154
MICHELE CASTORO ARCIVESCOVO DI MANFREDONIA-VIESTE-SAN GIOVANNI ROTONDO “ANDATE ANCHE VOI A LAVORARE NELLA MIA VIGNA” (Mt 20, 7) LETTERA PASTORALE ALLA CHIESA DI MANFREDONIA - VIESTE - SAN GIOVANNI ROTONDO SUL RUOLO DEI LAICI NELLA CHIESA E NEL MONDO

Lettera pastorale

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Lettera pastorale dell'Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, Mons. Michele Castoro (20 novembre 2010)

Citation preview

Page 1: Lettera pastorale

✠ Michele castoroarcivescovo di

Manfredonia-vieste-san Giovanni rotondo

“ANDATE ANCHE VOI A LAVORARE

NELLA MIA VIGNA” (Mt 20, 7)

L E T T E R A pA s TO R A L E ALLA CHIEsA DI MANfREDONIA - VIEsTE - sAN GIOVANNI ROTONDO

suL RuOLO DEI LAICI NELLA CHIEsA E NEL MONDO

Page 2: Lettera pastorale

In copertina:

duoMo di Monreale, capitello del chiostro (particolare)

Page 3: Lettera pastorale

✠ Michele castoroarcivescovo di

Manfredonia-vieste-san Giovanni rotondo

“ANDATE ANCHE VOI A LAVORARE

NELLA MIA VIGNA” (Mt 20, 7)

L E T T E R A pA s TO R A L E ALLA CHIEsA DI MANfREDONIA - VIEsTE - sAN GIOVANNI ROTONDO

suL RuOLO DEI LAICI NELLA CHIEsA E NEL MONDO

Page 4: Lettera pastorale
Page 5: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

3

INTRODUZIONE

Ad un anno dal mio insediamento come Pastore di que-sta Chiesa di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, amata e benedetta da Dio, ho pensato che la mia prima lettera pastorale dovesse affrontare il tema della dignità e della vocazione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo, e questo per più di una ragione.

Certo l’occasione mi è suggerita da due avvenimenti ecclesiali molto importanti. Il primo è dato dal Convegno Ecclesiale Diocesano svoltosi nello scorso mese di settem-bre, e che ha visto una numerosa e attiva partecipazione dei sacerdoti, religiosi e laici, tutti impegnati, sotto la dili-gente e profetica guida del prof. Giuseppe Savagnone, nel riflettere sul ruolo del laicato cattolico non solo nell’ambi-to della vita ecclesiale, ma in special modo nella società di oggi. Proprio dalla relazione del prof. Savagnone è emer-so che la laicità non va intesa come contrapposizione alla fede ma come “coscienza dei propri limiti e come ricerca di ciò che è diverso da noi”, e quindi come “apertura all’alte-rità”, e perciò come capacità di noi Chiesa di saperci rela-zionare al mondo, agli altri, e tra di noi.

Nella stesura di questa lettera inoltre mi sono fatto gui-dare anche dai risultati emersi dai lavori dei gruppi di stu-dio e dalle sintesi che mi sono giunte, quale vero caleido-scopio per leggere in modo trasversale la realtà della no-stra Chiesa particolare, le sue attese e le sue domande, ma anche le sue fragilità e i suoi ritardi, le sue risorse e le va-rie potenzialità che porta in grembo. Per tutti questi sug-gerimenti ringrazio davvero quanti, sacerdoti, religiosi e laici, nei gruppi di studio si sono prodigati perché il frut-to delle loro riflessioni potesse costituire un buon punto di partenza per questa mia lettera pastorale.

Il secondo avvenimento è costituito dal III Convegno Ecclesiale Regionale che si terrà proprio nella nostra Dio-cesi, a San Giovanni Rotondo, nel prossimo mese di apri-

A partiredal ConvegnoEcclesiale Diocesano...

...in vistadel ConvegnoEcclesialeRegionale.

Page 6: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

4

le 2011, e che vedrà confluire tutte le Diocesi pugliesi per riflettere sul tema del laicato. Tale appuntamento va vi-sto come una grande occasione per avviare anche nella nostra Diocesi una serie di riflessioni sul tema del laica-to, affinché possiamo prepararci adeguatamente per far sì che quanto da quella assise uscirà non cada nel vuoto, ma trovi in ognuno di noi un terreno fertile per lavorare ad una nuova stagione ecclesiale.

Ma oltre a tali importanti circostanze, vi sono altre ra-gioni che mi hanno spinto a redigere questa lettera.

In primo luogo, per ringraziare Dio per la fede e per il servizio generoso, umile e silenzioso, che molti laici, a volte anche tra incomprensioni e difficoltà, continuano a svolgere, in modo paziente, nella Chiesa e nel mondo. Gi-rando e rigirando per la nostra Diocesi, in questo mio pri-mo anno di servizio episcopale, ho potuto constatare di persona con quanto impegno, amore e competenza mol-ti laici, uomini e donne, guidati e stimolati dai propri pre-sbiteri, assicurano una preziosa collaborazione nelle par-rocchie, nelle associazioni, nei vari gruppi e movimenti, al servizio della Chiesa e della gente garganica. La vostra presenza, carissimi fedeli laici, è il segno dell’operosità e della fecondità della grazia dello Spirito che, della Chiesa, in ogni epoca e circostanza è guida e ispiratore.

Tuttavia, accanto a queste esperienze positive di un lai-cato ben integrato nella vita ecclesiale e protagonista di una pastorale parrocchiale e diocesana attenta ai vari bi-sogni della gente del nostro territorio, non posso tacere la presenza di situazioni dove invece i laici vengono sem-plicemente utilizzati come pura manovalanza, o ostacola-ti nell’esercizio della loro vocazione battesimale, o ancor più emarginati dalla vita ecclesiale, come se quello che chiedono di essere e di fare venisse inteso più come una concessione che come una naturale esplicitazione della loro vocazione cristiana radicata nel semplice fatto di es-sere battezzati.

La situazionedel laicatoin Diocesi

tra lucied ombre.

Page 7: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

5

Scrivo questa lettera consapevole che anche nella no-stra Diocesi “non sempre l’auspicata corresponsabilità ha avuto adeguata realizzazione e non mancano segnali con-traddittori. Si ha talora la sensazione che lo slancio conci-liare si sia attenuato. Sembra di notare, in particolare, una diminuita passione per l’animazione cristiana del mondo del lavoro e delle professioni, della politica e della cultura, ecc. Vi è in alcuni casi anche un impoverimento di servi-zio pastorale all’interno della comunità ecclesiale. Serve un’analisi attenta ed equilibrata delle ragioni dei ritardi e delle distonie, per poterle colmare con il concorso di tutti. A volte, può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato, poco ascoltato o compreso. Oppure, all’op-posto, può sembrare che anche la ripetuta convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pronta e adegua-ta risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un larvato disimpegno. Dobbiamo superare questa situazio-ne. Una cosa è certa: il Signore ci chiama; chiama ognuno di noi per nome.

La diversità dei carismi e dei ministeri nell’unico popo-lo di Dio riguarda le forme della risposta, non l’universali-tà della chiamata. Nel mistero della comunione ecclesiale dobbiamo ricercare la coralità di una risposta armonica e differenziata alla chiamata e alla missione che il Signore affida a ogni membro della Chiesa. Il momento attuale ri-chiede cristiani missionari, non abitudinari”1.

Proprio tenendo conto della presenza anche nella no-stra Diocesi di questi due atteggiamenti contrapposti, la seconda ragione per la quale scrivo questa lettera è per esortare in particolar modo voi fedeli laici “a render sicu-ra la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai” (2 Pt 1,10). Vi invito a restare saldi nel vostro impegno laicale, e a prendere ancor più coscien-

1 Conferenza episCopale italiana (Cei), “Fare di Cristo il cuore del mondo”. Lettera ai fedeli laici, 27 marzo 2005, n. 2.

Dueatteggiamenti contrapposti.

Page 8: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

6

za della vostra dignità e della vostra identità, perché non venga mai meno il vostro fondamentale apporto a questa Chiesa particolare.

Questo perché, in un periodo storico come il nostro, difficile e contrassegnato da sfide nuove e da processi so-ciali e culturali complessi, e tutti ancora da decifrare, voi laici sappiate esercitare, con responsabilità e competen-za, sia nella Chiesa che negli ambienti di vita quotidiana, i vostri innumerevoli ministeri, sì da poter esprimere quei molteplici carismi suscitati in voi dall’azione dello Spiri-to Santo, per essere partecipi della missione della Chiesa che è la salvezza di tutta l’umanità, in particolare di quel-la a voi più prossima.

Sono consapevole che se crescerete voi crescerà tutta la Chiesa particolare, e se crescerà la Chiesa locale intera, crescerete anche voi. E se ciò avverrà, tutto il nostro ter-ritorio garganico, a vario livello, ne trarrà beneficio.

Lo scopo di questa mia lettera è quello di fare delle sot-tolineature, per evidenziare degli aspetti che se riguarda-no i laici, riguardano anche i sacerdoti e i religiosi, e quin-di tutta la Chiesa di cui i laici si devono sentire parte viva ed essenziale. Aspetti ed elementi che spesso, purtrop-po, nella prassi pastorale vengono a volte dati per sconta-ti, altre volte taciuti.

Mi rendo conto che solo un laicato formato – teologi-camente, spiritualmente e umanamente – e consapevole della propria originaria vocazione, identità e dignità, po-trà fare continuamente memoria della specificità di cui è investito, contribuendo ad una nuova stagione ecclesiale, e di riflesso ad una nuova missione, di evangelizzazione e promozione umana, nella società della nostra Diocesi.

Nel fare questo mi sono ispirato alla icona biblica del-la parabola evangelica degli operai della vigna (cfr. Mt 21, 1-16), perché, facendo mie le parole di Papa Giovanni Pa-olo II, “l’appello del Signore «Andate anche voi nella mia vigna» non cessa di risuonare dal quel giorno lontano nel

Per unanuova

stagioneecclesiale.

Page 9: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

7

corso della storia: è rivolto ad ogni uomo che viene in questo mondo. Ai nostri tempi […] la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura missionaria e ha riascolta-to la voce del suo Signore che la manda nel mondo come ‘sa-cramento universale di salvezza’. «Andate anche voi!». La chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i reli-giosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore dal quale ricevo-no una missione per la Chiesa e per il mondo”2.

In questa mia lettera mi farò aiutare dai testi del Magi-stero della Chiesa di questi ultimi decenni, in modo par-ticolare dai documenti del Concilio Vaticano II, che devo-no essere per tutti, e per i laici in particolare, come un fa-ro da cui attingere stimoli per fare chiarezza nelle situa-zioni di ambiguità e nei momenti bui dell’incomprensio-ne reciproca. Ahimè, mi duole constatare che molti stimo-li e molte prospettive aperte dal Concilio sono rimaste di-sattese, e aspettano ancora di essere pienamente realiz-zate nella vita di tutti i giorni. In molti casi alcuni docu-menti prodotti in quella circostanza non vengono più pre-si in considerazione nelle stesse parrocchie proprio du-rante la formazione dei laici. Bene ha fatto il mio prede-cessore, Mons. Domenico D’Ambrosio l’anno preceden-te la mia venuta, nel riproporre a tutta la Diocesi lo studio itinerante della Lumen gentium.

Ma ciò non basta. Bisogna riprendere il Concilio Vati-cano II per potere realizzare, nella pastorale di tutti i gior-ni, quella visione nuova di Chiesa come “popolo di Dio”, attenta alle esigenze e alle istanze del mondo, con parti-colare attenzione alla valorizzazione del laicato. L’inten-zione del Concilio, infatti, è stata quella di “mostrare ciò

2 Giovanni paolo ii, Christifideles laici. Esortazione Apostolica post-sinodale su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (Cfl), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, n. 2.

RipartiredalConcilioVaticano II.

Page 10: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

8

che è comune a tutti i membri del popolo di Dio, prima di qualsiasi distinzione di ufficio e di stato particolare, consi-derando il piano della dignità dell’esistenza cristiana” (P. Yves Congar).

Accanto ai documenti conciliari va menzionato il gran-de contributo di Giovanni Paolo II con la sua Esortazione Apostolica post-sinodale su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo Christifideles laici pubblicata nel 1988, incentrato proprio sul ruolo del laicato. Anche que-sto importante documento andrebbe ripreso e studiato dalle comunità parrocchiali per lasciarsi guidare al fine di far maturare nei laici una maggiore consapevolezza della propria vocazione, e nei sacerdoti una maggiore attenzio-ne nei loro confronti per aiutarli a crescere e a formarsi in vista di un impegno più aderente al Vangelo.

Non posso inoltre non riferirmi ad altri importanti do-cumenti del Magistero, in particolare alle Note pastorali pubblicate al termine dei due Convegni Ecclesiali Nazio-nali: quello di Palermo (1996) e quello di Verona (2007). Ma anche alla Nota pastorale del 2004, dal titolo “Il vol-to missionario della parrocchia in un mondo che cambia”, avente come tema il nuovo volto e il nuovo ruolo che la parrocchia è chiamata a svolgere di fronte ai grandi cam-biamenti del nostro tempo. Da ultimo farò un breve rife-rimento agli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo, pub-blicati appena un mese fa, il 28 ottobre 2010, proprio nel mentre mi accingevo a concludere la stesura di questa mia lettera.

Prima però di parlare ai laici devo parlare dei laici, del-la loro vocazione e della loro identità, della loro dignità e dell’indole che è loro propria.

Nel fare questo ci lasciamo aiutare dal Concilio: “Col nome di laici si intende qui l’insieme dei cristiani ad esclu-sione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati in-

I laicinel

Magisteroecclesiale.

Page 11: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

9

corporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nel-la Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popo-lo cristiano”3.

Gli fa eco Giovanni Paolo II, il quale nella sua Christi-fideles laici scrive: “Nel dare risposta all’interrogativo «chi sono i fedeli laici», il Concilio, superando precedenti inter-pretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una vi-sione decisamente positiva e ha manifestato il suo fonda-mentale intento nell’asserire la piena appartenenza dei fe-deli laici alla Chiesa e al suo mistero e il carattere peculia-re della loro vocazione, che ha in modo speciale lo scopo di «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordi-nandole secondo Dio»”4.

Ho proposto questi due testi fondamentali perché i lai-ci possano prendere coscienza della loro dignità e della loro identità. Come si evince dal testo sono tre le note che li caratterizzano e che possiamo tradurre in tre forme di appartenenza: appartenenza a Cristo, appartenenza alla Chiesa e appartenenza al mondo. Mentre le prime due so-no di tutti i battezzati, la terza è peculiare della loro voca-zione. Su di esse mi voglio soffermare per meglio esplici-tarle in modo che tutti possiamo trarre vantaggio per mi-gliorare il nostro essere Chiesa oggi in questo nostro ter-ritorio diocesano.

3 ConCilio vatiCano ii, Costituzione dogmatica Lumen gentium (LG), n. 31.

4 Cfl, n. 9.

La tripliceappartenenzadei laici.

Page 12: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

10

L’APPARTENENZA DEI LAICI A CRISTO.Le radici della vocazione laicale

1.1 Il battesimo radice di ogni vocazione

Se analizziamo i due testi citati sopra, emerge che i lai-ci, in primo luogo, sono anzitutto dei “fedeli”, perché in-corporati a Cristo con il battesimo. Come ci ricorda il Cate-chismo della Chiesa Cattolica “il battezzato non appartie-ne più a sé stesso (cfr. 1 Cor 6,19), ma a colui che è morto e risuscitato per noi (cfr. 2 Cor 5,15)”5. Cristo unendo a sé i laici come i tralci alla vite (cfr. Gv 15, 1-8), conferisce loro dignità. È Lui che ha dato sé stesso per noi e questa noti-zia ci ha cambiato la vita e continuamente la cambia me-diante un costante cammino di conversione. Pertanto, ne segue che l’essere “cristiano” è alla base sia dell’essere lai-ci e sia dell’essere religiosi o presbiteri. E tutto ciò in virtù dell’unico battesimo che è comune ad ogni credente.

Il battesimo si pone come la radice di ogni vocazio-ne, e quindi la matrice di ogni missione: la nostra e la vo-stra. Perché con esso noi tutti siamo diventati figli di Dio. Figli per adozione (cfr. Gal 4, 4-7), resi tali dall’unico Fi-glio che è Gesù Cristo. Figli nel Figlio6, noi tutti allo stes-so modo siamo stati da Lui introdotti e inseriti nel miste-ro santo della comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Perciò, cari fedeli laici, sentitevi amati dal Padre con quello stesso amore con il quale Egli da sempre ama il Fi-glio suo, e amati dal Figlio con quello stesso amore con il

5 Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), n. 1269.6 Cfr. Cfl, n. 11.

1.

Il battesimoradice di ogni

vocazione.

Page 13: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

11

quale Egli ama il Padre. Egli ce lo ha detto nel Vangelo di Giovanni quando ai suoi discepoli disse “Come il Padre ha amato me, così anche io ho amato voi” (Gv 15,9).

Questo Amore prende nome e volto in quel legame eterno che unisce il Padre e il Figlio, e che in abbondan-za, proprio durante il battesimo, “è stato riversato nei no-stri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato da-to” (Rm 5,5). Voi perciò siete stati scelti dal Padre prima della creazione del mondo (cfr. Ef 1,4), redenti dal Figlio (cfr. Ef 1,7) mediante la sua croce, e santificati dallo Spi-rito (cfr. Ef 1,14), per essere ospiti della stessa Santissi-ma Trinità.

La vostra identità trabocca di tale ricca e nobile digni-tà che nessuno può negare, calpestare, né sminuire, né disattendere, in quanto essa ha un fondamento origina-riamente cristologico e trinitario. Essa non dipende dal ruolo che ricoprite, né dall’incarico che vi viene affidato, né ancora dalle funzioni che svolgete, ma unicamente dal fatto che nel battesimo siete stati sepolti con Cristo, e per-tanto siete stati uniti alla sua morte e alla sua resurrezio-ne (cfr. Rm 6,3-5). Non è quindi la funzione che vi identi-fica, ma la vocazione battesimale che Cristo stesso ha in-tessuto dentro il vostro cuore, inserendovi in quella stes-sa vita trinitaria dalla quale Egli, spogliandosi della sua uguaglianza con Dio (cfr. Fil 2,7), è uscito per riportarvi al Padre, per essere “santi e immacolati di fronte a lui nel-la carità” (Ef 1,4).

Pertanto, nelle difficoltà che incontrate e nelle molte prove che dovete sostenere per Cristo, la consapevolezza di questa originaria elezione e appartenenza, in voi san-cita nel battesimo dal “sigillo dello Spirito” (Ef 1,13), gra-zie al quale siete diventati “eredi di Dio, coeredi di Cristo” (Rm 8, 17), consoli voi e impegni noi presbiteri ad un mag-gior rispetto di tanta ricchezza e dignità che a voi è stata conferita da questa vostra originaria vocazione per il be-ne della Chiesa e la salvezza del mondo.

Fondamentocristologicoe trinitariodella vocazionedei laici.

Page 14: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

12

Giovanni Paolo II sempre nella Christifideles laici ci ri-corda che “non è esagerato dire che l’intera esistenza del fe-dele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere la radicale no-vità cristiana che deriva dal Battesimo, sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la vocazio-ne ricevuta da Dio”7. Stando a quanto dice il Papa, esse-re laici è fare memoria della propria dignità battesimale, per tenere fede alle promesse fatte e che ogni settimana nella liturgia domenicale, celebrando il mistero pasqua-le, rinnoviamo tramite il Simbolo della fede.

Per questo avverto la necessità di ricordarvi che prima di essere laici siete cristiani, ribadendo che siete chiamati a vivere il vostro essere cristiani da laici. Perciò vi invito a non rinunciare in nessun modo e per nessuno motivo alla vostra laicità. Senza di essa anche il ministero sacerdota-le risulterebbe monco e si impoverirebbe. Al contrario, se essa venisse vissuta con consapevolezza e maturità, anche la vita dei presbiteri e dei religiosi risulterebbe più ricca e completa, e contribuirebbe a fare bella la Chiesa che “co-me sposa si adorna per il suo sposo” (cfr. Ap 21, 2).

Alla luce di tali richiami appare chiaro che la vocazione laicale trova le proprie radici nella vocazione battesimale e non in altro. Chi non riconoscesse la vostra dignità di fede-li laici, di fatto rinnegherebbe il vostro battesimo. Pertan-to, in un tempo caratterizzato dalla perdita del valore dei sacramenti8, e connotato da un atteggiamento di indiffe-renza nei riguardi della vita di fede, i laici sono chiamati a resistere alla tentazione di rinnegare, con la vita di tutti i giorni, il loro battesimo che invece li ha resi “creature nuo-ve” (2 Cor 5,17), e con il quale si sono “rivestiti di Cristo” (Gal 3, 27). È necessario che i laici si riapproprino della propria identità, ritornando alle proprie radici battesimali,

7 Ivi, n. 10.8 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.

Nota pastorale dell’episcopato italiano, 30 maggio 2004, n. 7.

Senza lalaicità il

ministerosacerdotale si

impoverirebbe.

Page 15: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

13

facendo emergere, con il proprio stile di vita sobrio, ispira-to alla carità e alla giustizia, la “differenza cristiana”9, se-condo il monito dell’apostolo Paolo: “Non conformatevi al-la mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2), ma lascia-te che “sia formato Cristo in voi” (Gal 4,19).

In virtù di questa vostra appartenenza, i fedeli laici sono chiamati a fare di Gesù Cristo “la chiave, il centro, il fine”10, “la fonte da cui promana tutta la grazia e tutta la vita”11, “il punto focale dei desideri della storia, della civiltà e del genere uma-no, la gioia di ogni cuore, la pienezza di ogni aspirazione”12. Solo così essi potranno affrontare il mondo da cristiani sen-za tradire la propria identità di cristiani fedeli-laici.

Essere incorporati a Cristo significa essere partecipi del suo triplice ufficio: quello sacerdotale, profetico e regale13. Mi soffermerò ora sul significato di questa triplice unione.

1.2 Partecipi dell’ufficio sacerdotale di Cristo

Dice il Concilio: “Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cri-sto, volendo continuare la sua testimonianza e il suo mini-stero anche attraverso i laici, li vivifica col suo Spirito e in-cessantemente li spinge ad ogni opera buona e perfetta. A coloro infatti che intimamente congiunge alla sua vita e al-la sua missione, concede anche di aver parte al suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, in vista della glorificazione di Dio e della salvezza degli uomini”14.

9 Cfr. E. BianChi, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006.10 ConCilio vatiCano ii, Costituzione pastorale Gaudium et spes

(GS), n. 10.11 LG, n. 50.12 GS, n. 45.13 LG, n. 31.14 Ivi, n. 34.

Laicipartecipidel tripliceufficiodi Cristo.

Page 16: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

14

In virtù dell’ufficio sacerdotale ogni battezzato è stato unito al sacerdozio di Cristo, che ha offerto tutto sé stes-so al Padre. Pertanto, in virtù di questa inscindibile unio-ne con Lui, anche i laici sono chiamati a offrire a Dio, in ogni circostanza della loro vita, il proprio culto spiritua-le. Essi in particolare sono chiamati a trasformare tutta la loro vita in una perenne liturgia, e ad attingere dalla Divi-na Liturgia – dalla mensa della Parola e del Pane – la for-za e la grazia per affrontare cristianamente le situazioni difficili dell’esistenza.

Il Concilio ricorda che “i laici, essendo dedicati a Cri-sto e consacrati dallo Spirito Santo, sono in modo mirabi-le chiamati e istruiti per produrre frutti dello Spirito sem-pre più abbondanti. Tutte infatti le loro attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavo-ro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono com-piute nello Spirito, e anche le molestie della vita, se sono sop-portate con pazienza, diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2, 5)”15.

Ciò che è particolarmente significativo è l’estensione di questo culto a tutti gli aspetti della vita, perché riceva-no poi la loro definitiva destinazione ed orientamento a Dio nella celebrazione eucaristica, in modo da realizzare quella unione più volte desiderata ed auspicata tra la litur-gia celebrata e la vita vissuta.

Vorrei ricordare che vive autenticamente il proprio sacerdozio quel laico che, facendo proprie le parole del salmo, “non segue il consiglio degli empi, non indugia nel-la via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medi-ta giorno e notte” (Sal 1,1). O ancora colui che “cammina senza colpa, agisce con giustizia e parla lealmente, non di-ce calunnia con la sua lingua. Non fa danno al suo prossi-mo e non lancia insulto al suo vicino. Colui che presta de-

15 Ibid.

Estendereil proprio

culto a tuttigli aspettidella vita.

Page 17: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

15

naro senza fare usura, e non accetta doni contro l’innocen-te” (Sal 14, 2-5).

Parlando in modo particolare al cuore di voi laici, sen-to di dirvi che siete chiamati a vivere il vostro sacerdozio in primo luogo come spose e come sposi. Farete ciò se, of-frendovi l’uno all’altro, nella vostra vita coniugale, pur tra mille difficoltà, vivrete in fedeltà la vostra reciproca do-nazione, nell’adempimento della vostra vocazione matri-moniale, facendo dei vostri corpi e del vostro amore l’of-ferta più gradita al Signore. O quando ancora, come ama-va ripetere Giovanni Paolo II, vivrete la vostra sessualità come “liturgia dei corpi”, come espressione della vostra sponsalità, segno dell’unione tra Cristo e la Chiesa, da lui amata come sua diletta sposa (cfr. Ef 6, 22-32), per cre-scere nella totale e piena comunione sia della carne che dello spirito, realizzando in questo modo il comando che all’inizio della creazione Dio diede ad Adamo ed Eva di es-sere due in una carne sola (cfr. Gn 2,24 ), sì da poter arri-vare ad unire “eros con agape”16, cioè l’amore inteso come passione con l’amore inteso come oblazione, per essere, come coppia, icona della stessa Trinità17.

Adempirete al vostro sacerdozio se poi come sposi vi-vrete la vostra fecondità aprendovi con generosità alla vi-ta in ogni sua forma: da quella nascente, da accogliere in modo responsabile, a quella che viene continuamente offe-sa e calpestata nelle tante forme di povertà, di ingiustizia e di miseria, prendendovi soprattutto cura degli ultimi, sì da fare della casa un luogo di ospitalità per chiunque bussi alla porta. E poi di quella morente, che nell’ultimo tratto di vita è bisognosa di cura e attenzione con la stessa intensità

16 Cfr. Benedetto Xvi, Deus caritas est. Lettera enciclica sull’amore cristiano (Dce), 25 dicembre 2005, nn. 3-6.

17 Cfr. Giovanni paolo ii, Familiaris consortio. Esortazione Apostoli-ca circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi (FC), 22 novembre 1981, nn. 18-20. Cfr. N. Giordano, La famiglia icona della Trinità, Edizioni Vivere In, Roma 1997.

Il sacerdoziodegli sposi.

Accoglienzae difesadella vita.

Page 18: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

16

con la quale l’avete rispettata nelle altre stagioni, perché la sofferenza non diminuisce affatto il valore della vita.

Siete sacerdoti voi laici quando come genitori, madri e padri di famiglia, offrite voi stessi, accogliendo come dono la vita data a voi in grembo, e che, con amore, la custodite quando prende il volto dei vostri figli. Quando attraverso l’educazione aiutate questi a crescere secondo il progetto di Dio, come persone libere e come cristiani autentici, co-me cittadini responsabili, sensibili al bene comune, e come operatori di pace e di giustizia, sapendo che li state gene-rando una seconda volta, nel rispetto della loro personali-tà, della loro vocazione e della loro libertà. Vivrete il vostro sacerdozio quando soprattutto non presterete le vostre cu-re solo nei riguardi dei vostri figli, ma anche di quelli altrui, specialmente di quanti vivono in situazioni familiari diffi-cili, bisognosi di essere accompagnati e affiancati nel loro cammino e nella loro crescita di adulti maturi e coscienzio-si. Ciò che offrirete loro sarà offerta gradita a Dio in nome del vostro sacerdozio, sapendo che “solo chi ama educa”.

Siete sacerdoti anche quando, in qualità di lavoratori, vi sforzate di vivere e di concepire il vostro lavoro non solo co-me mezzo di sostentamento economico per voi stessi e per le vostre famiglie, ma anche come contributo da offrire per la costruzione di una società più umana, giusta ed equa, e come forma di cooperazione all’opera creatrice e redentrice di Dio, il quale fin dall’inizio affidò alle mani dell’uomo e del-la donna tutto il creato perché ne fossero i custodi. Sappiate che il frutto del vostro lavoro, il pane e il vino, come simboli di tutti i beni della terra lavorata, diventano nella Divina Li-turgia, offerta che la Chiesa presenta al Padre perché diven-ti il Corpo e il Sangue di Cristo, il quale oltre che Sacerdote, sull’altare si fa vittima nel sacrificio eucaristico.

Siete sacerdoti voi, carissimi giovani, quando, affa-scinati dal bene, sapete resistere alla seduzione del ma-le, quando, lottando contro ogni forma di noia e contro la mancanza di senso, non sentite la vita come un peso, né

Dimensionesacerdotaledel lavoro.

Il sacerdoziodei giovani.

Il sacerdoziodei genitori.

Page 19: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

17

la vivete come un semplice gioco che non porta a niente, ma l’accogliete come un dono offerto a voi da Dio, un do-no però da non tenere solo per voi, ma da ridonare con ge-nerosità e libertà. Siete sacerdoti quando lottate per il ri-spetto della vostra dignità, rifiutando facili compromes-si, riuscendo a resistere alle tante proposte ammalianti di chi vorrebbe comprare la vostra libertà in cambio di una vostra totale e acritica dipendenza, di chi vi vorrebbe sol-tanto usare come merce di scambio sui tanti mercati che dominano la scena di questo nostro tempo.

Lo sarete ancor più quando, per soddisfare la vostra sete di verità, di bellezza e di bene, per tenere “pura” la vostra vita, cercherete di “custodire” la Parola di Dio nel profondo del vostro cuore (cfr. Sal 118, 9), per poter in es-sa incontrare Gesù il Cristo, unica Verità che rende vera-mente liberi (cfr. Gv 8,32), e che, come lampada ai vostri passi, nelle fasi della vostra crescita e nelle scelte difficili della vostra esistenza, vi guida come luce sul vostro cam-mino (cfr. Sal 118,105).

E siete sacerdoti soprattutto voi, carissimi fratelli am-malati, e quanti di voi sono toccati dal dolore sia nel corpo che nello spirito, quando vivete la vostra sofferenza non come una disgrazia, o punizione, o come effetto del fatto che Dio si è dimenticato di voi, ma come un “misterioso privilegio”, in quanto chiamati a “offrire i vostri corpi co-me sacrificio vivente e gradito a Dio, come culto spirituale” (Rm 12,1), e a partecipare in modo più diretto e misterio-so all’azione salvifica del Crocifisso-Risorto. A voi mi ri-volgo con le parole dell’apostolo Pietro: “nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrar-vi ed esultare” (1 Pt 4,13). Voi siete chiamati a vivere nella vostra carne il “Vangelo della sofferenza”18.

18 Giovanni paolo II, Salvifici doloris. Lettera Apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana (SD), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1984, nn. 25 e ss.

Il sacerdoziodegli ammalati.

Page 20: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

18

Vivete dunque fino in fondo il vostro sacerdozio, sapen-do che Dio stesso già fin d’ora non fa mancare il suo soste-gno e la sua consolazione, Lui che “ci consola in ogni no-stra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quel-li che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la con-solazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infat-ti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1,4-5). Affrontate ogni difficoltà consapevoli che “chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo” (Sal 125,5), con la promessa che, nel suo regno, Dio stesso “tergerà ogni lacrima dai vostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passa-te” (Ap 21, 4).

Sappiate che state portando nel vostro corpo le stim-mate di Gesù (cfr. Gal 6,17), per completare nella vostra carne quello che “manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Voi vivete il vostro sa-cerdozio quando, nonostante il dolore e la solitudine, lot-tate per non perdere la fede e la speranza in quel Dio che muta il vostro lamento in danza, la vostra veste di sacco in abito di gioia (cfr. Sal 29,12).

È chiaro che il vostro sacerdozio, carissimi fedeli lai-ci, non si contrappone a quello dei presbiteri, ma è ad es-so complementare. Infatti il nostro stesso sacerdozio, chiamato “sacerdozio ordinato” perché scaturisce dal sa-cramento dell’Ordine, si fonda su quel medesimo e uni-co battesimo dal quale sia voi e sia noi abbiamo ricevuto il “sacerdozio comune” o “regale”. È quest’ultimo che, al di là dei diversi carismi e ministeri che i presbiteri e i laici esercitano, unisce tutti a Cristo, Unico e Sommo sacerdo-te, unendo tutti anche tra di loro.

A tal proposito il Concilio ha una bellissima afferma-zione che non sempre viene ricordata: “Il sacerdozio co-mune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di gra-

Tuttiaccomunati

dalsacerdozio

regale.

Page 21: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

19

do, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’al-tro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sa-cerdozio di Cristo”.19

“Si può dire pertanto – sottolineano i Vescovi italiani – che il sacerdozio ordinato dei pastori è finalizzato a far emer-gere e rendere operante il sacerdozio regale di tutti i fede-li; e il sacerdozio regale dei fedeli sussiste ed è autentico in quanto è congiunto al sacerdozio gerarchico, la cui pienez-za risiede nel Vescovo dispensatore della grazia del supre-mo sacerdozio”20.

