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LEONARDO SCIASCIA IL MARE COLORE DEL VINO "Maestà" disse il ministro Santangelo battendo dolce- mente un dito sulla spalla di Ferdinando "siamo alle Grotte." 11 re si svegliò con un singulto, in faccia al ministro aprì gli occhi acquosi di sonno e smarriti, si passò il dorso della mano sulla bocca da cui colava un filo di saliva. "Che c'è?" domandò. "Siamo alle Grotte, maestà." Ferdinando si affacciò allo sportello della carrozza. Case grige che si ammucchiavano a scivolo sul fianco di una collina, tetti di ortiche e di muschio. E donne ve- stite di nero affacciate alle porte, e bambini dagli occhi attoniti e affamati, e porci che grufavano nelle immon- dizle. Si ritrasse. "E che mi svegliate a fare?" disse al ministro. E come rivolgendosi a una terza persona: "Ventiquattr'ore che non chiudo occhio: e appena riesco a cogliere un po' di sonno, ecco questo scimunito a svegliarmi con la bella notizia che siamo alle Grotte". 11 labbro, che pareva un rognone di vaccina, gli tre- mava di collera. Si affacciò di nuovo. A pochi passi dalla carrozza la gente si aggrumava silenziosa. "Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriarno avanti" disse al- l'ufficiale di scorta. Rise, abbandonandosi all'indietro, della felice battuta che gli era venuta. Il ministro si piegò in due dal ridere. E tirarono avanti per altre due miglia: fino a Racal- muto, dove trovarono i balconi parati di seta come per il Corpus Domini, la guardia urbana schierata, una ricca mensa in municipio. Così Grotte, nei documenti del tempo chiamato Le Grotte e dai racalmutesi, ancor oggi,i Gr~tti, non ebbe l'onore di ricevere re Ferdinando. Giusto un secolo dopo, dalla stazione di Grotte il treno di Mussolini passò velocemente, a filo di una folla che dal marciapiede quasi traboccava tra le ruote: e non furono molti i grottesi che per un momento intravidero la faccla abbronzata e ingrugnata di Mussolini accanto a quella olivigna e sorridente di Starace. Da questi due fatti, fino a pochi anni addietro, i racal- mutesi traevano irrisione e disprezzo per i grottesi. E da parte loro, i grottesi tenevano un repertorio di mimi che comicamente rappresentavano i difetti dei racal- mutesi: brevi fantasie come quelle da Francesco Lanza raccolte e ricreate, e che da Lanza ebbero appunto il nome di mtmi. Nelle partite di calcio tra le squadre dei due paesi, la letteratura dei ricordi storici e dei mimi, delle invettive degli insulti, durava fino agli ultimi cinque minuti della partita: e si passava poi a quelle che nei verbali dei carabi- merl erano denominate vie di fatto, cioè ai pugni, ai calci e alle sassaiole. In verità, a due miglia appena di distanza, i due paesi erano quanto di plU diverso ed opposto si possa immagi- nare. Grotte aveva una minoranza valdese e una maggio- ranza soclallsta, tre o quattro famiglie di origine ebraica, una forte mafia; e brutte strade, brutte case, squallide fe- ste. Racalmuto aveva una festa, splendida e frenetica, che

Leonardo Sciascia - Il Mare Colore Del Vino

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LEONARDO SCIASCIA IL MARE COLORE DEL VINO "Maestà" disse il ministro Santangelo battendo dolc e- mente un dito sulla spalla di Ferdinando "siamo all e Grotte." 11 re si svegliò con un singulto, in faccia al mini stro aprì gli occhi acquosi di sonno e smarriti, si pass ò il dorso della mano sulla bocca da cui colava un filo di sal iva. "Che c'è?" domandò. "Siamo alle Grotte, maestà." Ferdinando si affacciò allo sportello della carrozz a. Case grige che si ammucchiavano a scivolo sul fianc o di una collina, tetti di ortiche e di muschio. E do nne ve- stite di nero affacciate alle porte, e bambini dagl i occhi attoniti e affamati, e porci che grufavano nelle im mon- dizle. Si ritrasse. "E che mi svegliate a fare?" disse al ministro. E c ome rivolgendosi a una terza persona: "Ventiquattr'ore che non chiudo occhio: e appena riesco a cogliere un po ' di sonno, ecco questo scimunito a svegliarmi con la be lla notizia che siamo alle Grotte". 11 labbro, che pareva un rognone di vaccina, gli tr e- mava di collera. Si affacciò di nuovo. A pochi pass i dalla carrozza la gente si aggrumava silenziosa. "Nelle grotte ci stanno i lupi: tiriarno avanti" di sse al- l'ufficiale di scorta. Rise, abbandonandosi all'ind ietro, della felice battuta che gli era venuta. Il ministr o si piegò in due dal ridere. E tirarono avanti per altre due miglia: fino a Raca l- muto, dove trovarono i balconi parati di seta come per il Corpus Domini, la guardia urbana schierata, una ric ca mensa in municipio. Così Grotte, nei documenti del tempo chiamato Le Grotte e dai racalmutesi, ancor oggi,i Gr~tti, non ebbe l'onore di ricevere re Ferdinando. Giusto un secolo dopo, dalla stazione di Grotte il treno di Mussolini passò velocemente, a filo di una folla che dal marciapiede quasi traboccava tra le ruote: e non furono molti i grottesi che per un momento intravid ero la faccla abbronzata e ingrugnata di Mussolini acca nto a quella olivigna e sorridente di Starace. Da questi due fatti, fino a pochi anni addietro, i racal- mutesi traevano irrisione e disprezzo per i grottes i. E da parte loro, i grottesi tenevano un repertorio di mimi che comicamente rappresentavano i difetti dei racal - mutesi: brevi fantasie come quelle da Francesco Lan za raccolte e ricreate, e che da Lanza ebbero appunto il nome di mtmi. Nelle partite di calcio tra le squadre dei due paes i, la letteratura dei ricordi storici e dei mimi, delle i nvettive degli insulti, durava fino agli ultimi cinque minut i della partita: e si passava poi a quelle che nei verbali dei carabi- merl erano denominate vie di fatto, cioè ai pugni, ai calci e alle sassaiole. In verità, a due miglia appena di distanza, i due p aesi erano quanto di plU diverso ed opposto si possa imm agi- nare. Grotte aveva una minoranza valdese e una magg io- ranza soclallsta, tre o quattro famiglie di origine ebraica, una forte mafia; e brutte strade, brutte case, squa llide fe- ste. Racalmuto aveva una festa, splendida e freneti ca, che

quasi durava una settimana: e i grottesi vi accorre vano in massa; ma era, per il resto, paese senza inquietudi ni, elet- toralisticamente diviso tra due grandi famiglie, co n pochi socialisti, molti preti e una mafia divisa. A mutare i rapporti tra i due paesi, ad addolcire e spe- ~nere le rivalità, hanno di certo contribuito, con le nuove ~orme di vita, i frequenti matrimoni tra racalmutes i e grottesi; matrimoni, in gran parte, laboriosamente me- diati e combinati da terze persone, ma quasi tutti felici. Uno di questi matrimoni, avvenuto qualche anno prima della fine del Regno delle Due Sicilie, è rim asto nel ricordo e nella fantasia dei racalmutesi e dei grottesi. Non per elementi romanzeschi, contrasti, passioni e san- gue: forse solo per la bellezza di una ragazza; o f orse per- ché, nella vicenda che ne è nata, ci sono i caratte ri di una società, di un'epoca. 11 matrimonio, tra don Luigi M., medico e benestant e di Racalmuto, e una figlia di don Raimondo G., gros so proprietario terriero di Grotte, avvenne nello sple ndore che alle due famiglie si conveniva: e teneramenK sc orreva nella bella casa di Racalmuto in cui i due sposi vi vevano, un marito di gigantesca e sanguigna complessione tu tto pieno di timida dolcezza per la giovanissima e frag ile sposa, quando accadde un terribile incidente. Don L uigi ebbe diverbio con un suo mezzadro, nella collera si lasciò andare a mollargli un calcio: che era poi un modo l egit- timo, per un galantuomo, di metter fine alla discus sione con un villano. Ma il villano non aveva la robusta com- plessione di don Luigi, o forse il calcio lo prese in un punto vitale. "Fatto sta" mi racconta un discendent e di don Luigi "che girò tre volte per la stanza, s'infi lò a ciam- bella sotto un tavolino: e morì." C'era anche allora la legge: con i galantuomini più do- cile, più timida; ma un morto è un morto, e don Lui gi non poteva scampare l'arresto. Scappò, lasciando la gio- vane moglie sola nella gran casa dorata. Nel Casino di Compagnia esplose l'indignazione dei notabili. Non, si capisce, nei riguardi del povero don Luigi. Il vecchio don Ottavio di Castro, presidente del so- dalizio e decano della nobiltà locale, accoratament e pro- nunciò una frase rimasta famosa e oggi usata come i ro- nico proverbio: "Che tempi! Un galantuomo non può p iù dare un calcio a un contadino". Tutti approvarono: il mondo se ne andava a sfascio, che tempi! Don Luigi non era certo andato lontano: può darsi s e ne stesse addirittura a Grotte, in casa di parenti o di amici fldatn Ma era pur sempre un disagio: e ardeva del p en- siero della giovane moglie sola e spaurita, tutta t rine ed amore, nel gran letto dalle cortine damascate. E fu rono chiamati amici potenti a far sparire, leggera farfa lla fili- granata dei borbonici gigli, quel mandato d'arresto che il Capitano d'Arme teneva infilzato ad un chiodo sul t avolo del suo ufficio. Ma per molto tempo il suocero di d on Luigi, che pure era uomo di grandi risorse e di vas te ami- cizie, stentò a trovare 'il canale giusto': e fortu itamente, per puro e felice caso, lo trovò una sera di dicemb re che se ne stava, in veste da camera, a leggere accanto al bra- ciere 'Il Monitore', e la figlia Concettina stava a ricamare sul tombolo, a corallini e pagliuzze d'oro, un Bamb ino Gesù nudo come un bruco, con appena una fascetta da CUI pendeva, tra le gambette sformate, un campanell ino Concettina copiava il ricamo da una sacra immaginet ta che le aveva regalato una zia monaca: e don Raimond o

non mandava giù quel campanellino tra le gambe del Bambin Gesù, ma non parlava perché non poteva né me t- tere m dubbio l'innocenza delle monache, che quella im- magine veneravano, né turbare l'innocenza della fig lia, che Sl era mvaghita a copiarla. E mentre leggeva 'I l Moni- tore' il pensiero del campanellino era un piccolo t arlo, e si proponeva di parlarne alla moglie, che facesse smet tere a Concettina quel ricamo Perciò, quando furiosamente sentì bussare al porton e, al- zandosi per andare ad aprire disse a Concettina "Le va di mezzo il campanellino" e poiché Concettina non capi va gridò "Il coso... il Gesù Bambino" ché temeva il vi sitatore chiunque fosse, facesse malizia sulla purezza di Co ncettina. Il vlsltatore era un pezzo grosso, nientemeno che d on Nicola Cirino, giurista e poeta, Procuratore Genera le a Palermo: e aveva avuto alle porte di Grotte, in que lla notte da lupi, un incidente alla carrozza sulla qua le viag- giava, e non potendo per quella notte proseguire, a lla casa di don Raimondo, che era la più decorosa del p aese, era stato accompagnato. Era un uomo di circa sessant'anni, grigio di capell i e di barba, gracile, un po' cadente: ma gli occhi aveva vivi ed attenti, e facevano curioso contrasto con la disart icolata stanchezza cui pareva cedere il corpo. Don Raimondo, che era di mente pronta, levò un pen- siero di ringraziamento al Signore: che aveva manda to una notte d'inferno, una pietra sulla strada, una p iccola fatale distrazione al lettighiere; al quale don Nic ola attri- buiva il guaio, mentre si scusava con don Raimondo del- l'incomodo che veniva a dargli. Incomodo? Era un onore, un piacere... Concettina aveva messo via il ricamo. Don Raimondo la presentò a don Nicola, per timidezza la ragazza si fece rosea come una pesca. Era bellissima: il corpo armo nioso, i capelli del colore di zucchero bruciato, il volto soave e trepido ma insieme espressivo della incontenibile g aiezza di chi scopre il buffo rovescio di ogni cosa e anch e di ogni pena Don Nicola pensò in versi a un ramo di tu be- rose, alle arance tra le foglie verdi sotto la neve , alla stella del mattino, e sempre in versi, che gli venivano fa cili quando si accendeva della bellezza, paragonò il suo cuore al Mongibello in improvvisa ardente colata d'amore. Da quel momento, poiché già sapeva del mandato di cui il genero di don Raimondo era oggetto, i codicl, le pa n- dette, le requisitorie, le sentenze giacquero come ex voto ai piedi di una fanciulla di sedici anni. Fu una bella serata. La cena, improvvisata, riuscì benis- simo. Ceralacche che portavano impresse le cifre di un anno nefasto, 1848, furono tolte alle bottiglie: ma il vino risultò eccellente. Del resto, il 1848 fu pretesto ad espri- mere opinioni che don Nicola e don Raimondo avevano identiche. Si fecero brindisi. Don Nicola ne fece i n versi: alla padrona di casa, spampanata come una rosa in u n ve- stito di raso che era andata a mettersi di furia, e a Concet- tina. Poi, invitato da don Raimondo, dalla signora e, con timida voce, anche dalla ragazza, don Nicola recito un suo poema su Torquato Tasso; e quando giunse ai ver si Ma pur la vita travagliata, oppressa Di quel Grande infelice avea conforto Di furtive dolcezze, il core, ahi lasso! Abbandonava alla speranza, un foco Lo struggeva animando, il suo sospiro Era d'uomo a cui il duol quasi è alimento

Se il consoli una lacrima d~amore Una pietà celeste, un cuor gentile, Eleonora... fissò Concettina con occhi da agonizzante, e si pro tese sulla tavola verso di lei quando in un soffio pronu nciò 'Eleonora', e avrebbe voluto dire 'Concettina' il c he an- che don Raimondo e la signora capirono, scambiandos i un preoccupato sguardo d'intesa. Dopo i complimenti al poeta, don Raimondo sottil- mente insinuò il discorso sulla sventura che ad un' altra sua flglla, sposata in un paese vicino, era capitat a. il ma- rito, inseguito da un mandato d'arresto, fuggito ch i sa dove; la figlia, a pochi mesi dalle nozze, rimasta sola, e tutto per un calcio dato a un contadino... Ma di qu esto passo il mondo sarebbe finito a testa sotto... Sì, la legge: ma un calclo dato così, in un momento di nervi Don Nicola parve chiudersi dentro una corazza: guar - dava Concettina e non diceva né sì né no. Stava val utando i pro e i contro di un azzardo che voleva giocare: non se giocarlo o meno, ma se giocarlo subito o se aspetta re l'in- domam. "Possiamo appartarci un momento?" domandò? im- provvisamente deciso. Madre e figlia si alzarono, un po' confuse; ad un c enno di don Raimondo uscirono dalla stanza. Facendo girare un fondo di vino nel bicchiere, don Ni- cola Cirino disse sorridente "Don Raimondo, volete fare il Natale con vostro genero?" "C'è da domandarlo?" disse don Raimondo; e pensò: 'Denaro, per uno come lui gli ci vorrà un sacco di pezzi da dodicl'. Stettero un momento in silenzio. "Non quello che pensate voi" disse don Nicola "qual - cosa di più: qualcosa che per voi, e per me, è prez iosa, inestimabile... Non indovinate?" "Sant'Antonio Abate" esclamò don Raimondo, che al protettore del paese volgeva invocazione nei moment i più terribili. Aveva indovinato: un fulmine gli si era scaricato in testa, i suoi pensieri si erano di colpo accecat l. "Mi rendo conto delle ragioni del vostro stupore: e vi dirò che non mi stupirei di un vostro rifiuto; e la buona conoscenza che abbiamo fatto stasera resterebbe per me, anche in tal caso, un buon ricordo... Ma voi capite : al po- sto in cui mi trovo tutto quel che farei, che sono disposto e in grado di fare, non mi sarebbe rimproverato se per un cognato, per un parente. 'Ha tirato dalla galera su o co- gnato: e chi non farebbe altrettanto?': questo dire bbero. Ma per un estraneo..." "E giusto" disse don Raimondo. "Mi fa piacere che lo riconosciate. E dunque pensat eci: parlatene con la signora, con vostra figlia... Doma ni, prima ch'io parta, mi darete una risposta. Ed ora n on ne parliamo più fino a domani." Don Raimondo chiamò la cameriera, fece avvertire le donne che potevano ritornare. La moglie cercava di leg- gergli in faccia, lo scrutava con ansia. Bewero del rosolio e Concettina suonò al piano preghiere e romanze, do n Nicola imbambolato a guardarla, appoggiato al piano - forte, che pareva la testa stesse per rotolargll su lla tastiera e finire in grembo a Concettina. Con grande sollievo degli ospiti, don Nicola si dec ise finalmente, e già la pendola scoccava la mezzanotte , ad

andarsene a dormire. Fece arabesco di parole per au gurare la buona notte. Era appena uscito che la signora si av- ventò su don Raimondo con un "Che voleva?" avido e in- quieto. 1 262 rl mA 1~7A/n1rA A Il mare colore del vmo 1263 Don Raimondo non le rispose. Si rivolse invece a Co n- certina e le domandò se a sua sorella volesse del b ene. Concettina gliene voleva. E tra padre e figlia cominciò a svolgersi, domanda e ri- sposta, un catechismo familiare: e Concettina rispo ndeva nella più pura ortodossia, senza venir meno di un p unto ai principl dell'amore familiare e del sacrificio a i quali con inflessibilità e tenerezza, era stata educata. E infine, quand'ebbe certezza che per la felicità d ella sorella a qualsiasi pena la ragazza si sarebbe vota ta, don Raimondo le disse che bisognava sposare quel don Ni cola Cirino che bastava dicesse una parola perché don Lu igi M. tornasse alla giovane moglie, alle sue terre, ai suoi ma- lati: libero dall'infamia della legge. Concettina si abbandonò a ridere, a ridere; e riden do passò a un pianto convulso, disperato. Ma quando co min- ciò a piangere sua madre, e anche don Raimondo cede va ad un tremito di pianto, si rasserenò: e tra le lac rime disse che sì, avrebbe sposato don Nicola. Per l'impazienza di tutti, di don Nicola che vamDav a d'amore e di don Raimondo e dei suoi che subito lib ero volevano don Luigi M., in gran fretta si strinsero le nozze. Per una settimana la casa veleggiò di tele d'Olanda , di freschissimi lini, di variopinte coltri di lana e d i lucide sete: la parola 'Ietto', astratta nel plurale delle conversa- zioni e dei capitoli nuziali ('ventiquattro letti d i corredo') si faceva singolare e concreta, immagine di disgust o, di febbrile repugnanza, nei pensieri di Concettina. Ma niente traspariva nel suo volto, dolcemente reclina to sul tombolo da cui fioriva il Bambino Gesù col campanel - lino: e don Nicola la guardava estasiato, quel camp anel- lino squillando innocenza nei suoi pensieri di vecc hio gatto in amore e aggiungendovi un tocco, appena un tocco, di gustosa oscenità. Così avvenne che il lavoro di ampia mole e di fonda - mentale importanza cui don Nicola attendeva, L'isti tuto della Monarchia in Sicilia, restò incompleto: ché l 'amore per la giovanissima moglie distrasse l'illustre giu rista e poeta, e poi serenamente lo spense. Una mattina sve glian- dosi, circa sei mesi dopo le nozze, Concettma se lo trovo beatamente morto accanto. Finito nella notte silenz iosa- mente: così come una candela si consuma dopo un ult imo guizzo. Vedova, Concettina tornò alla casa paterna; e molto ricca. Non passarono sei mesi: e fuggì di casa, lunare bel - lezza nel nero delle vesti vedovili, e in una notte di luna, con un giovane di Racalmuto che già da prima, in si len- zio, l'amava. Un giovane bello, elegante, di buona fami- glia: ma liberale e scialacquatore. Don Raimondo li perdonò solo in punto di morte. Di questa storia, che da ragazzo mi fece grande imp res- sione, mi sono ricordato entrando a Palermo nella c hiesa di san Domenico: dove, tra i grandi siciliani, don Nicola Cirino è sepolto. E mi sono deciso a scrlverla per una di

quelle sollecitazioni imprevedibili e gratuite che a volte ci vengono da certe sensazioni, da certi incontri, da certe let- ture. Rileggevo Baudelaire, ed ecco: 'Mais de toi j e n'im- plore, ange, que tes prières, Ange plein de bonheur , de joie et de lumières!' La cattolica reversibilltà: e mi e ve- nuto il titolo di questa breve storia, e la ragione per scri- verla. Reversibilità: di un corpo che ne riscatta u n altro, nella straziante religione della famiglia, di cui a ncor oggi la Sicilia vive, di una ragazza di Grotte che risca tta la li- bertà di un uomo del vicino e nemico paese di Racal - muto. IL LUNGO VIAGGIO Era una notte che pareva fatta apposta, un'oscurità ca- gliata che a muoversi quasi se ne sentiva il peso. E faceva spavento, respiro di quella belva che era il mondo, il suono del mare: un respiro che veniva a spegnersi a i loro pledi. Stavano, con le loro valige di cartone e i loro fag otti su un tratto di spiaggia pietrosa, riparata da coll ine, tra Gela e Licata: vi erano arrivati all'imbrunire, ed erano partltl all'alba dai loro paesi; paesi interni, lon tani dal mare, aggrumati nell'arida plaga del feudo. Qualcun o di loro, era la prima volta che vedeva il mare: e sgom entava il pensiero di dover attraversarlo tutto, da quella deserta spiaggia della Sicilia, di notte, ad un'altra deser ta spiaggia dell'America, pure di notte. Perché i patti erano q uesti: "Io di notte vi imbarco" aveva detto l'uomo: una sp ecie di commesso viaggiatore per la parlantina, ma serio e onesto nel volto "e di notte vi sbarco: sulla spiag gia del Nugloirsl, vi sbarco; a due passi da Nuovaiorche... E chi ha parenti in America, può scrivergli che aspettino alla stazlone di Trenton, dodici giorni dopo l'imbarco.. . Fatevi il conto da voi... Certo, il giorno preciso non pos so assicu- rarvelo: mettiamo che c'è mare grosso, mettiamo che la guardia costiera stia a vigilare... Un giorno più o un giorno meno, non vi fa niente: l'importante è sbarc are in Amerlca". L'importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza. Se ai loro parenti arri- vavano le lettere, con quegli indirizzi confusi e s gorbi che riuscivano a tracciare sulle buste, sarebbero arriv ati anche loro, 'chi ha lingua passa il mare', giustamente di ceva il proverbio. E avrebbero passato il mare, quelrande m are oscuro, e sarebbero approdati agli stori e allearme dell'A- merica, all'affetto dei loro fratelli zii nipoti cu gini, alle calde ricche abbondanti case, alle automobili grand i come case. Duecentocinquantamila lire: metà alla partenza, met à all'arrivo. Le tenevano, a modo di scapolari, tra l a pelle e la camicia. Avevano venduto tutto quello che avevan o da vendere, per racimolarle: la casa terragna il mulo l'asino le provviste dell'annata il canterano le coltri. I più furbi avevano fatto ricorso agli usurai, con la segreta i ntenzione di fregarli; una volta almeno, dopo anni che ne sub ivano angaria: e ne avevano soddisfazione, al pensiero de lla fac- cia che avrebbero fatta nell'apprendere la notizia. 'Vieni a cercarmi in America, sanguisuga: magari ti ridò i t uoi soldi, ma senza interesse, se ti riesce di trovarmi .' Il sogno dell'America traboccava di dollari: non più, il den aro, cu- stodito nel logoro portafogli o nascosto tra la cam icia e la

pelle, ma cacciato con noncuranza nelle tasche dei panta- loni, tirato fuori a manciate: come avevano visto f are ai loro parenti, che erano partiti morti di fame, magr i e cotti dal sole; e dopo venti o trent'anni tornavano, ma p er una breve vacanza, con la faccia piena e rosea che face va bel contrasto coi capelli candidi. Erano già le undici. Uno di loro accese la lampadin a ta- scabile: il segnale che potevano venire a prenderli per portarli sul piroscafo. Quando la spense, l'oscurit à sembrò più spessa e paurosa. Ma qualche minuto dopo, dal r e- spiro ossessivo del mare affiorò un più umano, dome stico suono d'acqua: quasi che vi si riempissero e vuotas sero, con ritmo, dei secchi. Poi venne un brusìo, un parl ottare sommesso. Si trovarono davanti il signor Melfa, ché con questo nome conoscevano l'impresario della loro avv en- tura, prima ancora di aver capito che la barca avev a toc- cato terra. "Ci siamo tutti?" domandò il signor Melfa. Accese l a lampadina, fece la conta. Ne mancavano due. "Forse ci hanno ripensato, forse arriveranno più tardi... Peg gio per loro, ln ogni caso. E che ci mettiamo ad aspettarli , col ri- schio che corriamo?" Tutti dissero che non era il caso di aspettarli. "Se qualcuno di voi non ha il contante pronto" am- monì il signor Melfa "è meglio si metta la strada t ra le gambe e se ne torni a casa: ché se pensa di farmi a bordo la sorpresa, sbaglia di grosso; io vi riporto a ter ra com'è vero dio, tutti quanti siete. E che per uno debbano pagare tutti, non è cosa giusta: e dunque chi ne avrà colp a la pa- gherà per mano mia e per mano dei compagni, una pe- stata che se ne ricorderà mentre campa; se gli va b ene..." - Tutti assicurarono e giurarono che il contante c'er a, fino all'ultimo soldo. "In barca" disse il signor Melfa. E di colpo ciascu no dei partenti diventò una informe massa, un confuso grap- polo di bagagli. "Cristo! E che vi siete portata la casa appresso?" co- minclo a sgranare bestemmie, e finì quando tutto il ca- rico, uomini e bagagli, si ammucchiò nella barca: c ol ri- schio che un uomo o un fagotto ne traboccasse fuori . E la differenza tra un uomo e un fagotto era per il sign or Melfa nel fatto che l'uomo si portava appresso le d uecen- tocinquantamila lire; addosso, cucite nella giacca o tra la camicia e la pelle. Li conosceva, lui, li conosceva bene: questi contadini zaurri, questi villani. 11 viaggio durò meno del previsto: undici notti, qu ella della partenza compresa. E contavano le notti invec e che i glorm, polché le notti erano di atroce promiscuità, soffo- canti. Si sentivano immersi nell'odore di pesce di nafta e di vomito come in un liquido caldo nero bitume. Ne grondavano all'alba, stremati, quando salivano ad a bbeve- rarsi di luce e di vento. Ma come l'idea del mare e ra per loro il piano verdeggiante di messe quando il vento lo sommuove, il mare vero li atterriva: e le viscere g li si strizzavano, gli occhi dolorosamente verminavano di luce se appena indugiavano a guardare. Ma all'undicesima notte il signor Melfa li chiamò i n coperta: e credettero dapprima che fitte costellazi oni fos- sero scese al mare come greggi; ed erano invece pae si, paesi della ricca America che come gioielli brillav ano nella notte. E la notte stessa era un incanto: sere na e dolce, una mezza luna che trascorreva tra una trasp arente fauna di nuvole, una brezza che dislagava i polmoni .

"Ecco l'America" disse il signor Melfa. "Non c'è pericolo che sia un altro posto?" domandò uno: poiché per tutto il viaggio aveva pensato che nel mare non ci sono né strade né trazzere, ed era da d io fare la via giusta, senza sgarrare, conducendo una nave tra cielo ed acqua. 11 signor Melfa lo guardò con compassione, domandò a tutti "E lo avete mai visto, dalle vostre parti, un orizzonte come questo? E non lo sentite che l'aria è diversa? Non vedete come splendono questi paesi?" Tutti convennero, con compassione e risentimento guardarono quel loro compagno che aveva osato una c osì stuDIda domanda. "Liquidiamo il conto" disse il signor Melfa. Si frugarono sotto la camicia, tirarono fuori i sol di. "Preparate le vostre cose" disse il signor Melfa do po avere incassato. Gli ci vollero pochi minuti: avendo quasi consumato le provviste di viaggio, che per patto avevano dovuto por- tarsi, non restava loro che un po' di biancheria e i regali per i parenti d'America: qualche forma di pecorino qual- che bottiglia di vino vecchio qualche ricamo da met tere in centro alla tavola o alle spalliere dei sofà. Sc esero nella barca leggeri leggeri, ridendo e canticchiando; e u no si mise a cantare a gola aperta, appena la barca Sl mo sse. "E dunque non avete capito niente?" si arrabbiò il si- gnor Melfa. "E dunque mi volete fare passare il gua io?... Appena vi avrò lasciati a terra potete correre dal primo sbirro che incontrate, e farvi rimpatriare con la p rima corsa: lO me ne fotto, ognuno è libero di ammazzars i come vuole... E poi, sono stato ai patti: qui c'è l 'America il dover mio di buttarvici l'ho assolto.. Ma datemi ii tempo di tornare a bordo, Gisto di Dio!'; Gli diedero più del tempo di tornare a bordo: ché rimasero seduti sulla fresca sabbia, indecisi, senz a saper che fare, benedicendo e maledicendo la notte: la cu i protezione, mentre stavano fermi sulla spiaggia, si sareb- be mutata in terribile agguato se avessero osato al lonta- narsene. Il signor Melfa aveva raccomandato "sparpagliatevi" ma nessuno se la sentiva di dividersi dagli altri. E Tren- ton chi sa quant'era lontana, chi sa quanto ci vole va per arrivarci. Sentirono, lontano e irreale, un canto 'Sembra un c ar- rettiere nostro', pensarono: e che il mondo è ovunq ue lo stesso, ovunque l'uomo spreme in canto la stessa ma linco- nia, la stessa pena. Ma erano in America, le città che balu- ginavano dietro l'orizzonte di sabbia e d'alberi er ano città dell America. Due di loro decisero di andare in avanscoperta. Cam - minarono in direzione della luce che il paese più v icino ri- verberava nel cielo. Trovarono quasi subito la stra da: 'asfaltata, ben tenuta: qui è diverso che da nol', ma per la verita se l'aspettavano più ampia, più dritta. Se n e ten- nero fuori, ad evitare incontri: la seguivano cammi nando tra gli alberl. Passò un'automobile: 'pare una seicento', e poi un' altra che pareva una millecento, e un'altra ancora: 'Ie n ostre macchine loro le tengono per capriccio, le comprano ai ragazzi come da noi le biciclette'. Poi passarono, assor- danti, due motociclette, una dietro l'altra. Era la polizia non c'era da sbagliare: meno male che si erano tenu ti fuori della strada.

