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40 gennaio/febbraio 2010 - n.81 L ive c oncert 41 www.soundlite.it di giancarlo messina P rodotto da Radiorama e Trident Management, con il booking realizzato da Live Nation, lo spettacolo del nuovo tour di Eros lascia davvero stupefatti per la complessità della macchina scenica, capace di svi- luppare un concept alquanto semplice: dai bordi di periferia alle stelle del pop, appunto “ali e radici”. Così i container di una periferia industriale diventano pro- tagonisti del palco, muovendosi in lungo ed in largo, ruo- tando e scomparendo, illuminandosi, rivelando il loro con- tenuto inaspettato, insomma lasciando progressivamente il posto ai sogni realizzati del cantante romano, che poi sono i sogni di tutti i ragazzi, e non solo, che vagheggiano una vita migliore. Per mettere in scena tutto questo, Eros si è avvalso di pro- fessionisti di altissima caratura, già al fianco di star interna- zionali, affiancati da alcuni fra i più stimati tecnici italiani. Il progetto e la direzione dello show sono infatti di Serge Denoncourt (Cirque du Soleil), la direzione del team di Na- thalie Goodwin, mentre i contenuti video sono curati per Geodezik da Olivier Goulet (Justin Timberlake, Linkin Park, The Killers, Cher…) e Gabriel Coutu-Dumont; le luci sono affidate a Barry Halpin, giovane professionista che ha nel curriculum collaborazioni con artisti che si chiamano Pink, Tina Turner, Cristina Aguilera. Il set designer è Guillame Lord (Cirque du Soleil) assistito da Olivier Landreville. Tutta italiana invece la produzione musicale, con la direzione di Claudio Guidetti e la preproduzione di Michele Canova. Insomma un vero “star team” che ha trovato nelle risorse tecniche italiane il perfetto compimento. Infatti la produ- zione esecutiva è stata realizzata dalla Lemonandpepper della triade Carmassi, Copelli, Ioan (in rigoroso ordine alfa- betico) che in questi ultimi anni ha davvero dimostrato crea- tività, talento e professionalità che nulla hanno da invidiare ai migliori colleghi d’oltralpe e d’oltreoceano. Le prove dello show sono ad un tiro di schioppo dalla nostra redazione, cioè al 105 di Rimini: non possiamo certo farci scappare questa occasione, così siamo subito presenti il 21 ottobre alla prima. Sappiamo che non è la data migliore per il nostro lavoro, sia per la ovvia tensione che aleggia qua e là fra le mille cose da fare, sia perché, come sempre, lo show entra pienamente a regime solo dopo qualche data. Ma abbiamo ormai acquisito la discrezione necessaria per soddisfare la curiosità dei nostri lettori senza intralciare il lavoro altrui, inoltre ci ripromettiamo di dare un’occhiata allo spettacolo fra un mesetto per gustarcelo a rodaggio concluso. La produzione Ma andiamo con ordine. La prima persona che riesce a de- dicarci un po’ di tempo, fra una chiamata e l’altra, è proprio Giorgio Ioan, produttore esecutivo. “A febbraio ero con Lorenzo (Cherubini – ndr.) a New York – ci racconta Giorgio – così ho colto l’occasione per convocare il team canadese: hanno preso un aereo da Montreal ed abbiamo fatto una cena ed una riunione per gettare le basi di questo show. A marzo ci hanno già presentato un progetto, poi ottimizzato modifi- cando alcune cose ed aggiungen- done altre, e ad aprile abbiamo lavorato per capire come realiz- zare nella pratica tutte le idee nuove: studio strutturale e strate- gico, progettazione, calcoli inge- gneristici... perché si tratta di una macchina molto complessa, una macchina che ha all’interno altre macchine... Qual è il concept che sottende il progetto? Il regista dello show ha richiamato sul palco l’idea di un parcheggio di container, immagine tipica, ed anche un po’ deprimente, di una periferia industriale, un posto che richiama le radici di Eros. Ma sono questi stessi elementi che poi, du- rante il concerto, si trasformano e diventano tutt’altra cosa: i contai- ner infatti sostengono degli scher- mi Image-Mesh, ma allo stesso tempo sono superficie di proiezio- ne per sei Barco da 12.000 ANSI lu- men ed al loro interno contengo- no dei proiettori Minibig della Zap Eros Ramazzotti ALI E RADIcI Eros ritorna in tour dopo quattro anni, e lo fa alla grande, spinto da un disco che ha già superato il doppio platino. E con una produzione di altissimo livello.

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di giancarlo messina

Prodotto da Radiorama e Trident Management, con il booking realizzato da Live Nation, lo spettacolo del nuovo tour di Eros lascia davvero stupefatti per la complessità della macchina scenica, capace di svi-

luppare un concept alquanto semplice: dai bordi di periferia alle stelle del pop, appunto “ali e radici”.Così i container di una periferia industriale diventano pro-tagonisti del palco, muovendosi in lungo ed in largo, ruo-tando e scomparendo, illuminandosi, rivelando il loro con-tenuto inaspettato, insomma lasciando progressivamente il posto ai sogni realizzati del cantante romano, che poi sono i sogni di tutti i ragazzi, e non solo, che vagheggiano una vita migliore.Per mettere in scena tutto questo, Eros si è avvalso di pro-fessionisti di altissima caratura, già al fianco di star interna-