Ma sento già nel mio cuore la domanda di voi laici: “come vivere oggi questo sacerdozio”? E subito rispon-do: come Cristo ha vissuto il suo sacerdozio, facendo ri-splendere, sul suo volto, il volto santo del Padre, così an-che voi laici sarete sacerdoti nella misura in cui ridarete santità al mondo, se riuscirete a risvegliare tra le sue pie-ghe quella santità seminata dal Figlio con la sua Incarna-zione e la sua Resurrezione, facendola affiorare e traspa-rire dal vostro modo di vivere, dal vostro corpo e dal vo-stro volto, da come lavorate e da come intessete le relazio-ni familiari e sociali.

Dice, infatti, ancora il Concilio che “anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consa-crano a Dio il mondo stesso”21. Questo significa che vi-vrete il vostro sacerdozio se renderete santo tutto quel-lo che già vivete, se ciò che guardate lo guarderete con gli occhi della fede e con lo sguardo sapiente del cuore. Se non guarderete voi stessi con gli occhi degli uomi-ni, ma con quelli di Dio, il quale scruta ognuno di voi e vi conosce nell’intimo (cfr. Sal 139), che ha cura di voi e vi custodisce (cfr. Sal 121), e che in definitiva vi chia-ma alla santità.

19 LG, n. 10.20 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 5.21 LG, n. 34; cfr. CCC, n. 901.

Ridaresantitàal mondo.

Page 22: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

20

Vivrete il vostro sacerdozio se toccherete le cose con mani rese libere dalle mani trafitte del crocifisso, mani ca-paci di tenerezza e di abbraccio nei confronti di chi inve-ce, a causa della miseria, delle ingiustizie e della dispera-zione, ha le mani legate alla sola terra. Mani che, oppres-se dalla troppa miseria, hanno perso il cielo e che quindi non sono più libere di alzarsi verso Dio (cfr. Sal 62,5). Le vostre invece sono mani che “hanno deposto la cesta” (cfr. Sal 81, 7), e che libere da ogni forma di schiavitù, ora so-no pronte a servirlo senza timore, in santità e giustizia, al suo cospetto per tutti i vostri giorni (cfr. Lc 1, 74-75).

Inoltre, sarete autenticamente sacerdoti se, in un mon-do in cui il corpo viene offeso, mercificato e reso oggetto di scambio, voi laici invece lo saprete vivere come “tem-pio dello Spirito Santo” (1 Cor 6,19), se lo restituirete, co-me corpo redento e trasfigurato, alla sua originaria digni-tà, facendo capire agli uomini del nostro tempo che la car-ne di cui esso è intessuto è stata cucita da Dio stesso nel-la creazione, e che in essa ha insufflato il suo stesso respi-ro, lo Spirito. Con il vostro modo di vivere siete chiamati ad aiutare la gente, oggi sempre più plagiata da falsi mes-saggi, a capire che Cristo medesimo, assumendo lui stes-so un corpo nella sua incarnazione, gli ha conferito una profonda e indelebile dignità, proclamando che esso va-le molto di più del vestito che lo copre (cfr. Mt 6,25), o di quant’altro con cui oggi lo si vorrebbe barattare. Fate vo-stre le parole di Paolo, il quale ai cristiani di Corinto ama-va ripetere che “il corpo non è per l’impurità, ma per il Si-gnore, e il Signore è per il corpo” (1 Cor 6,13b).

Vivete pertanto il vostro sacerdozio raccontando ad ogni uomo e ad ogni donna, ai giovani in particolare, spes-so prigionieri di un corpo senza volto, tuttavia in cerca di una vera affettività e di relazioni stabili, che l’ultimo se-greto del proprio corpo è riposto nel profondo del loro cuo-re, perchè è dal cuore che esso comincia, ed è ad esso che alla fine conduce. Dovete farvi promotori di una visione

Santificareil corpo.

Page 23: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

21

per la quale il corpo agisce in modo quasi “sacramenta-le”, perché rende visibile ciò che per sua natura è miste-rioso ed invisibile: l’amore.

Sarete sacerdoti nella misura in cui anche voi saprete custodire Dio nel cuore del mondo, se saprete trasforma-re il mondo nel suo Regno, facendo sì che quel seme da lui gettato cresca e diventi spiga pronta per la mietitura, o albero in grado di fare ombra a quanti, nelle circostan-ze difficili della loro vita, sono schiacciati a tal punto da smarrire la via della ragione e consegnarsi all’odio e alla violenza, o a tal punto da chiudere il cuore all’amore e al-la speranza e consegnarsi alla delusione, al fallimento e alla disperazione.

L’apostolo Pietro ci ricorda che siamo partecipi di un sacerdozio santo “per offrire sacrifici spirituali a Dio gra-diti per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,5). Ma qual è il culto spirituale gradito a Dio? Quale sacrificio? Ancora una vol-ta il modello è Cristo Signore, il quale, “entrando nel mon-do, dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un cor-po invece mi hai preparato. Non hai gradito nè olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poi-ché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà»” (Eb 10,5-7).

Egli inoltre dopo aver detto ai suoi discepoli “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34), nel Getsemani, dopo aver chiesto al Pa-dre che passasse da lui quell’ora, gli confida di voler com-piere non la propria volontà, ma quella sua, per vivere in sua obbedienza “fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8), e così dare piena conferma al suo sacerdozio con il “sì”, l’Amen (cfr. Ap 3,14 ), che Egli ha detto al Padre.

Pertanto, sulle orme di Cristo, anche voi laici, in ogni circostanza, siete chiamati a professare ogni giorno il vo-stro “sì” a Dio. Ma il vostro “sì” a Dio sia anche un “sì” det-to all’uomo, ad ogni uomo per il quale siete chiamati a far-vi prossimo. Perché come Cristo – che in virtù del suo sa-

Sulle ormedi Cristodire “sì”a Dioe all’uomo.

Page 24: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

22

cerdozio si è offerto come “vittima di espiazione per i no-stri peccati, non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2,2), e quindi per l’intera umani-tà – ha pronunciato un doppio “sì”: a Dio e all’uomo22, an-che voi, per le vie laicali che ben conoscete, possiate pro-nunciare il vostro doppio “sì” a Dio e all’uomo. A Verona Benedetto XVI ci ha ricordato come l’incontro con il Si-gnore faccia emergere “soprattutto quel grande ‘sì’ che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amo-re umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; co-me, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gio-ia nel mondo”23.

Fate comprendere alla gente che per noi cristiani “la religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la re-ligione dell’uomo che si fa Dio”24, e che perciò “noi, più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.25 Fatevi perciò “sacerdo-ti dell’uomo”, vivendo da uomini nuovi in Cristo Gesù per rendere nuova tutta l’umanità.

Per voi laici vivere oggi il vostro sacerdozio non signi-fica solo portare Dio all’uomo e l’uomo a Dio, ma portare anche, tramite Cristo, l’uomo all’uomo, perché, ritrovan-do Dio, ogni uomo, rientrato in sé stesso (cfr. Lc 15,17), ritrovi la propria immagine perduta, e nella casa del Pa-dre, la Chiesa, la propria figliolanza mai dal Padre sospe-sa (cfr. Lc 15,24 ).

Emerge così che il vostro sacerdozio ha una dimen-sione sia verticale di offerta a Dio, e sia orizzontale di of-ferta all’uomo, impegnandovi a vivere la vostra vocazione

22 Cei, «Rigenerati per una speranza viva» (1 Pt 1,3): testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo. Nota pastorale dell’Episcopato Italia-no dopo il 4° Convengo Ecclesiale Nazionale, n. 10.

23 Benedetto Xvi, Discorso al Convegno Ecclesiale Nazionale di Vero-na, 19 ottobre 2006, in Ibid.

24 paolo vi, Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965.

25 Ibid.

I laicisono i

“sacerdotidell’uomo”.

Page 25: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

23

in una doppia fedeltà: a Dio e all’uomo26. Come ebbe a di-re ancora Paolo VI a chiusura del Concilio, “bisogna cono-scere l’uomo per conoscere Dio, bisogna amare l’uomo per amare Dio”.

Per questa ragione, voi laici siete “sacerdoti della vita dentro la vita offrendo a Dio l’esistenza di ogni giorno”27, dove la materia della vostra offerta sono le vostre occupa-zioni quotidiane. Per questa ragione non sia il vostro un sacerdozio del tempio ma un sacerdozio della strada, come ci insegna Gesù nella parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-42), il quale proprio sulla strada offre il proprio tem-po e il proprio denaro per amore-sacrificio del prossimo co-me segno dell’amore-sacrificio per Dio. Sia il vostro un sa-cerdozio della strada anche perché in questa parabola Ge-sù indica l’uomo come la via della chiesa28, come il nuovo tempio entro il quale offrire i vostri sacrifici spirituali. A tal proposito faccio mio il monito che anche il mio prede-cessore, Mons. D’Ambrosio, amava ripetere: “Uscite fuo-ri dal tempio”, e vivete il vostro sacerdozio in mezzo alla gente, specialmente nei confronti degli ultimi, sapendo che quello che farete ai più piccoli lo avrete fatto a Cristo stesso (cfr. Mt 25, 40).

Se pertanto ci chiediamo quale sacrificio i laici devo-no offrire, la risposta ci viene dai profeti dell’Antico Testa-mento, i quali ammonivano il popolo di Israele di tener-si lontano dai sacrifici frutti dell’ipocrisia. Valga oggi an-che per noi quel monito sempre attuale, in una società ca-ratterizzata spesso dall’ingiustizia e dalla separazione tra fede e vita, dal distacco tra liturgia sacrificale e liturgia

26 Cei, Il rinnovamento della catechesi. Documento base per la cate-chesi in Italia, (DB) 1970; 1988². Le citazioni e i riferimenti sono tratti dalla 1ª edizione.

27 P. BiGnardi, Dare sapore alla vita. Da laici nel mondo e nella chie-sa, AVE, Roma 2009, p. 102.

28 Giovanni paolo ii, Centesimus annus. Lettera enciclica nel cente-nario della “Rerum Novarum”, 5 gennaio 1991, n. 53

Per unsacerdoziodella strada.

Page 26: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

24

esistenziale: “Che mi importa dei vostri sacrifici senza nu-mero?” dice il Signore. “Sono sazio degli olocausti di mon-toni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abomi-nio per me; non posso sopportare noviluni, sabati, assem-blee sacre, delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre fe-ste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di soppor-tarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete dal-la mia vista il male delle vostre azioni. Cessate di fare il ma-le, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorre-te l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,11-17).

1.3 Partecipi dell’ufficio profetico del Cristo

Nel battesimo l’unzione che tutti abbiamo ricevuto non solo ci ha resi sacerdoti, ma ci ha costituiti anche profeti. Sulla funzione profetica, il Concilio afferma che “Cristo, il grande profeta, (…) adempie il suo ufficio profetico fino alla piena manifestazione della gloria, non solo per mezzo della gerarchia, che insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici”29. Questo significa che la na-tura profetica della Chiesa non sarebbe completa se non si esprimesse anche attraverso l’operato ed il servizio dei fe-deli laici, i quali sono da Lui costituiti suoi testimoni facen-do loro dono “del senso della fede e della grazia della paro-la (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10), perché la forza del Vangelo ri-splenda nella vita quotidiana, familiare e sociale”30.

29 LG, n. 35.30 Ibid.

Il profetismodei laici.

Page 27: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

25

Senza il profetismo dei laici, quello dei presbiteri e dei religiosi sarebbe incompleto, anzi lo sarebbe quello del-la Chiesa intera. Perciò, invito voi laici a non rinunciare a questa vostra importante dimensione. Voi infatti siete di-ventati profeti quando nel battesimo il sacerdote, pronun-ciando la parola “Effatà” (cfr. Mc 7,34), vi ha aperto l’orec-chio, abilitandovi all’ascolto di quella Parola che ora siete chiamati a proclamare con la vostra stessa vita.

Non limitate la vostra profezia solo nell’ambito eccle-siale, ma esercitatela ancor più nei vari ambiti in cui quo-tidianamente siete chiamati a vivere, partendo dalla fami-glia fino ad arrivare ai vari settori della vita sociale. Dice il Concilio che i laici “si mostrano figli della promessa quando, forti nella fede e nella speranza, mettono a profitto il tempo presente (cfr. Ef 5,16; Col 4,5) e con pazienza aspettano la gloria futura (cfr. Rm 8,25). E questa speranza non devono nasconderla nel segreto del loro cuore, ma con una continua conversione e lotta «contro i dominatori di questo mondo te-nebroso e contro gli spiriti maligni» (Ef 6,12), devono espri-merla anche attraverso le strutture della vita secolare”31.

Specialmente oggi, in un tempo di forti conflitti socia-li, dove le promesse fatte da un’economia tutta incentra-ta sul solo profitto hanno deluso le aspettative dei popo-li di tutta la terra, provocando disorientamento e sfidu-cia in molte persone, voi laici siete chiamati a evangeliz-zare il sociale32, plasmando i rapporti secondo l’ottica cri-stiana della solidarietà, della condivisione, della “giusti-zia quale prima via che porta alla carità”33, e della ricer-ca del bene comune.

31 Ibid.32 Cfr. Giovanni paolo ii, Sollicitudo rei socialis. Lettera enciclica nel

ventesimo anniversario della “Populorum progressio” (Srs), 30 dicembre 1987; cfr. CEI, Evangelizzare il sociale. Orientamenti e direttive pastorali, 20 nov. 1992

33 Cfr. Benedetto Xvi, Caritas in veritate. Lettera enciclica sullo svi-luppo umano integrale nella carità e nella verità (Civ), 29 giugno 2009, n. 6.

Evangelizzareil sociale.

Page 28: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

26

Sappiate però che siete chiamati a parlare di Dio in un tempo in cui la cultura dominante ha rimosso o addirittu-ra sta cercando di cancellare la domanda di Dio, perché ritiene che Dio sia morto, che non esiste, che sia insigni-ficante34. Tuttavia, nonostante tali tentativi, una tale do-manda giace silenziosa, come domanda muta, nel profon-do del cuore di ogni uomo e aspetta solo di essere risve-gliata da coloro che lo hanno incontrato nella fede e cre-dono in Lui. E chi meglio di voi può fare questo? A volte in-contrerete persone che non credono in Dio e che vi chie-dono dubbiose: “si è forse perduto come un bambino? Op-pure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?”35. Sappiate che siete chiamati, come diceva il teologo e pastore protestante D. Bonhoeffer, a “credere in Dio in un mondo diventato ormai adulto”. La sfida che vi sta davanti è continuare a “credere in Dio in un mondo sen-za Dio (etsi deus non daretur)”, ma comunque amato da Dio, e a volte anche a “restare con Dio senza Dio”36.

Per questa situazione di secolarizzazione, di indiffe-renza religiosa e di ateismo, non potete parlare di Dio se prima non cercate di suscitare di nuovo la domanda su Dio in chi o l’ha perduto, o non l’ha mai trovato, o ancora non lo ha mai cercato. Aiuterete gli altri a trovare Dio so-lo però se voi stessi saprete farvi suoi incessanti cercato-ri, consapevoli che quello che di Lui avete trovato anziché estinguere la vostra sete, ve la aumenta per nuove ed ine-dite esperienze di fede.

Ma non potrete mai parlare di Dio se prima non lascia-te che sia Dio, nel Figlio suo, a parlare di Sé a voi. Come profeti dovete, sulla scia di Geremia, prima lasciarvi se-

34 Cfr. Cei, Lettera ai cercatori di Dio, 12 aprile 2009, n 535 F. nietzsChe, La gaia scienza (1882), Adelphi, Milano 1999, afori-

sma 125.36 D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, Edizioni Paoline, Cinisello Bal-

samo 1988, p. 440.

Risvegliarenel cuoreumano ladomanda

di Dio.

La sfidadella

secolariz-zazione.

Page 29: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

27

durre da Lui (cfr. Ger 20,7) e divorare la sua Parola con avidità, per trovare in essa la vostra gioia e la vostra leti-zia (cfr. Ger 15,16), sì da poterla accogliere nell’ascolto in-teriore e silenzioso del cuore. Parola che Dio stesso, attra-verso la sua Chiesa, consegna a voi nel volto e nella perso-na del Figlio, in modo particolare nella celebrazione euca-ristica, dove la Parola viene celebrata, proclamata, spezza-ta e consegnata per farsi vostra compagna di viaggio nel-le mille vicende della vostra vita quotidiana.

Inoltre non potete parlare di Dio se prima non impara-te a parlare con Dio nella preghiera individuale e comuni-taria. È infatti nella preghiera che si impara il linguaggio di Dio, si attinge alla sua sapienza, che è e resta sempre la “sapienza della croce” (cfr. 1 Cor 1,18-25). Infatti dice il Concilio “i laici si applichino con diligenza all’approfondi-mento della verità rivelata e domandino insistentemente a Dio il dono della sapienza”37.

Allo stesso tempo, però, non potete parlare di Dio agli uomini se non conoscete coloro ai quali siete manda-ti a profetizzare. Se cioè non conoscete le loro difficoltà, le loro domande, le loro cadute, le loro fragilità. Non ba-sta conoscere il linguaggio di Dio e la sua Parola, perché oggi più che mai è necessario conoscere i vari linguaggi dell’uomo, per poter incarnare nelle sue pieghe la Parola che salva. In particolare voi laici siete chiamati a fare en-trare la grammatica umana della vita nel linguaggio spes-so chiuso della Chiesa, perché solo così ci potrà essere dialogo tra la Parola di Dio e la parola dell’uomo. Aiutate-ci perciò affinché possiamo evitare di essere una Chiesa che si parla addosso, con un linguaggio che nessuno ca-pisce. Aiutateci a dare forma alla grammatica umana con l’alfabeto di Dio.

Pertanto, in un contesto caratterizzato dal moltipli-carsi dei vari tipi di linguaggi, e dalla perdita di senso di

37 LG, n. 35.

Non si puòparlare“di” Diose non si parla“con” Dio.

Page 30: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

28

molte parole, voi laici siete chiamati, in virtù della vostra indole profetica, a ripulire le parole dell’uomo con la Pa-rola di Dio.

Ma parlare dove e parlare come? Non siate profeti a pa-role, ma cercate, “senza incertezze, di congiungere a una vita di fede la professione di questa stessa fede”38. La vostra evangelizzazione avrà una sua particolare efficacia solo se verrà compiuta nelle comuni condizioni del secolo in cui già vi trovate. Quindi non si tratta di uscire dalla vita, ma di rientrarvi a pieno titolo, per ridarle da cristiani quel suo significato più autentico che oggi è stato smarrito, o che è stato sostituito con altre visioni purtroppo negative e devastanti. Il Concilio afferma che “Questa evangelizza-zione o annunzio di Cristo fatto con la testimonianza della vita e con la parola acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia dal fatto che viene compiuta nelle co-muni condizioni del secolo”39.

Non si tratta di uscire da questo nostro tempo attraver-sato da tante contraddizioni, paventando un futuro sradi-cato dal proprio momento storico, ma di “restare fedeli al-la terra”40, perché il Signore darà molto, cioè l’eternità, so-lo a chi è rimasto fedele nel poco, cioè nella brevità della storia. Dovete quindi restare fedeli alla terra, a questa sto-ria, se volete, alla fine dei tempi sentirvi dire dallo stesso Signore Gesù: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21).

Tutto questo viene ribadito con ancor più forza dal Con-cilio laddove dice che “i laici quindi, anche quando sono occupati in cure temporali, possono e devono esercitare una

38 Ibid.39 Ibid.40 D. Bonhoeffer, Fedeltà al mondo. Meditazioni, Queriniana, Bre-

scia 2004, p. 19.

Ridaresenso

allavita.

Page 31: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

29

preziosa azione per l’evangelizzazione del mondo”41. Ma non ci può essere evangelizzazione oggi senza preevan-gelizzazione. Ce lo ricorda un documento che a distanza di molti anni mantiene tutta la sua validità. Si tratta del Documento base per il rinnovamento della catechesi, dove troviamo scritto: “L’evangelizzazione è normalmente pre-ceduta ed accompagnata dal dialogo leale con quanti han-no una fede diversa o non hanno alcuna fede. I cristiani so-no corresponsabili della vita sociale, culturale ed economi-ca degli uomini con i quali vivono; conoscono la loro storia e le loro tradizioni, collaborano alle loro iniziative e ai loro piani di sviluppo, chiariscono i problemi critici e i pregiu-dizi che riguardano la naturale religiosità dell’uomo, fino a suscitare l’interesse per Cristo e per la Chiesa. È un dialo-go, che alcuni chiamano preevangelizzazione. Esso precede logicamente la predicazione cristiana e tuttavia ne accom-pagna in concreto tutto lo sviluppo. Anche coloro che pos-seggono la fede debbono, infatti, riscoprirne costantemen-te la ragionevolezza e la mirabile armonia con le esigenze più profonde e più attuali dell’uomo e della sua storia. In altre parole: fin dall’inizio, la fede accolta dall’uomo divie-ne esperienza umana integrale. Essa è suscitata e sostenu-ta dai doni soprannaturali della Rivelazione e si inserisce e si integra nelle risorse naturali dello spirito e di tutto l’uo-mo, elevandone singolarmente le capacità”42.

Se tutti i battezzati sono profeti, vorrei sottolineare il particolare rilievo che viene dato dallo stesso Concilio al ruolo profetico dei coniugi e della famiglia, in un tempo in cui essa viene screditata e minacciata da ogni parte. Af-ferma la Lumen gentium: “In questo ordine di funzioni ap-pare di grande valore quello stato di vita che è santificato da uno speciale sacramento: la vita matrimoniale e familiare. L’esercizio e scuola per eccellenza di apostolato dei laici si ha

41 LG, n. 35.42 Cei, Il rinnovamento della catechesi, cit., n. 26.

Laici chesannodialogarecon ilmondo.

Ruoloprofeticodei coniugi.

Page 32: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

30

là dove la religione cristiana permea tutta l’organizzazione della vita e ogni giorno più la trasforma. Là i coniugi han-no la propria vocazione: essere l’uno all’altro e ai figli testi-moni della fede e dell’amore di Cristo. La famiglia cristia-na proclama ad alta voce allo stesso tempo le virtù presenti del regno di Dio e la speranza della vita beata. Così, col suo esempio e con la sua testimonianza, accusa il mondo di pec-cato e illumina quelli che cercano la verità”43.

1.4 Partecipi della regalità di Cristo

Con il battesimo il cristiano non è reso solo sacerdote e profeta, ma anche re. A proposito della regalità il Conci-lio dice che essa discende direttamente dalla regalità di Cristo, il quale “fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cfr. Fil 2,8-9), è entrato nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre sé stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15,27-28). Questa potestà egli l’ha comunicata ai discepoli, perché anch’essi siano costitu-iti nella libertà regale e con l’abnegazione di sé e la vita san-ta vincano in sé stessi il regno del peccato”44.

Quindi la regalità dei laici richiama il fatto che è sta-ta loro restituita la libertà. Come ci ricorda S. Paolo: “Cri-sto ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque sal-di e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che que-sta libertà non divenga però un pretesto per la carne; ma mediante la carità siate invece a servizio gli uni degli al-tri” (Gal 5,1.13).

Questa libertà, che è di tutti i battezzati, i laici, i qua-li vivono più a stretto contatto con le cose del mondo, la

43 LG, n. 35.44 Ivi, n. 36.

Regalitàcome

libertà.

Page 33: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

31

potranno vivere in modo autentico e pieno solo quando si renderanno liberi da tali cose, consapevoli che sono stati costituiti “signori”, a immagine dell’unico Kyrios, il Signo-re del cielo e della terra, il quale agli uomini che lo ricono-scono tale, ha dato potere sulle opere delle sue mani, tutto ha posto sotto i loro piedi, tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci del ma-re, che percorrono le vie del mare (cfr. Sal 8, 7-9).

Voi laici solo se dunque vi lascerete toccare dalla signo-ria di Cristo potrete esercitare la vostra signoria sulle co-se, annunciando agli uomini del nostro tempo che anche essi sono stati liberati dalla schiavitù del peccato, cioè da ogni forma di dipendenza che li rende meno uomini, of-fendendo la loro dignità di persone create a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26).

Oggi, il contesto culturale ha frainteso la libertà inten-dendola come “libertà negativa”, che ha paura di legarsi, come rivendicazione della propria indipendenza (come sola libertà “da”), o anche come forma di potere, puro in-sieme di possibilità (libertà “di”). Nell’attuale contesto so-ciale si tende ad essere liberi “da” qualcuno, ma non “per” qualcuno. In questo modo la libertà si chiude su e in sé stessa, diventando autoreferenziale, autosufficiente e au-tocelebrativa, quasi un pretesto per soddisfare qualsiasi desiderio (cfr. Gal 13), il quale piuttosto che aiutare l’uo-mo ad essere più uomo lo rende più fragile, lasciando in-compiuto quell’anelito di bellezza e di bene che si agita nel profondo del suo cuore.

Per voi laici cristiani non sia così. La dimensione della regalità che a voi discende dal battesimo, vi rende non solo liberi “dalle” cose, né soltanto vi restituisce la libertà “di” fare qualcosa. Essa ancor più vi rende liberi “per” Qual-cuno, liberi per il Regno, riconoscendo il primato di Dio in ogni cosa, e così essere liberi di fare ciò che il Signore vi chiede, secondo il monito dell’apostolo Paolo: “voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella pau-

La veraformadi libertà.

Page 34: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

32

ra, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»” (Rm 8,15).

Solo in questo modo voi laici realizzerete il comando del Signore che disse ai suoi discepoli: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saran-no date in aggiunta” (Mt 6,33). Ricordatevi che il peccato contro la vostra regalità è l’idolatria presente oggi in tan-te forme nascoste. Fate vostro il monito del Signore che dice: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non po-tete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24).

Inoltre solo cristiani che vivono come uomini liberi possono rendere liberi gli altri uomini loro fratelli. Perciò, carissimi fedeli laici, due sono le alternative che si aprono nella lotta spirituale che dovete ingaggiare per affrontare le sfide del nostro tempo: o saranno gli altri, secondo la mentalità di questo secolo, a rendervi schiavi, oppure sa-rete voi a restituire loro quella libertà che Cristo ha reso a voi affinché voi la comunichiate anche a loro.

Pertanto, dopo essere stati costituiti in libertà nel bat-tesimo da Cristo, voi laici siete chiamati a impegnarvi af-finché possiate liberare la libertà degli uomini del nostro tempo con la vostra regalità, facendo loro comprende-re che non è libero chi trasgredisce la Legge e i comanda-menti del Signore, ma chi ad essi obbedisce, non solo per-ché “l’uomo ubbidiente canta vittoria” (Sap 21,28), ma an-cor più perché la sua è la Legge dell’Amore (cfr. Mt 22,35-40), nella quale soltanto l’uomo potrà trovare la gioia del proprio cuore (cfr. Sal 118,111).

Dalla regalità scaturisce un altro elemento che deve caratterizzare lo stile di vita di tutti i credenti, dei laici in particolare. Infatti, se è vero che solo chi è veramente li-bero può vivere la dimensione del dono di sé, allora ne se-gue che soltanto cristiani che sanno vivere da uomini li-beri, costituiti tali dal loro Signore Gesù Cristo, possono, come Lui, donarsi agli altri nella forma del servizio. Ce lo

Regalitàcome libertà

che apre aldono di sé.

Page 35: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

33

dice ancora una volta il Concilio Vaticano II, quando af-ferma che i laici sono stati costituiti nella libertà regale, affinché “con l’abnegazione di sé e la vita santa vincano in sé stessi il regno del peccato anzi, servendo il Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratel-li al Re, servire il quale è regnare”45. Come Gesù non è ve-nuto per dominare ed essere servito, ma per servire, al-lo stesso modo anche i suoi discepoli stanno nel mondo e nella Chiesa come coloro che servono (cfr. Mt 20,28). Chi tiene la propria libertà solo per sé stesso rischia di diven-tare schiavo di essa, mentre chi lotta anche per la libertà degli altri, attraverso il dono di sé, libera ancor più la pro-pria attraverso quella altrui.

Questo vale anche per la speranza cristiana che ci è sta-ta donata nella fede da Gesù Cristo. Non ce la possiamo te-nere per noi soltanto. Ancora una volta è Papa Benedetto a ricordarcelo quando, nella enciclica Spe salvi, scrive: “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamen-te: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sor-ga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale”46.

Ad un uomo che oggi ha paura di donarsi agli altri, il compito dei laici è fare intendere che solo chi è libero può donarsi in modo autentico, e che a sua volta il donarsi ren-de sempre più liberi. In tal modo, se la regalità è la premes-sa della vera libertà, e questa è la condizione per farsi dono agli altri nel servizio, si sappia che, a sua volta, il servizio agli altri costituisce l’apice autentico della regalità. Tocca ai laici in modo peculiare saper coniugare con la vita e le

45 Ibid.46 Benedetto XVI, Spe salvi. Lettera enciclica sulla speranza cristia-

na (SS), 30 novembre 2007, n. 48.

Il servizioapice dellaregalità.

Page 36: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

34

opere nel mondo queste tre dimensioni strettamente uni-te tra di loro: regalità, libertà e dono di sé nel servizio del-la carità, consapevoli che “la carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espres-sione irrinunciabile della sua stessa essenza”47.

In questo nuovo contesto i laici sono chiamati a vivere questa regalità nella forma del servizio, richiamando a tut-ti la vera natura della Chiesa che è quella di esser serva di tutta l’umanità, in modo particolare nel mondo e nelle va-rie situazioni di vita in cui essi si trovano, facendo proprio l’invito del Concilio il quale afferma che “i laici, anche con-sociando le forze, risanino le istituzioni e le condizioni del mondo, se ve ne siano che provocano al peccato, così che tut-te siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e le opere uma-ne. In questo modo il campo del mondo si trova meglio pre-parato per accogliere il seme della parola divina, e insieme le porte della Chiesa si aprono più larghe, per permettere che l’annunzio della pace entri nel mondo”48. Come diceva il te-ologo e pastore protestante D. Bonhoeffer, morto marti-re del nazismo, “la chiesa è chiesa solo se esiste per gli altri [...], deve partecipare agli impegni mondani della vita del-la comunità umana, non dominando, ma aiutando e ser-vendo. Deve dire a tutti gli uomini che cosa significa essere per gli altri [...]. Essa dovrà parlare di misura, autentici-tà, fiducia, fedeltà, costanza, pazienza, disciplina, umiltà, sobrietà, modestia. [...] La sua parola riceve rilievo e forza non dai concetti, ma dall’esempio” 49.

Stando così le cose, è chiaro che i fedeli laici sono chia-mati a esercitare la loro regalità, in questi tempi diffici-

47 Dce, n. 28.48 LG, n. 36.49 D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, cit., pp. 463-464.

ServireDio nelle

variesituazioni

del mondo.

Page 37: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

35

li, soprattutto nell’ambito della vita sociale, nella politica e nell’economia, nel campo dell’educazione, della cultura e della ricerca, e nel settore delle “nuove tecnologie”, te-stimoniando il loro impegno nella lotta contro ogni forma di abuso del potere, per difendere e promuovere la digni-tà della persona umana vista nella sua irripetibilità e uni-cità, come creata a immagine e somiglianza di Dio, unico Signore del creato e della storia.

In nome di quella regalità conferita nel battesimo i lai-ci hanno il compito di riaffermare in ogni circostanza i di-ritti fondamentali della persona, in modo particolare dei più deboli, degli esclusi, di quanti cioè per varie ragioni non hanno il potere di alzare la voce, e vedono calpestare da ogni parte la propria dignità.

La regalità impegna ogni battezzato laico nel proprio ambiente di lavoro a proclamare con la vita il primato della persona sul lavoro, laddove il lavoro, da diritto fondamen-tale dell’uomo, è invece diventato una concessione, un fa-vore da ricevere in cambio del consenso politico. Ma al-lo stesso tempo facciano di tutto per ribadire, come ci in-segna papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Laborem exercens, il primato del lavoro sul denaro e sul capitale da accumulare50, per evitare che speculazioni economiche e finanziarie provochino crisi come quella di questi ultimi anni. Chi calpesta la dignità dell’uomo da Dio posto al ver-tice della creazione, offende e nega la sua regalità. E chi offende l’uomo offende Dio che è il suo Creatore.

Non si possono, come fanno oggi in molti, sostituire le persone con le cose, dando più valore ai beni materiali che all’uomo stesso, capovolgendo l’ordine da Dio impo-sto al creato. “I fedeli – ricorda la Lumen gentium – devono riconoscere la natura profonda di tutta la creazione, il suo valore e la sua ordinazione alla lode di Dio, e aiutarsi a vi-

50 Giovanni paolo ii, Laborem exercens. Sul lavoro umano nel 90° an-niversario della “Rerum novarum” (LE), 14 settembre 1981, n. 15

Esercitarela regalitànella vitasociale.

Il primatodella persona.

Page 38: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

36

cenda a una vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo si impregni dello spirito di Cri-sto e raggiunga più efficacemente il suo fine nella giustizia, nella carità e nella pace. Nel compimento universale di que-sto ufficio, i laici hanno il posto di primo piano. Con la loro competenza quindi nelle discipline profane e con la loro at-tività, elevata intrinsecamente dalla grazia di Cristo, por-tino efficacemente l’opera loro, affinché i beni creati, secon-do i fini del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti pro-gredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla cultura ci-vile per l’utilità di tutti gli uomini senza eccezione, e siano tra loro più convenientemente distribuiti e, secondo la loro natura, portino al progresso universale nella libertà uma-na e cristiana. Così Cristo per mezzo dei membri della Chie-sa illuminerà sempre di più l’intera società umana con la sua luce che salva”51.