Ed ecco che finalmente c'erano le frecce. Guardaron o avanti e indietro, entrarono nella strada, si avvic inarono a leggere: Santa Croce Ca1narina-Scoglitti. "Santa Croce Camarina: non mi è nuovo, questo nome." "Pare anche a me; e nemmeno Scoglitti mi è nuovo." "Forse qualcuno dei nostri parenti ci abitava, fors e mio zio prima di trasferirsi a Filadelfia: ché io ricor do stava in un'altra città, prima di passare a Filadelfia." "Anche mio fratello: stava in un altro posto, prima di andarsene a Brucchilin... Ma come si chiamasse, pro prio non lo ricordo: e poi, noi leggiamo Santa Croce Cam a- rina, leggiamo Scoglitti; ma come leggono loro non lo sappiamo, l'americano non si legge come è scritto." "Già, il bello dell'italiano è questo: che tu come è scritto lo leggi... Ma non è che possiamo passare q ul la nottata, bisogna farsi coraggio... Io la prima macc hina che passa, la fermo: domanderò solo 'Trenton?'... Qui l a gente è più educata... Anche a non capire quello che dice , gli scapperà un gesto, un segnale: e almeno capiremo da che parte è, questa maledetta Trenton." Dalla curva, a venti metri, sbucò una cinquecento: l'automobilista se li vide guizzare davanti, le man i alzate a fermarlo. Frenò bestemmiando: non pensò a una rap ina, ché lá zona c~ra tra le più calme; credette volesse ro un pas- saggio, aprì lo sportello. "Trenton?" domandò uno dei due. "Che?" fece l'automobilista. "Trenton?" "Che trenton della madonna" imprecò l'uomo dell'au- tomobile. "Parla italiano" si dissero i due, guardandosi per con- sultarsi: se non era il caso di rivelare a un compa triota la loro condizione. L'automobilista chiuse lo sportello, rimise in moto . L'automobile balzò in avanti: e solo allora gridò a l due che rimanevano sulla strada come statue "ubriaconi, cor- nuti ubriaconi, cornuti e figli di..." il resto si perse nella corsa. 11 silenzio dilagò. "Mi sto ricordando" disse dopo un momento quello CUI ll nome di Santa Croce non suonava nuovo "a San ta Croce Camarlna, un'annata che dalle nostre parti an dò male, mlo padre ci venne per la mietitura." Sl buttarono come schiantati sull'orlo della cunett a che non c'era fretta di portare agli altri la notiz ia che s arcati in Sichia. IL MARE COLORE DEL VINO Il treno che nell'estate parte da Roma alle 20,50 - diretto per Re~gio Calabria e Sicilia, annuncia dall'altopa rlante una voce femminile che, nel rivolo dei viaggiatori che si muove verso quel treno, un rivolo che trascina valige leg ate con la cordicella e mappate di tela, evoca e sospende tra i fili della stazione Termini, verso il cielo della sera, un vol to femmi- nile di appena sfiorita bellezza - porta una vettur a di prima classe Roma-Agrigento: enorme privilegio sollecitat o e mantenuto da tre o quattro deputati della Sicilia o cciden- tale. In verità, dei treni diretti al sud, questo è il meno af-

follato: in seconda classe sono pochi i viaggiatori che non trovano posto a sedere; e in prima, specialmente ne lla vet- tura per Agrigento, è possibile avere uno scomparti mento tutto per sé - basta spegnere la luce, tirare le te ndme e di- stribuire bagagli e giornali sui sedili: almeno fin o a Napoli, e se volete essere prudenti fino a Salerno. Superat a Salerno, potete mettervi a dormire, magari in canottiera o a ddirit- tura in pigiama, che nessuno verrà a cercar posto p roprio nello scompartimento vostro. Ma questa comodità rel ativa- mente ai posti la si sconta ad usura sugli orafi: p erciò i sici- liani preferiscono il direttissimo che partendo due ore prima arriva ad Agrigento, estrema stazione, con un van- taggio sul diretto di almeno sette ore. Ma all'ingegnere Bianchi, che per la prima volta si tro- vava a fare un viaggio in Sicilia - a Gela precisam ente: e non per turismo - e non era riuscito a trovar posto nel- l'aereo, consigliarono il diretto e la vettura Roma -Agri- gento: e di prenotare il posto, che c'era il rischi o di pas- sare una notte nel corridoio. Consigli uno peggio d ell'al- tro, e particolarmente quello della prenotazione: c he in uno scompartimento di posti prenotati si trovano se mpre tante persone quanti sono i posti, mentre in altri scom- partimenti, senza prenotazione, c'è tutta la possib ilità di restar soli. Grazie ai consigli, come sempre accade , l'inge- gner Bianchi si trovò a fare un viaggio scomodo in com- pagnia di cinque persone, tre adulti e due bambini, gli adulti loquacissimi, e maleducati i bambini Dei tre adulti, due erano padre e madre dei maleduc ati bambini; e aggregata alla famigliola, per parentela o per amicizia o per casuale conoscenza, era una ragazza di una ventina d'anni, a prima vista scialba e vestita di un mona- cale nero profilato di bianco. I bambini le stavano ad- dosso: il più grande appoggiandosi come pieno di so nno Il più piccolo arrampicandosi fino ad abbracciarle il collo e a strapparle i capelli e poi ridiscendendo a terr a, ad ac- cularsl, In movimento continuo. Il grande si chiama va Lulù e il piccolo Nenè: diminutivi, apprendeva l'in gegner Bianchi un po' prima di arrivare.a Formia, rispetti va- mente di Luigi ed Emanuele. Ma prima di arrivare a For- mia l'ingegnere sapeva quasi tutto sui quattro dell a fami- glia e sulla ragazza che a loro si accompagnava. Er ano di Nisima, un paese in provincia di Agrigento: un gros so paese contadino ricco cli territorio e con ricchi p roprietari; arioso; amministrato dai socialcomunisti, patria di un pezzo grosso del regime fascista; senza stazione fe rrovia- ria; con un antico castello. Marito e moglie insegn avano alle elementari; ed anche la ragazza, ma non ancora da ti- tolare, per incarico. Era venuta a Roma, la famigli a, per- ché un fratello della moglie, Ministero della Difes a gruppo A, una potenza nel ramo pensioni, si era spo sato con una di Roma: ragazza seria, di ottima famiglia, il pa- dre Ministero Pubblica Istruzione, gruppo A, la spo sa laureata in lettere, insegnante in una scuola priva ta; bella Il mare colore del vino 11 mare colore del vino 127 3 ragazza, alta, bionda. Si erano sposati proprio que l giorno, a San Lorenzo in Lucina: bella chiesa; non quanto q uella di Sant'Ignazio, ma bella. Testimoni di gruppo A. L a ra- gazza che era stata loro affidata per il viaggio di ritorno - da un fratello, Ministero Grazia e Giustizia, grupp o A - era invece venuta a Roma per svagarsi: aveva supera ta una grave malattia, il vestito nero profilato di bi anco lo portava per voto a san Calogero, che era protettore di Ni-

sima, miracolosissimo Santo. A Roma, con tante chie se che c'erano, non una dedicata a san Calogero: "e co me è possibile" si chiedeva la moglie; "non una chiesa, non un altare. Ed era un gran Santo". Il marito un po' di san Calogero scetticamente sorr i- deva. La ragazza disse che, da bambina, lei di san Calo- gero aveva paura: nero di faccia, nero di barba, ne ro il manto, e, per la verità, il voto al Santo non era s tata lei a farlo ma sua madre, come se l'avesse fatto lei, per ò: an- cora per un mese, ed era il sesto, doveva portare i l vestito nero profilato di bianco. "Nel crogiolo dell'anno: con questo caldo che fonde le pietre" disse il marito. "E che voto sarebbe, allora?" si risentì la moglie. "Senza un po' di sofferenza il voto non può andare. " "E non basta che tutta Roma si voltava a guardarmi? " disse la ragazza. "Non basta: mortificazione e sofferenza, queste due cose ci vogliono a sciogliere un voto" disse con si curezza la signora. La ragazza fece una lieve smorfia di irrisione. E d i colpo l'ingegnere la vide diversa. Aveva un bel sen o sotto quel tetro vestito, un bel corpo. Ed occhi luminosi . "Sciolgo un voto" disse il bambino più piccolo scio - gliendosi le scarpe e calciando per lanciarle in ar ia. Una scarpa gli rimase attaccata, l'altra colpì al petto l'inge- gnere. "Nenè!" urlarono padre e madre per ammonizione e minaccia. Domandarono scusa all'ingegnere, l'ingegn ere restituendo la scarpa disse "ma di niente: i bambin i, si sa..." ed era stato davvero niente, non sapeva quel che Nenè e Lulù gli riserbavano per il lungo viaggio: d a Na- poll, dove del tutto si scatenarono, a Canicattì "Questa storia dei voti!" disse il marito continuan do il discorso mentre rimetteva la scarpa a Nenè. "Roba v ec- chia quanto il cucco: superstizione, ignoranza. ." "Ma tu la Scala Santa te la sei fatta" polemizzò ac re la moglle. "Che c'entra?" disse il marito: colpito a morte, si ve- deva. "C'entra: lasciamo giudicare il signore se c'entra o non c'entra" disse implacabile la moglie. L'ingegnere f ece un mezzo sorriso e un timido gesto di rinuncia. "No" disse la signora "deve dirglielo lei se c'entr a o non c'entra che lui va a farsi la Scala Santa e poi ride dei voti che si fanno ai Santi." "Me lo dica pure" incoraggiò il marito: con la grac ile speranza di un'assoluzione. "Che vuol dire farsi la Scala Santa?" chiese l'inge gnere: ma per prender tempo. "Non lo sa?" si meravigliò la signora. "Ne ho una vaga idea, forse un ricordo" disse l'ing e- gnere. "Una vaga idea, un ricordo... Ma scusi: lei è o non è cattolico?" "Sono cattolico, ma..." "La pensa come me" scattò trionfante il marito. "Tu la Scala Santa te la sei fatta" disse, a fulmin arlo ancora, la moglie. "Per farti compagnia" azzardò il marito. "Voglio mangiare!" gridò Nenè. "Voglio mortadella voglio banane." "E io voglio un'aranciata" disse Lulù.

"Mortadella niente, ti fa venire l'orticaria" disse la ma- dre. Indicò macchioline rosse sulle braccia di Nenè "Mortadella: o faccio come l'asino di don Pietro" d isse Nenè con una faccia che prometteva immediata attua- zione. "Come fa l'asino di don Pietro?" gli chiese la raga zza: divertita, ché evidentemente lo sapeva. Nenè scivolò dal sedile per dare una risposta figur ata. "Per carità!" gridarono padre e madre agguantandolo . L'asino di don Pietro, spiegarono all'ingegnere, us ava strusciarsi a terra a gambe per aria, furiosamente. Nenè riusciva a farne una perfetta imitazione. Gli diedero mortadella. "L'aranciata" gemette Lulù "l'aranciata l'aranciata ..." "A Napoli" promisero tutti, compreso l'ingegnere. A d ottenere quel che voleva, Lulù si serviva di irresi stibili la- menti, mentre Nenè usava la minaccia e il ricatto. L'inge- gnere preferiva i modi diretti e sbrigativi di Nenè , il la- mento di Lulù gli arpeggiava maledettamente i nervi . Sbaciucchiato da padre e madre Lulù si placò. L'int er- mezzo era stato provvidenziale: lo scabroso argomen to della Scala Santa era caduto. "Lei non è sposato" affermò la signora dopo una ra- pida occhiata alla mano sinistra dell'ingegnere. "La gente con la testa sulle spalle non si sposa" s cherzò il marito. "Questo è vero, se tu ti sei sposato" disse la mogl ie. "Io invece penso" disse l'ingegnere "che la gente c on la testa sulle spalle, presto o tardi, sposa: io lo farò un po' tardi, ma lo farò." "Lo senti?" disse la moglie, in rimprovero al marit o. "Così parla la gente che ha senso." "Ma io scherzo... Però a voler parlare sul serio, i n ge- nerale, oggettivamente, ii matrimonio è un errore.. . Sog- gettivamente, personalmente, non ho ragione di lame n- tarmene: mia moglie, non dico per dire o perché lei è pre- sente, è veramente un angelo" la signora chinò, imp rovvi- samente radioso, il volto "e poi ci sono questi due anglo- letti..." accarezzò la testa di Nenè, che gli era v icino: e per ricambiare Nenè gli strofinò il musetto, lucido del grasso della mortadella, sulla camicia di seta cruda: cami cia da cerimonia, che non aveva fatto a tempo a cambiarsi dopo il matrimonio del cognato. "La camicia!" gridò la si~nora. Era ormai troppo ta rdi fioriva di un grasso geroglifico. "Gioia mia" disse il padre "la camicia a papà hai r ovi- nato. " "Voglio ancora mortadella" disse Nenè. "Nomina ancora mortadella: e viene il maresciallo a d arrestarti" minacciò il padre. "Non la nomino: la voglio" disse Nenè prontamente aggirando il veto. "E intelligente quanto un diavolo" disse il padre c on orgoglio. "La voglio" ribadì Nenè. "No no e no" disse il padre. "Appena arriviamo a casa" disse Nenè "a zia Teresin a racconterò che l'avete sparlata con zio Totò." "Noi l'abbiamo sparlata?" disse la madre mettendosi la mano sul petto, preoccupata ed accorata. "Tu e papà: avete detto a zio Totò che la zia è ava ra, che non si lava, che fa azioni maligne..." precisò Nenè con feroce memoria.

"Gli do la mortadella" disse il padre. "Dagliela" approvò la madre "e quando sarà tutto rosso d'orticaria, tutto prurito, andrà a farsi gra ttare da zia Teresina." "Mi gratto contro il muro" disse Nenè vittoriosamen te afferrando la mortadella che il padre gli porgeva. L'ingegnere vide, nel velo di silenziosa apprension e che scese sui genitori di Nenè, acuto e mobile come que llo di un furetto il volto di zia Teresina. Per distoglier li dall'am- bascia disse "Siamo già a Napoli" che le luci della città già punteggiavano la notte. L'annuncio scosse Lulù, che se ne stava come in dor mi- veglia languldamente appoggiato al fianco della rag azza: gridò che voleva l'aranciata. Mentre il treno scivolava lungo il marciapiede il g rido "sfogliate sfogliate" incuriosì Nenè. Il padre gii spiegò che si trattava di un dolce di pasta a sfoglia e di crema, Nenè con entusiasmo, e col solito garbo, ne chiese uno. L'ingegnere offrì l'aranciata a Lulù e la sfogliata a Nenè. Tanta gentilezza verso i bambini provocò un'ondata di ringraziamenti e una formale presentazione: profess or Miccichè, ingegnere Bianchi. Nenè, che già al primo morso aveva mostrato invinci - bile disgusto, come la bottiglia di spumante al var o di una nave, sulla festa della presentazione lanciò la sfo- gliata: evidentemente mirando alla testa di suo pad re e per poco mancandola. "Facchino" dissero padre e madre insieme. "E una porcheria" disse Nenè "voglio un cannolo." "Un cannolo?" disse il professor Miccichè. "E come lo trovo, alla stazione di Napoli, un cannolo?" "Me ne fotto: io voglio un cannolo" disse Nenè sve- lando una inclinazione al linguaggio forte fino a q uel mo- mento, dall'ingegnere, insospettata. La ragazza rise. Il professor Miccichè e signora sm ania- rono di disperazione, minacciarono l'immediato arri vo del maresciallo con frusta e catene, pregarono l'ingegn ere di guardare nel corridoio: ché il maresciallo, richiam ato dal turpe linguaggio di Nenè, sicuramente stava per arr ivare. L'ingegnere guardò nel corridoio, certificò la pres enza del maresciallo. "Il maresciallo è un cornutaccio" disse Nenè a bass a voce: aveva paura, ma non voleva cedere. Una disputa si accese tra marito e moglie per stabi lire dove e da chi Nenè avesse appreso le parolacce. Il circolo, dove di solito il padre lo conduceva nelle ore pome ri- diane, era, secondo la signora, la bolgia del turpi loquio; e certi Calogero Mancuso e Luigi Finisterra i più dir etti re- sponsabili della corruzione linguistica di Nenè: gi ovani che non avevano niente da fare e pigliavano a passa tempo l'innocenza di un bambino. "Lei non immagina nem- meno" disse la signora rivolta all'ingegnere "le co se che gli insegnano: cose d'inferno, persino sui Santi, p ersino sul Papa... Fortuna che il bambino le dimentica." La smentita di Nenè fu immediata: "Il Papa è..." ma due mani, una della madre e una del padre, corsero a tam- ponargli la bocca, da dove la terribile definizione , come acqua dallo squarcio di una conduttura tappato con mezzi di fortuna, sibilò non del tutto indecifrabile. "Ha visto?" disse la signora all'ingegnere. "E io c re- devo che avesse dimenticato... Cose di questo gener e gli msegnano." Naturalmente, sempre secondo la signora, ciò non si

sarebbe mai verificato se il padre, invece di gioca re al cir- colo la partita a quaranta, avesse fatto attenzione al bam- bino: il professor Miccichè sul quaranta ci perdeva il senno. Ma secondo il professore le cose stavano in tutt'al tro modo: non al circolo, palestra di elevati senriment i e di ca- stigato linguaggio, si dovevano le vivaci espressio ni di Nenè, ma al cortile, abitato da gente zotica, sul q uale dava un balcone della loro casa: ed era da ascrivere a c olpa della signora se Nenè a quel balcone stava per ore affacc iato. Nenè si pronunciò a metter fine alla disputa: "Al c ir- colo" lapidariamente. Il professore si afflosciò, m a la si- gnora non abusò del trionfo: cambiò discorso anzi, lan- ciandosi a ricordare, poiché il treno ripartiva, ii loro viag- gio di nozze che a Napoli, dopo Taormina, aveva avu to la seconda tappa. Era già mezzanotte. 'Qui non si dorme' pensò l'inge - gnere: e se non gli conveniva cambiare scompartimen to che ce n'erano quasi vuoti. Ma in verità non aveva sonno e all'irritazione per esser capitato tra persone di così in- contenibile loquacità, e con quei due terribili bam bini per giunta, era subentrato il divertimento e ora, sul p unto di decidersi a lasciare lo scompartimento, qualcosa di vago e di indefinito che non si poteva dire affezione, ma all'affe- zione somigliava. Non aveva mai avuto dimestichezza coi bambini e aveva sempre creduto di non poter sopport arne la compagnia, sempre nei viaggi aveva osservato la regola di non prender posto negli scompartimenti in cui c' erano bambini; ma Nenè decisamente gli piaceva. E gli pia ceva la ragazza: ad ogni gesto che faceva, ad ogni parol a che diceva, si faceva più viva e desiderabile. 'Il fatt o è' pen- sava l'ingegnere 'che un viaggio è come una rappres enta- zione dell'esistenza, per sintesi, per contrazlone di spazlo e tempo, un po' come il teatro, insomma: e vi si ri creano intensamente, con un fondo di finzione inavvertito, tutti gli elementi, le ragioni e i rapporti della nostra vita.' Si decise a comunicare al professore il suo proposito di tra- sferirsi ad altro scompartimento: per lasciarli più liberi, disse, per dare un po' più di spazio ai bambini. "Nemmeno per sogno" disse il professore "lei non deve scomodarsi: se mai, ce ne andiamo noi." Si scambiarono complimenti e gentilissime proteste: e infine decisero che dallo scompartimento non si sar ebbe mosso nessuno. Lulù disse che aveva sonno, e voleva spenta la luce . "Niente scuro: io debbo guardarmi dal maresciallo" disse Nenè che non aveva, nei riguardi del marescia llo, tranquilla coscienza. "Spegnete la luce!" gridò Lulù. "Voglio dormire." Fulmineo Nenè passò, per dirla col linguaggio di un maresciallo, a vie di fatto: scivolò dal suo posto e si ab- batté su Lulù con un morso al di sopra del ginocchi o. Lulù gridò, furiosamente si afferrò ai capelli del fratello. Li separarono stringendo il naso a Nenè, a fargli l asciare la presa del morso, ed aprendo una ad una le dita d i Lulù. Nenè ebbe dal padre un leggero schiaffo e Lulù una leg- gera ammonizione. "Ma chi è questo maresciallo?" sorridendo chiese l' in- gegnere a Nenè. "E un figlio di..." nuovo, rapido tamponamento dell a bocca di Nenè, ma senza apprezzabile risultato. "Gesù Bambino piange: ogni volta che tu dici cose c at- tive, piange" disse la madre. "Dov'è Gesù Bambino?" domandò Nenè.

"E in cielo ed è qui: è in ogni luogo." "Non l'ho mai visto" disse freddamente Nenè. "Non si vede, ma c'è." "Se non si vede, non c'è." "Scomunicato!" disse la madre. 1280 /I mare colore del vino "Andrai all'inferno" postillò Lulù. "All'inferno ci vanno i marescialli" disse Nenè. Risero tutti, anche sua madre. "Diavolo, diavolo che sei" disse suo padre dolcemen te accarezzandolo. E all'ingegnere: "Ma lo sente? Ha m ai co- noscluto un bambino come questo?" con gli occhi luc enti di orgoglio. L'ingegnere disse "Mai" ed era vero. "Non è cattivo" disse la madre "è soltanto nenoso.. . Se lel vedesse quanto è generoso: non può avere una cosa nuova, un giocattolo, un libro illustrato, che subi to la re- gala; e ai poveri darebbe la casa con tutto quello che c'è dentro; appena viene un povero a chiedere l'elemosi na lui perde la testa: mamma, diamogli un vestito; dia mogli un materasso; diamogli dei piatti... E convinto che la po- verta sla mancanza di materassi e di piatti, è osse ssionato dall'idea che i poveri dormano per terra e mangino la mi- nestra nelle scatole di latta che buttiamo via..." "Dormono davanti la chiesa" disse Nenè "e mangiano nelle buatte del pomodoro: l'ho visto io. E muoiono ." "No che non muoiono" disse il padre. "Muoiono" disse Nenè con un tono che non ammet- teva replica. E aggiunse-"Ma io mi faccio povero: e i po- veri non muoiono più." "Vuol farsi povero!" irrise Lulù. "Getino, te l'ho detto mille volte: uno può farsi dottore, può farsi prete , non può farsi povero." "Vero che uno può farsi povero?" domandò Nenè al padre. "Certo, certo: può farsi povero... Come no?" rispos e precipitosamente il professor Miccichè. "Lo vedi?" disse Nenè a Lulù. "Tu sei un cretino, n on sai che uno può anche farsi povero." "E io mi faccio maresciallo" disse Lulù "e così arr esto te e tutti i poveri." Il colpo era forte. Nenè si mosse. "Mi morde!" gridò Lulù alzando i piedi in posizione da respingerlo. Il mare colore del vino "Non ti mordo: mi sono alzato perché voglio farmi quattro passi. E che sempre seduto debbo stare?" di sse Nenè con un tono che trasudava falsità e rivolgendo si a tutti per avere approvazione. Ma un momento dopo er a di nuovo seduto, assorto, si vedeva, in malinconici pen- sieri. E così, lentamente, il sonno lo colse. Fu spenta la luce, abbassati di qualche centimetro i ve- tri e chiuse le tendine. "Speriamo di prendere un p o' di sonno, ché abbiamo ancora quindici ore di viaggio: buo- nanotte" disse il professor Miccichè. Tutti dissero buona- notte, anche Lulù già impastato di sonno. Erano le due. L'ingegnere aveva a lato la ragazza e accanto alla ra- gazza stava dall'altro lato Lulù; i posti di fronte erano oc- cupati dal professore, da Nenè e dalla signora. Nen è dor- miva agitato, forse il maresciallo appariva sulla s oglia del suo sonno facendo fischiare il nerbo di bue e tinti nnare le

manette. Era un bambino non propriamente bello, più bello era indubbiamente Lulù; ma era straordinario, apriva una dimensione di affetti, di pensieri, di r apporti che l'ingegnere Bianchi non aveva mai considerato. Lo guardava con un sentimento quasi struggente: come u n significato dell'esistenza che fino a quel momento gli era sfuggito. La vita, anche la sua vita di tecnico, so prattutto la sua vita di tecnico, consisteva in definitiva ne l fatto che Nenè aveva quattro anni contro i trentotto suoi. 'N on si può aver fede nella tecnica senza aver fede nella v ita: non si può andare in orbita intorno alla terra se non p er il fatto che ci sono bambini che hanno quattro anni, b am- bini che nascono, bambini che nasceranno. Ma la nos tra società comincia a vedere i bambini come problema, come già negli Stati Uniti, con tutto lo studio di pedago- gia e di medicina che si svolge sul problema della loro li- bertà.' 'Il punto è questo: i bambini non sono un p ro- blema. Una società che se li pone come problema li di- stacca da sé, provoca una soluzione di continuità. Lulù e Nenè non sono problemi per il professore Miccichè e per la signora: e sì che sono maestri, e ad un concorso sa- ranno andati a ripetere tutte le teorie, di america ni e di svizzeri, sull'educazione.' 'A proposito di svizzer i: da una società come quella svizzera, che pare disinfestata dei germl della tragedia e della storia, vien fuori que ll'inge- gner Faber di Max Frisch. La tragedia greca e il po litec- nico di Zurigo. La tragedia dell'uomo tecnico. E va a esplodere nell'antica terra di Grecia, dove la fata lità è an- cora in agguato.' 'Un momento: stavi pensando ai ba m- bini, l'ingegner Faber non c'entra.' 'C'entra: ma b isogna pensarci su con più chiarezza, ora il sonno ti sta pren- dendo.' 'Ecco: la Grecia, la Sicilia, forse è quest o il punto.' 'Il liceo classico! Ad ogni cosa tiriamo fu ori la Grecia.' 'Ma sì, è un fatto: in Svizzera in ogni ba mbino tu vedi lo svizzero che diventerà, in Grecia l'individ uo l'uomo... Ed anche in Sicilia, immagino: questi due bam- bml...' 'Sono luoghi in cui non c'è l'educazione: n on ci sono regole, tecniche, abitudini educative; ci sono gli af- fettl: e credono, i greci, i siciliani, che non ci sia problema nella vita che l'affetto non possa risolvere.' 'Ris olvono così anche la morte' pensò mentre lievi ondate di s onno attraversavano la sua mente. Il caldo lo svegliò. Nel sonno la testa della ragaz za era scivolata dalla spalliera sul suo petto: dormiva un sonno duro, senza respiro. L'ingegnere ne ebbe tenerezza, indefi- mblle giQIa: per quei capelli che quasi sfioravano la sua bocca, per il seno che premeva il dorso della sua m ano. Il suo corpo, ormai sciolto dal sonno, si fece intento . Dormivano tutti, il professore addirittura ronfava. Erano già nelle Calabrie; alle fermate, nell'improv viso di- lagare del sllenzlo notturno, si sentivano frasi in dialetto. Ad un momento il treno si fermò in riva al mare, il suono del mare Sl fece immagine, come nelle illusioni del ci- néma, una di quelle dissolvenze in cui le figure um ane ap- punto si dissolvono nell'avanzare delle onde, l'ing egnere se ne sentì penetrato, disciolto: ed era, indecifra to, il suo sentimento di accordo col mondo, con la natura, con l'a- more. Quando il treno si mosse, l'ingegnere sentì Lulù ag i- tarsl: qualche momento dopo, improvvisamente, se lo vide di fronte. Il bambino lo guardava di muto stup ore e rimprovero: poi prese tra le mani il volto della ra gazza e con sforzo lo sollevò, lo raddrizzò verso la spalli era. 'E ge- loso' pensò l'ingegnere 'è geloso: si è attaccato a lla ra-

gazza come un innamorato, perciò se ne è stato quie to, sempre accanto a lei.' La ragazza si svegliò, capì. "Mi scusi" disse all'ingegnere, e a Lulù: "Rimettiti a dormire, gioia, è ancora notte, ora ti do il mio posto, così ti di- stendi e dormi tranquillamente". Lo sistemò sui due posti, gli accarezzò i capelli. Lulù non parlò: lauardava con risentimento e Insleme con implorazione, forse cuocendosi in una pena senza no me. La ragazza uscì nel corridoio. A seguirla, l'ingegnere aspettò che Lulù si fosse r iaddor- mentato. Stava in fondo al corridoio, premendo di p rofllo il volto contro il vetro, ancora come abbandonata allo spec- chio del sonno. L'ingegnere le si avvicinò dicendo "Si è riaddormentato" e poi, dopo una lunga pausa "E gelo so." Mi vuol bene" disse la ragazza. "Non è come Nenè: è più chiuso, più malinconico... Nenè è straordinario?' disse l'ingegnere. "E terribile, Nenè: lei ancora non ha visto tutto q uello che è capace di fare... La povera Lucia ci perde la testa." "La signora si chiama Lucia? Mi pare che il manto l a chiami diversamente." "La chiama Etta, Lucietta... Io mi chiamo Gerlanda, ma mi dicono Dina, Gerlandina... Non c'è uno in Sic ilia che sia chiamato col suo nome netto, anche se è un bel nome." "Gerlanda è un bel nome." "Non è un bel nome: è pesante, c'è una gerla dentro ..." "Non l'ho mai sentito in altre parti d'Italia." "Si trova solo in provincia di Agrigento: san Gerla ndo è il protettore della città, il primo vescovo." "E san Calogero era vescovo?" "No san Calogero era eremita... Erano sette fratell i, dice la ieggenda, tutti e sette di nome Calogero: u no è ve- nuto nella campagna di Nisima. Sette bei vecchi: Ca lo- 1284 Il mare colore del vino | Il mare colore del v ino 1285 gero in greco vuol dire bel vecchio. Ma io non cono sco il greco. E lei ?" "L'ho studiato, ma non posso dire di conoscerlo." "Avrei voluto studiarlo: ma una ragazza che fa il l iceo dicevano i miei, poi deve andare all'università; e come si fa a mandare sola una ragazza, in una città come Pa - lermo ?" "In Sicilia tutte le famiglie pensano così~" "Oh no, non tutte." "La sua è una famiglia particolarmente severa~" "Non particolarmente: in Sicilia ce ne sono ancora tante che vedono la vita in un certo modo che diffi - dano..." "Di che?" "Del mondo, di se stessi... E non è che abbiano del tutto torto... Io prima della malattia ero più inso fferente, plU Impazlente: avrel voluto fare un concorso per i l conti- nente, andarmene... Ora vedo le cose un po' diversa - mente: mi pare che la vita abbia perduto di serietà , che ognuno sia disposto a tradire gli altri, tutti gli altri.. Non riesco a spiegarmi, vero?" "Lei si spiega benissimo." "A Roma, ad Ostia, seduta ad un caffè, vedendo scor - rere una fiumana di persone, ho pensato che nessuno stesse con gli altri, anche se parlavano, scherzava no, anda- vano a braccetto: dietro alla vita come dietro un c arro fu- nebre, quando ognuno pensa 'sono vivo, è toccata a quel- l'altro, io non muoio' e che tutti gli altri, e il mondo

