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DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al
seguente indirizzo Internet:
www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze
COPERTINA: n. d.
TRATTO DA: L'eresia nel Medioevo / studi di Felice Tocco. - Firenze
: Sansoni, 1884. - VIII, 564 p. ; 20 cm
CODICE ISBN FONTE: n. d.
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 settembre 2020 2
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TRATTO DA: L'eresia nel Medioevo / studi di Felice Tocco. - Firenze
: Sansoni, 1884. - VIII, 564 p. ; 20 cm
CODICE ISBN FONTE: n. d.
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 15 settembre 2020 2
SOGGETTO: REL033000 RELIGIONE / Storia
DIGITALIZZAZIONE: Distributed proofreaders,
https://www.pgdp.net/
REVISIONE: Claudio Paganelli,
[email protected]
IMPAGINAZIONE: Claudio Paganelli,
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PUBBLICAZIONE: Claudio Paganelli,
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3
INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità
standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima
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6
6
ALLA
7
AVVERTENZA
Messomi a studiare i rapporti tra la filosofia scolastica e la
contemporanea eresia, se non ho trovato quello che a prima giunta
supponevo, mi venne fatto in compenso di formarmi un'opinione ben
netta sulla genesi e sul corso delle molteplici sètte eretiche. Il
risultato di questi studii pubblico nel presente libro, che per
conseguenza non è, nè vuol essere una storia degli eretici, e molto
meno un trattato dommatico sull'eresia.
L'ho intitolato Studi sull'eresia del Medio Evo, prendendo
quest'ultima parola nel senso più ristretto del periodo, in cui
domina la filosofia scolastica. L'età di transizione tra la coltura
antica e la nuova, in cui fiorisce la Patristica, è affatto
estranea al mio compito. Avrei dovuto occuparmi delle sètte
contemporanee al moto francescano, che vanno sotto il nome di
Flagellanti, Apostolici, Beghini e Guglielmiti, e molti materiali
avevo raccolti intorno a codesto argomento. Ma la ristrettezza
dello spazio m'impedisce di trattarlo anche superficialmente, e mi
riserbo di farne uno studio a parte, se i saggi, che ora pubblico,
saranno benevolmente accolti, del che dubito forte. La mancanza di
spazio m'impedisce altresì di pubblicare nella loro integrità
alcuni testi inediti, che si riferiscono all'abate Gioacchino,
all'Evangelo eterno, ed al moto francescano. Ne ho solo riportati
quei frammenti, che più s'affacevano al mio scopo. Ho forse
abbondato nelle note, ma non me ne pento, chè nelle ricerche
storiche la mancanza assoluta o la citazione manchevole delle fonti
parmi un vero danno. Del resto se al lettore piace di saltare le
note, e credermi in parola, io gli sarò grato di tanta
fiducia.
Firenze, marzo 1884.
8
AVVERTENZA
Messomi a studiare i rapporti tra la filosofia scolastica e la
contemporanea eresia, se non ho trovato quello che a prima giunta
supponevo, mi venne fatto in compenso di formarmi un'opinione ben
netta sulla genesi e sul corso delle molteplici sètte eretiche. Il
risultato di questi studii pubblico nel presente libro, che per
conseguenza non è, nè vuol essere una storia degli eretici, e molto
meno un trattato dommatico sull'eresia.
L'ho intitolato Studi sull'eresia del Medio Evo, prendendo
quest'ultima parola nel senso più ristretto del periodo, in cui
domina la filosofia scolastica. L'età di transizione tra la coltura
antica e la nuova, in cui fiorisce la Patristica, è affatto
estranea al mio compito. Avrei dovuto occuparmi delle sètte
contemporanee al moto francescano, che vanno sotto il nome di
Flagellanti, Apostolici, Beghini e Guglielmiti, e molti materiali
avevo raccolti intorno a codesto argomento. Ma la ristrettezza
dello spazio m'impedisce di trattarlo anche superficialmente, e mi
riserbo di farne uno studio a parte, se i saggi, che ora pubblico,
saranno benevolmente accolti, del che dubito forte. La mancanza di
spazio m'impedisce altresì di pubblicare nella loro integrità
alcuni testi inediti, che si riferiscono all'abate Gioacchino,
all'Evangelo eterno, ed al moto francescano. Ne ho solo riportati
quei frammenti, che più s'affacevano al mio scopo. Ho forse
abbondato nelle note, ma non me ne pento, chè nelle ricerche
storiche la mancanza assoluta o la citazione manchevole delle fonti
parmi un vero danno. Del resto se al lettore piace di saltare le
note, e credermi in parola, io gli sarò grato di tanta
fiducia.
Firenze, marzo 1884.
8
INTRODUZIONE
Il Medio Evo, che a torto da amici ed avversarii fu detto l'era
della concordia e della pace, ebbe a soffrire non meno dell'età
nostra profondi e dolorosi travagli. Codesta unità delle menti e
degli animi, produttrice secondo gli uni di opere grandiose, segno
secondo gli altri di fiacchezza e torpore, fu sempre e dovunque
vagheggiata, giammai conseguita. Nè ci verrà mai fatto di trovarla
nei tre periodi, in cui vanno divisi i secoli che corrono da Carlo
Magno a Carlo di Boemia.
I
Il primo periodo, che diremo di preparazione, è il più lungo di
tutti, protendendosi dal secolo nono sino alla metà del
decimosecondo. Vi primeggiano in filosofia le dispute faticose
intorno agli Universali, nate da una frase dell'Isagoge Porfiriana,
la quale racchiude in germe un problema sempre risoluto e sempre da
risolvere. Quel che noi diciamo i generi e le specie, sono forse
entità reali, anzi solo la vera realtà, o non piuttosto artifizii
della mente per non smarrirsi nel laberinto della natura? Alla
prima sentenza piegavano i Realisti, i Nominalisti alla seconda; ed
il loro dissidio, frutto di una profonda antinomia della ragione,
durava ostinato per secoli, e quando parea che fosse per comporsi,
rinasceva sotto altra forma più vivace di prima. Secondo
l'intuizione realistica gli individui sono effimere esistenze, le
quali, a così dire, nell'istessa ora che nascono, scompaiono. Che
siamo noi uomini, presi individualmente? Pulvis et umbra.
Consacrati alla morte, un piccolo accidente distrugge in un punto
quanti fra noi aveano redata maggior consistenza e vigore. La sola
che sopravvive a tante ruine, e sfidando le ingiurie del tempo, per
volger di secoli non cresce nè
9
INTRODUZIONE
Il Medio Evo, che a torto da amici ed avversarii fu detto l'era
della concordia e della pace, ebbe a soffrire non meno dell'età
nostra profondi e dolorosi travagli. Codesta unità delle menti e
degli animi, produttrice secondo gli uni di opere grandiose, segno
secondo gli altri di fiacchezza e torpore, fu sempre e dovunque
vagheggiata, giammai conseguita. Nè ci verrà mai fatto di trovarla
nei tre periodi, in cui vanno divisi i secoli che corrono da Carlo
Magno a Carlo di Boemia.
I
Il primo periodo, che diremo di preparazione, è il più lungo di
tutti, protendendosi dal secolo nono sino alla metà del
decimosecondo. Vi primeggiano in filosofia le dispute faticose
intorno agli Universali, nate da una frase dell'Isagoge Porfiriana,
la quale racchiude in germe un problema sempre risoluto e sempre da
risolvere. Quel che noi diciamo i generi e le specie, sono forse
entità reali, anzi solo la vera realtà, o non piuttosto artifizii
della mente per non smarrirsi nel laberinto della natura? Alla
prima sentenza piegavano i Realisti, i Nominalisti alla seconda; ed
il loro dissidio, frutto di una profonda antinomia della ragione,
durava ostinato per secoli, e quando parea che fosse per comporsi,
rinasceva sotto altra forma più vivace di prima. Secondo
l'intuizione realistica gli individui sono effimere esistenze, le
quali, a così dire, nell'istessa ora che nascono, scompaiono. Che
siamo noi uomini, presi individualmente? Pulvis et umbra.
Consacrati alla morte, un piccolo accidente distrugge in un punto
quanti fra noi aveano redata maggior consistenza e vigore. La sola
che sopravvive a tante ruine, e sfidando le ingiurie del tempo, per
volger di secoli non cresce nè
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scema, è quel che v'ha di universale in noi, l'umanità. E lo stesso
che diciamo degli uomini, possiamo ripetere degli esseri tutti. Chè
anzi a quel modo che gl'individui umani sono frammenti
dell'umanità, questa è una piccola parte di un essere più
sterminato di lei, l'animale. E l'animale a sua volta è frazione
del vivente, ed il vivente è anch'esso forma fugace di un Essere
immenso che è tutte cose, ma nessuna in particolare. Questo solo è
ciò che permane immutato, è l'ordito su cui s'intesse la variopinta
trama della natura, è l'Oceano che serba costante il volume delle
acque, benchè sull'immensa superficie s'avvicendino i flutti
rumorosi. Questi arditi concetti sono adombrati nel De divisione
naturae di Giovanni Scoto Erigena.1
Così nella prima metà del nono secolo quella Filosofia, che si dice
serva del domma, prende le mosse da un libro, il quale parecchi
secoli dopo (nel 1225) da Papa Onorio III verrà condannato alle
fiamme.2
1 Giovanni Scoto Erigena nacque in Irlanda (Scotia major) sul
cominciare del secolo nono. Carlo il Calvo non molto dopo il suo
innalzamento al trono (843) lo chiamò a dirigere la scuola
palatina, e più tardi gli commise di tradurre dal greco le opere
del pseudo Dionigi l'Areopagita. Indarno il papa Niccolò I si dolse
che questa traduzione fosse pubblicata prima di venire sottoposta
alla censura. Scoto morì in Francia intorno all'anno 877. Secondo
l'Hauréau la fine tragica in Inghilterra attribuitagli dagli
storici è una favola nata dallo scambio di due omonimi. 2 Le
immagini adoperate da Scoto sono tutte improntate all'emanatismo
neoplatonico. De divis. nat., IV, 5: pag. 311 Est autem
generalissima quaedam et communis omnium natura, ab uno omnium
principio creata; ex qua veluti amplissimo fonte per poros occultos
corporales creaturae velut quidam rivuli derivantur, et in diversas
formas singularum rerum eructant. Nè crediate che questa communis
natura sia una cosa diversa dal principium. Basterebbero tra mille
questi due passi a mostrarne l'identità, III, 23: pag. 249 Creatur
enim a se ipsa in primordialibus causis, ac per hoc se ipsam creat,
hoc est in suis theophaniis incipit apparere, ex occultissimis
naturae suae sinibus volens emergere III, 17: pag. 238 Proinde non
duo a se ipsis distantia debemus intelligere Dominum et creaturam,
sed unum et id ipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens, et
Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur.... omnia
creans in omnibus creatum, et omnium factor factum in omnibus.
