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Leonardo Parri
LO SVILUPPO LOCALETRA IMPRENDITORIALITÀ E
ISTITUZIONI ECONOMICAMENTE RILEVANTI
DSS PAPERS SOC 6-00
INDICE
1. Introduzione: i fattori dello sviluppo economico .......... Pag. 5
2. Cenni minimi di una fondazione sociologica dello sviluppo economico .................................................................... 7
3. Istituzioni economiche (IE) e istituzioni economica- mente rilevanti (IER) .............................................................. 13
4. I requisiti istituzionali dello sviluppo economico ................ 19
5. I tre poli istituzionali dello sviluppo economico .................. 28
6. Modelli istituzionali di sviluppo economico: Giappone, Baden-Württemberg, Terza Italia ..................... 31
7. Conclusioni: le coordinate istituzionali dello sviluppo locale ........................................................................................ 53
Bibliografia ............................................................................. 55
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 5
1. Introduzione: i fattori dello sviluppo economico
La discussione sulle determinanti economiche, sociali e politiche dello
sviluppo produttivo1 comincia con la Ricchezza delle nazioni di A. Smith -
fors’anche prima (Kindleberger 1996; Lal 1998) - e riempie intere
biblioteche. Caratterizzata da una notevole interdisciplinarietà, la
problematica dello sviluppo economico è terra di elezione per scienze
sociali interstiziali: la storia economica (Rosenberg e Birdzell 1986);
l’econonomia politica (Schumpeter 1939), ribattezzata oggi economia
neoistituzionalista (North 1990); la sociologia economica2, intesa stricto
sensu come lo studio dell’effetto che le variabili sociali hanno sui risultati
economici quantitativi e formali (Parri 2000).
Semplificando al massimo, si possono identificare due ordini di elementi
in grado di contribuire all’accrescimento della ricchezza in termini di beni e
servizi prodotti e consumati, ovvero allo sviluppo economico, locale,
nazionale o mondiale che sia (Fig. 1):
a) i fattori economici, intesi come le materie prime, i capitali, i risparmi,
le capacità lavorative e imprenditoriali, i beni, i servizi, le infrastrutture, le
tecnologie, le tecniche produttive, i gusti e le propensioni dei consumatori,
ecc., tutti quanti considerati come dati, in un determinato istante temporale. 1 Il presente saggio rientra in una ricerca cofinanziata dal MURST (responsabili scientifici:
G. Provasi, Univ. d. Studi di Brescia; G. Seravalli, Univ. d. Studi di Parma; C.Mozzarelli, Univ. Cattolica di Milano) per gli anni 1999/2000, dal titolo Sviluppoeconomico e istituzioni intermedie. L’autore ha beneficiato delle discussioniseminariali con tutti i colleghi economisti, storici e sociologi coinvolti nella ricerca.Per le osservazioni alla prima versione di questo scritto si ringraziano i colleghi delDipartimento di Studi sociali dell’Univ. di Brescia: gli storici economici C. M.Belfanti e S. Onger; i sociologi economici L. Bordogna e G. Provasi.
2 Tra i tanti contributi italiani a una sociologia economica dello sviluppo localesegnaliamo Bagnasco (1988, 1999a, 1999b), Bagnasco e Trigilia (1984) e Mutti
6 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Trattandosi di un processo dinamico, va da sé che durante lo sviluppo i
fattori economici mutino a più riprese (Schumpeter 1939), sia dal punto di
vista quantitativo (crescita della dotazione dei fattori), che da quello
qualitativo (innovazioni incrementali o radicali di prodotti, processi,
tecnologie, gusti, ecc.);
b) inopinatamente per chi intende positivisticamente l’economia come
una scienza naturale, larga fetta dei fattori economici di cui sopra non ha
un’esistenza propria come i sassi, le libellule o i pianeti. Gran parte di ciò
che conta per l’intensità dello sviluppo economico - ovvero la definizione,
la concezione, la valutazione, la misurabilità, la disponibilità, l’utilizzo, la
combinabilità, l’efficienza, la flessibilità, ecc. di molte delle realtà che
stanno dietro al concetto di fattore - dipende grandemente dal contesto
sociale. Dalla natura, cioè, delle istituzioni sociali all’interno delle quali gli
attori concepiscono la realtà economica e si trovano a operare in vista del
raggiungimento dei propri fini economici; natura istituzionale anch’essa,
come i fattori, mutevole durante il tempo. Tutto ciò spoglia giocoforza
l’economia, quella dello sviluppo in particolare, dell’abito delle scienze
naturali per farle indossare quello, assai meno elegante, delle scienze sociali
(Machlup 1978): tra queste, ci si concentrerà in questo contributo sulla
sociologia economica3, il cui approccio verrà poi integrato, nel resto del
volume, da una prospettiva di storia economica.
(1994).
3 La sociologia economica ha avuto negli ultimi anni una rifioritura, favorita anchedall’incapacità dell’economia di dar conto di molti fenomeni indisputabilmenteeconomici. Sul tema si vedano Mutti (1995), Trigilia (1998), Steiner (1999), Parri(1999, 2000). Per una sociologia economica classica dello sviluppo economico, v.Schumpeter (1939; 1993), il quale, riferendosi al proprio modello evolutivo, affermache esso ha «un carattere fortemente istituzionale», che comprende «non solo […] [i]tratti generali della società capitalistica, ma anche […] molti altri elementi che […]
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 7
2. Cenni minimi di una fondazione sociologica dello sviluppo economico
L’economia ortodossa neoclassica ha una concezione oggettivistica e
comportamentistica dello sviluppo economico. Malgrado i recenti
affinamenti, essa non si discosta dalla caratterizzazione fattane da Pareto,
Weber e Hayek (v. Parri 1999): immagina un homo oeconomicus, un
infallibile attore sociale dotato di una razionalità perfettamente orientata
allo scopo, capace di operare senza limiti di calcolo e di raccolta delle
informazioni col fine di massimizzare, all’interno di funzioni di produzione
personali e/o aziendali, i propri profitti. Per una certa costellazione di fattori
economici, l’homo oeconomicus, in modo comportamentisticamente
skinneriano, cioè automatico e univoco, massimizza individualmente i
propri profitti. A livello aggregato, a essere massimizzato è il tasso di
sviluppo economico, che risulta perciò meccanicamente vincolato dalla
dotazione iniziale di risorse. Dal punto di vista istituzionale, per i
neoclassici compaiono unicamente il mercato e l’azienda, dove il primo è
perfettamente concorrenziale e la seconda è un mero algoritmo determinato
da condizioni tecniche date esogenamente. L’istituzione dei diritti di
proprietà è motivazionalmente neutrale e compare unicamente in quanto
assegnatrice fissa dei fattori di produzione.
non sono compresi né nel concetto di azione economica né in quello di capitalismo»(1939, 176).
8 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Fig. 1. Relazione tra istituzioni/azione, fattori e sviluppo economici.
Sociologi economici come Pareto e Weber ed economisti ortodossi come
gli austriaci Schumpeter e Hayek, pur riconoscendo la legittimità e l’utilità
teorica della costruzione ortodossa, ne hanno messo radicalmente in dubbio
la validità nell’analizzare situazioni economiche concrete, troppo differenti
cognitivamente e istituzionalmente dagli assunti individuali e collettivi
neoclassici. Sintetizzando, la razionalità dell’homo oeconomicus si scontra
nella realtà con limiti computazionali e informativi legati alle imperfezioni
del pensiero umano e all’ineluttabile incertezza che permea l’ambiente
economico. Approfondendo la traccia di ricerca soggettivista ed evolutiva
aperta dalla Scuola austriaca, sociologi come Boudon (1998, 1999) ed
economisti neoistituzionalisti come North (1994, 1999) immaginano l’attore
economico mosso da una razionaltà non più perfetta ma cognitiva4.
Trovandosi di fronte ai propri limiti mentali e all’incertezza dell’ambiente, 4 L’austriaco Hayek già dagli anni trenta sottolineò l’importanza della razionalità
ISTITUZIONIECONOMICHE (IE);ISTITUZIONIECONOMICAMENTERILEVANTI (IER)
FATTORIECONOMICI
Livello disviluppoeconomico
AZIONEECONOMICA
determinismo ben temperatorazionalità cognitiva
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 9
l’attore economico persegue la massimizzazione del proprio interesse
lasciandosi guidare da immagini approssimate e tentative della realtà e da
conoscenze tacite ed esplicite apprese e affinate nei modi pratici più diversi.
L’accuratezza di queste immagini e conoscenze è testata operativamente
nelle varie forme di competizione economica: se adeguati, i quadri cognitivi
e le abilità esplicite e tacite generano profitti, altrimenti perdite. In
quest’ottica, piuttosto che esaustive percezioni ottimali della realtà,
abbiamo processi evolutivi di affinamento e apprendimento.
Mentre la razionalità perfetta dell’homo oeconomicus gli è conferita
oggettivisticamente da a priori provenienti, esogenamente, da un arcano
deus ex machina asociale, la razionalità cognitiva dell’attore economico
concreto affonda le sue radici nel proprio retroterra sociale. Ciò avviene su
due piani situazionali, entrambi soggettivi (Boudon 1987): I) a livello della
posizione dell’attore economico nella società, per cui, ad es., un lavoratore
dipendente, rispetto a uno indipendente, un imprenditore che vive in un
distretto industriale, rispetto a uno «esterno», osservando da angoli
socialmente diversi lo stesso problema - e appartenendo a differenti reticoli
interpersonali - ne avranno una percezione selettivamente tale da suscitare
in ciascuno di essi quadri cognitivi, modalità di apprendimento e strategie
operative differenti; II) a livello di disposizione, per cui anche due persone
nella stessa posizione socioeconomica si costruiranno quadri cognitivi e
relative ricette operative diverse a seconda della formazione socioculturale
che hanno ricevuto in passato o dei differenti saperi e cognizioni che stanno
apprendendo nel presente: si pensi, ad esempio, a un’azienda
automobilistica diretta da un imprenditore americano, con un’istruzione
cognitiva, si pensi al concetto di knowing how (v. Parri 1997b, §4; 1999, §2).
10 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
prevalentemente finanziaria, piuttosto che da un tedesco o un giapponese,
dal retroterra ingegneristico, oppure a un piccolo imprenditore passato
attraverso questo o quel processo di formazione, rispetto a uno che non lo
ha fatto. Non solo, dunque, non esistono percezioni oggettive dei sempre
incerti fattori economici, ma le raffigurazioni e le strategie di ogni attore
economico sono ineluttabilmente influenzate dalla sua soggettiva situazione
(posizione e disposizione) sociale, nella quale il contesto istituzionale ha
grande parte5. Gli esiti dello sviluppo economico cessano così di essere
univocamente determinati dalla dotazione di fattori iniziale e si aprono
all’influenza differenziante del contesto sociale. Si intravvede in questo
modo una soluzione all’impossibilità neoclassica di spiegare, date dotazioni
iniziali di fattori simili o persino inferiori, la diversità dei successi nello
sviluppo economico nazionale e locale.
Le istituzioni economiche dunque contano: esse influiscono sulla
razionalità cognitiva che muove l’attore durante i processi di sviluppo
5 Che la situazione istituzionale dell’attore economico ne influenzi le modalità dell’agire
è uno degli assunti di fondo della sociologia economica, in opposizione allasterilizzazione istituzionale operata dai neoclassici. La Scuola austriaca di sociologiaeconomica è stata all’avanguardia nel criticare su questo punto l’economia ortodossa.Nel celebre dibattito sul calcolo economico tra gli anni venti e quaranta, i neoclassicisocialisti della scuola del polacco O. Lange ritenevano possibile un comportamentoimprenditoriale innovativo ed efficiente anche in assenza di un legame proprietariocon i beni di produzione (l’azienda di stato); von Mises (1922-1932, passim) - nondiversamente da Pareto, Weber (Parri 1999, §3; 2000, 149-50) e Schumpeter (1929b,81; 1939, 498) - stigmatizzò il carattere non sociologico e intellettualistico di questaposizione, sottolineando come l’interesse dell’imprenditore a salvaguardare eaccrescere il proprio possesso sia il primum movens dell’atteggiamento di rivalitàeconomica che nutre di sé innovazione ed efficienza. Un neoclassico come Lange altronon poté fare che tacciare von Mises del terribile epiteto di «istituzionalista», ovverodi colui che pensa che le istituzioni, in questo caso la proprietà privata piuttosto chepubblica, condizionino la razionalità dell’attore e il successo dello sviluppoeconomico. È proprio sul rifiuto della posizione di Lange e sull’accettazione di quelledi von Mises e Schumpeter che si fonda la posizione della sociologia economica inmerito al ruolo delle istituzioni.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 11
(North 1994, 1999; Parri 2000). Se definiamo le istituzioni come l’insieme
di regole regolative e costitutive socialmente accettate che plasmano
l’azione e l’interazione dei soggetti economici (Parri 1996a, 1997b), ci
accorgiamo che esse operano principalmente in due modi. In primis,
regolativamente: il rispetto proprio e altrui delle regole istituzionali
diminuisce l’incertezza circa gli esiti dell’azione economica; infatti, a fronte
di un limite che ci è imposto o ci si impone, l’imposizione di simili vincoli
anche agli altri apre all’attore un’opportunità di azione relativamente certa.