stesso, sarebbero morti prima... E mai stato ad un accom- pagnamento funebre?" "Qualche volta." "Io un paio di volte... E dunque capisce quel che v o- glio dire, anche se lo dico con confusione: si va a ppresso alla gioia così..." "Lei sta dicendo cose profondamente vere." "Forse sono pensieri così, di una che esce da una m alat- tia. Ma a lei non pare che la vita abbia perduto di se- rietà?" "Non in tutto il mondo" disse l'ingegnere. "Oh no, non in tutto il mondo: io credo che al mio paese la vita sia ancora seria... Ma le apparenze s ono grette, intollerabili... Lei sta pensando che sono gretta an- ch'io, all'antica: e poi vestita così..." "No no" protestò l'ingegnere "sto pensando tutt'al- tro." "A me la vita piace: mi piacciono le belle cose, i bei vestiti... E mi piacerebbe darmi il rosso alle labb ra, e pro- vare a fumare." "Lei è la ragazza più incantevole che io abbia cono - sciuto: anche vestita del voto a san Calogero, e se nza il rosso alle labbra." Lei abbassò gli occhi, cominciò a muovere l'indice sul vetro come scrivendo. "Sta scrivendo qualcosa?" dom andò l'ingegnere. "Come?" "Voglio dire sul vetro: mi pareva lei scrivesse qua l- cosa." "Oh sì, il mio nome: quando sono m confuslone m trovo a scrivere il mio nome." "Lei non deve sentirsi confusa se le dico che è una bella ragazza, e che mi piace parlare con lei: perc hé è la verità." "Oh" disse la ragazza: e congiunse le mani, come pe r impedirsi di scrivere ancora il suo nome sul vetro. "Forse non è saggio tentare di portare un incontro come il nostro oltre la destinazione del viaggio, m a voglio dirle che mi piacerebbe rivederla." La testa del professor Miccichè si affacciò nel cor ridoio: pareva decollata tra le tendine incrociate, grondav a, come di sangue quella del Battista, di sonno e di diffid enza. "E perché ve ne siete andati?" disse, con una certa lr ntazione La ragazza disse all'ingegnere "Anche a me" con sem - plicità; e si avviò a placare la diffidenza del pro fessore. Il treno entrava nella stazione di Paola: e appena spento lo stridio dei freni si accesero le grida "f ragole, fra- gole" che il professor Miccichè aspettava con seice nto lire in mano: un bicchiere di fragole per ciascuno, comp reso l'ingegnere. I bambini si svegliarono: ancora con gli occhi chiu si tesero le mani verso le fragole. "Tu e le tue fragole!" disse la signora. "Li hai sv e- "Non sono stato io: si sono svegliati per le grida dei venditori" Sl scusò il professore. "Tu ti sei mosso prima delle grida" disse la signor a. "Mi sono mosso" spiegò il professore "perché..." s' in- terruppe, confuso: e con gli occhi, impercettibilme nte ammlccò verso la ragazza e l'ingegnere. Ma in lei a ffiorò, mvece che la tutoria preoccupazione del marito, la voca- zione di ogni donna sposata ad avviare altre donne verso

il matrimonio: nel caso particolare alimentata dal roman- zesco di un viaggio in treno, di un ingegnere conti nen- tale, di una buona ragazza di paese. Nenè, che aveva appena cominciato le sue, disse "Vo - glio ancora fragole." "Ci sono le mie: io non le mangio" disse la signora . "E o non è maleducato?" disse il professore chieden do a tutti approvazione. "Non finirà nemmeno il suo bicchiere: parla perché ha la bocca, come te" disse la signora: e intendeva ri mprove- rare al marito la piccola gaffe di un momento prima , quando Sl era mterrotto. "Mangerò il mio e il tuo: e altri dieci, altri cent o bic- chieri di fragole" disse Nenè. "Mangerò cento bicchieri di fragole!" caricaturò Lu lù. "Duecento, mille" si intestardì Nenè: ma già stracc a- mente dava fondo al suo bicchiere. Un momento dopo lo porse alla madre dicendo "Le mangerò più tardi." "Uh uh uh" burlò Lulù. "Non mi rompere le scatole" ammonì Nenè. "Non parla perché ha la bocca" si rivalse il profes sore "parla perché è un facchino... Ma ti metto a sesto io: ti chiudo in un collegio ti chiudo." 1286 Il mare colore del vino 1287 "In mezzo agli orfanelli?" si informò accademicamen te Nenè. "Proprio: in mezzo agli orfanelli." "Se tu non muori non mi prendono: tu muori e io me ne vado con gli orfanelli." Il professore brancicò sulla parete in cerca di fer ro, si attaccò al portacenere. Così immunizzato dalla mort e, col solito orgoglio disse all'ingegnere "Sente che logi ca?" E a Nenè "Non ti illudere: ti prendono anche con me viv o, basta che io dica una parolina a padre Ferraro." Ma giustamente prevedendo la reazione di Nenè scatt ò in piedi e chinandosi minaccioso disse "Non ti azza rdare a dire quello che stavi per dire su padre Ferraro: che ti do una pestata da fartene ricordare per cent'anni." "Non lo dico: lo penso" disse Nenè per niente scon- volto. Nervosamente il professore si passò più volte la ma no sulla faccia, poi rise. Risero tutti. E mentre ride vano il controllore apparve a chiedere i biglietti: glieli diedero, il professore si informò sugli orari. E appena se ne f u an- dato, Nenè comunicò "Sto pensando ancora a padre Fe r- raro." "Gesù!" si accorò la signora. Ma il professore, l'i nge gnere e la ragazza stavano ridendo fino alle lacrim e. Giunsero a Villa San Giovanni dopo aver variamentc commentato la vivacità di Nenè e dopo aver sedato u n paio di zuffe repentinamente esplose tra Nenè e Lul ù: e ricordo degli interventi pacificatori, le camicie d el profes sore e dell'ingegnere erano punteggiate del colore delle fragole. Il professore, euforico, propose che si andasse tut ti in coperta, sul traghetto, a prendere 11 caffe. "E le valige?" disse la signora. "Già, le valige..." si costernò il professore. E co n la vo- luttà autodenigratoria del siciliano spiegò all'ing egnere che, avvicinandosi alla Sicilia, era buona regola n on la- sciare mai incustodite le valige: che era tutt'altr a cosa che al nord, dove, a immaginazione del professore, le v alige si

1288 Il mare colore del vino muovono soltanto, come cani, coi loro legittimi pro prie- La signora, che aveva in mente un suo disegno, pro- pose una soluzione: che andassero su prima Dina e l 'inge- gnere e poi, al loro ritorno, ma che facessero con comodo sarebbero andati lei e il marito, coi bambini, a pr endere ii caffe. Le proteste dei bambini, che erano impazienti di sa lire in coperta, furono autorevolmente represse. Il prof essore per la verità, non sembrava persuaso: era dilacerat o tra la responsabilità assunta col fratello della ragazza e il piacere di agevolare un idillio. Ma la decisione della sign ora lo travolse. Così si ritrovarono soli, la ragazza e l'ingegnere, sullo stretto di Messina sfolgorante del primo sole. Pres ero di fretta un caffè e poi sedettero, in silenzio, di fr onte a Mes- sina: candida, nitida. Dalla notte insonne alla luce del mattino sul mare, i loro pensieri erano come abbagliati. Quando il trag hetto cominciò a muoversi la ragazza disse "Scendiamo: i bam- bini saranno impazienti di venir su." Erano più che impazienti: Lulù frignava e Nenè era di- steso, in silenziosa protesta, sul pavimento della vettura. Il professore lo additò al ludibrio della ragazza e del- l'ingegnere: "Guardatelo: c'è differenza tra lui e un cane?" ma Nenè era già balzato fuori, seguito da Lu lù e dalla signora. Il professore era già nel corridoio quando il pensi ero che stava per lasciare la ragazza con un uomo, in u na vet- tura quasi deserta, lo trafisse: tornò indietro e, a togliersi scrupolo se non preoccupazione, chiese alla ragazza se vo- leva tornar su, in loro compagnia. La ragazza disse di no, che era stanca. "Il professore diffida" disse l'ingegnere. "Vuole riportarmi a casa sana e salva" sorrise la r a- gazza. "Spero che non ci riesca" disse l'ingegnere "spero che lei..." non trovava più le parole. Il mare colore del vino "Sì" disse la ragazza arrossendo. Non dissero più niente. Trovandoli così silenziosi il professore precipitò in un dubbio: o che l'ingegner e era stato tanto gentiluomo da non aver nemmeno osato di parlare, in sua assenza; o che, al contrario, lo fo sse stato tanto poco da tentar qualcosa ed essere respinto. C ol muto linguaggio degli occhi, delle palpebre, la sig nora glielo risolse: l'idillio continuava, ma niente di men che corretto, bastava guardarli in faccia. Il professore si rasserenò: ma gli pareva fosse ven uto il momento di sapere, poiché la signora gli assicurava che l'idillio c'era, con chi aveva a che fare: ingegner e, va bene; scapolo, almeno così si dichiarava; età, ad o cchio e croce, trentacinque; simpatico; apparentemente di b uon carattere... Ma bisognava andare un po' più a fondo . Do- mandò "Lei è veneto, vero?" che a Marostica il prof essore aveva fatto il corso ufficiali. "Vicenza" rispose l'ingegnere. "Città bella, città civile" disse il professore. "Vicenza, Vincenza, Vincenzina: zia Vincenzina" gio cò Lulù. "Il panedispagna di zia Vincenzina" disse Nenè suc-

chiando dalle dita i resti di una tavoletta di cioc colato. "E lei risiede a Vicenza?" continuò ad inquisire il pro- fessore. "Così, anagraficamente, diciamo; ma raramente mi ca - Pita di fare una scappata: c'è mia madre, ci sono i miei fratelli... Sono stato per molto tempo fuori d'Ital ia: in America, in Persia... Ora in Sicilia, a Gela." "Petrolio?" "Petrolio." "Anic?" "Anic." "E allora mi dica, in confidenza: c'è o non c'è a G ela il petrolio?" domandò il professore abbassando la voce ad un sussurro. "Ma certo che c'è." "Perché, vede, corre voce che sia, come dire?, tutt a una montatura: che petrolio ce n'è tanto poco che il gi oco non vale la candela." "Ma è pazzesco!" disse l'ingegnere. "E quello che dico anch'io. Ma a volte, sa com'è?, mi viene il dubbio che questo Mattei faccia le cose pe r gettare polvere negli occhi... Ma intendiamoci: per essere un genio è un genio, non si discute... Anche se Gela è tutto un im- broglio, ad armare un imbroglio simile ci vuole un genio." "Non è un imbroglio" assicurò l'ingegnere. "Se lo dice lei..." disse il professore, alzando le mani come ad arrendersi. E lasciando la pista dell'Anic tornò a quella, di più immediato interesse, dell'ingegnere Bian- chi. "E a Gela ci resterà per molto?" "Credo di sì: se non propriamente a Gela, in Sicili a... A Troina, a Gagliano..." "La Sicilia le piace?" "Credo che mi piacerà molto: non ci sono mai stato" disse l'ingegnere guardando la ragazza. "Lo sentite?" disse il professore rivolto alla mogl ie e alla ragazza. "Ha girato mezzo mondo e non conosce la Sicilia! Cristo di Dio, tutti così questi continent ali!" "Ma ho sempre desiderato fare un viaggio in Sicilia " si scusò l'ingegnere. "Certo certo: la terra dove splendono sovra cupo fo - gliame arance d'oro" citò il professore con ironia, con amarezza. "Succede sempre così" disse la signora, in soccorso al- l'ingegnere e a smorzare il risentimento del marito "che si rimanda da un anno all'altro: e le cose che più des ide- riamo vedere finisce che non le vediamo mai, o solt anto per un caso... Noi, per esempio, non siamo ancora s tati a Piazza Armerina: ed è da quando siamo sposati che m io marito va dicendo che dobbiamo andarci." "E vero" approvò il marito "succede sempre così. Ma io, quando sento che uno, all'età dell'ingegnere... Mi scusi, quanti anni ha lei?..." che non perdeva di v ista lo scopo di apprendere tutte le possibili notizie sul compa- gno di viagglo. "Trentotto." "...Che uno, a trentotto anni, non conosce la Sicil ia: ebbene, non lo faccio apposta, ma mi viene una cert a rab- bia... Perché poi (si capisce che parlo in generale ), senza conoscere, senza sapere, dall'alto del loro bum o c ome si chiama, del loro miracolo economico, insomma, tagli ano e arrostono questa povera Sicilia come pare e piace a loro... E io allora dico: bum un corno, questo bum voi lo fate sulla nostra pelle, voi ci state friggendo con lo stesso

olio nostro... Per carità, cambiamo discorso." Lulù e Nenè, fingendo di impugnare un'arma, a vi- cenda si mitragliarono di bum bum bum. "E stato sep ara- tista" disse la signora, a spiegare la passione del marito. "Indipendentista" corresse il professore "e lo sono an- cora." "Ora avete il petrolio" disse l'ingegnere, a consol arlo. "Il petrolio?... Mi creda: se lo succhiano" disse i l pro- fessore "se lo succhiano... Si ricorda di Musco nel San Giovanni di Martoglio? Teneva una lampada ad olio d a- vanti all'immagine del Santo: veniva un vicino e si asciu- ava l'olio: 'veni qualche divotu, o qualche divota, con ~arso inganno, e s'asciuca l'ogghiu d' 'a lampa...' E così fi- nisce col petrolio: una canna lunga da Milano a Gel a, e se lo succhiano... I devoti, si capisce, quelli che pe r la Sicilia si preoccupano, si accorano... Meglio non parlarne. " "Ma se questo accade, o accadrà, non crede che la c olpa sia anche dei siciliani?" "Certamente: siamo fatti così, aspettiamo che il fr utto ci cada in bocca, dall'albero, quand'è maturo." "Ma, mi scusi, se siete fatti così, io non vedo cos a ab- biate da guadagnare a far da soli." "Non siamo fatti così" disse la ragazza. "E che ci piace far credere di noi le cose peggiori: come quelli ch e imma- ginano di avere tutte le malattie, e provano sollie vo a par- larne." "E vero" disse il professore, un po' abbattuto. Ma su- bito trovò da esaltarsi di fronte al mare di Taormi na. "Che mare! E dove c'è un mare così?" Il mare colore del vino 1293 "Sembra vino" disse Nenè. "Vino?" fece il professore perplesso. "Io non so qu esto bambino come veda i colori: come se ancora non li c ono- scesse. A voi sembra colore di vino, questo mare?" "Non so: ma mi pare ci sia qualche vena rossastra" disse la ragazza. "L'ho sentito dire, o l'ho letto da qualche parte: il mare colore del vino" disse l'ingegnere. "Qualche poeta l'avrà magari scritto, ma io un mare colore del vino non l'ho mai visto" disse il profes sore, e a Nenè spiegò "Vedi: qui sotto, vicino agli scogli, i l mare è verde, più lontano è azzurro, azzurro cupo " "A me sembra vino" disse il bambino, con sicurezza. "E daltonico" sentenziò il professore. "Ma che daltonico?" si rivoltò la signora. "E testa rdo." Si provò anche lei a convincerlo del verde e dell'a z- zurro del mare. "E vino" disse Nenè. "Vedi che è testardo?" disse la madre. "Ora addirit tura afferma che è vlno. ' "Un momento" disse il professore. Tirò giù dalla re ti- cella la sua cravatta, verde a strisce nere, e most randola domandò al bambino "Che colori ha questa cravatta?" "Di vino" rispose implacabile Nenè: e sorrideva di ma- lizia. Il professore buttò la cravatta per aria "E meglio lasciar perdere: è testardo" disse la sig nora. "Forse è anche daltonico" insistette, ma ormai senz a convinzione, il marito. 'Il mare colore del vino: ma dove l'ho sentito?' si chie- deva l'ingegnere. 'Il mare non è colore del vino, h a ragione il professore. Forse nella prima aurora, o nel tram onto: ma non in quest'ora. Eppure, il bambino ha colto qualc osa di

vero: forse l'effetto, come di vino, che un mare co me que- sto produce. Non ubriaca: si impadronisce dei pensi eri, su- scita antica saggezza.' 'I dialoghi di Platone dovr ebbe reci- tarli Eduardo De Filippo: in napoletano.' 'Ma qui s iamo in Sicilia, forse non è la stessa cosa.' Il treno correva lungo il più splendido mare che av esse mai visto: a momenti pareva assumere l'inclinazione del- l'aereo quando decolla, il paesaggio rovesciato da un lato, a filo del volo. "E o non è bello?" domandò il professore, che usava sempre porre alternative estreme: e indicava la cos ta e il mare di Aci come un quadro che avesse appena fimto. "Bellissimo" assentirono tutti: tranne Nenè, intent o com'era a cavare dai sedili gli spilloni che assicu rano le strisce bianche che fanno da testiera. "Nisima è sul mare?" domandò l'ingegnere. "Eh no!" disse con malinconia il professore. "Sicil ia in- terna, Sicilia arida... Ma, intendiamoci, ha una su a bel- lezza non come questa, che toglie il respiro; una b ellezza che ti prende lentamente, o più quando se ne è lont ani, nel ricordo... Qui ci vuol poco a dire che è bello, anche un cretino se ne abbaglia subito; ma a Nisima ci vu ole tempo, ci vuole intelligenza... E un'altra cosa, in somma." "C'è mafia?" domandò l'ingegnere. "Mafia?" fece il professore, stupito come se gli av es- sero chiesto se al suo paese si mangiasse polenta e si be- vesse grappa. "Che mafia? Fesserie!" "E queste cose?" domandò l'ingegnere mostrando sul giornale del giorno avanti un titolo a quattro colo nne che diceva La mafa non vtwle le dighe. "Fesserie" di nuovo tagliò il professore. L'ingegnere pensò 'Un uomo istruito, gentile, buon pa- dre di famiglia: e non vuol parlare della mafia, si meravi- glia anzi che se ne parli, come se parlandone si de sse im- portanza a cosa di piccolo conto; ragazzate, fesser ie. Co- mincio a capire la mafia, è davvero un dramma.' Erano alla stazione di Catania. "Catania" annunciò il professore. "Per questo treno, una tomba: non Sl mu ove "Scendo: ho bisogno di fare quattro passi" disse Ne nè. "Ora spostano la vettura ad altro binario, scendere non conviene" disse il padre. "Voglio una granita: granita e biscotti" disse Nenè . c io: granita e briosce disse Lulù. nieri corpulent o, enorme, di una grinta resa più feroce dal g ita, biscotti e briosce. caldo, dal sudore che gl i colava, si stagliò alla porta dello E che granita è?" fece Nenè, disgustato: ma dopo av er scompartimento. Nenè, al disopra del giornale, guatava scolato, in parte sul vestito, l'ultimo sorso squag liato.La ; Il maresciallo domandò se era la vettura glusta per Agri- granita è quella di don Pasqualino: appena arrivo a Ni- gento, ringraziò, passò oltre. Nenè abbassò il giornale, p erò un pozzetto pieno. venne fuori come da un sip ario al dileggio di Lulù, alle ri- "E meglio di quella di don Pasqualino" disse Lulù: per sate di tutti. Pianse di mortificazione, di rabbia; morse se za convinzione Lulù, si morse le mani, scalciò; poi lentamente, singul- "Non capisci niente: questa è fatta di acqua, limon ina tando, cadde nel sonno. e zucchero; don Pasqualino la fa invece col limone, e ci La conversazione si accese sull'educazione dei bambini, mette anche il bianco d'uovospiegò Nenè con compe- e di un bambino come Nenè in particolare. Padre e madre

sostenevano che Nenè era un maleducato, e se ne fac e- Sa tutto ' disse la madre. "E curioso di ogni cosa: sem- vano colpa, e ne facevano colpa alla società meridionale: P che nel continente i bambini crescevano più a mod o, più ioso: curiosa è zia Teresina. educati. La ragazza e l'ingegnere sostenevano invece che "Ecco che la stai sparlandotrionfò il padre. Nenè a veva sì un linguaggio non edificante e delle rea- Lo dici sempre tu: 'è curiosa, la vecchia strega'." zioni violente: ma la sua intelligenza era indubbiamente Il professore, battuto, minacciò un formidabile man ro- pronta e vivace, i suoi sentimenti generosi. La signora e il vescio. Per niente impressionato Nenè spiegò ai due professore resistettero nel loro punto di vista, ma come estranei "Zia Teresina è ricca, ci lascerà le sue t erre ma io per civetteria e infine la piena del loro affetto dilagò sul delle sue terre me ne.." sonno di Nenè. Gli arrivò, dalla madre, uno schiaffo. Mentre il tr eno attraversava un paesaggio fulminato di "Le terre zia Teresina le lascerà a me" disse Lulù. sole, desertò intorno al sonno del bambino erano come ola gridò il professore personaggi ia presepe coi l oro buoni sentimenti, con la "~ia Teresina con la parrucca, zia Teresina con l'o cchio loro fede nella vita, e che tutto dovesse durare, amicizia ¨ e ò Nenè ed amore, al di là dell'incontro fortuit o, del viaggio. L'in- g g se la madre gegnere pensava di aver finalmente toccato il giusto della "~ia Teresina non ti darà più le ciambelle" disse L ulù. vita e di dovere, con tutte le buone regole della famiglia "Le ciambelle con la muffa: mi viene il vomito a pe n- meridionale prolungare per la vita l'incontro con quella sarci" e COSì perfettamente simulò il vomito da bus carsi ragazza serena ed attenta, di poche parole, di intensi senti- menti, e che bisognava dire qualcosa di definitivo prima Per consolarlo, la ragazza lo invitò a fare una pas seg- di separarsi, magari accompagnarla al paese, parlare coi giata nel corridoio. Nenè accettò dicendo "E meglio che i genitori. Ma quando il professore cominciò a tirar giù I q on Sl ragiona balJa~li, che stavano per arrivare a Canicattì, si disse 'Non Ma un momento dopo rientrò solo, di corsa, come se sei più un ragazzo' e che c'è un tempo per ogni cosa e che inseguito voltandosi indietro: sedette al suo posto e si la sua prima giornata di libertà l'avrebbe dedicata ad un mise un giornale davanti, spiegato; pareva leggesse , solo . breve viaggio a Nisima. che 1l giornale era a rovescio. Un maresciallo dei carabi- A lungo si salutarono, ancora prima di scendere dal treno; e poi di nuovo sul marciapiedi della stazion e dove l'automotrice per Campobello-Licata-Gela era in att esa. Erano tutti commossi; tranne Lulù, che faceva di tu tto per distrarre la ragazza dai saluti. Nenè invitò l' ingegnere ad andare con loro, a Nisima; gli promise la granit a di don Pasqualino e una serata al circolo. L'ingegnere , guar- dando la ragazza, promise a Nenè che presto sarebbe ve- nuto a fargli visita. Il bambino volle abbracciarlo . Il pro- fessore gli diede il biglietto da visita. Dall'automotrice, dove prese posto accanto al fine- strino, l'ingegnere li guardo: un grappolo di valig e e di borse che si muoveva verso l'uscita. Prima di spari re la ra- gazza si voltò a guardarlo. 'Andrò a Nisima domenica' decise l'ingegnere. Ma mentre l'automotrice partiva i suoi sentimenti, la sua malinconia e il suo amore, di colpo si rapprese ro nel sonno. Sulla visione baluginante di colui che gli a veva

consigliato quel treno, quella vettura, una faccia soddi- sfatta, sadica, il suo ultimo pensiero si spense. ' Accidenti che viaggio.' L'ESAME Un mucchietto di gettoni, grandi quanto monete da cento lire, da dividere in tre colonnine: più ruvid i, meno ruvidi, lisci. Un pezzo di fil di ferro e una pinza: per fare, del fil di ferro, un triangolo. Un cartello su cui erano disegnati tanti cerchietti , for- mavano come un grappolo d'uva: e dentro ogni acino, un numero. E bisognava, da una certa distanza, leggere quanti più numeri si poteva, nel tempo in cui l'uom o, con l'orologio in mano, diceva "via" e poi "basta". "Via" e "basta" erano le parole italiane che l'uomo pronunciava meglio. Un uomo alto, roseo, gli occhi chiari, i capelli biondi che gli si aprivano a cris antemo al centro della testa. Svizzero di Zurigo. Blaser di n ome. In Sicilia per reclutare mano d'opera femminile: ragaz ze che avessero più di diciotto e meno di trent'anni. Per una fab- brica di cose elettriche contatori, pareva; ché non si ca- piva molto dalle poche parole che diceva. Forse era cattolico, forse luterano o calvinista. I parroci non riuscivano a capirlo. Se ne stava quieto, senza curio- sità, ad esaminare le ragazze: in canonica o addiri ttura in sacrestia, come se quegli ambienti li avesse conosc iuti da sempre, facendo il chierichetto o frequentando le l ezioni di catechismo. Girava per i paesi della provincia con automobile e au- Il mare colore del vino tista presi a nolo, dopo una meticolosa contrattazi one dopo un diffidente tirare sul prezzo, nel capoluogo : che era una città, nel cuore della Sicilia, chiusa, arr occata, vi- brante di metalliche corde di vento. L'autista si era in un certo modo appassionato a qu el giuoco, a quegli esami: lo seguiva nelle sacrestie, nelle ca- noniche; e a volte non resisteva a mettere la sua b uona parola, quando una ragazza non riusciva a passare l 'esame o non aveva l'età giusta: anche se lo svizzero non ne te- neva alcun conto, di quella buona parola. Si ripeteva la stessa scena ad ogni paese; e persin o le ragazze, da un paese all'altro, parevano le stesse. E anche i parroci. Per l'ora già precedentemente concordata, i par- roci aspettavano l'arrivo del signor Blaser; una ve ntina di ragazze, di solito accompagnate dalle madri, stavan o in sa- crestia o nella sala a terreno della canonica; bisb igliavano emozionate e nervosamente ridevano. Il parroco le D re- sentava con garanzia della loro buona osservanza de lle leggi cristiane e delle domestiche virtù che in Svi zzera sa- rebbero diventate virtù operaie. Il signor Blaser t irava fuori gettoni, fil di ferro, pinza e cartello: e co minciava l'esame. L'autista sentiva una vena di rimorso incrinare la soddi- sfazione del guadagno che stava facendo, del passat empo in CUI Sl rlsolveva la sua giornata di lavoro: come se si fosse fatto complice di una specie di ratto delle s abine, mlsterlosamente tramato tra un uomo del nord, un te de- sco oltretutto, e i parroci siciliani. Non amava i tedeschi per la lunga fame sofferta in un campo di prigionia . E

non amava i parroci, per tante altre ragioni. E que l po' di tedesco che, dolorante di fame, aveva appreso, gli serviva a tradurre il nome del suo cliente in soffiatore: e per se- greta vendetta lo vedeva nudo e sospeso, le gote en fiate, il vento che gli usciva di bocca come un fascio di rag gi, così come certi angeli di stucco nei cori delle chiese. Perché il signor Blaser considerava l'autista come un pezzo d ell'au- tomobile, e i tentativi di attaccar discorso durant e il viag- gio o gli interventi durante l'esame a favore di qu alche ra- Il mare colore del vino gazza, teneva nello stesso conto di una piccolapann e: un incidente, un fastidio. E di ciò l'autista si rodev a: sentiva una mortificazione che sconfinava nell'odio quando lo sguardo del soffatore si posava su di lui, al più p iccolo tentativo di confidenza, come su un oggetto; un ogg etto che aveva la sorprendente e fastidiosa proprietà di parlare. E mortificato si sentiva per la contraddizione dei senti- menti in cui veniva a cadere: non gli piaceva che l o sviz- zero portasse via le ragazze, ma interveniva a racc oman- darne qualcuna se stava per essere scartata. Sentim enti così complessi, in un uomo cui dava giusta retribuz ione per un lavoro, e scaturiti da quel lavoro, il signo r Blaser non sarebbe mai riuscito a immaginarli; e se li ave sse im- maginati, ne avrebbe avuto disgusto. Passò così una settimana; una diecina di paesi, un cen- tinaio di ragazze reclutate, tutto tranquillo, tutt o liscio. E venne il giorno che il signor Blaser aveva destinat o a V., DaeSe isolato dentro un vasto territorio arido, pae se di feudi ormai tarlati dagli scorpori e di mafia tutto ra rigo- gliosa. Durante il viaggio, l'autista raccontò al signor Bl aser, caricandole dei più raccapriccianti dettagli, le cr onache del paese: ma lo svizzero non diede il più piccolo segno di curiosità o di meraviglia. Quando giunsero al centro del paese, dove sulla gra di- nata della matrice già l'arciprete li stava aspetta ndo, men- tre lo svizzero e l'arciprete si salutavano, all'au tista che stava chiudendo la macchina si avvicinò un giovane. Sa- lutò, l'autista rispose al saluto: e restarono per un mo- mento a guardarsi, il giovane evidentemente intimid ito, impacciato; l'autista improvvisamente assalito da u na oscura preoccupazione, ché le cronache evocate ad u so del signor Blaser avevano invece fatto da lievito ad un a sua apprensione. E perciò bruscamente domandò "che c'è? " a velare, con l'arroganza del tono, la preoccupazione . "C'è" disse il giovane "che lei deve farmi un favor e." 'Ci siamo' pensò l'autista; ma in verità non sapeva a Il mare colore del vino "Se posso" disse; con durezza, a mostrare la sua de ci- sione a non farlo, quel favore; o almeno a non farl o se non per gentilezza, mai per paura. "Ecco" disse il giovane "si tratta di una ragazza: una ragazza che vuole andare a lavorare in Svizzera... Non vo- glio che ci vada, ecco... E lì, dall'arciprete... N on devono prenderla, ecco... Io non voglio... Ci dobbiamo spo sare, lei ml caplsce..." "Io non capisco niente, amico mio: e non c'entro pe r niente. Io non faccio che portare in giro quel tizi o. Sono un autista io: mi paga e lo porto in giro per i pae si. Non so niente e niente voglio sapere di quello che fa. Ognuno

fa il suo mestiere: io il mio e lui il suo. Capisci ?" ed era passato a dargli del tu, tanto gli faceva ora pena il gio- vane: un bambino m punto di scoppiare a piangere. "Lei deve aiutarmi" disse il giovane. 'Fa pena,' pensò l'autista, 'e poi in un paese come questo sono capaci di tutto.' Sospirò di fastidio, di angu- stla. "E va bene: mi ci provo. Ma tu non contare che la m ia parola valga qualche cosa: quello è uno svizzero, u no sviz- zero tedesco. Lo sai come sono precisi gli svizzeri ? Fanno gli orologi e come gli orologi camminano... E i ted eschi, pOI, meglio non parlarne, hanno teste dure come cot i. E si può cavare sugo da una cote?" e si avviò verso la c hiesa. Ma dalla soglia si voltò verso il giovane che era r imasto ai piedi della gradinata, lo guardò con rimprovero e c ompas- sione insieme. "E come diavolo si chiama?" domandò. "Rosalia" disse il giovane "Rosalia Calaciura." In sacrestia il signor Blaser aveva già tirato fuor i le sue cose: le disponeva sul lungo tavolo come strumenti chi- rurgici, con attenzione, con delicatezza; e davvero pareva che si stesse apprestando, nella sacrestia violente mente ta- gliata da fasci di sole che spiovevano dalle alte f inestre a grata, sotto lo sguardo equivocamente casto e sadic o di vescovi ed arcipreti cui la luce dava risalto sulle tele con- sunte, tra i grandi armadi di noce scuro, nello str ano odore di cera e di incenso, di vainiglia e di muffa , una te- Il mare colore del vino tra operazione chirurgica o di tortura. Le ragazze guarda- vano le mani del signor Blaser come affascinate; ed anche l'arciprete. Dalla porta l'autista ruppe quell'atmosfera di torb ida ansietà gridando "signor Blaser, una parola: permet te?" e il signor Blaser si volse: sorpreso, quasi Indignat o, gli oc- chi più del solito gelidi. L'autista gli fece, con l'mdice della destra, segno che si avvicinasse. Lo svizzero gonfio le guance a sbuffare fastidio ('il soffiatore', pen sò l'auti- sta), si mosse con offensiva lentezza. "Lei ha capito che paese è questo?" gli sussurrò ne ll'o- recchio l'autista. "Ho capito" disse il signor Blaser. "Mafia: paese di mafia" disse l'autista. "Ho capito." "Sa cosa è la mafia?" "Me ne infischio" disse sillabando, con stento, il signor Blaser. "Io no" disse l'autista "e se vuole un consiglio da fra- tello, ci pensi su mille volte prima di dire 'me ne infi- schio'. Tra l'infischiarsene e il non infischiarsen e c'è la differenza che passa tra il morire e il campare." "Non capisco" disse il signor Blaser: e appunto in quel momento cominciava a capire qualcosa. "E dunque si lasci consigliare" disse l'autista. "Via" disse il signor Blaser: e voleva dire 'avanti col consiglio, sbrighiamoci. "C'è tra queste una ragazza che lei non deve prende re: si chiama Rosalia Calaciura." "Non devo prenderla?" ''Sì: scartare, scartare subito... Non buona." "Età non giusta?" domandò il signor Blaser. "Op- pure...?" si toccò la fronte a significare deficien za mentale. "No" disse l'autista, impaziente "da questo lato è a po-

sto: ma non bisogna prenderla, e basta." "E basta?" "E basta"; l'autista mostrò il pugno, aprì a squa*a l'indice e il pollice, per tre volte fece cadere il pollice sul- l'indice, come il cane di un fucile: "pam pam pam: a noi a me ed a lei... Ci fanno fuori". "Chi ?" 'Linnamorato: quello che non vuole che la ragazza "Ah!" fece il signor Blaser voltandogli le spalle. 'La prende,' pensò l'autista, 'com'è vero Dio, la p rende: per corrlvo, per prepotenza; e per farmi dispetto. Ma se io ~ossi al posto di quel poveretto che aspetta fuori, una le- zione gliela darei. E quello invece se la prenderà con me: nessuno gli farà entrare nella testa che questo qui non sente raglom, penserà che io non ho voluto mettere la buona parola.' Era cominciato l'esame. L'autista si fece attento p er ve- dere chi, tra quelle ragazze, fosse Rosalia Calaciu ra. Erano quattordicl. Trascelse le più belle: tre. Ma subito una delle tre fu chiamata con un altro nome. Ne restava no due: ma nessuna delle due era Rosalia Rosalia non era bella: a guardarla bene, attentamen te poteva magari apparire graziosa; bella no di certo. Era piccola, bruna. E nell'esame fu tra le più svelte. Il signor Blaser, appena ebbe detto 'basta' all'esa me di Rosalia, guardò dalla parte dell'autista. Questi gl i fece cenno di no con la testa. Il signor Blaser stette p er un mo- mento assorto. Si volse poi all'arciprete. "Non voglio grane" disse. "Come?" si stupì l'arciprete. "Grane, guai, incidenti" disse il signor Blaser, pr onun- ciando male ma mostrando insospettata ricchezza di voca- bolarlo. Sul collo sfilato la testa dell'arciprete girò come su una pertlca: gli occhi scasati, la bocca aperta quasi a gonfiare nell'arla, come un personaggio da fumetto, una vesc ica di esclamativo stupore. "Questa ragazza ha un fidanzato?" domandò il signor Blaser. "No" disse l'arciprete. E cominciava a capire. "No" disse la madre di Rosalia. "Io dico di sì" disse il signor Blaser. "Non è un fidanzato" disse la madre di Rosalia "è s ol- tanto uno che la vuole: un disoccupato, un perdigio rno. Ma su mia figlia comando io." "Non è vero che è un perdigiorno" disse Rosalia e uno che non trova lavoro." "Vuole rovinarti" disse la madre. "Non vuole rovinarmi: è che mi vuole bene... Ma io in Svizzera voglio andarci anche per questo: per farmi una dote, per sposarmi." "Pensi a farti una dote" insorse la madre "e ti sco rdi della miseria che abbiamo in casa e della speranza che ab- biamo in quei quattro soldi che potrai mandarml dal la Svizzera." "Manderò qualcosa a voi: ma in Svizzera ci vado per farmi la dote." "Basta" disse il signor Blaser "la prendo." L'autista uscì dalla sacrestia, attraversò la chies a de- serta. Il giovane lo aspettava appoggiato all'autom obile. "Te lo avevo detto" disse l'autista. "L'ha presa?"

