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Letteratura Italiana

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Letteratura italiana: Italo SvevoL’intellettuale tra commercio e Umanae Litterae

Aron Hector Schmitz nacque il 19 dicembre 1861 a Trieste, allora territorio dell’Impero asburgico da un’agiata famiglia borghese di origine ebraica. Il padre era figlio di un funzionario imperiale austriaco. Egli aspirava per il figlio una carriera professionale tipicamente commerciale; per cui nel 1873 fu mandato in collegio in Germania, a Segnitz, dove studiò materie utili per quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. Già in quegli anni giovanili,però, comincia a manifestarsi in lui l’interesse per le umanae litterae che lo spinse alla lettura di scrittori tedeschi quali Goethe, Schiller, Heine, Jean Paul. Nel 1878, a diciassette anni, ritornò a Trieste, dove si iscrisse all’Istituto Superiore per il Commercio “Pasquale Revoltella”. Però la sua ispirazione era di divenire scrittore e collaborò al giornale triestino “L’indipendente” mostrando le proprie posizioni irredentistiche e vicine al socialismo. Nel 1880, in seguito ad un investimento industriale sbagliato, il padre fallì: Svevo conobbe così l’esperienza della declassazione, cioè il passaggio da una condizione sociale agiata ad una condizione di ristrettezza economica. Fu costretto a cercar lavoro e si impiegò presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna. Il lavoro impiegatizio era per lui arido e opprimente (…) per cui cercava un’evasione nella letteratura. Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legato. Al suo capezzale incontrò una cugina, Livia Veneziani, destinata a diventare sua moglie. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Svevo. In primo luogo, sul piano psicologico, l’”inetto”, roso da infinite insicurezze, trovava finalmente un terreno solido su cui poggiare e poteva arrivare a coincidere con quella figura virile che era apparsa irraggiungibile, il pater familias, sereno e pacato dominatore del suo mondo domestico. Ma mutava anche radicalmente la condizione sociale dello scrittore. I Veneziani erano facoltosi industriali,proprietari di una fabbrica di vernici antiruggine per navi, che era ben inserita nel mercato internazionale. Così Svevo entrò nella ditta dei suoceri; da una modesta e grigia condizione piccolo borghese si trovò in tal modo proiettato nel mondo dell’alta borghesia; ma soprattutto da intellettuale si trasformò in dirigente d’industria. I suoi orizzonti si allargarono a dimensioni internazionali, perché per lavoro dovette compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra. Abbandonò conseguentemente l’attività letteraria considerandola dannosa, compromettente per la sua nuova vita attiva e produttiva. In realtà il bisogno di scrivere riaffiora sotto il pretesto del fine pratico di <conoscersi e capirsi meglio> .Due eventi furono di notevole importanza per la formazione intellettuale di Svevo. Il primo fu l’incontro con James Joyce. Tra il giovane scrittore irlandese e l’ormai maturo industriale triestino nacque una stretta amicizia, fervida di scambi intellettuali e destinata a durare nel tempo. Joyce sottopose a Svevo le sue poesie e i suoi racconti di “Dubliners”, Svevo fece leggere a Joyce i romanzi “Una vita” e “Senilità” , ottenendo giudizi lusinghieri e l’incoraggiamento a proseguire l’attività letteraria. L’altro evento fondamentale fu l’incontro con la psicoanalisi: il cognato aveva sostenuto una terapia a Vienna con Freud, e questo fu il tramite attraverso cui Svevo venne a conoscenza delle teorie psicoanalitiche.Poiché la fabbrica di vernici fu requisita per ordine delle autorità austriache, Svevo si trovò libero da ogni incombenza pratica e poté riprendere la sua attività intellettuale. L’insuccesso del suo terzo romanzo “La coscienza di Zeno”, che considerava profondamente ingiusto, lo toccò profondamente e lo spinse a mandare il romanzo a Parigi all’amico Joyce che, riconosciutone immediatamente lo straordinario valore, si adoperò per imporlo all’attenzione degli intellettuali francesi. Solo in Italia rimase intorno a lui un’atmosfera di diffidenza. L’unica eccezione fu costituita da un giovane poeta Eugenio Montale, che gli dedicò un ampio saggio sulla rivista “L’Esame” nel 1925. L’11 settembre del 1928, però, ebbe un incidente d’auto a Motta di Livenza, presso Treviso e due giorni dopo morì. Sulla sua lapide viene così ricordato: < Ettore Schmitz […] qui riposa a fianco della sua amata Livia. Sorride alla vita che passa e alla gloria che tardi coronò le opere di Italo Svevo nel cui nome si celò il suo genio>.

