, mai vista una cosa così in vita mia. Sembra che qualcuno ci dia dentro con la frusta. Il mare è tutto bianco come la barba di Joe Trigg.»

«Jud, tieni d’occhio Kate» disse Ross. «E intanto prepara la colazione. Io vado di sopra.»

In una remota regione della propria mente, Ross si rende-va conto del rumore del vento che soffiava impetuoso in lon-tananza. Quando guardò fuori dalla finestra della camera da letto, vide che, sì, le onde grosse si erano davvero spezzate, e ora il mare era punteggiato di frangenti ornati di bianco che si incrociavano ancora e ancora, confusi, senza una direzione, scontrandosi e frantumandosi in inutili spruzzi. Se sulla terra-ferma il vento si limitava per ora a soffiare in raffiche regolari, sul mare già si notavano qua e là piccoli vortici d’aria malevo-la e smarrita rincorrersi veloci sull’acqua.

In sua presenza Demelza faceva il possibile per mostrarsi normale, ma Ross si accorse comunque che avrebbe preferito non vederlo lì. Non poteva aiutarla.

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pando, chiedendosi se sarebbe riuscito a raggiungere anche solo la cima della collina.

Quando arrivò agli edifici in rovina della Wheal Maiden, si sedette ansimante e cercò di riprendere fiato, massaggiandosi la mano contusa. Il vento artigliava le vecchie pareti di granito consunto e gridava come una sgualdrina attraverso ogni fes-sura e ogni buco.

Una volta superati i pini, Ross andò incontro a tutta la po-tenza della tempesta che arrivava da Grambler Plain portan-do con sé un bombardamento di pioggia, ghiaia e terriccio. Era come se un aratro invisibile stesse aprendo il suolo, men-tre tutte le foglie giovani e fresche e tutti i piccoli detriti e frammenti di terra venivano trascinati via. Sopra di lui, le nubi erano basse, marroni e veloci, svuotate di pioggia, simili a la-ceri stracci volanti al cospetto di un dio corrucciato.

Giù a Fernmore, il dottor Choake si apprestava a fare cola-zione.

Aveva finito il rognone alla griglia e il prosciutto arrosto e ora si stava chiedendo se mangiare ancora un boccone di merluzzo affumicato prima che venisse portato via e tenuto in caldo per sua moglie, che avrebbe fatto colazione a letto, più tardi. Andare a cavallo così presto quella mattina gli aveva messo molto appetito e al suo ritorno, quando si era accorto che la colazione non era ancora pronta, aveva fatto il diavolo a quattro. Choake era convinto che ai servi non si dovesse permettere di diventare grassi e pigri.

Qualcuno bussò con forza alla porta d’ingresso, ma il suo-no si udì a malapena nel boato del vento.

«Se è qualcuno per me, Nancy» disse stizzoso corrugando la fronte, «non sono in casa.»

«Sì, signore.» Dopo aver annusato il merluzzo, decise di prenderne un

po’ e si accorse, irritato, che avrebbe dovuto servirsi da solo. Sistemò lo stomaco contro il tavolo, infilzò un pezzo di pesce con il coltello e se lo mise in bocca. Alle sue spalle risuonò un timido colpo di tosse.

Ross posò il libro. «Ne siete sicura?»«Be’, io di miei ne ho avuti undici e poi i tre di Jinny. E ho

aiutato anche Betty Nanfan coi suoi gemelli e Sue Vigus coi suoi quattro, i primi tre che non era ancora sposata.» La signo-ra Zacky non aveva abbastanza dita per continuare a contare. «Questo qui non sarà facile, non com’è stato per Jinny, ma faremo un buon lavoro, non temete. Adesso vado a prendere il brandy, ne do un po’ alla ragazza, così starà meglio.»

D’un tratto la casa fu colpita da una raffica di vento e rab-brividì. Ross rimase lì a guardare quella giornata selvaggia, la collera nei confronti di Choake che cresceva dentro di lui im-paziente di essere liberata, come se fosse parte della tempesta. Il buonsenso gli diceva che Demelza sarebbe stata bene, ma trovava intollerabile che le venissero negate le cure migliori. Ora lei stava soffrendo, e ad aiutarla c’erano solo due donne vecchie e rozze.

Uscì e si diresse alle stalle, a malapena consapevole della tempesta che si stava alzando sopra l’edificio.