"Come se io non gli avessi detto niente... Una test a, caro mio... E per di più ha fatto capire che tu vol evi met- tere impedimento. La vecchia si è arrabbiata, ha de tto che sei un buono a nulla e che vuoi rovinargli la figli a: ma la ragazza ti ha difeso." "Mi vuole bene" disse il giovane. "Ti vuole bene, e se ne va in Svizzera" disse con i ronia "Il sazio non crede a chi è a digiuno" si risentì i l gio- "Non sono così sazio da non credere a chi digiuna" disse l'autista "solo voglio dire che tu potevi con vincere lei a non far domanda per la Svizzera, a non presen tarsl all'esame; e se lei non ha voluto ascoltarti, vuol dire che ha le sue ragioni: o ti vuole un po' meno bene di q uanto tu credi, o non ne può più della miseria..." "Non ne può più" disse il giovane. Il mare colore del vino "E dunque, se davvero tu le vuoi bene, lasciala an- dare;;. Tornerà, è una ragazza tenace, tornerà... E vi spose- "Se io trovassi lavoro..." disse il giovane. "Lo troverai: con tutta la gente che se ne va, il l avoro a chi resta non dovrebbe mancare." "Il fatto è che più gente se ne va, più il paese di venta povero." "Non può essere" disse l'autista, che all'economia ap- plicava semplice arltmetlca. "Non è come quando si sta seduti in molti su una panca, stretti, stretti, pigiati: che uno si alza e gli altri ti- rano respiro e si mettono più comodi... Qui nessuno è se- duto: e chi se ne va, gli altri nemmeno se ne accor gono; o si accorgono solo che il paese si va facendo vuoto. " "Non è un discorso chiaro" disse l'autista. "No, non è chiaro" convenne il giovane. "Ma perché non te ne vai in Svizzera anche tu? In Svizzera, in Germania... La Germania è a due passi dalla Svizzera." "Ci sono già stato in Germania, per tre mesi... Ma io dico: l'uomo non è un cane... Può starsene straregn ato, in un paese non suo, a soffrire perché tutto questo gl i manca" accennò alla chiesa, alla piazza intorno, al cielo che si struggeva nell'oro del tramonto "ma il dirit to non deve levarglielo nessuno." "Il diritto? E che, non ti pagavano?" "Mi pagavano, il conto ad ogni venerdì sera tornava fino al centesimo: onesti, precisi. Ma io voglio di re il di- ritto di essere come ora qui: che ci siamo appena c ono- SClUtl, ma lel e una persona e iO sono una persona, e siamo uguali, e parliamo... Con loro invece è diver so: non ci vedono, ecco, non ci vedono... E uno si sente co me una mosca appesa a un filo di ragno, a dondolare su que i loro bicchieri di birra... La birra! Cristo santo, la bi rra!..." "Eh sì" disse l'autista: e per i ricordi che improv visa- mente l'assalirono si sentì nelle ossa una incrinat ura di ~elo Il mare colore del vino 1305 "Ed è per questo che il pensiero che lei debba fare la prova che ho fatto io, mi fa impazzire: anche se si tratta della Svizzera..."

"Lei è donna" disse l'autista "le donne si adattano : mu- tano di abitudini e di sentimento... Una donna tu l a lasci che pulisce una stalla e la ritrovi qualche mese do po che è una signora." "Questo è vero" disse il giovane. "E poi, sai che ti dico? Tutto è destino. Svizzera o no, se è destino che devi sposarla la sposerai; e se è destino che devi perderla, la perderai." 11 signor Blaser venne fuori dalla chiesa. Dietro d i lui sciamarono le ragazze. "Me ne vado" disse il giovane "e grazie lo stesso." "Di niente: auguri" disse l'autista. 11 signor Blaser si avvicinò alla macchina. "Paese selvaggio" disse. Giufà vive in Sicilia dai tempi degli arabi. Per co me al- lora Sl SCrlveVa, 1l SUO nome era un piccuccello da lla coda dritta, crestato, un acino nel becco Sono pass ati mille anni; e ancora Giufà va ciondolan~o per le st rade senza età come tutti i babbei, a combinarne una più grossa dell'altra. E la gente ci si arrabbia; o ci ride su a compatirlo; o nell'ozio, sui gradini della chiesa c ome un tempo su quelli della moschea, gli si fa intorno a sugge- nrgll scemplaggini, a fargli credere cose dell'altr o mondo. La madre, povera vedova di un uomo che era poco men o stupido del figlio, ma almeno lavorava come un asin o, di tanto in tanto esce di casa per andare in cerca di Giufà: e se lo tira dietro per mano, lo trascina con le poch e forze che le restano; ché Giufà di stare in casa non vuol sa- perne, ma a saperlo fuori la madre si sente in test a, per l'apprensionc una cicala che stride e dice Giufà Gi ufà Giufà. L . Quello che le ha fatto vedere, povera vecchia, In una vita lunga un millennio! Cose da fa r mo- rire di schianto ogni altra madre, spaventi da giuo carseli per tutte le ruote del lotto, rovine da piangerci s opra per un secolo. E sbirri sempre per casa, ogni sorra di sbirri: quelh del caìd e quelli del vicerè, compagni d'arme di re Ferdinando e carabinieri di re Vittorio. Come la vo lta che Giufà ammazzò un cardinale: e la fece franca o per troppa stupidità o per troppa malizia, poiché la stupidità va d'ac- cordo con la malizia sempre, e stupido com'è Giufà sa es- sere maliziosissimo. O come la volta che per ammazz are una mosca che era andata a posarsi sulla faccia di un giu- dice, un giudice di quelli grossi, gli diede un tal e schiaffo che il giudice fece su se stesso tre giri e cadde t ramortito; e quando rinvenne voleva fare impalare Giufà, ma Gi ufà come sempre se la cavò. Se ne possono contare tante , di Giufà. La più bella è però la storia del cardinale: ché dav- vero Giufà stava per finire, insieme a sua madre ch e pove- retta non aveva colpa, alle forche. E vero è che ne mmeno Giufà, balordo com'era, aveva colpa: perché gli sfa ccen- dati, che si divertivano a mettergli in testa cose strambe, e pericolose anche, gli avevano dato consiglio di dar si alla caccia, col vecchio archibuso che era ricordo di un suo avo o di un suo discendente, non si sa, ché il conto de gli anni e dei secoli, del prima e del dopo, con Giufà non s i può tenere, il vecchio archibuso che stava appeso al mu ro, a capo del suo letto, col corno della polvere e quell o della lupara, la pietra focaia e gli stoppacci. Giufà tro vò buona l'idea: e domandò informazioni sul modo di caricare l'arma e di andare a caccia, e sugli animali da amm azzare, e quali fossero i più gustosi. Gli spiegarono tutto , a modo loro e a modo di Giufà: e che i migliori da mangiar e erano quelli con la testa rossa, cioè gli uccelli c he i conta- dini chiamano testarossa e sono invece plccoli e ma gn, un

pugno di ossicini, e mai i cacciatori li ammazzano. Detto e fatto: Giufà profittò che sua madre era andata a messa, la prima messa, quella dell'alba; staccò l'archibus o, lo ca- ricò con tutta la polvere, tutta la stoppa e tutta la lupara che c'era; e si mise alle poste, in una campagna ap pena fuori del paese. Era una bella campagna: con siepi verdi, fiori dappertutto, fontane che specchiavano palmizi , un gaudio di vento che trascorreva tra le cime. Giufà vedeva grandi candidi uccelli dal collo lungo scivolare su ll'acqua, altri dalle penne variamente colorate e splendenti cammi- nare lentamente sulla ghiaia dei vialetti aprendo a ruota code che parevano fitte di occhi. Ma aspettava, Giu fà, quelli dalla testa rossa: e non sapeva se fossero u ccelli, o Il mare colore del vino animali come le lepri o gli asini, o addirittura co me gli uomini. La testa rossa: qualunque cosa vivente che avesse la testa rossa. E aspettava, con l'arma che gli por tava via le braccia tanto era pesante. Ed ecco al di sopra di una siepe verde lentamente m uo- versi qualcosa di rosso, un bel rosso lucente, un p elo che pareva di seta. Aveva la forma di una cupoletta di mo- schea. Non poteva essere che una testa, se si muove va: e l'animale doveva essere tanto grosso che sarebbe ba stato a una brigata intera; ma Giufà non era così sciocco d a dare a mangiare del suo, e fece disegno di mangiarne sub ito le trippe, come sapeva prepararle sua madre con erbe e spe- zle; di far brodo della testa; di mettere i quarti in sala- moia. Diede fuoco alla conchetta della polvere e su bito portò la mira alla cupoletta rossa. Fu un botto da far sfi- gurare quello del cannone di Castellammare, e per i l con- traccolpo Giufà si trovò a sedere dentro un ruscell etto. Si alzò e corse al punto dove la cupoletta rossa era s com- parsa dietro la siepe. Trovò un corpaccio tutto ros so che pareva di un uomo (due mani grasse e bianche, due p iedi con scarpe nere a fibbia d'argento) ma non si potev a più dire dopo la cannonata che gll era arrlvata. C'era da man- giare per un mese. Se lo caricò sulle spalle e cors e a casa dove sul tavolo di cucina lo scaricò. Sua madre non era ancora tornata dalla messa. Sorpresa grande, pensò Giufà: mia madre sarà contenta, non dirà più che sono un b uono a nulla, non lo può più dire con tutta questa grazi a di Dio che le ho portato in casa. E fu sorpresa che per poco sua madre non ci lasciav a il senno. Andava per casa strappandosi i capelli, sbat tendo la testa al muro, lacrimando. Hai ammazzato il card inale hai ammazzato il cardinale. Giufà che cosa fosse un cardi- nale non sapeva: guardava con gli occhi tondi per l a me- raviglia di quell'angoscia, ché si aspettava un tri pudio; e non sapeva che fare. Poi, di colpo, poiché i moment i di rabbia venivano anche a lui, si caricò sulle spalle il cardi- nale e andò a gettarlo nel pozzo del cortile. La madre ancora si agitava e gemeva. E Giufà sempre Il mare colore del vino 1309 infuriato, ma non sappiamo se per furia o per calco lo, per stupidità o per malizia, prese il montone che sua m adre allevava, e in quel momento pasceva tra le erbuzze del cortile, lo sollevò alto e lo scaraventò dentro il pozzo. Più alto levò il;emito sua madre, corse al pozzo: il mo ntone era bello e affogato. Giufà, per non sentire la lag na, se ne uscì di casa.

Per la scomparsa del cardinale grande rumore corse in quella città e in tutta la Sicilia. Gli sbirri lo c ercavano dappertutto, con le loro picche frugavano nelle pag liere, nei granai, nei mucchi di pietre e di letame; e per sino nei materassi della povera gente, quando non era tanto po- vera da avere dei materassl. E mlsero un premlo, ce n- t'onze, un bel mucchietto d'argento, per chi avesse dato qualche notizia buona a far ritrovare, vivo o morto , il car- dinale; e dieci volte tanto, mille onze, per chi av esse de- nunciato il colpevole di quella sparizione. Perciò gli spioni e gli avari andavano su e giù per le strade del paese come le spole di un telaio: e le loro orecchie, per lo sforzo di cogliere i minimi sussurri nei crocchi e dietro le porte delle case, parevano diventate grandi quanto le boc che dei tromboni. E fu così che il capitano di giustizia, i l capo de- gli sbirri, seppe che dal pozzo che era nel cortile della casa di Giufà veniva fiato di putrefazione: e con grande appa- rato di sbirri vi si recò. Ma non che sospettasse d i Giufa. Uno per uno, il capitano per primo, tutti gli sbirr i si affacciarono alla bocca del pozzo e nauseatl se ne ntras- sero. Per quanto amassero il cardinale, nessuno se la sen- tiva di calarsi giù a tirar fuori quel corpo che, n on c'era dubbio, nell'acqua stava disfacendosi: si avvicinav ano, gettavano un'occhiata a quel fondo d'acqua che spec - chiava le loro facce, i loro elmi lucenti, e subito si allonta- navano a respirare l'aria buona del mattino. Per cu i, ve- dendo Giufà che vicino al pozzo se ne stava tranqui llo, come non sentisse niente, soltanto assorto allo spe ttacolo di tutta quella gente luccicante di corazze e alaba rde che si muoveva nel cortile, al capitano venne l'idea di calare Il mare colore del vino Giufà dentro al pozzo. Gli promise un'onza. Per un' onza Giufà si sarebbe buttato nel pozzo a testa sotto. Non si sa, quelli che riferiscono la storia non lo dicono se Giufà avesse memoria di quel che aveva fatto. Er ano pas- sati pochi giorni da quando nel pozzo aveva buttato il car- dinale e il montone: ma si sa che i babbei non hann o me- moria o hanno memoria confusa, delle cose vere si r icor- dano nebulosamente, come di sogni. Comunque, era pi eno di allegria mentre gli legavano corde alla cintura e sotto le braccia, mentre lo calavano giù. Quando toccò fondo , l'ac- qua gli arrivava al petto. Si inginocchiò, e quasi gli arrivava alla bocca: e cominciò a muovere sott'acqua le mani , a brancicare. E subito gridò "L'ho trovato!" "Sua Eminenza?" domandò il capitano tenendosi il naso stretto tra due dita. "Che Sua Eminenza?" domandò Giufà. "Voglio dire il cardinale" precisò il capitano. "Io non ho mai visto un cardinale" disse Giufà "e tanto meno l'ho toccato: e qui sto toccando una cos a che può essere il cardinale come può essere un cane." "Malcreato!" gridò il capitano. "Ti insegnerò a ner bate che differenza c'è tra un cane e un cardinale." "Se parliamo di nerbate'disse Giufà "io non mi muovo più: e scendete voi a vedere se si tratta di un car- dinale o di un cane." "Scherzavo" disse il capitano. "Così va bene" disse Giufà: e intanto continuava a brarlcicare sott'acqua, e guardava verso l'alto con una fac- cia perplessa, come di un cieco. "Sbrigati" disse il capitano. "Ecco: sto toccando una cosa pelosa, una cosa lanos a. Aveva lana addosso il cardinale?"

"Non lo so" disse il capitano. Il mare colore del vino 1311 quanti piedi aveva il nostro amatissimo cardinale a rcive- scovo? Tiratelo su" disse agli sbirri "che gliene v oglio dare tante di nerbate da farlo camminare a quattro piedi per tutta la vita." Gli sbirri non lo tirarono su: ché sarebbe toccato a uno di loro scendere al posto di Giufà. E del resto anc he il ca- pitano, che agitato dalla rabbia non si stringeva p iù il naso con le dita, dal puzzo che sentiva si persuase a mutar tono. "Via" disse "non scherziamo." "E chi scherza?" disse Giufà. "Io un cardinale non so com'è fatto: voglio sapere se questo che cerchiamo piedi ne aveva due o quattro." "Quattro" disse il capitano, confuso dall'ira. "Due, signor capitano" dissero in coro gli sbirri. "E che ho detto quattro?" disse il capitano prenden do- sela ora con gli sbirri. "E che vi ci mettete anche voi a farmi fumare la testa? Ho detto due: e quel figlio di una strega che si attenta a dubitarne l'avrà a che fare con me, l'avrà a che fare." "Veramente avete detto quattro" disse Giufà, sorri- dendo e levando un-dito verso il capitano in scherz evole ammonizione. E poi serio: "Insomma: due o quattro?" "Due" disse il capitano sbuffando collera. "Questo qui ne ha quattro: dunque non è il cardinal e" disse Giufà. "Due o quattro" disse il capitano "tu legalo alle c orde che lo tiriamo su." "E perché fare un lavoro a spreco?" disse Giufà. "S e non è il cardinale perché tirarlo fuori?" "Fai come ti ho detto" disse il capitano "e non avr ai a pentirtene." Giufà continuò a brancicare sott'acqua, come non avesse sentito. E "Un momento!" gridò trionfante. " 11 "Non lo sapete... E quanti piedi aveva il cardinale , lo | cardinale aveva le corna?" sapete?" "Le corna, Sua Eminenza? Hai detto le corn a?" urlò il 11 capitano parve assalito da un nugolo di vespe, c o- capitano. E cominciò a correre intorno al pozzo urlando minciò ad agitarsi, ad agitare le mani nell'aria. " Quanti "Sacrilegio! Sacrilegio!" e digrignava i denti, e si dava piedi aveva Sua Eminenza? Hai il coraggio di domand are I colpi disperati sulla corazza. 1312 Il mare colore del vino "Non può essere?" domandò placido Giufà. "Ti farò arrostire come un porco da latte" gli grid ò il capitano affacclandosi al pozzo. "Una domanda non si può fare?" disse Giufà. "E voi ditemi com'è fatto un cardinale, e io non domando p iù niente." "Com'è fatto un cardinale?" gridò il capitano. "E f atto come me e te, imbecille." "Non ha niente di diverso, niente di speciale?" inc alzò Giufà. "Niente" disse il capitano. "E perché lo cercate con tanti sbirri?" "Perché è un uomo importante, perché è come un principe." "Ed è ricco?" "Ricchissimo."

"E in testa che porta?" "Un cappello di terzopelo, un cappello rosso." "E corna non ne ha... Siete proprio sicuro che non ne ha?" "Sicurissimo" disse il capitano, fremendo. "Ma un momento... Così, tanto per ragionare..." dis se Giufà, che a guazzo nel pozzo ci stava fresco come sotto una pergola. "Voi dite che corna non ne aveva: e io vi credo... Ma voi l'avete conosciuto da vivo: che ne sapete se da morto non gli sono spuntate?... Io so che a c hi da vivo ha fatto peccatacci, da morto gli vengono le c orna. 11 cardinale peccatacci ne aveva?" La rabbia del capitano di nuovo esplose: impreca- zioni, minacce. E quando si calmò, dal fondo del po zzo venne quieta quieta la voce di Giufà che domandava "Nemmeno un peccato piccolo così?" e mostrava un'un - ghia. "Nemmeno" disse il capitano. "E che arte faceva?" domandò Giufà. "Arte?" fece il capitano. "Che arte, cretino? Facev a il cardinale, faceva. Comandava i preti: tutti i preti della Si- chia.'' Il mare colore del vino 1313 "Anche don Vincenzo?" domandò Giufà. Don Vin- cenzo era il prete della sua parrocchia. "Anche don Vincenzo" rispose paziente il capitano. "E allora" disse Giufà "questo vostro cardinale sec ondo me le corna deve averle: e io ve lo mando su, e lo vedete da voi." Sott'acqua legò il corpo, che era andato palpeggian do, alle corde; gridò che tirassero. E venne su, radicl o, 11 montone; e Giufà appresso. Il capitano e gli sbirri guar- davano allocchiti, senza parola. "E o non è il cardinale?" domandò Giufà tutto alleg ro. 11 capitano gli mollò un calcio. E fu tutta la pena che Giufà ebbe: ché a nessuno venne più in mente di cer care ancora nel pozzo. LA RIMOZIONE Rincasò, come ogni sera, alle otto in punto; dopo l a so- lita partlta a perdivinci in cui, per aver vinto, a veva perso duecento lire. Gli era capitato come compagno, in una delle due co p- pie del giuoco, Nicola Spitale: un campione in tutt i gli altri gluochi, e specialmente nel quaranta; ma nel perdi- vinci gli si potevano rimboccare le coperte e spegn ergli la luce, ché quel giuoco, diceva, gli metteva invincib ile sonno: l'occhio gli Sl illanguidiva, colava sulle c arte uno sguardo vacuo e lontano. 'Ci sono dei giuochi che non mi piacciono, che mi a n- noiano; e se mi invitano ad entrarci io dico di no. Lui in- vece a perdivinci casca di sonno, giuoca come una b estia: e mai una volta che rifiuti di entrare nella partita' Così con tutta la bile stillata nelle due ore del giuoco , pensava Mlchele Trlcò del suo amico Nicola; e tanto era ass orto a rimuginare la partita che non notò subito il buio e il si- lenzlo che c'erano nella casa; e andava accendendo tutte le luci, e solo all'ultima, in cucina, si accorse che la moglie non c'era. Chiamò "Filomena" e dalla camera da letto venne un

piccolo tonfo, un fruscio. Entrò, ancora sentì un f ruscio da sotto il letto. 'E che si è cacciata sotto il le tto?' si do- mandò. Sollevò un lembo della coperta: c'era il gat to gnaulò da orfano, da morto di fame. 'E dove se n'è andata?... A quest'ora, poi... Forse l'hanno chiamata da sua madre.' Vide la suocera sul letto di morte. Era tempo. Una vecchia ferrigna, ottantac inque e passa, e cattiva, velenosa di lingua, piena di pu ntigli e cat~rlcci. 'Ci vado', decise. Girò a spegnere tutte le luci, s cese le scale, chiuse a doppia mandata la porta. 'Certo ci sarà da fare la nottata, mi ci voleva proprio una veglia co l raffred- dore che ho addosso.' Si avviò verso la casa della suocera, all'altro capo del paese. Ma la vecchia stava bene, vivace come una ciaula: g li occhietti lucidi, il becco pronto. Gli aprì il port one stando sul ballatoio, senza dargli il tempo di salire la s cala bru- scamente gli domandò cosa volesse. "C'è Filomena?" "Non c'è" disse la vecchia; e come congedo "Tira fo rte la porta, ché non chiude bene." "A casa non c'è: dove posso trovarla?" insistette M i- chele. "Sarà in chiesa" disse la vecchia ritirandosi e spe - gnendo la luce. Michele si tirò dietro la porta con un colpo che parve una cannonata. "In chiesa: e che ci fa in chiesa, a quest'ora? Che funzione ci può essere all e nove di sera?" La chiesa di santa Filomena, a due passi da casa su a: e aveva attraversato il paese, per andare dalla suoce ra. Senza dire del sangue che gli veniva alla testa, ogni vol ta che vedeva la vecchia. 'Mi sentirà: le farò perdere la voglia di andare in chiesa finché campa.' C'era gente, davanti alla chiesa. 'Forse c'è festa; o hanno inventato una funzione nuova, una messa not- turna: non sanno più che inventare.' Awicinandosi, notò molti carabinieri. 'Sarà festa grossa, forse c'è il vescovo.' "Tricò" si sentì chiamare. Era il brigadiere. "Desidera?" domandò Tricò, risentito, pronto a rom- perla col brigadiere e con chiunque. "Anche lei vuol fare la rivoluzione per santa Filo- mena?" chiese con minacciosa ironia il brigadiere. 1316 Il mare colore del vino "Che rivoluzione? Che santa Filomena?" "Come, lei non sa niente?" disse il brigadiere: iro nico, minaccloso, mcredulo. "Non so niente di niente" disse Tricò, con così evi - dente innocenza che il brigadiere gli credette. "Le donne: stanno dentro la chiesa" spiegò il briga - diere "e non vogliono uscire. Temono che calino giù dal- l'altare la statua di santa Filomena: non si muover anno dicono, se l'arciprete non giura che la statua rest erà dov'è." 'Ho capito: la storia di santa Filomena. E da un pe zzo che se ne parla. Ma chi glielo fa fare, ai preti? U na chiesa dedicata a santa Filomena, un paese pieno di Filome ne una festa per santa Filomena che dura una settimana in- tera, con iera e fiaccolate, processioni, cavalcate , le case che tremano per i mortaretti, i dolci impastati col miele: e di colpo vlen fuori il decreto che santa Filomena n on è mai esistita.'