Come si può notare il Concilio assegna ai laici un posto di “primo piano” negli ambiti di loro competenza – fami-glia, lavoro, società civile, politica, cultura, educazione, pro-gresso, economia – dove esercitare sia la propria dimensio-ne profetica e sia quella regale. In questi settori sono cer-to che anche i sacerdoti e i religiosi aspettano con ansia e trepidazione le analisi, i consigli, le proposte dei fedeli lai-ci, come anche i loro preziosi suggerimenti. Aspettano che per ciò che riguarda questi ambiti siano i laici a prendere l’iniziativa, mettendo in atto la loro fantasia pastorale, nel farsi carico delle esigenze e delle istanze che dal mondo provengono come sfide all’opera di evangelizzazione. I lai-ci devono sapere che nelle cose del mondo i presbiteri e i religiosi sono disposti a mettersi alla loro scuola per me-glio esercitare il proprio ministero per loro e con loro, af-finché il mondo si salvi per mezzo di Gesù Cristo.

A voi laici voglio ricordare che dalla vostra regalità di-scendono sia diritti che doveri, e non solo come membri

51 LG, n. 36.

Rispettarela

competenzadei laici.

Page 39: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

37

della Chiesa, ma ancor più come cittadini del mondo. Di-ce ancora a riguardo il Concilio: “Per l’economia stessa del-la salvezza imparino i fedeli a ben distinguere tra i diritti e i doveri, che loro incombono in quanto membri della Chie-sa, e quelli che competono loro in quanto membri della so-cietà umana”52. Chi ama la città di Dio e ad essa anela, ama la città dell’uomo e per essa si impegna e lotta, con-tribuendo a costruirla secondo il disegno Dio che è il be-ne di ogni uomo.

Queste due dimensioni non vanno poste in alternati-va, né vanno contrapposte, ma al contrario bisogna “met-terli in armonia fra loro, ricordandosi che in ogni cosa tem-porale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poi-ché nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al comando di Dio. Nel nostro tempo è sommamente necessario che questa distinzione e questa ar-monia risplendano nel modo più chiaro possibile nella ma-niera di agire dei fedeli, affinché la missione della Chiesa possa più pienamente rispondere alle particolari condizio-ni del mondo moderno”53.

E così la regalità, mentre abilita i laici ad essere citta-dini del cielo, li rende responsabili anche della città terre-na, invitandoli ad assumere nei confronti dell’una e dell’al-tra l’atteggiamento evangelico della vigilanza proprio di chi è pronto “con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”, come coloro “che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa” (Lc 12,35-36). Siano i laici come quell’amministratore buono di cui parla il Vangelo, il quale non spadroneggia sulle proprie-tà che il padrone gli ha affidate, ma nel servizio fedele le custodisce con cura e amore (cfr. Lc 12,42-46).

Per questa ragione, memori della loro regalità, mi pia-ce pensare a dei laici che, con la fede nel cuore e la spe-

52 Ibid.53 Ibid.

Chi ama la Città di Dio,ama la cittàdell’uomo.

Page 40: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

38

ranza che deriva loro dal Vangelo, con le idee e le opere di carità, sanno lottare in prima linea per contrastare ogni forma di ingiustizia sociale e di illegalità, da quella picco-la che contagia un po’ tutti, a quella più macroscopica che vede coinvolti molti poteri criminosi, i quali anche nel no-stro territorio garganico, da molto tempo, e in questi ulti-mi anni ancor più, turbano la vita civile, compromettendo lo sviluppo economico e sociale della nostra terra.

Page 41: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

39

APPARTENENZA ALLA CHIESAPer una ecclesiologia di comunione

Appartenere a Cristo è appartenere alla Chiesa. Lo di-ceva già san Cipriano il quale amava dire: “Non può ave-re Dio per Padre chi non ha la Chiesa come Madre”54. In-fatti, se il battesimo ci fa diventare tutti membri di Cristo, allo stesso tempo ci rende tutti membri della Chiesa che è Corpo di Cristo, secondo la stupenda immagine di Pao-lo ripresa ampiamente dalla Lumen gentium. In questa di-rezione vorrei soffermarmi ora sul significato che riveste l’appartenenza piena dei laici alla Chiesa.

2.1 Immagini della Chiesa e forme di laicità

La Chiesa ha un fondamento sia trinitario che cristo-logico55. Ma per riflettere su questa appartenenza dei lai-ci, che non è data dalla funzione o dal ruolo che essi svol-gono nelle parrocchie o in Diocesi, né dal tipo di rapporto che essi hanno con i sacerdoti, ma dal solo fatto di essere battezzati, vorrei rivisitare alcune delle immagini più im-portanti con cui è stata raffigurata la Chiesa nelle Sacre Scritture. Infatti ognuna di esse, ciascuna a modo suo, of-fre una serie di spunti che possono servire per individuare e focalizzare gli aspetti che specificano la vocazione pro-pria dei laici, il tipo di legame che li unisce alla Chiesa, e il ruolo che in essa essi sono chiamati a svolgere. Non è raro, tuttavia, che nei fatti la pregnanza di tali immagini a

54 S. Cipriano di CartaGine, De Ecclesiae catholicae unitate, 6: CCL 3, 253 (PL 4, 519); cfr. CCC, n. 181.

55 Cfr. B. forte, La Chiesa della Trinità. Saggio sul mistero della Chiesa comunione e missione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsa-mo 1995.

2.Membri di Cristoe membridella Chiesa.

Page 42: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

40

volte venga disattesa, e capita spesso di trovare situazioni ecclesiali dove ognuno, presbiteri e laici, sogni di crearsi modelli personali di Chiesa, contravvenendo alle indica-zioni che invece discendono direttamente dalla Parola ri-velata e dalle disposizioni del Magistero.

a) L’ovile e il greggeUna prima immagine che il Concilio ci presenta è quel-

la che vede la Chiesa come “un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cfr. Gv 10,1-10)”. O ancora come “un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cfr. Is 40,11; Ez 34,11ss)”, e le cui “pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il buon Pa-store e principe dei pastori (cfr. Gv 10,11; 1 Pt 5,4), il quale ha dato la vita per le pecore (cfr. Gv 10,11-15)”56. Questa im-magine è ricca di spunti per tutti: per i laici chiamati ad es-sere gregge, e per i sacerdoti chiamati ad essere pastori.

In modo particolare, rivolgendomi a voi fedeli laici, av-verto la necessità di invitarvi ad essere gregge che non ascolta le voci degli estranei, o di chi viene per rapire e di-sperdere, ma di ascoltare la voce dell’unico Pastore: il Si-gnore nostro Gesù Cristo. Che possiate essere gregge che sa riconoscere la sua voce tra mille, e non si lascia sedur-re da parole costruite per manipolare a proprio piacimen-to la verità, da messaggi certo ammalianti e suadenti, ma ahimè vuoti e illusori, consapevoli che siete come “pecore in mezzo ai lupi” (Mt 10,16), certi però che nell’ovile della Chiesa potrete sempre trovare, come dice il salmo, verdi pascoli per riposarvi e l’acqua per dissetarvi, il bastone e il vincastro per rinsaldarvi, e il sentiero diritto per uscire dalla notte oscura delle molte valli da voi percorse nel dub-bio e nell’incomprensione. Trovare una mensa a cui sedere

56 LG, n. 6.

Laici docilialla vocedi Cristo

BuonPastore.

Page 43: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

41

per mangiare il pane del cammino, e un calice a cui bere il vino nuovo della cura e della premura (cfr. Sal 23).

Siate gregge che non chiude mai il cancello dell’ovile per tenersi solo per sé la luce che emana dal volto del bel-lo e buon pastore (cfr. Gv 10,1), perché nella conta della sera possiate sempre accorgervi delle pecore che non so-no tornate, o di quelle che sono andate via per la cattiva testimonianza di noi rimasti nel recinto. Gregge che ab-batte ogni forma di steccato che, con il proprio linguag-gio, crea incomunicabilità, o che lega i pesi sulle spalle de-gli altri senza che però esso per primo ne sposti uno con un dito (cfr. Mt 23,4). Siate gregge che sappia guardare sempre fuori e lontano, come il Padre misericordioso che sulla torretta del suo palazzo aspettava il ritorno del figlio minore andato via di casa. Gregge che soffre per le peco-re che mancano, non aspettando che facciano ritorno da sole, ma che, sull’esempio del proprio pastore, va in cerca di quelle smarrite; che sa aspettare quelle che, o perché si sono azzoppate, o perché un poco più lente, sono rima-ste indietro; che è in ansia per quelle che sono cadute nel-le mani dei mercenari del nostro tempo, e che son diven-tate prigioniere di un ovile senza pascolo, dove piuttosto che alla sorgente di un’acqua zampillante bevono alla poz-zanghera un’acqua che non disseta, e comprano “un pane che non sazia” (Is 55,2).

Anche se siete gregge, la vostra appartenenza alla Chiesa non sia vissuta come un privilegio, come motivo per stare al riparo dai flutti dei cambiamenti, o come espe-rienza per la vostra sola salvezza, ma, al contrario, sia vis-suta come vocazione da cui nasce una missione che vi ve-de figli di una Madre – la Chiesa – che vi affida tutti i fra-telli che incontrerete negli ambiti di vita in cui vivete, per farvi loro compagni di viaggio, per riportarli nel suo seno, affinché anche essi possano essere rigenerati e rinfran-cati dall’unico Pastore, che anche per quelle pecore fuori dal recinto ha dato la sua vita.

Gregge che abbatte ogni forma di steccato.

Page 44: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

42

b) Il podere o il campo e la vignaAltre due immagini molto significative presentano la

Chiesa come il podere o campo di Dio (cfr. 1 Cor 3,9), o ancora come vigna scelta che è stata piantata dal celeste agricoltore (cfr. Mt 21,33-43; cfr. Is 5,1ss). In essa Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui, e senza di lui nulla possiamo fare (cfr. Gv 15,1-5)57.

Per quanto riguarda la prima immagine, quella del campo, è Paolo che ne parla quando a proposito delle di-visioni che si erano create nella comunità di Corinto, per-ché ciascuno rivendicava la propria appartenenza ad uno dei “servitori della Parola”, dice “Ma che cosa è mai Apol-lo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti al-la fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto cre-scere. Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi irrìga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il pro-prio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio” (1 Cor 3,5-9).

Tali divisioni si verificano ancora oggi quando, o a cau-sa dei laici o a causa dei presbiteri, i legami che si instau-rano si fermano principalmente all’aspetto umano, la qual cosa certo ha la sua importanza, impedendo che in ognu-no, presbiteri e laici, cresca il senso di appartenenza alla Chiesa, per cui si è disposti a servirla anche cambiando parrocchia o città, senza creare traumi o dissidi.

Inoltre mi piace collegare l’immagine della Chiesa co-me “campo” alla parabola del Seminatore che uscì fuori a seminare il seme della Parola (Mt 13,1-9). Questa immagi-ne impegna voi laici in primo luogo ad accogliere la Paro-la di Dio come seme destinato a crescere e a portare frut-

57 Ibid.

Appartenenzaa Dio.

Page 45: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

43

to in diversa percentuale. Voi laici che vivete immersi ne-gli affari del mondo e nelle cose della terra, avvertite mol-to più dei presbiteri la tentazione di lasciarvi sopraffare dalle spine, simbolo delle tante preoccupazioni che pos-sono distrarvi dal cercare il Regno di Dio e la sua giusti-zia. Solo laici che sanno ascoltare e mettere in pratica la sua Parola saranno capaci di crescere e di maturare nella loro vocazione umana e cristiana.

Per quanto riguarda l’immagine della vigna, dove Cri-sto è la vite e noi i tralci, essa fu molto cara a Giovanni Pa-olo II che la usò per scrivere la sua Esortazione Apostoli-ca postsinodale del 1988 Christifideles laici. Rimando alle sue parole e ad una lettura più riflessiva di esse il compi-to di chiarire in che senso tale immagine si applica a voi laici, in particolare a quanto è scritto al n. 8.

c) L’edificio e le pietreUna quarta immagine è quella che considera la Chiesa

come “edificio di Dio” (1 Cor 3,9), di cui Cristo costituisce la “pietra” rigettata dai costruttori, ma che da Dio è stata scelta quale “pietra angolare” (Mt 21,42; At 4,11).

In questa immagine tutti i battezzati, e quindi anche i laici, sono paragonati a pieno titolo a tante pietre vive che, strette a Cristo, pietra viva, “vengono impiegati per la co-struzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio (1 Pt 2,4-5)”58.

Giovanni Paolo II, sempre nella già citata Esortazio-ne Apostolica Christifideles laici, scriveva che questa “im-magine ci introduce a un altro aspetto della novità battesi-male, così presentato dal Concilio Vaticano II: «Per la rige-nerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengo-no consacrati a formare una dimora spirituale». Lo Spirito Santo «unge» il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigil-

58 Ibid.

La vitee i tralci.

Page 46: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

44

lo (cfr. 2 Cor 1,21-22), e lo costituisce tempio spirituale, os-sia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all’unione e alla conformazione a Gesù Cristo. Con questa spirituale «unzione», il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annun-ziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigio-nieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in liber-tà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2). Così con l’effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima missione di Gesù il Cristo, il Messia Salvatore”59.

Alla luce di questa immagine vorrei esortare i laici a non sentirsi pietre passive, spettatori di una costruzione fatta dagli altri, o addirittura messe e lasciate da qualche parte a fare da soprammobili, quasi a parcheggiare, o per fare numero nelle chiese che anche da noi spesso iniziano ad essere vuote. Al contrario, siano pietre vive, cioè chia-mati, con i loro talenti e i carismi ad essi donati dallo Spi-rito, a cooperare attivamente in modo costruttivo e propo-sitivo, e con tutta la loro specificità, a volte anche in modo critico, perché questo edificio, che è la Chiesa, venga co-struito bene e nella direzione giusta. Nessuno può fare al posto dei laici quello che invece solo loro possono fare per specifica loro vocazione. Quello che non faranno i laici re-sterà non fatto, e nel mosaico delle pietre utilizzate per la costruzione del tempio spirituale, che è Cristo stesso, po-trebbero restare molti spazi vuoti.

Da qui il mio appello ai laici di tutta la nostra Dioce-si: come “pietre vive” lasciatevi lavorare dal costruttore dell’edificio, Dio Padre, affinché, prendendo in voi la stes-sa forma del Figlio suo Gesù Cristo, possiate aiutare que-sta nostra Chiesa ad assumere la fisionomia giusta, quel-la che il suo Signore desidera per lei. Tutte le pietre sono

59 Cfl, n. 13.

I laicinon sono

pietrepassive.

Page 47: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

45

importanti, quelle piccole e quelle grandi, e tutto l’edifi-cio riceve forza non solo dal fondamento che è Cristo, ma anche da tutte le pietre che, cementate tra di loro dalla ca-rità fraterna, lo costituiscono.

Le pietre si lasciano smussare, a volte anche provan-do dolore, a volte facendo anche un passo indietro, rinun-ciando anche a qualcosa di sé medesime, si innestano re-ciprocamente, ciascuno con la propria forma, mantenen-do la propria differenza, non per contrapporsi, ma per ar-monizzarsi, sempre allo scopo di formare l’unico e santo edificio che è la Chiesa. Il cemento che vi tiene uniti sia l’amore e la carità fraterna, la reciproca comprensione, la pazienza e il perdono.

Inoltre le pietre nella costruzione tendono verso l’al-to e si amalgamano le une con le altre, per rendere l’edi-ficio stabile e ben assestato. Si reggono a vicenda, scam-biandosi la forza che viene loro dalla pietra angolare che per noi è Cristo, su cui poggia tutto l’edificio: “In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edifica-ti per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,22). Sappiano anche i sacerdoti che i laici non sono so-lo pietre da impiegare nella costruzione dell’edificio, pie-tre edificate, ma anche pietre chiamate ad edificare la co-munità ecclesiale e tramite essa la comunità degli uomini. Perciò, i laici non si limitino ad essere solo edificati, pen-sando di tenere per loro stessi il tesoro della grazia sal-vifica ricevuta, ma facciano di tutto per edificare questa Chiesa, prendendosi cura delle altre pietre. Perché chi si prende cura di una pietra si prende cura di tutto l’edifico, e chi si prende cura dell’edificio intero, si prende cura di ogni pietra che lo costituisce.

In che modo si può realizzare tutto questo? L’Apostolo Paolo ce lo ricorda quando invita i cristiani a “portare i pe-si gli uni degli altri” (Gal 6,1), o quando avverte i cristiani di Roma: “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con

Lasciarsi edificareper poteredificare.

Page 48: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

46

orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con af-fetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non sia-te pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazio-ne, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi per-seguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pian-to. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davan-ti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,9-18).

Pertanto rivolgendomi a voi laici dico di non essere di quelli che alla Chiesa si appoggiano soltanto. Chi si com-porta in questo modo non si sente ancora Chiesa, non si sente ancora “concittadino” dei santi, ma ancora si sen-te “straniero o ospite” (cfr. Ef 2,19), ed è convinto che la Chiesa sia solo una pura agenzia del sacro che distribu-isce sacramenti, impone divieti, o che ogni tanto fa una processione per consolare il popolo. O pensa che la Chie-sa siano gli altri, addirittura identificandola con i cardi-nali, i vescovi, i preti e i religiosi. Lasciate piuttosto che la Chiesa si appoggi su di voi, sulle vostre spalle.

È vero che siete pietre appoggiate su Cristo, ma è an-che vero che oggi è Cristo che chiede di appoggiarsi a voi, per cercare nuove spalle sulle quali porre il suo “giogo dol-ce e il suo carico leggero” (Mt 11,30), e così dare forma a nuove pietre da inserire nel suo tempio santo. E nei mo-menti di difficoltà nei quali l’edificio sembra stia per bar-collare o dà segni di cedimento, ricordatevi delle parole del salmo che dice che “se il Signore non costruisce la casa invano vi faticano i costruttori” (Sal 126,1).

Un altro spunto che, alla luce di tale immagine che ve-de la Chiesa come edificio e dimora, voglio suggerire al-

Avereatteggiamenti

costruttivi.

Page 49: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

47

la riflessione di tutti, riguarda lo sforzo e l’impegno che i laici devono compiere affinché le parrocchie diventino ve-ri luoghi di ospitalità e di accoglienza per le persone dei quartieri in cui esse si trovano. In uno degli ultimi docu-menti i Vescovi italiani hanno scritto: “Occorre incremen-tare la dimensione dell’accoglienza, caratteristica di sem-pre delle nostre parrocchie: tutti devono trovare nella par-rocchia una porta aperta nei momenti difficili o gioiosi del-la vita. L’accoglienza, cordiale e gratuita, è la condizione prima di ogni evangelizzazione. Su di essa deve innestar-si l’annuncio, fatto di parola amichevole e, in tempi e mo-di opportuni, di esplicita presentazione di Cristo, Salvato-re del mondo” 60. Richiamo forte quello dei Vescovi che ci dicono che senza accoglienza non ci può essere vero an-nuncio né autentica evangelizzazione.

Mi aspetto da tutti questo atteggiamento, ma in parti-colar modo dai laici affinchè facciano il possibile perché ogni parrocchia della nostra Diocesi diventi la “locanda” dove, il Buon Samaritano, di cui parla il Vangelo, cioè Ge-sù Cristo, dopo aver raccolto dalla strada l’umanità ferita, ed essersela caricata sulle sue spalle, ad essa l’affida per-ché se ne prenda cura fino al suo ritorno. I laici sono per-tanto chiamati a farsi promotori di progetti di ospitalità e di accoglienza per tutti coloro che hanno perduto sia Dio e sia la loro umanità. Siano la porta che la Chiesa tiene con-tinuamente aperta sul mondo, perché se presso gli altari del Signore ”anche il passero trova la casa, la rondine il ni-do, dove porre i suoi piccoli” (Sal 84,4), non accada che, per coloro dei quali Gesù nel Vangelo ha detto “Voi valete più di molti passeri” (Lc 12,7), invece non ci sia posto.

60 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, cit., n. 6.

Le parrocchieveri luoghidi ospitalità.

I laici sonola portache la Chiesatiene apertasul mondo.

Page 50: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

48

d) La sposaUna quinta immagine vede la Chiesa come “l’immaco-

lata sposa dell’Agnello immacolato (cfr. Ap 19,7; 21,2 e 9; 22,17), sposa che Cristo «ha amato... e per essa ha dato sé stesso, al fine di santificarla» (Ef 5,26), che si è associata con patto indissolubile ed incessantemente «nutre e cura» (Ef 5,29), che dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell’amore e nella fedeltà (cfr. Ef 5,24)”61.

Vorrei usare questa immagine che vede la Chiesa co-me Sposa di Cristo, lo Sposo fedele, per sottolineare due aspetti non sempre messi nella giusta evidenza nella pras-si pastorale.

Il primo riguarda il fatto che tale immagine ci parla in primo luogo della sponsalità di Cristo. È lui lo Sposo che, dopo aver generato sulla croce, dal suo costato trafitto, la Chiesa come nuova Eva, l’ha unita a sé nell’amore e nella fedeltà, come segno e sacramento di tutta l’umanità. Nel-la sua sponsalità Egli poi ci ha rivelato la stessa sponsali-tà di Dio, che come comunità trinitaria è in sè sponsalità, perché “Dio è amore” (1 Gv 4,8)62. Questo significa che la sponsalità prima che essere dell’uomo è di Dio, anzi è il modo stesso di essere di Dio.

Dalla sponsalità di Cristo scaturisce il carattere spon-sale di tutti e due i sacramenti che ci riguardano: quello dell’Ordine per i sacerdoti, e quello del Matrimonio per i lai-ci. Lo dice la Familiars consortio quando afferma che “il ma-trimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vive-re l’unico Mistero dell’Alleanza di Dio con il suo popolo”63.

Da ciò consegue che sia i laici che i sacerdoti sono chia-mati a testimoniare, anche se in modo diverso l’unica e identica sponsalità di Cristo con la sua Chiesa. I sacerdoti nel servizio fedele e premuroso che è proprio del loro mi-

61 LG, n. 35.62 Cfr. Dce, n. 1.63 FC, n. 16.

Laicie sacerdotichiamati a

testimoniarel’unica

sponsalitàdi Cristo.

Page 51: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

49

nistero, i laici con il loro matrimonio inteso anch’esso co-me ministero. Lo sottolinea un importante documento dei Vescovi italiani il quale afferma: “L’Ordine e il Matrimonio significano e attuano una nuova e particolare forma del con-tinuo rinnovarsi della alleanza nella storia. L’uno e l’altro specificano la comune e fondamentale vocazione battesimale ed hanno una diretta finalità di costruzione e di dilatazione del popolo di Dio. Proprio per questo vengono chiamati sa-cramenti sociali: «Alcuni propagano e custodiscono la vita spirituale mediante un ministero unicamente spirituale: è il compito del sacramento dell’Ordine; altri fanno questo me-diante un ministero ad un tempo corporale e spirituale e ciò si attua col sacramento del Matrimonio, che unisce l’uomo e la donna perché generino una discendenza e la educhino al Culto di Dio» (S. Tommaso, Contra Gentes, IV, 58)”64.

Quindi si tratta di due ministeri che vengono descrit-ti come “simboli reali” e “segni viventi” dell’unico miste-ro di Cristo e della Chiesa; “l’uno e l’altro specificano la co-mune e fondamentale vocazione battesimale”: la radice fon-tale di entrambe le ministerialità è il battesimo e il sacer-dozio che da esso scaturisce come sacerdozio comune, partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo; la vocazio-ne successiva, al presbiterato o al matrimonio-sacramen-to, non fa che specificare questa comune vocazione, costi-tuendo i chiamati in una nuova e particolare forma di vita per l’attuazione perenne dell’alleanza di Cristo con la sua Chiesa; entrambi “hanno una diretta finalità di costruzio-ne e di dilatazione del popolo di Dio”: non solo la radice è comune, ma la stessa destinazione, essendo entrambi, in modo diverso, orientati a servire, edificare e a far cresce-re il popolo di Dio al suo interno e nel mondo65.

64 Cei, Evangelizzazione e sacramenti (ES), 1973, n. 32.65 Per lo sviluppo di tali riflessioni mi sono ispirato a C. roCChetta,

La reciprocità tra ordine e matrimonio nella vita della chiesa, da www.Diocesipozzuoli.org/uploads/tinymce/.../Rocchetta_rela-zione2010.doc.

Il battesimoradice diogniministerialità.

Page 52: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

50

Emerge così che è nella sponsalità di Cristo – la qua-le è la stessa della Chiesa – che laici, presbiteri e religiosi dovranno ritrovare il terreno a partire dal quale ritessere la propria comune e reciproca appartenenza alla Chiesa, e lavorare di più perché si affermi anche nelle nostre par-rocchie quel senso di feconda corresponsabilità al servi-zio della Chiesa.

Pertanto, sarebbe bello se comprendessimo, laici, re-ligiosi e presbiteri insieme, che la Chiesa-Sposa del Cri-sto-Sposo si realizza solo grazie a questo “permanente in-trecciarsi di ministerialità tra ministri ordinati e sposi”, e se iniziassimo a capire meglio che “le due dimensioni della nu-zialità non vanno comprese in termini di alternativa, ma di reciprocità” per riuscire a intravedere “nell’assemblea euca-ristica l’icona visibile di questo intrecciarsi di ministeriali-tà, dove ministri ordinati e sposi svolgono ruoli diversi, ma essenziali nel quadro della Chiesa-Sponsa Verbi”66.

Il secondo aspetto riguarda il fatto che, proprio in vir-tù di questa partecipazione alla sponsalità di Cristo, resa possibile con il battesimo, e ancor più compiutamente con il sacramento del Matrimonio, ai fedeli laici sposi è data la possibilità di sentirsi costituiti “chiesa domestica” 67. Per-tanto è nella stessa coniugalità che gli sposi cristiani lai-ci sono chiamati a incarnare e testimoniare la sponsalità di Cristo con la sua Chiesa.

Tale aspetto viene ribadito ancora una volta nella Fa-miliaris consortio: “L’essenza e i compiti della famiglia so-no ultimamente definiti dall’amore. Per questo la fami-glia riceve la mis sione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amo-re di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per

66 Ibid.67 LG, n. 11; cfr. Giovanni paolo ii, Lett. Gratissimam sane. Lettera

alle famiglie, 2 febbraio 1994, n. 3.

Reciprocitàtra le

due formedi nuzilità.

Page 53: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

51

la Chiesa sposa”68. I laici sono l’avamposto dell’amore tri-nitario di Dio nella storia. Per cui, se la coniugalità de-gli sposi cristiani si offusca, la stessa sponsalità di Cristo viene oscurata, impedendo agli uomini del nostro tempo di poter contemplare il volto di quella Sposa della cui bel-lezza il Cristo-Sposo continuamente si prende cura, e nel quale anche essi sono chiamati ad entrare per farne pie-namente parte.

Alla luce di queste riflessioni esorto i laici sposati a rendere più famiglia non solo la propria comunità familia-re, ma anche la società civile, e a rendere più famiglia la stessa comunità ecclesiale. Riusciranno a fare tutto que-sto non solo se renderanno più chiesa domestica la loro fa-miglia, ma ancor più se sapranno aprirsi alle esigenze del territorio, del quartiere e della città in cui da cristiani so-no chiamati a testimoniare quella indole di socialità che di per sé appartiene alla famiglia. Sapranno fare questo se riusciranno a contagiare con la loro familiarità le par-rocchie in cui abitano, se faranno in modo che i luoghi ci-vili e sociali che attraversano restino impregnati del loro calore e del loro amore, consapevoli che “il Signore si è de-gnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unen-do assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libe-ro e mutuo dono di sé stessi, che si esprime mediante senti-menti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi; anzi diventa più perfetto e cresce proprio median-te il generoso suo esercizio”69.

Gli sposi cristiani non possono amarsi solo tra di loro o limitarsi ad amare solo i propri figli. L’amore che essi si donano è come un pane che se spezzato alla sera solo tra i due coniugi, potrebbe diventare pane amaro; ma se i due sposi spezzeranno il pane del loro amore con quanti non

68 FC, n. 17.69 GS, n. 49.

La famigliacome Chiesadomestica.

Page 54: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

52

sono amati da nessuno, se questo pane sarà bagnato dal-le lacrime di chi l’amore non l’ha incontrato, allora acca-drà che alla sera, quel pane che si doneranno nell’intimi-tà del loro talamo, sarà molto più dolce e più ricco. Perché l’amore sponsale è anche amore sociale, forza viva per ini-ziare a costruire le nostre città secondo i valori del Van-gelo, secondo i principi della fraternità, della solidarietà e della condivisione70.

e) Il corpo e le membra Ma l’immagine che il Concilio privilegia perchè più

ricca di spunti è quella che vede la Chiesa come Corpo di Cristo, illustrata sempre dalla Lumen gentium. A dire il vero essa è stata presa in considerazione già da Papa Pio XII, il quale nel 1943 scrisse la sua famosa enciclica My-stici Corporis Christi.

Si legge nella costituzione conciliare: “Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e resurrezione, ha redento l’uomo e l’ha trasformato in una nuova creatura (cfr. Gal 6,15; 2 Cor 5,17). Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo cor-po i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che, attraverso i sa-cramenti si uniscono in modo arcano e reale a lui sofferente e glorioso. Per mezzo del battesimo siamo resi conformi a Cri-sto: «Infatti noi tutti fummo battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo» (1 Cor 12,13) […] Partecipando re-almente del corpo del Signore nella frazione del pane eucari-stico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi: «Per-ché c’è un solo pane, noi tutti non formiamo che un solo corpo, partecipando noi tutti di uno stesso pane» (1 Cor 10,17). Così noi tutti diventiamo membri di quel corpo (cfr. 1 Cor 12,27), «e siamo membri gli uni degli altri» (Rm 12,5)” 71.

70 Cfr. Benedetto XVI, CV.71 LG, n. 7.

L’amoresponsaleè ancheamore

sociale.

Il paneeucaristico

ci fa un solo corpoin Cristo.

Page 55: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

53

Quali sono i caratteri che emergono da tale immagi-ne e che tornano utili alla nostra riflessione? Nel Catechi-smo della Chiesa Cattolica leggiamo che “il paragone del-la Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a lui; è uni-ficata in lui, nel suo corpo. Tre aspetti della Chiesa-corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tut-te le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo, Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo”72.

Il primo aspetto riguarda l’esperienza di profonda co-munione, cioè lo stretto legame che unisce Cristo alla sua Chiesa e la Chiesa a Cristo. Infatti “da quando Gesù ci ha rivelato il vero volto di Dio, quale comunione trinitaria (cfr. Gv 14,26; 16,13-15), e ci ha inserito nella sua vita, ri-versandola nella Chiesa (cfr. Gv 17,21), anche la Chiesa è una comunione”73.

Bisogna ricordare che la fonte di questa comunione è la stessa Trinità. Lo si evince da quello che ha detto Gesù nella sua preghiera sacerdotale: “Padre… che essi siano uno, come noi siamo uno”(Gv 17,21.22). Perciò “la Chie-sa viene dalla Trinità, dall’amore che lega il Padre e il Fi-glio nello Spirito Santo, è immagine della Trinità e tende verso la Trinità”74. Per questa sua origine la Chiesa si of-fre come mistero, in quanto è in primo luogo opera di Dio, e non dell’uomo. Essa è in virtù di ciò “sacramento di sal-vezza”, cioè “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”75.

In virtù di questo dato teologico fondamentale, vorrei ricordare che anche i laici sono chiamati a questa comu-nione intima con Gesù che a tutti dice “Rimanete in me e io in voi. […] Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,4-5). Que-

72 CCC, n. 789.73 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 3.74 B. forte, La Chiesa della Trinità, cit., p. 67.75 LG, n. 1.

La Trinitàfonte dellacomunioneecclesiale.

Page 56: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

54

sta comunione non è solo spirituale, ma nell’Eucaristia di-venta misteriosa e reale tra il suo proprio corpo e il nostro, proprio perché comunichiamo al suo Corpo e al suo San-gue, secondo la sua promessa: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56).

Per questa ragione la “fonte della comunione e la litur-gia, particolarmente l’Eucaristia, che genera nell’uomo la vita trinitaria e sospinge i credenti a vivere in «perfetta unio-ne», a «diventare in Cristo un solo corpo e un solo spirito» […] La forza dell’Eucaristia rende la comunione ecclesia-le organica, operativa, divina e umana, gerarchica e frater-na, nello stesso tempo”76. E chi ha bisogno di una più profon-da comunione con Gesù se non chi, come i laici, è immer-so nel mondo? I laici qui hanno un compito in più: riuscire a tradurre questa comunione nelle realtà temporali, con-sapevoli che “ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l’esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell’umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del Corpo di Cristo. L’Eucaristia, costruendo la Chie-sa, proprio per questo, crea comunità fra gli uomini»77.

Questa comunione si realizza grazie all’azione dello Spirito Santo, in virtù del fatto che “comunicando il suo Spirito, Cristo stesso costituisce misticamente come suo cor-po i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti”78.

Pertanto, il fondamento della “laicità” non può essere altro se non questa intimità e questa comunione con Cri-sto, il quale, tramite la sua carne, ha fatto entrare nel cuo-re stesso di Dio quel mondo nel quale tutti, ma i laici in particolare, sono chiamati ad operare perché anche esso entri in comunione con Lui. Sono persuaso che niente e

76 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 3.77 Giovanni paolo ii, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia.