In secondo luogo, costitutivamente: l’assunzione, l’accettazione, la
condivisione di modalità stabilizzate di svolgere una professione, esercitare
un ruolo, apprendere un sapere tacito o esplicito, andare alla ricerca di
determinate soluzioni, ecc., costituisce un arricchimento delle potenzialità
cognitive e operative dell’attore economico nella sua lotta incessante contro
ignoranza e incertezza.
Riassumendo, un quadro istituzionale piuttosto che un altro viene così a
influenzare il successo dello sviluppo economico: se virtuoso o efficiente,
permette agli attori di diminuire sia i conflitti con gli altri che i fallimenti
nelle rappresentazioni che essi si fanno della realtà.
Se posizione e disposizione sociali, nonché la natura delle istituzioni
economiche, contano nel determinare l’agire dell’homo oeconomicus,
meglio allora sarebbe, scendendo di livello di astrazione ma aumentando di
euristicità, definire l’attore in questione come homo socio-oeconomicus. Il
pericolo che si apre a questo punto per la sociologia è quello di passare
dall’atomismo esasperato dell’attore neoclassico a una diluzione
sociologistica della varietà di azione dei singoli. L’operare economico di
ciascuno verrebbe deterministicamente orientato dal contesto istituzionale
12 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
di appartenenza e lo sviluppo economico tornerebbe a essere, non
diversamente che nel caso neoclassico, un processo evolutivo dove le
posizioni di partenza stabiliscono meccanicamente anche quelle di arrivo,
secondo una ferrea path dependence. L’ottica in cui mi muoverò non è però
di questo tipo; diversamente da marxismo, polanyismo e culturalismo,
l’evoluzione cognitiva e istituzionale che immaginiamo si dispieghi durante
il processo di sviluppo economico è parzialmente aperta e imprevedibile. In
questo senso concordiamo con le visioni secondo le quali il quadro
istituzionale e il suo modus operandi possono al massimo determinare
«tendenze» (J.S. Mill) o «pattern predictions» (Hayek) circa i sentieri
evolutivi. Ciò, non solo perché, epistemologicamente, della realtà non
comprendiamo tutti i meccanismi e gli elementi, ma anche perché,
sociologicamente, l’azione individuale è capace creativamente di
ricombinare i fattori economici e istituzionali in modo innovativo o
addirittura di crearne di nuovi, rompendo più o meno radicalmente la catena
evolutiva. Gli insegnamenti di austriaci come von Wieser («leadership
economica»), Schumpeter («imprenditorialità» opposta a «routine») e
Hayek («concorrenza come procedura per la scoperta del nuovo») sono in
questo senso il miglior antidoto contro ogni determinismo, economico o
sociologico, e fondano saldamente l’intuizione boudoniana secondo la quale
a operare nell’evoluzione sociale è un istituzionalismo «aperto» e «ben
temperato» (Boudon 1984). L’homo socio-oeconomicus che agisce nei
processi di sviluppo analizzati dalla sociologia economica non è
«sovrasocializzato» à la Parsons (Wrong 1961), ma capace di generare
innovativamente varietà evolutiva inattesa6.
6 Sulla stessa posizione è pure la sociologia economica dello sviluppo di un autore ormai
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 13
3. Istituzioni economiche (IE) e istituzioni economicamente rilevanti
(IER)
Coordinamento e ordine. In un’economia che si sviluppa l’aumento della
produttività passa inevitabilmente attraverso un approfondimento della
divisione del lavoro e della conoscenza. In un simile processo dinamico,
ciascuno opera scelte di specializzazione produttiva e conoscitiva: in
particolare, dove tra queste scelte vi sia complementarietà, lo sviluppo va
incontro a due tipi di incertezze potenzialmente dirompenti. Da un lato, ogni
attore economico corre il rischio di investire in un tipo di produzione per la
quale possono risultare deficitari i mercati di approvvigionamento e/o di
sbocco: i fornitori o i collaboratori possono essere inefficienti o lontani, gli
acquirenti possono non disporre del reddito necessario oppure non essere in
grado di utilizzare il prodotto. Si tratta di un problema che si propone
fortemente nelle prime fasi dello sviluppo, ma che si ripresenta poi a livelli
differenti ogni volta che un’economia va incontro a cambiamenti strutturali
(Matsuyama 1997). Il diamante del vantaggio competitivo di Porter (1990) -
che lega complementarmente, a livello locale o nazionale, condizioni dei
fattori, condizioni della domanda, industrie di supporto e
struttura/concorrenzialità aziendali - può non prendere vita o risultare
inefficiente a causa dell’incertezza cui sono sottoposti al momento di
investire i soggetti che potenzialmente possono formarlo. Il gioco
dell’assicurazione implicito in questa situazione rischia di essere risolto
classico come Bagnasco (1999a, §4).
14 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
subottimalmente in modo non cooperativo, ricorrendo ognuno alla
diffidenza razionale del maximin (Parri 1997a). Dall’altro lato, un secondo
tipo di incertezza può sorgere da comportamenti opportunistici legati a
situazioni di squilibrio di potere relativo tra soggetti complementari nello
sviluppo: ne possono risultare esiti subottimali che rallentano la crescita.
Riassumendo, lo sviluppo economico può essere messo a repentaglio dalla
mancanza di coordinamento tra le azioni dei suoi soggetti portanti:
istituzioni che siano in grado di abbattere l’incertezza e garantire un ordine
risultano una precondizione dei processi di crescita.
Innovazione e varietà. La divisione del lavoro e della conoscenza tipica
dello sviluppo economico - e la specializzazione che essa implica - è frutto
di dinamiche di cambiamento qualitativo dei fattori economici alla cui base
vi è l’innovazione di processi, prodotti, preferenze, approvvigionamenti,
ecc. (Schumpeter 1928, 21, 1939, passim). In un’economia innovativamente
sterile, routinaria, lo sviluppo risulta solo dall’aumento quantitativo dei
fattori impiegati e va così inesorabilmente incontro a rendimenti decrescenti
e alla stagnazione: il destino delle economie pianificate o dei settori maturi
in quelle di mercato esemplifica questo caso. L’innovazione rilancia invece
ogni volta lo sviluppo: aumenta l’efficienza economica; distrugge il
vecchio, liberando risorse per nuovo consumo e nuovo investimento;
stimola e soddisfa nuovi bisogni, portandoli all’interno della sfera
economica. Così facendo l’innovazione aumenta, almeno inizialmente,
l’incertezza economica: quando il nuovo appare i suoi contorni e le sue
potenzialità sono spesso indefiniti; beneficiari e penalizzati non sono ancora
chiari o, se lo sono, entrano in conflitto tra di loro, generando ulteriore
disordine. Oltre a scompaginare, l’innovazione ha però in molti casi anche
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 15
un significato adattivo: tutte le volte che lo sviluppo va incontro a colli di
bottiglia nel dispiegarsi del diamante porteriano, un’innovazione può essere
in grado di superarli, modificando in modo piu o meno inatteso i fattori
economici e generando nuove opportunità. Più in generale, l’innovazione
porta solitamente a un aumento della varietà all’interno del sistema
economico7. Ciò è importante per le ulteriori prospettive di sviluppo. Se
immaginiamo infatti la costellazione dei fattori economici in un territorio
come un sistema che risponde alle sempre nuove sfide riguardanti la
produzione di beni e servizi, risulta evidente che il sistema sarà tanto più in
grado di rispondere creativamente a queste esigenze, quanto maggiore sarà
la sua capacità di generare innovativamente varietà interna. Questa
«molteplicità necessaria» (requisite variety, Ashby 1956, cap. 10), per
essere generata dagli attori innovativi, ha bisogno però di un retroterra
istituzionale adeguato: gli «esperimenti economici» di successo (Rosenberg
1992) non proliferano in ambienti istituzionali centralizzati e vincolistici,
dove prevalgono «paralizzanti regolamentazioni» verso gli imprenditori
(Schumpeter 1929a, 75); le innovazioni sono invece frequenti nelle società
decentrate e aperte (Hayek 1949, 1968; Rosenberg e Birdzell 1986; Nelson
1990).
Quali dunque le istituzioni che durante lo sviluppo agiscono da contesto
regolativo e costitutivo per la razionalità cognitiva dei vari attori economici
orientati a coordinarsi e a innovare? Il punto di vista della sociologia
7 Sociologicamente, la varietà non può limitarsi a comprendere la pluralità quantitativa e,
soprattutto, qualitativa delle componenti umane, simboliche e materiali di un sistemasocio-economico, ma deve includere anche quelle che Weber chiamava relazionisociali, ovvero i modi più o meno istituzionalizzati attraverso i quali simboli, cose epersone stabiliscono tra loro collegamenti dotati di senso. Dal punto di vistasociologico, la varietà si avvicina dunque alla nozione di complessità di McFarland(cit. in Luhmann 1992, 128).
16 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
economica, più ampio di quello dell’economia, ne considera un vasto
spettro. Seguendo Weber, abbiamo anzitutto le «istituzioni economiche» in
senso stretto, intese come quelle «che siano state create o siano utilizzate
consapevolmente per scopi economici» (1904, 74). Tra queste il sociologo
tedesco annovera i diversi tipi di mercati (che egli chiama «gruppi di
ordinamento», 1922, 1-II, §5) e aziende (che egli chiama «gruppi
economici», 1922, 1-II, §5). Ai giorni nostri, potremmo aggiungere
senz’altro a queste «istituzioni economiche» anche le variegate forme ibride
tra mercato e azienda.
Se l’economista si concentra su aziende, mercati e ibridi, per il sociologo,
afferma Weber, esistono realtà che «non ci interessano in primo luogo […]
dal punto di vista del loro significato economico […], ma che tuttavia in
certe circostanze acquistano significato da questo punto di vista, poiché ne
derivano effetti che ci interessano sotto il punto di vista economico: essi
sono fenomeni economicamente rilevanti» (1904, 74). Il sociologo tedesco
pensa ad esempio al fatto che l’istituzione dello stato «opera, per via
legislativa o altrimenti, sulla vita economica», influenzandone gli esiti
(1904, 75). Tra queste istituzioni «economicamente rilevanti», Weber
(1922, 1-II, §5) fa rientrare i «gruppi regolativi dell’economia», i quali si
occupano di regolare - secondo logiche che spesso sono ideologiche,
politiche, valoriali, tradizionali, ecc. - l’attività delle istituzioni economiche
in senso stretto come le aziende, i mercati e le forme ibride tra questi. Lo
stato con le sue varie agenzie, le associazioni imprenditoriali, i sindacati, i
consorzi, le corporazioni, le famiglie, i ceti e le caste, le diverse concezioni
filosofiche, morali, religiose e ideologiche della vita produttiva, sono per
Weber istituzioni «economicamente rilevanti».
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 17
La tabella 1 fornisce un quadro delle istituzioni economiche (IE) ed
economicamente rilevanti (IER) operanti nei sistemi produttivi
contemporanei8.
8 Mentre tutte le IE (weberianamente orientate allo scopo del profitto) presenti nella tab.
2 appartengono alla sfera del privato, non tutte le IER (orientate anche, o soprattutto, ascopi valoriali, politici, ecc.) appartengono a quella del pubblico. Esistono infattianche IER pienamente private, come certe associazioni, consorzi o cooperative. Circale imprese pubbliche, in un approccio autenticamente istituzionalista esse non possonorientrare nelle IE: avendo kornaiani «vincoli di bilancio soffici», nonché dirigenti chenon rispondono fino in fondo e di persona delle eventuali perdite economiche, anchele aziende statali che si vogliono «orientate al profitto» non possono costitutivamentepreservare la loro azione economica da influenze politico-consensuali. Vale inoltre lapena precisare il motivo per cui una joint venture o altre forme di alleanza operativatra imprese private siano da noi ritenute IE, mentre realtà, sempre private, a loro similicome i consorzi o le aziende e banche cooperative siano ritenute IER. La ragione delladifferenza, che riprendiamo in parte da Schmitter (1989), concerne le fondamentastatutarie di queste ultime. Nei consorzi e nelle cooperative, invero: a) esistono anchemeccanismi di governo di tipo politico, in base ai quali importanti decisioni vengonoprese con il criterio democratico di una testa un voto, piuttosto che con quelloeconomico di tante azioni-tanti voti; b) esistono limitazioni collettivistiche osolidaristiche di vario tipo alle possibilità di riutilizzo di eventuali profitti operativi.Entrambi questi fattori perturbano più o meno sensibilmente la, pur presente,razionalità economica formale dell’istituzione. Più complessa, invece, la collocazionedi istituzioni come le Casse di risparmio italiane e le Sparkassen e Landesbankentedesche, che agiscono per molti versi come banche private orientate al profitto,mentre per altri hanno precise funzioni pubbliche.