Arrivato alla porta, guardò verso Hendrawna e vide nuvole di spruzzi staccarsi dal mare e disperdersi come granelli in un turbine di sabbia. Qua e là dalle scogliere si levava del fumo. Non appena aprì la porta, il vento gliela strappò di mano, la richiuse sbattendola e lo spinse contro la parete. Ross guardò il cielo e capì che affrontare il fortunale a cavallo sarebbe stato impossibile.

Decise di andare a piedi. Dopotutto, erano poco più di tre chilometri.

Quando raggiunse l’angolo della casa, venne colpito da una grandinata di foglie, erba, terra e ramoscelli. Alle sue spalle, il vento strappava lembi di mare per gettarli in alto, tra le nuvole. In un altro momento, si sarebbe preoccupato per i danni alle coltivazioni, ma ora gli sembrava una questione di poco conto. Non era un semplice fortunale, ma una tempesta improvvisa, come se la forza di una rabbia crescente rimasta intrappolata per un mese dovesse scatenarsi nel giro di un’ora. Il ramo di un olmo si staccò e cadde nel torrente, Ross lo superò inciam-

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«Avreste dovuto pensarci prima di andarvene da Nampara.» La porta si aprì e comparve Polly Choake, con i capelli pie-

ni di forcine e un’ampia vestaglia color ciliegia. Quando si ac-corse della presenza di Ross, emise uno strillo.

«Oh, capitano Poldark, ma che forprefa! Non avevo idea che fofte qui! Con tutto quefto vento, di fopra, non ho fentito niente. Ho paura che il tetto ftia per crollare, Tom, dico ful ferio, e fe mi crollaffe fulla tefta non farei proprio un bello fpettacolo!»

«Non sei un bello spettacolo neanche quando sbirci da dietro le porte» ribatté seccamente il marito. «Non m’importa se entri o esci, basta che ti decidi.»

Imbronciata, Polly entrò, lanciò un’occhiata furtiva a Ross e cercò di sistemarsi la capigliatura. La porta si richiuse sbat-tendo alle sue spalle.

«Non mi abituerò mai ai voftri venti della Cornovaglia, e quefto è davvero infernale. Jenkin dice che fi fono ftaccate già cinque tegole e non faranno le ultime. Come fta voftra moglie, capitano Poldark?»

Choake si tolse il berretto da notte e si mise la parrucca.«Non reggerà con questo vento» gli disse Ross.«Non ftarai uscendo, Tom, fero? Non fi può andare a ca-

vallo, quafi non fi riesce a camminare. E penfa al pericolo dei rami che cadono!»

«Il capitano Poldark è preoccupato per sua moglie» dichia-rò Choake in tono piatto.

«Ma poffibile che fia cofì urgente? Mia madre dice che ci ho meffo quarantott’ore a venire fuori.»

«Vorrà dire che vostro marito dovrà aspettare quarantott’o-re» disse Ross. «Consideratelo un mio capriccio, signora.»

Con gesti nervosi, il chirurgo si tolse la vestaglia a pois vio-la e indossò la marsina. Poi con passi pesanti uscì dalla stanza per andare a prendere la borsa e il mantello, riuscendo quasi a spaventare Nancy, che stava entrando con il porto.

Sulla via del ritorno, il vento soffiava quasi perpendicolare a loro. Choake perse prima il cappello e poi la parrucca, che

«Vi chiedo scusa, signore. Il capitano Poldark...» «Digli che...» Il dottor Choake sollevò lo sguardo e nello

specchio, dietro la sua vessata domestica, vide una figura alta e fradicia di pioggia.

Ross entrò nella stanza. Aveva perso il cappello e si era strappato il pizzo della manica della giacca; una scia d’acqua lo seguì lungo il pregiatissimo tappeto turco del dottore.

Ma c’era qualcosa nei suoi occhi che impedì al dottore di accorgersene. I Poldark erano aristocratici ormai da duecento anni e Choake, malgrado tutte le arie che si dava, discendeva da un lignaggio alquanto dubbio.

Si alzò in piedi.«Vedo che interrompo la vostra colazione» disse Ross.«Qualcosa non va?»«Vi ricorderete» continuò Ross, «che vi avevo incaricato di

stare con mia moglie durante il travaglio.» «Certo! E sta procedendo tutto bene. Ho visitato attenta-

mente vostra moglie. Il bambino nascerà oggi pomeriggio.» «Vi avevo incaricato di restare al suo fianco tutto il tempo

come farebbe un vero medico, non di passare solo ogni tanto come farebbe un qualsiasi segaossa.»

Choake impallidì e si voltò verso Nancy, che osservava la scena a bocca aperta.