Sull’Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa (EE), 17 aprile 2003, n. 24.

78 LG, n. 7.

L’Eucaristiaè la fonte

della comunione.

Page 57: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

55

nessuno può spezzare questa comunione dei laici con il Si-gnore, neanche il peccato, perché Cristo ha vinto il pecca-to. E se qualcuno dovesse chiedersi: “Chi ci separerà dun-que dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?”, sappia che “in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,35.37).

Pertanto invito voi laici a vivere la vostra laicità come estrinsecazione di questa comunione con Cristo nelle fac-cende secolari in cui siete impegnati ogni giorno, e non semplicemente come un fare esteriore, che poggia su sole motivazioni umane, emotive e psicologiche. Il frutto della vostra azione nel mondo e del vostro servizio pastorale sa-rà duraturo solo se resterete in comunione con Lui che ha detto: “Come il tralcio non può far frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa mol-to frutto, perché senza di me non potete far nulla […] Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti per-ché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,4-5.16). È infatti dalla comunione con Cristo che scatu-risce la vostra missione laicale e non da altro.

Il secondo aspetto è il legame di comunione tra di noi, cioè la comunione ecclesiale. Infatti, divenuti membri del corpo di Cristo, noi tutti siamo “membri gli uni degli altri” (Rm 12,5). Questo significa che solo dalla comunione con Cristo scaturisce la comunione tra i suoi membri. Ed è an-cora dalla comunione che nasce il servizio come stile di vita da assumere dentro e fuori la Chiesa. “Se comprenderemo la bellezza e la grandezza della forza rigeneratrice dell’Eu-caristia e della comunione che da essa promana, crescere-mo insieme nello spirito di servizio, nel senso del debito che spinge a ridonare ciò che si è avuto, nell’apprezzamento ri-guardoso del dono altrui”79.

79 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 3.

Dalla comunionecon Cristoscaturiscela missione…

…e ilserviziocomestiledi vita.

Page 58: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

56

Se la comunione con Cristo, e in Lui, con la stessa Tri-nità, è un dono di Dio alla sua Chiesa, la comunione tra i membri è la risposta che come Chiesa siamo chiamati a dare a Dio singolarmente e comunitariamente. Questo si-gnifica che non ci può essere comunione ecclesiale senza prima quella comunione sacramentale che Cristo ci dona nel Battesimo e nell’Eucaristia.

Per questo motivo non possiamo fondare la nostra co-munione su simpatie o su sentimenti puramente umani. Pertanto nessuno pensi di poter separare la comunione con Dio (dimensione verticale), alla quale si partecipa at-traverso la Parola e i sacramenti, dalla comunione con i fratelli (dimensione orizzontale). Solo se si mantiene vi-va questa duplice dimensione della comunione, i doni dello Spirito, che nella Chiesa vengono elargiti a ciascu-no per il bene di tutti, porteranno frutti per la costruzio-ne del Regno.

Per realizzare tutto questo, il fedele laico “non può mai chiudersi in sé stesso, isolandosi spiritualmente dal-la comunità, ma deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di un’uguale dignità e nell’impegno di far fruttificare insieme l’immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signo-re dona a lui, come agli altri, molteplici carismi; lo invita a differenti ministeri e incarichi; gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non è un di più di dignità, ma una speciale e complementare abilitazione al servizio […]. Così, i cari-smi, i ministeri, gli incarichi e i servizi del fedele laico esi-stono nella comunione e per la comunione. Sono ricchez-ze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei pastori”80.

80 Giovanni paolo ii, Omelia per la chiusura della VII Assemblea Ge-nerale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sui laici, 30 ottobre 1987, in Acta Apostolicae Sedis 80 (1988) 600.

Mai separarela comunione

con Diodalla

comunionecon i

fratelli.

Page 59: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

57

Lo stesso vale per la gerarchia, il cui ruolo va visto all’interno di questa comunione ecclesiale. Non possiamo tradire lo spirito del Concilio Vaticano II il quale ci ha fatti passare da una “chiesa societaria” dove la gerarchia pre-cedeva la comunità, ad una “chiesa comunità” dove inve-ce è la comunità a precedere la gerarchia, secondo il mo-nito di sant’Agostino che ai suoi fedeli diceva di sé “per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano”81.

Ancora il Concilio ribadisce che “come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, non formano che un solo corpo così i fedeli in Cristo. Anche nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uf-fici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distri-buisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzio-nata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11). Fra questi doni eccelle quello degli aposto-li, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i cari-smatici (cfr. 1 Cor 14). Lo Spirito, unificando il corpo con la sua virtù e con l’interna connessione dei membri, produ-ce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro sof-fre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1 Cor 12,26)”82.

In questo nuovo contesto, ricordo ai laici che sono chia-mati ad offrire un grande contributo affinché anche nel-le nostre parrocchie e in Diocesi si rafforzi quel senso di comunione prospettato dai documenti del Magistero83. E tutto questo perché, come ci ha ricordato Papa Benedet-to XVI, “le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l’altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nes-

81 S. aGostino, Serm. 340, 1: PL 38, 1483.82 Ibid.83 Si veda in particolare Cei, Comunione e comunità. Orientamenti

pastorali degli anni ’80, 1° ottobre 1981.

La gerarchiaè alserviziodellacomunioneecclesiale.

Page 60: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

58

suno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel ma-le come nel bene. Così la mia intercessione per l’altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppu-re dopo la morte”84.

Per questo non spetta solo ai sacerdoti essere uomi-ni di comunione, ma anche, a modo loro, ai laici, dentro e fuori la Chiesa, perché da questa possa poi scaturire quel senso di fraternità e quella condivisione che furono pro-prie delle prime comunità cristiane, testimoniateci dagli Atti degli Apostoli: “Tutti i credenti, poi, stavano riuniti in-sieme e avevano tutto in comune; le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti, secondo il bi-sogno di ciascuno” (At 2,44-45).

Sempre nel testo lucano più avanti si dice ancora che “la moltitudine di coloro che avevano abbracciato la fede aveva un cuore e un’anima sola. Non v’era nessuno che ri-tenesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva, ma tut-to era fra loro comune” (At 4,32). Come si evince da que-sti due brani la comunione dei beni era il risultato del do-no dello Spirito e della conseguente conversione, in quan-to non ci può essere vera comunione senza una costante conversione.

Da questi due testi emerge che “la comunione non resta-va un dono interiore, ma era vissuta in tutta l’ampiezza del-le sue dimensioni, compresa quella visibile e storica dell’aiu-to e sostegno vicendevole”85. Su questa scia i laici devono as-sumere il gravoso impegno a che questa comunione eccle-siale si realizzi a vario livello: tra i vari membri del popolo di Dio, tra laici e laici, tra le varie associazioni laicali, tra laici, sacerdoti e religiosi, all’interno dello stesso presbiterio af-finché i sacerdoti siano in comunione con il Vescovo e tra di

84 SS, n. 48.85 Cei, Comunione e comunità, cit., n. 37.

I laiciuomini di

comunione.

Page 61: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

59

loro. E poi tra le parrocchie, consapevoli che “è finito il tem-po della parrocchia autosufficiente […], che bisogna mettere le parrocchie in rete in uno slancio di pastorale d’insieme”86, in un’ottica di “pastorale integrativa” e non semplicemente “aggregativa”87. Non esagero nel dire che spesso proprio i laici possono aiutare i sacerdoti a vivere in comunione tra di loro affinché a loro volta anche essi possano aiutare i lai-ci a crescere nella comunione ecclesiale.

Un altro aspetto che questa immagine del corpo ci sug-gerisce è quello della “unità nella diversità”. Esso emerge da quel famoso passo dove l’apostolo Paolo illustra la sua visione della Chiesa come Corpo di Cristo: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le mem-bra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cri-sto” (1 Cor 12,12).

Dobbiamo evitare due rischi che possono intaccare le nostre comunità cristiane: quello dell’appiattimento do-vuto all’accentramento di tutte le funzioni nelle mani di un solo membro e quello della dispersione dovuta alla in-capacità a livello pastorale di fare sintesi per armonizza-re nell’unità le diverse realtà presenti nella vita della no-stra Chiesa diocesana e nelle parrocchie.

Per evitare l’appiattimento e l’accentramento è neces-sario che nessuno pensi che il proprio ministero sia al di sopra di quello degli altri, o sia di essi più importante, ma sappia invece che “quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispet-to, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno” (1 Cor 12,22-24). Per questa ragione rivolgo ai sacerdoti e a voi cari fe-deli laici l’invito che san Paolo rivolse ai cristiani di Filip-

86 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, cit., n. 11.

87 Ibid.

Duerischida evitare.

Page 62: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

60

pi: “Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri su-periori a sé stesso, senza cercare il proprio interesse, ma an-che quello degli altri” (Fil 2, 3-4). È su queste basi che au-spico la costruzione di un autentico dialogo tra sacerdoti e laici per una maggiore e più feconda spinta pastorale in chiave missionaria.

Valorizzare un ministero a scapito degli altri signifi-ca assolutizzarlo e quindi mortificare l’azione dello Spi-rito al quale invece piace elargire i suoi molti doni come vuole e in diversi modi. A Dio, che è relazione di tre per-sone, piace la pluralità e la diversità, che rende più ricca l’unità, e non un’appiattita unità resa sterile dalla morti-ficazione della differenza. Per questo motivo mi auguro che nessuno si senta autosufficiente, né pretenda di rap-presentare tutta la Chiesa escludendo gli altri. O anco-ra che nessuno identifichi la Chiesa con il solo proprio carisma e con il solo proprio ministero, né peggio anco-ra con la sola propria vocazione, in quanto “il corpo non risulta di un membro solo ma di molte membra” (1 Cor 12,14). Perciò nessuno utilizzi la necessità del richiamo all’unità dei membri come scusa per mortificare la diver-sità e la molteplicità dei doni presenti nella Chiesa. Sa-rebbe una unità fittizia, dispotica e solo di facciata, ipo-critamente ostentata all’esterno, ma senza autentica co-munione all’interno.

Il secondo rischio è quello opposto della frammentazio-ne e della dispersione. Questa si ha quando vengono meno i legami, quando ognuno rimane chiuso nel proprio cari-sma, e guarda solo al proprio ministero, oppure pensa di poter andare per conto suo, di camminare da solo, scor-porandosi da tutto il corpo, e tiene la ricchezza dei doni ri-cevuti solo per sé medesimo. Costui non sa fare comunio-ne, non sa armonizzarsi con gli altri, non sa accogliere il punto di vista altrui. Non comprende che l’altro non è un ostacolo, ma un punto di contatto con Dio. L’altro è appel-lo che Dio gli rivolge in attesa di una risposta. Si compor-

No ad unaunità

cheappiattisce.

Evitare laframmenta-

zione.

Page 63: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

61

ta come il piede di cui parla san Paolo, che dice: “Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo”, o come l’orec-chio che dice: “Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo” (1 Cor 12, 15-16).

Per evitare tali situazioni mi auguro che si sappiano creare, nel dialogo e nel confronto sereno e reciproco, mo-menti di convergenza tra tutti i membri della nostra Chie-sa. Nessuno poi pensi di usare gli altri per affermare sé stesso. Né lo debbono pensare i sacerdoti dei laici, né vi-ceversa i laici dei sacerdoti. Perciò, come “non può l’occhio dire alla mano: «non ho bisogno di te», né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi»” (1 Cor 12,21), nessuno pensi di poter fare a meno degli altri. Forse gli altri esistono per ri-conciliarci con la nostra fragilità e così aprirci alla carità e al dono gratuito dell’uno all’altro, perché come dice an-cora l’apostolo Paolo: “Dio ha composto il corpo, conferen-do maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cu-ra le une delle altre” (1 Cor 12,24-25).

Molti si chiederanno: “come si possono evitare questi due rischi?”. La risposta per noi è una sola: “rimanendo uniti a Cristo”, dal quale “tutto il corpo riceve sostentamen-to e coesione per mezzo di giunture e di legami, realizzan-do così la crescita secondo il volere di Dio” (Col 2,19). Se re-steremo così ben radicati, con la nostra comunione eccle-siale saremo in grado di aiutare anche la società civile, la quale risulta essere sempre più frammentata, a ritrovare la via della comunione e della fraternità. Infatti, come han-no sottolineato molto bene i Vescovi italiani, “in un conte-sto sociale frammentato e disperso, la comunità cristiana avverte come proprio compito anche quello di contribuire a generare stili di incontro e di comunicazione. Lo fa anzitut-to al proprio interno, attraverso relazioni interpersonali at-tente a ogni persona. Impegnata a non sacrificare la qua-lità del rapporto personale all’efficienza dei programmi, la comunità ecclesiale considera una testimonianza all’amo-

Nessuno puòfare a menodegli altri.

Page 64: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

62

re di Dio il promuovere relazioni mature, capaci di ascolto e di reciprocità”88.

Siamo tutti convinti che la comunione è e rimane an-zitutto un dono del Signore, nella sua radicale provenien-za trinitaria. Essa, però, domanda che ci si lasci trasfor-mare da questo dono dentro la trama di rapporti autenti-ci. Dobbiamo prendere atto che “in un contesto che spesso conduce alla dispersione e all’aridità, cresce per contrasto l’esigenza di legami «caldi»: l’appartenenza è affidata ai fat-tori emozionali e affettivi, mentre i rapporti risultano limi-tati e impoveriti”89. È tenendo conto di questo nuovo sce-nario che i laici possono risanare con i legami “caldi” del-la comunione ecclesiale le relazioni spesso sfilacciate e corrose della famiglia e della società civile. E nel fare que-sto è necessario prestare maggiore attenzione alla “cura delle relazioni” come ci ha indicato il Convegno Ecclesiale di Verona90. In questa direzione di grande rilievo può es-sere il contributo del laicato nell’aiutare le nostre parroc-chie a diventare comunità dove “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tut-te le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,27).

2.2 Una Chiesa ministeriale e carismatica. Unità nella diversità

Dopo aver ripercorso alcune delle immagini più signi-ficative con le quali la S. Scrittura presenta la Chiesa, e alla loro luce aver delineato i caratteri salienti della vocazione dei laici, è giunto il momento di chiarire ulteriormente e meglio la struttura interna della Chiesa, allo scopo di aiu-

88 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 23.89 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 2.90 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 23.

La curadelle

relazioni.

Page 65: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

63

tare ogni credente a prendere coscienza del ruolo e della missione che è chiamato a svolgere in essa, in particola-re aiutare i laici a prendere maggiore consapevolezza del compito che, tramite la Chiesa, è loro affidato dallo stesso Signore che a loro rivolge il suo comando-invito “Andate anche voi a lavorare nella mia vigna” (Mt 20,7).

Un altro importate passo avanti compiuto dal Concilio Vaticano II è stato quello di aver presentato la Chiesa co-me una realtà tutta “ministeriale e carismatica”. Infatti pro-prio rifacendosi all’immagine del Corpo si legge: “Anche nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversi-tà di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utili-tà della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con ma-gnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11) […]. Nel suo corpo, che è la Chiesa, egli (Cristo) continuamente dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo vicende-volmente a salvarci e, operando nella carità conforme a ve-rità, andiamo in ogni modo crescendo verso colui, che è il nostro capo (cfr. Ef 5,11-16)”91.

In un altro importante documento i Vescovi italiani hanno scritto: “L’esigenza vivissima, sentita in maniera dif-ferente e convergente nel campo sociale e nel campo ecclesia-le, è quella di una Chiesa tutta ministeriale, tutta dotata e preparata, tutta compaginata e mobilitata con la moltepli-cità delle sue membra al servizio della propria missione nel mondo. Solo una Chiesa tutta ministeriale è capace di un serio e fruttuoso impegno di evangelizzazione e promozione umana e attuazione di tutte le possibilità evangeliche nasco-ste, ma già presenti e operanti nella realtà del mondo”92.

Se i sacramenti sono i canali della grazia di Dio, i mini-steri sono le opere, l’esercizio dei servizi e i carismi sono ciò che rende possibile questi ministeri. Dio agisce anche

91 Ibid.92 CEI, Evangelizzazione e ministeri, 1977, n. 18.

I carismi:doni diCristo allasua Sposa.

Page 66: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

64

attraverso i carismi. Allora tutta la Chiesa deve riscoprire di essere carismatica. Questo significa che i laici sono de-positari di carismi dispensati dallo Spirito Santo, i quali, dopo essere stati riconosciuti dal Vescovo, diventano mi-nisteri che vanno esercitati nella e per il bene della Chie-sa, con lo stesso diritto e con lo stesso peso con cui i sa-cerdoti esercitano quello che a loro è proprio.

Questo significa che vi sono ministeri per l’essere Chiesa (ministeri ordinati) e vi sono dei carismi per il be-nessere della Chiesa93, cioè per la salute, la vitalità, lo svi-luppo, la crescita del Corpo di Cristo (ministri istituiti, ri-conosciuti, straordinari e di fatto).

Lo sottolinea ancora una volta il Concilio quando af-ferma che “lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei mi-nisteri, e ad adornarlo di virtù, ma «distribuendo a ciascu-no i propri doni come piace a lui» (1 Cor 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le qua-li li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uf-fici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione del-la Chiesa secondo quelle parole: «A ciascuno la manifesta-zione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio» (1 Cor 12,7)”94.

Se da ciò emerge che tutti i battezzati sono carisma-tici, sarebbe pertanto utile e bello se gli incarichi affida-ti ai laici derivassero da carismi riconosciuti, valorizzati e impiegati per il “comune vantaggio”. È su queste fonda-menta, profondamente teologiche e non su personali con-cessioni o simpatie da parte di chi presiede la comunità, che si basa l’apostolato dei laici, sul fatto cioè che “a tut-ti i cristiani quindi è imposto il nobile impegno di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra. Per l’eserci-

93 Cfr. Ivi, n. 92.94 LG, n. 12.

Dai carismiai

ministeri.

Page 67: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

65

zio di tale apostolato lo Spirito Santo che già santifica il po-polo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elar-gisce ai fedeli anche dei doni particolari (1 Cor 12,7) «di-stribuendoli a ciascuno come vuole» (1 Cor 12,11), affinché mettendo «ciascuno a servizio degli altri il suo dono al fi-ne per cui l’ha ricevuto, contribuiscano anch’essi come buo-ni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio» (1 Pt 4,10) alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cfr. Ef 4,16). Dall’aver ricevuto questi carismi, anche i più sempli-ci, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitar-li per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo con la libertà dello Spiri-to, il quale « spira dove vuole» (Gv 3,8)”95.

Da questo straordinario testo del Concilio emerge che i laici, come del resto lo sono i sacerdoti, sono: 1) dispen-satori della multiforme grazia di Dio; 2) chiamati a edifi-care, nella carità, il Corpo di Cristo che è la Chiesa, evi-tando forme sterili di protagonismo; 3) chiamati a inve-stire i propri carismi non solo nella Chiesa, ma ancor più nel mondo e nelle cose temporali.

Il compito dei sacerdoti in questo contesto non è quello di soffocare i carismi, ma dopo opportuno discernimento, individuarli e farli affiorare, farli crescere e maturare per il bene delle nostre parrocchie. Ancora una volta il Con-cilio ribadisce che “i sacri pastori, infatti, sanno benissi-mo quanto i laici contribuiscano al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa ver-so il mondo, ma che il loro eccelso ufficio consiste nel com-prendere la loro missione di pastori nei confronti dei fedeli e nel riconoscere i ministeri e i carismi propri a questi, in maniera tale che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, al bene comune”96.

95 ConCilio vatiCano II, Decreto Apostolicam Actuositatem (AA), n. 3.96 LG, n. 30.

I laicie lagraziadello Spirito.

Page 68: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

66

A volte, purtroppo, il rischio nel quale possono incor-rere i sacerdoti e i pastori, spesso presi da mille cose da fare, è quello di restare ciechi nei confronti dei carismi che lo Spirito ha dato a molti laici. Invece, al contrario, il compito di noi pastori è quello di accompagnare ciascun credente nella crescita spirituale perché possa, nella sua vocazione battesimale e in base alla sua crescita umana, scoprire i carismi di cui è depositario. Infatti “con il pro-gredire dell’età, l’animo si apre meglio in modo che ciascuno può scoprire più accuratamente i talenti con cui Dio ha ar-ricchito la sua anima, ed esercitare con maggiore efficacia quei carismi che gli sono stati concessi dallo Spirito Santo, a bene dei suoi fratelli”97.

Vorrei ricordare in particolare ai sacerdoti che il clero non ha la sintesi di tutti i ministeri, ma ha il ministero del-la sintesi98. Di conseguenza il compito del pastore, posto a capo della comunità, è aiutare ogni battezzato a scoprire e poi ad esercitare i propri doni-carismi ricevuti dallo Spirito per il bene della Chiesa e del mondo. I sacerdoti “provando gli spiriti per sapere se sono da Dio (carisma di discernimen-to), devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devo-no riconoscerli con gioia e fomentarli con diligenza. Dei doni di Dio che si trovano abbondantemente tra i fedeli, meritano speciale attenzione quelli che spingono non pochi a una vita spirituale più profonda. Allo stesso modo, non esitino ad affi-dare ai laici degli incarichi al servizio della Chiesa, lascian-do loro libertà d’azione e un conveniente margine di autono-mia, anzi invitandoli opportunamente a intraprendere con piena libertà anche delle iniziative per proprio conto”99.

Tutto questo esige che tra sacerdoti e laici ci sia un dia-logo permanente e un profondo rispetto reciproco, in un

97 AA, n. 30.98 CEI, Evangelizzazione e ministeri, cit., n. 54.99 ConCilio vatiCano ii, Decreto Presbyterorum Ordinis (PO), n. 9.

Il rischiodei

pastori.

Page 69: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

67

clima di autentica comunione ecclesiale che trova la sua fonte originaria nella comunione con Cristo.

Per questo motivo “si dimostra sempre necessario il di-scernimento dei carismi. Nessun carisma dispensa dal rife-rirsi e sottomettersi ai Pastori della Chiesa: «ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esamina-re tutto e ritenere ciò che è buono», affinché tutti i carismi, nella loro diversità e complementarietà, cooperino all’utili-tà comune”100. Sulla scia di tali indicazioni rivolgo pertan-to un paterno invito ai sacerdoti miei collaboratori a non rinunciare a questo loro importante ruolo, e a fare discer-nimento dei carismi con animo schietto e generoso, con diligenza e con profondo senso ecclesiale.

Il rischio invece dei laici a riguardo potrebbe essere quello che qualcuno potrebbe accontentarsi di svolgere nella Chiesa un ruolo o un incarico senza però che questo corrisponda al proprio carisma, perché non gli è stato da-to il tempo o l’opportunità di fare un cammino vocaziona-le orientato in questa direzione. O peggio, fare tutto que-sto disattendendo la propria specifica vocazione laicale, che è quella di impegnarsi nel mondo, o meglio in quegli ambiti di vita in cui ogni laico già si trova, allo scopo di far crescere il Regno di Dio il cui seme è stato già gettato.

Sia noto a tutti, sacerdoti, religiosi e laici, che “i cristia-ni, avendo carismi differenti (cfr. Rm 12, 6), devono colla-borare alla causa del Vangelo, ciascuno secondo le sue pos-sibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero (cfr. 1 Cor 3, 10). Tutti dunque, coloro che seminano e coloro che mietono (cfr. Gv 4, 37), coloro che piantano e coloro che ir-rigano, devono formare una cosa sola (cfr. 1 Cor 3, 8), affin-ché «tendendo tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo» indirizzino in piena unanimità le loro forze all’edifi-cazione della Chiesa”101.

100 CCC, n. 801.101 ConCilio vatiCano ii, Decreto Ad Gentes (AG), n. 28.

Discernimentodei carismi.

Il rischiodei laici.

Page 70: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

68

Non si tratta quindi di inventare carismi, ma solamen-te di attivare quei doni di Dio che lo Spirito Santo ha già messo dentro ogni battezzato. Dio li ha dati, si tratta ora, con l’aiuto dello Spirito Santo, solo di farli fruttificare per il bene della Chiesa e per la salvezza dell’umanità. Voglio ricordare a tutti che i carismi “devono essere accolti con ri-conoscenza non soltanto da chi li riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. Infatti sono una meravigliosa ricchez-za di grazia per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il Corpo di Cristo, purché si tratti di doni che provengono ve-ramente dallo Spirito Santo e siano esercitati in modo pie-namente conforme agli autentici impulsi dello stesso Spiri-to, cioè secondo la carità, vera misura dei carismi”102.

Solo sulla strada della carità i carismi possono edifica-re la nostra Chiesa nella logica del servizio, e realizzare quella comunione ecclesiale quale condizione indispen-sabile per una vera evangelizzazione. Non però una comu-nione che appiattisce le differenze, o che azzera le diver-sità, ma che le sa armonizzare, rendendole organiche in vista del bene di tutti103.

2.3 L’ora della corresponsabilità dei laici

La comunione ecclesiale non è solo un dono dello Spi-rito, ma è anche un impegno che da parte di tutti esige re-sponsabilità individuale e comunitaria. Dalla comunio-ne deriva quindi la corresponsabilità. Lo hanno ribadito i Vescovi i quali dopo il Convegno di Verona hanno scrit-to: “Accogliere la comunione che viene da Dio richiede di-sciplina, concretezza, gesti coerenti che coinvolgono non so-lo le persone, ma anche le comunità. La corresponsabilità infatti è un’esperienza che dà forma concreta alla comunio-

102 CCC, 800.103 LG, n 32.

Comunionee correspon-

sabilità.

Page 71: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

69

ne, attraverso la disponibilità a condividere le scelte che ri-guardano tutti”104.

Come dobbiamo vivere, in questa Chiesa caratterizza-ta dalla diversità di carismi e da diversi ministeri, quella comunione che è segno della comunione del Padre, del Fi-glio e dello Spirito Santo? In altri termini dobbiamo chie-derci tutti insieme come va inteso il rapporto tra i laici e i sacerdoti, tra i laici e i religiosi. Mi rendo conto che que-sta è una questione cruciale per l’intera pastorale della no-stra Diocesi. Ancora una volta è la Parola di Dio che ci in-dica la strada quando dice: “Ciascuno viva secondo la gra-zia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartie-ne la gloria e la potenza nei secoli” (1 Pt 4,10-11).

Insieme ai sacerdoti e ai religiosi anche i laici sono re-sponsabili, allo stesso titolo, della Chiesa e nella Chie-sa, in particolare della sua missione nel mondo. La loro responsabilità non è minore di quella dei pastori. Infatti “la distinzione di grado e di funzione non significa che nel-la Chiesa vi sia una zona riservata all’opera dei pastori e una riservata all’opera dei laici. L’azione pastorale è affi-data alla Chiesa particolare; «ad essa, nella comunione dei suoi membri sotto la guida del Vescovo, è dato il mandato di annunciare il Vangelo»105, con compiti e responsabilità di-stinte e complementari per pastori e laici. Così pure l’azio-ne pastorale nell’ambito secolare è altrettanto condivisa fra tutti i membri della Chiesa, anche se questa è ambito pecu-liare dei laici”106.

104 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 24.105 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 3.106 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 5.

Ciascunovivasecondola graziaricevuta.

L’azionepastoraledei laicinell’ambitosecolare.

Page 72: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

70

Tradotto in termini concreti questo significa che nella pastorale non vi è separazione tra i vari carismi e ministeri, ma solo distinzione, non vi è prevaricazione degli uni sugli altri, ma condivisione, non vi è sovrapposizione di ruoli ma solo specificità delle funzioni, non vi è sostituzione di per-sone ma unicità e irripetibilità di ciascun membro, non vi è soltanto collaborazione o semplice partecipazione, ma an-cor più corresponsabilità, condivisione di scelte, in quanto la pastorale non è appannaggio dei soli pastori, ma ha co-me soggetto l’intera comunità.

Per questo non ci può esser corresponsabilità senza comunione, e viceversa non ci può essere vera comunione senza corresponsabilità. L’una e l’altra delineano “il volto di comunità cristiane che procedono insieme, con uno stile che valorizza ogni risorsa e ogni sensibilità, in un clima di fraternità e di dialogo, di franchezza nello scambio e di mi-tezza nella ricerca di ciò che corrisponde al bene della co-munità intera”107.

Questo clima di comunione, che è sì dono dello Spiri-to, ma anche frutto dell’opera e dell’impegno di tutti, se da un lato rafforza i vincoli all’interno della Chiesa, dall’altro ci predispone a meglio annunciare il Vangelo agli altri, i lontani. Infatti “lo stile di comunione che si sperimenta nel-la comunità costituisce un tirocinio perché lo spirito di uni-tà raggiunga i luoghi della vita ordinaria. Il dono della co-munione che viene da Dio deve animare, soprattutto attra-verso i laici cristiani, tutti i contesti dell’esistenza e contri-buire a rigenerarne il tessuto umano”108. Non potremo mai pretendere dagli altri quella cura delle relazioni e quello spirito di reciprocità che noi stessi non riusciamo a vive-re e a testimoniare.

Per questa ragione, a voi laici mi sento di dire che la vo-stra responsabilità non viene confezionata né legittimata

107 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 23108 Ibid.

La pastoralenon è

appannaggiodei soli

pastori.

Page 73: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

71

da noi pastori, ma che Dio stesso, per i carismi che vi ha donato, vi rende responsabili con noi della e nella Chiesa. Voi siete responsabili con noi come noi siamo responsa-bili con voi. Nessuno lo è prima dell’altro, nessuno senza l’altro. Questa corresponsabilità costituisce una delle più grandi conquiste del Concilio Vaticano II, anche se molto spesso in questi anni è stata, e continua ad essere ancora, disattesa e tradita nel suo significato più autentico, neu-tralizzata nei suoi effetti più fecondi. E con gravi conse-guenze negative e con enormi ritardi in tutti i settori del-la vita pastorale, in particolare in alcuni ambiti tipicamen-te laicali, come l’impegno nel campo dell’educazione, del-la cultura, nella vita sociale, politica ed economica: ambiti dove la competenza dei laici resta specifica ed insostitui-bile per un autentico espletamento della dimensione mis-sionaria della Chiesa nel mondo.

È in questa luce che si devono intendere e vivere i rap-porti tra laici e sacerdoti, tenendo conto che “il sacerdo-zio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale (o gerar-chico), quantunque differiscano per essenza e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdo-zio di Cristo”109.

La diversità dei carismi esprime la ricchezza dell’unico sacerdozio regale comune a tutti, sacerdoti e laici, i qua-li, in quanto battezzati, sono uniti a Cristo. Essa inoltre è funzionale all’unità della comunità, nella quale “Il sacer-dote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, for-ma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio euca-ristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concor-rono all’offerta dell’Eucaristia, ed esercitano il loro sacer-dozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringra-

109 LG, n. 10.

Laici epresbiteriresponsabiliinsieme.

Page 74: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

72

ziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’ab-negazione e la carità operosa”110.

Questo significa che il “primum” non è il sacerdozio ministeriale, ma il sacerdozio dei fedeli. Il ministero or-dinato è essenzialmente un servizio al sacerdozio comu-ne: è un “ministero”. Come già ricordato, non è la “sinte-si dei ministeri”, ma il “ministero della sintesi”. Per que-sti motivi è forse arrivato il momento di ricomprendere la Chiesa – e di conseguenza la parrocchia – come realtà che si definisce, si costruisce e agisce nella storia a parti-re da una corresponsabilità globale dei suoi membri, fon-data su una ministerialità ampia e diffusa che riguarda tutti. È pertanto auspicabile anche nella nostra Diocesi una maggiore coscienza di una corresponsabilità pasto-rale che si fonda per tutti, laici e preti, non nella propria singola individualità, ma nell’essere membra vive della comunità ecclesiale.

La corresponsabilità significa che soggetto della Chie-sa non è solo il clero, ma il popolo di Dio, il quale, in quan-to popolo di battezzati111, viene considerato quale popo-lo sacerdotale, profetico e regale.112 Per questa ragione tutta la comunità ecclesiale “è chiamata alla preghiera, alla parola, al servizio, affinché il Vangelo possa essere annunciato”113.

Ora se intendiamo la corresponsabilità come qualcosa che è molto più della semplice collaborazione o della sem-plice partecipazione, rivolgendomi in modo particolare a voi laici vorrei ribadire che voi non siete chiamati più a es-sere soltanto il braccio destro del parroco, come se foste dei buoni e semplici esecutori, dei collaboratori, se pur lo-devoli e stimati. Voi siete chiamati a essere “corresponsa-

110 Ibid.111 Cfr. LG, nn. 9-13.112 Cfr. LG, nn. 10-12.113 Cei, Evangelizzare il sociale, cit., n. 70.

La cor-responsabilità

è più chesemplice

collaborazione.

Page 75: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

73

bili”. Collaboratore è chi si ferma al compito affidato sen-za sentirsi parte di un intero; corresponsabile invece è chi sa mantenere vivo l’interesse per il tutto, per l’insieme, è chi scopre la bellezza del pensare e del progettare insie-me, dell’assumere comunemente delle scelte di fondo, del valorizzare o far crescere nuovi luoghi di discernimento comunitario. Corresponsabile non è solo chi fa le cose in-sieme ad altri, ma chi prova a sognarle, a pensarle, a co-struirle insieme. Perciò, carissimi fedeli laici, aiutateci a portare avanti insieme il sogno di Dio, a realizzare il pro-getto di Dio su questa fetta di umanità che ci è stata affi-data come nostra Diocesi.

Facciamo in modo che possiamo sentire questo sogno come sogno di tutti e di ciascuno, perché “amare qualcu-no è riconoscere il suo dono, aiutarlo ad esercitarlo e ad ap-profondirlo. Una comunità è bella quando ognuno esercita pienamente il suo dono”114.