zionali, affiancati da alcuni fra i più stimati tecnici italiani. Il progetto e la direzione dello show sono infatti di Serge Denoncourt (Cirque du Soleil), la direzione del team di Na-thalie Goodwin, mentre i contenuti video sono curati per Geodezik da Olivier Goulet (Justin Timberlake, Linkin Park, The Killers, Cher…) e Gabriel Coutu-Dumont; le luci sono affidate a Barry Halpin, giovane professionista che ha nel curriculum collaborazioni con artisti che si chiamano Pink, Tina Turner, Cristina Aguilera. Il set designer è Guillame Lord (Cirque du Soleil) assistito da Olivier Landreville.Tutta italiana invece la produzione musicale, con la direzione di Claudio Guidetti e la preproduzione di Michele Canova.Insomma un vero “star team” che ha trovato nelle risorse tecniche italiane il perfetto compimento. Infatti la produ-zione esecutiva è stata realizzata dalla Lemonandpepper della triade Carmassi, Copelli, Ioan (in rigoroso ordine alfa-betico) che in questi ultimi anni ha davvero dimostrato crea-tività, talento e professionalità che nulla hanno da invidiare ai migliori colleghi d’oltralpe e d’oltreoceano.

Le prove dello show sono ad un tiro di schioppo dalla nostra redazione, cioè al 105 di Rimini: non possiamo certo farci scappare questa occasione, così siamo subito presenti il 21 ottobre alla prima. Sappiamo che non è la data migliore per il nostro lavoro, sia per la ovvia tensione che aleggia qua e là fra le mille cose da fare, sia perché, come sempre, lo show entra pienamente a regime solo dopo qualche data. Ma abbiamo ormai acquisito la discrezione necessaria per soddisfare la curiosità dei nostri lettori senza intralciare il lavoro altrui, inoltre ci ripromettiamo di dare un’occhiata allo spettacolo fra un mesetto per gustarcelo a rodaggio concluso.

La produzioneMa andiamo con ordine. La prima persona che riesce a de-dicarci un po’ di tempo, fra una chiamata e l’altra, è proprio Giorgio Ioan, produttore esecutivo.

“A febbraio ero con Lorenzo (Cherubini – ndr.) a New York – ci racconta Giorgio – così ho colto l’occasione per convocare il team canadese: hanno preso un aereo da Montreal ed abbiamo fatto una cena ed una riunione per gettare le basi di questo show. A marzo ci hanno già presentato un progetto, poi ottimizzato modifi-cando alcune cose ed aggiungen-done altre, e ad aprile abbiamo lavorato per capire come realiz-zare nella pratica tutte le idee nuove: studio strutturale e strate-gico, progettazione, calcoli inge-gneristici... perché si tratta di una macchina molto complessa, una macchina che ha all’interno altre macchine...Qual è il concept che sottende il progetto?Il regista dello show ha richiamato sul palco l’idea di un parcheggio di container, immagine tipica, ed anche un po’ deprimente, di una periferia industriale, un posto che richiama le radici di Eros. Ma sono questi stessi elementi che poi, du-rante il concerto, si trasformano e diventano tutt’altra cosa: i contai-ner infatti sostengono degli scher-mi Image-Mesh, ma allo stesso tempo sono superficie di proiezio-ne per sei Barco da 12.000 ANSI lu-men ed al loro interno contengo-no dei proiettori Minibig della Zap

ErosRamazzotti

ALI E RADIcI

Eros ritorna in tour dopo quattro anni, e lo fa alla grande, spinto

da un disco che ha già superato il doppio platino. E con una

produzione di altissimo livello.

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Technology. Inoltre sullo sfondo appare pian piano lo schermo LED da otto millimetri che ha una de-finizione pazzesca. Il posteggio di container, insomma, si trasforma in qualcosa di magico.Di che materiale sono i contai-ner e come funziona la movi-mentazione?Per realizzare i container abbia-mo lavorato insieme alla Teyco. Dopo varie prove, abbiamo scel-to come materiale la lega d’allu-minio e per le rotazioni ci siamo ispirati alla ralle delle gru (sorta di cremagliera – ndr.), mentre gli scorrimenti utilizzano dei binari. La struttura d’alluminio ospita gli attacchi per gli Image-Mesh; suc-cessivamente viene montato un materiale termoformato traslu-cido che scherma l’Image-Mesh, facendolo apparire in modo inde-finito, formando delle texture.

1: Giorgio Ioan, della Lemonandpepper.

Mi pare una cosa piuttosto complessa... vista anche la varietà di movimenti!In effetti lo è: container che scorrono, che ruotano, che si sollevano o che scompaiono sotto il palco... tutto gestito da motori Cyberhoist, usati in questo caso come motori in trazione e non solo come sollevatori di carichi. Inoltre i con-tainer, che sono uno sull’altro, contengono dei Minibig che proiettano attraverso una finestra a veneziana motorizzata. Per tutto questo, come per gli Image-Mesh, devono passare le fibre ottiche per il segnale ed i comandi, senza contare i container che contengono palloni o altri accessori di scena, o quelli che ruotano di 180°. Siamo partiti con la costruzio-ne a maggio, facendo dei test, noleggiando un capannone da Italstage. Sono state necessarie molte prove di carico, perché i pesi da spostare erano molti, tutto doveva essere snello ma ovviamente assolutamente sicuro. Il risultato è il frutto di una collaborazione fra me, la Dari automazioni, Guidolin... insomma tutto il team.Non avete un po’ di apprensione nel portare in tour tutto questo?Ovviamente tutto è stato progettato per andare in tour, ma non ti nascondo che le prime date saranno toste, faremo pre-rigging e pre-montaggi per guadagnare tempo. Poi cer-tamente tutto si assesterà ed i tempi si ridurranno. Il fatto è che non è solo la movimentazione di scena ad essere com-plessa, ma anche il resto: le luci, il video gestito dai Pandora, l’audio, con due fonici di palco, due console con segnali se-parati, quindi con doppi splitter, cavi MADI, clock... e tutto deve incastrarsi perfettamente.Chi sono i principali fornitori?Il service Agorà fornisce audio e luci, STS cura tutto l’aspet-to video, completato dalla fornitura degli Image-Mesh da parte de Le Grandi Immagini, mentre Italstage fornisce il Ground Support ed i Cyberhoist.Qual è la cosa che ti piace di più di questo lavoro?Direi senza meno la sua complessità, la sinergia fra le varie parti: pensa che Fabio Carmassi, oltre a fare lo stage mana-ger, è un vero e proprio direttore di scena teatrale, perché con otto wireless intercom dà le chiamate dei cue di tutto quello che deve succedere durante lo show. Ma mi piace an-che moltissimo la scelta di incassare tutte le aree del palco