18 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Tab.1 . Istituzioni economiche (IE) e istituzioni economicamente rilevanti
(IER).
ISTITUZIONI ECONOMICHE (IE)Mercato:
mercati dei beni, dei servizi; mercati del lavoro; mercati finanziari; mercati locali, nazionali, globali.Qualità della regolazione istituzionale formale e informale dei mercati.
Impresa:impresa artigiana, piccola e media impresa, grande impresa, impresa multinazionale; banche, assicurazioni,fondi di investimento, ecc. Qualità della regolazione istituzionale formale e informale del governodell’impresa (corporate governance).
Forme ibride tra mercato e impresa:joint venture societarie e forme contrattuali di medio e lungo periodo nel campo della ricerca e sviluppo,della commercializzazione (franchising, condivisione di strutture di vendita, ecc.), della subfornitura(fidelizzazione, coprogettazione, cofinanziamento, ecc.); gruppi di imprese, holding, partecipazioniincrociate, interlocking directorate, reti di imprese, cartelli senza sostegno statale, ecc. Qualità dellaregolazione istituzionale formale e informale delle forme ibride.
ISTITUZIONI ECONOMICAMENTE RILEVANTI (IER)Comunità:aspetti socioculturali:
religione, etnia, lingua, mentalità economica, ideologia, livelli fiduciari, moralità ed etica degli affari,livello di istruzione, localismo o cosmopolitismo, ecc.
aspetti sociostrutturali:famiglia, ceto, casta, status, chiesa, etnia, legami reticolari o su varia base o a livello locale, nazionale ointernazionale, associazionismo non economico di tipo territoriale, educativo, ideologico, solidaristico,criminale, ecc.
Associazionismo economico:organizzazioni degli interessi artigiani, della piccola e media impresa, della grande impresa; sindacatioperai e impiegatizi; organizzazioni degli interessi tecnico-economici, professionali, ecc.
Contratti associativi:consorzi; cooperative; cartelli appoggiati dallo stato; banche cooperative; governi privati in ambitofinanziario, agricolo, tecnico, industriale; relazioni industriali tra imprenditori e dipendenti, spesso dotate diorgani misti di gestione contrattuale, formazione professionale pubblica e sicurezza sociale; in passato, lecorporazioni, ecc.
Agenzie governative locali, nazionali, internazionali:ministeri di spesa e di regolazione; imprese e banche pubbliche; servizi e infrastrutture pubblici; sicurezza eassistenza sociale; formazione professionale; sistema educativo e della ricerca e sviluppo pubblico, ecc.
Assetti interattivi tra governo e aziende o associazioni economiche:agenzie «autonome» di garanzia della concorrenza e regolazione di mercati o servizi pubblici;concertazione triangolare tra governo, organizzazioni degli interessi economici e sindacati operai oimpiegatizi su temi congiunturali, dello sviluppo, salariali, welfaristici, ecc.; camere di commercio; comitaticonsultivi o agenzie operative misti tra settori specializzati dell’amministrazione e organizzazioni degliinteressi (o aziende) industriali, finanziari, agricoli, professionali, operai, impiegatizi; ecc.
stato regolativo liberale (neoliberismo)stato relazionale interventista (dal pluralismo al neocorporativismo)stato relazionale sviluppista («developmental state»)
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 19
4. I requisiti istituzionali dello sviluppo economico
Nella tipologia di IE e IER che abbiamo approntato, ciascuna di esse
contribuisce a favorire forme di razionalità cognitiva degli attori che
consentono azioni sia di coordinamento che di innovazione: senza l’una
non può darsi l’altra, nel caos non può esistere creatività. La cosa non
sorprende: già discutendo delle regole costitutive e di quelle regolative si
era mostrato come queste comportassero l’aspetto di vincolare e, allo stesso
tempo, conferire opportunità agli attori. Si pensi alle regole dell’IE del
mercato: esse garantiscono a ciascuno la libertà inventiva della concorrenza,
ma questi spazi operativi risultano inefficaci nel caso in cui, a sé e agli altri,
non siano vietate una certa gamma di azioni che, quando esercitate,
porterebbero alla totale mancanza di coordinamento tipica del bellum
omnium contra omnes.
Per comprendere appieno il ruolo delle istituzioni nello sviluppo
economico è però necessario spingersi oltre. Sappiamo infatti che esistono
vicende di crescita economica all’interno delle quali la combinazione
istituzionale trainante - detta altrimenti modello di sviluppo, modello di
capitalismo, regime di produzione, assetto regolativo - è risultata diversa
almeno secondo due punti di vista:
a) territoriale, nel senso che diversi paesi o regioni hanno affrontato, ad
esempio, la fase della prima industrializzazione dispiegando combinazioni
istituzionali diverse (l’Inghilterra: le aziende e il mercato; il Giappone: le
aziende e lo stato; la Terza Italia: la comunità locale e la piccola impresa; il
Meridione: il clientelismo verso il centro e l’impresa di stato) e che ancora
oggi diversi paesi si affacciano in modo differente alle nuove esigenze della
20 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
flessibilità del lavoro (mercati, gli Stati Uniti; contratti tripartiti associativi,
l’Olanda);
b) dinamico, nel senso che diverse fasi di sviluppo, mutando la
costellazione di fattori economici prevalente, hanno comportato
l’abbandono, spesso difficoltoso, di determinati assetti a favore di nuove
combinazioni istituzionali, ritenute più adeguate alle nuove esigenze: ad es.,
globalizzazione e nuove tecnologie hanno spostato il Giappone e la Francia
da una regolazione basata sullo stato sviluppista verso una più centrata su
imprese e mercati, ecc.
Territorialità e dinamica dello sviluppo economico comportano l’ascesa,
il declino e l’eventuale scomparsa di certe combinazioni istituzionali, che
da virtuose o elettivamente affini possono ritrovarsi a essere viziose e
controproducenti rispetto alle nuove tendenze emergenti. Ciò implica varie
cose:
I) certi fattori economici (traiettorie tecnologiche, opportunità produttive,
possibilità infrastrutturali, estensione dei mercati, gusti dei consumatori,
ecc.) permettono agli attori di meglio generare coordinamento e varietà se
immersi in certe combinazioni istituzionali piuttosto che in altre;
II) nel caso sorgano difficoltà nell’accoppiamento virtuoso o efficiente tra
fattori e istituzioni economici, lo sviluppo rallenterà e si paleseranno, da
parte di alcuni soggetti, pressioni per il mutamento istituzionale, da parte di
altri - gli svantaggiati - pressioni per la conservazione istituzionale;
III) considerato che il tipo di sociologia economica qui praticata non
appartiene al genus determinista e funzionalista, non vi è alcuna garanzia
williamsoniana che l’evoluzione regolativa approdi inevitabilmente a un
riallineamento virtuoso tra fattori e istituzioni: blocchi cognitivi, dilemmi
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 21
dell’azione collettiva, interessi costituiti possono impedire o costringere alla
subottimalità la ristrutturazione9, come peraltro dimostrato dal
declino/scomparsa di tanti poli di eccellenza economica nazionali o locali;
IV) sempre in relazione al carattere aperto del nostro approccio evolutivo,
anche se si dovesse giungere a un riallineamento virtuoso tra paradigmi
tecnologici e modalità produttivo-mercantili prevalenti, da un lato, e,
dall’altro, nuove combinazioni istituzionali, non è affatto pacifico che si
converga verso un’unica best practice istituzionale, eliminando tutte le
altre. Ciò, non solo per la presenza di path dependence, peraltro non
totalmente insuperabile, ma anche perché poco si può dire sulla possibilità
di emersione di combinazioni istituzionali efficienti inattese o
inaspettatamente ibride10.
Da quanto appena detto, risulta chiaro che lo sviluppo, per continuare a
dispiegarsi, presuppone non soltanto innovazione dei fattori economici, ma
pure una continua o periodica innovazione delle combinazioni istituzionali,
ovvero nuove IE e IER che siano adeguate alla dinamica delle fasi
evolutive. Ogni diverso stadio nei fattori economici11 porta infatti con sé
9 Per una discussione critica del funzionalismo implicito nell’istituzionalismo ingenuo di
Williamson, si veda Parri (1997a).10 Esiti inattesi possono essere favoriti dal fatto che la stessa efficienza istituzionale,
palesando varie dimensioni, non è un concetto univoco: se è probabile che modelliregolativi scadenti su tutta la linea siano condannati, non è detto che ibridi o nuovimodelli istituzionali non possano palesare, a fianco di persistenti o diminuiti svantaggisu alcuni punti, anche ampi vantaggi comparativi in altre dimensioni. È infatti difficileimmaginare che una best practice lo sia a tutto tondo, come osservano Porter (1992) eKester (1996) comparando, lungo diverse dimensioni di efficienza, vantaggi esvantaggi delle istituzioni di governo dell’impresa americane e giapponesi. Unragionamento simile rivolto ai modelli di capitalismo è in Soskice (1999).
11 Non va comunque dimenticato, come detto nell’introduzione, che nello sviluppo naturadei fattori economici e tipo di IE/IER non sono tra loro indipendenti. La realtà è chegli stessi fattori economici non sono mai univoci, ma parzialmente plasmabili dalcontesto istituzionale: le valutazioni dell’efficienza, della produttività, delle
22 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
nuovi problemi di coordinamento e di innovazione, che possono essere
affrontati dalla razionalità cognitiva degli attori solo all’interno e con
l’ausilio di IE e IER relativamente diverse da quelle delle fasi precedenti.
Su questa esigenza di generazione innovativa di varietà istituzionale, al fine
di evitare la sclerosi evolutiva, concorda esplicitamente l’analisi socio-
istituzionale dello sviluppo economico: gli austriaci Schumpeter (1928, 21;
1942, 78) e Hayek (1944, 83-7, 1976, 332-3); lo studioso
neoschumpeteriano dell’innovazione Nelson (1990, 1994); lo storico
economico Rosenberg (1992, Rosenberg e Birdzell 1986). La capacità di
generazione di innovazione istituzionale risulta dunque due volte
indispensabile: per favorire istituzionalmente nuove e migliori azioni di
coordinamento; per favorire nuove e migliori azioni di innovazione sui
fattori economici e, in prospettiva, su quelli istituzionali stessi. La figura 2
riassume schematicamente queste dinamiche12.
Se consideriamo che cosa comportano coordinamento/ordine e
innovazione/varietà, come si vede sulla destra della fig. 2, si palesa un
prospettive strategiche stanno sempre dentro a un contesto istituzionale. I fattori,dunque, non determinano unidirezionalmente le istituzioni. Ciò non comportaassolutamente che sia vero il contrario, cioè che le istituzioni determinino totalmente ifattori tecnologici, produttivi, di scarsità relativa, ecc. Lo dico perché questoiperistituzionalismo che annulla completamente la dimensione economica è purtroppoun vizio presente tra molti sociologi economici di ispirazione vebleniana, keynesiana epolanyiana. Come ben ricordava Pareto all’iperistituzionalista Schmoller, le leggi e lecompatibilità economiche esistono e, aggiungerei, non ci sono alchimie istituzionaliche possano cancellarle, come la storia del novecento ha ben mostrato.