Dall’altra parte invito i sacerdoti a prendere atto che “l’iniziativa dei cristiani laici è particolarmente necessaria quando si tratta di scoprire, di ideare mezzi per permeare delle esigenze della dottrina e della vita cristiana le realtà sociali, politiche ed economiche. Questa iniziativa è un ele-mento normale della vita della Chiesa […]”115.

Non si sentano i laici quindi semplici esecutori di deci-sioni prese dai pastori, ma avvertano la chiamata di Dio a esercitare la propria responsabilità con quel margine di autonomia e libertà di iniziativa che il Concilio ha ricono-sciuto come necessarie per l’espletamento di tutte quel-le attività che sono richieste dalla vocazione laicale. Au-tonomia che i pastori devono rispettare e promuovere se-condo il monito della Lumen gentium che avverte: “I pa-stori, da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e

114 J. vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2007, p. 285.

115 CCC, n. 899.

Autonomiae liberainiziativadei laici.

Page 76: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

74

la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentie-ri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margi-ne di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano del-le opere anche di propria iniziativa. Considerino attenta-mente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richie-ste e i desideri proposti dai laici e, infine, rispettino e rico-noscano quella giusta libertà, che a tutti compete nella cit-tà terrestre”116.

Pertanto, invito fortemente i laici a progettare, a crea-re iniziative in cui esprimere la propria competenza pro-fessionale in senso cristiano, a proporre scelte pastorali condivisibili di cui a volte forse noi pastori non riusciamo a individuare l’importanza e l’urgenza.

Per arrivare a realizzare questi obiettivi è necessario che tutti i laici della Diocesi “si abituino a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad espor-re alla comunità della Chiesa i propri problemi e quel-li del mondo e le questioni che riguardano la salvezza de-gli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti”117. Spero che tutto questo avvenga in un dialogo aperto e fecondo, scevro da protagonismi e da personali-smi che sono contro la logica del Vangelo, e che possono compromettere quel clima di comunione che ci appartie-ne per vocazione.

Da parte loro “i sacerdoti dovranno vedersi sempre più all’interno di un presbiterio e dentro una sinfonia di mini-steri e di iniziative: nella parrocchia, nella Diocesi e nel-le sue articolazioni. Il parroco sarà meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione; e per-ciò avrà cura di promuovere vocazioni, ministeri e carismi. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collabora-zione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano

116 LG, n. 37.117 AA, n. 10.

Laicicreativi e

propositivi.

Page 77: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

75

a presenze che pensano insieme e camminano dentro un co-mune progetto pastorale. Il suo specifico ministero di guida della comunità parrocchiale va esercitato tessendo la trama delle missioni e dei servizi: non è possibile essere parrocchia missionaria da soli”118.

A volte può accadere che i sacerdoti non abbiano la so-luzione a certi problemi, specie in quelli che riguardano il rapporto con il mondo. Noi pastori non possiamo essere esperti di tutto, ad es. della vita familiare, dei temi sociali, delle problematiche educative, delle questioni relative al lavoro e all’economia. Tocca ai laici, nelle varie circostan-ze e in dialogo con il Magistero, trovarle, facendo appello alla loro competenza professionale e mettendo a frutto la loro maturità cristiana. Questo aspetto viene focalizzato dal Concilio Vaticano II in un passaggio spesso dimenti-cato: “Non pensino [i laici] che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzio-ne concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missio-ne; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabi-lità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzio-ne rispettosa alla dottrina del Magistero. Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in cer-te circostanze, a una determinata soluzione”119.

Questa sintonia tra laici e sacerdoti non deve essere realizzata solo per una pura funzionalità organizzativa, o per semplice efficientismo, ma deve esprimere un dina-mismo di crescita spirituale di tutta la comunità in adesio-ne allo spirito evangelico. Forse non è esagerato dire che è l’ora dei laici, perché “l’ottica della testimonianza e della corresponsabilità permette di mettere meglio a fuoco le sin-gole vocazioni cristiane, senza cadere in una visione pura-

118 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, cit., n. 12.

119 GS, n. 43.

Valorizzarele competenzedei laici.

Page 78: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

76

mente funzionale dei carismi. La vocazione laicale, in mo-do particolare, è chiamata oggi a sprigionare le sue poten-zialità nell’annuncio del Vangelo e nell’animazione cristia-na della società”120.

Perché si arrivi a questo è necessario migliorare le re-lazioni tra sacerdoti e laici: “Le relazioni tra le diverse vo-cazioni devono rigenerarsi nella capacità di stimarsi a vi-cenda, nell’impegno, da parte dei pastori, ad ascoltare i lai-ci, valorizzandone le competenze e rispettandone le opinio-ni. D’altro lato, i laici devono accogliere con animo filiale l’insegnamento dei pastori come un segno della sollecitudi-ne con cui la Chiesa si fa vicina e orienta il loro cammino. Tra pastori e laici, infatti, esiste un legame profondo, per cui in un’ottica autenticamente cristiana è possibile solo cresce-re o cadere insieme”121.

Questo aspetto ci impegna tutti a migliorare la comu-nicazione, a generare stili di incontro, attraverso relazio-ni interpersonali attente a ogni persona, qualunque sia il suo ruolo. Dobbiamo tutti vigilare perché non si finisca per “sacrificare la qualità del rapporto personale all’effi-cienza dei programmi”122. Come membri dell’unico popo-lo di Dio abbiamo tutti bisogno di promuovere nella no-stra Chiesa diocesana a vario livello “relazioni mature, ca-paci di ascolto e di reciprocità”123.

Inoltre la corresponsabilità rimanda a quello della com-plementarietà delle varie vocazioni presenti nella Chiesa. Infatti “le vocazioni alla vita laicale, al ministero ordinato e alla vita consacrata... sono al servizio l’una dell’altra, per la crescita del Corpo di Cristo nella storia e per la sua mis-sione nel mondo... Pur essendo, queste tre diverse categorie, manifestazione dell’unico mistero di Cristo, i laici hanno

120 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 26.121 Ivi, n. 23.122 Ibid.123 Ibid.

Migliorarele relazioni

tra sacerdotie laici.

Complemen-tarietà

delle vocazioni.

Page 79: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

77

come caratteristica peculiare, anche se non esclusiva, la se-colarità, i pastori la ministerialità, i consacrati la speciale conformazione a Cristo vergine, povero, obbediente”124.

Invito anche gli Ordini monastici e le Congregazioni Religiose presenti in Diocesi ad una maggiore attenzione al mondo del laicato. Faccio mia l’esortazione contenuta nella Lettera Apostolica che Giovanni Paolo II scrisse nel 1996 sulla vita consacrata dove affermava che “nuovi per-corsi di comunione e di collaborazione meritano di essere incoraggiati per diversi motivi. Potrà infatti derivarne, in-nanzitutto un’irradiazione di operosa spiritualità al di là delle frontiere dell’Istituto, che conterà così su nuove ener-gie, anche... per assicurare alla Chiesa continuità di certe sue forme tipiche di servizio. Un’altra conseguenza positi-va potrà poi essere l’agevola zione di una più intensa siner-gia tra persone consacrate e laici in ordine alla missione. Mossi dagli esempi di santità delle persone consacrate, i lai-ci saranno introdotti all’espe rienza diretta dello spirito dei consigli evangelici, e saranno così incoraggiati a vivere e a testimoniare lo spirito delle Beatitudini, in vista della tra-sformazione del mondo secondo il cuore di Dio. La parte-cipazione dei laici non raramente porta inattesi e fecondi approfondi menti di alcuni aspetti del carisma, ridestando-ne una interpretazio ne più spirituale e spingendo a trarne indicazioni per nuovi dinamismi apostolici”125.

È importate sia quello che possono offrire i religiosi ai laici e sia, viceversa, quello che i laici possono offrire ai consacrati. Infatti “in qualunque attività o ministero sia-no impegnate, le persone consacrate ricorderanno, pertan-to, di dover essere innanzitutto guide esperte di vita spiri-tuale, e coltiveranno in questa prospettiva il talento più pre-

124 Giovanni paolo ii, Esortazione Apostolica post-sinodale Vita con-secrata circa la vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo (VC), 25 marzo 1996, n. 31.

125 Ivi, n. 55.

Il ruolodegliOrdinimonasticie delleCongregazionireligiose.

Page 80: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

78

zioso: lo spirito… A loro volta, i laici offrano alle famiglie religiose il prezioso contributo della loro secolarità e del lo-ro specifico servizio”126.

Ma non ci può essere autentica responsabilità dei lai-ci, e quindi una vera corresponsabilità, se in primo luogo non c’è la consapevolezza della propria identità da parte degli stessi laici, e in secondo luogo se non vi è un adegua-to riconoscimento della loro dignità da parte dei sacerdo-ti. A loro vorrei ricordare quel passo del Concilio dove si afferma che “i sacri pastori, infatti, sanno benissimo quan-to contribuiscano i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tut-ta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro magnifico incarico è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misu-ra, all’opera comune”127.

Da qui l’obbligo della formazione (intellettuale, teolo-gico-spirituale e pastorale) dei laici, perché solo laici for-mati possono a loro volta formare comunità cristiane ca-paci di rendere ragione della speranza che è in loro, e ri-spondere della e con la loro fede di fronte alle sfide del no-stro tempo.

Vorrei però sottolineare che la formazione va intesa in una duplice direzione. Se la formazione è un cammino per-manente nella vita di un battezzato, sia laico e sia sacerdo-te, forse è arrivato il momento che, se da un lato i sacerdoti possono, e debbono, nei modi che sono propri al loro mini-stero sacerdotale (direzione spirituale, confessione, omi-letica, etc..) formare i laici, anche i laici possono, nelle co-se che riguardano il mondo e la vita secolare (cultura, fami-glia, affettività, lavoro, legalità, educazione, vita sociale, po-litica), aiutare i sacerdoti nel loro cammino di formazione e

126 Ibid.127 LG, n. 30.

La formazione

dei laici.

Page 81: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

79

di maturazione della propria vocazione. Solo se se ci saran-no laici autenticamente formati, solo se costoro approde-ranno ad una fede adulta, essi potranno aiutare i sacerdoti a conformarsi meglio a Cristo pastore, e viceversa, solo se anche i sacerdoti, nella permanente sequela di Cristo, non smetteranno di formarsi sapranno aiutare i laici a vivere in pienezza e laicamente la loro vocazione battesimale per il bene della Chiesa e per la salvezza del mondo.

Su questa strada appare sempre più necessario e “im-portante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a ma-turare una fede adulta, «pensata», capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo”128. Perché non basta un ruolo e una funzione ecclesiale a con-solidare una vocazione, ma un cammino di fede di conti-nua conversione in dialogo con Dio e con gli uomini. Non basta essere adulti per essere cristiani, ma solo cristia-ni maturi nel senso evangelico potranno essere dei veri adulti, siano essi sacerdoti, consacrati o laici. La vocazio-ne di ciascuno non deve essere una sorta di alibi per abdi-care alla propria maturità umana, ma indispensabile in-grediente per progredire e crescere in essa.

Ma come esercitare fattivamente la corresponsabili-tà? Certamente uno strumento è dato dagli “organismi di partecipazione”129, in modo particolare i Consigli Pasto-rali Parrocchiali e quello Diocesano, che vanno intesi co-me “quei luoghi in cui ci si allena al discernimento spiri-tuale, all’ascolto reciproco, al confronto delle posizioni, fino a maturare, secondo le responsabilità di ciascuno, decisio-ni ponderate e condivise” 130. Purtroppo però come ancora hanno notato i Vescovi italiani, “gli organismi di parteci-

128 Cei, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il primo decennio del 2000, 29 giugno 2001, n. 50.

129 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, cit., n. 12.

130 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 24.

Far maturareuna fedeadulta.

Gli strumentidellacorrespon-sabilità.

Page 82: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

80

pazione ecclesiale e anzitutto i consigli pastorali – diocesa-ni, vicariali, parrocchiali – non stanno vivendo dappertut-to una stagione felice”131.

Questa situazione la riscontriamo anche nella nostra Diocesi, dove se in alcune comunità tali organismi funzio-nano egregiamente, in altre purtroppo non vengono valoriz-zati e utilizzati in modo adeguato, a volte rallentando o para-lizzando molti settori della pastorale. Invece forse è giunto il momento di comprendere che “la consapevolezza del valo-re della corresponsabilità ci impone però di ravvivarli, elabo-rando anche modalità originali di uno stile ecclesiale di ma-turazione del consenso e di assunzione di responsabilità. Di simili luoghi abbiamo particolarmente bisogno per consenti-re a ciascuno di vivere quella responsabilità ecclesiale che at-tiene alla propria vocazione e per affrontare le questioni che riguardano la vita della Chiesa con uno sguardo aperto ai problemi del territorio e dell’intera società. La partecipazio-ne corale e organica di tutti i membri del popolo di Dio non è solo un obiettivo, ma la via per raggiungere la meta di una presenza evangelicamente trasparente e incisiva”132.

Per dare concretezza al cammino di comunione e cor-responsabilità dobbiamo come Chiesa diocesana inter-rogarci e verificare concretamente l’esistenza, la com-posizione e il funzionamento dei nostri Consigli Pastora-li, dando eventualmente indicazioni concrete a riguardo, affinché possano costituire un vero e proprio laboratorio nel quale analizzare, proporre e progettare le varie attivi-tà delle comunità parrocchiali al servizio del territorio. Si tratterà di interrogarci pure sulla consistenza, incidenza e valorizzazione dei diversi “ministeri laicali”, sia quelli isti-tuiti, sia quelli di fatto, sia quelli che si potrebbe immagi-nare, per il futuro, in rapporto alle nuove situazioni che si stanno creando nella nostra amata Diocesi.

131 Ibid.132 Ibid.

Farefunzionare

gli organismidi

partecipazioneecclesiale.

Page 83: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

81

APPARTENENZA AL MONDO.L’indole secolare dei laici

3.1 Nel mondo ma non del mondo

Non basta appartenere alla Chiesa per appartenere a Cristo. Infatti nel mistero di Cristo, oltre al mistero della Chiesa, troviamo a pieno titolo il mistero del mondo. Ap-parteniamo al mondo per due ragioni.

La prima per il semplice fatto che siamo profondamen-te e pienamente uomini, che, con gli altri uomini, sanno di essere radicati in questo mondo e in questa storia. È la creazione che ci radica nel mondo, e l’incarnazione non fa che confermare questo nostro essere-nel-mondo, per-ché Cristo è venuto nella carne del mondo. La seconda ra-gione è legata al fatto che siamo cristiani, cioè inseriti pie-namente in Cristo, nel e per il quale questo mondo è sta-to creato, e che lui stesso, dopo essersi incarnato in esso, ha redento con il suo sangue prezioso.

Quindi apparteniamo al mondo perché apparteniamo a Cristo, il quale per il mondo ha offerto sé stesso. Lo ha fatto non per un mondo “ideale”, ma per “questo” mondo: un mondo ferito dal peccato, un mondo da risanare e da riconciliare con il Padre. In Cristo infatti “Dio ha voluto ri-conciliare a sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, ma affidando a noi la parola della riconciliazione” (2 Cor 5,19). Il mondo è stato redento, e in Cristo ha trova-to finalmente la chiave perché venisse svelato il suo sen-so primo ed ultimo, il suo mistero più profondo. In tal mo-do nel “mistero di Cristo” il mondo smette di essere “pro-blema” e diventa esso stesso “mistero”, cioè realtà che in un certo qual modo torna a parlarci di Dio, a interrogarci per conto di Dio e a Lui portarci.

Il Concilio per sottolineare questa profonda compene-trazione tra Cristo e il mondo afferma che “lo stesso Ver-

3.

Nel misterodi Cristotrova spazioil misterodel mondo.

Page 84: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

82

bo incarnato volle essere partecipe della convivenza uma-na […]. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, vo-lontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e del-la sua regione”133.

Sia la laicità dei fedeli laici una via attraverso la quale ridare al mondo quella dignità che è stata smarrita con il peccato, ma che in Cristo è stata restituita nella sua pie-nezza.

La seconda ragione per cui apparteniamo al mondo è perché apparteniamo alla Chiesa, la quale – come ci ricor-da il Concilio Vaticano II – “prega e insieme lavora perché la pienezza del mondo intero sia trasformata in popolo di Dio, in corpo del Signore e in tempio dello Spirito Santo”134. Non il mondo è per la Chiesa, ma viceversa la Chiesa è per il mondo135. Infatti essa “è mandata a continuare l’opera redentrice di Gesù Cristo, la quale «mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la in-staurazione di tutto l’ordine temporale»”136.

Proprio in quanto Chiesa, è nel mondo che il Signo-re ci manda. E tra i membri della comunità cristiana sie-te proprio voi, cari fedeli laici, ad avere come specifico della vostra vocazione l’animazione cristiana del mondo. Il laico perciò non deve “uscire” dalla Chiesa per “entra-re” nel mondo, ma proprio perché è “nella” Chiesa è già nel mondo, e viceversa è “nella” Chiesa proprio perché è “nel” mondo.

Per questo motivo, appartenere alla Chiesa è apparte-nere al mondo, in quanto tutto ciò che interessa il mondo

133 GS, n. 32.134 LG, n. 17.135 Cfr J.B. Metz, Sulla teologia del mondo, Queriniana, Brescia 1969,

p. 46.136 Cfl n. 15; cfr. AA, n. 5.

Aiutareil mondo

a ritrovarela dignitàperduta.

Page 85: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

83

interessa e sta a cuore alla Chiesa. Sono famose le parole con cui inizia il documento della Gaudium et spes, parole che tutti, sacerdoti, religiosi e laici dovrebbero fare pro-prie, ma che voi, cari fedeli laici dovreste fare vostre più di noi sacerdoti, facendole diventare la fonte a cui ispirare ogni iniziativa pastorale delle parrocchie: “Le gioie e le spe-ranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei pove-ri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gio-ie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cri-sto, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”137.

Mi chiedo se nel cuore dei cristiani ci sia abbastanza posto dove, oltre che accogliere la Parola di Dio nella per-sona di Gesù Cristo, si possano anche ospitare le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei po-veri soprattutto e di tutti coloro che soffrono. O se a volte, in-vece, presi da un individualismo religioso, in nome di Dio abbiamo voltato le spalle all’uomo e al mondo, credendo di fare una cosa buona, pensando di salvarci noi soltanto, in-tendendo e vivendo la fede come una fuga dal mondo.

Al contrario, vorrei ricordare che appartenere alla Chiesa e appartenere al mondo non sono due forme separa-te di appartenenza, ma soltanto due modi diversi di espri-mere l’unica appartenenza: quella che ci rende tutti parte-cipi, Chiesa e mondo, dell’unico mistero di Cristo, in quan-to è in esso che sia la Chiesa e sia il mondo si incontrano e si intrecciano. È ancora la Gaudium et spes a ricordarce-lo quando afferma che questo mondo, che è quello degli uomini, ossia dell’intera famiglia umana, “è caduto, certo, sotto la schiavitù del peccato, ma il Cristo, con la croce e la risurrezione ha spezzato il potere del Maligno e l’ha libera-to e destinato, secondo il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento”138. Non possiamo non fare

137 GS, n. 1.138 Ibid.

L’appartenenzaalla Chiesae al mondoesprimel’unicaappartenenzaa Cristo.

Page 86: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

84

nostro quel mondo che Cristo ha fatto suo, che Dio stes-so, creandoci e salvandoci, ha affidato ora alle nostre ma-ni. Perciò “tutto ciò ch’è umano ci riguarda”139, perché Dio non agisce solo nella Chiesa, ma Egli scrive la sua storia nell’umanità, perché, come ebbe a dire un grande teologo contemporaneo, la storia di Dio è l’umanità140.

Alla luce di tali considerazioni penso ai laici come a uomini e donne della Chiesa poste nel cuore del mondo e uomini e donne del mondo poste nel cuore della Chiesa, per far sì che questi due cuori tornino di nuovo e sempre più a battere all’unisono secondo il progetto di Dio, che vuole fare di Cristo il cuore del mondo. Dio non ci chie-de di amare di meno il mondo per amare di più Lui, ma al contrario di amare di più Lui per amare di più il mon-do, quel mondo che “Dio ha tanto amato da dare suo fi-glio” (Gv 3, 16).

È necessario però che i laici abbiano sempre nel cuo-re la doppia consapevolezza del fatto che sono nel mondo ma non sono del mondo, come ci ricorda Gesù nella sua preghiera sacerdotale, riportata da Giovanni (cfr. Gv 17, 11.14.16). In che senso allora i laici appartengono al mon-do? Nel senso che anche se non sono del mondo, sono co-munque chiamati a operare in esso quale luogo privile-giato nel quale Dio li chiama a rendere testimonianza del suo Vangelo.

Proprio perché “nella incarnazione il mondo è stato in-serito nel mistero di Cristo, esso non è una realtà «nonostan-te la quale» viviamo da cristiani, ma quella attraverso cui viviamo il nostro cammino verso Dio, che non è estraneo al mondo in cui ci ha donato di vivere”141. Il laico non può vi-

139 Paolo VI, Lettera Enciclica Ecclesiam suaam (ES), 6 agosto 1964, n. 101.

140 Cfr. E. sChilleBeeCkX, Umanità, la storia di Dio, Queriniana, Bre-scia 1989.

141 azione CattoliCa italiana, Perché sia formato Cristo in voi. Proget-to formativo, Ave, Roma 2004, cap. IV.

Laici postinel cuore

del mondoe della

Chiesa.

Page 87: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

85

vere la fede come un qualcosa di disincarnato dalle situa-zioni di vita in cui si trova, in quanto “il laico vive nel mon-do, come Gesù che si è fatto uomo assumendo fino in fondo i tratti umani di un’esistenza storica […]. Il mistero dell’in-carnazione ci invita ad abitare in pienezza il nostro tempo, ad essere e a sentirci pienamente cittadini; a prenderci cu-ra dei luoghi, delle realtà, delle persone che ci sono accan-to. Siamo chiamati a non «rendere vana» l’incarnazione di Gesù, attraverso un cristianesimo astratto e intimistico; o un cristianesimo senza umanità, senza storia, senza amo-re per il mondo”142.

Allo stesso tempo anche voi laici in quanto battezzati non siete del mondo in quanto siete estranei a ciò che in es-so è frutto del peccato e che “spinge a pensare la vita pre-scindendo dal disegno di Dio, a ciò che la rende mediocre,la dissipa nella superficialità, e la induce a identificarsi con le cose […]. Questa libertà può trasformarsi in solitudine e anche in persecuzione. È la strada lungo la quale Gesù stes-so ha vissuto e proclamato il suo amore per il mondo e per l’umanità”143. Infatti i discepoli del Signore non si devono aspettare dal mondo onori e riconoscimenti, né consensi o applausi, né possono usare la posizione che occupano nella Chiesa come forma di potere personale. Nell’esple-tare il vostro servizio, non dimenticate mai che la Chie-sa “non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rende-re testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito”144.

Sempre nel Vangelo di Giovanni (15,18-19), Gesù chia-risce il rapporto di distacco da tenere con il mondo quan-do dice: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha

142 Ibid.143 Ivi, p. 47.144 GS, n. 3.

Page 88: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

86

odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Le incomprensio-ni e le persecuzioni del mondo non vi devono scoraggia-re, né devono infiacchire la vostra volontà di annunciare il Cristo, intiepidire il vostro cuore o allentare il vostro ze-lo. Sappiate che “anzi, la Chiesa confessa che molto giova-mento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano”145.

Questo doppio atteggiamento di essere nel mondo sen-za però essere del mondo è stato messo in evidenza in uno degli scritti più antichi della Chiesa, la Lettera a Diogne-to (II secolo), dove si legge un famoso passo ancora og-gi molto attuale. Lo ripropongo nella speranza che pos-sa costituire per tutti i laici della nostra Diocesi un mani-festo a cui ispirare la propria laicità, affinché la loro testi-monianza cristiana nei vari ambiti del mondo in cui si tro-vano a vivere sia sempre incisiva e autentica:

“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini.. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si diffe-renzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uo-mini multiformi, né essi aderiscono ad una corren-te filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel ci-bo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranie-ri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma

145 Ivi, n. 44.

Letteraa Diogneto.

Page 89: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

87

non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono se-condo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi sta-bilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tut-ti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciu-ti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltratta-ti ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevesse-ro la vita. Dai giudei sono combattuti come stranie-ri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio”146.

3.2 I laici, l’avamposto della Chiesa nel mondo

Purtroppo oggi non sempre la Chiesa riesce ad inter-cettare in modo concreto il mondo, i suoi bisogni e le sue domande, né a sua volta il mondo riesce ad incontrare la Chiesa. Ci sono dei luoghi e degli ambienti nei quali la Chiesa non riesce ad arrivare direttamente. Rispetto ad una società che nel passato era fortemente intrisa di reli-giosità, quella nella quale viviamo oggi risulta fortemente secolarizzata, dove sempre più si va diffondendo l’idea se-condo la quale il mondo - la cultura, la scienza, la medicina, la politica, le leggi, l’educazione - può fare a meno del Van-gelo e di Dio. Da più parti, a causa di un laicismo sempre più radicale, si confonde la legittima autonomia del mon-do con la sua totale indipendenza da qualsiasi riferimento al discorso etico-religioso e al trascendente; dove ad uno

146 Lettera a Diogneto, 5.

Il rischiodel laicismo.

Page 90: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

88

stile ispirato al dialogo tra Chiesa e società, tra Chiesa e mondo, si va sostituendo la logica della contrapposizione e dello scontro, per relativizzare le verità della fede e per gettare discredito sull’operato della Chiesa.

Come ha osservato Papa Benedetto XVI, secondo que-sto laicismo “la laicità comporterebbe addirittura l’esclu-sione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc. In base a queste molteplici maniere di concepire la laicità si parla og-gi di pensiero laico, di morale laica, di scienza laica, di po-litica laica. In effetti, alla base di tale concezione c’è una vi-sione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio, per un Mistero che trascenda la pura ragione, per una morale di valore assolu-to, vigente in ogni tempo e in ogni situazione”147.

Questo laicismo tocca tutti, ma in particolare inve-ste il cuore dei giovani che spesso incontrano adulti che, usando la metafora utilizzata da Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della Gio-ventù, sono “senza radici”. In questo stesso messaggio si legge la denuncia del Pontefice quando dichiara che “il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose ana-logie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una for-te corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e ten-tando di creare un «paradiso» senza di Lui. Ma l’esperien-za insegna che il mondo senza Dio diventa un «inferno»: prevalgono gli egoismi, le divisioni nelle famiglie, l’odio tra le persone e tra i popoli, la mancanza di amore, di gio-ia e di speranza. Al contrario, là dove le persone e i popo-li accolgono la presenza di Dio, lo adorano nella verità e ascoltano la sua voce, si costruisce concretamente la civil-

147 Benedetto Xvi, Discorso ai partecipanti al Convegno Nazionale promosso dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani, 9 dicembre 2006.

Il mondodi oggi

è orfanodi Dio.

Page 91: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

89

tà dell’amore, in cui ciascuno viene rispettato nella sua di-gnità, cresce la comunione, con i frutti che essa porta. Vi sono però dei cristiani che si lasciano sedurre dal modo di pensare laicista, oppure sono attratti da correnti religiose che allontanano dalla fede in Gesù Cristo. Altri, senza ade-rire a questi richiami, hanno semplicemente lasciato raf-freddare la loro fede, con inevitabili conseguenze negative sul piano morale”148.

In questo contesto tocca proprio ai laici ricucire questo rapporto tra Chiesa e mondo, tra fede e cultura, tra Van-gelo e storia, e farsi promotori di una “sana laicità”149, la quale da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge mo-rale, a Cristo e alla sua Chiesa, il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale, e, dall’altra, affer-mi e rispetti la legittima autonomia delle realtà terrene, intendendo con tale espressione, come ribadisce il Con-cilio Vaticano II, che “le cose create e le stesse società han-no leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve sco-prire, usare e ordinare”150. I laici sono chiamati a fare que-sto percorrendo la via del dialogo, perché, a differenza di quanti pensano il contrario, Chiesa e mondo sono di-stinti ma non separati. Diceva infatti a tal proposito Pao-lo VI: “questa distinzione non è separazione. Anzi non è in-differenza, non è timore, non è disprezzo. Quando la Chie-sa si distingue dall’umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge”151.

Tale autonomia infatti è una “esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma an-che è conforme al volere del Creatore. Infatti, è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la pro-

148 Benedetto Xvi, Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, 6 agosto 2010, n. 3.

149 Ibid.150 GS, n. 36.151 ES, n. 65.

Ricucire ilrapportotra Chiesae mondo.

Page 92: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

90

pria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscen-do le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte”152. Se, invece, “con l’espressione «autonomia delle re-altà temporali» si volesse intendere che «le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può disporne senza riferir-le al Creatore», allora la falsità di tale opinione non potreb-be sfuggire a chiunque creda in Dio e alla sua trascendente presenza nel mondo creato”153.

Anche nel nostro territorio garganico, nonostante una buona tenuta della religiosità popolare, il laicismo e il re-lativismo sembrano dominare le coscienze, per cui ormai accade che “nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale […]. si incontrano bat-tezzati da risvegliare alla fede, ma anche sempre più nume-rosi uomini e donne, giovani e fanciulli non battezzati, ere-di di situazioni di ateismo o agnosticismo o seguaci di al-tre religioni”154 cui offrire l’annuncio della Parola che sal-va. Tutto questo rappresenta per noi credenti una grande sfida, che esige da parte di tutta la Chiesa una profonda “conversine pastorale”155.

Di fronte a questi nuovi scenari culturali e sociali, che minano alle radici il tessuto religioso della nostra gente, i fedeli laici, investiti dalla responsabilità battesimale, deb-bono vivere con la consapevolezza di essere “l’avamposto della Chiesa” in quelle situazioni nelle quali ai sacerdoti, non solo non compete, ma è oltremodo difficile arrivare. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II: “I fedeli laici si trova-no sulla linea più avanzata della vita della Chiesa; grazie a loro, la Chiesa è il principio vitale della società. Per que-

152 GS, n. 36.153 Benedetto Xvi, Discorso ai partecipanti al Convengo Nazionale

promosso dall’Unione Giuristi Cattolici Italiani, 9 dicembre 2006.154 Cei, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, cit., n. 58.155 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 1.

È necessariauna

“conversionepastorale”.

I laicisi trovanosulla linea

più avanzatadella Chiesa.

Page 93: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

91

sto essi soprattutto devono avere una coscienza sempre più chiara non soltanto di appartenere alla Chiesa, ma di esse-re la Chiesa, cioè la comunità dei fedeli sulla terra”156.

Purtroppo, come ha ricordato il prof. G. Savagnone sia al nostro Convegno Diocesano svoltosi a S. Giovanni Rotondo dal 17-18 settembre 2010, e sia nella sua relazio-ne alla 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani svolta-si a Reggio Calabria, “troppe volte ancora la nostra pasto-rale è affetta da una schizofrenia che da un lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di vice-preti, ignorando la loro dimensione professionale, familiare, po-litica; dall’altro, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una logica puramente secolaristica, per cui essi alimen-tano la loro cultura non attingendo al Vangelo e alla dottri-na sociale della Chiesa, ma ai grandi quotidiani laicisti e alla televisione”157.

Per tale ragione il ruolo dei laici risulta essere davve-ro insostituibile e necessario per la missione della Chie-sa. Questo ruolo appartiene solo al laicato e a nessun al-tro. Nessuno meglio dei laici può fare quello che solo lo-ro, per vocazione e per missione, sono chiamati a fare dal-lo stesso Gesù Cristo. Non solo dunque i laici hanno bi-sogno della Chiesa, ma la Chiesa ha bisogno di uomini e donne che da laici, stando dentro il mondo, sanno porsi come la punta avanzata della Chiesa, cristiani “in prima linea” che sanno, con la vita e le parole, parlare di Dio nel linguaggio degli uomini, in modo da far capire a tutti che Dio non è contro l’uomo, ma per l’uomo, consapevoli che “il linguaggio della testimonianza è quello della vita quo-

156 pio Xii, «Discorso», 20 febbraio 1946: riportato in Cfl, n. 9.157 G. savaGnone, Per un Paese solidale. Chiesa Italiana e Mezzogior-

no. Un documento per il bene comune del Paese. Relazione tenuta alla 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese” (Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010).

La Chiesaha bisognodei laici.

Page 94: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

92

tidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole che dicano l’amore infi-nito di Dio”158.

Rivolgo pertanto un profondo appello ai laici affinché facciano di tutto perchè anche essi sappiano tradurre la Parola di Dio nelle parole dell’uomo, affinché anche l’uo-mo possa di nuovo farsi “parola per Dio”, allo stesso mo-do di come Dio si è fatto, nel Figlio suo, Parola “per” l’uo-mo, “detta” e “donata” nella forma umana. Prendiamo at-to che “spetta al laico saper declinare nelle situazioni seco-lari l’annuncio cristiano. Spetta a lui trovare le parole per comunicare, in modo vero ed efficace, l’unica Parola che sal-va, portare l’annuncio della misericordia e del perdono nella città degli uomini, inserendolo nelle sue leggi, dialogare con le culture in cui è immerso, imparare ad ascoltarle, a met-terle in crisi, a rianimarle alla luce del Vangelo”159.