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per farlo apparire come una strut-tura monolitica, infatti non si ve-dono i fonici di palco, le alette dei backliner, i sub... La presenza di un regista che sviluppa un concept è, per voi della produzione, un freno o un aiuto? La sua presenza aggiunge davvero qualcosa allo show?In questo caso è stato un lavoro sinergico: al loro primo progetto sono state fatte diverse modifi-che, anche grazie ai nostri sug-gerimenti finalizzati alla realiz-zazione; diciamo che l’idea e la direzione artistica sono andate di pari passo con la parte tecnica ed ingegneristica. Comunque è ovvio che la presenza di questi profes-sionisti dà molto allo spettacolo, ad esempio la parte video è molto elaborata, con delle trovate dav-vero geniali. C’è tutto un lavoro di sincronizzazione delle proie-zioni ad alta risoluzione sulle im-magini che appaiono da dietro il termoformato e questo dà alle immagini una grande profondi-tà. Anche lo schermo LED appare prima dietro un drappo, e solo dopo in tutta la sua definizione e luminosità.Insomma è venuto fuori un gran bello spettacolo, aspetto solo qualche data per potermelo an-dare a godere anch’io dalla sala!

Il visual designMentre Giorgio torna al delirio nel suo ufficio, scambiamo qual-che battuta con il responsabile tecnico della squadra luci nonché stretto collaboratore del lighting designer Barry “Baz” Halpin: par-liamo di Nicola Manuel Tallino che, l’ultima volta, avevamo

sono circa quattro metri dal LEDwall, poi i MiStrip continua-no per altri otto metri verso il pubblico… c’è molta profon-dità. Sui videoproiettori abbiamo obbiettivi che riescono a mantenere immagini a fuoco quasi quattro metri dietro e quattro metri davanti rispetto al punto focale nominale… cosa abbastanza incredibile al livello di ottiche.Baz, come ti sei interfacciato con Olivier per la coordina-zione tra video e luci?Olivier ed io abbiamo un rapporto professionale abbastan-za consolidato, conosciamo reciprocamente i nostri stili. Comunque, prima abbiamo avuto da Serge indicazioni sul-la posizione dei container sui vari brani: questo è il tipo di spettacolo dove il lighting è solo un piccolo ingranaggio nel meccanismo, ed in ogni brano deve funzionare perfet-tamente in armonia con il video e la scenografia fisica. La simbiosi di video e luci e scenografia, è il “visual design”.

Interviene Olivier: “ Il prossimo passo – aggiunge – sarà quello di usare la stessa console, perché io sto lavorando su una GrandMA mentre lui su Maxxyz”.Abbiamo avuto molti dettagli dell’impianto video. Baz, com’è composto il parco luci?È principalmente Clay Paky ed è un po’ sbilanciato verso l’alto, nel senso che tutto è appeso sopra. Così mi servivano dei mover che offrissero una dinamica enorme e che potes-sero mantenere un fascio di luce stretto anche dall’altezza di dodici o quindici metri. Gli Alpha Beam 700 mi danno delle colonne solide di luce, hanno anche i gobo rotanti e sono super veloci. Gli Alpha 700 Spot li uso invece come key light e controluce, mentre per i fill e per l’illuminazione dei container uso i MAC XB Wash. Per il resto c’è solo qualche strobo e qualche molefay. È un design molto semplice.Come sei riuscito ad illuminare le scene all’interno dei container che si aprono?Con molta difficoltà. Quando il container è girato di 180° ed aperto su quel lato, dietro la scenografia stiamo effet-tivamente guardando il retro dell’Image-Mesh all’interno. Sfruttiamo la luminosità dell’Image-Mesh ed utilizziamo poi la parte interna della termoplastica come ciclorama, siste-

ma che fornisce una sorprendente quantità di luce e colore. A questo punto io dovevo solo dare una key alla ragazza dentro il container: questo è un altro esempio della simbiosi di luce e video in questa produzione.In un altro punto abbiamo un container che si gira a 90° rispetto al pubblico: su quel lato c’è una fi-nestra a veneziana che si apre per permettere di puntare un Minibig sulla scena. È indispensabile avere un direttore di produzione furbo e pieno di risorse. Giorgio è riusci-to a trovarci una finestra a persia-ne in alluminio controllabile tra-mite DMX!Olivier, quanti di cambiamenti sono stati fatti durante le prove?Un sacco… stiamo ancora facendo il rendering.