«Versa del porto al capitano Poldark.» Nancy filò via.«Di cosa vi lamentate esattamente?» Choake fissò l’ospite

cercando di indurlo ad abbassare lo sguardo; dopotutto era soltanto un uomo squattrinato e ancora molto giovane. «Ci siamo occupati di vostro padre, di vostro zio, di vostro cugino e di sua moglie e di vostra cugina Verity. Nessuno di loro ha mai avuto motivo di mettere in dubbio le mie cure.»

«Ciò che fanno gli altri non è affar mio. Dov’è il vostro mantello?»

«Amico, non posso di certo uscire con questa bufera! Guar-date come siete ridotto voi! Sarebbe impossibile anche solo montare a cavallo.»

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Il dottore era talmente sfinito che andò in salotto e si se-dette sulla prima poltrona che trovò, cercando di riprendere fiato. Rivolse a Ross un’occhiataccia e disse: «Vi ringrazio per la parrucca.»

Ross versò tre bicchieri di brandy. Portò il primo a Verity, che si era lasciata cadere su una poltrona, i capelli scuri e gon-fi, tranne le ciocche bagnate che il cappuccio non era riuscito a proteggere. Lei gli fece un sorriso e disse: «Salgo anch’io con il dottor Choake, non appena sarà pronto. Poi, se tutto va be-ne, ti preparo qualcosa da mangiare.»

Choake trangugiò il brandy e sollevò il bicchiere per chie-derne ancora. Ross, sapendo che il liquore faceva di lui un medico migliore, lo accontentò.

«Faremo colazione insieme» disse il dottore, improvvisa-mente più allegro al pensiero del cibo. «Ora andiamo su e tranquillizziamo tutti, poi mangeremo qualcosa. Che cosa mangiate di solito a colazione?»

Verity si alzò e il mantello le scivolò via mettendo in mostra un semplice abito di cotone grigio, i venti centimetri sopra l’orlo ricamati di fango e pioggia. Ma fu alla sua espressione che Ross fece caso. Il suo volto si era illuminato d’un tratto di felicità e sorpresa, come se avesse appena avuto una visione.

«Che cosa c’è?»«Ross, mi è sembrato di sentire...» Rimasero tutti in ascolto.«Ah» disse Ross, in un tono severo, «la cucina è piena di

bambini. Ce ne sono anche in dispensa, e per quanto ne so persino negli armadi. Ne abbiamo di ogni età e dimensione.»

«Shh!» fece Verity.Choake stava armeggiando con la borsa. I suoi movimenti

erano impacciati e faceva molto rumore. «Questa non è la voce di un bambino cresciuto!» esclamò

Verity. «Questo non è un bambino cresciuto.» Rimasero di nuovo in ascolto.«Dobbiamo andare dalla nostra paziente» disse Choake, di

colpo irrequieto e a disagio. «Faremo colazione quando tor-neremo giù.»

Ross afferrò al volo e si mise sotto la giacca. Quando giunsero in cima alla collina vicino alla Wheal Maiden, erano entrambi zuppi e senza fiato. Mentre si avvicinavano agli alberi, scorse-ro una figura sottile avvolta da un mantello grigio che cammi-nava davanti a loro.

«Verity» disse Ross quando la raggiunsero, vicino all’albe-ro dove si era fermata. «Non dovresti essere qua fuori.»

Lei gli rivolse un grande sorriso affettuoso. «Avresti dovuto immaginare che era impossibile mantenere il segreto. Betty Martin ha visto Jud e il dottor Choake mentre andava alla mi-niera e lo ha detto alla moglie di Bartle.» Appoggiò il viso ba-gnato contro la corteccia. «La nostra stalla è crollata, abbiamo dovuto mettere le due mucche nel casotto della birra. Il castel-letto di estrazione della miniera Digory ha ceduto ma credo che non si sia fatto male nessuno. Demelza come sta?»

«Abbastanza bene, spero.» Ross prese Verity a braccetto e insieme si incamminarono verso la sagoma arrancante, avvol-ta dal mantello gonfio, del dottore. Spesso aveva pensato che, se fosse stato legittimo avere una seconda moglie, avrebbe chiesto la mano della cugina per la sua gentilezza e la sua generosità, e per l’effetto rasserenante che aveva su di lui. Si sentiva già pieno di vergogna per l’ira che aveva provato. Tom Choake dopotutto non era privo di pregi e naturalmente co-nosceva il suo lavoro meglio della signora Zacky Martin.

Raggiunsero il dottore, che stava tentando di scavalcare un grosso ramo d’olmo. Due meli erano caduti e Ross si chiese cosa avrebbe detto Demelza nel vedere com’erano ridotti i suoi fiori primaverili.