"Io vengo a prendere mia moglie" disse al brigadier e. "Vada: se ci riesce... E magari venissero tutti i m ariti a prendere le loro mogli... Questa è una grana forte, caro Tricò..." il brigadiere gli sorrise di alleanza, di amicizia. Aveva creduto che i comunisti c'entrassero in qualc he modo, nella protesta delle donne: proprio quella ma ttina un cartello aveva fatto rimuovere che di notte qual cuno aveva attaccato ai piedi del monumento a Garibaldi, c'era scritto in lettere da messale, rosse e nere, 'Marty rologium Romanum: Apud Septempedanos, in Piceno, sanctae Phi - lomenae Virginis', ogni lettera alta un palmo. Il b ello è che lui aveva visto il cartello, ma gli era parso c osa di chiesa, avviso per le Quarantore o crociata contro la be- stemmia. e che il posto inconsueto, proprio ai pied i di Garlbaldi, fosse uno sfizio dell'arciprete. E invec e ap- punto l'arciprete gli telefonò, verso le undici, ch e era uno sconcio, e che sull'attaccamento dell'Arma alla Chi esa un dubbio cominciava a torturarlo. Il brigadiere gli f ece os- servare che l'Arma, dal maresciallo in giù, non sap eva di latino e, personalmente, niente che riguardasse san ta Filo- 11 mare colore del vino 1317 mena. Il cartello, comunque, era stato tirato giù: e la pa- ternità di esso, concordemente dall'arciprete e dal briga- diere, attribuita ai comunisti. Ma ora, per il fatt o che Tricò, segretario della Federterra, gli era parso s incera- mente all'oscuro dell'affare, il brigadiere aveva t irato re- spiro. Michele entrò in chiesa; per modo di dire, ché appe na superata la porta si trovò schiacciato contro il mu ro come una sogliola. 'Cristo: e tante donne ci sono nel pa ese?' E come trovare sua moglie, in quell'arruffo di donne e di bambini? Tra l'altro, la chiesa era quasi al buio: poche candele accese davanti agli altari e le lampade ad olio da- vanti alle stazioni della via Crucis. Buona idea de ll'arci- prete, o del brigadiere, quella di spegnere le luci : e un po- ver'uomo che veniva a prendere sua moglie avrebbe d o- vuto armarsi di una lanterna. E quasi non bastasse il buio, c'era il pianto dei lattanti; e un acre lezzo di su dore, di panno bagnato, di trigonella. 'Io me ne vado: un bo ccone in trattoria e poi a casa, a letto... E lei, quando sonno e fame la pungeranno, tornerà a casa: e mi sentirà.' Ma l'as- salì il puntiglio: che anche sua moglie, proprio su a mo- glie, si fosse messa a far sedizione per santa Filo mena. Si spinse in avanti gridando "e fatemi passare, Cristo di Dio!" espressione che suonò tanto scandalosa da con sen- tirgli, per l'orrore intorno suscitato, uno slargo, un pas- saggio. Tra le facce che intorno gli si aprivano co me le li- quide pareti di un gorgo, ne distinse una: sua nipo te Filo- mena. Aveva il bambino attaccato al petto. "Dov'è Filomena?" le domandò. "Più avanti, verso il coro." 'E andata a piazzarsi in prima fila,' pensò, 'come a tea- tro.' E alla nipote disse "E porta fuori il bambino , non lo senti che qui si soffoca?" Un mormorio di disapprovazione accolse le sue parol e. La nipote non si mosse. Faticosamente avanzò verso il coro. Quando giunse alla balaustrata vi si appoggiò contro, stremato. D all'alto, santa Filomena lo guardava: uno sguardo di quelli c he si sogliono fare alle statue in modo che, comunque uno si sposti, non ti lasciano; ma benigno, dolce: non com e

quello del Padreterno di Monreale, che ti inceneris ce. 'E non esiste più, santa Filomena... Non è mai esistit a.' Ac- quietò con questo pensiero l'infantile sentimento, di de- vozione, di paura, che sentiva crescersi dentro: e voltò le spalle all'altare, agucchiando tra le prime file. N on ve- deva sua moglie, nelle pupille le facce gli cominci arono a danzare secondo l'avaro e incerto fiottare della lu ce: ché c'era una corrente d'aria, aperta forse per strateg ia dell'ar- ciprete, e le flammelle parevano dovessero spegners i da un momento all'altro; e a quel soffio tra la carne e il ve- stito il sudore gelava. Ad un tratto scoprì sua moglie: la faccia insoggola ta da un velo nero, come per lutto, gli occhi spauriti pu ntati su di 1UI. 'Sperava che non la scoprissi.' Le si avvic inò, tra- boccante di collera ma in apparenza calmissimo "Andiamo a casa" disse. "Non posso" disse Filomena "staremo qui finché l'ar ci- prete non ci fa giuramento che la Santa resterà sul l'al- tare. " "Andiamo a casa, ti dico." "Non vengo." "Ah, non vieni..." disse Michele. Il tono era di fr edda minaccia, ma in verità non sapeva che fare: si era cacciato in una di quelle situazioni in cui è difficile pigl iar partito tra 11 *amma e la farsa. La rivolta della moglie ap riva un baratro nella sua visione del mondo; una visione in cui il magglore Gherman Titov veniva ad imbattersi, nel su o volo orbitale, nella buonanima di Michele Tricò, mo rto a novant'anni nel 1929, di cui lui, figlio del figlio , portava, oltre che il nome, quel giusto giudizio sulle donne in ge- nere e sulle mogli in particolare che dallo sbarco di Gari- baldi al Concordato il nonno aveva così rigorosamen te messo in pratica da lasciarne luminosa memoria; non che alla famlglia, al paese. Buone solo a una cosa avev a sen- tito giudicare le donne dal vecchio: quando il vecc hio quella cosa non era più in grado di praticare e lui , giuo- candogli accanto e pronto a ricaricargli la plpa o a correre per un bicchier d'acqua, non sapeva ancora in che q uella cosa consistesse. "Non vengo" disse di nuovo Filomena. "Tua madre" disse Michele. Gli era venuta improvvis a l'idea di armare un piccolo inganno, uno scherzo in cui ri- farsi del trattamento della suocera e della rivolta della mo- glie. "Mia madre che?" si allarmò Filomena. "Niente" disse Michele, fingendosi imbarazzato come chi porta grave notizia e vuol usare precauzione a comu- nicarla "una cosa da niente..." "Che è successo?" quasi gridò Filomena alzandosi di scatto. "Una cosa da niente, ti dico... A pensarci bene, pu oi anche restartene qui: tanto, c'è il medico, c'è il parroco..." "Il medico, il parroco... E dunque cosa grave è?" "Un piccolo insulto, ha solo perduto la parola" e p ensò 'magari fosse vero'. Filomena si volse alle donne che le sedevano vicine , disse "Avete sentito? Mia madre ha avuto un insulto , debbo andarmene..." attraversò la fila e al marito disse "Andiamo" e verso l'altare di santa Filomena si vol tò a segnarsi di croce, a chiedere perdono, prima di avv iarsi. Michele guardò di nuovo la Santa. La tunica bianca, la cintura d'oro, la palmetta verde in mano. 'Pare una com- parsa del Quo vadis.' La traversata fu agevolata dal fatto che sua moglie an-

dava giustificando la defezione dicendo: "mia madre ha avuto un insulto, debbo correre..." e le donne comp ian- gendola aprivano loro il passo. Ma prima di arrivar e alla porta Michele si fermò per dare un ultimo avvertime nto a sua nipote Filomena, che se ne stava in piedi a cul lare tra le braccia il bambino in pianto, a sussurrargli una canzone di sonno. Brutalmente le disse "Com'è vero Dio, que sto bambino ti muore: in gloria di santa Filomena" soll e- vando intorno una marea di indignazione. "Scomunicato!" gli gridarono. "Scomunicate siete voi, che vi state mettendo contr o il Papa" gridò Michele subito svicolando, appresso a s ua moglie, dalla porta. Squagliava di sudore, le orecc hie gli bruciavano: e Sl fermò sulla soglia della chiesa a prendere respiro. "Congratulazioni" disse il brigadiere "ce l'ha fatt a." "Ce l'ho fatta sì" disse Michele "ma è un inferno.. . Mi creda, non c'è che una soluzione: lasciarle cuocere nel loro brodo..." "Eh sì, sono anch'io di questo parere... Ma aspetto or- dini... Vedremo..." "Auguri" salutò Tricò. "Andiamo" si impazientì Filomena. "Tl è venuta la prescia" constatò Michele muovendos i dietro a lei come se stesse a godersi una passeggia ta. "Certo che mi è venuta: mia madre .." "A proposito: perché non te la sei tirata dietro, a far sciopero per santa Filomena?... Forse un insulto le veniva davvero, dentro quel calderone..." "E allora non è vero!" "Che ha avuto un colpo?... Certo che non è vero: l' idea appunto mi è venuta che l'avevo vista un momento prima, e stava meglio di me." "La VUOI morta, povera vecchia: e che ti ha fatto?" disse con voce di pianto Filomena "Tu lo sai meglio di me, quelio che mi ha fatto.. M a ora il discorso è un altro: dobbiamo parlare di que llo che stasera mi hai fatto tu... E come ti viene in mente , sa- pendo come io la penso, a metterti in quella cagnar a?" Erano già a casa, e Filomena aveva cominciato ad af fac- cendarsi in cucina, muovendosi più precipitosamente del sollto, per preparare la cena. "Non era una cagnara: le cagnare sono quelle che fa i tu... La nostra era una cosa muta: ci vogliono togl iere la Santa, e nol ce ne stiamo in chiesa a guardarla..." "Ignorante, sei ignorante come una mucca..." "Io so che la Santa c'è sempre stata, che ha protet to questo paese ed ha fatto miracoli, che per lei ci s ono state messe, tridui..." "E questo che vuol dire? Un tizio aveva letto nelle ca- tacombe una lapide, l'aveva capita per il verso sba gliato: che sotto c'erano le ossa di una vergine di nome Fi lo- mena, e non era vero niente, l'iscrizione voleva di re un'al- tra cosa..." "Non può essere... E i miracoli? Dove li metti i mi ra- coli ?" "Li metto..." Michele si portò una mano alla bocca, a sigillarvi la greve espressione che stava per pronu nciare. "Lasciamo perdere, il problema non è questo: il pro blema è se tu e tutte quelle sventurate che stanno in chi esa siete o non siete cattoliche." "Certo che siamo cattoliche!"

"E allora quando vi dicono che santa Filomena non e si- ste, che non è mai esistita, mettetevi la coda tra le gambe e tirate via senza guardare né a dritta né a manca. .. Se l'ar- ciprete vi dice che chi non vota per la Democrazia Gi- stiana va all'inferno, gli credete; se vi dice che santa Filo- mena non esiste, fate la rivolta... Queste son cose da pazzi !" "Non caprsci niente" disse Filomena. "Io non capisco niente?" esplose Michele. "Io? Ma i o capisco tanto che la cosa sto portandola per come t u, che dici di essere cattolica, dovresti afferrarla... E ora te la volto per il verso mio: e ti dico che sei ignorante col palmo e con la giunta, e che questa è una storia da far ri- dere anche le pietre..." Gettando manate di cavoli nella pentola che bolliva Fi- lomena silenziosamente piangeva, piangeva la sua cr oce di avere un marito che non credeva né a Dio né ai S anti. "Piangi sulla tua ignoranza, che è più nera della morte." "I miracoli" insorse Filomena "ci sono i miracoli: i mi- racoli non li può negare nessuno..." "Questo è il bello della storia: che ci sono i mira coli... Io mi ricordo quando tua madre vide in sogno santa Filo- mena, e aveva tre numeri in mano: e la vecchia li g iuocò e vinse il terno. Santa Filomena che porta i numeri dei lotto, già la cosa era da ridere... Ma c'è di peggi o: c'è che un prete, che aveva visioni di santa Filomena, per queste visioni è diventato quasi Santo; un prete francese, non ri- cordo come si chiamasse..." "Lo vedi che santa Filomena c'è?" "Caspita, che testa! Santa Filomena non c'è, bestia che sei: ed è il Papa stesso che te lo dice... E che in teresse può avere il Papa, in questo caso, a dirti una cosa per un'altra: per far nascere cagnara?... Santa Filomena non esis te: e basta... Ed il bello è che pur non essendo mai esis tita quel prete francese e tua madre, e tanti altri pret i, e tante altre donne l'hanno vista così come io vedo te." "C'è" disse Filomena, ferma come una roccia. "Non c'è, non c'è mai stata" disse Michele "e la ca le- ranno giù dall'altare: e al posto di santa Filomena mette- ranno un'altra Santa e tu continuerai a portare i c eri in chiesa, a far dire messe, a votare secondo il consi glio del- l'arciprete... E tua madre vincerà qualche altro te rno, coi numeri che le darà la.nuova Santa... Finché non ver ranno a dirvi che un tizio aveva sbagliato ancora a legge re una lapide..." Uscì dalla cucina e sedette a tavola, aspettando ch e Filo- mena gli portasse i cavoli e l'uovo bollito. Tirò d alla tasca il giornale come ogni sera; lo aprì. Se ne era dime nticato: invece di fare quella discussione inutile, ché disc utere con una donna è come lavare la testa all'asino, avrebbe potuto leggersi in pace 'I'Unità'. Il suo occhio corse per i titoli: Re- gistrata dagli osservatorii di tutto il mondo Esplo ~a nella Nuova Zemlija la 'superbomba' sovietica Disarmo generale! 'Quando ci vuole ci vuole: ora lo sanno che la nostra bomba è più forte della loro.' Al XXII Congresso del PCUS Decisa la r imozione di Stalin dal mausoleo. "Gli occhiali" gridò "portami gli occhiali" che per lo scritto piccolo ne aveva bisogno. Filomena portò su bito gli occhiali. Michele si immerse nella lettura. Il piatto dei cav oli gli fumava davanti. Continua a p. g col. 3. Squassò fre netica- mente il giornale in cerca della pagina nove, della terza

colonna. Eccola: 'se accaduto per colpa di Stalin.. . che sia riconosciuto come irrazionale conservare la tomba d i Sta- lin nel mausoleo... La risoluzione è messa ai voti. I dele- gati alzano il mandato rosso. La proposta di rimozi one della salma di Stalin è approvata alla unanimità.' Violentemente la mano di Michele Tricò lanciò il gi or- nale verso il soffitto; i fogli planarono parte sul pavi- mento, parte sulla macchina da cucire. "Che c'è?" domandò Filomena. Michele affondò la forchetta nel piatto dei cavoli. La moglie lo guardava, preoccupata che si riprendesse la que- stione della Santa. "Niente" disse Michele "niente." FILOLOGIA "Lei crede che venga dall'arabo?" "Molto probabilmente, mio caro, molto probabil- mente... Ma, in materia di parole, c'è scienza tutt 'altro che sicura: da dove vengono, qual è la strada che h anno fatto, i significati che hanno mutato: una confusio ne mio quartiere: è morto durante la prima guerra mon- diale... Senti che cosa scrive il Pitré: 'La mafia non è setta né associazione, non ha regolamenti né statuti. Il mafioso non è un ladro, non è un malandrino; e se nella nuo va fortuna toccata alla parola, la qualità di mafioso è stata applicata al ladro, ed al malandrino, ciò è perché il non sempre colto pubblico non ha avuto tempo di ragiona re sul valore della parola, né s'è curato di sapere ch e nel modo di sentire del ladro e del malandrino il mafio so è semplicemente un uomo coraggioso e valente, che non porta mosca sul naso, nel qual senso l'essere mafio so è ne- cessario, anzi indispensabile. La mafia è la coscie nza del proprio essere, l'esagerato concetto della forza in dividuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto, d'ogni urto d'inte- ressi e d'idee; donde la insofferenza della superio rità e peggio ancora della prepotenza altrui. Il mafioso v uol es- sere rispettato e rispetta quasi sempre. Se è offes o non si rimette alla legge, alla giustizia, ma sa farsi rag ione perso- nalmente da sé, e quando non ne ha la forza, col me zzo di altri del medesimo sentire di lul'." "Scrive come un angelo." "Come un angelo, sì: ma non è che non dica qualche fesseria..." "Davvero? A me è parso preciso e giusto come il Van - d'in~erno... Questa è poi una di quelle parole su c ui si possono dire le più diverse fesserie; fesserie dott e, fesse- rle che hanno tutte una loro logica... Il fatto è c he ognuno, prima di vedere qual è l'origine della paro la, cerca di sapere il significato che in atto ha: e qu i comin- ciano i guai; ché chi ritiene che la parola signifi chi uno stato d'anlmo se ne va per una via, e chi invece ri tiene si- gelo." gnifichi uno stato di fatto ne imbocca un~altra..Ec co il "Leggi il Vangelo, tu?" Petrocchi, che scrive la parola con due effe, all~i taliana E un modo di dire..Ma qualche volta l'ho sentito 'Unione di persone d'ogni grado e d'ogni specie che si le~r" dànno aiuto nei reciproci interessi, senza rispetto né a leggl, né a morale'; e la mette in relazione, ma co n molta incertezza, all'antico francese ma~qer, da cui ma?é e ma~u: mangiare, ingozzarsi..." "Non mi piace." "Dà il voltastomaco.. Mangiare, ingozzarsi: che men -

tallta!... Perché è questlone di mentalità: un simi le colle- gamento non sarebbe mai venuto in mente a un uomo come il Pitré; un vecchietto che pareva campasse d' aria leggero come un uccello. Io me lo ricordo, abitava nei "Sai che dice il Vangelo? 'A chi ti dà uno schiaffo , porgi l'altra guancia': ti senti animo di farlo?" "A chi mi dà uno schiaffo, io gli sparo in bocca." "Bene... Ci sono fesserie anche nel Vangelo, dunque .. Ma torniamo al Pitré..." "Ho capito, ho capito dove casca l'asino: prima ha detto che la mafia non è associazione, e poi che un o può anche farsi ragione per mezzo di altri: e dunque l' associa- zione c'è'?. "Sei intelligente, ma devi imparare a parlare: non si dice 'ho capito dove casca l'asino', quando si parl a di un grand'uomo, di una gloria della nostra terra." "Era un modo di dire." "Tu devi guardarti dai modi di dire, dai proverbi, dalle parabole: le cose devi dirle nel modo più secco e p iù cor- retto, con educazione, con tatto." "Cristo di Dio, forse che ho istruzione? L'universi tà io l'ho fatta in mezzo alle pecore." "E tu lasciati scappare un 'Cristo di Dio' davanti alla commissione.. ." "Ma è sicuro che mi chiamerà, la commissione?" "Sicuro com'è sicura la morte: e io starei a perder e tempo con te, se non fossi sicuro? Ti chiamerà." "Sudo freddo, a pensarci." "Quante volte sei stato chiamato dai carabinieri qu an- te volte sei comparso davanti a un giudice istrutto rei" l'Acqua passata, ormai: sono più di dieci anni che nes- suno mi dà fastidio... Questa è poi una cosa nuova. .. La commissione, dico: chi sa come si regola, chi sa qu ello che domanda... Il carabiniere, il giudice, chiedono di un certo fatto, di una certa persona: se sono stato in mezzo al fatto, se ho rapporti col tizio e col filano, e dov e stavo quella sera, a quell'ora... E uno le risposte se le prepara prlma, ad ognl botta ha pronta la risposta... Ma la com- missione, a quanto capisco, può domandare quello ch e vuole: e bisogna avere la mente pronta, i nervi ser eni..." "Ti ho mai fatto fare uno sbaglio, un passo falso, una fesseria?" "Mai." "E dunque non ti preoccupare... Io, perché tu lo sa p- pia, chiedero di essere sentito dalla commissione." "Lei ?" "Sì, mio caro, proprio io: ho anch'io da dare il mi o pic- colo contributo." "Ma..." "Un contributo alla confusione, si capisce... E te lo ga- rantlsco lO che ad un certo punto non si capirà più niente: tra storia, filologia e lettere anonime non si capi rà più Il mare colore del vino 1327 niente, niente... Hai idea della quantità di letter e anonime che riceverà la commissione? Nel 1943, quando gli a meri- cani mi fecero sindaco, io ne ho ricevute un miglia io: un paese intero veniva a risultare, dalle lettere anon ime, fatto di spie dell'Ovra; persino l'onorevole Panebianco, che era stato in galera fino alla caduta di Mussolini. E le stesse lettere ricevevano gli americani: e dapprima le rit ennero veritiere, arrestarono qualcuno e lo portarono ad O rano.

Poi le lettere diventarono una valanga: e allora an che loro capirono... Figurati quello che succederà ora... Qu esta è una terra, mio caro, in cui nella stessa faccia, ne lla tua o nella mia, un occhio odia l'altro occhio... Vedrai. .." "Questo è vero." "Torniamo dunque al discorso... Secondo il Fanfani. .." "E lei va parlando ancora di Fanfani?" "Non Amintore, bestia: parlo di Pietro Fanfani, aut ore di un vocabolario italiano dove la parola maffia, d ue effe, è data col significato di 'società segreta in Sicil ia' e fatta derivare dall'arabo maehfil, che vuol dire adunanza e luogo di adunanza. Dello stesso parere sono lo Zamb aldi e il Rigutini; e un po' tutti, fino al Palazzi... E la defini- zione del Palazzi te la voglio leggere, ché è spass osa: la prima parte è copiata dal Petrocchi, poi dice che ' non sempre la mafia ha per fine il male, ma i mezzi che essa usa sono sempre illeciti; era diffusa un tempo in S icilia'. Spassosa, spassosa davvero." "Mi piace; quando dice che la mafia non sempre ha per fine il male, mi piace... Questo qui è un galan tuomo." "Non è che sia un galantuomo: è che si è fidato di altri alantuomini... Ma la cosa divertente è questa: 'era dif- fusa un tempo in Sicilia'." "Lo diciamo anche noi, che la mafia non c'è più... Una volta l'ha detto anche il ministro..." "Noi e il ministro non facciamo vocabolari... E con si- dera che questo è stato stampato nel 1948... Un tem po! A1 tempo di re Martino, forse... E veniamo ai sicilian i, agli studiosi siciliani: il primo vocabolario siciliano che regi- stra la parola è quello del Traina, 1868; e la dà c ome nuova, forse proveniente dal toscano smàkri, che vu ol dire sgherri.. ." "Non mi piace." "...o, e questo ti piacerà di meno, dice che in Tos cana la parola maffia vuol dire miseria, 'e miseria vera è cre- dersi grand'uomo per la sola forza bruta, ciò che m ostra invece gran brutalità, cioè l'essere gran bestia'. Ti piace?" "Mi fa schifo." "Ma poi aggiunge: 'Sicurtà d'animo, apparente ardir e: baldanza'." "Comincia a ragionare." "Comunque, per non farla lunga sulla etimologia, e- ti-mo-lo-gia: cioè l'origine della parola, ci ferme remo al Padre Gabriele Maria da Aleppo, missionario cappucc ino e professore di arabo, che così conclude una sua do tta ana- 11SI: 'Stando adunque al significato delle parole p roposte qui sopra, la parola mafia in origine dovette avere il va- lore di protezione contro le soverchierie dei poten ti, esenzione da qualunque legge sociale, riparo da qualunque danno, forza, ro- bustezza di corpo, serenità d'animo, nconoscenza e gratitudine verso chi faceva dei benefizi da un canto, e dall'a ltro la parte migliore e più squisita di ogni cosa, ciò che corri sponde per- fettamente a quanto dice il Pitré'. Le parole propo ste dal Padre Gabriele sono queste, arabe: mohafat, che vuo l dire difendere; hofuat, la miglior parte di una cosa; mo hafi, amico, amico riconoscente... Questo per semplificar e, per non confondertl la testa..." "Ne ha di dottrina, questo cappuccino!" "Ne ha, ma non mi persuade. Mi persuade di più il Fanfani, a dirla tra noi." "Fanfani? E che è dei nostri, ora~" "Devi fare attenzione, mio caro, devi fare attenzio ne... Ho detto il Fanfani, e ti ho già spiegato che non h a niente a che fare con l'uomo politico... Dunque non pre-

sti atrenzione alle cose che io ti sto spiegando." "11 fatto è, chiaro parlando, che in queste cose st iamo perdendo del tempo, mi pare: Cristo di Dio, e che m e ne faccio di questa scienza delle parole! Io la mia sc ienza, tutta la scienza del mondo, la tengo nel portafogli o e nella schioppetta a due canne." "E allora ha ragione il Traina: ti credi un grande uomo solo perché sei una grande bestia... Ma io me ne fo tto, tanto su di me non ci piove: vi lascio in pasto ai cani, vi lascio... Tanto, tu e quelli che la pensano come te , avete la scienza del portafoglio, della schioppetta a due canne e delle automobili cariche di dinamite... Perché ora la vo- stra scienza si è arricchita della dinamite, del tr itolo: con questo bel risultato... Lasciatele fare ai tedeschi del Tirolo, queste cose: gente fanatica, gente pazza; fascisti. .." "Funzionava però, la dinamite, funzionava: anche le i, in principio, quando..." "Mettiamo le cose a posto: in principio, come dici tu, ché io non so bene quand'è stato il principio voi m i avete detto 'questa storia della lupara deve finire, orma i tutti t)arlano di lupara, questa è diventata la terra del la lupara, facciamo brutta figura all'estero: ci sono mezzi mi gliori, più sbrigativi, più sicuri; e quando non si deve sb agliare il colpo, è meglio servirsene... E abbiamo un giova ne che in fatto di esplosivi è un padreterno...': e io vi ho lasciato fare, voi e il vostro padreterno; un padreterno che abban- dona l'automobile senza disinnescare l'ordigno... U n pa- dreterno!" "Lei sa com'è andata la cosa: un momento di panico, una distrazione..." "Una distrazione! Una distrazione che fa succedere il finimondo, una distrazione che ne sente il botto il mondo intero: con tutte le conseguenze che vedete." "Ma avevo fatto telefonare: non toccate la macchina , che succede l'inferno." "E quelli invece l'hanno toccata... E davvero ti as pet- tavi che non la toccassero? E perché, per una telef onata anonima? Poteva essere uno scherzo." "Mi dispiace, ma quello che è fatto è fatto... Mi d i- spiace per i soldati, che non c'entravano." "Non c'entrava nessuno, di quelli che sono morti... E il bello è che poi, a me, tocca partecipare ai funerah ." "Non è la prima volta." "Sei diventato spiritoso, a quanto vedo." "Io spiritoso? Con lei? Ma non mi permetterei mai!" "Bene... Lasciamo stare, dunque, questi mezzi da te rro- risti: noi non siamo anarchici, siamo persone d'ord ine... E i conti che abbiamo da regolare, da oggi in poi li regole- remo all'antlca.'' "I ragazzi però ci avevano preso gusto..." "Certo che l'effetto era grande, non lo posso negar e... Ma non ci si può mettere su questa strada... O cred i che dobbiamo metterci a lavorare per avere anche noi la bomba atomica?... Discrezione, ci vuole; saggezza, studio, tatto... Il nostro problema, per ora, è quello dell a commis- sione d'inchiesta: affrontiamolo con tranquillità d i mente... Dunque: il Pitré dice che la parola mafia, quale che sia la sua origine, anche se registrata per la prima volta nel 1868.;; Da quale dizionario è stata regis trata per la prlma volta? "Dal Traina." "Bravo... Anche se registrata per la prima volta ne l 1868 esisteva prima della venuta di Garibaldi... E che esi- stesse anche la cosa, cioè l'associazione, è provat o dal fatto

(aggiungo io) che i mafiosi della Vicaria, quei maf iosi che erano chiusi in prigione, fecero nel 1860 un pr oclama, nvolto agh amlci che erano liberi, in cui raccomand avano che si comportassero bene, che non commettessero fu rti, rapine e omlcldi che i Borboni potessero di fronte al mondo, per propaganda come oggi si dice, attribuire alla rivoluzione garibaldina..." "Questa non la sapevo." "Ci sono tante cose che non sai, e che è bene saper e... La cultura, mio caro, è una gran bella cosa..." GIOCO DI SOCIETA La porta improvvisamente si aprì mentre la sua mano ancora esitava sul pulsante del campanello. La donn a disse: "Entri, l'aspettavo" sorridendo, la voce gorgheggia ta come se veramente stesse realizzandosi per lel un avvemm ento desiderato, aspettato con emozione e con gioia. Lui pensò che c'era un equivoco, tentò di calcolarne le conse guenze. Restava sulla soglia smarrito, un po' stravolto. Si cura- mente, pensò, lei stava aspettando qualcuno: qualcu no che non conosceva o che conosceva appena o che non vede va da tanti anni. E non aveva gli occhiali, poi; e di sol ito, sapeva, li portava. "Mi aspettava?" "Certo che l'aspettavo. .. Ma en- tri, la prego" sempre gorgheggiando. Entrò, fece tre passi sul pavimento di ceramica che ri- produceva una antica carta nautica: pesantemente, c ome in un pantano. Si voltò verso di lei che già aveva chiusa la porta e sempre sorridente gli indicava una poltrona . Tentò di chiarire l'equivoco, di sapere. "Ma lei ch i aspettava, precisamente?" "Precisamente?" fece eco lei con un sorriso ora iro nico. "Ecco: io..." "Lei... ?" "Insomma, credo che..." "Che io stia scambiandolo per un altro." Non sorri- deva più. E pareva più giovane. "Ma no, aspettavo p ro- prio lei... Vero è che non ho gli occhiali, ma gli occhiali 1332 Il mare colore del vino mi servono per le cose vicine. L'ho riconosciuta qu ando era al cancello. Ora forse, da vicino, ho bisogno d egli oc- chiali: così né lei né io avremo il minimo dubbio." Gli occhiali erano posati su un libro aperto, il libro sul davan- zale della finestra. Aspettandolo, l'orecchio certo intento a cogliere il cigolìo del cancello, aveva cominciato a leggere il libro: ma ne aveva letto poche pagine. Lo assalì l'insen- sata curiosità di sapere che libro fosse, quale let tura si era scelta per ingannare l'attesa. Ma come mai lo atten deva? Era caduto in una trappola, in un tradimento, o c'e ra stato un pentimento improvviso da parte dell'uomo che lo aveva mandato? Stranamente, gli occhiali dalla montatura nera e pe - sante la fecero apparire ancora più giovane: lo sgu ardo, dilatato dalle lenti, assunse un che di meravigliat o, di spaurito. Ma non era né meravigliata né spaurita. G li voltò le spalle come a sfidarlo, anzi. Aprì il cass etto di uno scrittoio, tirò fuori delle carte. Quando si vo ltò e gli Sl avvlclnò aveva m mano un ventaglio di fotogra~ie . "Sono un poco sfocate" disse "ma non c'è dubbio. Qu esta è stata scattata alle undici del venti giugno, in v ia Maz-

~ini: lei è con mio marito; quest'altra alle cinque del po- meriggio, in piazza del Popolo: ventitre luglio, le i è solo, sta chiudendo la macchina dopo aver posteggiato; e in quest'altra ancora c'è anche sua moglie... Vuole ve derle? Il tono era ironico ma senza malanimo, quasi svagat o. Lui si sentì finalmente caricato per fare quello che do veva fare. Ma non poteva; per quel tanto che riusciva a connet- rere, non poteva più, non doveva. Fece segno di sì, che voleva vederle. Lei gliele diede, restò a guardarlo con la leggera e compiaciuta ansia di chi mostra fotografi e fami- liari, di bambini, e se ne aspetta complimenti. Ma l'uomo era come parahzzato, le percezioni i pensieri i mov imenti gli accadevano lenti e remoti, disperatamente pesan ti. E il compllmento venne da lei, banale e feroce. "Ma sa c he lei è fotogenico?e infatti la sfocatura non arrivava a velare la sua identità, mentre un po' confondeva quella di sua moglie e del commendatore. Il mare colore del vino 1333 "Si accomodi" disse la donna indicandogli la poltro na vicina: e lui vi si sprofondò come nella frana dell a sua esi- stenza. Poi: "Vuole bere qualcosa?" e senza aspetta re ri- sposta prese due bicchieri, una bottiglia di cognac . Si trovò col bicchiere in mano, di fronte a lei che so rseg- giava dal suo guardandolo con divertimento. Bewe. S i guardò intorno come chi rinviene da un collasso. Be lla casa. Le restituì le fotografie. "E una bella ragazza, sua moglie. Somiglia, non so se lei lo sa, alla principessa di Monaco. Ma su questa foto- grafia posso anche sbagliare. Sbaglio?" "Forse non sbaglia." "Dunque lei non se ne era mai accorto." Ancora quel - l'odiosa risata gorgheggiante. "Ne è innamorato?" Non rispose. "Non mi giudichi indiscreta, non è per curiosità ch e glielo domando." "E perché dunque?" "Vedrà... Ne è innamorato?" Respinse la domanda con un gesto della mano. "Non vuole rispondermi o debbo intendere che non ha nessun sentimento nei riguardi di sua moglie?" "Come vuole." "Io voglio una risposta precisa." Lo disse durament e, con minaccia; poi con tono suadente e accorato: "Pe rché, vede, io debbo sapere prima se lei può sopportare". "Prima di che?" "Lei ha già risposto alla mia domanda." "Non mi pare." "Ma sì. Io le ho detto: debbo sapere prima se lei p uò sopportare; e lei non mi ha domandato che cosa avre bbe dovuto sopportare, quale rivelazione riguardo a sua mo- glie, al suo amore per lei... Si è attaccato subito a quel 'prima'. Prima di che? Giusto. Non è di sua moglie che si preoccupa, ma di se stesso. Giusto. Va bene così." "Glielo domando ora: che cosa dovrei sopportare?" "Quello che le dirò." "Su mia moglie? E si preoccupa se posso sopportarlo ?" Il mare colore del vino "Su sua moglie. E mi preoccupavo di sapere come lei avrebbe reagito perché noi due siamo destinati a un a lunga e solida amicizia, e dovremo lasciarci alle s palle tante cose. Sempre che lei lo voglia, si capisce."