Questo significa che Dio non vi chiama solo dalle chie-se e nelle chiese, ma in primo luogo vi chiama dal e nel mondo. “Vi trae dall’umanità”160, e vi chiama dal profon-do del mondo e tramite il mondo, per essere carichi di es-so161. Questo aspetto viene ribadito dal Concilio quando afferma che i laici “vivono nel secolo, cioè implicati in tut-ti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie con-dizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esisten-za è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico”162.

In questo modo, non è esagerato dire che è il mondo il luogo dove i laici devono esercitare la propria vocazione

158 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 12.159 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 11.160 Cfr. ES, n. 28.161 Ivi, n. 101.162 LG, n. 31.

Tradurrela Parola

di Dionelle paroledell’uomo.

Page 95: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

93

battesimale. Il mondo cari laici è il vostro “monastero”. Lo ha affermato con forza nella sua esortazione apostoli-ca Papa Giovanni Paolo II laddove scriveva: che “il mondo diventa l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fe-deli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo”163. Pertanto il mondo appartiene ai laici per vocazione, e non solo per fattori riconducibili ai ruo-li o alle funzioni che in esso possono trovarsi a svolgere. Se si toglie il mondo dalla vocazione dei laici, essi non so-lo perdono il mondo a loro affidato dallo stesso Creato-re e Redentore, ma perdono anche la loro stessa vocazio-ne, snaturandola e tradendola. Non è l’incarico che de-ve legare i laici al mondo, ma il loro stesso battesimo. In-fatti, come dice Giovanni Paolo II, i laici “non sono chia-mati ad abbandonare la posizione ch’essi hanno nel mon-do. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo […] ma af-fida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana”164. Per questa ragione chi non vive la di-mensione del mondo in cui si trova da cristiano tradisce il proprio battesimo.

Ma non c’è vocazione senza la Parola di Dio che la rive-la e la illumina. Se ciò è vero, allora questo significa, cari fedeli laici, che il mondo per voi e per le vostre orecchie si fa “parola” attraverso cui Dio vi fa comprendere meglio il messaggio rivelato nella Parola del Figlio, e che spezzia-mo durante la celebrazione eucaristica. In Cristo anche il mondo si fa “parola” che ci rivela qualcosa di Lui. Ed è sempre in voi e tramite voi che il mondo e gli uomini, con le loro storie, le loro gioie e le loro angosce, si fanno pre-ghiera che sale a Dio, il quale non è sordo al grido dei pro-pri figli che lo invocano. Tutto ciò però esige laici che non sappiano (o pretendono di) ascoltare solo Dio, ma anche l’uomo, perché solo chi sa ascoltare l’uomo “impara” ad

163 Cfl, n. 15.164 Ibid.

Il mondoè il luogodella vocazionedei laici.

Portare ilmondonel cuoredi Dio.

Page 96: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

94

ascoltare anche Dio, dopo che la Sua Parola gli ha aperto il cuore, predisponendolo ad accogliere ogni invocazio-ne che dalla carne ferita della storia umana a Lui sale in ogni momento.

E viceversa, più il credente saprà ascoltare Dio, più im-parerà ad affinare l’orecchio per poter cogliere le doman-de che silenziose ogni uomo si porta dentro come nasco-ste a sé stesso e all’ambiente circostante. Chi invece non sa ascoltare Dio non saprà cogliere neanche l’invocazione che di Lui e a Lui, silenziosa, viene dal mondo. Senza que-sto reciproco ascolto che è di vostra competenza, il mon-do resta senza Dio e Dio, ahimè, senza il mondo. Pertanto l’ascolto del mondo sia il banco di prova della vostra capa-cità di ascoltare Dio e la sua Parola, per metterla in prati-ca, secondo il monito dell’apostolo Giacomo: “sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira […]. Sia-te di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta sol-tanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è os-servato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fis-sa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla” (1,19-25) .

Così facendo i fedeli laici possono contribuire a in-carnare, nella storia e nel tessuto della vita umana, la missione della Chiesa, come “sacramento universale di salvezza”165, e in piena comunione con l’intera comunità cristiana vi adoperate per creare occasioni di testimonian-za e di comunicazione del Vangelo per l’uomo di oggi.

E questo perché il mondo ci parla di Dio in ogni situa-zione, anche laddove sembra che non ci sia. Ci parla di Dio anche quando lo nega, lo ignora, lo evita, e pensa di

165 LG, n. 48.

Porsi inascoltodi Dio

e dell’uomo.

Page 97: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

95

poterne far a meno. L’assenza di Dio sperimentata oggi da molti uomini e molte donne, dai giovani in particolare, sia per voi laici non un motivo di giudizio e di condanna per coloro che non credono, ma stimolo a dialogare con essi. La sua assenza sia per voi e per noi sacerdoti un’ulte-riore occasione in cui Egli ci parla e si rivolge a noi, come un appello a sentire dolore per chi non lo conosce ancora. Aiutateci, carissimi fedeli laici, con la vostra sapienza del cuore affinché anche noi sacerdoti possiamo imparare a riconoscere la Parola di Dio che si nasconde tra le maglie delle cose del mondo, tra le vicende degli uomini, tra i lo-ro successi e i loro fallimenti, le loro aspirazioni e le loro domande, le loro cadute e il loro desiderio di ricomincia-re. E questo affinché, diventati strumento della sua pace, possiamo dove è odio, portare Amore, dove è offesa, il Per-dono, dove è discordia, portare Unione, dove è dubbio, la Fe-de, dove è errore, la Verità, dove è disperazione, la Speran-za, dove è tristezza, la Gioia, e dove sono le tenebre, portare la Luce (San Francesco D’Assisi).

Tutto questo esige però discernimento, cioè la capa-cità di “scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla lu-ce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna gene-razione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uo-mini sul senso della vita presente e futura e sulle loro rela-zioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”166. Anche negli Orienta-menti pastorali per il prossimo decennio, i Vescovi hanno di nuovo ribadito che oggi è tempo di discernimento: “È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chie-de di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo: «Quan-do vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Arriva la pioggia’, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite:

166 GS, n. 4.

Dio ciparla anchetramiteil mondo.

Scrutare i segnidei tempi.

Page 98: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

96

‘Farà caldo’, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspet-to della terra e del cielo; come mai questo tempo non sape-te valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giu-sto?» (Lc 12,54-57)”167.

3.3 L’indole secolare dei laici

Il Concilio Vaticano II in più parti ci ha tenuto a sotto-lineare che proprio il rapporto con il mondo è ciò che ca-ratterizza e specifica la vocazione laicale, e lo ha fatto par-lando dell’ indole secolare dei laici, che così viene spiegata: “per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”168.

Paolo VI, a qualche anno di distanza dal Concilio dice-va che i laici “la cui vocazione specifica li pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti temporali, de-vono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evan-gelizzazione […]. Il loro compito primario e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale - che è il ruolo specifico dei pastori - ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già pre-senti e operanti nelle realtà del mondo” 169.

Sia ben chiaro però che tutta la Chiesa, come diceva ancora Paolo VI, “ha un’autentica dimensione secolare, ine-rente alla sua intima natura e missione, la cui radice affon-da nel mistero del Verbo Incarnato, e che è realizzata in for-me diverse per i suoi membri”170. Quindi “tutti i membri del-

167 CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, 28 ottobre 2010, Orien-tamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 7.

168 LG, n. 31.169 paolo vi, Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicem-

bre 1975, n. 70.170 paolo vi, Discorso ai membri degli Istituti Secolari, 2 febbraio

1972; Cfl, n. 15.

Cercare ilregno di Dio

ordinandoil mondo

a Dio.

Page 99: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

97

la Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro «propria e peculiare»”171.

In altre parole, l’indole secolare è propria del laico, ma non nel senso esclusivo, bensì intensivo del termine. Infat-ti i due termini “proprio e peculiare dei laici”, usati dal Con-cilio, stanno a sottolineare che la vita di voi fedeli laici co-stituisce l’ambito privilegiato nel quale si realizza, in mo-do pieno, cioè permanentemente e stabilmente, senza alcun salto o parentesi di sorta, quel rapporto cristiano col mon-do che è proprio di ogni battezzato172.

Pertanto ai laici non è consentito di vivere la propria fe-de come una forma di evasione dalle situazioni in cui si tro-vano a vivere. Dice a riguardo ancora il Concilio: “Sbaglia-no coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadi-nanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi im-mergere talmente nelle attività terrene, come se queste fosse-ro del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consistereb-be, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annove-rata tra i più gravi errori del nostro tempo”173.

171 Ibid.172 LG, n. 31: “Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti,

i membri dell’ordine sacro, sebbene talora possano essere impegna-ti nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può es-sere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini”.

173 GS, n. 43.

Evitareladissociazionetra fedee vita.

Page 100: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

98

Questo significa che se i laici sono responsabili del mondo al pari degli altri, essi lo sono ancor più in quanto cristiani. È nella responsabilità verso il mondo che si gio-ca la nostra stessa salvezza. Lo dice più avanti sempre il Concilio, quando afferma in modo perentorio che “il cri-stiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pe-ricolo la propria salvezza eterna”174.

Tocca pertanto ai fedeli laici saper “tenere insieme san-tità e secolarità”175, ricucendo quello iato che spesso si viene a creare tra fede professata e vita vissuta. Giovan-ni Paolo II ha affermato che nella vita dei laici “non pos-sono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosid-detta «spirituale», con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di fa-miglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura”176.

Pertanto, i laici si sentano sempre in missione e sem-pre chiamati ad esercitare il proprio apostolato non una tantum, ma in modo permanente e nella ferialità, in ogni ambiente e circostanza della vita.

3.4 Dalla vocazione alla missione. L’apostolato dei laici

Non si può essere cristiani senza essere missionari. L’invito ad “annunciare il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), rivolto da Gesù ai suoi discepoli, riguarda tutti i battezzati: sacerdoti e laici. Abbiamo già ricordato che il battesimo non toglie il credente laico dal mondo, ma lo

174 Ibid.175 azione CattoliCa italiana, Perché sia formato Cristo in voi, cit.,

Introduzione.176 Cfl, n. 59.

Tenereinsiemesantità

esecolarità.

Page 101: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

99

consegna ad esso nella veste di missionario. Infatti “i lai-ci, come tutti i fedeli, in virtù del Battesimo e della Confer-mazione, ricevono da Dio l’incarico dell’apostolato; pertan-to hanno l’obbligo e godono del diritto, individualmente o ri-uniti in associazioni, di impegnarsi affinché il messaggio divino della salvezza sia conosciuto e accolto da tutti gli uo-mini e su tutta la terra; tale obbligo è ancora più pressante nei casi in cui solo per mezzo loro gli uomini possono ascol-tare il Vangelo e conoscere Cristo. Nelle comunità ecclesia-li, la loro azione è così necessaria che, senza di essa, l’apo-stolato dei pastori, la maggior parte delle volte, non può rag-giungere il suo pieno effetto”177.

La missione e l’apostolato dei laici derivano diretta-mente dalla loro vocazione. Non sono due elementi che si aggiungono dall’esterno, ma una intrinseca necessità e una naturale esplicitazione della loro stessa vocazione che in esse trova il suo autentico e pieno compimento. In-fatti “la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazio-ne all’apostolato”178. Chi dunque non vive l’apostolato e la missione che gli vengono affidate da Cristo, nella Chiesa e nella società, non realizza la propria vocazione, e di con-seguenza non si realizza né come uomo né come cristia-no. Ogni discepolo è chiamato personalmente, e nessuno può rifiutare di dare la propria risposta personale, igno-rando il monito dell’apostolo che di sé ebbe a dire: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Cor 9,16b).

Perciò invito i laici a non separare la loro vocazione dal-la missione che da essa scaturisce. La prima è il fondamen-to della seconda, come la seconda è il compimento della prima. Cristo infatti chiama il laico (vocazione) per man-darlo (missione) nel mondo. La vocazione rimanda a Co-lui che chiama, e che fin dal suo inizio rende responsabili della missione da svolgere. Affermare che la vocazione è

177 CCC, n. 900.178 AA, n. 2.

La missionedei laicidiscendedallavocazionebattesimale.

Page 102: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

100

la radice di ogni impegno missionario, e che la missione è il compimento di ogni vocazione, fa della missione non un qualcosa che concerne solo l’ambito del fare, ma in primo luogo quello dell’essere, così come considera la vocazione non un privilegio da tenere al sicuro solo per sé – come il protagonista della parabola dei talenti che sotterra il suo unico dono ricevuto –, ma come un dono che, ricevuto gra-tuitamente, allo stesso modo va ridonato, immettendolo nel circuito della Chiesa e del mondo.

L’apostolato dei laici non è affatto una concessione del-la gerarchia, ma in primo luogo un diritto che scaturisce dalla vocazione battesimale. Infatti “i laici derivano il do-vere e il diritto all’apostolato dalla loro stessa unione con Cristo capo. Inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzo del battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mez-zo della cresima, sono deputati dal Signore stesso all’aposto-lato. Vengono consacrati per formare un sacerdozio regale e una nazione santa (cfr. 1 Pt 2,4-10), onde offrire sacrifici spirituali mediante ogni attività e testimoniare dappertut-to il Cristo. Inoltre con i sacramenti, soprattutto con quello dell’eucaristia, viene comunicata e alimentata quella cari-tà che è come l’anima di tutto l’apostolato”179.

Pertanto l’apostolato dei laici non va visto come una semplice forma di partecipazione in risposta ad una de-lega gerarchica – anche se ovviamente per agire in no-me della Chiesa è necessario ottenere l’autorizzazio-ne della gerarchia –, ma il diritto e il dovere, in quanto membri della Chiesa, di portare avanti azioni apostoli-che proprie.

Nel loro apostolato i laici non rispondono solo al Vesco-vo, il quale, in quanto Pastore della comunità conferisce il mandato, né solo ai presbiteri, ma a Cristo stesso che ad essi ha affidato il compito di animare cristianamente quel-le attività secolari che già svolgono. Per spiegare meglio

179 Ivi, n. 3.

L’apostolatodei laici

non è unaconcessione

dellagerarchia.

Page 103: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

101

il ruolo dei laici possiamo richiamare le tre metafore del Vangelo: il sale, la luce e il lievito180.

La metafora del sale è ricca di spunti se la riferiamo ad un periodo storico, come quello nostro, dove sperimentia-mo la crisi dei significati, la crisi di senso che toglie sapo-re e ragione ai grandi valori, alle cose semplici, alle perso-ne, alle relazioni familiari ed interpersonali, alle virtù, alle scelte autentiche di onestà e legalità. Un contesto sociale e culturale dove sempre più spesso vediamo intorno a noi persone demotivate, disorientate perché senza una meta, senza identità, o con una identità che appare loro sfilacciata e frantumata. A queste persone il mondo e la vita appaiono come prive di sapore, prive di una ragione capace di dare senso, perché senza un fine e senza un perchè. È in questa “terra” per molti desolata, dominata dal nichilismo, e tutta-via proprio per questo affamata di senso e di Dio, di Verità e di Bellezza, che i laici sono chiamati ad essere “sale”.

Sappiamo che la funzione del sale è dare sapore al ci-bo e conservare gli alimenti. Alla luce di tali riferimenti i laici da un lato sono chiamati a dare sapore a tutto ciò che è umano: alla vita, alle relazioni, al lavoro, alla città, alle istituzioni, dall’altro, in una società che vuole rinnegare le radici cristiane che le sono proprie e in un mondo ten-tato dall’ateismo e dall’indifferenza religiosa, il loro com-pito è conservare il deposito della fede, preservare se stes-si dalla corruzione, in modo che nei flutti del cambiamen-to e nelle peripezie dell’esistenza possiate dar stabilità e continuità alle proprie scelte. È il compito molto arduo della perseveranza.

Per quanto riguarda la metafora della luce, essa ci di-ce che, senza cadere in forme di esibizionismo e di osten-

180 A. BaGnasCo, Logos e agape. Intelligenza della fede e trasformazio-ne della società. Prolusione tenuta alla 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speran-za per il futuro del Paese” (Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010).

I laicisonosale dellaterra...

... lucedel mondo.

Page 104: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

102

tazione, i laici sono chiamati – in famiglia, nella società civile, sul lavoro, in politica, nelle scelte economiche – a non nascondere la propria fede, a non avere paura di ren-dere testimonianza alla Verità, a non restare in silenzio nell’agone del confronto culturale, ma a rendere ragione della speranza di cui sono portatori (cfr. 1 Pt 3,15), facen-do sentire, sulle grandi questioni e i grandi problemi del nostro tempo, anche il punto di vista cristiano, in modo che gli uomini, sentendoli annunciare il Vangelo, ma so-prattutto vedendo le loro opere buone, possano glorificare il Padre che è nei cieli (cfr. Mt 5,16).

Infatti l’apostolato del laicato “non consiste soltanto nel-la testimonianza della vita; il vero apostolo cerca le occasio-ni per annunziare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli ed indurli ad una vita più fervente […]. Siccome in questo nostro tempo nascono nuove questioni e si diffondono gra-vissimi errori che cercano di distruggere dalle fondamenta la religione, l’ordine morale, e la stessa società umana, esor-tiamo vivamente tutti i laici, perché, secondo le doti di in-gegno e la dottrina di ciascuno e seguendo il pensiero della Chiesa, adempiano con più diligenza la parte loro spettan-te dell’enucleare, difendere e rettamente applicare i princì-pi cristiani ai problemi attuali”181.

Sappiamo però che non si può mai essere luce per gli al-tri se noi stessi non restiamo attaccati a Colui che di sé ha detto “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammi-nerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12).

Così se il sale dà sapore nei momenti di appiattimen-to e di banalizzazione di tutto, la luce dà chiarore nei mo-menti bui della vita, e calore nei momenti di aridità e di incomprensibile silenzio, dove anche Dio, avvertito co-me lontano, a volte sembra tacere. Pensando poi in modo particolare ai giovani, mi rivolgo loro con le stesse paro-

181 AA, n. 6.

Page 105: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

103

le con cui si rivolse Papa Giovanni Paolo II nel 2001, nel suo Messaggio per la XVII Giornata Mondiale per la Gio-ventù di Toronto: “Nel contesto attuale di secolarizzazione, in cui molti dei nostri contemporanei pensano e vivono co-me se Dio non esistesse o sono attratti da forme di religio-sità irrazionali, è necessario che proprio voi, cari giovani, riaffermiate che la fede è una decisione personale che im-pegna tutta l’esistenza. Il Vangelo sia il grande criterio che guida le scelte e gli orientamenti della vostra vita! Diven-terete così missionari con i gesti e le parole e, dovunque la-voriate e viviate, sarete segni dell’amore di Dio, testimoni credibili della presenza amorosa di Cristo. Non dimentica-te: «Non si accende una lucerna per metterla sotto il mog-gio» (Mt 5,15)!”182.

Per quanto riguarda invece la metafora del lievito, es-sa è stata utilizzata dal Concilio Vaticano II per sottoline-are il fatto che i laici devono animare cristianamente la so-cietà dal di dentro, e non sovrapponendosi o contrappo-nendosi ad essa: “i fedeli laici sono da Dio chiamati a con-tribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santi-ficazione del mondo mediante l’esercizio della loro funzio-ne propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in que-sto modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmen-te con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità”183.

Il lievito aiuta a crescere e a sviluppare le potenzialità nascoste del mondo. Questo significa che non bisogna ve-dere tutto nero, fermandosi solo alle ombre e alle cose ne-gative, altrimenti si potrebbe apparire più “disperati” de-gli altri, incapaci di leggere dietro le vicende, a volte con-torte e problematiche dell’uomo, il disegno di Dio, il qua-le con Provvidenza guida la storia. Il credente invece, e

182 Giovanni paolo ii, Messaggio per la XVII Giornata Mondiale per la Gioventù, 25 luglio 2001.

183 Cfl n. 15; cfr. LG, n. 31.

...lievitonella pasta.

Page 106: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

104

in particolare i laici, alla luce della Parola di Dio, e ispira-ti dalla preghiera, devono essere come Abramo, il quale “ebbe fede, sperando contro ogni speranza (contra spem, in spem credidit)” (Rm, 4,18).

Devono cioè saper individuare le risorse nascoste dell’uomo, e tutti quei fattori positivi che come “semi del Verbo” sparsi nel mondo, sono presenti anche oggi, e che possono costituire un richiamo a non disperare e a non scoraggiarsi, ma a lavorare perché il Regno dei cieli, che è già presente in mezzo a noi, possa crescere sempre più. Se i laici si mostreranno fiduciosi dell’uomo, trasmette-ranno l’immagine del vero Dio biblico, il quale, al di là dei peccati si fida dell’uomo, anche quando sbaglia, perché Egli – che conosce il nostro cuore (cfr. Sal 139) e che sa di che siamo plasmati (cfr. Sal 102) – sa pure che, se aiu-tato, prima o poi quest’uomo fa ritorno a Lui.

Questo atteggiamento di fiducia nell’uomo deve met-tere noi credenti nella condizione di partire non da ciò che ci divide da coloro che la pensano diversamente dal-la nostra visione cristiana, ma da ciò che ci unisce, al fine di individuare quei valori condivisi sui quali si può inizia-re a costruire una base per una efficace evangelizzazio-ne, tramite la quale speriamo di aiutare tutti a compren-dere che “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo”184.

Per questa loro peculiare posizione nel cuore del mon-do e in ragione di questa loro vocazione, per i laici non si tratta di restringere il proprio campo di azione, ma di allar-garlo, non di diminuire la loro presenza, ma di rafforzarla, non di renderla un’appendice, ma di considerarla cruciale ed essenziale, affinché la nostra Chiesa diocesana possa svolgere la propria missione specialmente in quei settori nei quali solo i laici possono arrivare, e che pertanto i sa-cerdoti riconoscono essere di loro competenza.

184 GS, n. 41.

Aiutarel’uomo

ad esserepiù uomo.

Page 107: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

105

Questo nuovo scenario non richiede “minore zelo da parte dei laici; anzi le circostanze odierne richiedono asso-lutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso. Infatti [tali cambiamenti] non solo hanno allargato straor-dinariamente il campo dell’apostolato dei laici, in gran par-te accessibile solo ad essi, ma hanno anche suscitato nuovi problemi, che richiedono il loro sollecito impegno e zelo. Ta-le apostolato si è reso tanto più urgente, in quanto l’autono-mia di molti settori della vita umana si è assai accresciu-ta, com’è giusto; ma talora ciò è avvenuto con un certo di-stacco dall’ordine etico e religioso e con grave pericolo del-la vita cristiana”185.

Devo però ricordare a tutti, sacerdoti e laici, che an-che se la parrocchia resta cruciale e centrale per l’eser-cizio dell’apostolato laicale, essa non costituisce il luogo esclusivo di tale servizio. Il loro apostolato è in primo luo-go propriamente indirizzato al mondo secolare, e lì deve essere svolto. Come afferma il decreto conciliare Aposto-licam Actuositatem i laici “devono assumere il rinnovamen-to dell’ordine temporale come compito proprio”186.

A tal proposito faccio mio l’appello rivolto ai parroci dal giornalista Paolo Giuntella: “ecco, vorrei dire a preti e pa-stori: non continuate a considerare i laici dei collaboratori. Ma non rinchiudeteli neppure nelle vostre sacrestie, nei vo-stri locali parrocchiali. Non favorite la crescita di laici ad-domesticati, untuosi, più realisti del re. Sarebbe un’inuti-le illusione prima della disfatta. Questi finti laici, vicepar-roci mancati, non vi sarebbero d’aiuto neppure a conserva-re le trentasette pecorelle rimaste nell’ovile, mentre la peco-rella smarrita non è più sola: oramai sono almeno sessan-tatre quelle smarrite, altro che novantanove ben conserva-te al rassicurante calduccio dello stazzo. Chiedete ai laici di non passare troppo tempo in parrocchia, di cercare la pro-

185 AA, n. 1.186 AA, n. 7.

Il mondoè illuogoprivilegiatodell’apostolatodei laici.

Page 108: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

106

pria santità fuori dal tempio, nella piazza del mercato, tra pubblicani, e magari in Samaria”187.

Pertanto, non si confonda l’esercizio dei ministeri con l’apostolato, risolvendo questo in quello. Mentre i mini-steri sono i servizi che i laici sono chiamati a svolgere nella Chiesa, e in stretta collaborazione con la gerarchia, l’apostolato è quello che essi sono chiamati a svolgere nel mondo e fuori dalla Chiesa. Il Concilio Vaticano II parla di due forme di corresponsabilità. La prima fa riferimen-to all’azione da svolgere fuori dalla Chiesa: “i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chie-sa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, per ragione degli stessi doni ricevuti, è testimonio e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa «secondo la misura con cui Cristo gli ha dato il suo dono» (Ef 4,7)” 188.

La seconda fa riferimento alle varie attività da svolge-re nella Chiesa: “oltre a questo apostolato, che spetta a tut-ti i fedeli senza eccezione, i laici possono anche essere chia-mati in diversi modi a collaborare più immediatamente coll’apostolato della Gerarchia a somiglianza di quegli uo-mini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evange-lizzazione, faticando molto per il Signore (cfr. Fil 4,3; Rm 16,3ss.)”189. E questo riguarda l’istituzione di alcuni mi-nisteri laicali.

Per queste ragioni è oltremodo necessario che i laici evi-tino il rischio per il quale, per svolgere alcuni ministeri al fianco della gerarchia, possano disattendere al loro proprio impegno sotto forma di apostolato in quegli ambienti di vi-ta e di lavoro in cui si trovano per la loro condizione seco-

187 P. Giuntella, Strada verso la libertà. Il cristianesimo raccontato ai giovani, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 2004, p. 45.

188 LG, n. 33.189 Ibid.

Noncircoscrivere

l’apostolatodei laici

nella solaparrocchia.

Page 109: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

107

lare. Non si tratta di separare ministeri e apostolato, ma di tenere unite le due dimensioni senza che l’una sia di osta-colo all’altra, nella consapevolezza che tutta la vita dei lai-ci è missione ed evangelizzazione, e che ambedue trovano nella Celebrazione Eucaristica la “fonte e il culmine della vi-ta cristiana”190. È da essa infatti che scaturisce l’apostolato laicale attraverso il mandato che dal sacerdote si riceve al-la fine della celebrazione, ed è in essa che i laici attingono la forza e l’entusiasmo per continuare a vivere senza sosta e tra le mille difficoltà della vita la sequela di Cristo.

Come ci ha ricordato Giovanni Paolo II, è “dalla per-petuazione nell’Eucaristia del sacrificio della Croce e dalla comunione col corpo e con il sangue di Cristo che la Chiesa trae la necessaria forza spirituale per compiere la sua mis-sione. Così l’Eucaristia si pone come fonte e insieme come culmine di tutta l’evangelizzazione, poiché il suo fine è la comunione degli uomini con Cristo e in Lui col Padre e con lo Spirito Santo”191.

3.5 Gli ambiti della missione dei laici

Da sempre la Chiesa è stata missionaria, affrontando le sfide proprie di ogni periodo storico. Tuttavia oggi i tem-pi sono cambiati e ci sono nuove sfide da affrontare, sfi-de che ridisegnano il ruolo missionario di tutta la Chiesa, delle parrocchie in primo luogo, e quindi anche dei laici. Di fronte ai grandi cambiamenti del nostro tempo, come Chiesa tutta, laici, religiosi e sacerdoti, abbiamo bisogno di passare da una pastorale di conservazione dell’esisten-te a una pastorale missionaria192.

190 Ivi, n. 11; CCC, n. 1322.191 EE, n. 22.192 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 1.

L’Eucaristiasorgentedell’apostolato.

Per unapastoralemissionaria.

Page 110: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

108

Nel tentare di delineare gli ambiti in cui invito i laici a esercitare la propria specifica missione, desidero ripro-porre alcuni punti che in questi ultimi anni l’Episcopato Italiano ha evidenziato come prioritari. Prendendo spun-to dal Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona e dai pun-ti riportati nel documento finale possiamo enuclearli nel modo seguente193:

La vita affettiva- Il lavoro e la festa- La fragilità umana- La cittadinanza.-

Di questi prenderò, per sottoporli brevemente alla at-tenzione di tutti, solo alcuni. Inoltre non possiamo igno-rare il magistero di Papa Benedetto XVI, il quale tra i tan-ti temi ha richiamato la nostra attenzione sulla questione della sfida educativa, problema questo che è stato scelto dai Vescovi italiani quale tema pastorale degli Orienta-menti pastorali per il decennio 2010-2020 dal titolo Edu-care alla vita buona del Vangelo appena pubblicati nel me-se di ottobre.

a) La vita affettiva. Ricucire le relazioniUna delle più grandi sfide che come Chiesa dobbiamo

affrontare è quella che riguarda la lacerazione delle rela-zioni, lo sfilacciarsi dei legami interpersonali che sem-pre più stanno diventando fragili e vulnerabili. Lo hanno ricordato i Vescovi italiani quando hanno dichiarato che “in un contesto che spesso conduce alla dispersione e all’ari-dità, cresce per contrasto l’esigenza di legami «caldi»: l’ap-partenenza è affidata ai fattori emozionali e affettivi, men-tre i rapporti risultano limitati e impoveriti”194.

193 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 12.194 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 2.

Gli ambitidella

missionedei laici.

Page 111: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

109

E questo a vario livello: dalla famiglia, dove la crisi del legame di coppia incide poi negativamente sul ruolo della genitorialità, sui legami con i figli e su quelli che intercor-rono tra i figli stessi, fino alle relazioni sociali che, piutto-sto che ispirarsi alla solidarietà e alla condivisione, spes-so sono caratterizzate da indifferenza e reciproco sospet-to. Alla base di tali fenomeni dobbiamo riconoscere che la sfida che ci sta dinanzi riguarda quello che alcuni analisti hanno designato come analfabetismo affettivo.

In questo anche noi cristiani abbiamo la nostra respon-sabilità, in quanto abbiamo lasciato agli altri il complesso campo dell’affettività umana, permettendo spesso con il nostro silenzio che si diffondessero a riguardo idee distor-te e malsane, omettendo di annunciare il Vangelo della te-nerezza di Dio che nel vasto campo dell’amore umano ha molte verità da dire. E chi meglio di voi, cari fedeli laici, che – in qualità di sposi, di padri e madri, di figli, di nonni, di amici, di cittadini, di educatori – siete nell’amore uma-no in prima linea implicati, può comunicare il Vangelo per-ché ne venga illuminato il mistero e la dignità?

La fragilità delle relazioni interessa in modo particola-re il mondo dei giovani, tanto che Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della Gio-ventù, che si svolgerà il prossimo anno a Madrid, ha detto che “in ogni epoca, anche ai nostri giorni, numerosi giova-ni sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le perso-ne siano vissute nella verità e nella solidarietà. Molti mani-festano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amici-zia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice”195.

Di fronte a tali nuove sfide il compito che spetta ai lai-ci è quello di “comunicare il Vangelo dell’amore nella e at-

195 Benedetto XVI, Messaggio per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, (6 agosto 2010), n. 1.

La sfidadell’anal-fabestismoaffettivo.

Fragilitàdelle relazioni.

Page 112: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

110

traverso l’esperienza umana degli affetti, mostrando il vol-to materno della Chiesa, accompagnando la vita delle per-sone con una proposta che sappia presentare e motivare la bellezza dell’insegnamento evangelico sull’amore, reagendo al diffuso «analfabetismo affettivo», con percorsi formativi adeguati e una vita familiare ed ecclesiale fondata su rela-zioni profonde e curate”196. Pertanto i laici sono chiamati a trovare le strade giuste affinché si evangelizzi l’amore umano aprendolo all’amore di Dio che autentica ed eleva il desiderio di amore di ogni persona.

Se “dagli affetti la persona viene generata nella sua iden-tità e attraverso le relazioni costruisce l’ambiente sociale”197, allora è chiaro che non si può richiedere alle persone che vivono drammi affettivi un’adesione serena al Vangelo. Il loro complicato percorso umano finisce per rendere più problematico lo stesso percorso di fede, e difficile la vo-stra evangelizzazione nei loro confronti. Questo aspetto, in primo luogo, chiede ai laici di porsi in atteggiamento di ascolto, attenzione, premura, per poter accompagna-re le persone in difficoltà, perché queste possano, con il loro aiuto – fatto con discrezione e alla luce del Vange-lo – risanare i sentimenti, fare chiarezza nei propri affet-ti e mettere ordine nelle proprie emozioni. Solo su questo terreno umano ricomposto, soltanto dopo questa promo-zione umana si può seminare in modo più abbondante la Parola del Signore e rendere efficace l’opera della evan-gelizzazione.

Alla luce di tali considerazioni invito i laici a prendersi cura in primo luogo della famiglia, la quale, in quanto “luo-go fondamentale e privilegiato dell’esperienza affettiva”198, va promossa e sostenuta quale palestra di ogni affettività

196 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 12.197 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,

cit., n. 9.198 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 12.

Accompagnarele persone

in difficoltà.

Page 113: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

111

ordinata ed equilibrata, affinché possa tornare ad esse-re comunità che mette al centro il valore e la dignità della persona. Nessuno può assolvere a questo compito meglio dei laici, che in qualità di sposi e genitori sono per voca-zione chiamati a dare questa impronta alla propria e all’al-trui famiglia. Si avvalgano in questa loro opera del magi-stero della Chiesa, in modo particolare della esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, che in questo campo costituisce una vera e propria miniera al-la quale ispirarsi continuamente per ridare dignità alla fa-miglia nell’attuale contesto sociale.