Scoto Erigena è il primo rappresentante di quell'indirizzo
filosofico, che attribuisce
10
scema, è quel che v'ha di universale in noi, l'umanità. E lo stesso
che diciamo degli uomini, possiamo ripetere degli esseri tutti. Chè
anzi a quel modo che gl'individui umani sono frammenti
dell'umanità, questa è una piccola parte di un essere più
sterminato di lei, l'animale. E l'animale a sua volta è frazione
del vivente, ed il vivente è anch'esso forma fugace di un Essere
immenso che è tutte cose, ma nessuna in particolare. Questo solo è
ciò che permane immutato, è l'ordito su cui s'intesse la variopinta
trama della natura, è l'Oceano che serba costante il volume delle
acque, benchè sull'immensa superficie s'avvicendino i flutti
rumorosi. Questi arditi concetti sono adombrati nel De divisione
naturae di Giovanni Scoto Erigena.1
Così nella prima metà del nono secolo quella Filosofia, che si dice
serva del domma, prende le mosse da un libro, il quale parecchi
secoli dopo (nel 1225) da Papa Onorio III verrà condannato alle
fiamme.2
1 Giovanni Scoto Erigena nacque in Irlanda (Scotia major) sul
cominciare del secolo nono. Carlo il Calvo non molto dopo il suo
innalzamento al trono (843) lo chiamò a dirigere la scuola
palatina, e più tardi gli commise di tradurre dal greco le opere
del pseudo Dionigi l'Areopagita. Indarno il papa Niccolò I si dolse
che questa traduzione fosse pubblicata prima di venire sottoposta
alla censura. Scoto morì in Francia intorno all'anno 877. Secondo
l'Hauréau la fine tragica in Inghilterra attribuitagli dagli
storici è una favola nata dallo scambio di due omonimi. 2 Le
immagini adoperate da Scoto sono tutte improntate all'emanatismo
neoplatonico. De divis. nat., IV, 5: pag. 311 Est autem
generalissima quaedam et communis omnium natura, ab uno omnium
principio creata; ex qua veluti amplissimo fonte per poros occultos
corporales creaturae velut quidam rivuli derivantur, et in diversas
formas singularum rerum eructant. Nè crediate che questa communis
natura sia una cosa diversa dal principium. Basterebbero tra mille
questi due passi a mostrarne l'identità, III, 23: pag. 249 Creatur
enim a se ipsa in primordialibus causis, ac per hoc se ipsam creat,
hoc est in suis theophaniis incipit apparere, ex occultissimis
naturae suae sinibus volens emergere III, 17: pag. 238 Proinde non
duo a se ipsis distantia debemus intelligere Dominum et creaturam,
sed unum et id ipsum. Nam et creatura in Deo est subsistens, et
Deus in creatura mirabili et ineffabili modo creatur.... omnia
creans in omnibus creatum, et omnium factor factum in omnibus.
Scoto Erigena è il primo rappresentante di quell'indirizzo
filosofico, che attribuisce
10
Nè men libera ed ardita è la scuola opposta dei Nominalisti. Il
concetto dal quale partivano Roscellino e i suoi seguaci, affatto
discorde da quello dei Realisti, è il seguente: la sostanza prima è
l'Individuo; gli universali sono astrazioni che la nostra mente
forma togliendo ed isolando ciò che han di comune gl'individui, e
lungi dall'essere la vera realtà, non hanno maggior consistenza del
suono che li esprime.3 Se il Realismo menava dritto al concetto di
sostanza unica, di cui gl'individui son gli accidenti, il
nominalismo in quella vece di conseguenza in conseguenza riescir
doveva alla dottrina dell'originalità degli individui, o in altre
parole all'atomismo.4 Tali erano i due indirizzi della speculazione
di quel tempo, i quali, mutati nomi e fattezze, si una realtà a sè
ai concetti universali. Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae
dividit genera in species, et species in genera resolvit, non ab
humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum ab auctore
omnium artium, quae vero artes sunt, condita. De divis. nat., IV,
4, pag. 310. Cito l'ediz. del 1838 pubblicata in Münster. 3 ANSELM.
De fide Trinit., cap. 2. Illi utique nostri temporis dialectici imo
dialectice haeretici, qui non nisi flatum vocis putant esse
universales substantias. Non metto in dubbio che l'espressione
flatus vocis sia stata usata da Roscellino, il quale nella disputa
contro i Realisti ebbe i suoi buoni motivi di opporre ad
un'affermazione assoluta un'assoluta negazione. Dal che non segue
però che si debba intendere alla lettera questa espressione
polemica, come se Roscellino tenga gli universali per puri nomi, ai
quali non corrisponda neanche un concetto. 4 ABELARDO nel trattato
De Divis. et definit. (Ouv. inéd. d'Abélard, pars V. Cousin, 1836,
p. 471). Fuit autem, memini, magistri nostri Roscellini tam insana
sententia, ut nullam rem partibus constare vellet sed sicut solis
vocibus species, ita et partes adscribebat. In altre parole la
scomposizione del tutto nelle sue parti (quando la totalità è
organica), è un processo puramente intellettivo. In realtà non si
può staccare una parte dall'altra senza distruggere la parte
stessa, come ad esempio un membro divelto dall'organismo non è più
cosa vivente, ma materia inerte. Ma se si considera la cosa più da
vicino, il vero nominalista non può ammettere questa forza
misteriosa, che conferisce alle parti un nuovo valore, e le
trasforma in membra vive di una totalità ideale. Il vero
indivisibile per il nominalista non è dunque il tutto, ma ciò che
non ha parti di sorta. Questo è lo schietto individuo, ente
semplice, che resta sempre eguale a sè medesimo, benchè la mente
nostra guardandolo da varî aspetti, possa artificiosamente
dividerlo in altrettante porzioni.
11
Nè men libera ed ardita è la scuola opposta dei Nominalisti. Il
concetto dal quale partivano Roscellino e i suoi seguaci, affatto
discorde da quello dei Realisti, è il seguente: la sostanza prima è
l'Individuo; gli universali sono astrazioni che la nostra mente
forma togliendo ed isolando ciò che han di comune gl'individui, e
lungi dall'essere la vera realtà, non hanno maggior consistenza del
suono che li esprime.3 Se il Realismo menava dritto al concetto di
sostanza unica, di cui gl'individui son gli accidenti, il
nominalismo in quella vece di conseguenza in conseguenza riescir
doveva alla dottrina dell'originalità degli individui, o in altre
parole all'atomismo.4 Tali erano i due indirizzi della speculazione
di quel tempo, i quali, mutati nomi e fattezze, si una realtà a sè
ai concetti universali. Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae
dividit genera in species, et species in genera resolvit, non ab
humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum ab auctore
omnium artium, quae vero artes sunt, condita. De divis. nat., IV,
4, pag. 310. Cito l'ediz. del 1838 pubblicata in Münster. 3 ANSELM.
De fide Trinit., cap. 2. Illi utique nostri temporis dialectici imo
dialectice haeretici, qui non nisi flatum vocis putant esse
universales substantias. Non metto in dubbio che l'espressione
flatus vocis sia stata usata da Roscellino, il quale nella disputa
contro i Realisti ebbe i suoi buoni motivi di opporre ad
un'affermazione assoluta un'assoluta negazione. Dal che non segue
però che si debba intendere alla lettera questa espressione
polemica, come se Roscellino tenga gli universali per puri nomi, ai
quali non corrisponda neanche un concetto. 4 ABELARDO nel trattato
De Divis. et definit. (Ouv. inéd. d'Abélard, pars V. Cousin, 1836,
p. 471). Fuit autem, memini, magistri nostri Roscellini tam insana
sententia, ut nullam rem partibus constare vellet sed sicut solis
vocibus species, ita et partes adscribebat. In altre parole la
scomposizione del tutto nelle sue parti (quando la totalità è
organica), è un processo puramente intellettivo. In realtà non si
può staccare una parte dall'altra senza distruggere la parte
stessa, come ad esempio un membro divelto dall'organismo non è più
cosa vivente, ma materia inerte. Ma se si considera la cosa più da
vicino, il vero nominalista non può ammettere questa forza
misteriosa, che conferisce alle parti un nuovo valore, e le
trasforma in membra vive di una totalità ideale. Il vero
indivisibile per il nominalista non è dunque il tutto, ma ciò che
non ha parti di sorta. Questo è lo schietto individuo, ente
semplice, che resta sempre eguale a sè medesimo, benchè la mente
nostra guardandolo da varî aspetti, possa artificiosamente
dividerlo in altrettante porzioni.
11
sono conservati sino ai nostri giorni. Ma e l'uno e l'altro sistema
eran guardati con sospetto dagli ortodossi, cui non isfuggì che
sotto l'apparenza dell'accordo si nascondesse un grave dissidio tra
la Fede e la Filosofia. Ben fu tentata una via di mezzo tra i due
opposti estremi, la quale sembrava s'accordasse meglio colla
tradizione; ma il tentativo non ostante la pietà e l'ingegno di
Anselmo di Aosta fallì; nè a torto gli scolastici posteriori ebbero
a temere che l'idealismo dell'arcivescovo di Canterbury non fosse
meno avventuroso degli altri sistemi, nè sapesse tenersi egualmente
lontano dal misticismo degli uni e dal razionalismo degli altri.5 E
questi erano infatti gli scogli, nei quali rompeva la 5 S. Tommaso
nella Summa Theolog. I, Quaest. II, art. 1, ricorda evidentemente
il celebre argomento di S. Anselmo: Sed intellecto quid significet
hoc nomen Deus, statim habetur quod Deus est. Significatur enim hoc
nomine id quo majus significari non potest: majus autem est quod
est in re et in intellectu, quam quod est in intellectu tantum:
unde cum intellecto hoc nomine Deus, statim sit in intellectu,
sequitur etiam quod sit in re. E lo combatte in questo modo: forte
ille qui audit hoc nomen Deus non intelliget significari aliquid,
quo majus cogitari non possit, cum quidam crediderint Deum esse
corpus. Dato etiam quod quilibet intelligat hoc nomine Deus
significari hoc quod dicitur, scilicet illud quo majus cogitari non
potest, non tamen propter hoc sequitur quod intelligat id quod
significatur per nomen, esse in rerum natura sed in apprehensione
intellectus tantum. All'Aquinate non isfuggirono certo i pericoli
dell'identificazione del reale coll'ideale, e di quel
semirazionalismo che ne era la conseguenza, ed il meglio che
potesse vi si oppose. Valga ad esempio il confronto delle due
interpretazioni del domma della Trinità. S. Anselmo nel Monol. cap.