Quando avrebbe visto... Accelerò il passo. Un po’ della sua irritazione era ricom-

parsa al pensiero delle donne che si affaccendavano in casa e della sua amatissima Demelza in balia del dolore – e di Choa-ke che se n’era andato senza dire una parola.

Appena entrarono videro Jinny che saliva svelta le scale con una bacinella d’acqua fumante. Nella fretta ne versò un po’ ma non si fermò né si voltò verso di loro.

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Capitolo due

Se Julia avesse avuto qualche termine di paragone, avrebbe pensato che la campagna in cui era venuta al mondo era dav-vero strana.

Per ore e ore un flagello si era abbattuto su quelle terre, terribili venti carichi di sale ai quali nulla aveva potuto sottrar-si. Le giovani foglie verdi si erano fatte nere e avvizzite sui rami e ora, nella brezza, si scuotevano come biscotti secchi. Persino l’ortica e i denti di leone erano anneriti. Il fieno aveva subito danni, così come il raccolto di patate, e i piselli e i fagio-li appena cresciuti si erano accartocciati ed erano morti. I boc-cioli di rosa non si erano aperti e il torrente era gonfio dei detriti di una primavera assassinata.

Ma a Nampara, in quel piccolo mondo fatto di quattro mu-ra, tende chiare e voci sommesse, la vita aveva trionfato.

Dopo aver guardato bene la bambina, Demelza si disse che, non appena il suo povero visino pieno di lividi fosse gua-rito, sarebbe stata meravigliosa, perfetta. Nessuno sembrava avere idea di quanto ci sarebbe voluto – Ross sospettava in segreto che i segni potessero essere permanenti – ma Demel-za, di temperamento più sanguigno, guardò i lividi e poi il paesaggio fuori dalla finestra e concluse che la natura, a suo tempo, avrebbe fatto miracoli per entrambi. Avrebbero solo dovuto spostare il battesimo verso la fine di luglio.

Aveva idee precise, al riguardo. Per il battesimo di Geoffrey Charles, Elizabeth aveva dato una festa. Era stato quasi quattro anni prima e Demelza, che all’epoca era meno di niente agli

Aprì la porta. Gli altri lo seguirono, ma quando si ritrova-rono ai piedi delle scale si fermarono.

Sul primo gradino c’era Prudie. Indossava ancora la cami-cia da notte su cui aveva messo una giacca e la sua figura cor-pulenta faceva pensare a un sacco troppo pieno. Si sporse in avanti e li guardò, il lungo viso rosa bitorzoluto e luccicante.

«Ce l’abbiamo fatta!» gridò con voce solenne. «È una bam-bina. C’è una bambina che vi aspetta. Mai visto uno scricciolo più bello. Abbiamo dovuto strapazzarla un po’ ma è forte co-me un puledro. Sentitela come strilla!»

Dopo un istante di silenzio, Choake si schiarì la gola con aria pomposa e fece per cominciare a salire le scale, ma Ross lo spinse da parte e andò per primo.

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Sentendosi chiamato in causa, Garrick dimenò il monche-rino di coda di cinque centimetri.

«Vieni qui» disse Demelza, «fammi vedere.» «Potremmo scegliere con cura gli invitati» propose Ross.

«Verrebbe anche Verity. La gente di campagna le piace quan-to piace a noi – o meglio, le piacerebbe se le venisse permesso. Potresti anche invitare tuo padre. Sono certo che ormai mi ha perdonato per averlo buttato nel torrente.»

«Sì, sarebbe carino invitare mio padre e anche i miei fratel-li» replicò lei, «potremmo farli venire il secondo giorno. Pen-savo che potremmo organizzarla il ventitré luglio, durante la Festa di Sawle, quando i minatori non lavorano.»

Ross sorrise tra sé. Era piacevole starsene lì seduti al sole e lo divertiva ascoltare Demelza che cercava di blandirlo. Era curioso di scoprire quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

«Sì, mio padre ha ancora abbastanza denti per metterli in mostra» disse Demelza. «È solo pigro, nient’altro. Pensi che i tuoi amici aristocratici siano troppo aristocratici per accettare un invito a cena a casa della figlia di un minatore?»

«Se apri la bocca un altro po’» rispose Ross, «ci cascherai dentro.»