12 Se si commenta la fig. 2 con un linguaggio evolutivo - mutazione, selezione, adozione -si ha quanto segue: IE e IER lasciano più o meno spazio all’attore imprenditoriale digenerare nuove combinazioni istituzionali e/o economiche (mutazioni); quelle di loroche hanno successo (selezione) diventano schumpeterianamente le «innovazioni»presenti nella figura; queste, una volta adottate nel sistema economico e istituzionale,portano a un aumento della sua «varietà» interna. L’evoluzionismo, nelle scienzesociali, va inteso ovviamente in senso piuttosto culturale e lamarckiano, che nonbiologico e darwiniano (Hayek 1988c, 58-64), anche se il caso mette spesso lo
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 23
ulteriore problema tipico della regolazione istituzionale dell’economia e
dello sviluppo economico in particolare: l’aumento dell’ordine porta con sé
una diminuzione della varietà e viceversa. Un esempio possibile di questa
relazione inversa si può trovare in IER come lo stato o un’associazione
economica. Esse si fondano su certe regole: se però queste sono vaghe,
lasciano ampia discrezionalità o non sono fatte rispettare, ciò può
sconvolgere le aspettative degli attori coinvolti, vanificando seriamente le
possibilità di coordinamento; d’altra parte, se queste regole sono troppo
strette o sono gestite inflessibilmente, ciò può impedire l’adattamento
innovativo a circostanze inattese, a mutamenti incrementali o a
discontinuità più profonde, sclerotizzando stato o associazioni. Lo stesso
può dirsi per le regole che vincolano l’IE del mercato: troppi «lacci» lo
rendono sterile, troppa «libertà» lo rende squilibrante.
Dunque, come dalla fig. 2 e dai vari esempi fatti, ogni IE e ogni IER porta
in sé due aspetti operativi: un’attidutine a favorire il coordinamento tra gli
attori e una a facilitare l’innovazione economica o istituzionale da parte di
questi. Queste due qualità non sono però distribuite in modo omogeneo in
ciascuna IE e IER. Ad esempio, l’IER degli assetti regolativi neocorporativi
è in grado, attraverso accordi stabiliti ex ante tra stato, sindacati e
associazioni imprenditoriali, di garantire un coordinamento tra attori tale da
attenuare la violenza dei cicli economici e temperare le conseguenze di
mutamenti innovativi dei fattori economici. Queste stesse regole
impediscono però in più di un caso agli attori di concepire o mettere in
opera ex post soluzioni innovative, economiche e/o istituzionali, di questo o
quel problema produttivo, reddituale, ecc. Risulta poi intuitivo come gli
zampino anche nelle vicende umane (Boudon 1984).
24 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
ampi spazi di iniziativa e i forti incentivi monetari presenti nell’IE del
mercato lo rendano fortemente capace di stimolare la generazione di
innovazioni, ma, allo stesso tempo, il coordinamento mercantile ex ante
attraverso i diritti di proprietà e quello ex post attraverso la formazione dei
prezzi lascino spesso a desiderare.
Compendiando, certezza delle aspettative ed efficacia del coordinamento
- legate di solito a dispiegarsi di complementarietà, stabilità dei compensi e
tutela dell’acquisito - sono fini solitamente raggiunti facendo ricorso a
regole istituzionali relativamente pervasive e vincolanti; d’altra parte,
proprio queste caratteristiche delle regole «chiudono» spesso
eccessivamente il sistema (Boudon 1984) e vanno a incidere negativamente
sulle possibilità degli attori in esso coinvolti di generare varietà innovativa.
Lo svi
ORDINEECONOMICO
Fig. 2. Ordine e varietà come aspetti delle istituzioni e delle azioni
economiche/economicamente rilevanti
Ol
e lim
regol
ampi
svilup
istitu
tutti
grave
livell
cresc
ISTITUZIONI EAZIONIECONOMICHEEDECONOMICAMENTERILEVANTI
ASPETTO delcoordinamento(vs. disarticolazione)istituzionale dei diversiagire economici
VARIETÀECONOMICA
COORDINAMENTO E ORDINEcomportano:1o) certezza;2o) complementarietà;3o) cooperazione;4o) garanzia del reddito;5o) conservazione;6o) evoluzione controllata.
i) nuove IE/IER atte siaa innovare che coordinare
ii) nuovi fattori economici(nuovi prodotti,processi, materie prime,gusti, consumatori, ecc.)
INNOVAZIONE E VARIETÀcomportano:1v) incertezza;2v) squilibrio;3v) rivalità;4v) profitti e perdite;5v) selezione;6v) evoluzione aperta.
ASPETTO dellainnovazione(vs. routine)in merito a:i) istituzionieconomiche (IE)edeconomicamenterilevanti (IER);ii) fattorieconomici
luppo locale tra imprenditorialità
tre a ciò, essendo stabiliti ex
itata di condizioni econo
ativi che favoriscono il coor
amenti inattesi di questa st
po economico a grande
zionalmente in modo poco d
i mutamenti innovativi, p
mente la combinazione reg
i che possono danneggiare
ita di tutto il sistema. Pos
IE/IER (sia preesistentiche emerse ex novo graziea processi di innovazioneistituzionale, v. sotto: lavarietà) le qualioperano in modo dacoordinare tra loro gli attori
e istituzioni economicamente rilevanti 25
ante in previsione di una gamma prevista
miche e istituzionali, molti degli aspetti
dinamento si trovano spiazzati di fronte ad
essa gamma. Sull’altro fronte, modelli di
«apertura» evolutiva, tali da favorire
iscriminato l’accettazione ex post di quasi
ortano con sé il rischio di disarticolare
olativa, elevando l’incertezza economica a
gli stessi innovatori, se non addirittura la
sono infatti venire a mancare importanti
26 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
complementarietà capaci di generare rendimenti crescenti e, oltre a ciò,
squilibri e durezza selettiva possono diventare inaccettabili da parte dei
soggetti svantaggiati dalle innovazioni, portando a una radicalizzazione
delle loro posizioni. L’aumento del conflitto tra attori che ne risulta, non
solo distoglie energie dall’attività innovativa, ma può favorire proposte
draconiane di «chiusura» del sistema, gravide a loro volta di controfinalità.
La tab. 2, senza alcuna pretesa di definitività, fornisce una proposta su
come le singole IE e IER favoriscano, con intensità per ciascuna diversa,
l’aspetto analitico della varietà piuttosto che quello dell’ordine. L’intensità
della relazione inversa tra ordine e varietà non è peraltro omogenea e varia
sempre da caso a caso. Ogni modello istituzionale di sviluppo economico
deve essere quindi capace di dosare sapientemente il proprio grado di
ordine e di varietà, avanzando in bilico tra la Scilla della disarticolazione e
la Cariddi della sterile routine. Tutto ciò è naturalmente reso più difficile
dal fatto che, come anticipato, le dosi relative di coordinamento e
innovazione adeguate alla crescita non sono fisse, ma variano a seconda
degli stadi di sviluppo e delle dinamiche economiche e tecnologiche
prevalenti. Inoltre, non tutti i contesti storico-istituzionali di partenza sono
adatti ad accettare la combinazione istituzionale più opportuna per lo
sviluppo economico, sia per problemi di discontinuità evolutiva (ostacolata
dalla path dependence) che per questioni di legittimità o interessi costituiti.
Se poi, hayekianamente, ammettiamo che in sistemi economici dinamici e
complessi prevalgono interdipendenza e decentramento, piuttosto che
grandi ed efficaci pianificatori dell’architettura dello sviluppo, giungere alla
combinazione istituzionale ottima dello sviluppo è compito che si complica
ulteriormente.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 27
Tab. 2. Istituzioni economiche (IE) ed economicamente rilevanti (IER):differenze nella capacità massima di ciascuna di favorire l’aspettoanalitico della varietà e dell’ordine
TIPO DI ISTITUZIONE
CAPACITÀ DIGENERARE VARIETÀNELLE ISTITUZIONI
(IE/IER)E NEI FATTORI
ECONOMICI
CAPACITÀ DIGENERARE
ORDINEECONOMICO
IEMERCATO alta medio-bassaIMPRESA medio-alta alta
IBRIDI medio-alta media
IERCOMUNITÀstrutture sociali
culture e identità altamente specifica altamente specifica
ASSOCIAZIONISMOECONOMICO
bassa media
CONTRATTIASSOCIATIVI
medio-bassa media
AGENZIEGOVERNATIVE
bassa medio-alta
ASSETTI INTERATTIVI TRAGOVERNO E AZIENDE O
ASSOCIAZIONI ECONOMICHEstato regolativo liberale
(neoliberismo) media medio-bassastato relazionale interventista
(neocorporativismo) bassa mediastato relazionale sviluppista medio-bassa medio-alta
28 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
5. I tre poli istituzionali dello sviluppo economico
Esistono vicende storiche di sviluppo particolarmente interessanti per lo
storico e il sociologo economici, nelle quali la dialettica tra IE e IER si è
rilevata particolarmente forte, dinamica e cangiante. La crescita postbellica
delle regioni della Terza Italia e del Land tedesco del Baden-Württemberg,
nonché, a livello nazionale, il miracolo giapponese, meritano l’attenzione di
chi non vuole limitarsi a un approccio meramente economico.
Per meglio muoverci in questo senso, conviene riunire in tre poli
protagonisti della crescita le IE e le IER presentate nella tab. 1: I) il polo,
privato, dell’imprenditorialità13, ovvero le IE di mercati, imprese e ibridi;
II) il polo, non strettamente economico - ma anche ideologico, politico, di
coalizione - dell’azione collettiva dei soggetti mercantili e aziendali, ovvero
le IER dell’associazionismo economico e dei contratti associativi; III) il
polo, tutto politico, dei rappresentanti dei poteri pubblici, ovvero le IER
delle agenzie governative e degli assetti interattivi di diverso livello
territoriale. Sullo sfondo restano, a stabilire buona e significativa parte del
contesto, le IER della comunità, nei suoi aspetti sia culturali che
strutturali14.
13 L’homo oeconomicus massimizzante e comportamentista dell’economia neoclassica
trascura del tutto la presenza di quella forma di razionalità cognitiva dell’homo socio-oeconomicus che è, a cavallo tra imprese e mercati, l’imprenditorialità. Di ciò si eranogià accorti classici come Menger, F. Knight, Schumpeter, von Mises e Hayek; ancoraoggi vale però la pena di leggere la profonda critica fatta all’ortodossia neoclassica suquesto tema da due autori contemporanei, che in essa pur si formarono, comeLeibenstein (1968) e Baumol (1968).
14 Un modello istituzionale di regolazione dell’economia simile a questo delle IE/IER edei tre poli è presentato in Schmitter (1989), il cui schema analitico è applicatoempiricamente ai distretti industriali italiani da Parri (1993b).
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 29
Si può allora immaginare che ciascuno degli attori presenti in questi tre
poli - il primo monopolizzato dalle IE, gli altri due da IER associative o
pubbliche - cerchi, durante lo sviluppo, di portare avanti nel miglior modo
possibile le operazioni di coordinamento e innovazione che soddisfano le
cangianti esigenze di ordine e varietà tipiche di un’economia in crescita.
Ovviamente, la spartizione iniziale dei compiti di generazione di ordine e
varietà tra le istituzioni dei tre poli dipenderà da tutta una serie di
circostanze storiche che dobbiamo in questa sede considerare come date15;
ciò ammesso, si ipotizza che quanto più un’IE o IER è in grado di ottenere
esiti soddisfacenti in termini di coordinamento e/o varietà, tanto meno il suo
ruolo nel campo di sua competenza (questo o quel settore dell’industria,
commercio, finanza, agricoltura, formazione, ecc.) sarà messo in
discussione. Se invece l’istituzione in questione va incontro a fallimenti
coordinativi e/o innovativi, è probabile che debba rinunciare in parte o del
tutto al campo regolativo conferitole, condividendolo con o cedendolo a
un’istituzione diversa. Particolarmente significativi per lo storico e il
sociologo economici sono gli episodi di condivisione o cessione a IE/IER
appartenenti a un altro polo regolativo: ad esempio la condivisione della
gestione della disoccupazione tra mercato e stato nel keynesismo inglese
15 Va da sé che, in un immaginario punto di inizio dello sviluppo, a essere presenti sono
solo le IE e IER di base, quelle senza le quali una società e un’economia non hannopossibilità di sussistere: le aziende e i mercati, come soggetti attivi, da un lato;dall’altro, come regolatrici delle interazioni tra i soggetti, la dotazione sociale dicultura-struttura e/o le agenzie governative. È poi probabile che la scena si complichi,con la nascita di IE come gli ibridi e di IER come le associazioni e i contrattiassociativi. La sensibilità istituzionale del sociologo, dello storico e dell’economistapolitico aiuta loro a rendersi ben conto che sono improbabili processi di sviluppoeconomico nei quali esistono imprese private e mercati senza stato o comunità (ilmondo di quella che Pareto - 1902, 483 - chiamava l’«utopia liberale» degli«economisti puri») oppure stato o comunità senza imprese private e mercati (quelloche von Mises – 1947 - chiamava il «caos pianificato» dei sovietici).