47, scrive: At si ipsa substantia Patris est intelligentia, et
scientia, et sapientia et veritas, consequenter colligitur quia
sicut Filius est intelligentia et scientia et sapientia et veritas
paternae substantiae, ita est intelligentia intelligentiae,
scientia scientiae. Cap. 49: Quam enim absurde negetur summus
spiritus se amare sicut sui memor est, et se intelliget!.... otiosa
namque et penitus inutilis est memoria et intelligentia cujuslibet
rei, nisi prout ratio exigit, res ipsa ametur vel reprobetur. La
qual dottrina mena a questo risultato, che non solo l'essenza, ma
anche le funzioni delle tre persone sono identiche; onde se è salva
l'unità di natura, corre pericolo la trina distinzione, o per
parlare il linguaggio di S. Tommaso: Sed secundum Anselmum sicut
Pater est intelligens et Filius est intelligens, et Spiritus
Sanctus est intelligens; ita Pater est dicens, Filius est dicens,
et Spiritus Sanctus est dicens, et similiter quilibet eorum
dicitur. Ergo nomen
12
sono conservati sino ai nostri giorni. Ma e l'uno e l'altro sistema
eran guardati con sospetto dagli ortodossi, cui non isfuggì che
sotto l'apparenza dell'accordo si nascondesse un grave dissidio tra
la Fede e la Filosofia. Ben fu tentata una via di mezzo tra i due
opposti estremi, la quale sembrava s'accordasse meglio colla
tradizione; ma il tentativo non ostante la pietà e l'ingegno di
Anselmo di Aosta fallì; nè a torto gli scolastici posteriori ebbero
a temere che l'idealismo dell'arcivescovo di Canterbury non fosse
meno avventuroso degli altri sistemi, nè sapesse tenersi egualmente
lontano dal misticismo degli uni e dal razionalismo degli altri.5 E
questi erano infatti gli scogli, nei quali rompeva la 5 S. Tommaso
nella Summa Theolog. I, Quaest. II, art. 1, ricorda evidentemente
il celebre argomento di S. Anselmo: Sed intellecto quid significet
hoc nomen Deus, statim habetur quod Deus est. Significatur enim hoc
nomine id quo majus significari non potest: majus autem est quod
est in re et in intellectu, quam quod est in intellectu tantum:
unde cum intellecto hoc nomine Deus, statim sit in intellectu,
sequitur etiam quod sit in re. E lo combatte in questo modo: forte
ille qui audit hoc nomen Deus non intelliget significari aliquid,
quo majus cogitari non possit, cum quidam crediderint Deum esse
corpus. Dato etiam quod quilibet intelligat hoc nomine Deus
significari hoc quod dicitur, scilicet illud quo majus cogitari non
potest, non tamen propter hoc sequitur quod intelligat id quod
significatur per nomen, esse in rerum natura sed in apprehensione
intellectus tantum. All'Aquinate non isfuggirono certo i pericoli
dell'identificazione del reale coll'ideale, e di quel
semirazionalismo che ne era la conseguenza, ed il meglio che
potesse vi si oppose. Valga ad esempio il confronto delle due
interpretazioni del domma della Trinità. S. Anselmo nel Monol. cap.
47, scrive: At si ipsa substantia Patris est intelligentia, et
scientia, et sapientia et veritas, consequenter colligitur quia
sicut Filius est intelligentia et scientia et sapientia et veritas
paternae substantiae, ita est intelligentia intelligentiae,
scientia scientiae. Cap. 49: Quam enim absurde negetur summus
spiritus se amare sicut sui memor est, et se intelliget!.... otiosa
namque et penitus inutilis est memoria et intelligentia cujuslibet
rei, nisi prout ratio exigit, res ipsa ametur vel reprobetur. La
qual dottrina mena a questo risultato, che non solo l'essenza, ma
anche le funzioni delle tre persone sono identiche; onde se è salva
l'unità di natura, corre pericolo la trina distinzione, o per
parlare il linguaggio di S. Tommaso: Sed secundum Anselmum sicut
Pater est intelligens et Filius est intelligens, et Spiritus
Sanctus est intelligens; ita Pater est dicens, Filius est dicens,
et Spiritus Sanctus est dicens, et similiter quilibet eorum
dicitur. Ergo nomen
12
speculazione di quel tempo, in cui i filosofi, non usi ancora a
infingersi, come fu stile dei secoli posteriori, traevano dai loro
principii, saldi argomenti a trasformare i dommi e le dottrine
tradizionali.
Così i Realisti, al cui misticismo nessun mistero ripugnava, tra le
nebbie della credenza popolare s'argomentavano di scoprire le
proprie teorie. E restaurando il vecchio metodo
dell'interpetrazione allegorica, già tanto usato ed abusato dai
gnostici, nel domma della trinità videro simboleggiato un ciclo
cosmogonico, e nella redenzione l'eterna durata dell'effetto
garentita dal perenne intervento della causa.6 Ed anche i
nominalisti alla lor volta, benchè non spiccassero voli così alti e
ben lontani si tenessero dal nebuloso speculare degli avversarî,
non cessavano per tanto dallo studiare i dommi religiosi, nè meno
uso facevano dell'interpetrazione allegorica. Le loro spiegazioni,
non elaborate certo nel grande stile dei realisti, eran più piane e
sarei per dire volgari, ma meglio confacenti secondo loro a far
luce piena dove più s'addensava l'ombra del mistero.
Verbi essentialiter dicitur in divinis et non personaliter. Il che
non è vero, perchè sicut Verbum non est commune Patri et Filio et
Spiritui Sancto ita non est verum quod Pater et Filius et Spiritus
Sanctus sint unus dicens (S. T., I, quaest. XXXIV, art. 1). Questa
risposta mostra il metodo di S. Tommaso, che è tutto fondato
sull'autorità. Se nei libri canonici è scritto il Verbo non esser
comune al Padre ed allo Spirito, la relazione, che viene
rappresentata dal Verbo, non può attribuirsi alle altre persone. E
qualunque sieno i bisogni della Ragione debbono tacere innanzi alla
sacra testimonianza, la quale sola ci può dar contezza dei misteri
divini. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea
quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent
ad distinctionem personarum (Ivi, qu. XXXII, art. 1). 6 SCOTO
ERIG., De divis. nat., II, 22, pag. 124. Patri dat (Theologia)
omnia facere, Verbo dat omnes.... primordiales rerum causas
aeternaliter fieri: Spiritui dat ipsas primordiales causas in Verbo
factas in effectus suos foecundatas distribuere. V, 25, pag. 479.
Ac si aperte diceret: Si Dei sapientia in effectus causarum, quae
in ea aeternaliter vivunt, non descenderet, causarum ratio periret;
pereuntibus enim causarum effectibus nulla causa remaneret, sicuti
pereuntibus causis nulli remanerent effectus.
13
speculazione di quel tempo, in cui i filosofi, non usi ancora a
infingersi, come fu stile dei secoli posteriori, traevano dai loro
principii, saldi argomenti a trasformare i dommi e le dottrine
tradizionali.
Così i Realisti, al cui misticismo nessun mistero ripugnava, tra le
nebbie della credenza popolare s'argomentavano di scoprire le
proprie teorie. E restaurando il vecchio metodo
dell'interpetrazione allegorica, già tanto usato ed abusato dai
gnostici, nel domma della trinità videro simboleggiato un ciclo
cosmogonico, e nella redenzione l'eterna durata dell'effetto
garentita dal perenne intervento della causa.6 Ed anche i
nominalisti alla lor volta, benchè non spiccassero voli così alti e
ben lontani si tenessero dal nebuloso speculare degli avversarî,
non cessavano per tanto dallo studiare i dommi religiosi, nè meno
uso facevano dell'interpetrazione allegorica. Le loro spiegazioni,
non elaborate certo nel grande stile dei realisti, eran più piane e
sarei per dire volgari, ma meglio confacenti secondo loro a far
luce piena dove più s'addensava l'ombra del mistero.
Verbi essentialiter dicitur in divinis et non personaliter. Il che
non è vero, perchè sicut Verbum non est commune Patri et Filio et
Spiritui Sancto ita non est verum quod Pater et Filius et Spiritus
Sanctus sint unus dicens (S. T., I, quaest. XXXIV, art. 1). Questa
risposta mostra il metodo di S. Tommaso, che è tutto fondato
sull'autorità. Se nei libri canonici è scritto il Verbo non esser
comune al Padre ed allo Spirito, la relazione, che viene
rappresentata dal Verbo, non può attribuirsi alle altre persone. E
qualunque sieno i bisogni della Ragione debbono tacere innanzi alla
sacra testimonianza, la quale sola ci può dar contezza dei misteri
divini. Per rationem igitur naturalem cognosci possunt de Deo ea
quae pertinent ad unitatem essentiae, non autem ea quae pertinent
ad distinctionem personarum (Ivi, qu. XXXII, art. 1). 6 SCOTO
ERIG., De divis. nat., II, 22, pag. 124. Patri dat (Theologia)
omnia facere, Verbo dat omnes.... primordiales rerum causas
aeternaliter fieri: Spiritui dat ipsas primordiales causas in Verbo
factas in effectus suos foecundatas distribuere. V, 25, pag. 479.
Ac si aperte diceret: Si Dei sapientia in effectus causarum, quae
in ea aeternaliter vivunt, non descenderet, causarum ratio periret;
pereuntibus enim causarum effectibus nulla causa remaneret, sicuti
pereuntibus causis nulli remanerent effectus.
13
La setta nominalistica o concettualistica7 che dir si voglia fu per
tal guisa l'iniziatrice del razionalismo, ed il suo più illustre
rappresentante, l'infelice Abelardo, ragionatore instancabile e
strenuo propugnatore dei diritti del libero pensiero, cadde vittima
della sua dialettica. Odiosum me mundo reddidit Logica.8 Per ben
due volte ei fu tradotto davanti a Sinodi provinciali sotto
l'accusa di eresia. La prima nel 1121 in quella stessa città di
Soissons, dove pochi anni innanzi era stato condannato Roscellino
per sospetto di triteismo;9 la seconda nel 1140 a Sens, dove
egli
7 Molti scrittori distinguono il nominalismo di Roscellino dal
concettualismo di Abelardo riferendosi al noto passo di Giovanni
Saresberiense (Metalogicus, II, 17, pag. 814, Amstelaedami 1664)
alius sermones intuetur et ad illos detorquet quicquid alicubi
meminit scriptum; in hac autem opinione deprehensus est
Peripateticus Palatinus, Abaelardus noster. La testimonianza di
Giovanni (nato a Salisbury intorno al 1110 o 20, morto vescovo di
Chartres nel 1180) è molto importante, comecchè ei fusse discepolo
di Abelardo tra il 1136 e il 1148, e degli scrittori di quell'età
l'unico che studiasse di giudicare spassionatamente le opposte
scuole, senza abbracciarne alcuna. È da supporre adunque che una
differenza interceda tra il nominalismo di Roscellino e il
concettualismo di Abelardo. Il primo per opporsi bruscamente ai
realisti disse gli universali pure voci, senza ricercare nè se a
questi nomi corrispondano concetti determinati, nè se questi
concetti sieno formati dalla nostra mente in un modo arbitrario
ovvero necessariamente. Abelardo definì meglio la dottrina
nominalistica riempiendo questi vuoti. Gli universali ut sic non
sono entità reali, bensì concetti che il nostro intelletto non può
a meno di formare sulla scorta dei reali rapporti di somiglianza ed
affinità tra i varî esseri della natura. 8 Vedi la commovente
confessione ad Eloisa che comincia: Heloisa quondam mihi in seculo
cara, nunc in Christo carissima. (Opp., ed. Cousin, I, 680). 9
Roscellino, non ammettendo altre realtà dagli individui in fuori,
dovea profondamente modificare il senso tradizionale del domma
della Trinità. E gli erano aperte due vie. O far ritorno al
monoteismo ebraico, tenendo la distinzione delle persone per un
fatto subbiettivo nato dalla necessità in cui si trova l'intelletto
nostro di guardare da tre aspetti diversi ciò che pure è uno in sè;
ovvero fare delle persone tre individui distinti, la cui unità,
puramente nominale, stia nella conformità perfetta dei pensieri e
voleri. Quest'ultimo partito sceglie Roscellino, come ne attesta
Sant'Anselmo De fide Trin. c. 3. Tres personae sunt tres res sicut
tres angeli aut tres animae, ita animae, ut voluntas et potentia
omnino sint idem. L'eresia dunque di Roscellino è il Triteismo di
Giovanni Filopono non certo il Monarchianismo di Sabellio.