"Ma mia moglie..." "Ci arriverò. Intanto mi dica: ha capito?" "Che cosa?" "Queste fotografie, il fatto che stessi aspettandol a: ha capl to ' " "No " 'Non mi deluda: se davvero non ha capito, le mie sp e- ranze crollano. E anche le sue." "Le mie?" "Certo anche le sue. Non le ho detto che diventerem o amici? Sinceramente dunque mi dica: ha capito?... E non abbia paura di parlare, non c'è nessun microfono na sco- stonessun registratore in funzione. Può accertarsen e, del rcsto... Io sto per offrirle un lavoro semplice, ra pido, red- dinzlo e senza rischi. Senza dire che sto salvandol a da un pericolo immcdiato, sicuro. Deve ammettere, dunque, che ho almcno il diritto di conoscere il suo quoziente di intel- ligcnza... E allora: ha capito?" l'on del tutto." 'Naturalmente... Mi dica che cosa ha capito." "~o capito che lei sa." "Risposta breve ed esauriente. Vuol sapere ora come ci sono arrivata?" "Mi piacerebbe." "Pcrderemo del tempo, ma è giusto che lei sappia... Ma a che ora deve incontrarsi con mio marito? Perch é è benc- che glielo dica subito: la base della nostra futura amlcizia sarà l'incontro che lei stasera avrà con m io ma- rito. A che ora?" "Ma non dobbiamo incontrarci." "Ecco che lei ancora diffida. Conosco benissimo mio marito: non poteva non darle appuntamento per stase ra. A che ora?" "A mezzanotte e un quarto." Il mare colore del vino 1335 "I)ove?" "In una stradetta di eampagna, a trenta chi lometri da qui.' "Bene, abbiamo tempo... Ma forse è meglio che sia l ei, ora, a farmi delle domande." "Non saprei da dove eomineiare, sono piuttosto eon- fuso." "Davvero? Mi aspettavo lei fosse un tipo più pronto , di riflessi più rapidi, di immediate riflessioni. M a forse il punto della sua meraviglia, della sua eonfusione, s ta nel fatto che mio marito non le ha detto niente di me, del mio earattere, della mia eapaeità a intuire i suoi pensieri più segreti. Dopo quindiei anni di vita in eomune, un uomo eome lui e un libro aperto per una donna eome me. Un libro molto seioeeo, molto noioso. Lei che ne di ee?" "Di che?" "Di mio marito." "A giudieare dalla situazione in eui mi trovo in qu esto momento, è un imbeeille." "Sono eontenta di sentirglielo dire. Ma avrebbe pot uto eapirlo anche prima, che imbeeille è. Capiseo, però , eome lei sia stato abbagliato dalla sua prestanza, dal s uo modo di fare, dall'autorità e dal denaro che eontinuamen te, ma anche eon una eerta aeeortezza, una eerta nonehalan ee, fa mostra di possedere... E di denaro ne possiede, non si al- larmi... Aneh'io, d'altra parte, ei sono eaduta. No n che ne sia pentita: il mio solo disappunto è di averlo spo sato di-

eiamo per amore inveee che per ealeolo. Ma l'avrei spo- sato in ogni easo; e il mio ravvedimento è stato po i im- mediato. E mi ero, non dieo adattata, ma addirittur a ada- giata, in una situazione che mi eonsentiva di sfoga re ea- prieeio e dispetto, una situazione che mi offriva t utto quello che una donna può desiderare, eompreso il di - sprezzo per l'uomo che le vive aeeanto, ed eeeo che l'im- beeille viene a rompere l'equilibrio." "Non direi, però, che è eosì totalmente imbeeille e ome lei lo eonsidera: nel easo in eui mi trovo, sì, non e'è dub- bio, si è eomportato seioeeamente, senza preeauzion e... 133G Il mare colore del vino Ma è un uomo che si è fatto da sé, almeno così mi h a detto, così dicono tutti: e si è fatto molto ricco, molto po- tente..." "Lei ha un'idea da romanzo rosa, da manuale ameri- cano del successo, sugli uomini che si fanno da sé. Io co- nosco non solo mio marito, ma una cerchia piuttosto va- sta di uomini che si sono fatti da sé: e posso assi curarle che sono stati fatti, tutti, dagli altri; i quali, a loro volta sono stati fatti da circostanze, combinazioni e int rallazzi che, anche se arrivano all'altezza della storia, re stano for- tuiti e miserabili... Nell'ultima guerra, mio marit o era nei battaglioni della milizia fascista insieme a Sabate lli, che è pOI diventato ministro dei lavori pubblici: entramb i vo- lontari. Tutto qui. E Sabatelli lei non immagina ne m- meno che cretino è. In una società bene ordinata, o nesta, in cui non si fanno carte false, in cui la capacità e il me- rito camminano da soli, la sorte più benigna li avr ebbe portati sulla soglia di un ufficio pubblico, come u scieri, e la più maligna oltre la soglia di un carcere. Invec e..." "Invece sono ricchi, potenti e rispettati... Ma lei mi ha invitato a farle delle domande. Posso?" Fermata nello slancio oratorio, fece segno di sì: m a contrarlata, stizzita. "Le mie curiosità sono molte, ma la più immediata è questa: perché proprio stasera mi aspettava?" "Perché oggi, a tavola, mio marito mi ha chiesto se avevo intenzione di passar fuori la serata: al cine ma, da qualche amica; ché lui sarebbe tornato tardi, molto tardi, per una riunione del consiglio di amministrazione d i una delle sue società. E di riunioni simili, durante qu esta estate, ne ha avute altre due: e dunque la terza do veva es- sere quella buona. Buona per lui, fatale per me. Pe rché non dico io, che lo conosco profondamente, ma chi t iene con lul una certa dimestichezza, sa che è tutto ded ito a un'idea di superstiziosa perfezione basata sul tre. E non parliamo poi del nove, su cui addirittura delira. L a terza riunione, dunque; il giorno tre; e lei è arrivato p untual- mente alle nove. E stato lui, non è vero, a dirle c he avrebbe dovuto suonare il campanello alle nove in punto?" "Sì, ma io credevo..." "...che fosse un dettaglio calcolato dalla sua ment e or- ganizzatrice. Ma lei non sa quanto poco organizzatr ice sia la sua mente, ammesso che ne ab ia una. E vogho ag- giungere che nella sua decisione di affidarle una m issione così... delicata diciamo, rischiosa... certamente h a giocato il fatto che lei sia un professore di matematica. L ui cono- sce appena la tavola pitagorica, e perciò coltiva l a convin- zione che le sue rapine, e tutte le rapine che ries cono, at-

tingano alla matematica più sublime. In certe rapin e alle banche, poi, addirittura sente la musica delle sfer e. Quelle rapine di cui si legge nei giornali: cronometrate, per- fette... E quando non sono perfette, lui SUI resoco ntl le studia, ne coglie le debolezze e gli errori, le por ta alla per- fezione ideale. Così è accaduto in questo caso. C'è stato, qualche anno fa, un delitto di cui certo anche lei si ri- corda, un processo famoso. Mio marito ci si è appas sio- nato, è arrivato al punto che mandava un suo impieg ato, ogni mattina, a prendere posto nell'aula dell'assis e, che glielo tenesse per il caso lui avesse il tempo di a ndare ad assistere; e più di una volta il tempo l'ha avuto. Nel tempo stesso che cercava gli errori che avevano por tato il protagonista nella gabbia degli imputati, ecco che lui ne faceva uno. Se oggi lei... Insomma, se le cose foss ero an- date secondo il piano, almeno una diecina di person e si sarebbero ricordate del suo interesse a quel proces so, e specialmente l'impiegato che gli teneva il posto e uno dei giudici, che lo conosce bene e che qualche volta, d all'alto dello scranno, gli faceva un sorriso." "E da allora che lei ha cominciato a sospettare?" "Anche da prima; ma è dalla sua passione a quel pro - cesso che ho capito che le intenzioni andavano conc retan- dosi in un piano preciso." "E allora si è rivolta a un'agenzia di investigazio ni." "Una cosa molto lunga, molto costosa; ma, come vede , ne valeva la pena. Per un paio d'anni l'agenzia non mi ha Il mare colore del vino rapportato altro che le sue infedeltà. C'era da rid ere: le sue infedeltà! Già dopo pochi mesi che eravamo spos ati non me ne importava niente. Lui le donne le aveva s em- pre pagate, continuava a pagarle, aveva pagato anch e me col matrimonio credendo che il mio prezzo, per quan to ingente e di lunga durata, fosse sopportabile." "E non era sopportabile?" "Evidentemente no." "Voglio dire: perché gli è diventato insopportabile ?" "Per colpa mia, naturalmente. Ho fatto di tutto per al- lontanarlo da me, per respingerlo al margine della mia vita, delle mie giornate, delle mie notti. Un margi ne molto esiguo, un piccolo tapis roulant di assegni.. . No, non ho avuto altri uomini. O meglio: una volta sola quando ho cominciato a disgustarmi di mio marito. C osì, tanto per provare. Prova fallita. Non si faccia ill usioni, dunque." Gli venne una vampata di collera, cercò una rispost a violenta. "Non si offenda. So bene di non essere né bella né gio- vane, lei potrebbe anche dirmi che sono brutta e ve cchia. Ma io volevo dire che lei facilmente potrebbe farsi l'illu- sione di poter raggiungere tutto il mio denaro, inv ece che una parte, passando sul mio corpo vivo dopo essere pas- sato sul corpo morto di mio marito: e io invece vog lio che tutto sia tra noi chiaro fin da ora." "Dunque lei riconosce che suo marito non ha poi tut ti i torti." "Io non riconosco niente; e se lei al punto a cui è arri- vato, a cui siamo arrivati, ha voglia di pesare i m eriti delle sue due possibili azioni, l'esecuzione del pi ano di mio marito o l'esecuzione del mio, sulla bilancia d ell'ar- cangelo, è affare suo. Ma è un cattivo affare, immi schiare la bilancia in queste cose. Questo tipo di bilancia , dico. Lei" e si aprì a un sorriso complimentoso "è un pic colo,

avido delinquente: non si permetta dei lussi che po ssono perderla." "Non sono un delinquente." Il mare colore del vino 1339 "Davvero?" "Non più di lei." "D'accordo. E molto meno di sua moglie, direi." "Forse. Ma lei come può dirlo?" "Lo deduco da quello che so. Lei non sa che sua mo- glie, diciamo così, frequenta altri uomini?" "Non è vero!" "Ma sì che è vero. E non se la prenda. Che cosa pos - sono togliere a una donna come sua moglie, tutti gl i uo- mini che frequenta? Siete una bella coppia, state b ene as- sieme, desiderate le stesse cose, non litigate mai, i vicini vi guardano con simpatia... Il primo rapporto che l 'agen- zia di investigazioni mi ha mandato su di voi, dice cose davvero carine: lei ha ventidue anni, insegna in un a scuola materna, molto bella, vivace, elegante; lui ha ven- tisette anni, supplente di matematica in una scuola media, simpatico, serio; molto innamorati, molto tranquill i... Il secondo rapporto, e poi tutti gli altri, su di lei non dicono niente di diverso, ma di sua moglie rivelano un'att ività insospettabile, sorprendente. Per denaro, senza dub bio. Perciò anche se veramente, fino a questo momento, l ei non sapeva, si tranquillizzi. Per denaro, soltanto per de- naro... Sa che una volta, una volta sola, è andata anche con mio marito?" "Lo sospettavo. L'ho sospettato, cioè, in principio : ho creduto che suo marito si fosse attaccato a noi sol tanto perché voleva arrivare a mia moglie. Non che mia mo glie ci stesse, però. E poi il sospetto svanì: non avevo più ra- gione di credere che venisse a tentare mia moglie, se quello che voleva da noi, da me, l'aveva ormai dich ia- rato. "Nel piano di mio marito, invece, una piccola liais on con sua moglie ci voleva. Per servirsene, credo, ne ll'even- tualità che lei, per caso o per una qualunque disat tenzione nell'esecuzione del piano, si scoprisse. Allora avr ebbe detto: ho avuto una relazione con sua moglie, lui è ve- nuto a saperlo, per vendetta ha ucciso la mia; o l' ha uccisa perché è venuta a cercare me, per uccidermi, e lei gli ha 1340 Il mare colore del vino resistito o l'ha mortificato o in qualche altro mod o ha su- scitato la sua violenza... Ma non cominci a rodersi nel so- spetto che in ogni caso, e d'accordo con sua moglie , mio marito avrebbe portato la polizia sulle sue tracce: non ar- riva a queste finezze. E poi sono sicura che sua mo glie non avrebbe mai consentito a questa soluzione final e: credo di aver capito che tipo di donna è." "Che tipo di donna?" "Mi somiglia. Somiglia a tante altre... Adoriamo le cose, abbiamo messo le cose al posto di Dio dell'un iverso dell'amore. Le vetrine sono il nostro firmamento, g li ar- madi a muro e le cucine americane contengono l'uni- verso. Le cucine in cui non si cucina, abitate dal Dio dei caroselli televisivi... Mio padre, che era un picco lo bor- ghese, passò tutta la vita in case d'affitto, senza mai sen- tire l'esigenza di possederne una. Oggi non c'è riv oluzio- nario che non voglia essere proprietario della casa in cui abita; che non si getti nei debiti, nei mutui venti cinquen-

nali, per il possesso di una casa. L'idea dell'eter nità, l'idea dell'inferno, si sono contratte nei mutui bancari v enticin- quennali. Sono le banche che amministrano la metafi sica. Ma lasciamo perdere... Sua moglie, dunque, mi somig lia. Ci somigliamo tutte, oggi, questo è il guaio. Sua m oglie, m plù, ha mdifferenza o innocenza. Sono certa che è stata lei a infiammarsi per prima, quando mio marito vi h a proposto l'affare... A proposito: in che termini ve l'ha proposto?" "Ha già versato a nostro nome, in una banca di Am- burgo, una grossa somma." "Quanto?" "Duecentomila marchi." "Dunque lei poteva stasera, invece di venire qui, v olare ad Amburgo e..." "Potevo. Ma tra due anni, se tutto fosse andato lis cio, avrei avuto altri quattrocentomila marchi." "Ne avrà da me cinquecentomila, e tra sei mesi. Si fida?" "Non lo so." Il mare colore del vino 1341 "Deve fidarsi. E tenga presente che il mio piano co m- porta un rischio minimo, mentre quello che lei stav a per eseguire l'avrebbe defilato in galera con certezza, è il caso di dire, matematica. L'agenzia di investigazioni er a incari- cata, nel caso mi fosse accaduto qualcosa, di manda re co- pie dei rapporti e delle fotografie alla polizia... Mentre ora, anche ammettendo che io non tenga fede all'imp egno o che addirittura abbia intenzione di tradirla, lei corre sol- tanto il rischio di non avere altro denaro e di ess ere con- dannato per omicidio passionale, d'onore. Due o tre anni di carcere, e c'è sempre di mezzo un'amnistia. Anzi , non dimentichi questo mio buon consiglio: nel caso lei ca- desse in trappola, si attenga sempre al tradimento di sua moglie, all'atroce delusione che mio marito le ha d ato. Sempre." "Pensandoci bene, lei forse mi sta appunto mettendo nella trappola." "La riterrei un cretino, se non se ne andasse da qu i con questo sospetto..." Guardò l'ora, si alzò, sorriden do do- mandò. "Mi giudicherà indiscreta se le chiedo di ch e morte doveva farmi morire?" "Pistola." "Benissimo... Se ne vada ora, è quasi al limite del tempo che ci vuole per raggiungere il posto dell'ap punta- mento. E auguri." L'accompagnò alla porta dolcemente sorridendo, ma- terna. Prima di chiuderla, quando lui si era già av viato verso il cancello, lo richiamò con un bisbiglio. "M i racco- mando: più di un colpo, è molto robusto" col tono d i sol- lecitare particolari attenzioni per un bambino grac ile. E poi: "C'è il silenziatore, immagino". "Nella pistola? Sì, c'è." "Bene. Di nuovo auguri." Chiuse la porta, si appogg iò con le spalle. Aveva un sorriso incantato, gustò og ni sil- laba dicendo: "Il silenziatore: omicidio premeditat o". Si avvicinò alla finestra. Lo vide uscire dal cancello . Sedette in poltrona. Si alzò. Passeggiò. Sfiorò con le mani, quasi facesse musica, mobili e oggetti. Si fe rmò da- ll ma~re co~ordel vino vanti ai quadri. Guardò l'orologio. Andò al telefon o, fece

Il numero, con voce agitata disse: "Mio marito è an cora m ufficio?... E già andato v ia.... Sono preoccupat a, molto preoccupata Sì, lo so che non è la prima volta che fa tardi; ma stasera è accaduto un fatto che mi inquie ta... E venuto a cercarlo un giovanc aveva un'aria sconvolt a, mi- nacciosa; si è messo qui ad aspettarlo; se ne è and ato pro- pno ora. Mi ha fatto paura... No, non è soltanto un 'im- pressione; è che so per quale ragione il giovane po teva es- sere così sconvolto. così minaccioso... Ma mio mari to è andato via da quanto tempo?... Sì, grazie. Buonaser a... Sì, buonanotte. Riattaccò, fece un altro numero, parlò con voce più agitata e accorata. "Commissariato? C'è il com- mlssarlo Scoto?... Me lo passi; subito, per favore. .. Oh commlssario. sono fortunata a trovarla in ufficio a que- st'ora... Sono la signora Arduini... Senta, sono pr eoccu- pata, molto preoccupata... Mio marito... E imbarazz ante per me, umiliante: ma non posso fare a meno di dir- ghclo...io marito ha una relazione con una donna sp o- sata, una donna molto giovane, molto bella... Lo so per- ché l'ho fatto sorvegliare da un'agenzia di investi gazioni, non ho vergogna a confessarlo... No, non voglio acc usarlo di adulterlo; al contrario, sono preoccupata che gl i suc- ceda qualcosa.. Perché, vede, stasera è venuto qui il ma- rito di lei, un giovane professore: era molto agita to, stra- volto. L'ho fatto entrare incautamente; e si è mess o qui con atreggiamento minaccioso, ad aspettare mio mari to. Per un paio d~ore. Ho tcntato di farlo parlare. ma non ri- spondeva che evasivamente, con poche parole. Ora se ne è andato... Sì, da qualche minuto... Ho telefonato a mio ma- rito per avvertirlo, ma già aveva lasciato l'uffici o. Do- vrebbe essere già qui, lei non potrebbe fare qualco sa?... Sì, va bene"uasi piangendo'aspetterò ancora mezz'ora e la rlchiamero... Grazle." UN CASO DI COSCIENZA Il viaggio da Roma a Maddà, su un treno che partend o da Roma alle otto del mattino arrivava a Maddà sett e mi- nuti dopo la mezzanotte, l'avvocato Vaccagnino sist emati- camente lo impiegava leggendo un quotidiano, tre ro to- calchi e un romanzo poliziesco. Almeno una volta al mese gli toccava fare quel viaggio: e all'andata ristudi ava e rior- dinava le carte che erano ragione del suo viagglo, al rl- torno si dava a plU svagate letture. Ma il quotidiano, i tre rotocalchi e il romanzo era no ormai misura di un viaggio in orario, dalle otto al la mez- zanotte, con l'intervallo dei due pasti: uno sul va gone ri- storante, l'altro sul traghetto. Il guaio era quand o il treno si caricava di ritardo: consumata la carta stampata , non potendo nemmeno dedicarsi a guardare la campagna o il mare che ora scorrevano nella notte amorfa, il sonn o co- minciava a insidiarlo; e c'era pericolo andasse a f inire, pe- santemente addormentato, alla stazione terminale, c ome una volta gli era capitato. Perciò, quando il ritar do si veri- ficava, nel treno ormai quasi vuoto l'avvocato si d edicava alla ricerca di giornali abbandonati dai viaggiator i, e si sentiva salvo quando ne trovava qualcuno, fasasta o di moda o di fumetti che fosse. E fu così che una notte d'estate, col treno che già a Ca- tania aveva quaranta minuti di ritardo ed era preve dibile ne avesse centoventi prima di arrivare a Maddà, l'a vvo- l i44 Il m~re colore del vino

cato si trovò immerso nella lettura del settimanale 'Vol': moda, casa, attualità. E prima lo sfogliò sofferman dosi a contemplare le immagini di una moda che, per quanto del corpo delle modelle scopriva, era senza dubbio piena di vlvacità e di grazia, ma sarebbe risultata indec ente a ve- stire il corpo di una moglie, di una figlia, di una sorella. Non che l'avvocato fosse, per carità!, di vedute ri strette, che non ammettesse il corso della moda anche a Madd à: ma il fatto era che non tutti, a Maddà, erano come lui ca- paci di vagheggiare le grazie femminili da un punto di vi- sta puramente estetico; e il passaggio di una donna così vestlta (scollatura profonda e gonna cortissima) av rebbe provocato, tra i soci del circolo dei civili, una s alve di gridi di desiderio e di sconce considerazioni tale da co- stringere il marito, il padre, il fratello della do nna a subire mdecorosamente o a compromettersi con una violenta reazlone. Il settimanale era voluminoso, per fortuna. Arrivat o al- l'ultima pagina, l'avvocato cominciò a risfogliarlo per co- minciarne la lettura. Tanta pubblicità, e poi La co scienza, l'an~ma. Risponde Padre Lucchesini. L'avvocato si t olse le scarpe, distese le gambe sul sedile di fronte, comi nciò a leggere. E subito ebbe un piccolo soprassalto: "Un caso molto delicato e complesso ci sottopone una lettric e di Maddà. 'Qualche anno fa, in un momento di debolezza , ho tradito mio marito con un uomo che frequentava l a nostra casa, un mio parente di cui sempre, fin da r agazza, sono stata un po' innamorata. La nostra relazione è durata per circa sei mesi, ma anche mentre durava io conti nuavo ad amare mio marito, ed ora lo amo più di prima e l a pic- cola mfatuazlone che avevo per quel mio parente è d el tutto finita. Ma soffro per avere ingannato un uomo tanto buono, tanto leale e fedele, tanto innamorato di me . Ci sono momenti che sento l'impulso di confessargli tu tto, ma mi trattiene la paura di perderlo. Sono religios issima: e perciò più volte ho confessato questo mio rimorso a dei sacerdoti. Tutti, tranne uno (ma era un continental e), mi hanno detto che se il mio pentimento è sincero e l' amore Il mare colore del vino 1345 per mio marito intatto, debbo tacere. Ma io continu o a soffrire. Lei, Padre, quale consiglio può darmi?' " Lo stato d'animo che si dislagò nell'avvocato era d i una soddisfazione che sfiorava l'esultanza. Se ne sareb be par- lato almeno per un mese, di quella lettera: al circ olo, nei corridoi del tribunale, nelle riunioni di famiglie. Centi- naia di ipotesi da fare, tante esistenze - di mogli , di ma- riti, di parenti delle mogli - da passare al vaglio della più sagace curiosità: pura, quasi letteraria, come la s ua; mali- gna, tutta tesa a far scaturire un qualche fattaccl o, come quella degli altri. Socchiuse gli occhi, levò la testa verso la lampada quasi per aver luce nella ricerca che lentamente, come un a rosa da disfogliare petalo a petalo, cominciava ad aprir si. 'E chi può essere?' si domandò a fior di labbro, soave mente. 'E chi mai può essere?': ma indugiando ad addentrar si nella ricerca per il timore che l'identità della si gnora, at- traverso i dati che la lettera offriva, gli si comb inasse su- bito nella memoria. E l'indugio era talmente delizioso che il sonno, de lizio- samente, vi si insinuò; l'avvocato però se ne scoss e al pen-

siero, improvviso, che aveva ancora da leggere la r isposta di Padre Lucchesini. Il Padre, era evidente, aveva cominciato a scrivere la sua risposta col sangue agli occhi: 'Un momento di debo- lezza? Un momento che dura sei mesi? Come può esser e così indulgente verso se stessa, verso la sua colpa , da con- siderare debolezza di un momento un tradimento che è durato sei mesi, SEI MESI, a danno di un uomo, come lei stessa dice, buono, leale, fedele, innamorato?' Poi , appeso a un 'ma', veniva un grappolo di carità, di dolcezz a: 'Ma se il suo pentimento è sincero, il suo rimorso semp re vivo, e tenace il proposito di mai più cadere nel p eccato...' Insomma: 'Lei ha pagato e paga la sua colpa colla p ena del rimorso; ma non può né deve spingerslino a conf es- sare ad un uomo buono ed ignaro qual è suo marito, ad un uomo che ha per lei quella fiducia che si accomp agna al vero amore, un tradimento la CUI conoscenza gll pro- 1346 Il mare colore del vino durrebbe un male forse irrimediabile. In astratto, non si può che lodare l'impulso della coscienza a confessa re il tradimento consumato alla persona che ne è stata vi ttima; ma se questa persona ne è ignara e la rivelazione a ltro non le porterebbe che dolore e inquietudine, il dov ere di tacere si impone. Tacere e soffrire. Giustamente du nque l'hanno consigliata quei sacerdoti che le hanno rac coman- dato di non rivelare a suo marito il tradimento. In quanto a quello che le ha consigliato il contrario, io cre do che l'incauto consiglio sia da mettere in conto di una sua scarsa conoscenza del cuore umano e non del fatto c he è come lei dice, un continentale. Preghi, comunque, p reghi. e che il tacere sia per lei sacrificio più grande d i una con- fessione all'uomo che ha tradito.' 'Bella risposta,' pensò l'avvocato, 'bella davvero. Indi- gnazione, carità, buon senso: c'è tutto. E un uomo di pri- mordine, questo Padre Lucchesini.' E dopo un grande sba- diglio, accendendo una sigaretta, si tuffò in una s pecie di gineceo in cui tutte le giovani e piacenti signore di Maddà timorose aspettavano che un uomo come lui, di ri- gorosi principi e di acuta intelligenza, tra loro s coprisse la colpevole, l'adultera. Ristorato da otto ore di sonno e da una gran tazza di caffè, mentre si vestiva l'avvocato Vaccagnino ripe nsò alla lettera della signora di Maddà. L'aveva ritagliata e conser- vata nel portafogli, pur sapendo che sua moglie era abbo- nata a 'Vol' e che copie del settimanale in paese d ovevano circolarne almeno una cinquantina. E forse il punto di partenza per una indagine avrebbe dovuto essere que sto: fare un elenco delle signore del paese che erano ab bonate al settimanale o che abitualmente lo compravano dal gior- nalaio. Operazione non difficoltosa: il giornalaio era suo cliente; e l'ufficiale postale, messo al corrente d ella cosa sarebbe corso anche di notte ad aprire i sacchi pos tali. Ad ogni buon conto, qualche indicazione poteva anche f ar- sela dare da sua moglie. E la chiamò. Quando la signora arrivò, con un "che vuoi?" impa- Il mare colore del vino 1347 ziente, irta di bigodini e lucente di creme, l'avvo cato si trovò però improvvisamente disposto ad assumere un tono dispettoso e inquisitorio. "Li leggi i giornali che compri?" domandò.

"Quali giornali ?" "Quelli di moda." "Sono abbonata solo a 'Vol'." "E gli altri li prendi dal giornalaio." "Non è vero, gli altri me li prestano le amiche" e la si- gnora credeva si stesse per scivolare in una delle solite di- scussioni sui dispendi, le prodigalità, le spese fo lli che, se- condo il marito, erano nodi che sarebbero arrivati al pet- tine, un giorno o l'altro. Ma l'avvocato non voleva incastrarsi in una discuss ione sul domestico bilancio: " 'Vol' " disse "appunto 'V ol': lo leggi" "Certo che lo leggo." "Anche la rubrica di Padre Lucchesini?" "Qualche volta." "E quella dell'ultimo numero, l'hai letta?" "No, non l'ho letta. Perché?" "Leggila." "Perché?" "Leggila, ti dico: vedrai..." La signora restò per un momento incerta tra l'insis tere per sapere che cosa ci fosse di interessante, l'and arsene ri- spondendo al dispettoso tono del marito col dispett o di non leggere la rubrica e la curiosità di correre su bito a leggerla. Prevalse, naturalmente, la curiosità; ma non volle dare al marito la soddisfazione di mostrare m eravi- glia e interesse per quel che aveva letto. Per cui l'avvo- cato, che voleva osservare le sue reazioni e strapp arle qualche informazione, qualche sospetto, dopo un qua rto d'ora di attesa di nuovo la chiamò. Ma la voce della signora venne dalla toletta, acuta di esasperazione: "Che c'è?" Dietro la porta chiusa l'avvocato domandò "L'hai letta?" 134S Il mare colore del vino "No" rispose seccamente la si~nora. Il mare colore del vino l'avvocato Vaccagnino. L'avvocato gliela consegnò: e Fa- "Quanto sei cretina" disse l'avvocato: sicuro che l ei l'a- vara, calandosi in una poltrona, si immerse nella lettura veva glà letta e per uno di quei ghiribizzi che var iavano la con quella cOncentrazione che di solito dedicava ai rebus, loroelicità coniugale non volesse dargli il piacere di par- ai crittogrammi, alle parole crociate; e non si accorgeva lare della cosa. del silenzio che si era fatto, e d ell'attenzione divertita o ansiosa di cui era diventato oggetto. Perché gli sc apoli, i vedovi, i vecchi, i fortunati la cui moglie era del tutto priva di parenti, si stavano divertendo; ma una ver a e pro- pria ansietà era negli sguardi di coloro che si tro vavano nelle condizioni stabilite da don Luigi: quasi che il com- portamento di Favara fosse una specie di sacrificio che, una volta consumato, avrebbe restituito loro quella sicu- rezza che sentivano franare. E infatti Favara, levando da quel pezzo di carta un o sguardo da naufrago, reagì nel modo che i suoi comp agni di pena, e anche quelli che si divertivano, auspica vano: "E che guardate? Cose inventate, stupidaggini... Io al le let- tere pubblicate sui giornali non ci ho mai creduto; se le inventano loro, i giornalisti". I più dissero "E vero, ha ragione" ma con un sogghi -

gno di compassione. Invece il dottor Militello, uomo notoriamente pio e ve- dovo da almeno trent'anni, insorse. "E no, caro ami co: posso anche ammettere che i giornali inventino dell e let- tere, per così dire, provocatorie; ma qui ci trovia mo di fronte a una rubrica tenuta da un sacerdote: e che un sa- cerdote possa inventare qualcosa, addirittura un ca so di coscienza poi, è un sospetto che io debbo respinger e come irriverente e ingiurioso." "Lei lo respinge?" domandò Favara con una ironia ch e appena arginava la violenza che gli ribolliva dentr o. "E lei chi è?" "Come, chi sono io?" fece il dottore, annaspando ne l- la ricerca di una identità che gli desse netto diri tto a re- spingere il sospetto di Favara. "Chi sono io, mi do - manda?... E chi sono io?" girando lo sguardo a doma n- darlo agli altri. Il maestro Nicasio, presidente dell'associazione de gli Ma ebbe più fortuna nei corridoi del tribunale; e u n successo addirittura clamoroso registrò poi al circ olo. In tribunale, il fatto che l'avvocato Lanzarotta, cinq uant'anni ben portati ma con una moglie di venticinque, lasci asse la toga dieci minuti dopo aver letto la lettera e, acc usando Improvvlso malore, pregasse il presidente di rimand are la causa che si stava per discutere, fu da tutti inter pretato nel giusto senso; e così quella specie di rigor mor tis che si veriflco nel gludice Rivera man mano che leggeva la let- tera: e la restituì senza una parola, avviandosi co me un sonnarnbulo verso il suo ufficio. Al circolo furono riferite le reazioni dell'avvocat o Lan- zarotta e del giudice Rivera: tutti convennero, con mali- gna compassione, che i due avevano di che preoccupa rsi. Ma don Luigi Amarù, che era scapolo, spietatamente di- chiaro che nelle condizloni di Lanzarotta e di Rive ra, e per restare nella cerchia di amici e conoscenti, ce ne dove- vano essere almeno una ventina. "Quali condizioni?" più di uno domandò. E don Luigi così le stabilì: età de lla donna tra i venti e i trentacinque, non brutta, di buona istruzione, come si vedeva dalla lettera; con un pa rente SUI quarant'anni, di bello aspetto, di un certo fas cino, che ne frequentasse o ne avesse frequentato la casa, co n un marito di buon carattere, pacifico, non molto intel ligente. L'unanime approvazione dello schema fu immediata- mente seguita da una diffusa costernazione: a parte l'in- telligenza, poiché nessuno era portato a dubitare d ella propria, in quelle condizioni tra i presenti ce n'e rano (qualcuno li aveva già contati) nove. Tra costoro, il primo a mostrare di averne preso co - scienza fu 11 geometra Favara. "Mi faccia rileggere la let- tera" disse avanzando cupamente, minacciosamente, v erso 1350 Il mare colore del vino insegnanti cattolici, volò in soccorso del dottore: "E un cattohco, e in quanto tale ha il diritto..." "Sepolcri imbiancati!" gridò Favara scattando dalla poltrona: e prima che gli offesi avessero il tempo di rea- glre appallottolò 11 ritaglio, lo lanciò contro il pianoforte con una rabbia e uno sforzo che pareva dovesse arri vare sul bersaglio mutato in una di quelle palle di bomb arda che si vedono a Castel Sant'Angelo; e uscì precipit osa- mente. Si fece un gran silenzio: ma leggero, tremulo di il arità. Poi il dottor Militello disse "Non sapevo che la mo glie di