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Fisionomia intellettuale di Svevo

Trieste è una città di confine,in cui convergono tre civiltà, quella italiana, quella tedesca e quella slava, quindi appare come un vero e proprio crogiolo di popoli e di culture diverse. Lo scrittore stesso, adottando lo pseudonimo letterario di Italo Svevo, vuole segnalare come in lui vengano a confluire la cultura italiana (Italo) e quella tedesca (Svevo). A differenza del letterato italiano tradizionale, la scrittura letteraria non fu la sua professione, ma un’attività che correva parallela a quella quotidiana. Anche la sua formazione non fu quella rigorosamente umanistica: i suoi studi furono commerciali, e la sua cultura letteraria e filosofica fu in buona misura quella di un autodidatta.

La cultura di Svevo

Alla base dell’opera letteraria di Svevo vi è una robusta cultura filosofica. Il filosofo che ebbe un peso determinante nella sua formazione fu Schopenhauer che affermava un pessimismo radicale,affermando l’esistenza di un ente indipendente dai desideri dell’uomo, la “Volontà” e indicando come unica via di salvezza dal dolore la contemplazione e la rinuncia (non libero arbitrio). Più tardi Svevo conobbe anche Nietzsche (lo lesse direttamente dai testi originali) da cui poté trarre l’idea del soggetto non come salda e coerente unità ma come pluralità di stati in divenire. L’altro grande punto di riferimento per il triestino fu Darwin, il padre della teoria evoluzionistica, fondata sulle nozioni di “selezione naturale” e “lotta per la vita”. Svevo fu indotto a presentare il comportamento dei suoi personaggi come prodotti di leggi naturali immodificabili, non dipendenti dalla volontà; però egli seppe anche cogliere come quei comportamenti avessero le loro radici nei rapporti sociali avvicinandosi in tal modo al pensiero di Marx, il quale riteneva che tutti i fenomeni fossero condizionati dalla classe sociale di appartenenza. ( i conflitti e le ambiguità profonde dei suoi protagonisti non sono quelli dell’uomo in assoluto ma del borghese di un determinato periodo della storia sociale). Lo scrittore mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi, a smontare gli alibi che essi si costruiscono per occultare ai propri occhi le vere motivazioni dei loro atti, per tacitare i sensi di colpa e per sentirsi innocenti. Del marxismo, però, non condivise le concrete proposte politiche, la dittatura del proletariato e la collettivizzazione. Dai diversi pensatori Svevo assume gli elementi critici e gli strumenti analitici e conoscitivi piuttosto che l’ideologia complessiva. Sul piano letterario gli autori che ebbero più peso nella formazione di Svevo furono i grandi romanzieri realisti francesi dai quali attinse la maniera impietosa di rappresentare la miseria della coscienza piccolo borghese. (I suoi “antieroi” sono impenitenti sognatori che evadono dal grigiore della loro vita quotidiana e filtrano la loro esperienza attraverso stereotipi ricavati dai libri, fino a restarne vittime). Un’importanza fondamentale ha anche la conoscenza dei romanzieri naturalisti, di Zola in particolare, da cui attinge la capacità analitica di descrivere gli ambienti (anche se, come vedremo, quel che conta non è quello che accade all’esterno ma ciò che si verifica all’interno della psiche). Dai romanzieri russi riprende la figura dell’inetto: un uomo debole, escluso dalla vita, che pulsa intorno a lui e a cui egli non sa partecipare per mancanza di energie vitali. Può solo rifugiarsi nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustante dalla quale si sente estraneo, vagheggiando in sterminati sogni. Vorrebbe provare forti passioni, vorrebbe progredire socialmente ma si sente inaridito, sterilito, impotente. E’ un uomo incapace di inserirsi nella realtà circostante, impacciato nei rapporti con gli altri e troppo debole per poter lottare con successo contro i propri nemici.Per quanto riguarda lo stile egli subisce l’influenza di Dickens e del suo atteggiamento ironico e umoristico.