14
La setta nominalistica o concettualistica7 che dir si voglia fu per
tal guisa l'iniziatrice del razionalismo, ed il suo più illustre
rappresentante, l'infelice Abelardo, ragionatore instancabile e
strenuo propugnatore dei diritti del libero pensiero, cadde vittima
della sua dialettica. Odiosum me mundo reddidit Logica.8 Per ben
due volte ei fu tradotto davanti a Sinodi provinciali sotto
l'accusa di eresia. La prima nel 1121 in quella stessa città di
Soissons, dove pochi anni innanzi era stato condannato Roscellino
per sospetto di triteismo;9 la seconda nel 1140 a Sens, dove
egli
7 Molti scrittori distinguono il nominalismo di Roscellino dal
concettualismo di Abelardo riferendosi al noto passo di Giovanni
Saresberiense (Metalogicus, II, 17, pag. 814, Amstelaedami 1664)
alius sermones intuetur et ad illos detorquet quicquid alicubi
meminit scriptum; in hac autem opinione deprehensus est
Peripateticus Palatinus, Abaelardus noster. La testimonianza di
Giovanni (nato a Salisbury intorno al 1110 o 20, morto vescovo di
Chartres nel 1180) è molto importante, comecchè ei fusse discepolo
di Abelardo tra il 1136 e il 1148, e degli scrittori di quell'età
l'unico che studiasse di giudicare spassionatamente le opposte
scuole, senza abbracciarne alcuna. È da supporre adunque che una
differenza interceda tra il nominalismo di Roscellino e il
concettualismo di Abelardo. Il primo per opporsi bruscamente ai
realisti disse gli universali pure voci, senza ricercare nè se a
questi nomi corrispondano concetti determinati, nè se questi
concetti sieno formati dalla nostra mente in un modo arbitrario
ovvero necessariamente. Abelardo definì meglio la dottrina
nominalistica riempiendo questi vuoti. Gli universali ut sic non
sono entità reali, bensì concetti che il nostro intelletto non può
a meno di formare sulla scorta dei reali rapporti di somiglianza ed
affinità tra i varî esseri della natura. 8 Vedi la commovente
confessione ad Eloisa che comincia: Heloisa quondam mihi in seculo
cara, nunc in Christo carissima. (Opp., ed. Cousin, I, 680). 9
Roscellino, non ammettendo altre realtà dagli individui in fuori,
dovea profondamente modificare il senso tradizionale del domma
della Trinità. E gli erano aperte due vie. O far ritorno al
monoteismo ebraico, tenendo la distinzione delle persone per un
fatto subbiettivo nato dalla necessità in cui si trova l'intelletto
nostro di guardare da tre aspetti diversi ciò che pure è uno in sè;
ovvero fare delle persone tre individui distinti, la cui unità,
puramente nominale, stia nella conformità perfetta dei pensieri e
voleri. Quest'ultimo partito sceglie Roscellino, come ne attesta
Sant'Anselmo De fide Trin. c. 3. Tres personae sunt tres res sicut
tres angeli aut tres animae, ita animae, ut voluntas et potentia
omnino sint idem. L'eresia dunque di Roscellino è il Triteismo di
Giovanni Filopono non certo il Monarchianismo di Sabellio.
14
sperava battere colle armi delle sue implacabili argomentazioni
l'accusatore suo S. Bernardo. Ma nè l'una volta nè l'altra gli
arrise la fortuna; chè a Soissons fu condannato a bruciare colle
sue proprie mani l'Introductio ad Theologiam, e come se ciò non
bastasse fu chiuso in espiazione dei suoi falli nel convento di S.
Medard. A Sens poi gli sarebbe capitato anche peggio, se l'accorto
filosofo, presentito l'imperversar della bufera, non se ne fosse
appellato al Pontefice. E ventura per lui che, mancategli le forze
lungo il viaggio alla volta di Roma, riparasse nell'abbazia di
Cluny, ove fu accolto affettuosamente da Pietro il venerabile,
miracolo ed esempio di vera carità cristiana. Se fosse proceduto
oltre, non avrebbe trovata eguale accoglienza nel Papa Innocenzo
II, il quale non poteva al certo darla vinta al filosofo palatino
contro quello stesso S. Bernardo, alla cui opera egli doveva in
parte il trionfo riportato sul rivale Anacleto.10 E d'altro lato
come mai quel Pontefice, che l'anno innanzi avea imposto silenzio
all'audace Arnaldo da Brescia, avrebbe ora dubitato di condannare
il maestro e la guida dell'abborrito novatore? Non eran forse
questi due uomini stretti siffattamente in un pensiero, che agli
occhi del chiaravallese l'uno paresse il gigante Golia, e l'altro
il fido scudiero? E per fermo lo stesso ardore di libertà scaldava
i loro petti. Entrambi volevano la riforma della Chiesa, l'uno
spogliandola dei mal tolti beni temporali, cagion prima di scandali
e corruzioni; l'altro sciogliendola da quelle pastoie dommatiche
che impedivano la libera espansione del sentimento religioso.
Ed entrambi sono specchio fedele di quell'età turbinosa, in cui
infranti nella lotta delle riforme e delle investiture i
vincoli
10 S. Bernardo nella lettera a Innocenzo II (Ep. 330) chiama
Abelardo Pier Dragone per metterlo a paro con Pierleone, l'antipapa
Anacleto. Evasimus rugitum Petri Leonis, sedem Simonis Petri
occupantem; sed Petrum Draconem incurrimus, fidem Simonis Petri
impugnantem. Gioco di parole, che delicatamente ricordava al Papa i
servigi prestati al tempo dello scisma. V. lett. 189. Leonem
evasimus sed incidimus in draconem, qui non minus forsan nocet in
insidiis quam ille rugiens de excelso.
15
sperava battere colle armi delle sue implacabili argomentazioni
l'accusatore suo S. Bernardo. Ma nè l'una volta nè l'altra gli
arrise la fortuna; chè a Soissons fu condannato a bruciare colle
sue proprie mani l'Introductio ad Theologiam, e come se ciò non
bastasse fu chiuso in espiazione dei suoi falli nel convento di S.
Medard. A Sens poi gli sarebbe capitato anche peggio, se l'accorto
filosofo, presentito l'imperversar della bufera, non se ne fosse
appellato al Pontefice. E ventura per lui che, mancategli le forze
lungo il viaggio alla volta di Roma, riparasse nell'abbazia di
Cluny, ove fu accolto affettuosamente da Pietro il venerabile,
miracolo ed esempio di vera carità cristiana. Se fosse proceduto
oltre, non avrebbe trovata eguale accoglienza nel Papa Innocenzo
II, il quale non poteva al certo darla vinta al filosofo palatino
contro quello stesso S. Bernardo, alla cui opera egli doveva in
parte il trionfo riportato sul rivale Anacleto.10 E d'altro lato
come mai quel Pontefice, che l'anno innanzi avea imposto silenzio
all'audace Arnaldo da Brescia, avrebbe ora dubitato di condannare
il maestro e la guida dell'abborrito novatore? Non eran forse
questi due uomini stretti siffattamente in un pensiero, che agli
occhi del chiaravallese l'uno paresse il gigante Golia, e l'altro
il fido scudiero? E per fermo lo stesso ardore di libertà scaldava
i loro petti. Entrambi volevano la riforma della Chiesa, l'uno
spogliandola dei mal tolti beni temporali, cagion prima di scandali
e corruzioni; l'altro sciogliendola da quelle pastoie dommatiche
che impedivano la libera espansione del sentimento religioso.
Ed entrambi sono specchio fedele di quell'età turbinosa, in cui
infranti nella lotta delle riforme e delle investiture i
vincoli
10 S. Bernardo nella lettera a Innocenzo II (Ep. 330) chiama
Abelardo Pier Dragone per metterlo a paro con Pierleone, l'antipapa
Anacleto. Evasimus rugitum Petri Leonis, sedem Simonis Petri
occupantem; sed Petrum Draconem incurrimus, fidem Simonis Petri
impugnantem. Gioco di parole, che delicatamente ricordava al Papa i
servigi prestati al tempo dello scisma. V. lett. 189. Leonem
evasimus sed incidimus in draconem, qui non minus forsan nocet in
insidiis quam ille rugiens de excelso.