«Impossibile, sono troppo grassa; la mia faccia sta diven-tando un pudding, riesco a malapena ad allacciare i miei nuovi corsetti. John Treneglos non direbbe di no a un invito. E forse verrebbe anche la sua consorte con gli occhi a man-dorla, se usassi te come esca. E George Warleggan: si sa che suo nonno era solo un fabbro, quindi non farà il superiore, anche se è così ricco. E Francis... mi piace il cugino Francis. E zia Agatha, con i suoi baffi bianchi e la sua parrucca mi-gliore. E poi Elizabeth e il piccolo Geoffrey Charles. Sarem-mo un bel gruppetto vivace. E magari» aggiunse sorniona, «potresti invitare qualcuno dei tuoi amici che vedi a casa di George.»

Una brezza fresca passò tra di loro, sollevando per un mo-mento la balza arricciata dell’abito di Demelza e lasciandola poi ricadere.

occhi della famiglia Poldark, non era stata presente; ma non aveva mai dimenticato ciò che le aveva raccontato Prudie sulla gente elegante che era stata invitata, sui grandi mazzi di fiori portati da Truro, sulla profusione di cibo, sul vino e sui discor-si. Adesso che aveva fatto il suo debutto in società, benché in modo molto discreto, non c’era ragione per cui lei e Ross non potessero organizzare una festa per la loro bambina – una festa altrettanto bella, se non di più.

A dire il vero, Demelza aveva deciso di organizzare due feste, sempre che fosse riuscita a convincere Ross.

Gli sottopose la questione quattro settimane dopo la nasci-ta di Julia, mentre prendevano il tè sul prato davanti alla casa e la piccola dormiva profondamente all’ombra dell’albero di lillà.

Ross le rivolse un’occhiata allo stesso tempo interrogativa e ironica.

«Due feste? Non abbiamo avuto due gemelli.» Gli occhi di Demelza incontrarono quelli di lui per un

istante, poi si abbassarono sulle foglie di tè rimaste sul fondo della tazza.

«No, ma c’è la tua gente e c’è la mia gente, Ross. Ci sono gli aristocratici e ci sono gli altri. Mescolarli non sarebbe una buona idea, non più di quanto lo sarebbe mescolare la panna e... e le cipolle. Vanno entrambe benissimo, ma ciascuna per conto suo.»

«Io ho un debole per le cipolle» disse Ross, «la panna inve-ce la detesto. Facciamo solo una festa per la gente di campa-gna: i Martin, i Nanfan, i Daniel. Valgono molto di più di tan-ti grassi signorotti e delle loro gentili consorti.»

Demelza gettò un pezzo di pane al cane goffo e sgraziato che era accovacciato vicino a loro.

«Garrick non si è ancora ripreso dalla zuffa con il bulldog del signor Treneglos» disse. «Sono sicura che ha ancora qual-che dente in bocca, ma se anche non ne avesse più, inghiotti-rebbe il cibo come un gabbiano, lasciandolo masticare allo stomaco.»

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«Lasciami almeno mettere i piedi nell’acqua. Possiamo an-dare alla spiaggia e camminare sulla riva. Oggi è una giornata tranquilla.»

Lui le diede una pacca scherzosa. «Julia non gradirebbe i tuoi piedi freddi.»

«Non ci avevo pensato.» Si lasciò cadere sulla sedia.«Comunque» aggiunse lui, «c’è abbastanza sabbia asciutta

su cui camminare.» Lei subito balzò in piedi. «Vado a chiedere a Jinny di bada-

re a Julia.» Quando tornò da lui, insieme raggiunsero il limitare del

giardino dove il terreno era già per metà sabbia. Attraversaro-no un tratto incolto camminando tra cardi e piante di malva, poi Ross la sollevò tra le braccia e scavalcò il basso muro di pietra in rovina. Avanzarono sulla sabbia morbida e infine ar-rivarono a Hendrawna Beach.

Era una giornata mite, quasi estiva, reggimenti di nuvole bianche erano radunati all’orizzonte. Il mare era calmo e le onde facevano piccole capriole sulla riva lasciando sulla su-perficie verde dell’acqua delicati arabeschi bianchi.

Mentre camminavano tenendosi a braccetto, lui si ritrovò a pensare a quanto in fretta fossero riusciti a ritrovare la compli-cità di un tempo.

Al largo, si vedevano un paio di pescherecci salpati da Padstow e uno salpato da Sawle. Convinti che la barca fosse quella di Pally Rogers, sollevarono le mani in segno di saluto, ma lui li ignorò, più interessato alle aringhe che all’amicizia.

«Credo che sarebbe una buona cosa se Verity venisse a en-trambe le feste. Ha bisogno di qualche novità che susciti il suo interesse» disse Demelza.