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La Coscienza di Zeno

Il protagonista-narratore è una figura di inetto. Abulico e incostante, negli anni giovanili conduce una vita oziosa e scioperata, passando da una facoltà universitaria all’altra, senza mai giungere ad una laurea e senza dedicarsi ad alcuna attività seria. Il padre, facoltoso commerciante, non ha la minima stima per il figlio e nel testamento lo consegna in tutela al fidato amministratore Olivi, sancendo così la sua irrimediabile immaturità e la sua irresponsabilità infantile. Pur amandolo sinceramente, Zeno, con il suo ozio e la sua inconcludenza negli studi, non fa che procurargli amarezze e delusioni, rivelando così inconsci impulsi ostili ed aggressivi. Il vizio del fumo, a cui Zeno collega intollerabili sensi di colpa, ha nel suo fondo inconscio proprio l’ostilità contro il padre, il desiderio di sottrargli le sue prerogative e farle proprie. Quando è già sul letto di morte, il padre lascia cadere un poderoso schiaffo sul viso che lo assiste e Zeno resta così col dubbio angoscioso se il gesto sia il prodotto dell’incoscienza dell’agonia o scaturita da una deliberata intenzione punitiva, e cerca quindi disperatamente di costruirsi alibi e giustificazioni per pacificare la propria coscienza, per dimostrare a se stesso di essere privo di ogni colpa nei confronti del padre e della sua morte. Privato della figura paterna, l’inetto va subito in cerca di una figura sostitutiva, e la trova in Giovanni Malfenti, uomo d’affari che incarna l’immagine tipica del borghese, abile e sicuro nell’attività pratica, dominatore incontrastato del suo mondo. Zeno decide di sposare una delle sue figlie, si direbbe solo per “adottarlo” come padre. Si innamora della più bella, Ada, ma il suo comportamento goffo e stravagante sembra far di tutto per alienarsi i sentimenti della ragazza. Respinto da lei, rivolge la domanda di matrimonio alla sorella minore Alberta e, al rifiuto di questa, fa la sua proposta alla sorella meno carina, Augusta. In realtà ella era la moglie che Zeno aveva scelto inconsciamente: si rivela infatti la donna di cui egli ha bisogno, sollecita e amorevole come una madre, capace di creargli intorno un clima di dolcezza affettuosa e di sicurezza.Zeno è malato, la sua malattia è la nevrosi, che simula tutti i sintomi della malattia organica. Egli proietta nella malattia la propria inettitudine ed attribuisce la colpa dei propri malanni al fumo, la sua esistenza è pertanto costellata da tentativi di liberarsi dal vizio, nella convinzione che solo così potrà avviarsi verso la “salute” non solo fisica ma anche morale e sociale, ma questi tentativi finiscono sistematicamente nel nulla. Alla moglie Zeno affianca la giovane amante Carla, una ragazza povera che egli finge di proteggere in modo paterno. Il rapporto è reso difficile e infinitamente ambiguo dai sensi di colpa di Zeno verso la moglie, sinché Carla non lo abbandona per un uomo più giovane. Zeno, aspirando ad entrare nella normalità borghese fonda un’associazione commerciale con il cognato Guido Speier, che ha sposato Ada. Questi è l’antitesi di Zeno, bello, disinvolto, sicuro di sé, fornito delle doti più versatili. Anche verso di lui Zeno nutre fortissime ambivalenze. L’amicizia e l’affetto fraterno mascherano un odio profondo, che si tradisce clamorosamente ai funerali di Guido, morto suicida per un dissesto finanziario. Zeno sbaglia corteo funebre. Ormai anziano, Cosini decide di intraprendere la cura psicoanalitica. Lo scoppio della guerra favorì alcune sue speculazioni così Zeno si proclama perfettamente guarito. Il protagonista sottolinea quindi il confine incerto tra “malattia” e “salute”.