15
dell'antica disciplina, il prestigio della tradizione vien meno, e
Papi combattono contro Papi, come nello scisma di Cadalò, di
Guiberto, di Anacleto; vescovi contro Papi, Imperatori contro
questi e quelli; nulla di saldo e durevole; ed oggi si proclama
campione della Chiesa chi domani vien condannato da eretico e
fellone. Si comprende di leggieri come in queste lotte incessanti
crescesse e si dilatasse lo spirito critico, e quale potere
esercitasse sulle giovani menti uno ingegno così acuto come quello
di Abelardo, che mise lo scompiglio nella teologia autoritaria
colle famose antinomie del sic et non. La sua parola affascinava,
la sua dialettica stringeva, e quando si ritrasse nel romitaggio
del Paracleto, i discepoli accorrevano a torme alle sue lezioni,
contenti di vivere in miserabili capanne, non curanti dello scarso
nutrimento, che il deserto luogo concedeva. Confortato da queste
prove di affetto, nè fiaccato dalle persecuzioni patite,
l'intrepido maestro continuava a battere in breccia illum fidei
fervorem, qui ea quae dicantur antequam intelligat, credit, et
prius his assentii ac recipit quam quae ipsa sint videat, et an
recipienda sint.11 Era naturale che questa critica assottigliasse
fuor di misura i dommi tradizionali, e riuscisse alle
interpetrazioni razionalistiche di un pallido deismo. Le tre
persone, ad esempio, sono tre nomi con cui è descritta
diligentemente la perfezione del sommo Bene;12 la 11 Introd. ad
Theolog., Opp., ed. Cousin, Parigi 1859, II, pag. 78. Nec quia Deus
id dixerat creditur, sed quia hoc sic esse convincitur,
recipitur.... At nunquam, si fidei nostrae primordia statim meritum
non habent, ideo ipsa prorsus inutilis est judicanda, quam
postmodum charitas subsecuta obtinet, quod illi defuerat.... Nec
quod levitate geritur, stabilitate firmabitur. Unde et in
Ecclesiastico scriptum est: Qui cito credit levis est corde et
minorabitur. 12 Op. cit., pag. 12 Videtur autem nobis suprapositis
trium personarum nominibus summi boni perfectio diligentur esse
descripta.... Patris quippe nomini divinae magistratis potentia
designatur, qua videlicet quidquid velit efficere possit.... Filii
vero Verbi appellatone sapientia Dei significatur quia scilicet
cuncta discernere valeat, ut in nullo penitus decipi queat. At vero
Spiritus Sancti vocabulo ipsa ejus charitas seu benignitas
exprimitur, qua videlicet optime cuncta vult fieri seu disponi. Lo
Spirito Santo non vuol dire un rapporto di Dio a sè medesimo, ma ad
altro. Introd. pag. 101: Procedere quod est Deum se per caritatem
ad alternum extendere. Quodammodo enim
16
dell'antica disciplina, il prestigio della tradizione vien meno, e
Papi combattono contro Papi, come nello scisma di Cadalò, di
Guiberto, di Anacleto; vescovi contro Papi, Imperatori contro
questi e quelli; nulla di saldo e durevole; ed oggi si proclama
campione della Chiesa chi domani vien condannato da eretico e
fellone. Si comprende di leggieri come in queste lotte incessanti
crescesse e si dilatasse lo spirito critico, e quale potere
esercitasse sulle giovani menti uno ingegno così acuto come quello
di Abelardo, che mise lo scompiglio nella teologia autoritaria
colle famose antinomie del sic et non. La sua parola affascinava,
la sua dialettica stringeva, e quando si ritrasse nel romitaggio
del Paracleto, i discepoli accorrevano a torme alle sue lezioni,
contenti di vivere in miserabili capanne, non curanti dello scarso
nutrimento, che il deserto luogo concedeva. Confortato da queste
prove di affetto, nè fiaccato dalle persecuzioni patite,
l'intrepido maestro continuava a battere in breccia illum fidei
fervorem, qui ea quae dicantur antequam intelligat, credit, et
prius his assentii ac recipit quam quae ipsa sint videat, et an
recipienda sint.11 Era naturale che questa critica assottigliasse
fuor di misura i dommi tradizionali, e riuscisse alle
interpetrazioni razionalistiche di un pallido deismo. Le tre
persone, ad esempio, sono tre nomi con cui è descritta
diligentemente la perfezione del sommo Bene;12 la 11 Introd. ad
Theolog., Opp., ed. Cousin, Parigi 1859, II, pag. 78. Nec quia Deus
id dixerat creditur, sed quia hoc sic esse convincitur,
recipitur.... At nunquam, si fidei nostrae primordia statim meritum
non habent, ideo ipsa prorsus inutilis est judicanda, quam
postmodum charitas subsecuta obtinet, quod illi defuerat.... Nec
quod levitate geritur, stabilitate firmabitur. Unde et in
Ecclesiastico scriptum est: Qui cito credit levis est corde et
minorabitur. 12 Op. cit., pag. 12 Videtur autem nobis suprapositis
trium personarum nominibus summi boni perfectio diligentur esse
descripta.... Patris quippe nomini divinae magistratis potentia
designatur, qua videlicet quidquid velit efficere possit.... Filii
vero Verbi appellatone sapientia Dei significatur quia scilicet
cuncta discernere valeat, ut in nullo penitus decipi queat. At vero
Spiritus Sancti vocabulo ipsa ejus charitas seu benignitas
exprimitur, qua videlicet optime cuncta vult fieri seu disponi. Lo
Spirito Santo non vuol dire un rapporto di Dio a sè medesimo, ma ad
altro. Introd. pag. 101: Procedere quod est Deum se per caritatem
ad alternum extendere. Quodammodo enim
16
creazione non è libera, ma necessaria;13 il peccato originale non è
colpa, ma trasmissione ereditaria della pena che al primo fallo
successe;14 il Redentore è l'esempio dell'uomo perfetto che adempie
al dover suo non per timore ma per amore;15 il cristianesimo in una
parola non è altro se non un ritorno alla legge naturale, la quale
è certo che fu seguita dai filosofi, mentre la legge mosaica si
appoggia su precetti più simbolici che morali (magis figuralibus
quam naturalibus nitatur mandatis) ed abbonda più dell'esterna che
dell'interiore giustizia.16 S. Bernardo,
per amorem unusquisque ad alterum procedit, cum proprie nemo ad
seipsum caritatem habere dicatur. Notisi anche questo passo che
pare scritto dall'Erigena. Theol. Christ., I, 5, pag. 379: Bene
autem Spiritum Sanctum animam mundi, quasi vitam universitatis
Plato posuit. Quest'ultima opinione, così acerbamente censurata da
S. Bernardo (Lettera citata: Dum multum sudat quommodo Platonem
faciat christianum, se probat ethnicum) fu tolta a principale
argomento d'accusa nel Concilio di Sens, e poi sconfessata da
Abelardo nel trattato De divisione et definitione (Ouvrages
inédites d'Abélard par V. Cousin, Paris 1836, p. 475). Sed haec
quidem fides platonica ex eo erronea esse convincitur quod illam
quam mundi animam vocat, non coeternam Deo sed a Deo, more
creaturarum, originem habere concedit. Spiritus enim Sanctus ita in
perfectione divinae Trinitatis consistit, ut tara Patri quam Filio
consubstantialis et coaequalis et coaeternus esse a nulla fidelium
dubitetur. Dal che il Cousin ha benissimo dedotto che questo
trattato è posteriore alla Teologia, e scritto dopo il Concilio di
Sens. Il libro dunque della Dialettica citato nella Teologia non
può essere questo de divisione pubblicato dal Cousin. 13 Theolog.
christ., V, pag. 566: Necessario itaque Deus mundum esse voluit,
nec otiosus extitit, quia eum priusquam fecit facere non potuit. 14
Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 238: Magis hoc ad poenam
peccati,... quam ad culpam animi et contemptum Dei referendum
videtur. Imperocchè (Eth., c. 13, pag. 615) non est peccatum nisi
contra conscientiam. In questo punto (sia detto per incidenza)
Abelardo rasenta il Kant (Eth., cap. 7): Opera omnia in se
indifferentia sunt nec nisi pro intentione agentis vel bona vel
mala dicenda sunt. 15 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 207: Est
illa summa in nobis per passionem Christi dilectio, quae non solum
a servitute peccati liberat, sed veram nobis filiorum Dei
libertatem acquirit; ut amore ejus potius quam timore cuncta
impleamus. 16 Theol. Christ., I, 2.
17
creazione non è libera, ma necessaria;13 il peccato originale non è
colpa, ma trasmissione ereditaria della pena che al primo fallo
successe;14 il Redentore è l'esempio dell'uomo perfetto che adempie
al dover suo non per timore ma per amore;15 il cristianesimo in una
parola non è altro se non un ritorno alla legge naturale, la quale
è certo che fu seguita dai filosofi, mentre la legge mosaica si
appoggia su precetti più simbolici che morali (magis figuralibus
quam naturalibus nitatur mandatis) ed abbonda più dell'esterna che
dell'interiore giustizia.16 S. Bernardo,
per amorem unusquisque ad alterum procedit, cum proprie nemo ad
seipsum caritatem habere dicatur. Notisi anche questo passo che
pare scritto dall'Erigena. Theol. Christ., I, 5, pag. 379: Bene
autem Spiritum Sanctum animam mundi, quasi vitam universitatis
Plato posuit. Quest'ultima opinione, così acerbamente censurata da
S. Bernardo (Lettera citata: Dum multum sudat quommodo Platonem
faciat christianum, se probat ethnicum) fu tolta a principale
argomento d'accusa nel Concilio di Sens, e poi sconfessata da
Abelardo nel trattato De divisione et definitione (Ouvrages
inédites d'Abélard par V. Cousin, Paris 1836, p. 475). Sed haec
quidem fides platonica ex eo erronea esse convincitur quod illam
quam mundi animam vocat, non coeternam Deo sed a Deo, more
creaturarum, originem habere concedit. Spiritus enim Sanctus ita in
perfectione divinae Trinitatis consistit, ut tara Patri quam Filio
consubstantialis et coaequalis et coaeternus esse a nulla fidelium
dubitetur. Dal che il Cousin ha benissimo dedotto che questo
trattato è posteriore alla Teologia, e scritto dopo il Concilio di
Sens. Il libro dunque della Dialettica citato nella Teologia non
può essere questo de divisione pubblicato dal Cousin. 13 Theolog.
christ., V, pag. 566: Necessario itaque Deus mundum esse voluit,
nec otiosus extitit, quia eum priusquam fecit facere non potuit. 14
Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 238: Magis hoc ad poenam
peccati,... quam ad culpam animi et contemptum Dei referendum
videtur. Imperocchè (Eth., c. 13, pag. 615) non est peccatum nisi
contra conscientiam. In questo punto (sia detto per incidenza)
Abelardo rasenta il Kant (Eth., cap. 7): Opera omnia in se
indifferentia sunt nec nisi pro intentione agentis vel bona vel
mala dicenda sunt. 15 Comm. in Epist. ad Rom., II, pag. 207: Est
illa summa in nobis per passionem Christi dilectio, quae non solum
a servitute peccati liberat, sed veram nobis filiorum Dei
libertatem acquirit; ut amore ejus potius quam timore cuncta
impleamus. 16 Theol. Christ., I, 2.
17
ben consapevole della gravità di questi arditi commentarii esclama
tristamente: Omnia usurpat sibi humanum ingenium, fidei nil
reservans. Tentat altiora se, fortiora scrutatur, irruit in divina,
sancta temerat magis quam reserat, clausa et signata non aperit sed
diripit (Ep. 188).
Se non che era vano sperare che colla punizione del filosofo si
potesse soffocare la libertà del pensiero, la quale in quella vece
si levava più fiera e minacciosa dalle violenze patite. Colla morte
di Abelardo non perì l'indirizzo razionalistico, e Bernardo
Silvestre trova nel platonismo inteso a modo suo la soluzione dei
problemi religiosi;17 Guglielmo di Conches attacca la superstizione
come la peggior nemica del progresso intellettuale;18 persino
Gilberto 17 Sui fratelli Thierry e Bernardo, bretoni, nati a Moclan
presso Quimperlé, vedi HAURÉAU, Histoire de la Phil. scolastique,
Première partie, Paris 1872, pag. 392. L'Hauréau ha dimostrato che
il vero autore del rinnovato realismo è Thierry, e che Bernardo
nell'opera sua, recentemente pubblicata dal Barach (Bernardi
Silvestris De mundi universitate libri duo seu Megocosmus et
Microcosmus, Innsbruck 1876) non fa se non una parafrasi poetica
delle dottrine insegnategli dal fratello. Lo scritto di Thierry
intitolato De sex dierum operibus ci è pervenuto mutilato, non più
che il primo libro e parte del secondo, tuttora inediti. Dai
frammenti pubblicati dall'Hauréau riproduco questo che espone in
forma concisa il più schietto panteismo (pag. 402): Unitas ipsa
divinitas est. At divinitas singulis rebus forma essendi est, nam
sicut aliquod ex luce lucidum est, vel ex calore calidum, ita
singulae res ex divinitate esse suum sortiuntur. Unde Deus totus et
essentialiter ubique esse vere perhibetur, unde vere dicitur omne
quod est ideo est quia unum est. Bernardo nel Megocosmo non è meno
esplicito (Barach. pag. 30). Rerum porro universitas mundus nec
invalida senectute decrepitus, nec supremo est obitu dissolvendus,
cum de opifice causaque operis, utrisque sempiternis, de materia
formaque materiae, utrisque perpetuis, ratio cesserit permanendi.