«Spero che tu non abbia intenzione di tenere la bambina sul fonte battesimale per due giorni di seguito.»

«No, no, solo il primo giorno, e ci saranno solo i ricchi. Agli altri non importerà, a patto che il banchetto sia abbondante. In più potranno finire anche quello che sarà avanzato dal giorno prima.»

«Sono tutti giocatori d’azzardo» disse Ross. «Non si invita gente del genere a un battesimo. E poi non considero buoni amici persone che ho incontrato un paio di volte al tavolo da gioco.»

Demelza lasciò andare le fauci sbavanti di Garrick e si asciugò le mani sul vestito. Poi si rese conto di quello che ave-va fatto e si affrettò a sfregarle sull’erba. Garrick le leccò una guancia e un ricciolo scuro le scivolò su un occhio. Era diffici-le discutere con le donne, rifletté Ross, perché si veniva di-stratti dalla loro bellezza e si perdeva di vista il punto. Anche ora che le circostanze la rendevano più matronale, Demelza non era meno splendida. Ripensò all’aspetto di Elizabeth, il suo primo amore, dopo la nascita di Geoffrey Charles: delica-ta, candida e toccata da un leggero rossore, come una bellissi-ma camelia.

«Faremo due feste, se è questo ciò che vuoi.»Per un attimo, stranamente, Demelza parve turbata. Abi-

tuato ai suoi improvvisi sbalzi d’umore, Ross la guardò con aria interrogativa. Alla fine, con un filo di voce, lei disse: «Oh, Ross. Sei così buono con me.»

Lui scoppiò a ridere. «Non esagerare.» «No, è vero, lo sei, lo sei.» Si alzò e lo baciò. «Qualche vol-

ta» continuò, lentamente, «mi metto in testa di essere una vera signora e poi mi ricordo che in realtà sono solo...»

«Tu sei Demelza» disse lui. «Dio ha rotto lo stampo dopo che sei nata.»

«No, non è vero. Ce n’è un’altra proprio sotto questo tet-to.» Gli rivolse uno sguardo intenso. «Pensi davvero tutte quelle bellissime cose che mi hai detto prima che nascesse Julia? Le pensi davvero, Ross?»

«Non mi ricordo cosa ti ho detto.» Demelza si scostò da lui, balzò in piedi e si mise a saltellare

per il prato con indosso il suo vestito elegante. Era di nuovo lei. «Andiamo a fare il bagno, Ross.»

«Non dire assurdità. Fino a una settimana fa eri ancora co-stretta a letto.»

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Ubbidiente, lei si voltò. La marea si stava alzando e divora-va silenziosa la sabbia. Di tanto in tanto, un’onda si spingeva più in là delle altre per poi ritirarsi lasciando un sottile merlet-to di schiuma bianca a segnare il suo passaggio.

In tono divertito, Ross disse: «Fino a nove mesi fa, non vo-levi assolutamente saperne di Verity. Te la immaginavi come un’arpia. Quando ti ho chiesto di incontrarla ti sei irrigidita come un pezzo di legno. Poi, quando l’hai conosciuta, hai co-minciato a darmi il tormento perché le trovassi un marito e non hai più smesso. Non so proprio come potrei accontentar-ti se non andando da una delle vecchie fattucchiere della Fie-ra di Summercourt a comprarle un filtro d’amore!»

«C’è sempre il capitano Blamey.»Lui fece un gesto spazientito.«Anche questa l’ho già sentita. E comincia anche a stan-

carmi un po’. Lascia perdere questa faccenda, mia cara.» «Non sarò mai una persona assennata, Ross» disse lei do-

po un attimo. «E non penso di volerlo essere.» «E io non vorrei mai che tu lo fossi» replicò lui sollevando-

la tra le braccia per scavalcare il muretto.

Il giorno seguente, Verity andò a trovarli. Il mese prima, dopo tutta quella pioggia, si era presa un brutto raffreddore ma ora si era rimessa. Vezzeggiò la bambina, disse che era uguale a loro ma diversa da entrambi, rimase ad ascoltare i piani di Demelza per i festeggiamenti e li appoggiò senza esi-tazioni, fece del suo meglio per rispondere a un paio di do-mande che Demelza non aveva avuto il coraggio di porre al dottor Choake, e infine le mostrò una deliziosa vestina di piz-zo che aveva fatto preparare per il battesimo.

Demelza la baciò e la ringraziò, poi si sedette e la scrutò con occhi scuri e così seri che Verity scoppiò in una delle sue rare risate e le chiese cosa le passasse per la testa.