La famiglia sia al centro anche della pastorale parroc-chiale e diocesana, in quanto è essa che costituisce “il sog-getto centrale della vita ecclesiale, grembo vitale di educa-zione alla fede e cellula fondante e ineguagliabile della vita sociale”199. Oggi, proprio perché spesso i ritmi della vita familiare sono tali da impedire un incontro costante e fe-condo con quelli della vita parrocchiale, molte famiglie si allontanano dalle nostre comunità, e con esse hanno solo un rapporto occasionale e saltuario, superficiale, limita-tamente a certi servizi che sanno più di consumismo reli-gioso che di maturazione di una fede adulta.

Questa situazione esige un cambiamento di rotta, e “ri-chiede un’attenzione pastorale privilegiata per la sua forma-zione umana e spirituale, insieme al rispetto dei suoi tempi e delle sue esigenze. Siamo chiamati a rendere le comuni-tà cristiane maggiormente capaci di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate e di quelle forzatamente separate a causa dell’emigrazione, prendendoci cura con tenerezza di ogni fragilità e nel con-tempo orientando su vie sicure i passi dell’uomo”200.

Alla luce di tali considerazioni ritengo che si possa pen-sare per la famiglia a due forme di apostolato laicale.

199 Ibid.200 Ibid.

La Famigliapalestradi ogniaffettività.

Page 114: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

112

La prima la possiamo definire come apostolato “alle” famiglie, che consiste essenzialmente nell’impegno a for-mare e sostenere famiglie e matrimoni sani. Tale esigen-za emerge dal fatto che anche da noi sono sempre più le esperienze di matrimoni civili, o di matrimoni che finisco-no con un divorzio. La seconda la possiamo definire apo-stolato “della” famiglia, intendendo con ciò l’impegno del-le coppie e delle famiglie a svolgere in qualità di famiglia un apostolato, aiutando il proprio prossimo e gli amici at-traverso il buon esempio e la parola.

Ma “la dimensione degli affetti non è esclusiva della fa-miglia e del cammino che a essa conduce; gli affetti inner-vano di sé ogni condizione umana e danno sapore amica-le e spirituale a ogni relazione ecclesiale e sociale. Educare ad amare è parte integrante di ogni percorso formativo, per ogni vocazione di vita e di servizio”201. Oltre che in famiglia, ai laici spetta il compito di lavorare, oltre che nella cate-chesi, anche in altre agenzie educative, come la scuola, e nei molteplici canali che sono propri del loro modo di co-municare il Vangelo oggi, allo scopo di poter coniugare in-sieme “educazione alla fede” ed “educazione affettiva”.

Per questo motivo nelle parrocchie, in ogni forma di ca-techesi e di annuncio, si dia spazio alla “educazione alla af-fettività” di cui parte integrante deve essere una corretta “educazione sessuale”, soprattutto se ci si rivolge agli ado-lescenti e ai giovani, che sono i più esposti a visioni sba-gliate che riducono l’amore umano a semplice emozione, o peggio a solo scambio dei corpi. Ma poiché la fragilità affettiva abbraccia tutte le età, questo aspetto non venga focalizzato solo in vista del matrimonio, durante i corsi di preparazione dei fidanzati, ma diventi una proposta edu-cativa permanente da inserire nel cammino di fede degli adulti, finalizzata alla prevenzione di forme sbagliate di affettività che si rivelano poi essere la causa della rottu-

201 Ibid.

Apostolato“alle” famiglie

...apostolato“della” famiglia.

Educazionealla “fede”

ed educazione“affettiva”.

Page 115: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

113

ra di molti legami interpersonali a vario livello. Una affet-tività disordinata e oscurata dal peccato difficilmente si apre ad accogliere l’affetto di Dio per l’uomo.

Questo significa che più di tutti i laici sono chiamati a lavorare per ricucire le relazioni, consapevoli che la rela-zione “trova nel mistero della comunione trinitaria la sua radice e la sua forma. L’incontro con il mistero della comu-nione che c’è tra le tre divine Persone, da una parte ci rivela il senso unitario della vita e ci riscatta dal peccato, dall’al-tra fonda l’intera rete di relazioni che segnano la vita di ognuno di noi”202.

La prima relazione da rifondare è quella con Dio, con-sapevoli che essa costituisce “il fondamento originario e il modello liberante di ogni altra relazione umana - dalla relazione con noi stessi, a quella con gli altri fratelli e so-relle e con la natura -, conferendole un senso pieno e un va-lore autentico. Dobbiamo, pertanto, ritrovare il senso ulti-mo del nostro incontro con Dio in Cristo nel cuore stesso di ogni apertura relazionale, a cominciare da quella relazio-ne riflessiva, dell’io con sé stesso, dalla quale dipende la no-stra identità personale, per arrivare alla relazione con gli altri nella fraternità universale e a quella con il creato affi-dato alle nostre mani”203.

Solo su questa scia si può tornare a ricostruire la re-lazione con sé stessi e con gli altri, coniugando l’istanza della propria identità con quella dell’alterità, l’essere del-la persona con la dimensione comunitaria che la contrad-distingue.

b) La fragilità umana tra vecchie e nuove forme di povertàHanno scritto i Vescovi italiani: “In un’epoca che col-

tiva il mito dell’efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni della fragilità uma-

202 Cei, “Fare di Cristo il cuore del mondo”, cit., n. 11.203 Ivi, n. 12.

La relazionetrinitariamodellodi ognirelazioneumana.

Page 116: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

114

na sono spesso nascoste ma nient’affatto superate. Il loro ri-conoscimento, scevro da ostentazioni ipocrite, è il punto di partenza per una Chiesa consapevole di avere una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolez-za delle diverse forme di sofferenza, della precarietà, del li-mite, della povertà relazionale”204.

L’annuncio evangelico dei laici sia perciò affianca-to da iniziative al servizio delle persone fragili, aprendo le parrocchie alle esigenze del territorio, e, laddove fos-se necessario, anche adattando i percorsi educativi, allo scopo di “potenziare la cooperazione e la solidarietà, dif-fondere una cultura e una prassi di accoglienza della vita, denunciare le ingiustizie sociali, curare la formazione del volontariato”205.

Invito i laici ad esprimere con la loro competenza “la fan-tasia della carità”, consapevoli che “l’amore – «caritas» – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnar-si con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eter-no e Verità assoluta”206.

Si impegnino i laici in modo particolare nei confron-ti degli ultimi, mostrando, con estrema delicatezza, il do-vuto riguardo “alla libertà e dignità della persona che ri-ceve l’aiuto; la purezza d’intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di domi-nio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, per-ché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non solo gli effetti, ma pure le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in modo tale che colo-ro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e divengano autosufficienti”207.

204 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 12.205 Ibid.206 Civ, n. 1.207 AA, n. 8.

Parrocchieaperte alle

esigenzedel territorio.

Page 117: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

115

Non ci sia separazione tra celebrazione liturgica ed esercizio concreto della carità, in quanto come ci ha ricor-dato il Papa Benedetto XVI “praticare l’amore appartiene all’essenza della Chiesa tanto quanto il servizio dei sacra-menti e l’annuncio del Vangelo”208. Lasciare Dio per il po-vero è “lasciare Dio per Dio” (San Vincenzo de Paoli), per-ché “ciò che fai a lui, lo fai a Dio. E il modo in cui guardi il povero è lo stesso con cui guardi Dio” (Mons. Romero). Questo significa che accanto all’esercizio personale della carità, che coinvolge ciascuno individualmente, ci sia an-che quello squisitamente “ecclesiale”, cioè di tutta la co-munità. Per questo la carità intesa come attenzione ai po-veri sia l’anima e il cuore di tutta la pastorale.

Sulla scia di Gesù i laici, sostenuti dai loro pastori, di fronte alle vecchie e nuove forme di povertà, sono chiama-ti ad “annunciare ai poveri un lieto messaggio […], a pro-clamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di gra-zia del Signore” (Lc 4,18).

c) La cittadinanza. L’impegno dei laici nel sociale e in politicaAnche se a volte la società civile ci ignora, o sembra

che possa andare per conto proprio, quasi a voler fare a meno dei cristiani, come Chiesa siamo chiamati continua-mente a dialogare con essa a tutti i livelli. La città non è estranea all’azione salvifica di Dio. Essa rientra pienamen-te nel quadro teologico che fa da base all’impegno missio-nario della Chiesa. Come ha sostenuto il prof. Luca Dio-tallevi nel Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, “nel quadro del grande rilievo che la vita sociale ha nella econo-mia della salvezza (cfr. Gaudium et spes, nn. 23-32), trova senz’altro adeguata collocazione lo specifico spessore teolo-

208 Dce, n. 22.

RiconoscereDionei poveri.

Lo spessore“teologico”della città.

Page 118: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

116

gico della città, espresso innanzitutto dal ricco e multifor-me riferimento delle Scritture sante a questa realtà, dal li-bro del Genesi a quello dell’Apocalisse, sino a rappresenta-re il regno compiuto in forma di città – la Gerusalemme ce-leste – piuttosto che di tempio (Ap 21,10ss)”209.

Per tale fondamento teologico non è sbagliato afferma-re che lavorare per il Regno di Dio è lavorare contempo-raneamente per la costruzione di città a misura d’uomo, nel rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, e nella ricerca del bene comune, in quanto questa città fa parte integrante di quel Regno inaugurato da Cristo, e per il quale siamo chiamati a lavorare. Que-sto aspetto emerge sempre da un passo molto importan-te del Concilio Vaticano II laddove si legge che “la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo sacramento, ossia il segno e lo strumento – non solo – dell’intima unione con Dio – ma an-che – dell’unità di tutto il genere umano”210.

E in questo impegno per la città ancora una volta sono proprio i laici ad essere in prima linea. Infatti “l’apostola-to dell’ambiente sociale, cioè l’impegno nel permeare di spi-rito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le struttu-re della comunità in cui uno vive, è un compito e un obbligo talmente proprio dei laici, che nessun altro può mai debita-mente compierlo al loro posto. In questo campo i laici posso-no esercitare l’apostolato del simile verso il simile. Qui com-pletano la testimonianza della vita con la testimonianza del-la parola. Qui nel campo del lavoro, della professione, dello studio, dell’abitazione, del tempo libero o delle associazioni sono i più adatti ad aiutare i propri fratelli”211.

209 L. diotallevi, La questione della cittadinanza e la speranza cri-stiana oggi. Un’introduzione al discernimento per l’ambito della cittadinanza. Relazione tenuta al Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006).

210 LG, n. 1.211 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 13.

Costruirecittà a

misuradì’uomo.

Page 119: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

117

Il senso di cittadinanza deve essere considerato par-te integrante dell’identità del credente, in quanto essa vie-ne riconosciuta dalla stessa Parola di Dio quando afferma: “rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22,21; Mc 12, 17; Lc 20,25). Se analizziamo meglio questo passo del Vangelo notiamo che il verbo usato non è “dare” ma “rendere”. Noi, in fondo non diamo nulla se non ciò che a nostra volta abbiamo ricevuto da Dio nella forma del dono, nella consapevolezza che “ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17). Pertanto, se Dio ci ha creati e salvati senza averlo meritato, noi siamo in “debito” con Lui. Ora il “debito” con-tratto nei riguardi di Dio, per averci creati e redenti gratui-tamente, fonda il nostro “debito” nei confronti dei fratelli a noi più prossimi, considerati sia come singole persone (i le-gami corti “a tu per tu”) e sia come comunità (i legami lun-ghi delle relazioni sociali e politiche), cioè come città.

Vivere da credenti la propria cittadinanza in modo co-struttivo, esercitando la propria responsabilità verso la pro-pria città, è l’unico modo che i laici hanno per sdebitarsi nei confronti di Dio. È rendendo a Cesare quel che è di Cesare – pagando il debito della responsabilità verso gli altri – che si rende a Dio quel che è di Dio, pagando in un certo qual modo il nostro debito nei suoi confronti. In definitiva è rispondendo agli altri, alla città, che si risponde a Dio. Coloro che divido-no queste due responsabilità, contrapponendole e collocan-dole su due piani diversi, finisce per comportarsi come “que-gli osservatori” che furono mandati dagli scribi e dai sommi sacerdoti con l’intento di cogliere in fallo Gesù e “consegnar-lo all’autorità e al potere del governatore” (Lc 20, 20).

Tutto questo va vissuto nello spirito delle Beatitudini, cioè come operatori di giustizia e di pace, che, confidan-do solo in Dio perchè “poveri in spirito”, sanno contrap-porre la mitezza alla violenza e alla prevaricazione, sen-za perseguitare nessuno, ma rischiando la persecuzione dell’incomprensione.

Vivere dacredentila propriacittadinanza...

...nellospirito delleBeatitudini.

Page 120: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

118

Gesù, quindi, ha esortato chi crede in lui a vivere in maniera “eucaristica” e generosa nella consapevolezza di essere sempre in debito con Dio; ma, proprio per que-sto, di essere permanentemente in debito anche con gli altri: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!” (Mt 10,8; cfr. 1 Cor 4,7).

Pertanto è necessario che venga rinsaldato il rappor-to tra Eucaristia e città212, affinché “la responsabilità per la città sia portata al cuore delle celebrazioni eucaristiche, al cuore della ricerca della Parola nelle Scritture, che risuo-ni nella normale omiletica, che sia tenuta presente nella ca-techesi ordinaria ed in modi adeguati sin dai primi passi della iniziazione cristiana. È a questo livello fontale, oppu-re mai più, che si può costruire una spiritualità cristiana non disincantata. La centralità della Parola e della Euca-ristia dovranno essere il fondamento e l’alimento dell’impe-gno concreto del cristiano nella città”213.

Questo stretto legame trova ulteriore conferma in un’importante e forte affermazione di Papa Benedetto XVI che nella sua enciclica Deus caritas est ha scritto: “La «mistica» del Sacramento ha un carattere sociale”214. An-che Giovanni Paolo II aveva fatto questa incredibile aper-tura quando ebbe a scrivere che se “vissuta così, non so-lo l’Eucaristia domenicale, ma l’intera domenica diventa una grande scuola di carità, di giustizia e di pace. La pre-senza del Risorto in mezzo ai suoi si fa progetto di solidarie-tà, urgenza di rinnovamento interiore, spinta a cambiare le strutture di peccato in cui i singoli, le comunità, talvolta i popoli interi sono irretiti”215.

212 Rimando per tale tematica a G. dossetti, Eucaristia e città, Ave, Roma 1997.

213 L. diotallevi, La questione della cittadinanza e la speranza cristia-na oggi, cit.

214 Dce, n. 14.215 Giovanni paolo ii, Lettera Apostolica Dies Domini sulla santifica-

zione della domenica (DD), 31 maggio 1998, n. 72.

Strettorapporto

traEucaristia

e città.

Page 121: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

119

Già il Concilio a tal proposito è stato molto chiaro quan-do ha ribadito che “ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volen-tieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche fina-lità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occor-ra, e ne assicurino la realizzazione”216.

Perciò invito i laici a considerare parte integrante del-la evangelizzazione anche l’evangelizzazione sociale. In essa i laici sono chiamati in prima persona e più da vici-no, sempre sostenuti e incoraggiati dai pastori. Adempia-no tale missione con la coerenza della vita con la fede, con l’onestà in qualsiasi affare, e soprattutto con la carità fra-terna, rendendosi partecipi delle condizioni di vita, di la-voro, dei dolori e delle aspirazioni dei fratelli. Per tali ra-gioni esorto i laici ad avere piena coscienza della propria responsabilità nell’edificazione della società, a sforzarsi di svolgere la propria attività domestica, sociale, profes-sionale con cristiana magnanimità.

Auspico che nei vari cammini di fede, di primo annun-cio, di catechesi e di sacramentalizzazione, sia dato am-pio spazio alla Dottrina sociale della Chiesa, allo scopo di formare coscienze laicali capaci di tradurre nel loro tes-suto sociale i grandi valori della giustizia, della legalità e della responsabilità civile, consapevoli che non si può es-sere autentici cristiani senza che si sappia essere al con-tempo anche veri cittadini.

Per quanto riguarda l’impegno politico ricordo che “la Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di co-loro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa

216 GS, n. 43.

Dare spazioallaDottrinaSocialedella Chiesa.

Page 122: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

120

pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità”217. Se da un lato esorto i laici a lottare contro la disaffezione politica che sta interessando un po’ tutti, in particolare le nuove generazioni, dall’altro li invito a far sì che sempre più si diffonda un’idea della politica come “la più alta for-ma di carità” (Paolo VI) il cui unico scopo è la ricerca del bene comune.

Nessuna delega è quindi consentita a riguardo. In par-ticolare ai fedeli laici non è dato di “abdicare alla parteci-pazione alla politica, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmen-te il bene comune, che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’ugua-glianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giu-stizia, la solidarietà”218.

Nella Lettera ai Romani (13,1) Paolo ci ricorda che “non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio”. Proprio perché viene da Dio, è necessario che l’au-torità – sia come singolo che come azione politica – esprima, nei confronti di tutti, i valori più alti di giustizia, di verità, di dignità. È sotto gli occhi di tutti la realtà di un’autorità che piuttosto che servire al bene comune, spesso ha come obiet-tivo la sola conservazione del proprio potere. Un’autorità che non viene da Dio si trasforma in violenza, come frutto di in-giustizia e menzogna, per ridursi al puro calcolo economi-co, a mera ricerca di fare i propri interessi. Di tali situazioni siamo responsabili anche noi cristiani quando, ritenendo in-giustamente la politica come una cosa “sporca”, la lasciamo agli altri. Accanto ai nostri tanti peccati dovremmo confes-sare anche quello della poca cura della politica.

217 GS, n. 75.218 ConGreGazione per la dottrina della fede, Nota dottrinale circa

alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cat-tolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 1.

Prendersi cura della

politica.

Page 123: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

121

Paolo VI invitava tutti a fare, a questo proposito, un se-rio esame di coscienza: “Ciascuno esamini sé stesso per ve-dere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non ba-sta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolinea-re le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: que-ste parole non avranno peso reale se non sono accompagna-te in ciascuno da una presa di coscienza più viva della pro-pria responsabilità e da un’azione effettiva […]. In tal mo-do, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle or-ganizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsa-bilità e individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a partecipare”219.

In un contesto socio-politico dove il tessuto della con-vivenza civile mostra segni di lacerazione, particolarmen-te importante risulta essere “il compito dei fedeli laici nel-la ricerca di strade praticabili e condivise per trasformare, umanizzandoli in senso pieno, gli spazi della convivenza. Quei cristiani che responsabilmente scelgono di impegnar-si in politica sanno che operano come cittadini sotto propria responsabilità, che devono essere animati da competenza e onestà e che sono chiamati a essere protagonisti di uno stile politico virtuoso, guidati da una coscienza retta e informa-ta, illuminata dalla fede e dal Magistero della Chiesa”220.

Sarebbe utile a livello pastorale e fecondo a livello cul-turale se in Diocesi, a vario titolo, i laici, sempre sostenu-ti dai sacerdoti, promuovessero degli incontri culturali fi-nalizzati a far conoscere, specialmente alle nuove gene-razioni, le figure dei Don Sturzo, De Gasperi, G. La Pira, A. Moro, V. Bachelet, G. Lazzati, Don Giussani, ed altri ancora, i quali hanno dato un forte impulso all’azione dei cristiani nella politica.

219 paolo vi, Octogesima adveniens nell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica “Rerum Novarum” (OA), 14 maggio 1971, nn. 48-49.

220 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 18.

La promozioneculturale.

Page 124: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

122

Su questa scia contribuiscano i laici a fare in modo che le parrocchie sappiano essere anche luoghi di formazione politica e di educazione all’impegno sociale, consapevo-li che “tutti i cristiani devono prendere coscienza della pro-pria speciale vocazione nella comunità politica; essi devo-no essere d’esempio, sviluppando in sé stessi il senso della re-sponsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo socia-le, la opportuna unità e la proficua diversità”221.

Concludo questo punto esortando i fedeli laici a vivere, ciascuno secondo il proprio carisma, le tre forme di pre-senza che sulla base dei documenti conciliari sono chia-mati a realizzare nella città:

l’ambito del civile (i grandi problemi della pace e - della guerra, della politica familiare) l’ambito del sociale (volontariato, assistenza, pro-- mozione dei valori di convivenza civile) l’ambito propriamente politico (ruolo di governo - centrale o locale).

d) L’emergenza educativaIn tutti questi ambiti nei quali si svolge l’impegno dei

laici non si raccoglierebbe alcun frutto senza una auten-tica, capillare e vasta opera educativa. Nulla di tutto que-sto, infatti, sorge spontaneamente nell’uomo, se non gra-zie alla pratica educativa, quale luogo di mediazione tra ciò che siamo e ciò a cui siamo chiamati ad essere.

Proprio perché il campo dell’educazione è quello nel quale come comunità di credenti ci giochiamo tutto, ecco che come Chiesa siamo chiamati ad educare l’uomo e a la-sciarci interpellare dalle nuove sfide educative che carat-terizzano il nostro tempo, specialmente oggi che ci trovia-

221 GS, n. 75.

Le parrocchieluogo di

formazionesociale.

Lasciarsiinterpellaredalle nuove

sfideeducative.

Page 125: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

123

mo, come ha ricordato papa Benedetto XVI nella sua Lette-ra alla Diocesi di Roma, in una situazione di vera e propria “emergenza educativa”. Infatti “educare non è mai stato fa-cile, e oggi sembra diventare sempre più difficile... Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita”222.

Tale nuova situazione esige anche da parte nostra una maggiore preparazione, “un investimento educativo capa-ce di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti. La formazione, a parti-re dalla famiglia, deve essere in grado di dare significato al-le esperienze quotidiane, interpretando la domanda di sen-so che alberga nella coscienza di molti. Nello stesso tempo, le persone devono essere aiutate a leggere la loro esistenza alla luce del Vangelo, così che trovi risposta il desiderio di quanti chiedono di essere accompagnati a vivere la fede come cam-mino di sequela del Signore Gesù, segnato da una relazione creativa tra la Parola di Dio e la vita di ogni giorno”223.

Tutti siamo chiamati ad educare sacerdoti, religiosi e laici. Ma sappiano i laici che con la loro opera educativa es-si rispondono alla propria vocazione di credenti chiamati a continuare, nella società di oggi, l’opera del Maestro, il quale, in ogni circostanza, non ha smesso mai di formare i suoi discepoli e di ammaestrare le folle che lo cercavano e lo interpellavano. Spesso, infatti, il Vangelo ci raccon-ta di Gesù che sceso dalla barca, dopo aver visto la folla, provava per loro una grande compassione, perché erano come pecore senza pastore, e che pertanto si metteva ad insegnare loro molte cose (cfr. Mc 6,34).

222 Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compi-to urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.

223 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 17.

È necessarioun maggioreinvestimentoeducativo.

Educarealla vitabuonadel Vangelo.

Page 126: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

124

Anche l’A.T. ci presenta Dio continuamene impe-gnato nel tentativo di educare il suo popolo: “Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interro-ga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diran-no. Quando l’Altissimo divideva i popoli, quando disper-deva i figli dell’uomo, egli stabilì i confini delle genti se-condo il numero degli Israeliti. Perché porzione del Signo-re è il suo popolo, Giacobbe è sua eredità. Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circon-dò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali, il Signore lo guidò da solo, non c’era con lui alcun dio stra-niero” (Dt 32,7-12).

Dio non ha rinunciato ad educare l’uomo perché, no-nostante la sua fragilità e le sue cadute, ha sempre avuto fiducia in lui e nella sua educabilità. Ora, se Dio non ha mai smesso di educare il suo popolo, possiamo noi oggi ri-nunciare a prestargli il nostro servizio nel campo dell’edu-cazione? Ciò significa che, in quanto popolo “educato da Dio”, come Chiesa siamo chiamati ad essere anche comu-nità educante, cioè comunità che si prende cura dello svi-luppo umano e cristiano di tutti coloro che, a vario titolo e in diverse circostanze, ci vengono affidati nella cura pa-storale. E voi laici in questa opera educativa della Chiesa siete ancora una volta in prima linea.

Pertanto attendano i laici a tale compito in prima istan-za non rinunciando ad esercitare il loro ruolo di educato-ri nei vari luoghi e nei vari momenti nei quali si trovano a vivere: come sposi, per educarsi l’un l’altro nell’amore e all’amore; come genitori per essere di modello per i figli che sono a loro affidati in custodia; come lavoratori, per testimoniare la dignità della libera e intelligente attività umana finalizzata al progresso di tutti; come insegnanti, chiamati a testimoniare la passione per ciò che è vero, buo-

Chiesa:comunitàeducante.

Page 127: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

125

no, bello e giusto; come amministratori della cosa pubbli-ca, per essere di esempio nel saper perseguire il bene di tutti; come responsabili di settori nevralgici della società e dell’economia, per trasmettere l’idea di uno sviluppo so-lidale e condiviso.

L’idea di fondo che deve accompagnare l’impegno dei laici è che tutta la società, in ogni suo ambito – dalla fa-miglia alla parrocchia e alle associazioni, dal quartiere a tutta la città, dalla scuola al mondo del lavoro, dalla cul-tura alla politica e alla economia, dai mass media ai vari canali di comunicazione – è soggetto educante. Di conse-guenza essa può o educare in positivo, proponendo mo-delli di vita ispirati ai grandi valori etici e sociali, oppure al contrario essere diseducativa, proponendo modelli di vita che calpestano la dignità dell’uomo inteso come sog-getto libero e responsabile.

Ma non basta ribadire la necessità di tornare ad educa-re. L’emergenza educativa oggi rende urgente avere chia-ro alcuni principi di fondo per poter incidere con pratiche educative adeguate all’altezza dei tempi, nel vissuto di tut-ta la comunità sia cristiana che civile.

Già il Concilio Vaticano II ci aveva dato a riguardo del-le ottime indicazioni che – anche se a distanza di alcuni anni – ritengo siano tutt’ora valide: “I fanciulli ed i giova-ni, tenuto conto del progresso della psicologia e della didat-tica, debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità, nello sforzo sostenuto per ben condurre la loro vita personale e la conquista della vera libertà, superando con coraggio e per-severanza tutti gli ostacoli. Debbono anche ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educa-zione sessuale. Debbono inoltre essere avviati alla vita so-ciale, in modo che, forniti dei mezzi ad essa necessari ed adeguati, possano attivamente inserirsi nei gruppi che co-stituiscono la comunità umana, siano disponibili al dialo-

Tutta lasocietà èsoggettoeducante.

Page 128: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

126

go con gli altri e contribuiscano di buon grado all’incremen-to del bene comune”224.

Stando alle indicazioni di questa importante dichiara-zione conciliare il nostro modo di educare deve rispettare alcune istanze che qui vorrei brevemente richiamare, te-nendo conto anche di alcuni preziosi suggerimenti emer-si dal nostro Convegno Ecclesiale Diocesano. Ne riporto solo alcune tra le più significative.

Educazione integrale e globale. La persona umana “è un’unità di anima e di corpo, nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. L’essere umano si svi-luppa quando cresce nello spirito, quando la sua anima co-nosce sé stessa e le verità che Dio vi ha germinalmente im-presso, quando dialoga con sé stesso e il suo Creatore”225. Al-la luce di tali indicazioni dobbiamo intendere l’educazio-ne come un processo che deve interessare tutte le com-ponenti della persona: la sfera motoria e quindi tutta la corporeità; l’area cognitiva (pensiero, linguaggio, memo-ria, comunicazione, comprensione); l’area affettiva (il sa-per stare con sé stessi, le emozioni, i sentimenti e gli af-fetti, gli impulsi e la stima di sé); l’area relazionale e di so-cializzazione (relazioni con gli altri, le pratiche di ricono-scimento, l’inclusione e l’appartenenza): l’area etico-valo-riale (valori morali, principi etici, regole e norme sociali, ideali); l’area immaginativa (creatività e fantasia, dimen-sione poetica e narrativa).

Questa visione si rende ancor più necessaria nel con-testo attuale. Lo ribadisce il documento degli Orienta-menti pastorali per il prossimo decennio uscito da qual-che settimana: “La formazione integrale è resa particolar-mente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitu-

224 ConCilio vatiCano ii, Dichiarazione Gravissimum educationis (GE), n. 1.

225 Civ, n. 76.

Educaretutto l’uomo.

Page 129: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

127

tive della persona, in special modo la razionalità e l’affetti-vità, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazio-ni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e domi-nato dall’impulso momentaneo. Si avverte, amplificato dai processi della comunicazione, il peso eccessivo dato alla di-mensione emozionale, la sollecitazione continua dei sensi, il prevalere dell’eccitazione sull’esigenza della riflessione e della comprensione”.226

Solo se l’educazione saprà abbracciare tutte queste di-mensioni della persona, essa potrà favorire uno sviluppo autenticamente e pienamente umano e predisporre me-glio le persone ad accogliere la novità del Vangelo.

Educazione armonica. Ciò significa che per educare veramente è necessario che tutte queste dimensioni pro-prie della persona vengano armonizzate tra di loro dan-do a ciascuno il giusto peso, evitando di assumere visio-ni unilaterali che possono privilegiare alcuni aspetti del-la personalità rispetto ad altri. Solo così si può evitare di cadere in varie forme di riduzionismo che possono ge-nerare o persone troppo spirituali ma disincarnate dalla storia, o persone troppo avvinghiate nelle cose del mon-do e poco attente alla dimensione trascendentale propria dell’uomo.

Educazione permanente. Ogni fase della vita presen-ta sfide sempre nuove che esigono a sua volta risposte e approcci differenziati nel tempo. Le soluzioni addotte in una età non garantiscono che possono valere anche nel-le fasi successive. Ogni età ha i suoi problemi e ciò rende necessario che in ogni fase dello sviluppo si acquisisca-no nuove competenze e nuove abilità per poter, da un la-

226 Educare alla vita buona del Vangelo, cit., n. 13.

Evitareriduzionismi.

Educarein ognistagionedella vita.

Page 130: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

128

to, continuamente adattarsi ai cambiamenti e, dall’altro, dare continuità al proprio sviluppo.

Educazione graduale. L’educazione deve rispetta-re i diversi ritmi di crescita di ogni educando, e non pre-tendere di proporre tutto insieme, in una volta sola, l’of-ferta formativa.

Educazione unitaria. La diversità delle età non deve però compromettere quella unitarietà che è propria del soggetto in crescita. Contro la frammentazione e la visio-ne parcellizzata oggi dominante dei fattori costituenti la personalità di ognuno, l’educazione deve poter garantire l’unitarietà della persona. Tale unitarietà può essere as-sicurata dal progetto educativo adottato e che gli educa-tori prendono come quadro di riferimento generale entro cui disegnare le proprie iniziative e proposte, allo scopo di promuovere nella persona una identità stabile, grazie alla quale riuscire ad adattarsi, senza grandi stravolgimenti, ai cambiamenti della vita. Non si tratta di temere i cambia-menti, ma di attrezzarsi ad affrontarli, e questo valga sia dal punto di vista umano che da quello della fede.

Per quanto riguarda poi il ruolo specifico che riveste l’educazione cristiana nella formazione umana globale del-la persona, vorrei richiamare l’attenzione di tutti sul con-tributo che la fede, se correttamente comunicata e tra-smessa in un percorso di formazione più ad ampio raggio, può offrire in vista di una maggiore maturazione anche dal punto di vista umano. Si tratta allora di esplicitare le “dimensioni della fede” che sul piano educativo possono favorire una formazione umana e cristiana globale.

La prima di esse riguarda la dimensione missiona-ria. Si tratta di favorire lo sviluppo della capacità di testi-moniare con la vita il Vangelo per essere segno e strumen-to della comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio.

Garantirel’unitarietà

dellapersona.

Il contributodella fede

al processoeducativo.

Page 131: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

129

La seconda è la dimensione dialogica ed ecume-nica. Si tratta di promuovere nei credenti una maggio-re apertura del cuore e dell’intelligenza, per predisporsi all’incontro, all’ospitalità e all’accoglienza, al confronto e al reciproco ascolto, al delicato rispetto della diversità, af-finché i cristiani per primi maturino un maggior senso di comunità, e sappiano impegnarsi per un dialogo autenti-co tra i diversi popoli.

La terza è la dimensione caritativa e sociale, con-sapevoli che il punto culminante della formazione secon-do lo Spirito, come dice san Paolo, è la carità (cfr. 1 Cor 13,1-2). Specialmente nelle nuove generazioni è necessa-rio che proprio voi laici nella vostra opera educativa pre-stiate una particolare attenzione nello stimolare in loro la capacità di sapersi donare per poter attuare forme di vita ispirate all’accoglienza del povero e del bisognoso, carat-terizzate dall’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale, nella difesa coraggiosa e profetica dei diritti di ogni uomo, in particolare dello straniero, dell’immigrato e dell’emarginato, nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato. Forte è stato a riguardo il richia-mo dei vescovi italiani nel già citato documento sul Mez-zogiorno, laddove hanno ribadito che “cultura del bene co-mune, della cittadinanza, del diritto, della buona ammini-strazione e della sana impresa nel rifiuto dell’illegalità so-no i capisaldi che attendono di essere sostenuti e promossi all’interno di un grande progetto educativo. La Chiesa de-ve alimentare costantemente le risorse umane e spirituali da investire in tale cultura per promuovere il ruolo attivo dei credenti nella società. Infatti per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve essere considerato una teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l’azione”227. Allora forse è arrivato il momento di inserire

227 Cei, Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, 21 feb-braio 2010, n. 16.

Educareal benecomune.

Page 132: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

130

a pieno titolo la formazione all’impegno sociale, tramite la Dottrina Sociale della Chiesa, all’interno del cammino di sacramentalizzazione e di ogni itinerario di catechesi.