Usia namque primarie aeviterna, et perseveratio fecunda
pluralitatis simplicitas. Una est, sola est, ex se vel in se tota
natura Dei. E qui torna la vecchia imagine neoplatonica già usata
da Thierry. Ex ea igitur luce inaccessibili splender radiatus
emicuit.... Bernardo nato forse un dieci anni più tardi di
Guglielmo di Champeaux (intorno al 1080) gli sopravvisse circa
quaranta. Guglielmo morì nel 1121, Bernardo il 1161, diciannove
anni più tardi di Abelardo, del quale una tradizione lo fa scolare
(CHARLES DE REMUSAT, Abélard, I, 272). 18 Guglielmo nato a Conches
in Normandia, insegnò per lungo tempo a Parigi, ove morì nel 1154.
Oltre al commento del Timeo e del De Consolatione di
18
ben consapevole della gravità di questi arditi commentarii esclama
tristamente: Omnia usurpat sibi humanum ingenium, fidei nil
reservans. Tentat altiora se, fortiora scrutatur, irruit in divina,
sancta temerat magis quam reserat, clausa et signata non aperit sed
diripit (Ep. 188).
Se non che era vano sperare che colla punizione del filosofo si
potesse soffocare la libertà del pensiero, la quale in quella vece
si levava più fiera e minacciosa dalle violenze patite. Colla morte
di Abelardo non perì l'indirizzo razionalistico, e Bernardo
Silvestre trova nel platonismo inteso a modo suo la soluzione dei
problemi religiosi;17 Guglielmo di Conches attacca la superstizione
come la peggior nemica del progresso intellettuale;18 persino
Gilberto 17 Sui fratelli Thierry e Bernardo, bretoni, nati a Moclan
presso Quimperlé, vedi HAURÉAU, Histoire de la Phil. scolastique,
Première partie, Paris 1872, pag. 392. L'Hauréau ha dimostrato che
il vero autore del rinnovato realismo è Thierry, e che Bernardo
nell'opera sua, recentemente pubblicata dal Barach (Bernardi
Silvestris De mundi universitate libri duo seu Megocosmus et
Microcosmus, Innsbruck 1876) non fa se non una parafrasi poetica
delle dottrine insegnategli dal fratello. Lo scritto di Thierry
intitolato De sex dierum operibus ci è pervenuto mutilato, non più
che il primo libro e parte del secondo, tuttora inediti. Dai
frammenti pubblicati dall'Hauréau riproduco questo che espone in
forma concisa il più schietto panteismo (pag. 402): Unitas ipsa
divinitas est. At divinitas singulis rebus forma essendi est, nam
sicut aliquod ex luce lucidum est, vel ex calore calidum, ita
singulae res ex divinitate esse suum sortiuntur. Unde Deus totus et
essentialiter ubique esse vere perhibetur, unde vere dicitur omne
quod est ideo est quia unum est. Bernardo nel Megocosmo non è meno
esplicito (Barach. pag. 30). Rerum porro universitas mundus nec
invalida senectute decrepitus, nec supremo est obitu dissolvendus,
cum de opifice causaque operis, utrisque sempiternis, de materia
formaque materiae, utrisque perpetuis, ratio cesserit permanendi.
Usia namque primarie aeviterna, et perseveratio fecunda
pluralitatis simplicitas. Una est, sola est, ex se vel in se tota
natura Dei. E qui torna la vecchia imagine neoplatonica già usata
da Thierry. Ex ea igitur luce inaccessibili splender radiatus
emicuit.... Bernardo nato forse un dieci anni più tardi di
Guglielmo di Champeaux (intorno al 1080) gli sopravvisse circa
quaranta. Guglielmo morì nel 1121, Bernardo il 1161, diciannove
anni più tardi di Abelardo, del quale una tradizione lo fa scolare
(CHARLES DE REMUSAT, Abélard, I, 272). 18 Guglielmo nato a Conches
in Normandia, insegnò per lungo tempo a Parigi, ove morì nel 1154.
Oltre al commento del Timeo e del De Consolatione di
18
Porretano;19 dal 1142 vescovo di Poitiers, costruisce una dottrina
della trinità così poco ortodossa, che vien costretto a
ricredersene innanzi al concilio di Rheims del 1148.
Contro il mal dissimulato razionalismo di questi filosofi seguita
sempre a combattere S. Bernardo, e non meno fieramente di lui i
Vittorini Ugo Riccardo e Gualtiero. Quest'ultimo principalmente non
perdona nè a filosofi, nè a teologi, ma nello
Boezio scrisse la Philosophia mundi, che fu pubblicata sotto il
nome di Beda nelle opere di questo padre, e sotto il nome di
Onorato d'Autun nel tom. XX della Maxima Bibliotheca patrum. Se
Guglielmo fosse stato conseguente a sè medesimo, avrebbe dovuto,
come bene avverte l'Hauréau, fare una confessione panteistica non
diversa da quella di Thierry e Bernardo. In verità se lo Spirito
Santo è l'anima del mondo, altrettanto deve dirsi di Dio Padre, con
cui lo Spirito è tutt'uno in essenza. Ma Guglielmo non che ridursi
a questo stremo, difende invece con grave inconseguenza il dualismo
ortodosso. E vedi stranezza di casi! Mentre i fratelli Carnotensi
non patirono nessun danno delle loro audaci e franche rivelazioni,
il filosofo di Conches per lo contrario, molto più timido e
circospetto di loro, fu fatto segno agli assalti dei zelanti. A
capo dei quali si mise Guglielmo di S. Thierry, cui si aggiunse
Gualtiero da S. Victor, ed entrambi chiamarono in aiuto S.
Bernardo, per ischiacciare il capo del nuovo basilisco, che era pur
mo' nato dal triste seme dell'antico. Però non fu convocato un
concilio, bensì s'impose all'accusato la pronta ritrattazione, che
ei fece nel dialogo intitolato Dragmaticon Philosophiae (HAURÉAU,
I, pag. 432). 19 Gilberto, nato a Poitiers, era nel 1135
cancelliere della chiesa di Chartres. Nel 1140 scolastico di S.
Ilario in Poitiers, e l'anno appresso vescovo di quella diocesi. Il
suo libro Dei sei principii che tratta diffusamente delle sei
ultime categorie toccate di volo da Aristotile, ebbe tal successo,
che fino al secolo XVI
fu sempre unito al pari dell'Isagoge porfiriana al trattato
aristotelico. Nel commento al De Trinitate del pseudo Boezio è
svolta la dottrina realistica, che il contemporaneo Giovanni di
Salisbury espone nel seguente modo (Metal., II, 17, pag. 817): Est
autem forma nativa originalis exemplum, et quae non in mente Dei
consistit, sed in rebus creatis inhaeret. Haec greco eloquio
dicitur ει δος habens se ad idaeam ut exemplum ad exemplar;
sensibilis quidem in re sensibili, sed mente concipitur
insensibilis; singularis quoque in singulis, sed in omnibus
universalis. Queste forme sono la vera realtà, e non sono esse
nelle cose, ma piuttosto le cose in loro. Egli è ben certo che nel
nostro mondo la forma non si può staccare dalla materia se non
mentalmente; onde i due fattori sono talmente intrinsecati, da
poter chiamare sensibile o singola la forma, in
19
Porretano;19 dal 1142 vescovo di Poitiers, costruisce una dottrina
della trinità così poco ortodossa, che vien costretto a
ricredersene innanzi al concilio di Rheims del 1148.
Contro il mal dissimulato razionalismo di questi filosofi seguita
sempre a combattere S. Bernardo, e non meno fieramente di lui i
Vittorini Ugo Riccardo e Gualtiero. Quest'ultimo principalmente non
perdona nè a filosofi, nè a teologi, ma nello
Boezio scrisse la Philosophia mundi, che fu pubblicata sotto il
nome di Beda nelle opere di questo padre, e sotto il nome di
Onorato d'Autun nel tom. XX della Maxima Bibliotheca patrum. Se
Guglielmo fosse stato conseguente a sè medesimo, avrebbe dovuto,
come bene avverte l'Hauréau, fare una confessione panteistica non
diversa da quella di Thierry e Bernardo. In verità se lo Spirito
Santo è l'anima del mondo, altrettanto deve dirsi di Dio Padre, con
cui lo Spirito è tutt'uno in essenza. Ma Guglielmo non che ridursi
a questo stremo, difende invece con grave inconseguenza il dualismo
ortodosso. E vedi stranezza di casi! Mentre i fratelli Carnotensi
non patirono nessun danno delle loro audaci e franche rivelazioni,
il filosofo di Conches per lo contrario, molto più timido e
circospetto di loro, fu fatto segno agli assalti dei zelanti. A
capo dei quali si mise Guglielmo di S. Thierry, cui si aggiunse
Gualtiero da S. Victor, ed entrambi chiamarono in aiuto S.
Bernardo, per ischiacciare il capo del nuovo basilisco, che era pur
mo' nato dal triste seme dell'antico. Però non fu convocato un
concilio, bensì s'impose all'accusato la pronta ritrattazione, che
ei fece nel dialogo intitolato Dragmaticon Philosophiae (HAURÉAU,
I, pag. 432). 19 Gilberto, nato a Poitiers, era nel 1135
cancelliere della chiesa di Chartres. Nel 1140 scolastico di S.
Ilario in Poitiers, e l'anno appresso vescovo di quella diocesi. Il
suo libro Dei sei principii che tratta diffusamente delle sei
ultime categorie toccate di volo da Aristotile, ebbe tal successo,
che fino al secolo XVI
fu sempre unito al pari dell'Isagoge porfiriana al trattato
aristotelico. Nel commento al De Trinitate del pseudo Boezio è
svolta la dottrina realistica, che il contemporaneo Giovanni di
Salisbury espone nel seguente modo (Metal., II, 17, pag. 817): Est
autem forma nativa originalis exemplum, et quae non in mente Dei
consistit, sed in rebus creatis inhaeret. Haec greco eloquio
dicitur ει δος habens se ad idaeam ut exemplum ad exemplar;
sensibilis quidem in re sensibili, sed mente concipitur
insensibilis; singularis quoque in singulis, sed in omnibus
universalis. Queste forme sono la vera realtà, e non sono esse
nelle cose, ma piuttosto le cose in loro. Egli è ben certo che nel
nostro mondo la forma non si può staccare dalla materia se non
mentalmente; onde i due fattori sono talmente intrinsecati, da
poter chiamare sensibile o singola la forma, in
19
stesso biasimo coinvolge con Abelardo e col Porretano, i due
dottori Pietro Lombardo detto il Maestro delle sentenze, ed il
discepolo Pietro di Poitiers,20 che raccolsero in trattati
scolastici ed in forma dialettica esposero la somma del sapere
teologico.21
Se non che l'opposizione di codesti mistici è una ben debole diga
contro l'irrompente fiumana. Realisti e nominalisti seguitano a
battagliare, e tra gli opposti estremi nascono tanti sistemi
quanto si manifesta e determina nelle cose individuali. Ma badiamo
bene, l'individuo non è nulla di originario, bensì il risultato
della complicazione di fattori universali. La saggezza, la forza
d'animo, la figura di Sileno ecc., formano quel tutto che si chiama
Socrate, ma ciascuno di questi fattori considerato da per sè è un
universale che può trovarsi anche in Platone ed Aristotile. Questo
tutto così composto si può dire substans, in quanto è il soggetto
degli accidenti; il che non importa che sia la vera sostanza,
perchè anzi in tanto esiste in quanto ha per sè una parte di
quell'ουσα che è l'universale. L'applicazione teologica è la
seguente, che io tolgo dall'Hauréau pag. 472: Dieu est ainsi que
Socrate un individue du genre de la substance; et comme la raison
d'être de Socrate est l'humanité qui vit en lui, de même doit- on
distinguer ce qui est Dieu, ce Dieu, de la forme essentielle qui
est la Divinité. Même raisonnement sur les personnes divines. Elles
se distinguent de l'essence et cependant elles participent non
seulement de la même essence, mais encore de la même subsistance.