30 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
postbellico o la cessione del finanziamento delle imprese dallo stato ai
mercati finanziari tra gli anni cinquanta e novanta in Giappone. La fig. 3 dà
un’idea di massima dell’interazione tra i tre poli istituzionali che trainano lo
sviluppo16.
Fig. 3. I tre poli istituzionali motori dello sviluppo economico, immersi nelcontesto comunitario-strutturale e comunitario-culturale.
16 Nella nostra caratterizzazione rinunciamo alla distinzione, frequente in scienza
politica, tra caratteristiche istituzionali del policy maker e tipo di policy che essosvolge. In base ad essa si potrebbe immaginare che uno stesso tipo istituzionale dipolicy maker (per esempio l’IER del governo) avesse la scelta di passare da policyinterventiste a policy liberiste. Un simile caso, all’interno del nostro quadroconcettuale, non lascerebbe però immutata la combinazione istituzionale: nel passaredall’interventismo al liberismo, il polo dell’IER del governo dovrebbe rinunciare aprerogative di policy, conferendo alle IE del polo imprenditoriale ambiti regolativiprima di sua competenza.
POLOAZIONE COLLETTIVA
IER Associazionieconomiche
IER Contrattiassociativi
POLOIMPRENDITORIALITÀ
PRIVATA
IE MercatoIE ImpresaIE Ibridi
POLOPOTERI PUBBLICI
IER Agenziegovernative
IER Assetti interattivigoverno-imprese-
associazioni
Successi o fallimenti nelgenerare ordine e/o varietànello sviluppo economico
IER COMUNITÀ (STRUTTURE E CULTURE)
IER COMUNITÀ (STRUTTURE E CULTURE)
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 31
6. Modelli istituzionali di sviluppo economico: Giappone, Baden-
Württemberg, Terza Italia
Cominciamo la nostra sintetica ricognizione empirica con il caso
giapponese: il paese nel 1945 si trova con un’economia in gran parte
distrutta e che comunque, al suo livello di massima espansione prebellica,
era ancora arretrata rispetto all’occidente. Al via della ricostruzione, dei tre
poli trainanti, i poteri pubblici e il tessuto associativo sono potenti e ben
articolati, mentre l’imprenditorialità privata è in uno stato di estrema
debolezza17: le grandi imprese sono tecnologicamente arretrate,
abbisognano di capitali, contante e valuta straniera, traboccano di forza
lavoro e sono malviste dall’opinione pubblica. I problemi di coordinamento
e innovazione sono presi in carico dalla strategia sviluppista del governo, il
quale opera però in modo definito da Aoki et al. (1997) come «market
enhancing»: non tanto la creazione statale di un ampio tessuto di imprese
pubbliche, grandi agenzie, isolamento dal mercato estero18, quanto politiche
economiche che spingono il più possibile - attraverso l’intermediazione
delle IER associative e dei contratti associativi - le IE dei mercati, delle
imprese e dei rinascenti ibridi verso la crescita interna e la conquista dei
17 Vigono cioè le conseguenze degli «assetti del 1940» (Noguchi 1997): istituzioni di
pianificazione mista statale-associativa, volte a massimizzare la produzione bellica e acontenere i consumi. Si è in presenza di un apparato ministeriale competente edinamico che collabora neocorporativisticamente con associazioni economiche disettore dotate poteri quasi pubblici nei confronti delle imprese. Dopo la guerra, loscioglimento da parte americana delle potenti holding (zaibatsu) indebolisceulteriormente le grandi imprese nipponiche, mentre la burocrazia e le associazionimantengono buona parte dei loro poteri interventisti nell’economia.
18 Come i paesi socialisti e quelli antidependencia di America Latina e Asia, il Giapponeprotegge fortemente i propri mercati interni; ma, diversamente dai primi, esportamassicciamente, diversamente dai secondi, fa della competitività mondiale unamissione nazionale.
32 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
mercati esteri. I problemi di coordinamento tra investimenti privati sono
risolti attraverso la guida del ministero dell’industria (MITI), sostenuta da
fondi pubblici e dal coinvolgimento delle banche private (ad esempio, tra
carbone, acciaio, meccanica e cantieristica, v. Okazaki 1997). Il
coordinamento del risparmio nazionale con gli investimenti industriali è
guidato dal ministero delle finanze (MoF) attraverso un complesso sistema
che accoppia il controllo dei tassi di interesse a una limitazione guidata del
numero di banche private. In tutto il credito privato la concorrenza è
limitata e il settore è sostanzialmente sotto la tutela finanziaria e regolativa
del MoF: tramite il sistema della main bank del rispettivo keiretsu19, il
ministero delle finanze e il MITI sono in grado di controllare a distanza la
salute finanziaria delle imprese, favorire un certo tipo di investimenti,
concordare eventuali ristrutturazioni. Quando poi un settore industriale si
confronta con una crisi di sovraproduzione o con la necessità di drastiche
riorganizzazioni produttive, di concerto con le associazioni di settore il
MITI dà vita a IER di contratto associativo (cartelli, governi privati). Non
solo il coordinamento, ma la stessa generazione della varietà è indirizzata
dalle IER dello stato sviluppista. Nel dopoguerra, MoF e MITI razionano la
valuta per l’acquisto selettivo dall’estero di certe tecnologie produttive,
quelle adatte al salto in avanti che la burocrazia pensa che il Giappone a
quell’epoca debba operare nella divisione internazionale del lavoro. Dagli
anni sessanta, il MITI consente progressivamente l’apertura dei mercati
interni, ma solo in quei settori dove le aziende giapponesi sono giunte a
essere in grado di fronteggiare la sfida tecnologica straniera; affinché si
19 I keiretsu sono IE ibride e rappresentano aggregazioni a livello di gruppo (in modo
informale e di partecipazioni incrociate, ma non tramite holding) di impreseindustriali, commerciali, assicurative, finanziarie, ecc.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 33
arrivi a ciò, il ministero sostiene in vari modi lo sforzo innovativo delle
aziende private: schizzo di scenari e raccolta di informazioni;
approntamento di consorzi misti pubblico-privati; finanziamento pubblico
di investimenti nella ricerca e sviluppo; liste di settori e comparti industriali
prioritari, dove le main banks possono investire a tasso agevolato, ecc.
Questa combinazione istituzionale sviluppista garantisce al Giappone una
straordinaria capacità di rincorsa economica, almeno sino alla fine degli
anni settanta. In essa, l’IER di una burocrazia preparata e motivata si
relaziona strettamente (Okuno-Fujiwara 1997) - direttamente o per il
tramite delle IER associative e contrattuali - all’IE di un’imprenditorialità
privata in posizione subordinata, spronandola in modo «market enhancing»
a migliorare le proprie prestazioni economiche, il tutto sotto lo sferzare
della competizione sui mercati mondiali. La gran parte dei problemi di
ordine e varietà del sistema sembrano risolti una volta per tutte dallo
sviluppismo giapponese: in realtà il suo apice, costituito dalla vigorosa
reazione nipponica alle due crisi petrolifere, non è altro che l’inizio del
declino di questa formula istituzionale.
Il radicale mutamento dei fattori economici interni che lo sviluppismo ha
contribuito a realizzare, di pari passo con elementi esogeni come la
globalizzazione finanziaria e l’ondata delle nuove tecnologie, costituiscono
le premesse per la crisi del modello giapponese di crescita. Il polo
subalterno dell’imprenditorialità smette di essere tale: le grandi imprese
esportatrici cessano di dipendere dai finanziamenti dello stato e delle main
banks, ricorrendo ai mercati borsistici e obbligazionari nazionali ed esteri;
alla «guida amministrativa» di MITI e MoF, le aziende rispondono
volentieri con strategie hirschmaniane di uscita, investendo in paesi a basso
34 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
costo del lavoro o stabilendo legami di ricerca e sviluppo con ditte di
oltremare; gli imprenditori e i manager giapponesi non sono più quelli
tentennanti e inesperti del dopoguerra, bisognosi della tutela statale e
associativa, ma in molti casi sono diventati leader mondiali. La complessità
e la sofisticazione di un’economia avanzata e globalizzata non è più alla
portata del coordinamento ex ante guidato dalla burocrazia, seppur di buon
livello: aumentano progressivamente i casi in cui le strategie di sviluppo
proposte dalle politiche di MITI e MoF sono rifiutate o boicottate dalle
aziende, nonché i casi in cui si rivelano, ex post, manifestamente errate o
portatrici di controfinalità (Katz 1998). Lo stesso avviene nel campo delle
politiche statali per l’innovazione: le imprese, per generazione interna o
accordi internazionali, posseggono ormai un know how tecnologico
superiore a quello del MITI. Oltre a ciò, non trattandosi più di dover
inseguire tecnologie occidentali già conosciute, il ministero non è più in
grado di valutare meglio delle aziende le direzioni promettenti nei sentieri
della ricerca e sviluppo: clamorosi sono i fallimenti dei consorzi di ricerca
informatici ai quali il MITI negli anni ottanta costringe numerose grandi
imprese, recalcitranti e scettiche, a partecipare (Callon 1995). L’aumento
dell’incertezza tecnologica rende infatti controproducenti strategie
concertative come quelle del MITI che penalizzano la generazione
concorrenziale di varietà (Aoki et al. 1997; Matsuyama 1997). La stessa
innovazione finanziaria giapponese è pesantemente ostacolata dalla tutela
alla quale il MoF sottopone le imprese del settore. Vige il principio
sviluppista del «convoglio», in base al quale l’ammodernamento del sistema
finanziario nazionale deve avvenire gradatamente e omogeneamente, in
modo coordinato dal ministero e senza autentici processi selettivi. La
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 35
mancanza della sferza della competizione sui mercati mondiali e l’emergere
di relazioni collusive tra vertici della burocrazia e finanza privata
trasformano lo sviluppismo finanziario giapponese in controfinalità:
banche, assicurazioni, fondi di investimento, ecc. restano in ritardo
nell’innovazione e accumulano gran quantità di debiti inesigibili; il sistema
della main bank, nato virtuoso, diventa, al meglio, un peso per le aziende, al
peggio, collusivo e vizioso. Con gli anni novanta il MoF è costretto a
progettare anche in Giappone un grande big bang finanziario, incalzato
persino dalle proteste delle aziende industriali nazionali. MITI e MoF, in
passato IER polo trainante della crescita, riformulano profondamente la loro
identità: un tempo «guide amministrative» discrezionali delle IE private
lungo un sentiero di cui la burocrazia ben conosceva tappe ed esito finale,
ovvero l’occidente avanzato, i due ministeri si rinnovano. Il MITI diventa
portavoce dell’apertura del sistema, intesa sia come semplificazione delle
miriadi di limitanti normative nazionali, che come smantellamento delle
barriere protettive che permettono al piccolo commercio, all’agricoltura e
ancora non a poche industrie e servizi interni di mantenersi a livelli di
efficienza estremamente bassi, pesando in questo modo sui settori aperti ed
efficienti (Aoki 1997; Katz 1998). Il MoF e nuove agenzie regolative create
accanto ad esso si orientano in direzione del risanamento, della riforma e
dell’innovazione in campo finanziario: emerge progressivamente un nuovo
quadro regolativo, che cerca di ampliare il ruolo dei mercati e di ricondurre
il coordinamento della finanza entro limiti compatibili con l’efficienza
interna e la competitività internazionale del settore20.
20 La letteratura sulla profonda crisi e sui faticosi tentativi di riforma delle IER dello
sviluppismo giapponese è immensa; nel testo ci si è riferiti principalmente a: Katz(1998), Pempel (1998), Gibney (a cura di, 1998), Carlile e Tilton (a cura di, 1998),
36 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Le principali IER di governo giapponesi puntano dunque verso un ruolo
più ristretto e meglio definito nei confronti di IE nazionali ormai adulte: non
più un «positive state» sviluppista, discrezionale e in relazione simbiotica
con IE e IER associative, ma piuttosto un «regulatory state» (Majone 1997,
149) che stabilisce regole prudenziali ed esplicite e le fa poi rispettare
mantenendosi, garante dell’interesse pubblico, a una certa distanza
dall’imprenditorialità (Okuno-Fujiwara 1997, 403). Quest’ultima sta
peraltro ormai diventando, anche in Giappone, il fulcro dello sviluppo
economico (Iwao 1997; Porter, Takeuchi, Sakakibara 2000).
