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Piccola biblioteca delle arti La lettura veloce e creativa

Lettura veloce

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Si legge per imparare, per approfondire, per ampliare le proprie conoscenze, per studio, per lavoro… e semplicemente per il piacere di farlo

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Piccola biblioteca delle arti

La lettura veloce e creativa

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PICCOLA BIBLIOTECA DELLE ARTICollana di testi e strumenti per la scuola e l’università

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Maurizio Barbarisi

LA LETTURAVELOCE E CREATIVA

Come imparare a leggere (e ricordare)di più e meglio

GREMESE

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Immagine di copertina:© sabri deniz kizil – Fotolia.com

Stampa: La Moderna – Roma

Copyright GREMESE2012 © New Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta,registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo,senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-704-7

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A mia figlia Giorgiaperché le sue letture l’aiutinonella comprensione della vita

e perché la vita le consentadi comprendere meglio le sue letture.

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Quel che si scrive con fatica, si legge con facilità.Zukovskij Vasilij Andreevic

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Sommario

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Storia della lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19Signore e Signori… il lettore . . . . . . . . . . . . . 26I diritti e i principi nella lettura . . . . . . . . . . . 30Perché si legge? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43Il piacere insegnato del leggere . . . . . . . . . . . 52Il tempo per leggere e la lettura parallela . . . . . . 59Il tempo del leggere: la prelettura e la lettura

orientativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67Il tempo del leggere: la lettura veloce . . . . . . . . 74Il luogo ideale per leggere . . . . . . . . . . . . . . 88La scelta del libro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95Liberare la mente per favorire l’apprendimento . . 107Come si legge un libro: i livelli di lettura

e la memorizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 117Come si legge un libro: in pratica,

per potenziare la memoria . . . . . . . . . . . . 129La ripartenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144La lettura ad alta voce . . . . . . . . . . . . . . . . . 150La rilettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164L’appuntuario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170I gruppi di lettura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176

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La biblioterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180La biblioteca domestica . . . . . . . . . . . . . . . . 189Il BookCrossing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196Leggere online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209In conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . 219

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Introduzione

Leggere è uno dei piaceri della vita: una soddisfazionesottile, non solo intellettuale e, anche per questo, nonmeno intenso di altri piaceri. Ogni volta che mi accingo ascrivere un manuale di questo tipo, mi faccio sempre lestesse domande: non ce ne saranno già troppi di libri sutale argomento? Si sente davvero il bisogno di un altro?Che cosa può mai importare alla gente che gli si dica co-me leggere e come farlo meglio? Tutti, in fondo, sono ca-paci a leggere, fin quasi dalla tenera età.

Per rispondere a queste domande inizierò con il ricor-dare che, almeno in Italia, si scrive molto di più di quan-to non si legga. Ciò significa che ci sono molti piùscrittori, che si vogliono far leggere, di lettori che potran-no leggere quello che è stato scritto. Indubbiamente è unparadosso!

Con il progredire dei media la situazione non è mi-gliorata, anzi, se solo fosse possibile, è peggiorata. Peresempio, sul web si legge in modo non sequenziale, sal-tando da un argomento all’altro e, soprattutto, in modali-tà audiovisive, nelle quali si utilizzano poche e immediatecompetenze cognitive. Non è raro, infatti, che uno stu-dente, per svolgere un determinato lavoro o compito,esegua le ricerche su internet piuttosto che in biblioteca,affidandosi, perciò, a un motore di ricerca web che nonscrutina dati testuali, ma solo filmati o immagini stati-

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che… perché leggere rimane pur sempre un’attività mac-chinosa e comunque non immediata.

Un altro paradosso è che, nonostante la lamentata pe-nuria di lettori, i libri in circolazione rimangono sempretanti, verrebbe quasi da dire troppi, e la produzione è pu-re in crescita.