4: Barry “Baz” Halpin, lighting designer (sx), e Olivier Goulet, video designer.

2: Nicola Tallino, responsabile tecnico delle luci.

3: Uno dei quattro banchi di Alpha 700 Beam posti sul palco, gli unici proiettori non sospesi.

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5: La plastica termoformata che forma l’esterno dei “container” e che viene usata come superficie per le proiezioni. In trasparenza si notano i pixel dell’Image‑Mesh, all’interno dei container.

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4lasciato a dirigere un parco luci formato... da soli segui-persona, visto che il resto era andato KO per un violento acquazzone.Quali sono le caratteristiche del disegno luci?Baz ha fatto un plot abbastanza lineare e piuttosto sempli-ce a livello d’ingegnerizzazione, con quattro pod e quattro rig quadrati e simmetrici con Spot e Beam 700 Clay Paky ed i sempre presenti Wash XB della Martin. Questi proiettori Clay Paky sono molto in voga ed in effetti hanno una gran bella resa: quelli davanti sono tutti spot, mentre sui quadra-ti ci sono sia Beam che Spot e Wash. È un disegno classico perché l’elemento dominante della scena è il video, quindi le luci dovevano innanzitutto integrarsi perfettamente con esso, cosa realizzata, a mio parere, benissimo.Che console è stata scelta?Stiamo usando una Martin Maxxyz, scelta del LD con l’appoggio di Agorà. Devo dire che la sanno far funzio-nare molto bene. Avevo fatto conoscenza di questa con-sole cinque anni fa e sinceramente, all’epoca, come tanti colleghi, non pensavo che funzionasse troppo bene. Qui invece, nella versione attuale, sembra che vada davvero benissimo.Comunque tu qui non fai l’operatore? No, l’operatrice è Kathy Beer, io ho solo il compito di assicu-rami che tutto funzioni e di consegnare l’impianto “chiavi in mano”. Ho momentaneamente preso la briga di chiama-re i seguipersona – tre followspot in controluce e quattro frontali – ma tra poco anche quelli diventeranno autonomi. La mia presenza è stata richiesta da Giorgio Ioan, sia per il buon lavoro fatto insieme nel tour di Tiziano Ferro, sia per-ché aveva bisogno di questa interfaccia tecnica e linguistica con il loro team.

Così non vediamo l’ora di scambiare due chiacchiere pro-prio con il LD Barry “Baz” Halpin e con il video designer Olivier Goulet.Baz ci racconta che sin dai primi incontri a Montreal con il direttore, Serge Denoncourt, e con il set designer era chia-ro che lo spettacolo sarebbe stato costruito intorno al video, quindi il disegno luci sarebbe stato un complemento.“Ovviamente – continua Baz – il set doveva includere non container veri ma qualcosa costruito per assomigliargli, così abbiamo cominciato a parlare di plastiche termoformate”.“Una sfida non indifferente – aggiunge Olivier – quella di trovare un materiale con una superficie apparentemente rigida, con la giusta opacità per la proiezione ma anche ab-bastanza traslucido per essere posto davanti ai LED inter-ni. Abbiamo dovuto studiare molto per arrivare a questo materiale”.Olivier, proiettare su superfici che si spostano in conti-nuazione non deve essere stato facile!Infatti: c’è tutta una programmazione e modellazione in tre dimensioni di ogni movimento dello spettacolo. Con il Pandora’s Box posso costruire il tutto in layer, basati sull’im-magine sul LEDwall in fondo, anche se si passa su tre diversi livelli ed apparecchi. Tutto è “pixelmapped” come una sin-gola enorme immagine.Ci sono delle esplosioni che partono in profondità sul LEDwall, si espandono in avanti e verso l’esterno, passando sugli Image-Mesh, poi nella proiezione ma anche sopra il palco e lungo tutta la sua profondità sui MiStrip. Quando i container vengono ruotati in lunghezza verso il pubblico, ci

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Ancora rendering, ma lo spetta-colo non fa la prima data tra un paio di ore?Sì, ma probabilmente ci lavore-remo almeno fino alla data di Rotterdam.

Gli chiediamo come si trovino a lavorare con le crew italiane: “Il crew video è incredibile – ci ri-sponde Oliver – hanno un atteg-giamento molto umile ma sono dei grandi professionisti. Emiglia-no è un eccellente direttore ed un ottimo crew chief… fa più o meno tutto. Poi, in quanto ad apparec-chiatura, STS e gli altri hanno fornito il massimo, senza compro-messi. La produzione è stata incre-dibilmente creativa nel realizzare tutta l’automazione di questo spettacolo, sebbene sia realizza-to con macchine standard: senza macchinari appositamente costru-iti credo che nessun altro avrebbe mai tentato questo”. “Sono d’ac-cordo su tutto – aggiunge Baz – è incredibile in tutti sensi... ed è anche facile ingrassare, perché il catering italiano è una chicca non indifferente!”.

Il videoUn valore riconosciuto, quindi, anche da questi professionisti di caratura internazionale quello di Emigliano Napoli, direttore video per STS, figura meritatamente emersa in questi ultimi anni con lavori di altissima qualità.