Veniamo ora al Land tedesco sudoccidentale del Baden-Württemberg,
che tra anni cinquanta e novanta è passato da una posizione economica
buona a una di punta tra le regioni della Germania e nel contesto mondiale
(Maier 1987; Sabel et al. 1989; Herrigel 1994). Il polo dell’imprenditorialità
privata regionale è qui fondato su un ampio tessuto di Pmi (Mittelstand) di
livello tecnologico medio-alto, appartenenti a diversi comparti della
meccanica. La subfornitura flessibile e specializzata è particolarmente
diffusa nel Land, ad esempio tra imprese minori e imprese medie produttrici
di macchine utensili oppure tra imprese minori e grossi committenti fordisti
flessibili del settore automobilistico ed elettromeccanico. Il successo delle
IE regionali è stato favorito dalla storica presenza, nel Baden-Württemberg,
di un ampio tessuto di IER pubbliche e semi-pubbliche21 di ricerca
Freedman (a cura di, 1999), OECD (1999). I contributi dei giapponesi contenuti nellesuccitate raccolte sono particolarmente critici verso la degenerazione clientelare,collusiva e vincolistica dello sviluppismo, un tempo virtuoso, del proprio paese; alcuniosservatori occidentali lo ritenengono invece uno degli ultimi modelli funzionanti dicapitalismo «civilizzato» (v. Dore 1999).
21 Una parte delle IER governative del Land - ministero regionale dell’economia e quellodella scienza e ricerca - hanno relazioni neocorporative settoriali con le IERassociative dell’industria, dell’artigianato e con i sindacati. Importanti anche IER di
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 37
applicata, ricerca e sviluppo, consulenza aziendale, formazione tecnico-
universitaria e professionale, certificazione, sostegno all’esportazione, ecc.
(Maier 1987; Schmitz 1992; Cooke, Morgan 1994). Queste IER realizzano
beni pubblici o di club che hanno reso possibile anche alle Pmi di
qualificarsi e aggiornarsi tecnologicamente, nonché di usufruire di tecnici e
operai di livello professionale elevato. In un simile contesto di sostegno al
Mittelstand, ben radicate IER associative regionali - industriali e artigiane -
hanno offerto alle aziende membre servizi reali in campo fiscale,
amministrativo, tecnico-giuridico e tecnico-produttivo. Nel campo delle
IER dei contratti associativi concernenti le relazioni industriali, le
associazioni datoriali regionali hanno sollevato le Pmi di buona parte del
peso della concorrenza su un mercato del lavoro per lunghi anni assai teso:
contratti regionali sovra-aziendali relativamente rigidi hanno garantito un
alto livello salariale e una bassa conflittualità. Le peculiari istituzioni
tedesche della Mitbestimmung e dell’apprendistato duale scuola-fabbrica
hanno ulteriormente rafforzato i lavoratori e i sindacati a livello aziendale,
coinvolgendoli fortemente nella vita produttiva e garantendo loro un’ampia
influenza sulle condizioni di lavoro. Tutto ciò ha permesso alle imprese di
puntare su qualità e produttività, le quali, a loro volta, sono state la chiave
per sopportare costi salariali internazionalmente tra i più alti. Sino all’inizio
degli anni novanta, il Baden-Württemberg deve dunque la sua posizione di
primato tedesco e internazionale a un rapporto equilibrato e sinergico tra i
tre poli dello sviluppo, tutti forti e articolati al loro interno. Questa
combinazione istituzionale regionale rappresenta il Modell Deutschland
assetti interattivi delle Camere di commercio, alle quali l’adesione aziendale èobbligatoria e che forniscono a quest’ultime una vasta gamma di servizi. Cruciale è ilruolo delle Camere nella formazione professionale duale tedesca, dove esse sono
38 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
(Cattero, a cura di, 1998) nelle sue modalità più avanzate e virtuose, quelle
che hanno garantito alla Germania postbellica un vantaggio competitivo
basato sulla specializzazione e l’alta qualità all’interno di settori industriali
di livello tecnologico medio-alto: automobile, macchine utensili, strumenti
di misurazione, elettronica di consumo, chimica, farmaceutica, ecc. (Maier
1987; Porter 1990; Streeck 1991).
Nella prima metà degli anni novanta il Baden-Württemberg è
inaspettatamente colpito da una severa crisi22. Ad essere toccati
pesantemente sono proprio i settori di punta: il Mittelstand della macchina
utensile specializzata, un tempo leader mondiale, si trova confrontato a una
concorrenza giapponese e americana che offre prodotti qualitativamente
equivalenti o superiori a prezzi assai più contenuti; quote di mercato sono
perse non solo all’estero ma persino in Germania. Il settore automobilistico
regionale perde massicciamente nelle esportazioni: la nota ricerca del MIT
mostra come a inizio anni novanta le officine della Daimler-Benz siano sia
qualitativamente che in termini di efficienza largamente al di sotto dei
concorrenti giapponesi. Per di più, mentre le regioni più forti dell’economia
americana operano una massiccia riconversione verso settori ad alta
tecnologia - biotecnologie, informatica, semiconduttori, ottica, medicale,
ecc. - e vedono emergere nuovi prodotti finanziari e servizi avanzati,
l’economia del Baden-Württemberg resta esclusa da questa ondata
peraltro coadiuvate dall’associazionismo imprenditoriale e sindacale.
22 Il tasso di disoccupazione sale dal 3,9% del 1991 al 7,6% del 1995, per poi tornare al5,5% a metà 2000; il numero di addetti al settore industriale subisce una contrazionedel 17,9% tra il 1991 e il 1994, declino che prosegue poi più lentamente nel resto deldecennio; gli investimenti all’estero dal Land durante gli anni novanta aumentanodrasticamente e si palesano di gran lunga superiori rispetto a quelli stranieri in regione;il tasso di sviluppo stagna nello scorso decennio e solo nel 2000 ritorna al livello del3%, grazie alla ripresa delle esportazioni indotta dalla debolezza dell’euro.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 39
innovativa (Schienstock 1997; Heidenreich e Krauss, 1998). Il governo
regionale, tradizionalmente in mano CDU, si allarma e dà vita a una
«Commissione per il futuro», dove sono presenti economisti e soprattutto
rappresentanti di aziende e associazioni imprenditoriali. Suo compito è di
fare il punto sulla situazione e le prospettive del Baden-Württemberg. Con
gli stessi obbiettivi, il sindacato IG Metall regionale commissiona
all’istituto IMU uno studio sul Land. Tra il 1993 e il 1994 si hanno le
conclusioni di entrambe le ricerche: pur con differenze negli accenti, vi è
unanimità sul fatto che la crisi del Baden-Württemberg non è congiunturale,
ma profonda, legata alla natura delle strutture economiche e istituzionali
della regione, che hanno in parte cessato di essere un fattore di vantaggio
competitivo rispetto all’estero. Il Baden-Württemberg è in ritardo
comparativo nell’introduzione di nuovi prodotti e nuove tecnologie e
nell’integrazione di quest’ultime nei settori maturi; i costi di produzione
regionali sono troppo alti e i beni venduti soffrono di
sovraingenierizzazione e scarso orientamento alle mutate esigenze dei
mercati (Herrigel 1996). Fomentati da una certa autosoddisfazione,
fenomeni di sclerosi istituzionale hanno toccato tutti e tre i poli dello
sviluppo del Land. Fortemente complementari e sinergiche tra di loro, IE,
IER associative e IER governative regionali si sono bloccate l’una con
l’altra impedensosi un adeguamento innovativo ai nuovi scenari della
globalizzazione (Schienstock 1997). A forzare lo stallo per primo è il polo
dello sviluppo più esposto ai mutamenti di scenario economico, quello
dell’imprenditorialità privata.
Un buon esempio di sclerosi istituzionale sono per esempio i vincoli
regolativi e cognitivi che hanno impedito alla dirigenza delle imprese del
40 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Baden-Württemberg un rapido passaggio dal proprio fordismo flessibile
verso pratiche produttive più efficienti, come la produzione snella, i circoli
di qualità, l’integrazione tra le funzioni aziendali, ecc. Mentre le imprese
americane durante gli anni ottanta imparano la lezione organizzativa
giapponese e pongono le basi per la rinascita industriale del paese, nel cuore
del modello tedesco, il Baden-Württemberg, numerosi ostacoli bloccano
questo salto di efficienza e creatività. L’approntamento di circoli orizzontali
di produzione, nonché la parziale integrazione delle funzioni di produzione,
progettazione e marketing, sono strategie organizzative che passano
attraverso i confini istituzionali intraaziendali, indebolendo il ruolo che
nell’impresa hanno figure sino a quel momento potenti e ben delineate
professionalmente nelle loro specializzazioni: i diversi ingegneri, i vari
capireparto, gli operai specializzati. Le competenze specifiche di questi
soggetti affondano peraltro le radici nel vasto sistema delle IER esterne di
formazione universitaria e professionale duale e hanno ovviamente ricadute
identitarie e di status. La produzione snella implica però rimescolamenti
profondi: la fase di ingegnerizzazione cessa di essere sovrana e deve
guardare al marketing; gli apprendisti nei circoli produttivi orizzontali non
sono più sottoposti completamente ai seniores; i capireparto cessano di
prevalere sugli altri operai, ecc. Le nuove strategie produttive scalvalcano le
distinzioni funzionali, gerarchiche e specialistiche istituzionalizzate
precedentemente in fabbrica, col sostegno delle IER extra muros: si
scatenano conflitti tra interessi costituiti che rendono difficile l’opera di
ristrutturazione da parte dei vertici aziendali innovativi (Kern e Sabel
1994). Il tutto è reso più arduo dagli ampi poteri di codecisione dei
dipendenti e dalla pervasiva influenza sindacale. Le stesse IER pubbliche e
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 41
semi-pubbliche esterne di ricerca operativa, trasferimento tecnologico e
consulenza risultano in ritardo in merito alla nuova istituzionalizzazione
della progettazione e della produzione (Becker e Vitols 1997); sono invece
spesso le aziende consociate o le capogruppo estere che posseggono le
abilità e danno gli stimoli per riorganizzare l’impresa regionale in modo
snello (Herrigel 1996; Jürgens e Lippert 1997). Mentre le fabbriche
americane, istituzionalmente meno dense e con vertici dotati di maggiori
poteri, si adattano in fretta ai nuovi metodi, quelle del Baden-Württemberg
risentono degli effetti di viscosità istituzionale della rete di vincoli-
opportunità interna ed esterna alle aziende.
Oltre ai problemi di ristrutturazione, il Modell Baden-Württemberg soffre
non poco l’altezza dei costi interni, quello del lavoro anzitutto. L’offensiva
nippo-americana è riuscita infatti a offrire prodotti che associano qualità
uguale o superiore a prezzi inferiori. La rigidità orizzontale dei contratti
collettivi regionali non permette però una strategia di differenziazione del
costo e delle modalità di erogazione del lavoro tra le diverse imprese del
Mittelstand regionale, in modo di adattarle alle varie vicende dei mercati e
delle ristrutturazioni aziendali. I singoli imprenditori diventano sempre più
scontenti di queste rigidità e reagiscono cercando di scavalcare il sindacato
attraverso accordi semi-legali con i consigli di fabbrica. In certi casi vi è
persino l’uscita dalle associazioni datoriali (Schroeder 1997); più in
generale, quest’ultime sono messe sotto pressione dai propri membri, i quali
chiedono sempre più «clausole aziendali di apertura» nei rigidi contratti di
lavoro orizzontali. Nell’industria automobilistica i problemi dell’elevato
livello salariale sono stati risolti drasticamente attraverso l’uscita
hirschmaniana dalle combinazioni istituzionali regionali: investimenti in
42 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
nuovi impianti all’estero, blocco delle assunzioni, ricerca di subfornitori in
Italia e Francia23 hanno comportato una drastica riduzione dell’occupazione
nel settore (Hancké 1997).
Vi è da ultimo il problema della nascita di settori ad alta tecnologia, la
quale è stata ostacolata nel Baden-Württemberg anzitutto dall’assenza di
istituzioni finanziarie innovative, come ad es. il capitale di rischio. Il vasto
tessuto delle banche regionali cooperative o pubbliche, che ha garantito per
anni lo sviluppo del Mittelstand nei settori tipici del Land, si è dimostrato
ostile a finanziare progetti innovativi rischiosi in campo informatico,
biotecnologico, ecc. Se a ciò si aggiungono fattori nazionali, come l’assenza
per lungo tempo di una borsa per le Pmi innovative e le limitazioni alle
stock option per i ricercatori assunti, non è difficile capire come un nuovo
Mittelstand ad alta tecnologia fosse quasi del tutto assente all’inizio degli
anni novanta in regione. Aboliti in seguito i vincoli nazionali (apertura
finanziaria della Germania, nascita del Neuer Markt - il Nasdaq tedesco -
ecc.), il Baden-Württemberg è stato tra i Länder che più hanno saputo
favorire lo sviluppo delle nuove tecnologie. Nel campo delle biotecnologie,
ad es., il governo regionale, in sinergia con le numerose IER di ricerca,
trasferimento, consulenza e insegnamento presenti sul territorio, ha
realizzato numerosi poli tecnologici per favorire la nascita di nuove imprese
da parte di ricercatori. Sono stati creati fondi di capitale di rischio misti, in
23 In precedenza, i committenti automobilistici si affidavano solo a subfornitori del
Mittelstand del Land, gli unici a poter garantire, immersi com’erano nel tessuto di IERtecnologiche e di formazione regionali, qualità e tempestività. Con gli anni novanta,grazie alla diffusione globale di sistemi di certificazione e alla crescita del livellotecnologico estero, le aziende del Land hanno fatto sempre più ricorso ai menocostosi, ma altrettanto efficienti, subfornitori stranieri. Quelli del Baden-Württembergsono stati duramente selezionati e solo con i migliori sono stati allacciati rapporti piùstretti, anche in campo tecnologico (Hancké 1997).