Favara avesse parenti" avviando così una conversazi one talmente piacevole che soltanto fu sospesa per l'in ter- vento del cameriere, che molto rispettosamente fece no- tare l'ora: le due dopo mezzogiorno. L'avvocato Vaccagnino trovò gli spaghetti sfatti e la moglie m bronclo. E mangiò senza mormorazioni, poic hé la colpa era sua, tentando di rallegrare la moglie col rac- conto, debltamente colorito, delle scene di cui era no stati protagonisti Lanzarotta, Rivera e - dulcis in fundo - Fa- vara. Ma la signora non-mostrò di apprezzare lo spassoso racconto. "Bella coscienza, avete. E se succede qua lche tragedia?" "Ma che tragedia!" disse l'avvocato. "E quand'anche succedesse qualche tragedia, io la coscienza me la sento a posto. Primo, perché si tratta di una lettera pubbl icata su un giornale che lo leggono cani e porci..." "Lo hai letto anche tu" constatò la signora. "Per caso" precisò il marito. "E allora io che lo leggo sempre appartengo alla ca te- goria cani e porci" ché la signora, chi sa perché, voleva proprio far vampare una lite. L'avvocato, che invece non ne aveva voglia, le do- mandò scusa e continuò: "Secondo, perché nessuno, d ico nessuno, ha fatto la benché minima allusione ai cas i per- sonali di uno dei tre: a) perché sulle mogli di Lan zarotta, Il mare colore del vino 1351 Rivera e Favara, non c'è mai stata, che io sappia, nessuna maldicenza; b) che se anche ci fosse stata, siamo t utti dei gentiluomini e io poi fino all'eccesso, c) che se u no vuole proclamarsi cornuto, è libero di farlo come io sono libero di divertirmici..." "Questo è il punto" disse la signora "che ti vuoi d iver- tire." Irritato per essere stato interrotto nella foga del le sot- todistinzioni, in cui era maestro, l'avvocato alzò la voce: "Sì, proprio, mi voglio divertire... Se poi tu sai che questo è un argomento su cui io non ho il diritto di diver tirmi, non hai che da dirmelo" e già il suo aspetto dava n el fe- "Mascalzone" disse la signora; e corse a chiudersi in ca- mera da letto. L'avvocato si pentì subito dell'ultima battuta, e p iù per avere dismagliato la propria quiete che per avere o ffeso sua moglie; poiché ora da quella battuta rampollava una antica storiella e dalla storiella cominciavano a r ameg- giare e stormire l'inquietudine, il dubbio, l'appre nsione. La storiella era quella del bando di Guglielmo il n or- manno, che ordinava tutti i cornuti del suo regno p ortas- sero un cappuccio a pizzo per distinguersi da quell i che non lo erano, pena cento onze di multa; e un marito par- ticolarmente rispettoso delle leggi chiese alla mog lie se, in coscienza, a lui convenisse o no il cappuccio a pizzo, suscitando fierissime proteste e che non c'era donn a più di lei rispettosa dell'onore dei marito. Ma quando il bra- v'uomo, così rincuorato, stava per uscire a testa l ibera, la donna lo chiamò indietro e gli consigliò che per il sì e per il no, per levare l'occasione, si mettesse il cappu ccio. 'E che sa, un marito?' pensò l'avvocato: e tutta un a let- teratura di inganni femminili, di tradimenti consum ati dalle donne con diabolici accorgimenti, venne ad al imen-

tare il sentimento di autocommiserazione cui si abb an- donò con la disperazione di un cieco (il paragone g li ba- lenò nella mente) che riflette sulla propria sventu ra. E ve- ramente si sentì in una condizione di cecità fisica , asse- diato dalla compatta oscurità in cui si nascondevan o gli anni che sua moglie aveva vissuti prima che lui la cono- scesse, il tempo in cui la lasciava sola, la libert à di cui go- deva, i sentimenti che veramente aveva, le cose che vera- mente pensava. 'Ci vuole filosofia', si disse: e la trovò nel- l'immagine di Marco Aurelio, alta ed immobile sulla fluente e lubrica nudità di Messalina; ché, chi sa come, si era radicato nella convinzione che Messalina fosse stata moglie di Marco Aurelio e che costui fosse diventat o filo- sofo per dominarsi nelle coniugali disgrazie. La filosofia aleggiò nel circolo per tutta la serat a. C'e- rano anche il giudice Rivera e l'avvocato Lanzarott a, che evidentemente - e si vedeva dal colore della faccia e dal- l'occhio sperso e inquieto - simulavano serena indi ffe- renza; e del resto erano in molti a nascondere disa gio, ap- prensione, paura. Ed anche l'avvocato Vaccagnino, s ep- pure si trovasse, agli occhi degli altri, nella fel ice condi- zione di annoverare tra i parenti della moglie solt anto un cugino che stava a Detroit, e non si era mai visto in paese, e una zia monaca di clausura. Il geometra Favara aveva fatto di tutto per liberar li da ogni preoccupazione: appena lasciato il circolo era corso a fare un serrato interrogatorio alla moglie, trascor rendo an- che (si mormorava) a vie di fatto, e poiché la sign ora negò, disperatamente negò, di avere commesso quella colpa e di avere scritto quella lettera, Favara dec ise che c'era una sola cosa da fare: correre a Milano, trov are Padre Lucchesini e convincerlo a fargli vedere quella let tera. Per l'eventualità che Padre Lucchesini non si convinces se con le buone, si era messa in tasca una rivoltella. Per cui la si- gnora, appena uscito suo marito, telefonò all'ingeg nere Basicò, che salvasse il suo socio ed amico dalla ca tastrofe e l'ingegnere, che era veramente un amico, corse al l'aero- porto di Catania, calcolando che Favara, partito in treno, come assicurò il capostazione, sarebbe arrivato a M ilano l'indomani. Ma, per quanto amico, prima di partire volle informare il dottore Militello, cioè tutti i soci d el circolo, della delicata e segreta missione che si accingeva a com- plere. Perciò tutti applicavano ora filosofia al caso di F avara, dicendo infondati i sospetti che lo avevano sconvol to ma intensamente sperando che si rivelassero invece fon datis- simi. Arrivarono anzi a proclamare che la lettera d oveva essere stata mandata da qualche bello spirito di Ma ddà: appunto per far succedere quello che era successo; e che era impensabile una sventatezza simile da parte di una si- gnora. "Se trovo chi è stato" disse il professore Cozzo "i l collo glielo torco, per quanto è vero Dio." Poiché Cozzo era scapolo, tutti si meravigliarono: "E tu che c'entri?" "Lo so io se c'entro" rispose Cozzo battendo nervos a- mente il pugno chiuso della destra contro il palmo della sinistra. E c'entrava davvero: aveva un appuntament o, il primo, con la signora Nicasio: in un albergo del ca po- luogo; ma la signora glielo aveva disdetto, dicendo che non poteva proprio quel giorno dire al marito che s e ne andava sola in città, a far le solite compere, ché il maestro era stato a tavola intrattabile, pieno di malumori e di so-

spettl. L'atteggiamento di Cozzo suscitò una nuova ondata d i sospetti, ma sempre contenuti, sempre nascosti; e a nche nel maestro Nicasio, che era presente, facendogli r iaffio- rare il ricordo di quel ballo di carnevale in cui p er quasi tutta la serata sua moglie aveva ballato con Cozzo (e in casa avevano poi litigato). Fu, insomma, una lunga serata per alcuni; per altri troppo breve. Come ogni sera, l'avvocato Zarbo andò a letto prima della moglie. Aveva avuto una brutta giornata, con quella lettera: al tribunale, al circolo, e dentro di sé s oprattutto, combattuto dal risentimento e dalla pietà, dall'amo re e dal rancore. Non come gli altri. Lui sapeva, aveva sempre saputo. Il mare colore del vino Prese il libro, lo aprì al punto segnato. Ne lesse parec- chie pagine, ma tra l'occhio e la mente era caduta come una cateratta, la mente dolorosamente disgregata. Q uan- do levò lo sguardo dal libro, quasi si spaventò ved endo la moglie nuda, le braccia alte, la testa velata dalla camicia da notte che stava infilandosi. E gli parve il mome nto giusto per domandarle, con voce incolore con tono calmo: "Perché hai scritto a Padre Lucchesinii" La faccia di lei .sembrò venir fuori da uno strappo , rag- gelata in una smorfia di smarrimento, di paura. Qua si gridò "Chi te l'ha detto?" "Nessuno: ho capito subito che la lettera era tua." "Perché? Come?" "Perché sapevo." Lei cadde in ginocchio, affondò la faccia nella spo nda del letto come per soffocare l'urlo: "Dunque sapevi ! Sa- pevi!" e così restò, scossa da singulti silenziosi. Lui cominciò a dire del suo amore e della sua pena; e la guardava con tenero disprezzo con pietà venata d i desi- derio e di vergogna. E quando ie cose che diceva ar riva- rono al pianto, alle lacrime, si avvicinò a solleva rla, a ti- rarla a sé. Ma appena toccata lei si alzò di colpo. Rideva negl i oc- chi e nella bocca di un riso maligno, freddo, immob ile. Tese verso di lui la mano a pugno chiuso, ne fece s cattare In riferlmento alla nota dell'eccellenza Vostra, in cui si come per cavargli gli occhi, l'indice e il mignolo, e dalla ordinavano Indagini a canco del attadino Inglese E.A. bocca le uscì isterico e lacerato il verso del capr one. Crowley, in atto residente a Cefalù (Palermo), trascrivo i "Beeeee..beeeee. " punti essenziali del rapporto or a pervenuto da parte del Commissariato di P.S. di quella località. "Il nominato Edward Alexander Gowley, nato a Lear- nington il 12 ottobre 1875, vive in una villa, situ ata a circa tre chilometri dal paese, fin dall'aprile del 1920. Re- golarmente paga il canone d'affitto ai proprietari, i quali soltanto lamentano certa mania del Gowley di diping ere a fresco le pareti e con figurazioni, a quanto pare , non conformi a decenza; ma essi proprietari non hanno m ai avuto modo di vedere la villa, da quando l'hanno ce duta in affitto al Gowley, e soltanto da dicerie che cor rono in APOCRIFI SUL CASO CROWLEY

Per il capo della polizia. Indagare et riferire sulla vita che conduce a Cefal ù il cittadino inglese Edward Alexander Crowley. M. A Sua Eccellenza Benito Mussolini Capo del Governo Roma, l5 luglio 1924 Il mare colore del vino paese sanno della mania dell'inglese. Dicerie alime ntate dal fatto che convivono col Crowley ben cinque donn e relativamente giovani e ben portanti (oltre a tre b ambini di cui uno negro o mulatto), sulle quali la fantasi a di un paese come questo si scatena e sbizzarrisce in tal modo che è difficile distinguere, in tutto quello che si racconta, il vero dal falso. Pare comunque che le stranezze d i cui in paese si fa carico al Crowley, si riducano ad un mo do di vita secondo natura: i bambini, le donne e lo st esso Crowley sono stati visti nudi a prendere il sole; m a da parte dei vicini mai è pervenuta lagnanza a questo com- missariato. Pare anzi che i contadini della zona at tiva- mente si dedichino a spiare nella villa, peraltro b en recin- tata, dell'inglese: traendo dalla nudità delle giov ani donne un diletto di cui poi, in tutto il paese, si favole ggia fino allo scandalo. Di ciò siamo stati avvertiti da Sua Eccel- lenza il Vescovo, ma una nostra indagine, condotta con molta discrezione, altro non ha accertato che delle viola- zioni, da parte dei contadini della zona, di quel d iritto alla privata libertà che è di ogni cittadino e a cui gli inglesi partlcolarmente tengono. Sl è creduto perclò di non dar seguito alla cosa, assicurando però a Sua Eccellenz a il Ve- scovo che quanto avveniva nella villa del Crowley n on sfuggiva all'attenzione nostra e che alla prima vio lazione che gli abitanti della villa avessero commesso dell e leggi del nostro Paese con immediatezza e decisione avrem mo adottato provvedimenti. "Riassumendo: certamente il Crowley conduce una vita al di fuori della norma comune, ma più con mis tero che con scandalo; e appunto in forza del mistero la sua presenza a Cefalù è elemento di inquietudine. In qu anto a una sua eventuale attività spionistica o comunque v olta contro la sicurezza dello Stato Italiano, crediamo il so- spetto del tutto infondato: e basti la considerazio ne che i suoi rapporti col mondo esterno si riducono al puro e semplice approvvigionamento, che di regola viene fa tto una volta al mese in un negozio del luogo. Dal che si de- duce che a fare il pane provvedono le donne, poiché la Il mare colore a'el vino 13S7 villa è dotata di un forno a legna, mentre le carni , am- messo che ne consumino, vengono dall'allevamento di ca- pre e animali da cortile cui la piccola comunità si dedica." In attesa di altri eventuali ordini, con saluti fas cisti il capo della polizia gen. E. De Bono Appunto per il capo della polizia. L'indagine sull'inglese Crowley deve continuare. Fa re

un sopralluogo. Riferire. Chi ha detto che è sospet tato di spionaggio? E l'ambasciatore inglese che ha delle p reoccu- pazioni sul suo connazionale: teme, per il buon nom e del- l'Inghilterra, che dia scandalo in Italia. Io me ne frego. M. A Sua Eccellenza Benito Mussolini Capo del Governo Roma, 11 settembre 1924 In ordine alle disposizioni impartite da Vostra Ecc el- lenza relativamente al suddito inglese Edward Alexa nder Crowley, in atto residente a Cefalù (Palermo), si t ra- smette il rapporto del Commissario di P.S. di quell a loca- lità. Con saluti fascisti, il capo della polizia gen. E. De Bono A Sua Eccellenza il Capo della Polizia Roma Il sottoscritto, in seguito a quanto disposto da Vo stra Eccellenza con lettera del 20 luglio 1924, prot. 19 328, si è con ogni diligenza adoperato allo svolgimento della deli- Il mare colore del vino cata missione. E innanzi tutto, ad evitare insorges se inci- dente con l'Autorità Giudiziaria, si è portato ad i nformare dell'incarico ricevuto il signor Procuratore del Re presso il Tribunale di Cefalù, in modo che il sopralluogo nella villa abitata dal Crowley avvenisse conformemente a lla legge e che ad una eventuale protesta dell'inglese per la nostra intrusione nella sua vita privata non seguis se il ri- sentimento del signor Procuratore. Il quale non sub ito, e non senza esitazione, ha aderito alla richiesta del sotto- scritto, nonostante la motivazione del superiore in teres- se, e forse della sicurezza della Patria, cui l'inc hiesta sul Crowley si ispirava. Da ciò il ritardo nel dare con tezza a Vostra Eccellenza di ciò che il sottoscritto ha pot uto in- fine personalmente constatare. Il sopralluogo nella villa abitata dal Crowley è st ato dal sottoscritto, coadiuvato dal brigadiere Lo Turc o An- gelo e dall'agente Vasta Bartolomeo, effettuato nel le ore antemeridiane del 7 c.m., in compagnia del professo re Paolo D'Alunzio, docente di inglese nella locale Sc uola Tecnica, che dal sottoscritto è stato chiamato per fungere, eventualmente, da interprete. Ma in verità della su a opera non c'è stato bisogno, parlando il Crowley un itali ano ab- bastanza comprensibilè. La presenza del professore è tor- nata comunque utile per un dettaglio di cui si dirà in se- guito. Il Crowley ha mostrato dapprima una certa indigna- zione per il fatto che in Italia si potesse sottopo rre una persona, che in nessun modo ha violato la legge né dato luogo a scandalo, ad una inquisizione patentemente in contrasto con l'elementare principio della libertà indivi- duale; ma subito ha assunto un atteggiamento di con di- scendenza e persino di divertimento, come recitando la parte della guida in un museo, non senza prima spie gare la filosofia di cui le persone e le cose intorno a lui vive- vano e testimoniavano. La quale filosofia, se al so tto-

scritto è permesso far ricorso alla memoria dei suo i studi liceali, approssimativamente risulta dalla commisti one di certi elementi delle antiche civiltà medio-oriental i, magia Il mare colore del vino 1359 ed astrologia, con elementi di un epicureismo denat urato e corrente nell'accezione oraziana dell'Epic~ri gre ge porcum. Ma con una controparte di feroce pessimismo; ed il tutto esaltato in un rituale di estrazione cattolica e ma ssonica insieme, a giudicare dagli oggetti che servono ad e sso ri- tuale e che ci sono stati esibiti e spiegati. Non m ancano, naturalmente, catene e strumenti di flagellazione: poiché in questa religione che il Gowley ritiene di aver f ondato, religione del sole e del sangue, il piacere è frutt o del do- lore. Ma del dolore altrui, probabilmente, anche se il pro- fessor D'Alunzio afferma che in Inghilterra non son o in- frequenti, per raggiungere il piacere, pratiche di recipro- che o auto flagellazioni. Il sottoscritto ha altresì constatato che rispondon o al vero le dicerie riguardo alle pitture a fresco disp iegate dal Gowley sulle pareti interne della villa: pitture ch e raffi- gurano, non senza talento, strane posizioni di acco ppia- mento non solo, ma anche scene di pervertimento e d i so- domia ed esaltano, quasi come motivi di ricorrente orna- mentazione, quelle parti del corpo umano che la dec enza vuole coperte e innominabili. Il Gowley ha voluto c on- vincere il sottoscritto che la vita in altro non co nsistesse e significasse che nelle cose da lui rappresentate e praticate e che in effetti ogni pensiero e azione dell'uomo d a quelle cose discende e quelle cose, sotto forme diverse, r ealizza. E così è passato a dichiararsi ammiratore del Fasci smo e del suo capo, e che era felice di trovarsi ospite d i un Paese come l'Italia: ché in questo momento, grazie al fas cismo, l'Italia gli sembra il Paese in cui più trova eleme nti di ri- scontro alla sua visione della vita. Complimento, q uesto, che il sottoscritto ha creduto di dover respingere: ma il Crowley ha insistito con argomentazioni speciose e con- torte, anche se non prive di intelligenza. Più tard i, scor- gendo il sottoscritto una pietra squadrata, sulla q uale erano evidenti tracce di sangue, e domandato quale ne fosse l'uso, il Crowley rispondeva che su essa si c onsuma- vano i sacrifici. Ma ha aggiunto una frase in ingle se nella quale il sottoscritto colse soltanto il nome Matteo tti; e il professor D'Alunzio spiegò poi che il Crowley aveva te- stualmente detto: "l'onorevole Matteotti è stato uc ciso al- trove". Forse non senza ironia. Per quanto riguarda le donne, benché sia da presume re vivano in una specie di schiavitù, non sembrano né si sono dichiarate infelici. Evidentemente, hanno p er il Crowley una adorazione incondizionata. I bambini, al momento del nostro sopralluogo, dormi - vano sotto un albero. Sembrano m buona salute. In definitiva, le impressioni ricavate dal sottoscr itto sono del tutto negative e basterebbero a motivare u na espulsione del Crowley dall'Italia, tanto più che s ono state raccolte testimonianze di contadini della zon a in cui si afferma che più di una volta sono state viste le donne del Crowley, ora una ora un'altra, legate nude ad u na roc- cla, esposte al sole nelle ore plU ardenti. In attesa di ordini, con saluti fascisti, Cefalù, 8 settembre 1924 il commissario A. Caminiti

Per il capo della polizia: Prowedere urgentemente all'espulsione dall'Italia d el signor Crowley. Il commissario di Cefalù è un cretino. Per il ministero degli esteri. Informare l'ambasciatore di Gran Bretagna che è sta ta decisa dal ministro degli interni l'espulsione dall 'Italia del slgnor Crowley. WESTERN DI COSE NOSTRE Un grosso paese, quasi una città, al confine tra le pro- vince di Palermo e Trapani. Negli anni della prima guerra mondiale. E come se questa non bastasse, il paese ne ha una interna: non meno sanguinosa, con una fre - quenza di morti ammazzati pari a quella dei cittadi ni che cadono sul fronte. Due cosche di mafia sono in faid a da lungo tempo. Una media di due morti al mese. E ogni volta, tutto il paese sa da quale parte è venuta la lupara e a chi toccherà la lupara di risposta. E lo sanno an che i ca- rabinieri. Quasi un giuoco, e con le regole di un g iuoco. I giovani mafiosi che vogliono salire, i vecchi che d ifen- dono le loro posizioni. Un gregario cade da una par te, un gregario cade dall'altra. I capi stanno sicuri: asp ettano di venire a patti. Se mai, uno dei due, il capo dei ve cchi o il capo dei giovani, cadrà dopo il patto, dopo la paci fica- zione: nel succhio dell'amicizia. Ma ecco che ad un punto la faida si accelera, sale per i rami della gerarchia. Di solito, l'accelerazione ed ascesa della faida manifesta, da parte di chi la promuove, una vo- lontà di pace: ed è il momento in cui, dai paesi vi cini, si muovono i patriarchi a intervistare le due parti, a riunirle, a convmcere I glovani che non possono aver tutto e I vec- chi che tutto non possono tenere. L'armistizio, il trattato. E poi, ad unificazione avvenuta, e col tacito e tot ale as- senso degli unificati, l'eliminazione di uno dei du e capi: 13G2 Il mare colore del vino Il mare colore del vino emigrazione o giubilazione o morte. Ma stavolta non è Se il governo, ad evitare la sovrappopolazione, ogni tanto così. I patriarchi arrivano, i delegati delle due c osche si faceva spargere il colera, perché non pensare che i carabi- incontrano: ma intanto, contro ogni consuetudine e aspet- nieri si dedicassero ad una segreta eliminazione dei ma- tativa, il ritmo delle esecuzioni continua, più con citato, fiosi? anzi, e implacabile. Le due parti si accusano, di f ronte ai Il tiro a bersaglio dell'ignoto, o degli ignoti, continua. patriarchi, reciprocamente di slealtà. Il paese non capisce Cade anche il capo della vecchia.cosca. Nel paese è un più niente, di quel che sta succedendo. E anche i c arabi- senso di liberazione e insieme di sgomento. I carabinieri nieri. Per fortuna i patriarchi sono di mente fredd a, di se- non sanno dove battere la testa. I mafiosi sono atterriti.

reno giudizio. Riuniscono ancora una volta le due d elega- Ma subito dopo il solenne funerale del capo, cui fingendo zioni, fanno un elenco delle vittime degli ultimi s ei mesi compianto il paese intero aveva partecipato, i mafiosi per- e "questo l'abbiamo ammazzato noi", "questo noi", " que- dono quell'aria di smarrimento, di paura. Si capisce che sto noi no" e "noi nemmeno, arrivano alla sconcerta nte ormai sanno da chi vengono i colpi e che i giorni di co- conclusione che i due terzi sono stati fatti fuori da mano stui sono contati. Un capo è un capo anche nella morte: estranea all'una e all'altra cosca. C~è dunque una terza co- non si sa come, il vecchio morendo era riuscito a trasmet- sca segreta, invisibile, dedita allo sterminio di e ntrambe le tere un segno, un indizio, e i suoi amici sono arrivati a cosche quasi ufficialmente esistenti? O c~è un vend icatore scoprire l'identità dell'assassino. Si tratta di una persona isolato, un lupo solitario, un pazzo che si dedica allo sport insospettabile: un professionista serio, stimato; di carat- di ammazzare mafiosi dell'una e dell~altra parte? L o smar- tere un po' cupo, di vita solitaria; ma nessuno nel paese, rimento è grande. Anche tra i carabinieri i quali, pur rac- al di fuori dei mafiosi che ormai sapevano, l'avrebbe mai cogliendo i caduti con una certa soddisfazione (inc hiodati creduto capace di quella caccia lunga, spietata e precisa dalla lupara quei delinquenti che mai avrebbero pot uto che fino a quel momento aveva consegnato alle necrosco- inchiodare con prove), a quel punto, con tutto il d a fare pie tante di quelle persone che i carabinieri non riusci- che avevano coi disertori, aspettavano e desiderava no che vano a tenere in arresto per più di qualche ora. E i ma- la faida cittadina si spegnesse. fiosi si erano anc he ricordati della ragione per cui, dopo I patriarchi, impostato il problema nei giusti term ini tanti anni, l'odio di quell'uomo contro di loro era esploso ne fecero consegna alle due cosche perché se la sbr igas- freddamente, con lucido calcolo e sicura esecuzione. C'en- sero a risolverlo: e se la svignarono, poiché ormai nessuna trava, manco a dirlo, la donna. delle due parti, né tutte e due assieme, erano in g rado di Fin da quando era studente, aveva amoreggiato con garantire la loro immunità. I mafiosi del paese si diedero una ragazza di una famiglia incertamente nobile ma certa- a mdagare; ma la paura, il sentirsi oggetto di una imper- mente ricca. Laureato, nella fermezza dell'amore che li le- scrutabile vendetta o di un micidiale capriccio, il trovarsi gava, aveva fatto dei passi presso i familiari di lei per arri- improvvlsamente nella condizione in cui le persone one- vare al matrimonio. Era stato respinto: ché era povero, e ste si erano sempre trovate di fronte a loro, li co nfondeva non sicuro, nella povertà da cui partiva, il suo avvenire e intorpidiva. Non trovarono di meglio che sollecit are i professionale. Ma la corrispondenza con la ragazza conti- loro uomini politici a sollecitare i carabinieri a un~inda- nuò; più intenso si fece il sentimento di entrambi di gine seria, rigorosa, efficiente pur nutrendo il du bbio che fronte alle difficoltà da superare. E allora i nobili e ricchi appunto i carabinieri, non riuscendo ad estirparli con la parenti della ragazza fecero appello alla mafia. Il capo, il legge, si fossero dati a quella caccia più tenebros a e sicura. Ivecchio e temibile capo, chiamò il giovane professionista: Il mare colore del vino con proverbi ed essempli tentò di convincerlo a las ciar perdere; non riuscendo con questi, passò a minacce di-

rette. Il giovane non se ne curò, ma terribile impr essione fecero alla ragazza. La quale, dal timore che la ne fasta mi- naccia si realizzasse forse ad un certo punto passò alla pra- tica valutazione che quell'amore era in ogni caso i mpossi- bile: e convolò a nozze con uno del suo ceto. Il gi ovane si incupì, ma non diede segni di disperazione o di rab bia. Commcio, evldentemente, a preparare la sua vendetta . Ora dunque i mafiosi l'avevano scoperto. Ed era con - dannato. Si assunse l'esecuzione della condanna il figlio del vecchio capo: ne aveva il diritto per il lutto recente e per il grado del defunto padre. Furono studiate acc urata- mente le abitudini del condannato, la topografia de lla zona in cui abitava e quella della sua casa. Non si tenne però conto del fatto che ormai tutto il paese aveva capito che i mafiosi sapevano: erano tornati all'abituale traco- tanza, visibilmente non temevano più l'ignoto peric olo. E l'aveva capito prima d'ogni altro il condannato. Di notte, il giovane vendicatore uscì di casa col v iatico delle ultime raccomandazioni materne. La casa del p rofes- sionista non era lontana. Si mise in agguato aspett ando che rincasasse; o tentò di entrare nella casa per s orpren- derlo nel sonno; o bussò e lo chiamò aspettandosi c he comparisse ad una data finestra, a un dato balcone. Fatto sta che colui che doveva essere la sua vittima, lo pre- venne, lo aggirò. La vedova del capo, la madre del gio- vane delegato alla vendetta, sentì uno sparo: crede tte la vendetta consumata, aspettò il ritorno del figlio c on un'ansia che dolorosamente cresceva ad ogni minuto che passava. Ad un certo punto ebbe l'atroce rivelazion e di quel che era effettivamente accaduto. Uscì di casa: e trovò il figlio morto davanti alla casa dell'uomo che que lla notte, nei piani e nei voti, avrebbe dovuto essere ucciso. Si caricò del ragazzo morto, lo portò a casa: lo di spose sul letto e poi, l'indomani, disse che su quel letto er a morto, per la ferita che chi sa dove e da chi aveva avuto. Non una parola ai carabinieri, su chi poteva averlo ucc iso. Ma Il mare colore del vino 1365 gli amici capirono, seppero, più ponderatamente pre para- rono la vendetta. Sul finire di un giorno d'estate, nell'ora che tutt i sta- vano in piazza a prendere il primo fresco della ser a, seduti davanti ai circoli, ai caffè, ai negozi (e c'era an che, davanti a una farmacia, l'uomo che una prima volta era nusc lto ad eludere la condanna), un tale si diede ad avviar e il mo- tore di un'automobile. Girava la manovella: e ll mo tore rispondeva con violenti raschi di ferraglia e un cr epitio di colpi che somigliava a quello di una mitraghatrlce. Quando il frastuono si spense, davanti alla farmaci a, ab- bandonato sulla sedia, c'era, spaccato il cuore da un colpo di moschetto, il cadavere dell'uomo che era riuscit o a se- minare morte e paura nei ranghi di una delle plU ag guer- rite mafie della Sicilia. PROCESSO PER VIOLENZA La mattina dell'8 dicembre 1870, giorno festivo in glo- ria della Immacolata Concezione, a Bottanuco, paese del bergamasco che contava allora un migliaio di anime, tra le quah almeno una indubbiamente nera, una ragazza di quattordici anni che serviva nella famiglia dei con tadini Ravasio, chiesto il permesso ai padroni e prometten do per