Emigliano, puoi spiegarci che tecnologie utilizzate?Per la gestione dei segnali usiamo un sistema basato su Pandora’s Box di varie tipologie e modelli. Grazie ad essi ri-usciamo a gestire i parecchi layer che inviamo alle diverse ti-pologie di schermi: un LEDwall Winvision da 8 mm pitch per il fondale, i LED nei container, gli Strip sopra ed i proiettori. I Pandora’s Box sono infatti delle macchine molto potenti e per di più permettono la gestione in tempo reale.Abbiamo una biblioteca di contenuti preprodotti creati dai canadesi, studiati con estrema precisione sui vari brani e per i vari momenti dello spettacolo. Il nostro lavoro è di gestire essenzialmente la messa in onda di questi contenuti e mi-xarli con le immagini live dalle telecamere.Ho visto che avete della camere un po’ atipiche...Sì, ad esempio abbiamo una camera su binari, telecoman-data, in grado di compiere movimenti particolari: pan, tilt, roll, avanti indietro sul carrello e si può anche alzare su un pistone. Abbiamo preferito usare questa tecnologia per non mettere le camere sul palco ed essere quindi meno invasivi. Anche questa telecamera, quando non è in uso, praticamen-te scompare. Abbiamo chiesto alla ditta fornitrice di poterci creare un prodotto che ci desse queste opzioni speciali, pen-sate ad hoc per questa situazione. Tutti i movimenti sono gestiti da remoto, così non c’è un operatore visibile sotto il palco. Ce n’è una simile dall’altra parte del palco, control-lata da un operatore, che scorre su binari di gomma, quindi particolarmente adattabili. Queste due danno la possibilità di “sbollare”, cioè andare fuori bolla, e fornire immagini live molto diverse dal solito.Sempre per avere gli I-Mag senza essere invasivi, abbiamo due telecamere poste sulla regia luci dotate di obiettivi mol-to lunghi. Sul palco, inoltre, ci sono altre camere piccoline remotate, anche quelle modificate ad hoc per muoversi in pan, tilt e roll.Servono davvero tutte queste innovazioni? Le avete pro-poste voi o è stata una richiesta del regista?Sai... le tecnologie nuove servono se, come in questo caso, danno un apporto artistico creando qualcosa di nuovo. In realtà le abbiamo proposte noi e la produzione è stata mol-to ricettiva e soddisfatta dei risultati.

In regia come siete organizzati?Ovviamente c’è un mixer video, su cui opero io, poi c’è la postazione per il controllo delle camere, gui-data da Saverio, che telecomanda i diaframmi delle telecamere per seguire i cambiamenti della luce in sala. I movimenti delle camerine vengono seguiti da un computer a parte con l’apposito software, mentre un operatore gestisce un telecomando hardware per la telecamera sui binari. A questo si deve aggiungere la parte grafica, pilotata da Marco Bazzano (detto Bazza), con due console GrandMA (una fa da spare), che in questo caso vengono usate per controllare i Pandora. Bazza segue i cue, più o meno come se fos-se un programma luci, con tutti i layer dei contenuti. Alla fine siamo in nove solo per il video: tutto è mol-to complesso ed assolutamente “backuppato”.Qual è la parte più complicata del lavoro?Una cosa molto particolare è la proiezione sopra il materiale semitrasparente dei container, che hanno anche i LED dentro, perché i container si muovono, ruotano, salgono e scendono, così le immagini dei videoproiettori devono sempre essere perfette per la posizione assunta in quel brano dal container;

usiamo delle maschere e mai niente viene proiettato dove non serve. Ci sono state tantissime ore di lavoro dietro la sincronizzazione delle proiezioni con i movimenti dei con-tainer, ed alla fine questo è il lavoro pazzesco che fanno i Pandora’s Box.Come vengono usate le riprese live?Non sempre sono usate per gli I-Mag, cioè per ingrandire e mostrare lontano quello che succede sul palco, parecchie delle riprese fanno parte della stessa scenografia video. nel brano dove ci sono le stelle, per esempio, Eros viene messo “in chiave”, cioè in trasparenza, così da farlo apparire sullo schermo tra le stelle in tempo reale. Tutto, insomma, è fatto per dare un senso allo spettacolo.Pensando al tour, a parte il funzionamento di tutto ciò, non vi preoccupa un po’ anche l’allestimento?In effetti qui abbiamo fatto le prove e non sappiamo ancora che tempi avremo precisamente in tour. Dalla mattina pre-sto dovremmo essere pronti al pomeriggio, anche perché la produzione ha organizzato le cose in modo che noi pos-siamo montare autonomamente le nostre cose. Il LEDwall, infatti, non si appoggia sul palco ma è indipendente, ed anche i proiettori sono su un’americana a parte. Questo ci permette di allestire in autonomia ed in contemporanea con il resto del palco. Certo di lavoro ce n’è: solo per il video abbiamo più di un bilico di materiale e dobbiamo anche pensare a montare il collegamento video tra le postazioni di lavoro, comprese quelle sotto il palco, che serve come sistema di autocue.

6: La squadra video di STS. Il primo a destra è Emigliano Napoli.

7 e 8: La telecamera su binari telecomandata, con pan, tilt e roll.

9: La telecamera a stage left con pan, tilt e roll, montata sui binari flessibili.

10: Il telecomando della telecamera a stage right.