Ce parquoi les personnes diffèrent entre elles est en elles un
principe di distinction formelle. In altre parole Dio come tutti
gl'individui risulta da fattori od elementi universali. Uno di
questi elementi è il predominante, e costituisce l'essenza di Dio,
o la deità, analogo a quello che in Socrate chiamiamo l'umanità. Ma
come in Socrate distinguiamo anche la saggezza, la forza di volontà
e simili, così in Dio distinguiamo le persone. Il principio adunque
di questa distinzione s' ha da trovare in altri fattori universali,
non in quello che diremmo centrale, e costituisce l'unità di
essenza. Quamvis enim in eo, quo sunt, i. e. essentia, quae de
illis praedicatur sit eorum indifferentia, est tamen ipsorum per
quaedam, quae de uno dici non possunt, ideoqui quae de diversis
dici necesse est, differentia. Questa dottrina non parve meno
sospetta delle precedenti. Nel 1146 due arcidiaconi di Gilberto
Calon e Arnauld lo denunziarono come eretico al Papa Eugenio III.
Il quale nel suo viaggio in Francia nel 1148 tenne un concilio, ove
intervenne da promotore il terribile S. Bernardo. Quattro
proposizioni sospette, tolte dai libri di Gilberto, furono
sconfessate, ma non per questo si approvarono le quattro opposte di
S. Bernardo. Bensì furono sottoposte ad esame pochi giorni dopo nel
concilio trasferitosi a Reims, e dopo molte concessioni reciproche
si venne
20
stesso biasimo coinvolge con Abelardo e col Porretano, i due
dottori Pietro Lombardo detto il Maestro delle sentenze, ed il
discepolo Pietro di Poitiers,20 che raccolsero in trattati
scolastici ed in forma dialettica esposero la somma del sapere
teologico.21
Se non che l'opposizione di codesti mistici è una ben debole diga
contro l'irrompente fiumana. Realisti e nominalisti seguitano a
battagliare, e tra gli opposti estremi nascono tanti sistemi
quanto si manifesta e determina nelle cose individuali. Ma badiamo
bene, l'individuo non è nulla di originario, bensì il risultato
della complicazione di fattori universali. La saggezza, la forza
d'animo, la figura di Sileno ecc., formano quel tutto che si chiama
Socrate, ma ciascuno di questi fattori considerato da per sè è un
universale che può trovarsi anche in Platone ed Aristotile. Questo
tutto così composto si può dire substans, in quanto è il soggetto
degli accidenti; il che non importa che sia la vera sostanza,
perchè anzi in tanto esiste in quanto ha per sè una parte di
quell'ουσα che è l'universale. L'applicazione teologica è la
seguente, che io tolgo dall'Hauréau pag. 472: Dieu est ainsi que
Socrate un individue du genre de la substance; et comme la raison
d'être de Socrate est l'humanité qui vit en lui, de même doit- on
distinguer ce qui est Dieu, ce Dieu, de la forme essentielle qui
est la Divinité. Même raisonnement sur les personnes divines. Elles
se distinguent de l'essence et cependant elles participent non
seulement de la même essence, mais encore de la même subsistance.
Ce parquoi les personnes diffèrent entre elles est en elles un
principe di distinction formelle. In altre parole Dio come tutti
gl'individui risulta da fattori od elementi universali. Uno di
questi elementi è il predominante, e costituisce l'essenza di Dio,
o la deità, analogo a quello che in Socrate chiamiamo l'umanità. Ma
come in Socrate distinguiamo anche la saggezza, la forza di volontà
e simili, così in Dio distinguiamo le persone. Il principio adunque
di questa distinzione s' ha da trovare in altri fattori universali,
non in quello che diremmo centrale, e costituisce l'unità di
essenza. Quamvis enim in eo, quo sunt, i. e. essentia, quae de
illis praedicatur sit eorum indifferentia, est tamen ipsorum per
quaedam, quae de uno dici non possunt, ideoqui quae de diversis
dici necesse est, differentia. Questa dottrina non parve meno
sospetta delle precedenti. Nel 1146 due arcidiaconi di Gilberto
Calon e Arnauld lo denunziarono come eretico al Papa Eugenio III.
Il quale nel suo viaggio in Francia nel 1148 tenne un concilio, ove
intervenne da promotore il terribile S. Bernardo. Quattro
proposizioni sospette, tolte dai libri di Gilberto, furono
sconfessate, ma non per questo si approvarono le quattro opposte di
S. Bernardo. Bensì furono sottoposte ad esame pochi giorni dopo nel
concilio trasferitosi a Reims, e dopo molte concessioni reciproche
si venne
20
intermedii, che a noverarli tutti si stanca Guglielmo di Salisbury.
E sovra tutti mira ad innalzarsi quest'uomo singolare, questo
discepolo di Abelardo, che pare appartenga ad altra epoca, ed assai
prima del Petrarca professa come un culto per l'antichità22
classica, ed in mezzo al cozzo di tanti dommatismi vorrebbe
rinnovare l'antica Accademia. Così al primo periodo della
scolastica non manca neanco la nota critica. E non più due
indirizzi soli si contrastano il dominio delle menti, ma quattro,
il realistico, il nominalistico, il mistico, lo scettico.
a tali formole, che sebbene suonassero censure per Gilberto, pure
non si sapeva con certezza qual parte avesse vinto se l'accusatore,
o l'accusato. Gilberto morì nel 1154. 20 Ugo (1096-1141) ebbe a
scolare Riccardo ([**symbol: Latin cross] 1173). Ed entrambi si
chiamano vittorini dall'abbazia di S. Victor in Parigi di cui
facean parte. Gualtiero abbate della stessa abbazia secondo Buleo
(Hist. univ. paris., I, pag. 404) scrisse: contra manifestas et
damnatas etiam in Conciliis haereses, quas sophistae Abaelardus,
Lambardus, Petrus Pictavinus et Gilbertus Porretanus, quatuor
labyrinti Franciae, uno spirito aristotelico afflati, libris
sententiam suorum acuunt, limant, roborant. Visse intorno al 1180.
Vedi FABRIC., a. q. n. 21 Pietro Lombardo da Lumello morto vescovo
di Parigi nel 1164. Nel 1152 pubblicò il Liber sententiarum, che
fece poi da testo nelle scuole teologiche. Prima di lui Ugo da S.
Vittore avea pubblicata la Summa sententiarum sive eruditionis
theologicae. (Opp., ed. Rotomagi, 1648, III, 417-472). E dopo di
lui Pietro di Poitiers, suo discepolo (morto arcivescovo nel 1205)
scrisse quinque libros sententiarum. (FABRICIO, ed. fior., V, 258).
22 Giovanni da Salisbury nato tra il 1110 e il 1120, morto vescovo
di Chartres nel 1180. I due noti libri il Policraticus ed il
Metalogicus furon pubblicati nel 1159 secondo lo Schaarschmidt
(Iohannes Sarisberiens. pag. 143 e 211). Lo stesso autore
giustamente osserva (pag. 84): Grade darauf beruht ein grosser
Theil des Interesses, welches man an ihm nehmen muss, dass er sich
von der unerquicklichen Modewissenschaft der gelehrten Schulen
seiner Zeit, der disputirenden Dialektik, zu den Alten als einer
reineren Quelle der Geistebildung gewandt hat, und ein Vorläufer
des Humanismus die Früchte dieser seiner classischen Studien in
eigene Leistungen darzulegen und auszupragen bestrebt ist. (pag.
313).... von der Unzulänglichkeit unseres Erkennens in Bezug auf
die hochsten Fragen durchdrungen, immer auf das praktische Gebiet
der Ethik hinuber eilte. Che Giovanni penda per la Filosofia
accademica V. Polic., VII, 1 e 2; 11, 22; Metal., 11, 14; IV,
20.
21
intermedii, che a noverarli tutti si stanca Guglielmo di Salisbury.
E sovra tutti mira ad innalzarsi quest'uomo singolare, questo
discepolo di Abelardo, che pare appartenga ad altra epoca, ed assai
prima del Petrarca professa come un culto per l'antichità22
classica, ed in mezzo al cozzo di tanti dommatismi vorrebbe
rinnovare l'antica Accademia. Così al primo periodo della
scolastica non manca neanco la nota critica. E non più due
indirizzi soli si contrastano il dominio delle menti, ma quattro,
il realistico, il nominalistico, il mistico, lo scettico.
a tali formole, che sebbene suonassero censure per Gilberto, pure
non si sapeva con certezza qual parte avesse vinto se l'accusatore,
o l'accusato. Gilberto morì nel 1154. 20 Ugo (1096-1141) ebbe a
scolare Riccardo ([**symbol: Latin cross] 1173). Ed entrambi si
chiamano vittorini dall'abbazia di S. Victor in Parigi di cui
facean parte. Gualtiero abbate della stessa abbazia secondo Buleo
(Hist. univ. paris., I, pag. 404) scrisse: contra manifestas et
damnatas etiam in Conciliis haereses, quas sophistae Abaelardus,
Lambardus, Petrus Pictavinus et Gilbertus Porretanus, quatuor
labyrinti Franciae, uno spirito aristotelico afflati, libris
sententiam suorum acuunt, limant, roborant. Visse intorno al 1180.
Vedi FABRIC., a. q. n. 21 Pietro Lombardo da Lumello morto vescovo
di Parigi nel 1164. Nel 1152 pubblicò il Liber sententiarum, che
fece poi da testo nelle scuole teologiche. Prima di lui Ugo da S.
Vittore avea pubblicata la Summa sententiarum sive eruditionis
theologicae. (Opp., ed. Rotomagi, 1648, III, 417-472). E dopo di
lui Pietro di Poitiers, suo discepolo (morto arcivescovo nel 1205)
scrisse quinque libros sententiarum. (FABRICIO, ed. fior., V, 258).