«Oh, niente. Vuoi una tazza di tè?»«Se non è un disturbo.»

«Organizziamo anche una festa per i bambini» fece lui, «così il terzo giorno potranno finire quello che è avanzato il secondo.»

Lei lo fissò. «Mi prendi in giro, Ross. Mi prendi sempre in giro.»

«È una forma di devozione al contrario, non lo sapevi?»«No, seriamente, pensi davvero che le due feste siano una

buona idea?»«Seriamente» rispose lui, «sono disposto ad assecondare

ogni tuo capriccio. Non ti basta?»«Allora ti chiedo di assecondarmi in un’altra cosa. Sono

molto preoccupata per Verity.» «Che c’è che non va?»«Il suo destino non è mai stato quello di diventare una vec-

chia zitella. È una donna così piena di bontà e d’affetto, e tu lo sai meglio di chiunque altro. Ebbene, la vita che sta vivendo non va bene per lei: badare a Trenwith, occuparsi della fatto-ria e della casa, prendersi cura di Elizabeth e Francis e del bambino di Elizabeth e della vecchia zia Agatha, gestire la servitù, ordinare le provviste e insegnare al vecchio coro della chiesa e aiutare i minatori. Non è questo che dovrebbe fare.»

«È esattamente quello che le piace fare.» «Sì, lo sarebbe, se fosse, insomma, una sua decisione. Se

fosse sposata e avesse una casa tutta sua, sarebbe diverso. Lo scorso settembre, quando è venuta a trovarci qui a Nampara, è stata subito meglio ma adesso è gialla come una vecchia sella e così magra. Quanti anni ha, Ross?»

«Ventinove.» «Be’, è ora di fare qualcosa.» Ross si fermò e gettò un sasso a due gabbiani che si sta-

vano azzuffando. Poco più avanti, sulla cima della scogliera, si vedevano le strutture della Wheal Leisure, finalmente in funzione dopo anni di sforzi e tentativi da parte sua. Ora la miniera dava lavoro a cinquantasei uomini, e cominciava a fruttare.

«Hai camminato abbastanza» disse. «Torniamo a casa.»

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giusto o sbagliato, non spetta a noi dirlo. Ma ciò che è fatto è fatto e, in ogni caso, questa faccenda è sepolta e quasi di-menticata.»

«Hai mai più avuto sue notizie?»Verity si alzò in piedi. «No.» Demelza le andò accanto. «Odio tutto questo. Odio tutto

questo» disse.Verity le accarezzò il braccio come se fosse stata lei quella

a cui era stata inflitta la ferita. «Ti va di parlarne?» chiese Demelza.«No» rispose Verity.«A volte, parlarne aiuta; rende le cose più facili e così via.» «Non adesso» disse Verity. «Parlarne adesso sarebbe co-

me... profanare una vecchia tomba.» Jinny tornò con il tè e Verity fu percorsa da un piccolo bri-

vido di emozione, o forse di disgusto.Quella sera Demelza trovò Jud in cucina da solo. Era im-

possibile capire se i due si piacessero o se vi fosse tra loro una sorta di bellicosa neutralità. Jud non era mai stato conquista-to da Demelza com’era capitato a sua moglie. Per molto tem-po, aveva mal sopportato il pensiero che quella trovatella, che una volta aveva preso ordini da lui, fosse ora nella posi-zione di comandarlo; del resto Jud era convinto che il Desti-no si dimostrasse crudele con lui in molti modi. E se avesse avuto facoltà di scegliere, avrebbe comunque preferito De-melza a una qualche dama arrogante abituata al lusso e a essere servita e riverita.

«Jud» disse Demelza prendendo da un ripiano la spianatoia, la farina e il lievito. «Jud, ti ricordi di un certo capitano Blamey che veniva qui a trovare la signorina Verity?»

«Come no» rispose lui.«Probabilmente io ero già qui allora» continuò lei, «ma

non ricordo niente al riguardo, proprio niente.» «Perché eri una bamboccia di tredici anni» fece Jud con

aria cupa, «e te ne stavi sempre in cucina, dov’era il tuo posto. Ecco perché.»

Demelza tirò il cordone accanto al caminetto. «Da quando è arrivata Julia, non faccio altro che bere tutto il giorno. E devo ammettere che il tè è meglio del gin.»

Jinny dalla pelle candida e i capelli rossi entrò in salotto.«Oh, Jinny» disse Demelza impacciata. «Ci prepareresti

del tè? Fallo bello forte e aspetta che l’acqua stia bollendo pri-ma di mettere le foglie.»