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Maggiori dettagli sul video ce li fornisce Alessandro Rosani, diret-tore generale per STS.“Per la regia grafica c’è un vero full backup attivo – ci spiega – una parte dei media server, infatti, la-vora sempre in parallelo ma sen-za andare in onda. Tutti i segnali dai Pandora’s Box confluiscono in una matrice DVI da dove è possi-bile richiamare o indirizzare tutte le macchine. Inoltre era indispen-sabile che gli operatori avessero sott’occhio tutte le uscite dei me-dia server su un unico monitor, così abbiamo usato un multiview abbastanza evoluto, in grado di gestire fino a venti input DVI e mandarli su un monitor full-HD. Tutti i collegamenti a tutte le utenze sono in fibra ottica, ed ab-biamo scelto solo fibra ottica mili-tare, molto resistente e flessibile. Le telecamere ovviamente arriva-no in triassiale, ma tutti i segnali in DVI sono su fibra.“Anche per le camere – continua Alessandro – abbiamo cercato le tecnologie più innovative: la ca-mera sul binario è automatizzata con delle memorie che la portano in punti prestabiliti, e diventa fa-cile da controllare per l’operatore che altrimenti non ce la farebbe con solo due mani e due piedi! Altro dettaglio è il binario creato appositamente per stare sul palco, alto solo due centimetri e ‘qua-si’ calpestabile. Ce n’è anche un altro, in gomma, un sistema svi-luppato negli USA per evitare le costrizioni dei raggi di curvatura: si possono modellare le sagoma-ture necessarie. Il carrello ha un sistema di ruote brevettato che gli permette di rimanere sul bina-rio anche in curve molto strette. Anche il sistema di controllo delle telecamerine brandeggiate, colle-gate in rete, ha una bella chicca: i vari preset sono rappresentati da un frame con l’inquadratura spe-cifica, cosa che rende l’utilizzo im-mediato e semplice anche ad un operatore che dovesse arrivare a sostituire il titolare all’ultimo mi-nuto”.

Insomma grandissima tecnologia quella messa in campo da STS, e soprattutto una tecnologia fun-zionale al risultato artistico.

L’audioPassiamo all’audio (perché sempre di un concerto si tratta e, secondo alcuni, senza musica un concerto potrebbe essere... un po’ carente) ma restiamo sul palco, anzi sotto.Qui troviamo un indaffaratissimo Stevan Martinovic, ormai specializzatosi nel monitoraggio di palco ai più alti livelli. La peculiarità di questo tour è che ci sono due fonici di palco, Umberto Polidori per la band e Stevan, dedicato esclusiva-mente agli ascolti di Eros.Una Digico SD7 solo per Eros non è un tantino esagerata?In effetti no, perché il mio compito è quello di controllare i sidefill, i monitor e gli IEM. Eros infatti usa tutte queste tre fonti di monitoraggio. I side sono otto Kudo per lato, con due SB28 in basso, che probabilmente cambieremo con dei dV-Sub, perché alla fine non serve che scendano troppo in basso. Eros ha trovato la soluzione di usare un solo in-ear: ha provato ad usarne due, ma è più forte di lui, ha bisogno an-che di un suono più spazializzato. Così per la sua postazione usiamo quattro Clair divise in due mandate. Pensavamo di metterle incassate sotto il palco, ma la conformazione della grata ci creerebbe problemi sulle alte frequenze.Lavori su SD7 da un pezzo: puoi descrivercene la gestione?È una gran bella macchina, una delle cose che apprezzo di più sono i compressori multibanda. Quelli che ancora devo approfondire, prima di iniziare ad usarli in concerto, sono gli equalizzatori dinamici: è indispensabile conoscere bene queste macchine e fare diverse prove, oppure si rischia di far danni! SD7 è una gran bella macchina anche per il palco, ha forse più dinamica della D5 ma soprattutto è pensata molto meglio per il fonico di palco.Quanto è importante il tuo lavoro anche per il risultato in sala?Credo parecchio: se usi la console digitale con un approccio quasi analogico, e se ovviamente fai il lavoro corretto, i mu-sicisti, se sono competenti, come di solito accade a questi livelli, si bilanciano tra loro. Se invece metti a posto con-tinuamente i loro ascolti, crei parecchi problemi al fonico FoH, perché dovrà compensare e modificare di continuo le differenze dei livelli della band dovute a come i musicisti si sentono sul palco.

Dopo questa perla di professionalità, scambiamo qualche battuta con Umberto Polidori che si occupa invece, su una Digico D5, del monitoraggio dei musicisti. Questi sono tutti in IEM, oltre a due sub per il batterista e per il bassista.Quanti canali in ingresso avete per la band?Abbiamo una settantina di canali per i nove musicisti, com-prese le sequenze, quelle per sincronizzare il video, ecc...Com’è organizzato il percorso del segnale?Le ciabattine arrivano in splitter Klark-Teknik analogici che poi vanno a due stagebox DiGiCo per il palco e a due stage-box DiGiCo per la sala. Per quanto riguarda i livelli di guada-gno siamo completamente separati. Jon ha voluto così.

E il Jon in questione è il sound engineer Jon Lemon, profes-sionista di grande livello internazionale, già al fianco di ar-tisti come Pink Floyd, Depeche Mode, Seal, The Cure, Oasis... e come presentazione penso che già possa bastare!Con molta affabilità, si rende disponibile ad una simpatica chiacchierata proprio dietro la sua SD7.Hai un bel feeling con l’Italia... da quanto lavori con Eros?Già dal tour del 2004. In precedenza avevo lavorato con Zucchero e da lì è cominciata la mia “connessione italiana”.