Da ultimo, una autentica educazione cristiana deve es-sere capace di far maturare la dimensione escatologica, cioè la capacità di guardare oltre l’orizzonte puramente terreno. Infatti, seppur tesa a promuovere l’impegno nel-le realtà terrene, l’educazione cristiana orienta la perso-na verso la pienezza della vita eterna. Uno sguardo alla di-mensione ultima della vita e delle cose non diminuisce la nostra responsabilità verso le cose del mondo, ma al con-trario la rafforza e le conferisce una spinta ideale maggio-re, preservandoci dalla tentazione di cadere nell’idolatria di noi stessi, delle cose, del mondo.

Da quanto detto fin qui emergono alcune importanti indicazioni concrete per le parrocchie e per voi laici im-pegnati nel vasto campo dell’educazione.

In primo luogo ne segue che l’educazione non può più riguardare, come nel passato, solo le nuove generazioni. È andata sempre più emergendo la necessità di educare gli adulti, in quanto solo adulti ben formati possono a lo-ro volta educare. Penso ai tanti adulti che passano, per va-ri motivi e in diverse occasioni, nelle nostre parrocchie. Questi attraversamenti occasionali, accanto ai momenti più sistematici, possono costituire dei veri e propri “ap-puntamenti educativi” con Dio che voi laici siete chiama-ti a valorizzare, e gestire con la dovuta attenzione, sì da poterli utilizzare in modo fecondo per un confronto edu-cativo capace di attrarli verso una scelta di maturazione cristiana permanente.

Adulti fragili e non educati alla vita, al rispetto di sé stessi, degli altri, individualisticamente ripiegati in sé stessi, e incapaci di affrontare le varie problematiche, pos-sono costituire l’anello debole dei rapporti intergenerazio-nali, e minare il sistema educativo o delegittimare la fun-zione educativa che a loro spetta per vocazione e condi-

Educaregli adulti.

Page 133: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

131

zione. Spesso diamo la colpa ai giovani, ma è responsabi-lità degli adulti farsi carico delle problematiche che i no-stri giovani incontrano nel loro cammino di crescita. A ta-le proposito i Vescovi ribadiscono che “i giovani si trova-no spesso a confronto con figure adulte demotivate e po-co autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione”228.

Da qui la necessità di avviare nelle varie parrocchie percorsi formativi per adulti che siano attenti non solo al-la formazione cristiana ma anche a quella umana, che sap-piano estrapolare dal Vangelo i principi e i criteri per una educazione integrale in grado di aiutare ogni persona a realizzarsi sia come uomo e sia come cristiano.

In secondo luogo è importante che nella vostra opera educativa, da quella familiare e della scuola, fino a quella da voi prestata in parrocchia, si eviti di presentare il cam-mino di formazione cristiana e di fede come sovrapposto a quello umano. Il cammino di educazione alla fede non deve essere visto come un qualcosa che viene appiccica-to ad un tessuto umano che può risultare fragile e sfilac-ciato. La Parola di Dio è capace di rifare l’uomo dal di den-tro interessando tutte le sue componenti, da quella affetti-va a quella sociale, etica e normativa, fino a quella econo-mica e lavorativa, culturale e intellettiva; da quella indivi-duale a quella comunitaria. Nella vostra proposta educa-tiva sappiate unire le istanze del cuore (sentimento, emo-zioni, affettività), quelle della ragione (sete di verità, cono-scenza, dubbi), quelle del corpo (sessualità, purezza, ca-stità, senso estetico) e quelle dello spirito (trascendenza, fede, preghiera, gratuità).

In ogni percorso catechetico e di sacramentalizzazio-ne sappiate, da laici “esperti di umanità”, evidenziare la valenza formativa ed educativa del Vangelo. Infatti scri-vono i Vescovi che “non c’è nulla, nella nostra azione, che

228 Educare alla vita buona del Vangelo, cit., n. 12.

Fare emergerela valenzaeducativadel Vangelo.

Page 134: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

132

non abbia una significativa valenza educativa” 229. Perciò non fermatevi alla sola dottrina o alla pura trasmissione delle verità di fede, evitando di fare sola e semplice istru-zione. Più importante della “dottrina” da trasmettere, è in-vece l’impatto educativo che essa riesce ad avere nel vis-suto delle persone, nella misura in cui è capace di susci-tare scelte di vita convinte e durature, ispirate al Vange-lo e alla sequela di Cristo che ci ha insegnato a coniuga-re amore per Dio e amore per l’uomo. Educate pertanto attraverso la sacramentalizzazione, vera scuola di forma-zione umana e cristiana, mettendo sempre a fuoco e a te-ma la valenza formativa di ogni sacramento e le potenzia-lità che ognuno di essi offre per una vita autenticamente cristiana e umana, cioè libera, gratuita, solidale, fraterna, responsabile, aperta all’amore per Dio e all’amore per gli uomini, in una logica di servizio e di continua ricerca di ciò che è vero, buono, bello e giusto.

Ho voluto sottolineare questo aspetto perché prendiate coscienza che siete chiamati ad educare le nuove genera-zioni in una società che non sempre è favorevole nei con-fronti di chi si assume l’onere di educare, o di chi si fa ca-rico della responsabilità della formazione, specie dei più piccoli e dei giovani. Siate consapevoli di essere chiama-ti a prestare la vostra opera educativa in una società di-sorientata e sempre più complessa, caratterizzata da for-me di relativismo sia etico che conoscitivo, che minano la convinzione che possano esistere delle verità assolute da cercare, dei valori in cui credere e che valgono comunque in ogni circostanza, che non sono negoziabili di fronte a nessun tipo di compromesso. In questo contesto, dove si va affermando la “tirannia dei desideri”, e i bisogni si sono trasformati in “capricci” (Z. Bauman), mentre molti adul-ti rinunciano ad educare, voi siete chiamati a non tirarvi indietro, a non farvi scoraggiare, ma, al contrario, vigila-

229 Ivi, Presentazione.

Educarealla

sequeladi Cristo.

Page 135: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

133

re con discernimento e dedizione sulle nuove generazio-ni, che vi chiedono di accompagnarli nel proprio proces-so di crescita umana e cristiana.

In questo contesto siete chiamati ad educare alla liber-tà educando la stessa libertà. Il Vangelo non deve essere presentato come ciò che limita la libertà dell’uomo, ma co-me una proposta forte che promuove il suo senso autenti-co. Specialmente nel dialogo e nella relazione educativa con le nuove generazioni, la libertà non deve essere vista come un pericolo, ma il presupposto indispensabile per la crescita della persona e di un credente maturo con una fede pensante e operosa. A tale proposito i Vescovi han-no scritto che “un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza: il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano”. Di fronte alle visioni distorte dell’idea di libertà dobbia-mo essere consapevoli che solo Gesù, l’uomo libero, ci in-segna che “nell’educazione, la libertà è il presupposto indi-spensabile per la crescita della persona. Essa, infatti, non è un semplice punto di partenza, ma un processo continuo verso il fine ultimo dell’uomo, cioè la sua pienezza nella ve-rità dell’amore”230.

In uno scenario culturale ed educativo come quello at-tuale, che sempre più spesso associa la libertà a forme di trasgressione contrarie alla ricerca del bene, voi laici sie-te chiamati a far comprendere che “l’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, cui i nostri contemporanei tan-to tengono e tanto ardentemente cercano, e a ragione […]. La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scel-te consapevoli e libere… ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passione, tende al suo fine con scelta libera del bene”231.

230 Ivi, n. 8.231 GS, n. 17.

Educazionee libertà.

Page 136: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

134

Inoltre, in una società caratterizzata dalla sovrabbon-danza di beni e di messaggi, che spesso ama creare for-me di dipendenza, voi laici siete chiamati ad educare i gio-vani e gli adulti alla scelta di ciò che veramente conta e da senso, allo scopo di evitare che ci si possa o nascondere dietro posizioni di neutralità o che si finisca con il dele-gare tutto agli altri. Educare alla scelta delle cose auten-tiche significa educare alla responsabilità, anzi ad un uso responsabile della propria libertà, al fine di evitare proces-si di omologazione e atteggiamenti di assimilazione pas-siva dei molti messaggi oggi dominanti.

Se poi guardiamo alla nostra realtà garganica, non pos-siamo tenere conto anche delle sfide che da essa proven-gono in quanto realtà del Sud. I vescovi nel documento sul Mezzogiorno hanno ribadito il nesso che nelle nostre cit-tà del Sud è necessario instaurare tra azione pastorale e opera educativa intesa come grande azione culturale, ri-badendo che “il problema dello sviluppo del Mezzogiorno non ha solo un carattere economico, ma rimanda inevita-bilmente a una dimensione più profonda, che è di carattere etico, culturale e antropologico: ogni riduzione economici-stica – specie se intesa unicamente come ‘politica delle ope-re pubbliche’ – si è rivelata e si rivelerà sbagliata e perden-te, se non perfino dannosa”232.

In tutta questa opera educativa, un ruolo privilegiato va riconosciuto ai genitori, i quali “poiché hanno trasmes-so la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principa-li educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’at-mosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e ver-so gli uomini, che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima

232 Cei, Per un paese solidale, cit., n. 16.

Ruoloeducativo

dellafamiglia.

Page 137: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

135

scuola di virtù sociali, di cui appunto hanno bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, confor-memente alla fede che hanno ricevuto nel battesimo; lì an-che fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, ven-gono pian piano introdotti nella comunità degli uomini e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autentica-mente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso po-polo di Dio”233.

Ma la famiglia da sola non basta. È necessario creare una rete di collaborazione tra le varie agenzie educative presenti sul territorio. In questa rete un posto privilegiato spetta alla parrocchia che con le sue risorse umane e spi-rituali deve avere la capacità di inserirsi nel proprio terri-torio quale laboratorio di formazione non solo cristiana e spirituale, ma anche umana e sociale.

Sono profondamente convinto che solo laici ben forma-ti e preparati, animati dalla passione per il Vangelo e per l’uomo, ben radicati nella fede, sapranno proporsi in modo creativo alla nostra gente garganica, per fare da cerniera tra parrocchia e altre agenzie educative presenti sul ter-ritorio, facendo in tal modo crescere le une e le altre per il bene dell’uomo e la gloria di Dio.

233 GE, n. 3.

La parrocchialaboratoriodi formazione.

Page 138: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

136

INDICAZIONI PASTORALI

Ho già detto fin dall’inizio che con questa mia prima lettera pastorale ho voluto offrire alcune piste di rifles-sioni e una serie di stimoli perché per i prossimi cinque anni l’attenzione nella nostra amata Diocesi, e di conse-guenza in tutte le parrocchie, si focalizzi sull’importan-za e sulla necessità di riflettere sulla vocazione e sulla di-gnità dei laici. Mi rendo conto che per ottemperare a ta-li orientamenti non basta un anno solo. Per questa ragio-ne molte delle indicazioni suggerite nella presente lette-ra non si esauriscono nell’anno pastorale che è appena ini-ziato. Esse, di volta in volta, verranno riprese nei prossi-mi anni, a seconda delle necessità che emergeranno e dei suggerimenti che a me giungeranno sia da voi laici che dal presbiterio.

A conclusione di questa mia lettera, avverto la necessi-tà di focalizzare alcune priorità da tenere presenti nel lavo-ro pastorale del prossimo quinquennio. Su di esse mi sono soffermato tenendo conto anche dei suggerimenti che ho recepito leggendo, insieme ai miei più stretti collaborato-ri, i risultati dei lavori dei gruppi di studio del Convegno Ecclesiale Diocesano celebrato a settembre 2010. Non si tratta di indicazioni pratiche ed operative, ma di orienta-menti e indicazioni di riferimento generale per l’intera pa-storale diocesana.

4.1 La formazione dei laici quale priorità per la nostra Chiesa particolare

In maniera quasi trasversale ho colto sia dai gruppi di lavoro del Convegno, ma anche dalle mie visite fatte in

4.

Page 139: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

137

questo primo anno nei vari luoghi della Diocesi, la neces-sità della formazione permanente dei laici234, e sulla qua-le già mi sono soffermato in vari punti di questa mia lette-ra. Qui voglio solo ribadire il fatto che, in quanto vocazio-ne che deve realizzarsi nella missione, la laicità di voi fe-deli non si può improvvisare. Essa esige un cammino per-manente di formazione. Infatti sono laici formati possono a loro volta formare.

La formazione del laico deve essere integrale. Infatti il laico impegnato si distingue per la sua maturità uma-na (equilibrio, capacità di discernimento, spirito di ini-ziativa, senso del rispetto degli altri), per la sua maturità cristiana (assumere pubblicamente la scelta battesima-le per mantenere un’esperienza ecclesiale significativa, radicata in una fede umile, operosa e pensosa), per i suoi atteggiamenti pastorali (condivisione delle responsabili-tà nell’ambito della comunità, concreta solidarietà con gli altri membri, capacità di inserirsi nel gruppo, stile di vita ispirata alla logica del servizio, conoscenza dei problemi del territorio della propria parrocchia) e per la sua forma-zione ed esperienza pastorale (conoscenza teorica ed espe-rienza nella comunicazione della fede e nella progettazio-ne pastorale e nella animazione dei vari settori).

Particolare attenzione venga data alla formazione eti-ca con riferimento privilegiato all’impegno sociale e cul-turale. Per questo esorto voi laici a studiare nelle vostre parrocchie la Dottrina sociale della Chiesa quale punto di riferimento a cui ispirare le vostre scelte sia persona-li che comunitarie.

Per la realizzazione di tali indicazioni segnalo alcu-ne priorità:

1. a livello diocesano e d’intesa con i vicari sarebbe au-spicabile promuovere iniziative atte a favorire pres-so i laici la formazione teologica e pastorale e la pre-

234 Rimando ad AA, nn. 28-32.

La formazionepermanentedei laici.

Page 140: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

138

parazione apostolica attraverso la istituzione di una “Scuola diocesana di formazione teologica per ope-ratori pastorali” possibilmente decentrata nelle vi-carie;

2. attivare convegni diocesani e seminari di approfon-dimento per settori pastorali allo scopo di avere lai-ci competenti nel campo del servizio catechetico e kerigmatico, nell’animazione liturgica, e nel servi-zio della carità;

3. inoltre sarebbe auspicabile, tenendo conto delle va-rie e diverse situazioni dei paesi del nostro Garga-no, proporre speciali iniziative di formazione cri-stiana per i pubblici amministratori locali (scuole di formazione all’impegno sociale e politico) utiliz-zando la Dottrina Sociale della Chiesa;

4. proprio per esprimere la nostra attenzione alle re-altà del mondo da evangelizzare, sarebbe utile e op-portuno promuovere la “pastorale d’ambiente”, cu-rando la formazione dei laici tenendo conto dei va-ri ambiti di vita in cui essi di fatto si trovano: lavo-ro, famiglia, volontariato, scuola, cultura, povertà, mass media, in modo che ci si possa attrezzare per poter incarnare il Vangelo nei vari ambienti e nelle varie circostanze di vita quotidiana, affinché il Van-gelo non resti muto proprio laddove ha parole da di-re all’uomo di oggi.

4.2 Spiritualità laicale

Nell’ambito della formazione un’attenzione particolare deve essere data alla formazione spirituale dei laici, radi-cata nello studio e nella meditazione continua, personale e comunitaria, della S. Scrittura (lectio). Infatti, “siccome la fonte e l’origine di tutto l’apostolato della Chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell’aposto-

Page 141: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

139

lato dei laici dipende dalla loro unione vitale con Cristo, se-condo il detto del Signore: «Chi rimane in me ed io in lui, questi produce molto frutto, perché senza di me non potete far niente» (Gv 15,5)”235.

Di conseguenza è compito vostro e dei pastori, che vi hanno in custodia, curare in modo particolare la vo-stra spiritualità. Questa in primo luogo deve nutrirsi al-la Divina Liturgia, in quanto “questa vita d’intimità con Cristo viene alimentata nella Chiesa con gli aiuti spiri-tuali comuni a tutti i fedeli, soprattutto con la partecipa-zione attiva alla sacra liturgia. I laici devono usare tali aiuti in modo che, mentre compiono con rettitudine i do-veri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non se-parino dalla propria vita l’unione con Cristo, ma cresca-no sempre più in essa compiendo la propria attività secon-do il volere divino”236.

In questo modo non sarete solo uomini e donne delle “cose da fare”, ma ancor più uomini e donne chiamati ad “essere” testimoni fedeli del messaggio evangelico, e che perciò sanno vivere e tradurre nelle azioni di tutti i gior-ni, il Mistero che contemplano e celebrano nella Liturgia. Collocati tra il piano dell’azione e quello della contempla-zione, voi laici siete chiamati ad essere “contemplativi per le strade” (J. Maritain), o meglio “contepl-attivi” (Don To-nino Bello). Infatti “occorre che i laici progrediscano nel-la santità con ardore e gioia, cercando di superare le diffi-coltà con prudenza e pazienza. Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei alla spiri-tualità della loro vita, secondo il detto dell’Apostolo: «Tutto quello che fate, in parole e in opere, fatelo nel nome del Si-gnore Gesù, rendendo grazie a Dio e al Padre per mezzo di lui» (Col 3,17)”237.

235 Ivi, n. 4.236 Ibid.237 Ibid.

Curare laspiritualità.

Laiciattivi econtemplativi.

Page 142: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

140

Sono pertanto convinto che solo se c’è una profonda spiritualità “alla luce della fede e nella meditazione della Pa-rola di Dio è possibile, sempre e dovunque, riconoscere Dio nel quale «viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,28), cer-care in ogni avvenimento la sua volontà, vedere il Cristo in ogni uomo, vicino o estraneo, giudicare rettamente del vero senso e valore che le cose temporali hanno in sé stesse e in ordine al fine dell’uomo”238.

4.3 Particolare attenzione agli adulti e alle famiglie

Fermo restando che sono mandati ad evangelizzare tutti gli uomini e le donne a qualsiasi fascia di età appar-tengano, mi rendo conto della necessità di prestare par-ticolare attenzione al mondo degli adulti. Prendersi cu-ra di loro non significa trascurare i giovani e i bambini. Tutt’altro, vuol dire preparare proprio per loro e in vista delle loro esigenze quegli ambienti relazionali, familia-ri e sociali, di cui necessitano per crescere sia umana-mente che cristianamente. Sono convinto che mentre la fragilità delle nuove generazioni per certi aspetti è an-cora curabile, molto più complesso risulta invece cura-re la fragilità degli adulti, la quale, se non viene fatta og-getto di particolare cura pastorale da parte delle nostre parrocchie potrebbe creare effetti devastanti anche per l’educazione e la formazione delle nuove generazioni.

Questo vuol dire che voi laici dovete impegnarvi a tem-po pieno nelle vostre famiglie e per le famiglie degli altri che bussano alle nostre comunità. Si tratta allora di dare molto più spazio nelle nostre parrocchie agli sposi cristia-ni affinché, facendo appello alla loro laicità, con la vita e con un linguaggio adeguato, sappiano comunicare ad al-

238 Ibid.

La curadelle

famiglie.

Page 143: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

141

tri sposi, nuovi o già con anni di esperienza alle spalle, la bellezza e la specificità del sacramento del matrimonio, la bellezza della fedeltà, la gioia dell’amore sponsale che attinge da Cristo-Sposo la propria profondità, il proprio mistero, la propria dignità e fecondità. In questa direzio-ne auspico che si dia una maggiore attenzione alle indica-zioni contenute nel Direttorio di Pastorale Familiare della Conferenza Episcopale italiana239.

Che nelle parrocchie si dia più spazio al carisma geni-toriale di voi laici padri e madri se si vuole radicare su so-lide basi la genitorialità di quelle giovani coppie che hanno deciso di mettere su famiglia, o se si vuole rilanciare quel-la stanca genitorialità di tutti coloro che invece vedono ta-le responsabilità come un peso o una inutile fatica piutto-sto che come una consegna che fa di ogni famiglia l’ico-na più autentica del mistero trinitario. Se si vogliono aiu-tare le nuove generazioni è necessario non solo lavorare con i giovani e per i giovani, non solo fare dei giovani che vivono in parrocchia i primi testimoni-missionari per i lo-ro stessi coetanei, ma è necessario altresì affiancare i ge-nitori e gli adulti per aiutarli a tessere una relazione edu-cativa umana e cristiana che renda credibile e fattibile la scelta evangelica.

4.4 Il ruolo della donna

In questo contesto desidero che si valorizzi ancor più il ruolo della donna, perché spesso il suo genio femmini-le, il suo senso pratico e la sua forza d’animo è di sicuro aiuto a tutta la pastorale.

La presenza delle donne, a volte silenziosa e discreta,

239 Cfr. CEI, Direttorio di Pastorale Familiare per la Chiesa in Italia. Annunciare, celebrare, servire il “Vangelo della Famiglia” (25 lu-glio 2003).

Rivalutareil carismagenitoriale.

Valorizzareil ruolodelle donne.

Page 144: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

142

nella società, nella famiglia e nel mondo del lavoro, il loro servizio in molte associazioni di volontariato, il loro spiri-to di dedizione e di sacrificio, è per la nostra Chiesa una risorsa da valorizzare e da promuovere anche a livello ec-clesiale e pastorale. È inutile ribadire che molto spesso è proprio attraverso di loro che, come una volta in Maria, Dio rivela a noi il suo volto materno, la sua tenerezza fat-ta carne, la sua pazienza e la sua premura, le sue attese e la sua fiducia in noi.

Come già sottolineava il Concilio “siccome ai nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tut-ta la vita sociale, è di grande importanza una loro più lar-ga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato del-la Chiesa”240.

Perciò faccio mie le parole che Giovanni Paolo II nel-la sua Lettera apostolica Mulieris dignitatem scrisse a ri-guardo: “La forza morale della donna, la sua forza spiri-tuale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo af-fidamento riguarda in modo speciale la donna – proprio a motivo della sua femminilità – ed esso decide in particola-re della sua vocazione”241.

4.5 Curare la comunione ecclesiale tra le varie realtà

Quale via privilegiata da seguire nel nostro agire pasto-rale vorrei indicare la pratica della corresponsabilità, sulla quale mi sono ampiamente soffermato nelle pagine pre-

240 Ivi, n. 9.241 Giovanni paolo ii, Lettera apostolica Mulieris dignitatem sulla

dignità e vocazione della donna in occasione dell’anno mariano (MD), 15 agosto 1988, n. 30.

Favorirela corre-

sponsabilità.

Page 145: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

143

cedenti di questa mia lettera. Invito tutti, laici, religiosi e presbiteri a favorire in modo più concreto e fattivo il dia-logo intraecclesiale tra i vari membri della nostra Chiesa particolare. E ciò a motivo del fatto che ormai siamo tutti consapevoli che “è questo il tempo di superare i particola-rismi, le chiusure, i piccoli recinti, per costruire percorsi di fraternità e di comunione. È necessario metterci in «rete» e «fare opere» con il desiderio di produrre frutti di rinnova-mento ecclesiale, sociale e una nuova missionarietà segna-ta dalla testimonianza. Occorre che i vari raggruppamen-ti ecclesiali, movimenti o associazioni, recuperino un forte spirito ecclesiale e una capacità di agire insieme per rende-re più efficace l’esercizio delle «opere di misericordia», per incontrare gli uomini che sperano, soffrono e si battono per un mondo migliore, per rendere testimonianza del Vange-lo” (Savino Pezzotta).

Proprio per rafforzare la comunione in vista della mis-sione invito tutti a prodigarsi affinché davvero diventino operativi, ad ogni livello, gli organismi di partecipazione ecclesiale. In primo luogo quanto prima si rende neces-saria la costituzione del Consiglio Pastorale Diocesano. Allo stesso modo in ogni parrocchia si abbia cura di atti-vare e far funzionare il Consiglio Pastorale Parrocchiale, come anche il Consiglio per gli affari economici. Tali stru-menti servano non solo per progettare le varie iniziative per la pastorale, ma anche per rafforzare la corresponsa-bilità ecclesiale e la comunione tra i vari membri della no-stra Chiesa.

Di tali organismi e della loro validità ne parla il già tante volte citato Documento dei Vescovi italiani sulla parrocchia laddove si legge: “La loro identità di luogo de-putato al discernimento comunitario manifesta la natu-ra della Chiesa come comunione. Essi possono diventare progressivamente lo spazio in cui far maturare la capa-cità di progettazione e verifica pastorale. Altrettanto im-portante è il regolare funzionamento del consiglio per gli

I ConsigliPastorali.

Page 146: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

144

affari economici. Il coinvolgimento dei fedeli negli aspet-ti economici della vita della parrocchia è un segno con-creto di appartenenza ecclesiale: si esprime nel contri-buire con generosità ai suoi bisogni, nel collaborare per una corretta e trasparente amministrazione, nel venire incontro alle necessità di tutta la Chiesa mediante le for-me attuali del «sovvenire» (otto per mille e offerte per il sostentamento)”242.

4.6 Maggiore apertura al territorio

Voi laici siete chiamati a costruire insieme ai sacerdoti parrocchie e comunità più aperte al territorio e alla gente che vi abita, per una nuova missione e una nuova evange-lizzazione. Una parrocchia che accoglie i lontani, di per sé già evangelizza con il gesto dell’ospitalità. Perciò usci-te dal recinto delle vostre comunità per allargare il peri-metro dell’umanità che manca all’appello. Coltivate in voi questa ansia missionaria, questo anelito, a volte anche di-ventando scomodi per noi sacerdoti che possiamo avere la tentazione di dire che ci bastate voi.

Ce lo hanno detto ancora una volta i Vescovi: “non si tratta però soltanto di esercitare ospitalità. Occorre anche assumere un atteggiamento di ricerca. Cercare i dispersi, azione che connota il pastore e la pastorale, significa pro-vocare la domanda dove essa tace e contrastare le rispo-ste dominanti quando suonano estranee o avverse al Van-gelo. Una delle difficoltà più evidenti che la cultura diffu-sa pone al cristianesimo è quella di spegnere la domanda sulle questioni essenziali della vita, per le quali anche og-gi Nicodemo andrebbe alla ricerca di Gesù (cfr. Gv 3,1-15). La parrocchia deve fuggire la tentazione di chiudersi

242 Cei, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, cit., n. 12.

Unaparrocchia

che cercai lontani.

Page 147: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

145

in sé stessa, paga dell’esperienza gratificante di comunio-ne che può realizzare tra quanti ne condividono l’esplicita appartenenza”243.

Siete chiamati a farci superare anche un’altra tentazio-ne che consiste nel dare risposte vecchie a domande nuo-ve, a ripetere linguaggi obsoleti per la sola pigrizia di non cercare dei nuovi che riescano a dire con la stessa inten-sità le profonde verità del Vangelo, oppure per la paura di lasciare che il Vangelo rompa i nostri vecchi schemi per nuove e inedite forme di mediazione culturale e di comu-nicazione della fede.

Scrivono infatti ancora i Vescovi italiani nel succitato documento: “Oltre questa tentazione sta il dovere di attrez-zarsi culturalmente in modo più adeguato, per incrociare con determinazione lo sguardo spesso distratto degli uomini e delle donne d’oggi. Anche in questo caso, più che di inizia-tive si ha bisogno di persone, di credenti, soprattutto di lai-ci credenti che sappiano stare dentro il mondo e tra la gente in modo significativo”244. Laici credenti di forte personali-tà, come dice il Concilio245.

Anche se sono convinto che non basta una lettera a cambiare la realtà – non ho infatti questa presunzione – vo-glio che sappiate che queste riflessioni sono nate da quan-to è stato suscitato nel mio cuore di pastore dalle molte relazioni e dagli incontri avuti con voi e con i presbiteri in varie occasioni. Ho letto i vostri sguardi, ho ascoltato le vostre richieste, ho colto le vostre ansie e il vostro deside-rio di una Chiesa più attenta al mondo dei laici, capace di calarsi nei cambiamenti del nostro tempo senza perdere il proprio radicamento nel Vangelo di Cristo.

Ma ho percepito anche la fatica e l’amore da parte di molti presbiteri per venire incontro a tali vostre esigenze,

243 Ivi, n. 13.244 Ibid.245 Cfr. GS, n. 31.

Rinnovareil linguaggio.

Il preziosolavoro deipresbiteri.

Page 148: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

146

ho compreso che in fondo le vostre domande sono il frutto del loro lavoro pastorale, spesso compiuto in un silenzioso ed umile servizio. Sono arrivato a capire che la bella testi-monianza che molti laici stanno dando nei vari ambiti del-la vita ecclesiale e sociale è anche merito della formazione che molti sacerdoti hanno saputo dare in questi anni. A lo-ro va il mio grazie e a loro va il mio pensiero finale.

Infatti ho parlato dei laici avendo i presbiteri nel cuore, davanti agli occhi il loro lavoro come miei stretti collabo-ratori. In queste pagine non ho esaltato i laici dimentican-do i sacerdoti e i religiosi, ma parlando dei laici a ai laici ho cercato anche di delineare meglio il loro ruolo.

Questo è un motivo in più non tanto per contrapporci, l’un l’altro, ma per lavorare insieme affinché possiamo rea-lizzare tutti un autentico rinnovamento delle nostre chie-se, per incamminarci verso una maggiore comunione per la missione, una maggiore comunione che generi corre-sponsabilità. Il tutto per il bene della nostra Chiesa parti-colare, per la salvezza degli uomini e per la gloria di Dio.

Nel congedarmi vorrei infine concludere questa mia lettera facendo mie le parole della Nota pastorale dei Ve-scovi dopo Verona e che spesso ho citato in queste pagi-ne, augurandomi che soprattutto i laici possano trovare in queste pagine forza e incoraggiamento, sostegno e indica-zioni utili per un cammino pastorale fecondo e duraturo:

“Diventa essenziale «accelerare l’ora dei laici», rilan-ciandone l’impegno ecclesiale e secolare, senza il quale il fermento del Vangelo non può giungere nei contesti della vi-ta quotidiana, né penetrare quegli ambienti più fortemente segnati dal processo di secolarizzazione. Un ruolo specifico spetta agli sposi cristiani che, in forza del sacramento del Matrimonio, sono chiamati a divenire «Vangelo vivo tra gli uomini». Riconoscere l’originale valore della vocazione lai-cale significa, all’interno di prassi di corresponsabilità, ren-dere i laici protagonisti di un discernimento attento e corag-

Lavorareinsieme

per ilbene della

Chiesa.

Page 149: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

147

gioso, capace di valutazioni e di iniziativa nella realtà seco-lare, impegno non meno rilevante di quello rivolto all’azio-ne più strettamente pastorale. Occorre pertanto creare nel-le comunità cristiane luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro do-mande, le loro scoperte, i loro pensieri sull’essere cristiani nel mondo. Solo così potremo generare una cultura diffusa, che sia attenta alle dimensioni quotidiane del vivere. Perché ciò avvenga dobbiamo operare per una complessiva cresci-ta spirituale e intellettuale, pastorale e sociale, frutto di una nuova stagione formativa per i laici e con i laici, che porti alla maturazione di una piena coscienza ecclesiale e abili-ti a un’efficace testimonianza nel mondo. Questo percorso richiede la promozione di forme di spiritualità tipiche della vita laicale, affinché l’incontro con il Vangelo generi model-li capaci di proporsi per la loro intensa bellezza”246.

Invocando la protezione della Vergine Santissima su di voi, sulle vostre famiglie e sulle vostre comunità, tutti di cuore benedico.

† Michele CastoroArcivescovo

28 novembre 20101ª Domenica d’Avvento

246 Cei, «Rigenerati per una speranza viva», cit., n. 26.

Page 150: Lettera pastorale
Page 151: Lettera pastorale

“A N DAT E A N C H E VO I A L AVO R A R E N E L L A M I A V I G N A”

149

INDICE

INTRODUZIONE pag. 3

1. L’APPARTENENZA DEI LAICI A CRISTO. Le radici della vocazione laicale » 10

1.1 Il battesimo radice di ogni vocazione » 10

1.2 Partecipi dell’ufficio sacerdotale di Cristo » 13

1.3 Partecipi dell’ufficio profetico di Cristo » 24

1.4 Partecipi della regalità di Cristo » 30

2. APPARTENENZA ALLA CHIESA. Per una ecclesiologia di comunione » 39

2.1 Immagini della Chiesa e forme di laicità » 39a) L’ovile e il gregge » 40b) Il podere o il campo e la vigna » 42c) L’edificio e le pietre » 43d) La sposa » 48e) Il corpo e le membra » 52

2.2 Una Chiesa ministeriale e carismatica. Unità nella diversità » 62

2.3 L’ora della corresponsabilità dei laici » 68

Page 152: Lettera pastorale

L E T T E R A p A s T O R A L E

150

3. APPARTENENZA AL MONDO. L’indole secolare dei laici » 81

3.1 Nel mondo ma non del mondo » 81

3.2 I laici, l’avamposto della Chiesa nel mondo » 87

3.3 L’indole secolare dei laici » 96

3.4 Dalla vocazione alla missione. L’apostolato dei laici » 98

3.5 Gli ambiti della missione dei laici » 107

4. INDICAZIONI PASTORALI » 136

4.1 La formazione dei laici quale priorità per la nostra Chiesa particolare » 136

4.2 Spiritualità laicale » 138

4.3 Particolare attenzione agli adulti e alle famiglie » 140

4.4 Il ruolo della donna » 141

4.5 Curare la comunione ecclesiale tra le varie realtà » 142

4.6 Maggiore apertura al territorio » 144

Page 153: Lettera pastorale
Page 154: Lettera pastorale

stampa: Grafiche Grilli srl - Foggia