«Sì, signora.» «Stento a riconoscermi» continuò Demelza quando la ra-

gazza se ne fu andata.Verity sorrise. «Ora dimmi cosa ti angustia.» «Si tratta di te, Verity.» «Di me? Oh, cara, cara, dimmi subito in che modo ti ho

offeso.» «No, nessuna offesa. È solo che... Oh, adesso sarò io a of-

fenderti...» «Finché non mi dirai di cosa si tratta, non potrò esserti

d’aiuto.» «Verity» disse Demelza, «una volta, dopo che lo avevo tor-

mentato per ore, Ross mi ha detto che in passato avevi amato qualcuno.»

Verity restò immobile, ma il suo sorriso si fece meno dolce, e la curva delle sue labbra mutò leggermente. «Mi dispiace che questa storia ti abbia turbata».

Demelza era ormai lanciata e non badò alle sue parole.«Mi domando se sia stato giusto separarvi e non riesco a

darmi pace.» Qualche debole traccia di colore comparve sulle guance

scavate di Verity. Ormai sembra una zitella vecchia e stanca, pensò Demelza, proprio com’era la prima volta che l’ho vi-sta; è come se in lei vivessero due persone completamente diverse.

«Mia cara, non penso che possiamo misurare i comporta-menti degli altri secondo il nostro giudizio. Il mondo non fa altro che questo. Mio... mio padre e mio fratello hanno prin-cipi saldi e ponderati, e hanno agito seguendoli. Se sia stato

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Jud, vecchio e sospettoso, la fissò con i suoi occhi arrossati da bulldog.

«E sarebbe?»«Voglio che tu vada a Falmouth a chiedere notizie del capi-

tano Blamey. Scopri se vive ancora lì e che cosa sta facendo.» Seguì un attimo di silenzio. Jud si alzò e sputò nel fuoco

con grande enfasi. Quando la sua saliva fu evaporata disse: «Lascia perdere, signora. Non sta a noi rimettere a posto il mondo. Non ha senso, non è naturale, non è giusto, non è sicuro. Preferirei andare a stuzzicare un toro.»

Raccolse il pezzo di legno e il coltello, poi uscì.Demelza lo seguì con lo sguardo. Era delusa ma non sor-

presa. E mentre tornava ad abbassare gli occhi sull’impasto, voltandolo con le dita infarinate, lo scintillio oscuro nelle pro-fondità delle sue iridi diceva che non era affatto scoraggiata.

«Immagino che non ricordi più molto altro ormai» insistet-te lei.

«No, non lo so, insomma, per esserci c’ero, poi che ne so.» Demelza cominciò a impastare.«Cos’è successo, Jud?»Lui prese un pezzo di legno e si mise a intagliarlo col suo

coltello, fischiettando un motivetto tra gli unici due denti che gli erano rimasti. La testa pelata e luccicante cinta da un anel-lo di capelli lo faceva somigliare a un monaco ribelle.

«Ha ucciso la sua prima moglie accidentalmente o qualco-sa del genere, giusto?» domandò lei.

«Mi sembra che sai già tutto.» «No, affatto. So qualcosa ma non tutto, Jud. Cos’è successo

qui?»«Oh, quel capitano Blamey stava dietro alla signorina Ve-

rity ed è andato avanti per un bel po’. Il capitano Ross li face-va incontrare qui perché non potevano farlo da nessun’altra parte, e un giorno il signor Francis e suo padre – lo hanno sotterrato lo scorso settembre – li hanno scoperti in salotto. Il signor Francis lo ha sfidato a duello e così sono usciti con quelle pistole da duello che stanno appese di là vicino alla fi-nestra. Mi hanno chiesto di fare l’arbitro, e lo credo bene che lo hanno chiesto proprio a me, e non passano neanche cinque minuti che il signor Francis spara al capitano Blamey e Blamey spara a Francis. Proprio un lavoro coi fiocchi.»

«Sono rimasti feriti?»«Non tanto. Blamey si è preso una palla nella mano e Fran-

cis una nel collo. Tutto secondo le regole, poi il capitano Bla-mey è salito a cavallo e se n’è andato.»

«Hai mai più avuto sue notizie da allora, Jud?»«Niente di niente.» «È vero che vive a Falmouth?»«Quando non è per mare.» «Jud, voglio che tu faccia una cosa per me.» «Eh?»«La prossima volta che il capitano Ross andrà a trovare Jim

Carter, voglio che tu faccia una cosa.»