Cosa pensi dei crew e dei fornito-ri italiani?Eccellenti. C’è stato per anni una specie di pregiudizio con-tro le imprese ed il personale italia-no, spesso da parte degli inglesi e dei tedeschi, ma tutto parte da gente che non ha mai lavora-to con gli italiani. Posso testimoniare che Agorà è uno dei più grandi, or-ganizzati e profes-sionali service di tutta Europa. Non devono invidiare nessuno, almeno da

questa parte dell’Atlantico. Inoltre il personale con cui ho avuto a che fare in questi anni è molto qualificato e profes-sionale, per non dire infaticabile.Com’è andata con Michele Canova, il produttore artistico?Michele è fantastico. Abbiamo passato moltissimo tempo insieme preparando questo tour e mi mancherà adesso che torna a casa. È una costante risata, perché è chiaramente pazzo, è un uomo pazzo. Comunque professionalmente è un talento, ha un orecchio incredibile e per di più con una conoscenza tecnica spaventosa!Come ti trovi con SD7?Avevo messo le mani sull’SD7 già un anno e mezzo fa, quando era ancora un prototipo. L’avevo testato io stes-so, in tour con gli Smashing Pumpkins, ed avevo fornito i feedback alla DiGiCo; poi sono tornato alla D5 per il tour di Janet Jackson. Finalmente è veramente pronta e, adesso che è rodata, è una console eccezionale. La D5 l’ho trovata molto valida per anni e SD7 mi sembra il suo sviluppo logi-co. A livello di suono è impeccabile e come livello di poten-za di elaborazione è difficile immaginare una situazione che non potrebbe gestire.Sei in rete con i DiGiCo del palco o siete indipendenti?Siamo completamente indipendenti. È molto più conve-niente per tutti usare gli splitter analogici sul palco e che FoH e palco abbiano ciascuno le proprie conversioni. Così siamo indipendenti per quanto riguarda i guadagni. Non ha un gran senso lavorare indipendentemente su due diversi mixer ed avere tutto a disposizione senza compromessi se-paratamente, per poi essere condizionati a priori dovendo trovare un compromesso sul guadagno in ingresso.

Coppia d’assi per il PA engineeringAl mixer troviamo, stranamente in coppia (dico “strana-mente” perché il sound designer normalmente ama anda-re in tour da solo e non si accoppia con i colleghi... ovvia-mente in senso professionale) due dei nostri migliori sound designer, Davide Grilli, che seguirà l’installazione in tour, e Daniele Tramontani, chiamato a dargli manforte (e non Monforte) per questo concerto che segna il debutto italiano del nuovo PA L-Acoustics K1. Curiosi come scimmiette, chie-diamo subito qualche delucidazione.

“Il nuovo K1 è l’evoluzione a 10 anni di distanza del V-Dosc – ci spiega Daniele –: presenta una meccanica molto più evoluta e precisa, una parte mediobassa con più escursione, una rinnovata tipologia per la tromba, mentre la guida d’onda è quasi la stessa. I componenti sono praticamente uguali: due 15”, quattro 6,5” e tre trombe al posto di due. Il vero cambiamento è l’accresciuta effi-cienza, cioè maggior SPL a parità di watt; questo significa che si pos-sono impiegare meno sistemi per lo stesso risultato, quindi il cluster tende a diventare più piccolo, ad esempio 12 al posto di 16. Ma questo farebbe perdere direttivi-tà sulle medio basse, da cui l’idea di aggiungere le K1SB: non si trat-ta di sub, ma di una cassa che con-tiene solo i 15” e che serve pro-prio per estendere la dimensione del grappolo e quindi controllare meglio la direttività sulla parte medio-bassa. Ovviamente questa soluzione ha l’unico difetto che gestire un cluster più lungo in venue con l’altezza limitata impe-disce una maggiore inclinazione, bisogna quindi capire la miglior configurazione per la singola lo-cation. È comunque un passo in avanti davvero notevole da parte di L-Acoustics, anche se la scelta è quella di un family sound, cioè un impianto che suoni timbricamen-te come l’altro, ma più moderno ed efficiente: utilizzati con pre-set standard e finali LA8 i due PA sono praticamente indistinguibili, anche se questo ha una maggiore presenza sulla parte media”.

Il service è ovviamente Agorà, partner del gruppo in Italia, che ha seguito il marchio abbando-nando progressivamente anche gli altri amplificatori a favore de-gli LA8.

“Dovevamo configurare questa nuova macchina cercando di capi-re come usarla al meglio – ci spie-ga Davide – e dopo vari test, ab-biamo capito che la parte sopra, quella appunto formata dai K1SB, dà un grande apporto, ma è poco adatta a palazzetti riverberan-ti come i nostri, perché la focale della medio bassa sposta il punch; invece all’aperto o in venue più

13: L’array L‑Acoustics K1.

14: Davide Grilli, systems engineer.

15: Daniele Tramontani, sound designer.

16: Antonio Paoluzi è subentrato come systems engineer dopo le prime date.

11: Jon Lemon, fonico FoH.

12: Stevan Martinovic, fonico monitor per l’artista.

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grandi sarà senza dubbio un grande vantaggio. Adesso stiamo usando quattordici K1 mentre per i side abbiamo scelto otto V-Dosc e sei dV-Dosc, sistemi molto flessi-bili da gestire ed indirizzare”.