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 43
cui la regione co-finanzia i progetti giudicati interessanti dagli istituti di
credito privati (Casper 1999). I risultati sono stati incoraggianti: assieme
alla Baviera, oggi il Baden-Württemberg è tra le regioni tedesche
all’avanguardia nelle biotecnologie, anche se la loro distanza degli Stati
Uniti è ancora grande. La vera sfida per IE e IER della regione è però
soprattutto un’altra: l’ammodernamento istituzionale del proprio fordismo
flessibile ad alto livello di coordinamento. Il Modell Baden-Württemberg
deve favorire economicamente e istituzionalmente più innovazione e
maggior varietà, allentando, tra l’altro, parte dei propri passati «vincoli
benefici» di coordinamento (Streeck 1994), trasformatisi oggi in molti casi
in controfinalità24.
Terminiamo il paragrafo stilizzando il modello istituzionale di sviluppo
economico della cosiddetta Terza Italia. In questa modalità di sviluppo
locale rientrano tre dei quattro studi provinciali di caso trattati nel volume: i 24 Con gli anni novanta, in Germania si è aperta un’ampia discussione politica e
accademica sul Modell Deutschland, le cui caratteristiche istituzionali, un tempovettore del miracolo tedesco, impedirebbero invece oggi un rapido adeguamento delsistema-paese alle nuove esigenze della globalizzazione. Si è parlato di blocco delleriforme necessarie (Reformstau, Blockade), che troverebbe le sue radici nel caratterefortemente poliarchico del potere politico (frammentazione federalista, ruolo dellaCorte costituzionale) ed economico (autonomia e forza delle associazioniimprenditoriali e dei sindacati, a fronte di uno scarso peso della burocrazia riformista edi una grossa influenza di quella legata neocorporativisticamente allo status quo). Inuna situazione in cui le ricette proposte per affrontare la globalizzazione e la crisi delwelfare divergono tra i diversi attori, il risultato è stato lo stallo. In altri paesineocorporativisti, come per esempio l’Olanda, questa stasi delle riforme è invece statasuperata grazie alla maggior compattezza interna del polo delle IER di governo e alminor potere di veto delle IER dei sindacati. Su questo dibattito in Germania, sipossono vedere: Kern, Sabel (1994), Naschold (a cura di, 1997), Cattero (a cura di,1998), Heinze (1998), per una visione neosocialdemocratica; Lenel (a cura di, 1997),Methfessel, Winterberg (1999) e Berthold, Hank (1999), per un approccio neoliberista.Malgrado i freni al mutamento, la Germania di oggi è comunque molto diversa daquella del 1990: significative riforme hanno toccato il sistema finanziario, ilcomportamento delle grandi imprese e le aziende di pubblica utilità, cosa che invecenon è ancora successa per lo stato sociale e il mercato del lavoro.
44 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
contributi ad essi dedicati permetteranno così di precisare - sia teoricamente
che empiricamente - il modello istituzionale terzo-italiano, mettendone alla
prova validità e generalità.
Sino a inizio anni ottanta, assi istituzionali portanti del decollo e della
crescita dei distretti industriali italiani sono stati il polo delle IE
dell’imprenditorialità privata, in sinergia con gli aspetti strutturali e
culturali delle IER comunitarie tradizionali (Bagnasco 1988, 31-64; 1999b,
93-95). Tra le prime, ritroviamo un esercito di imprenditori, artigiani, operai
specializzati che hanno dato vita a una profonda divisione orizzontale e
verticale del lavoro industriale, basata su piccolissime e piccole imprese che
interagiscono complementarmente in un’ampia gamma di settori industriali
tradizionali - dalla meccanica al mobile, dalla concia al tessile-
abbigliamento, ecc.; in queste aziende, l’autofinanziamento ha costituito la
fonte prevalente di investimento. Tra le seconde, ritroviamo le strutture
della famiglia contadina, dell’artigianato e del commercio tradizionale, della
mezzadria, degli insediamenti urbani sparsi sul territorio, sostenute da una
forte etica del lavoro, da un attaccamento identitario alla propria comunità
locale e da subculture politiche omogenee. L’intreccio sinergico tra il polo
delle IE imprenditoriali e quello delle IER comunitarie ha dato vita a un
processo di sviluppo che Bagnasco e Trigilia (1984, 35-40) hanno chiamato
«mobilitazione di mercato», al cui interno le forti dosi di incertezza,
generate da una miriade di relazioni mercantili di subfornitura e da un
mercato del lavoro flessibile, sono state attutite dalla presenza di legami
sociali, dalla contiguità territoriale e da una struttura di classe poco
polarizzata. Varietà e ordine, efficienza economica e stabilità sociale hanno
potuto così coniugarsi, all’interno di quello che, almeno sino ai primi anni
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 45
ottanta, è stato un processo di sviluppo con tutte le caratteristiche della
policentricità e della spontaneità hayekiane (Parri 1997b; Rullani 1998, 26-
33; Bagnasco 1988, 59, 1999b, 89, 101-3; Fortis 2000, 35, 48).
Se imprenditorialità e comunità sono gli assi istituzionali portanti della
fase di decollo e sviluppo della Terza Italia, un ruolo minore (Bagnasco
1988, 58-60; Sarti 2000, 227), ma comunque congruente con il meccanismo
sinergico centrale, va assegnato al polo delle IER associative e
governative25. L’associazionismo economico locale ha offerto infatti alle
Pmi servizi in campo contabile, salariale, amministrativo e creditizio
(consorzi fidi), mentre casse di risparmio e credito cooperativo decentrati
hanno assecondato i loro investimenti. Dal canto loro, i governi locali
hanno sostenuto lo sviluppo con infrastrutture, scuole professionali,
politiche di welfare. Sicuramente più importante è stato invero l’agire
svolto dal governo centrale: la normativa sulle imprese artigiane; le
politiche monetarie di svalutazione competitiva; lo scarsissimo peso fiscale
e amministrativo sulle imprese. Tutto ciò, inintenzionalmente, ha favorito
per vari decenni la redditività economica dei distretti (Bagnasco, 1988, 55-
58, 1999b, 102-3). La politica di cambio stabile, culminata con l’euro, e
inasprimenti fiscali e regolativi hanno però ormai da tempo messo fine al
sostegno involontario della politica economica nazionale ai distretti. 25 L’interpretazione della nascita e dello sviluppo della Terza Italia data da Arrighetti e
Seravalli (1997, 1998) vede invece come cruciale il ruolo delle IER associative egovernative locali (definite «istituzioni intermedie»). L’evidenza teorica ed empiricaportata a suffragio di questa tesi è però scarsamente convincente. Da parte nostra(Parri 1993b, 1996b, 1997a, 1997b), riteniamo - con Bagnasco (1988, 55-60) e Rullani(1998) - che centrale sia stato il ruolo delle IE imprenditoriali e delle IER comunitarie,mentre associazioni economiche e governi locali abbiano svolto un’azione tuttalpiùcollaterale. La Terza Italia non è il Baden-Württemberg, dice pure Bagnasco (1999b,89), cosa che invece sembrano pensare Arrighetti e Seravalli (1997, 341)! Gli studi dicaso presentati nel volume potranno aiutare a dirimere la questione al centro di questa
46 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
Progressivamente durante gli anni ottanta, la combinazione istituzionale
che aveva garantito ampio sviluppo alla Terza Italia è stata posta sotto
pressione dall’emergere di concorrenti sudeuropei e asiatici: nei distretti è
aumentata la selezione aziendale e diminuito il numero delle imprese,
l’occupazione si è stabilizzata o è decresciuta (Nuti, a cura di, 1992;
Crestanello 1997). L’ondata della globalizzazione negli anni novanta ha
aumentato ulteriormente le sfide competitive alla Terza Italia. In risposta a
tutto ciò, nell’ultimo quindicennio si assiste a importanti mutamenti
istituzionali: nella trama dell’ordine spontaneo del mercato-comunità
distrettuale si inseriscono sempre più elementi di progettazione deliberata
che hanno come centro le IE dell’impresa e degli ibridi e le IER associative
e dei governi locali (Bagnasco 1988, 1999b; Parri 1993b, 1997b). Alla base
di tutto ciò, vi è il fatto che il binomio centrale dello sviluppo «piccole
imprese-relazioni flessibili di subfornitura e lavoro facilitate
dall’appartenenza comunitaria locale» non è in grado di assicurare funzioni
di innovazione e coordinamento divenute ormai strategiche in campo
commerciale, finanziario, logistico, di ricerca e sviluppo e di apertura
globale (Nuti, a cura di, 1992; Onida et al., a cura di, 1992; Parri 1993b,
1997a, §4). Quali dunque questi mutamenti istituzionali?
Vi è anzitutto la via dell’intervento economico da parte delle IER dei
governi locali o regionali, neocorporativisticamente stabilito in accordo con
le altre IER delle associazioni industriali e artigiane. Alla base di queste
politiche vi è la convinzione che le IE del mercato e delle aziende prima o
poi falliscano nel garantire ordine e varietà economica e debbano cedere il
passo a IER neocorporative. In quest’ottica, sostanzialmente marxiano-
diversa valutazione.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 47
sombartiana (Parri 2000), a più riprese Brusco (1984, 1993, 1994) ha
parlato di ineluttabili «fallimenti del mercato»26 nei distretti, cui soltanto un
ampio intervento basato su centri per i servizi reali misti pubblico-
associativi avrebbe potuto rimediare. Questa linea interpretativa, ripresa da
politici e associazioni imprenditoriali locali, ha dato vita in numerose aree
produttive della Terza Italia a centri che offrono alle Pmi servizi in campo
commerciale, di trasferimento tecnologico, di certificazione, di
monitoraggio tecnico e mercantile, ecc. All’avanguardia in questo campo
sono state le regioni governate dalla sinistra, come Emilia-Romagna (Parri
1993a) e Toscana (Burroni 1999); più timido è stato l’intervento in
Lombardia (Lassini, a cura di, 1995; Cusmano et al. 2000); il Veneto, prima
«bianco» e poi di centro-destra, ha preferito invece seguire vie meno
interventiste (Anastasia e Corò 1996; Burroni 1999). Vi è oggi ormai un
certo consenso su come valutare questa linea di politica pubblica: a parte
alcune fortunate eccezioni, la gran parte dei centri di servizio è rimasta al di
sotto delle aspettative che avevano suscitato (Parri 1996b; Unioncamere,
Censis 1995, 238; Ferrucci 1996, 270-2; Rullani 1998, 36; Grandinetti
26 Nell’ingenuo utilizzo fattone sia dai neoclassici che da Brusco, il concetto di
«fallimento del mercato» contiene grossi limiti analitici, come evidenziato dalla criticaradicale fattane da Hayek e Demsetz (Parri 1997b, §7). Infatti: a) il concetto èutilizzato staticamente, mentre il mercato è in continua evoluzione dinamica; b)essendo il mercato una procedura di scoperta, non si può rimproverargli di non averdato vita a una nuova varietà che ancora nessuno conosce o non sa come raggiungere;c) paragonare le realizzazioni di un mercato concreto, forzatamente imperfette, aquelle teoriche, ipoteticamente perfette, di un intervento delle IER costituisce unascorrettezza metodologica. Tutto ciò non vuol dire che il mercato non possa in certecircostanze andare a vuoto - come ogni istituzione sociale esso svolge bene certicompiti e meno bene altri (basti pensare alla nostra tab. 2); i criteri per giudicarne ilfallimento devono però essere meno stretti sia diacronicamente che sostanzialmente.Avendo come riferimento la problematica dello sviluppo economico, una posizionesimile sulla questione è assunta molto opportunamente da Matsuyama (1997) e Aokiet al. (1997).