la sera 11 rltorno, si avviò al vicino paese di Sui sio, dove aveva parenti. Uscì di casa insieme alla padrona, m a si se- pararono poco dopo. Erano le sette o poco più, e du nque non era ancora giorno pieno. La padrona, data l'ora , la strada sohtaria, il tempo non bello, la guardò allo ntanarsi con vaga inquietudine. Poco dopo, già in cammino ve rso Madone, sentì dei lamenti acuti, come di lupo; e se nz'al- tro rltenne fossero di lupo, poiché c'era neve e pe r i lupi Sl sa, è dura quando c'è la neve. Il fatto che i la menti ve- nissero da dove la ragazza era scomparsa, non le ag giun- sero inquietudine, sul momento: non c'era memoria c he i lupl aggredissero, in quelle contrade, gli umani. S e ne ri- cordo, due glorni dopo, la sera del 10: ché la raga zza non era tornata la sera dell'8, né l'indomani; e non er a mai ar- nvata a Sulslo. La trovarono sotto la tettoia di un presepe. "L'inf elice giovmetta glaceva sul terreno, affatto nuda, avendo sola- mente coperta da una calza la gamba sinistra, e il suo corpo presentava le tracce del più feroce scempio. Defor- matoa molte ferite, era quasi spaccato a mezzo pel lungo, mancante di alcune parti e specialmente dei vi- sceri. Questi furono rinvenuti nel cavo di un alber o. E, dentro una capanna di paglia poco distante, fu trov ato un brano di polpaccio della gamba destra e un'immagine del papa Pio IX, che ad essa apparteneva. Sotto un mucc hio di gambi di frumentone, nel vicino podere, furono r inve- nute le vesti; e un suo fazzoletto fu raccolto, in mezzo alla neve, sulla strada. Finalmente fu osservato che pre sso il cadavere stavano stranamente disposti in simmetria dieci spilli che l'infelice soleva portare infissi nei ca pelli" (da questo, e da altri particolari che vengono poi dall e testi- monianze, si è portati a imprestare alla povera Gio van- nina Motta, nel momento in cui esce dalla cascina d ei Ra- vasio per andare verso la morte, l'immagine di Luci a che si prepara alle nozze: "I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatu ra, si rav- volgevan, dietro il capo, in cerchi molteplici di t recce, tra- passate da lunghi spilli d'argento, che si divideva no all'in- torno, quasi a guisa de' raggi d'un'aureola, come a ncora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo a veva un vezzo di granati...", ma quello di Giovannina er a di "coralli fini"). Gli spilli erano disposti, per terra, a raggiera: l 'assas- sino volle forse ripetere la disposizlone che aveva no tra i capelli della ragazza o figurare un ostensorio. Sul le vesti non c'era traccia di sangue, segno che la ragazza e ra stata denudata prima di essere uccisa. Il cubito destro f rattu- rato, le gambe graffiate, la bocca piena di terra, fecero pensare che la ragazza si fosse difesa e avesse gri dato. I primi sospetti caddero su un muratore di Suisio, certo Abramo Esposito, che fu arrestato. Il cognome fa pe nsare a un meridionale. Sospettato in quanto meridionale? Ma non c'entrava per niente, aveva "un alibi indubitab ile": e fu liberato "ben presto", ma da una sentenza del tr ibunale di Bergamo; e cioè dopo un paio di mesi di carcere. Libe- rato l'Esposito, non si seppe più da che punto ripr endere le indagini, su chi indirizzare i sospetti. Ma dura va, nel 1368 11 mare colore del vino paese, l'impressione di quel delitto orrendo, l'inq uietu- dine per quell'assassino ancora libero. Perciò il 2 7 agosto l871, domenica, giorno delle Sante Reliquie, bastò un'as- senza di due ore della moglie, dalle sei alle otto, perché il

contadino Antonio Frigeni si agitasse a cercarla. L a trovò poco lontana dal luogo dove lei aveva detto che and ava: in un campo di mais, completamente denudata, e non meno straziata della Motta. "Mostrava sul collo una larga ecchimosi con depressione e lacerazione della pelle pro- dotta dallo stringimento di una corda rinvenuta sul luogo stesso, che le doveva essere stata gittata per di d ietro a modo di laccio, e che essa indarno aveva cercato di strap- parsi, come indicavano le graffiature rinvenute in ambo i lati del collo. E la soffocazione era stata infatti , come giu- dicarono i periti, la causa unica della sua morte. Ma dopo morta non era stata la sua salma rispettata. Si tro varono larghe ferite al ventre, al braccio destro, alla nu ca, ai lombi, tutte portate dopo che era estinta con robus to istrumento da punta e taglio, probabilmente un falc etto. Dalla vasta ferita che le apriva il ventre uscivano gli inte- stini. Nel dorso le si trovarono infitti tre spilli ..." Gli spilli dei capelli: e disposti a esatto triangolo, il vertice in direzione della nuca. Anche stavolta, si cercò subito di arrestare. La sc elta cadde su un Luigi Comerio, contadino di Suisio, a r agione che "aveva vagheggiata la Elisabetta Pagnoncelli, e aveva pur tentato d'indurla a mancare ai suoi doveri coni ugali". Ma non risultò che avesse mai vagheggiato la Motta, e poi aveva un alibi inattaccabile. Passarono sei mesi, e le indagini si erano del tutt o spente, gli inquirenti e la popolazione rassegnati al mi- stero, quando improvvisamente, per l'insorgere di f atti te- nuti fino allora celati, cominciò a sussurrarsi il nome di Vincenzo Verzeni. "Era costui un giovane di ventidu e anni, nato e dimorante a Bottanuco di una agiata fa mi- glia di contadini. Ritenuto infino ailora giovane o nesto, dedito alle pratiche religiose, alieno da qualunque vizio, non si sarebbe mai creduto capace di sì atroci misf atti, se Il mare colore del vino 1369 non si fosse propagata una serie di fatti, sui qual i sino al- lora erasi ser ato il più perfetto sllenzlo.'' Quattro anni prima, in un imprecisato giorno festiv o (le feste religiose e le domeniche puntualmente rit ornano nei fatti attribuiti al Verzeni), ad ora di vespro, una ra- gazza di dodici anni, Marianna Verzeni, viene aggre dita nel suo letto, mentre riposa o addirittura dorme. U n cu- scino sulla faccia, una mano che la stringe alla go la. La ra- gazza riesce a divincolarsi per quel tanto che le c onsente di gridare, l'aggressore fugge. Una vicina ha visto Vin- cenzo Verzeni, cugino della ragazza, che ablta nell a casa attigua, uscire dalla sua, entrare nella casa dei p arenti, fur- tivamente, con precauzione, e dopo qualche minuto uscirne. Pochi istanti dopo aveva sentito le grida della ra- gazza: pochi istanti dopo che il Verzeni era uscito , non c'è luogo ad equivoco. Più coerentemente, una zia d ella ragazza dice di aver sentito prima le grida, e di a ver visto poi il Verzeni per le scale, che se ne andava. Per sua parte, il Verzeni sostenne di essere anche lui accorso all e grida, ma vedendo nuda la ragazza subito, pudicamente, si era ritirato. Tre anni prima, era quasi l'alba, mentre dalla camp a- gna si avviavano alla chiesa parrocchiale per la me ssa, due donne erano state successivamente, in breve spazio di tempo, aggredite: Barbara Bravi, afferrata dall'agg ressore

per il collo, gridò e lo costrinse a fuggire; più r obusta e coraggiosa, Margherita Sala reagì afferrandolo alla cami- cia e al labbro inferiore, e lungamente colluttando riuscì a liberarsi e a fuggire. Né l'una né l'altra riconobb ero l'uomo, ma i contrassegni che ne ritennero nella me moria - gagliardia giovanile, complessione, statura, giac chetto di panno grosso e peloso detto pelucc - potevano be ms- simo riferirsi al Verzeni. Per di più, un tale Pozz i proprio quella mattina, in quella contrada, lo aveva incont rato: e aveva notato sulla guancia sinistra del Verzeni una graf- fiatura (ma non sul labbro inferiore). Nello stesso mese, dicembre, la dodicenne Angela Pr e- vitali, andando a scuola (giorno feriale, ma ci dov eva pur Il mare colore del vino essere una qualche solennità religiosa) si imbatté in Vin- cenzo Verzeni che, senza violenza e dicendo soltant o "an- diamo, andiamo", presala per mano cercò di condurla verso quella tettoia sotto la quale fu rinvenuta po i scem- piata la Giovannina Motta. La ragazza dapprima si l asciò condurre, poi gridò e fuggì. Verzeni, calmo, le and ò die- tro per un po'. Aprile 1871: la contadina Maria Galli incontra uno sconosciuto che riconosce poi nel Verzeni, che le s trappa dalla testa ii fazzoletto e se lo porta via. Il 26 agosto dello stesso anno, cioè il giorno avanti l'assassinio del la Pa- gnoncelli, la filatrice Maria Previtali, diciannove nne, viene seguita e, a un certo punto, assalita dal Ver zeni, a lei "ben noto" in quanto cugino. Riuscì a gettarla a terra e a sollevarle le gonne, ma poiché lei gridava il V erzeni, che la teneva per il collo, ad un momento l'abbando nò per andare sullo stradone a guardare che non veniss e qual- cuno. Quando tornò, e lei si era rialzata, "le pres e ambe- due le mani che tenne qualche tempo tra le sue, sen za mai proferire parola, indi alle sue preghiere la la sciò an- dare". A questi fatti, chi sa perché tanto tardivamente em ersi e riuniti, si aggiunsero due non meno tardive testi mo- nianze: di Rosa e Carolina Previtali, che la mattin a dell'8 dicembre 1870 avevano visto sul luogo del delitto, sotto la tettoia del presepe, il Verzeni, e dopo aver sen tito da quel luogo provenire grida che invocavano aiuto e g emiti (ma non avevano visto la Giovannina, né morta né vi va; né di quelle grida si erano allarmate); e di Giovan ni Bravi, che aveva visto il Verzeni, il 27 agosto 187 1, sul luogo dove fu poi rinvenuta la Pagnoncelli, e circa nel- l'ora in cui si presumeva fosse stata assassinata. Ma al processo, ecco un colpo di scena: Carolina Pr evi- tali, interrogata se quel giovane visto sotto la te ttoia so- migliasse al Verzeni, decisamente nega. Le si fa os servare che in istruttoria ha dichiarato di riconoscerlo. N ega di averlo dichiarato. Viene messa a confronto col padr e, che dice di aver sentito da lei che quel giovane era as sai somi- 11 mare colore del vino 1371 gliante al Verzeni. Nega. "Io non ho detto niente", ri- pete. Il pubblico ministero ne chiede l'arresto e i l pro- cesso immediato. La corte si ritira, lasciando l'au la in agi- tazione, col Previtali che scongiura la figlia di r iconoscere il Verzeni. Quando la corte rientra, la ragazza chi ede per- dono, si dice convinta che l'uomo visto sotto la te ttoia "rassomigliava assai a esso Verzeni". E il processo ri- prende vela.

Il Verzeni, però, sempre nega. Non ci sono contro d i lui che indizi. Le testimonianze hanno qualche zepp a. La più grave, che è quella di sua cugina Maria Previta li, non arriva a dare parvenza di volontà omicida a quello che sul momento la giovane considerò un brusco attentato al la propria virtù, spentosi persino pietosamente in que l te- nerle le mani tra le sue, senza parole - e soltanto dopo, con quei due cadaveri di mezzo, indicato il Verzeni ed esecrato come assassino, avrà preso nella memoria d i lei il carattere di un evento tremendo cui fortunatamente era sfuggita. Ma non aveva alibi, l'imputato, se non nelle messe: ne vide tre il giorno in cui fu assassinata la Motta; tre il giorno in cui fu assassinata la Pagnoncelli. E tutt e e due le volte si confessò e comunicò. Ma vale la pena ri portare qualche passo dell'interrogatorio. PRESIDENTE Quanto tempo prima della disgrazia la vedeste, la Motta? ACCUSATO In ottobre, nel campo a vangare. PRESIDENTE Avete udito qualcosa, sul conto suo? ACCUSATO Sì, lo sa anche lei... (llarità) PRESIDENTE Sì, ma vorrei sentirlo anche da voi. ACCUSATO Era tutta sconciata, sassinada, non si po- teva nemmen più riconoscerla per cristiana, non era ve- stita, era nuda... PRESIDENTE Nuda? ACCUSATO Sì, nuda, aveva indosso niente... PRESIDENTE Era intiero, il corpo? ACCUSATO No... Spaccato a mezzo, davanti e dietro.. . Il mare colore del vino PRESIDENTE La testa? ACCUSATO Non la potei vedere. PRESIDENTE Quand'è che la vedeste? ACCUSATO Dopo la prima messa, il giorno in cui l'hanno trovata. Ero là cogli altri... PRESIDENTE Come conosceste il fatto? ACCUSATO Restai lì... Che debbo dire?... Lo seppi dalla voce pubblica. PRESIDENTE La quale diceva... ? ACCUSATO Che son cose, che non sembran da cri- stiani. PRESIDENTE Non si vociferava che la ragazza fosse stata a Suisio, nel giorno di sagra della Madonna? Né si andava ripensando da quanto tempo mancasse di casa? E voi non sapete, voi per conto vostro, da quanto fos se as- sente? ACCUSATO Non udii, né so nulla di tutto questo. PRESIDENTE Non sapeste che fosse andata per la fe- sta? ACCUSATO Che debbo sapere, io, dei fatti altrui? PRESIDENTE In quel luogo del massacro, o lì vicino sulla strada, ci foste il dì dell'Immacolata? ACCUSATO No. PRESIDENTE In quel giorno come passaste le ore dell a mattma? ACCUSATO Andai a messa alle sei, poi tornai a casa; indi rirornai in chiesa, e mi confessai e presi la comu- nione. (llantà) PRESIDENTE Non andaste altrove? ACCUSATO No... Assistetti alla seconda messa, e poi alla grande. PRESIDENTE Sempre in chiesa, dunque... E quando ve-

deste il corpo della Motta sotto la tettoia, era co perto? ACCUSATO Era coperto... Ma era nuda, lei... PRESIDENTE Veniamo all'ultimo fatto... Voi che face - ste il giorno 27 agosto 1871, domenica? ACCUSATO Mi levai la mattina presto per la prima messa, mi confessai dal Martina, fui comunicato dal par- Non udii, né so nulla di tutto questo. Non sapeste che fosse andata Der la Il mare colore del vino roco (ilarità), poi andai alla messa seconda di don Bar- tolo, e poi alla terza del curato detto Curradù. Ci ò fatto ri- tornai e andai pei campi - altri dicono a casa... Quest'ultimo tocco è, se non scaltro, di buon senso : come volete che mi ricordi di quello che ho fatto u na mattina di tre anni fa? Le messe sì, la confessione , la co- munione: per me d'obbligo a ogni domenica, a ogni f esta; ma per il resto, lasciamo decidere ai testimoni, ch e per i fatti miei hanno miglior memoria di me. E tutte le sue ri- sposte si può dire siano sensate e, nella misura in cui lo sono, improntate all'indifferenza di chi sente vano il buon senso di fronte a quell'assurda macchina che è la g iustizia. Ci sono soltanto tre smagliature, nelle risposte di Verzeni al giudice: la prima quando dice "restai lì" (dove? sul luogo del delitto, dopo averlo commesso?); le altre due in quei momenti come sospesi, come di un raptus residu ato, in cui si sente che sta ancora godendo, irresistibi lmente, del ricordo o della immaginazione della vittima nud a. Ma di queste tre smagliature né il pubblico ministero né i giudici sanno approflttare. Affrontata alla "anormalità" dei delitti che gli si attri- buivàno, la "normalità" dell'imputato, sia fisica c he di ra- ziocino, poneva ai giudici il problema della respon sabi- lità. Bisogna anche dire che difesa e autodifesa al l'imma- gine di "normalità" concorrevano con questi element i: le indefesse pratiche di devozione - le messe a rotazi one, le confessioni e comunioni - cui il Verzeni era dedito ; il fatto che fino a ventidue anni non avesse avuto rap porti intimi con donne né indulgesse a solitari vagheggia menti erotici; la sua comprovata repugnanza ad assistere alla uc- cisione di polli (che si uccidono, si sa, col tirar loro il collo). "Poiché di tanto la ruota ha girato", oggi non c'è schiappa d'avvocato che non sa quanto controprodurr eb- bero tali elementi, ma allora servivano a difendere . Comunque, per affrontare con giusto ausilio di scie nza il problema della responsabilità dell'imputato, la corte si Il mare colore del vino Il mare colore del vino rivolse a colui che in quel momento era il massimo lumi- affetto da "quel lieve attossicamento cretinoso e pella- nare della criminologia: il professor Cesare Lombro so groso che si divaricava nei suoi parenti, e che lasciava im- fondatore della scuola positiva del diritto penale. pronte nel lobo frontale destro e rompeva l'equilibrio Il professor Lombroso non può, naturalmente pronun- delle facoltà affettive in confronto degli appetiti". Ma in- ciarsi così, su due piedi. Chiede che si faccia pri ma da somma: che queste affezioni, unite alle repressioni eserci-

parte di specialisti "un esame accurato del fondo d eli~oc- tate dall'ambiente familiare e alla owia "libidine del ca- chio dell'imputato, poiché la retina è quasi una fi nestra sto", abbiano potuto promuovere nei delitti uno stato di per cui si guata entro il cervello"; e che gli cons egnino incoscienza, e quindi di irresponsabilità, il professore deci- l'imputato tosato a zero come un coscritto, perché si samente lo esclude. Se mai, la cosa può mettersi così: "re- possa procedere ai rilievi "craniometrici" indispen sabili a sponsabile pienamente in principio dell'atto meno re- stabilire se è o non è un pazzo, se è o non è un de lin- sponsabile nel delirio dell'atto" - e tornato alia piena re- quente. A questa seconda richiesta, il pubblico min istero sponsabilità subito dopo, nell'occultarsi, nel difendersi. salta su ad opporsi: se me lo tosate, come faranno i testi- moni a riconoscerlo? Obiezione accolta: sarà tosato , ma dopo i riconoscimenti. Una volta che il professore l'ha nelle mani, non gl i ci vuole più di una settimana per periziarlo a dovere. E non solo l'imputato: ma, per come era nei canoni della "scuola", la perizia si estende ai genitori, ai non ni agli zii, ai cugini dell'imputato. Il padre ha tracce di peliagra, due zii sono "cretinosi" (e uno specialmente: crani o pic- colo e a pan di zucchero, niente barba, un testicol o atro- fico e l'altro addirittura mancante), un cugino pat ì d'ipe- remia cerebrale e un altro è "recidivo nei furti". La madre la nonna vivente, gli avi e bisavoli defunti, "non offrono malattie di rilievo". Tutto sommato, niente di più di quanto si nota scoperchiando le famiglie più a modo . Il termine "cretinoso", per altro, vale come alleggeri mento di quello di cretino: "oltre il cretino", spiega il professore, "abbiamo il 'cretinoso', che partecipa del primo e nello stesso tempo dell'uomo sano e normale". E viene da rim- piangere che questa parola non sia uscita dalle per izie del criminologo per entrare nell'uso comune: oggi ce ne sa- rebbe tanto bisogno, ché si attaglierebbe a quelli che par- tecipano della cretineria mostrando di far uso degl i stru- menti dell'intelligenza. Secondo il professore, il Verzeni non si poteva nem - meno considerare propriamente "cretinoso": era solt anto Letta la perizia del professor Lombroso, il pubblic o mi- nistero cavalier Quintavalle attaccò la sua arringa . Evocò vive le vittime: "vivace, intelligente e prosperosi ssima, modello alle compagne per castigatezza e purità di co- stumi" Giovannina Motta; "madre di due teneri figli , uno dei quali lattante ancora" Elisabetta Pagnoncelli. Le fece poi vedere morte, non risparmiando i particolari pi ù or- rendi. E infine: "Or non mi resta più altro che tri nce- rarmi dietro il giudizio dei periti". Vi si trincer ò, inespu- gnabilmente. Per il Verzeni, i lavori forzati a vita. EUFROSINA Le Cronache italiane di Stendhal le ho lette parecc hie volte, a distanza di anni o di mesi, ma solo ieri, rileg- gendo I (ena, mi sono improvvisamente accorto di un er- rore e ricordato di una lunga e tragica storia che comincia in Sicilia, nella casa dei Corbera, e finisce a Rom a, in quella dei Massimo. L'errore è dove si dice che il papa propenso a far grazia della vita a Beatrice e agli altri con- dannati, si era poi irrigidito, e aveva ordinato fo sse ese-

gulta la sentenza, alla notizia che Paolo di Santac roce aveva ucciso sua madre e ricordandosi "anche del fr atrici- dio dei Massimi commesso qualche tempo prima". Ma i due figli di Lelio Massimo avevano ucciso la m a- trigna, la giovane e bella Eufrosina de Siracusis: e dunque non un fratricidio era accaduto, ma qualcosa di sim ile a un matricidio, non sappiamo se per interesse, o per onore. Il cronista siciliano che riferisce la storia di Eu frosina è portato a considerarlo delitto d'onore, se chiama " cava- lieri assai onorati" i due assassini e li dice moss i da dispia- cere e alterazione. E c'era di che, considerando il passato di Eufrosina. Questa donna che aveva il nome della gioia, di quel la delle tre Grazie che rappresentava la gioia - un no me che Lmneo aveva passato a una farfalla color miele armo nio- samente venata di nero; questa Eufrosina familiarme nte chiamata Frosina, giovane e bella certamente, molto pro- babilmente sciocca e crudele, poca gioia ebbe e die de nella sua breve vita; e fu anzi, nel destino degli altri e nel proprio, una farfalla di morte. A Stendhal sarebbe tanto piaciuta la storia che, se nza saperlo, sfiorò: anche se nel suo corso più lungo n on si svolge nella Roma dei papi ma nella Sicilia dei vic erè. E comincia appunto da un vicerè, Marcantonio Colonna: che si invaghisce di Eufrosina, moglie di Calcerano Cor- bera, erede della signoria del Misilindino (che sta va per diventare, con la licentia populandi di Filippo Il, quel paese che doveva poi assumere il nome di Santa Marg he- rita Belice: e come non ricordare quella casa, fatt a co- srruire circa un secolo dopo da un Filangeri, distr utta quattro anni fa dal terremoto, misteriosa e favolos a nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi?). Se ne invaghisce, la circuisce, la vezzeggia e festeggia: da "vecchio pa zzo" quale, in ordine a queste cose, la moglle lo defmls ce. "11 signor Marcantonio - dice il cronista siciliano - in quello divenne così cieco, che, non facendo conto d ell'au- torità e reputazion viceregia, fu un altro Marcanto nio con Cleopatra. Le andava dietro, le passeggiava innante , e per le strade, e per le chiese. Alla secura vi trattava e conver- sava, il giorno di vista e complimenti, e la notte con ef- fetti da dovero. Fu più volte incontrato e visto il vlcerè solo e travestito di notte andarle a casa..." Il ma rito di Eu- frosina, giovanissimo e forse non intelligente, non si av- vedeva, ma tutta la città ne mormorava. Così lo sep pe, mentre in quel del Misilindino se ne stava a far so rgere un paese, don Antonio Corbera: e decise di andarsen e a Palermo per un po', a vedere come sravano le cose, a ri- metterle a posto. Appena seppe della decisione del suocero, Eufrosina "disse al signor Marcantonio che essa stava in gran peri- glio, e che dubitava [cioè temeva} più del socero c he del marito'; e il Colonna non tardò ad escogitare il mo do di liberarla Per dirla con espressione d'oggi, Marcanr onio Colonna fu un vicerè dall'arresto facile. Ma fare a rrestare don Antonio Corbera non era facile, poiché era fami liare Il mare colore del vino dell'Inquisizione - e cioè godeva del privilegio ch e non la glustlzla ordinaria poteva arrestarlo e processarlo , ma sol- tanto quella inquisitoriale, qualsiasi reato gli fo sse impu- tato. Il vicerè non si scoraggiò. Nemico acerrimo d ell'In- qulsizione e degli inquisitori, si piegò a chiedere un fa- vore all'inquisitore: che era quel Diego de Haedo, bene- dettmo, cui si deve una Storia di Algen piena di no tizie

sulla vita del Cervantes. L'inquisitore ci cascò; o forse si aspettava una contropartita, che non venne: fatto s ta che se ne lamenta, in una relazione mandata al re nell' agosto 1581 e che è tutta una requisitoria, velenosissima, contro Colonna. L'anno scorso - dice l'Haedo - Marcantonio (poiché lo chiama solo per nome, con ironia e disprezzo) ci ha in- gannati: tramite Pompeo Colonna, ci ha chiesto di s o- spendere dal privilegio di familiare dell'Inquisizi one il ba- rone del Misilindino, promettendo di farci avere po i le in- formazloni e ragioni; ma appena noi abbiamo concess o la sospenslone, ecco che lo fece arrestare per debiti, "e il volgo sa che fu per suo fine particolare". E può pa rere strano che l'inquisitore non si soffermi su questo "fine particolare" del Colonna, che era poi la tresca con Eufro- sma: ma il lasciare intendere qualche altro fine er a in ef- fetti più grave, a carico del vicerè, che una passi one amo- rosa. Comunque, il barone Antonio Corbera morì in c ar- cere qualche giorno dopo l'arresto: qualcuno dice d i ve- leno, l'inquisitore parla soltanto di sofferenze. Restava il marito, e per quanto ingenuo dall'arrest o e morte del padre qualche sospetto, sia pure vago, po teva nascergh. E si rimediò mandandolo a Malta, in una m is- slone capeggiata da Pompeo Colonna e di cui faceva parte un certo Flaminio di Napoli che, a quanto pare, ebb e l'in- carico di far fuori il Corbera, una volta arrivati. E così "una notre fu trovato il barone Calcerano Corbera m orto dietro alla porta della casa ove stavano, con molte pugna- late, senza avere avuto disgusto o inimicizia con n es- suno". Aveva ventun anni. Quanti ne avrà avuto Eufr o- sina, rimasta ormai sola e libera? Il mare colore del vino Ma non era solo, né libero, il vincirore di Lepanto (che di anni ne aveva quarantanove). Sua moglie, Felice Or- sini, pur saggia e indulgente, qualche bastone tra le ruote glielo metteva. Una notte, a palazzo, ando a bussar e al- l'appartamento del marito, ché sapeva ci stava Eufr osina. Nel panico, Marcantonio nascose la ragazza nel balc one, e le diede le vesti "per ivi vestirsi"; ma dimentico le pia- nelle. Entrando, donna Felice disse: "lo son venuta per dormir con voi questa notte, che fa gran freddo"; e ve- dendo le pianelle: "Ora conosco che siete fatto man to amorevole. Le avete comprate per me queste pianelle ?" "Sì", rispose il marito. E lei "Ah vecchio pazzo, n on avete discrezione di lasciar morire di freddo quest a povera giovane fuor dal balcone?" E aprì il balcone, tlrò dentro Eufrosina vergognosa e impaurita, la rincuorò; e la fece riaccompagnare a casa. Più pericoloso, ad avvelenargli (espressione da pre nder forse alla lettera) l'amorosa conqulsta, ll quasi h bero go- dimento della donna amata, vegliava Diego de Haedo. Più delle tante offese consumate dal Colonna contro l'In- quisizione, probabilmente gli bruciava la sferzante frase che, nell'ultimo scontro, il vicerè gli aveva rivol to: "I miei pari il re li conta su un dito, dei vostrl ne può carl- care navi". Chiamato in Spagna, forse a discolparsi di tutto C1 0 che l'Haedo aveva detto o insinuato nelle sue relazioni (Sl possono leggere nel Contnbuto alla storia dell'Inqu i~izione in Sialia del Garufi), Marcantonio Colonna si imbar cò a Palermo il 1° maggio 1584. Secondo il cronista, pnm a di partire raccomandò alla moglie l'amante: con commos si e

paterni accenti, e promettendo che al ritorno avreb be col- locato Eufrosina "con persona, con la quale ella ab bla da vivere onestamente". Promessa da marinaio qual era; ma donna Felice ci c re- dette o finse di crederci, e a sua volta promise ch e avrebbe tenuro con sé Eufrosina, a palazzo, finché "piacerà al Si- ~nore che voi farete ritorno". Ma non piacque al Si gnore ~arlo ritornare: ché morì a Medinaceli, sulla strad a per Madrid, con sospetto di veleno. Sospetto che tocca gli in- quisitori, secondo alcuni; la corte spagnola, secon do altri. Ma nessuno ha pensato a Eufrosina: non a lei dirett a- mente, si capisce, ma a qualcuno che lo avesse fatt o per passlone di lei. Ed ecco un piccolo problema, per i ricerca- rori d'archivio: Lelio Massimo era tra gli accompag natori del Colonna, nel viaggio a Madrid? Certo, gli era s tato sempre vicino, negli anni palermitani: e il cronist a lo ri- corda accanto al vicerè, nella prima schermaglia am orosa con Eufrosina, nei giuochi, nelle attenzioni, nelle galante- rle. E perché non credere si fosse segretamente innamora to della donna, e si macerasse e soffrisse di fronte a quell'a- more, coi sotterfugi cui era costretto a tener mano , tra la donna desiderata e l'amico potente? E perché non cr edere - se lo accompagnò - che, travolto dalla passione, al di sopra del sospetto e profittando della voce di disg razia presso il re cui era caduto il Colonna, cedesse all a tenta- zione di eliminarlo? Feroci sono le passioni, e più feroci erano in quel secolo. Che amasse Eufrosina, comunque, non c'è dubbio: e che l'amasse al punto di superare ogni senso di ono re, ogni vergogna. Doveva essere ben nota, tra Palermo e Roma, la colpa di lei nella tragedia della famiglia Corbera (tanto che pubblicamente, in atto notarile, le cogn ate ri- fiutavano di ricevere i gioielli dei Corbera che le i aveva indossato), la sua tresca senza ritegno col vicerè. Ma Lelio Massimo la sposò - chiestane la mano a donna Felice - e la portò nella sua casa. Dove a metter fine alla ve rgo~na forse al dileggio, i due "cavalieri assai onorati" suoi figli, un giorno, mancando il padre, "con due archibusetti la occisero". E furono poi uccisi, per decapitazione, dal boia. "Ecco gravissima materia" conclude il cronista "da far- sene flebilissima tragedia." Flebilissima: cioè lam entosis- sima. Giusto il contrario di come, tra le Cronache italiane avrebbe potuto scriverla Stendhal. NOTA Quesli racconti sono stati scritti - con altri poch i, che non mi è parso valesse la pena di raccogliere e ripropo rre - tra il 1959 e il 1972. Ho cercato di metterli nell'ordine in cui sono srati scritti (non, forse, nell'ordine in cui sono stati pubblican sui giornali, riviste e antologie): e credo che ll lettore potrà ve- rificare la giustezza dell'ordine cronologico mette ndoli m corn- spondenza dei libri che nello stesso arco di tempo ho pubbh- cato. (2ualcuno è internarnente datato: La rimozion e, per esem- pio, scritto quando fu rimossa la salma di Stalin d al mausoleo (o quando se ne ebbe notizia); e-Filologia, scritto - profezla piuttosto facile - al costituirsi della commissione antirnafia. Uno solo, tra tutti, è stato riveduto e quasi riscr itto: quello di Giufà e del cardinale. Degli altri ho corretto s olo qualche svista. I lettori, coi quali credo di essere ormai in o~tim i rapporti, certo non si chiederanno e non mi chiederanno perch é li ripub-

blico, se la sollecitazione mi viene appunto da lor o: e cioè dal fatto che quando di uno di questi racconti è stato fatto un (Un caso di coscienza) e da due altri dei telefilms (Gioco di società sono stati molto richesti dai titoli omonimi (che non esistevano - ed esistev a soltanto, col titolo di Racconti siciliani, un volumetto impr eziosito da una acquaforte di Emilio Greco, che ne raccoglieva cinq ue: stam- pato in 150 copie dall'Istituto Statale d'Arte di U rbino). Ma se il lettore non se lo chiede e non me lo chiede, io me lo chiedo: perché raccolgo e pubblico questi racconti? Ecco: p erché mi pare di aver messo assieme una specie di sommario d ella mia at- tività fino ad ora - e da cui vien fuori (e non pos so nascondere che ne sono in un certo modo soddisfatto, dentro la mia più ge- nerale e continua insoddisfazione) che in questi an ni ho conti- nuato per la mia strada, senza guardare né a destra né a sinistra (e cioè guardando a destra e a sinistra), senza inc ertezze, senza dubbi, senza crisi (e cioè con molte incertezze, co n molti dubbi con profonde crisi), e che tra il primo e l'ultimo di questi rac- conti si stabilisce come una circolarità: una circo larità che non è quella del cane che si morde la coda. L.S.