Ed infine lo showDescrivere questo spettacolo è ve-ramente difficile. Diciamo che l’oc-chio dello spettatore, per quanto avvolto ed abbacinato dalla ric-chezza del palco, potrebbe forse non rendersi conto della comples-sità e del lavoro certosino che è dietro le movimentazioni e l’ela-boratissimo video, vero protago-nista della scena. Questo perché i movimenti di scena avvengono in maniera graduale ed elegante, senza inutili esibizionismi.I container, come abbiamo già detto, fanno di tutto: si spo-

stano in lungo ed in largo, si alzano, scompaiono sotto il palcoscenico, si aprono, sono superficie di proiezione ma allo stesso tempo LEDwall, illuminano e sono illuminati... La scenografia video utilizza quattro diversi media video montati su piani diversi – LEDwall, Image-Mesh, proiettori e MiStrip – come se fossero una sola grande immagine in movimento, creando un effetto di profondità veramente sbalorditivo, soprattutto se si pensa al necessario lavoro di programmazione.La cosa che più ci è piaciuta è che nello show, nonostante la tecnologia allo stato dell’arte, le innovative soluzioni tec-niche, l’impiego massiccio di effetti visivi, la vena istrionica del protagonista (con tanto di ancheggiamenti che fanno impazzire le fan), rimane comunque evidente una sensibile impronta teatrale, certamente figlia dell’esperienza e del vissuto di Serge Denoncourt, raffinato regista anche di di-verse importanti rappresentazioni teatrali.Bellissime le luci che rivelano una mano ed un occhio di grande classe.Insomma Eros ha messo insieme una grandissima squadra di livello internazionale, senza lesinare su nulla, col risulta-to di aver creato uno spettacolo davvero superbo. >>

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Eros RamazzottiDopo il soundcheck di Pesaro, Eros ci concede un’intervista. Bruno, il suo personal, ci accompagna nel camerino, curato ad arte dalla bravissima Lollo, e qui scambiamo due chiacchiere piuttosto informali...Eros, come ti è saltato in mente di mettere su una produzione del genere?A volte me lo chiedo anch’io! Scherzi a parte, ci lavoriamo da più di un anno, è un progetto che ha richiesto molto tempo, ma per quanto riguarda la spettacolarizzazione del concerto sono sempre stato ottimista e tranquillo, mi preoccupava di più l’aspetto del suono, su cui sono sempre molto esigente. Credo infatti sia giusto, anche dopo tanti anni, avere la massima attenzione al suono, non dare niente per scontato anche lavorando con grandi professionisti. Come hai visto, anche oggi al soundcheck sono andato a sentire alcune cose che non mi convincevano... per ri-prendere una battuta che diceva la Bertè: “Se fai finta de sonà, faccio finta de pagà”! Scherzi a parte, mi sembra uno spettacolo buono, sta andando bene dappertutto...Perché utilizzare così tante energie e risorse nella produzione?Nasce dal mio istinto: fin dalle mie prime date, in Svizzera, tanti anni fa, pretesi dal mio manager, che allora come adesso era Salvadori, di cambiare il promoter estero che non mi convinceva, sempre alla ricerca di una qualità migliore. Infatti la ricerca della qualità è una cosa che ho dentro, ho sempre basato tutto sulla qualità. La produzione di adesso credo sia il massimo che un artista italiano possa fare, oltre questo budget si lavora gratis.Hai messo insieme un team internazionale di grande livello...Sì, ho fatto un mix fra grandi musicisti e tecnici stranieri ed italiani, ma non per paura di non riuscire bene con i soli italiani, che spesso ho utilizzato nei miei tour. Quando vai all’estero, in Europa o in America o in Sud America, ti confronti con mostri sacri, quindi ti devi presentare al meglio, affiancato da persone di alto livello internazionale. Nell’arco di venticinque anni ho sempre investito per far bene, magari guadagnando un po’ meno io stesso, perché il pubblico fosse soddisfatto dei soldi spesi per il biglietto e per rispetto nei suoi confronti.Ti ho visto diverse volte ai concerti dei tuoi colleghi, ti piace andare ai concerti?In effetti ogni concerto, a parte le ovvie personalizzazioni, è piuttosto simile agli altri sotto il punto di vista della produzione, giusto gli U2 ti possono meravigliare; negli altri è la personalità dell’artista che fa la differenza: Springsteen non aveva chi sa cosa, ma lui ha un carisma incredibile. Mi piace andare anche per confrontarmi,

per fare esperienza, mi sembra giusto, tutti dovrebbero andare, anche Vasco dovrebbe andare a sentire gli altri...

Questo tour sarà molto lungo e sfiancante: come trovi le motiva-zioni per fare sempre una grande serata, non c’è il rischio della

routine?Il meccanismo del tour è una cosa particolare: dalle prove fino all’ultimo

concerto entri in un vortice che una persona “normale” non reggerebbe, se non sei abituato è meglio che stai a casa! Poi, ovviamente, ci sono le

serate in cui hai meno voglia, perché magari sei stanco, non hai riposato bene o hai dormito male... ma alla fine cerco sempre di salire sul palco con

la tenacia giusta, anche perché per due ore devo tenere io lo spettacolo, non c’è un break in cui io possa riposarmi, ho solo un minuto e mezzo di

uscita. Magari ci sono dei posti in cui vai più volentieri di altri, ma comunque la gente ha pagato, ti ama e tu non devi deluderla, la ricompensi col tuo im-

pegno nel dare il massimo.Quest’anno “Ali e Radici” si è aggiudicato il nostro “Best Show 2009”...Vi ringrazio, è una bella cosa. Devo dire che io forse ho il van-taggio di avere un mercato straniero molto ampio e più soldi da spendere, però devo dire che quelli che ho li spendo tutti, non lesino sulla produzione, quindi questo riconoscimento mi fa dav-vero piacere.

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