Per gran parte la Coscienza è costituita da un memoriale o confessione autobiografica che il protagonista Zeno Cosini scrive su invito del dottor S. e Svevo finge che codesto manoscritto venga pubblicato dal dottor S. stesso, per vendicarsi del paziente, che si è sottratto alla cura frodando al medico il frutto dell’analisi. Al testo del memoriale si aggiunge infine una sorte di diario di Zeno, in cui questi spiega il suo abbandono alla terapia e si dichiara sicuro della propria guarigione. Il romanzo, dunque, è narrato dal protagonista stesso, dietro la finzione narrativa dell’autobiografia e del diario, pertanto ha un impianto auto diegetico. Nuovo e originale, nell’impianto narrativo, è il particolare trattamento del tempo, quello che Svevo chiama “tempo misto”. Il racconto non presenta gli eventi nella loro successione cronologica lineare ma in un tempo tutto soggettivo, che mescola piani e distanze, in cui il passato riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili al presente. Da qui la struttura particolare del racconto, che non è lineare, progressivo ma si spezza in tanti

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momenti distinti. La ricostruzione del proprio passato operata da Zeno si raggruppa intorno ad alcuni temi fondamentali, a ciascuno dei quali è dedicato un capitolo. Eventi contemporanei possono essere così distribuiti in più capitoli successivi poiché si riferiscono a nuclei tematici diversi. Dopo la prefazione del dottor S. ed un preambolo in cui Zeno racconta i propri tentativi di risalire alla propria infanzia, gli argomenti dei vari capitoli sono: il vizio del fumo e i vani sforzi per liberarsene, la morte del padre, la storia del proprio matrimonio, il rapporto con la moglie e la giovane amante, la storia dell’associazione commerciale con il cognato Guido Speier, alla fine si colloca il capitolo “Psico-analisi” in cui Zeno sfoga il proprio livore contro la psicoanalisi e racconta la propria presunta guarigione.Il narratore,l’inetto, nevrotico è chiaramente un narratore inattendibile. L’autobiografia è tutta un gigantesco tentativo di auto giustificazione di Zeno, che vuole dimostrarsi innocente da ogni colpa.Zeno, però non è solo oggetto di critica ma anche soggetto. Non vi è l’ironia soggettiva che pesa su Zeno. La “diversità”, la sua “malattia” funziona da strumento straniante nei confronti dei cosiddetti “sani” e “normali”. La malattia che impedisce a Zeno di coincidere interamente con la sua parte di borghese, porta alla luce l’inconsistenza della pretesa “sanità” degli altri, che in quella parte vivono perfettamente soddisfatti, incrollabili nelle loro certezze. In Zeno vi è un disperato bisogno di “salute” cioè di normalità,di integrazione nel contesto borghese; vorrebbe essere un buon padre di famiglia ed abile uomo d’affari. Però non riesce mai a coincidere veramente con quella forma compiuta e definitiva di uomo. Ma lo sguardo di Zeno distrugge le gerarchie, fa divenire tutto incerto e ambiguo, converte la “salute” in “malattia”. L’inetto è un essere in divenire, che può ancora evolversi verso altre forme proprio grazie alla sua mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso, mentre i sani sono incapaci di evolvere ulteriormente, arrestati nel loro sviluppo e cristallizzati nella loro forma definita. L’inettitudine non è più considerata un marchio d’inferiorità ma una condizione aperta e disponibile ad ogni forma di sviluppo. L’inetto sa guardare con distacco e ironia a sé e alle cose del mondo. Gli interventi del narratore etero diegetico servivano a tradurre il giudizio critico dello scrittore sui suoi eroi negativi. Poiché Zeno non è più un eroe del tutto negativo, ma possiede una fisionomia più aperta non avrebbe senso la presenza di un narratore esterno al narrato, implacabile nel giudicare ogni gesto e ogni parola dei suoi personaggi. La Coscienza segna il crollo del mito degli altri, tutti sono malati.