48 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
1998, 95). Anche scontando il fatto, in linea con la public choice, che alcuni
di essi si sono rivelati in parte o in tutto manovre di ricerca di consensi
elettorali27, il problema principale dei centri è stato altro: con una sorta di
«selezione avversa», ad essi si sono rivolte in larga prevalenza le imprese
meno innovative e più bisognose di sostegno, le quali hanno peraltro
richiesto servizi reali di basso profilo commerciale e tecnologico. Le
imprese più dinamiche, che sono state capaci di introdurre innovazioni di
prodotto o processo, lo hanno fatto interagendo, fuori distretto o regione,
con altri intermediari tecnologici pubblici e privati dotati di competenze
d’avanguardia (Cusmano et al. 2000). Oltre a ciò, l’autofinanziamento, pur
tra gli obbiettivi iniziali dei centri di servizio, si è rivelato un fine quasi
sempre irraggiungibile. I pochi casi di maggior successo, pur svolgendo un
apprezzabile lavoro nel campo della certificazione, del monitoraggio
tecnologico e della formazione, non sono stati mai in grado di essere
trainanti nel campo dell’innovazione e della ricerca e sviluppo distrettuale
(Visconti 1996; Grandinetti 1998). A differenza che in quello dei servizi
reali, nel campo della tutela e del risanamento ambientale l’azione di
coordinamento delle IER associative e di governo locale si è rivelata
strategica, superando i limiti qui connaturati alle IE private, cresciute per
lunghi anni trascurando la salvaguardia ecologica del territorio, quasi
sempre con il tacito consenso della comunità distrettuale. Ai giorni nostri,
peraltro, la richiesta più forte che dalle IE dei distretti sale verso le IER
governative locali e nazionali è quella essenziale di servizi infrastrutturali e
amministrativi adeguati almeno al livello europeo.
27 Emblematica, a questo proposito, la contestazione portata dalla Confindustria
regionale, che vi era pur coinvolta, al sistema dei centri di servizio emiliani (Brusco1993).
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 49
La seconda via di innovazione istituzionale tentata nella Terza Italia è
stata quella delle IER dei contratti associativi: consorzi di ricerca e
sviluppo, di promozione, di vendita, di marchio distrettuale, spesso
sostenuti da finanziamenti e appoggi organizzativi di associazioni o governi
locali (Moussanet e Paolazzi, a cura di, 1992; Parri 1993b, 1997a; Visconti,
1996). Anche questa via di superamento dei fallimenti delle IE distrettuali
ha dato risultati al di sotto delle aspettative, principalmente a causa dei forti
dilemmi dell’azione collettiva tra le Pmi coinvolte, dilemmi che nemmeno il
sostegno associativo e governativo locale è riuscito a far superare. I
consorzi di vendita e di ricerca e sviluppo, quelli potenzialmente più
incisivi, ma che allo stesso tempo toccano più profondamente le prerogative
imprenditoriali, sono rara avis; il marchio distrettuale è stato ovunque
avversato come controproducente dalle aziende dotate di una propria
immagine di marca, senza le quali, peraltro, non è pensabile realizzarlo;
soltanto i consorzi fidi e quelli promozionali hanno avuto successo, ma,
datane la natura, il loro impatto sullo sviluppo distrettuale è stato marginale
(Parri 1993c, 1997a; Unioncamere, Censis 1995, 221; Ferrucci 1996, 266-
70; Guerra 1998, 209). Anche i contratti associativi sono dunque stati
scarsamente in grado di superare i problemi di ordine e varietà posti ai
distretti dalla globalizzazione.
Il terzo percorso evolutivo seguito dalla Terza Italia per dotarsi delle
nuove funzioni economiche strategiche per lo sviluppo è tutto interno alle
IE dell’imprenditorialità: aumento della dimensione aziendale, creazione di
ibridi come gruppi, costellazioni di imprese, imprese-rete sul modello
Benetton; internazionalizzazione produttiva e commerciale28 (Lorenzoni
28 Alla via della crescita dimensionale, le imprese distrettuali generalmente preferiscono
50 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
1990; Ferrucci e Varaldo 1993; Corò e Grandinetti 1999). Diminuisce
l’importanza del sistema policentrico e spontaneo del mercato-comunità,
mentre aumenta quella delle aziende e degli ibridi, trasformando così il
distretto in un sistema oligocentrico, dotato di poche unità o gruppi guida
capaci di progettare deliberatamente strategie competitive innovative (Parri
1997b). Questo processo è accompagnato da uno spontaneo ed endogeno
salto qualitativo nelle capacità manageriali e imprenditoriali di alcune
aziende, capaci di elevarsi e distinguersi rispetto alle restanti (Visconti
1992, 1996). Queste ultime, quando non soccombono alla selezione
competitiva, vengono spesso assorbite nei gruppi o nelle costellazioni
reticolari guidate dalle nuove aziende leader. Lo stesso tessuto della
subfornitura va incontro a processi selettivi: i terzisti migliori sono assorbiti
nei gruppi o stabiliscono relazioni privilegiate con le aziende-guida, quelli
meno capaci vengono eliminati, mentre quelli ad alta intensità lavorativa
non di qualità sono sostituiti da processi di delocalizzazione che spostano la
fase produttiva nell’Est europeo o nel Sud-Est asiatico. Se questo «traffico
di perfezionamento passivo» verso paesi a basso costo del lavoro è una
sorta di via bassa, tattica, dell’internazionalizzazione, esiste pure una via
alta, evolutivamente ben più strategica. Vi sono infatti casi in cui le
imprese-guida distrettuali espandono le proprie capacità acquistando o
creando unità produttive o commerciali all’estero; altri in cui sono invece
grandi aziende estere, anche multinazionali, a inglobare le aziende leader
del distretto, permettendo a quest’ultime l’accesso a risorse commerciali,
finanziarie e tecnologiche altrimenti fuori portata. In cambio di ciò,
quella della crescita attraverso il gruppo: questa garantisce maggior flessibilità,vantaggi fiscali, minori vincoli sindacali, più occasioni imprenditoriali per i varimembri della famiglia proprietaria.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 51
l’acquirente estero viene a disporre delle abilità produttive del distretto, che
sono spesso di punta a livello mondiale.
Da una fase di sviluppo quantitativo ed estensivo, la Terza Italia è
dunque passata a partire dagli anni ottanta a una fase di sviluppo qualitativo
e intensivo. La letteratura distrettuale è praticamente unanime nel
riconoscere che i soggetti delle innovazioni tecnologiche, commerciali,
organizzative e finanziarie tipiche di questa nuova fase evolutiva sono state
le IE delle aziende e degli ibridi, diventate il vero fattore trainante dello
sviluppo dei distretti29. Certo, questi nuovi soggetti propulsivi non operano
nel vuoto e continuano a nutrirsi delle risorse economiche e cognitive
prodotte dal mercato locale e dalle IER associative e governative
distrettuali. Queste risorse vengono ora però attentamente selezionate e,
quando siano assenti o non all’altezza delle nuove esigenze competitive,
sono ricercate fuori dal distretto, nel resto del paese o addirittura all’estero.
L’apertura della Terza Italia sul mondo cessa di essere limitata alla mera
esportazione e si trasforma in un rapporto che stabilisce sinergie già durante
la concezione e la realizzazione dei prodotti. L’ordine distrettuale non è più
autocontenuto, la ricerca di varietà innovativa da parte delle aziende-guida
stabilisce legami istituzionalizzati di coordinamento con soggetti esterni e
spesso lontani: il nuovo ordine che emerge va ben oltre i limiti del distretto. 29 Si vedano, tra gli altri, i riferimenti empirici a medie aziende, gruppi e imprese-rete
(peraltro ben pronosticati da Bagnasco già nel 1988, 67-68) contenuti in Trigilia(1989), Moussanet e Paolazzi (a cura di, 1992), Onida et al. (a cura di 1992), Nuti (acura di, 1992, vol. 2), Ferrucci e Varaldo (1993), Parri (1993b, 1993c, 1996b),Unioncamere-Censis (1995), Stella (1996), Anastasia e Corò (1996), Visconti (1996),Bursi (1997); Crestanello (1997), Grandinetti (1998), Guerra (1998), Corò eGrandinetti (1999). Il fatto che le IE delle aziende e degli ibridi abbiano radicalmentemodificato la natura di mercato-comunità dei distretti non è a mio pareresufficientemente considerato nei più recenti tra i lavori di Becattini, ancora moltolegati all’idealtipo neo-marshalliano, da lui elaborato ormai una ventina di anni
52 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
La prospettiva di una dissoluzione del modello di sviluppo a base
territoriale della Terza Italia e di una sua ricostituzione secondo modalità
alternative, meno legate al territorio e più alle reti globali, sembra una delle
possibilità evolutive che si aprono (Corò e Grandinetti 1999). Se così
andranno le cose, lo stesso ruolo di IER quali le associazioni e i governi
locali è destinato a riformularsi e a uscire dalla logica del centro per i
servizi reali, del consorzio, dell’area attrezzata, già insufficienti in passato,
probabilmente ancora più in futuro.
7. Conclusioni: le coordinate istituzionali dello sviluppo locale
Queste note introduttive hanno cercato di arricchire sia teoricamente che
empiricamente, secondo le linee della sociologia economica, la scarna
concezione neoclassica dell’azione e dello sviluppo economici. Il ruolo
delle istituzioni - e delle azioni che queste non deterministicamente
stimolano, suggeriscono, cercano di permettere o di vietare - è stato al
centro della nostra ricostruzione. Cruciale, in quella che Schumpeter (1954)
chiamerebbe la «visione» qui presentata , è la capacità che queste
istituzioni, siano esse economiche (IE) o economicamente rilevanti (IER),
hanno di coordinare tra di loro i soggetti (ordine) e di creare situazioni
orsono.
Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti 53
favorevoli all’innovazione (varietà economica e istituzionale).
Coordinamento e innovazione sono infatti i due motori dello sviluppo
economico.
I contributi che seguono nel volume non si limiteranno ad arricchire dal
punto di vista della sociologia economica le vicende dello sviluppo di tre
aree distrettuali della Terza Italia e di una del Meridione, ma introdurranno
anche una prospettiva di storia economica. Come con chiarezza a suo tempo
evidenziato da classici quali Menger (1883), Weber (1922, 1974) e
Schumpeter (1954), le prospettive di quelle che oggi chiamiamo teoria
economica, sociologia economica e storia economica sono in linea di
principio complementari. Secondo questi autori, per giungere a una
spiegazione completa di un evento economico, si può immaginare un
continuum attraverso il quale si passa dalla teoria economica, alla
sociologia economica, alla storia economica, con progressiva diminuzione
del grado di astrazione teorica e progressivo aumento del livello di
contenuto empirico. Si tratta di un compito non certo facile, ma il fatto che
nei nostri quattro studi economici di caso sia presente una prospettiva non
solo sociologica, ma anche storica, non fa che arricchirne la potenziale
portata esplicativa.
L’ultima considerazione va spesa per il rapporto tra il modello
istituzionale di sviluppo economico della Terza Italia, come l’abbiamo
stilizzato poco sopra, e i quattro studi di caso. La ricostruzione del modello
di sviluppo dei distretti è stata forzatamente schematica e generalizzante: si
è riassunta quella che oggi è una sorta di minima communis opinio della
comunità interdisciplinare degli studiosi del tema. Utilizzando le categorie
analitiche che si sono proposte nei primi cinque paragrafi, nulla vieta che
54 Lo sviluppo locale tra imprenditorialità e istituzioni economicamente rilevanti
ogni singolo studio di caso presenti deviazioni, particolarità, contraddizioni
con il modello che si è presentato per la Terza Italia nel paragrafo sei. Il
confronto con un tipo ideale mengeriano-weberiano è d'altronde prassi
costante nelle scienze sociali: si pensi al dibattito sui modelli di capitalismo.
Riteniamo, peraltro, che l’apparato analitico proposto sia fondamentalmente
aperto, nel senso che non costringe affatto a giungere a conclusioni della
ricerca empirica omogenee al modello idealtipico di sviluppo distrettuale
che abbiamo proposto; il fatto è d'altronde palese, lo stesso apparato
analitico ha dato conto anche di realtà ben diverse come Giappone e Baden-
Württemberg. Che ogni distretto abbia le sue peculiarità, sia strutturali che
dinamiche, è qualcosa che ci si deve invero aspettare: la varietà delle
condizioni storiche e socioeconomiche delle aree locali all’interno del
macrofenomeno che chiamiamo per comodità Terza Italia è notoriamente
sensibile.
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