22 Giovanni da Salisbury nato tra il 1110 e il 1120, morto vescovo
di Chartres nel 1180. I due noti libri il Policraticus ed il
Metalogicus furon pubblicati nel 1159 secondo lo Schaarschmidt
(Iohannes Sarisberiens. pag. 143 e 211). Lo stesso autore
giustamente osserva (pag. 84): Grade darauf beruht ein grosser
Theil des Interesses, welches man an ihm nehmen muss, dass er sich
von der unerquicklichen Modewissenschaft der gelehrten Schulen
seiner Zeit, der disputirenden Dialektik, zu den Alten als einer
reineren Quelle der Geistebildung gewandt hat, und ein Vorläufer
des Humanismus die Früchte dieser seiner classischen Studien in
eigene Leistungen darzulegen und auszupragen bestrebt ist. (pag.
313).... von der Unzulänglichkeit unseres Erkennens in Bezug auf
die hochsten Fragen durchdrungen, immer auf das praktische Gebiet
der Ethik hinuber eilte. Che Giovanni penda per la Filosofia
accademica V. Polic., VII, 1 e 2; 11, 22; Metal., 11, 14; IV,
20.
21
II
Prima che s'aprisse il secondo periodo della coltura medievale, la
guerra tra l'Impero e la Chiesa s'era rinnovata con maggiore
violenza, e tre antipapi l'un dopo l'altro contesero per venti anni
la tiara ad Alessandro III (1158-1178). E durante queste lotte si
rinvigorirono le sette ereticali dei Catari, Valdesi ed Arnaldisti,
e accanto a loro si fecero strada gli avversarii di ogni credenza
positiva, gl'Indifferenti, che riconoscevano a lor capo il grande
filosofo arabo Averroè. Questi sosteneva che tutte le religioni
hanno egual valore innanzi agli occhi della ragione. Son tutte vere
perchè tutte hanno tal forza morale da infrenare il ribelle volere
delle masse; tutte false, perchè la schietta verità filosofica v'è
ottenebrata da imagini ed allegorie. Certo l'importanza e la
perfezione relativa delle religioni è diversa secondo le varie
condizioni dei tempi, ma ciò mostra che il criterio di valutazione
delle religioni vuole essere storico, non speculativo.23
Questo
23 Le opinioni filosofiche di Averroè s'accordavano tanto poco col
dommatismo religioso, che la sua alta posizione sociale di Kadì di
Cordova, e la fama che s'era acquistata colle sue faticose opere
non lo salvarono dalle persecuzioni dei fanatici.[A] Il re
Almançour, tolte al vecchio filosofo tutte le dignità da lui stesso
e dal suo predecessore conferitegli, lo relegò in Lucera presso
Cordova; e benchè per intercessione altrui gli permettesse di far
ritorno in Marocco, gl'ingiunse pertanto di passarvi il resto dei
suoi giorni nell'isolamento, e come in reclusione. Da quel tempo
Averroè non si mosse più dalla capitale, dove, affranto dal destino
morì nel 1198, in età di settantadue anni. (Era nato a Cordova nel
1126). Il MUNK (Mélanges de philosophie juive et arabe, pag. 455-
56) espone in questi termini le opinioni del filosofo arabo: Malgré
ses opinions si peu d'accord avec ses croyances religieuses,
Ibn-Roschd tenait a passer pour bon musulman. Selon lui les vérités
philosophiques sont le but plus élevé, que l'homme puisse
atteindre, mais il n'y a que peu d'hommes qui puissent y parvenir
par la spéculation et les révélations prophétiques, qui étaient
nécessaires pour répandre parmi les hommes les vérités éternelles,
également proclamées par la religion et la philosophie. Nous devons
tous dans notre jeunesse nous laisser guider par la religion et
suivre strictement ses préceptes;
22
II
Prima che s'aprisse il secondo periodo della coltura medievale, la
guerra tra l'Impero e la Chiesa s'era rinnovata con maggiore
violenza, e tre antipapi l'un dopo l'altro contesero per venti anni
la tiara ad Alessandro III (1158-1178). E durante queste lotte si
rinvigorirono le sette ereticali dei Catari, Valdesi ed Arnaldisti,
e accanto a loro si fecero strada gli avversarii di ogni credenza
positiva, gl'Indifferenti, che riconoscevano a lor capo il grande
filosofo arabo Averroè. Questi sosteneva che tutte le religioni
hanno egual valore innanzi agli occhi della ragione. Son tutte vere
perchè tutte hanno tal forza morale da infrenare il ribelle volere
delle masse; tutte false, perchè la schietta verità filosofica v'è
ottenebrata da imagini ed allegorie. Certo l'importanza e la
perfezione relativa delle religioni è diversa secondo le varie
condizioni dei tempi, ma ciò mostra che il criterio di valutazione
delle religioni vuole essere storico, non speculativo.23
Questo
23 Le opinioni filosofiche di Averroè s'accordavano tanto poco col
dommatismo religioso, che la sua alta posizione sociale di Kadì di
Cordova, e la fama che s'era acquistata colle sue faticose opere
non lo salvarono dalle persecuzioni dei fanatici.[A] Il re
Almançour, tolte al vecchio filosofo tutte le dignità da lui stesso
e dal suo predecessore conferitegli, lo relegò in Lucera presso
Cordova; e benchè per intercessione altrui gli permettesse di far
ritorno in Marocco, gl'ingiunse pertanto di passarvi il resto dei
suoi giorni nell'isolamento, e come in reclusione. Da quel tempo
Averroè non si mosse più dalla capitale, dove, affranto dal destino
morì nel 1198, in età di settantadue anni. (Era nato a Cordova nel
1126). Il MUNK (Mélanges de philosophie juive et arabe, pag. 455-
56) espone in questi termini le opinioni del filosofo arabo: Malgré
ses opinions si peu d'accord avec ses croyances religieuses,
Ibn-Roschd tenait a passer pour bon musulman. Selon lui les vérités
philosophiques sont le but plus élevé, que l'homme puisse
atteindre, mais il n'y a que peu d'hommes qui puissent y parvenir
par la spéculation et les révélations prophétiques, qui étaient
nécessaires pour répandre parmi les hommes les vérités éternelles,
également proclamées par la religion et la philosophie. Nous devons
tous dans notre jeunesse nous laisser guider par la religion et
suivre strictement ses préceptes;
22
nuovo nemico era al certo molto più temibile dei precedenti,
imperocchè tra i filosofi ed eruditi arabi si conservava la più
ricca tradizione della coltura ellenica; nè solo la maggior parte
delle opere aristoteliche conoscevano, ma benanco i più importanti
interpetri, Alessandro di Afrodisia, Temistio, Porfirio, Ammonio.
Onde Avicenna nei primordii del secolo undecimo ed Averroè nel
duodecimo scrissero i più estesi commenti allo Stagirita. I quali
commenti voltati ben per tempo in ebraico, e dall'ebraico in latino
furono accolti con trasporto dai filosofi d'occidente, che in tanta
venerazione tenevano Aristotele, per quanto scarsa conoscenza
avessero delle sue opere. Se non che lo studio di Aristotele
attraverso questi infidi espositori non era senza pericolo; perchè
l'interpetrazione più che al testo di Aristotele si confaceva alle
chiose neoplatoniche, onde il teismo aristotelico tramutavasi per
tal via in un panteismo mistico, quale è svolto, ad esempio, nel
Fons vitae dell'Avicebronio.24 Gli effetti di questi agenti
et si plus tard, nous arrivons à comprendre les hautes vérités de
la religion par la voie de la spéculation, nous ne devons pas
dédaigner les doctrines et les préceptes dans lesquels nous avons
été élevés. Intorno agl'indifferenti riscontra REUTER, Geschichte
der relig. Aufklärung im Mittelalter, II, 133 e segg. [A] Sul
fanatismo dei Musulmani occidentali molto superiore a quello degli
occidentali vedi DOZY, Hist. de l'Islamisme, Paris 1879, pag. 340 e
segg. 24 Sull'importanza che ebbe nel secolo XIII il Fons vitae
dell'Avicebronio il Munk, op. cit. pag. 151, dice: Il paraît avoir
exercé une influence notable dans les écoles chrétiennes et avoir
donné naissance à des doctrines hétérodoxes que les théologiens
jugeaient assez redoutables pour s'armer contre elles de tous les
arguments que leur fournissaient les dogmes religieux et une
dialectique subtile. Les fréquentes citations du livre Fons vitae
que nous rencontrons notamment dans les ouvrages d'Albert le grand
et de S. Thomas d'Aquin, témoignent de la grande vogue qu'avait
alors ce livre et de la profonde sensation que faisaient les
doctrines qui y étaient développées. Lo stesso Munk fece
l'importante scoperta che il creduto filosofo arabo (moro dice
Bruno), del quale nessuno sapeva dire quando e dove fosse nato, è
un poeta e filosofo ebraico ben noto, Salomon-Ibn-Gebirol, nome che
passando per le bocche dei latini si corruppe in Avicebronio, nello
stesso modo che Ibn-Roschd divenne Averroé, Ibn-Sina Avicenna. Il y
a peu de noms aussi populaires parmi le Juifs que celui de Salomon
ben-Gebirol; un grand nombre de ses hymnes se sont conservés
jusqu’à nos jours dans la liturgie sinagogale de tous les pays.
Mais
23
nuovo nemico era al certo molto più temibile dei precedenti,
imperocchè tra i filosofi ed eruditi arabi si conservava la più
ricca tradizione della coltura ellenica; nè solo la maggior parte
delle opere aristoteliche conoscevano, ma benanco i più importanti
interpetri, Alessandro di Afrodisia, Temistio, Porfirio, Ammonio.
Onde Avicenna nei primordii del secolo undecimo ed Averroè nel
duodecimo scrissero i più estesi commenti allo Stagirita. I quali
commenti voltati ben per tempo in ebraico, e dall'ebraico in latino
furono accolti con trasporto dai filosofi d'occidente, che in tanta
venerazione tenevano Aristotele, per quanto scarsa conoscenza
avessero delle sue opere. Se non che lo studio di Aristotele
attraverso questi infidi espositori non era senza pericolo; perchè
l'interpetrazione più che al testo di Aristotele si confaceva alle
chiose neoplatoniche, onde il teismo aristotelico tramutavasi per
tal via in un panteismo mistico, quale è svolto, ad esempio, nel
Fons vitae dell'Avicebronio.24 Gli effetti di questi agenti
et si plus tard, nous arrivons à comprendre les hautes vérités de
la religion par la voie de la spéculation, nous ne devons pas
dédaigner les doctrines et les préceptes dans lesquels nous avons
été élevés. Intorno agl'indifferenti riscontra REUTER, Geschichte
der relig. Aufklärung im Mittelalter, II, 133 e segg. [A] Sul
fanatismo dei Musulmani occidentali molto superiore a quello degli
occidentali vedi DOZY, Hist. de l'Islamisme, Paris 1879, pag. 340 e
segg. 24 Sull'importanza che ebbe nel secolo XIII il Fons vitae
dell'Avicebronio il Munk, op. cit. pag. 151, dice: Il paraît avoir
exercé une influence notable dans les écoles chrétiennes et avoir
donné naissance à des doctrines hétérodoxes que les théologiens
jugeaient assez redoutables pour s'armer contre elles de tous les
arguments que leur fournissaient les dogmes religieux et une
dialectique subtile. Les fréquentes citations du livre Fons vitae
que nous rencontrons notamment dans les ouvrages d'Albert le grand
et de S. Thomas d'