Una sorta di meraviglia a occhi aperti, che provo finda quando ero bambino, è la constatazione (amara) diquanti libri ci siano sul mercato e di quanto poco, in fon-do, sia il tempo a disposizione per poterli leggere. Quelche è peggio è avere la certezza che non riuscirò mai aleggerli tutti, neppure quelli reperibili in una modesta li-breria, e neanche se non facessi altro nella vita, magarisaltando pure i pasti e i sonni.

È per questo che, a differenza dei miei coetanei chepreferivano sognare di rimanere chiusi in una pasticceriao in negozio di videogiochi, ho spesso sognato di ritrovar-mi intrappolato per il weekend all’interno di una libreria.Avrei cercato, pur tra i morsi della fame, di diminuire ilgap tra quanto avevo letto e quanto era stato scritto, no-nostante la convinzione che non vi sarei mai riuscito, senon per una minima e insignificante parte.

È anche vero, però, che leggere non è indispensabile:molti vivono benissimo senza, e lo sappiamo, così comepossono vivere senza tutte quelle altre attività non essen-ziali all’esistenza e che pure toccano la sfera intellettiva espirituale dell’uomo.

Conosco molte persone degnissime, “acculturate”, co-me si usa dire oggi, che non prenderebbero mai un ro-manzo in mano per leggerlo effettivamente e, se lo hannofatto, si è trattato di una scelta contingente, dettata dallavoglia estemporanea di scorrere distrattamente un libro,diventato magari famoso per la programmazione del filmda cui è stato tratto o per qualche altra esigenza sociale.

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C’è poi, persino, chi non legge affatto, adducendo apretesto il vecchio assioma “la lettura è per gli ignoranti”:se legge solo chi non sa, e se lo fa per emulare gli intellet-tuali, si evince che leggendo diventerà, dopo aver impara-to, odioso e saccente come i più “saputi”, per cui tantovale rimanere ignoranti, che costa meno fatica e rendepiù simpatici. Il che mi ricorda molto da vicino quegli ari-stocratici del Settecento i quali non si lavavano, perché,sostenevano, che fossero solo i poveri ad averne bisogno,in quanto, lavorando, sudavano e, non potendo permet-tersi il lusso di comprare costosi profumi “coprenti”, do-vevano necessariamente lavarsi.

Mi sono sentito dire che i romanzi, in particolare quel-li stranieri, non meritano di essere letti, neppure se fon-damentali per la crescita culturale di un individuo,perché la traduzione “tradisce” fatalmente il messaggiodell’autore; quindi, sarebbe come leggere qualcosa dicontraffatto. Forse, e in alcuni casi è anche vero. Allora,che dire della letteratura italiana e dei grandi romanzinostrani? Non sono almeno loro meritevoli di attenzione,giacché non devono essere tradotti?

Se così stanno le cose, e cioè se le persone disposte ascrivere sono molto più numerose di quelle disposte aleggere, o se comunque si ritiene che leggere non sia poicosì importante, sembrerà allora persino un controsenso,un manuale come questo, che tratta del modo miglioreper leggere.

Virginia Woolf (Ore in biblioteca e altri saggi) ebbe a direche l’unico consiglio che una persona può dare a un’al-tra in merito alla lettura è, in verità, quello di non accet-tare consigli.

In linea teorica e a voler rimanere alla superficie dellecose, questa asserzione potrebbe anche essere vera, in

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quanto, di primo acchito, è giusto che siano la spontanei-tà e la naturalezza ad avere il sopravvento. A ben vedere,quando la lettura si fa seria, quando si desidera estrarre ilmassimo dal testo, si può pure pretendere di più da essa,e lo si può esigere non tanto su sollecitazione di altri,quanto di se stessi.

Inoltre, se è vero che si scrive di più di quanto non silegga, come si è più volte detto, potrebbe anche voler di-re che “non si legge bene come si dovrebbe”, che non sitrae dalla lettura quella soddisfazione che si ottiene in al-tre circostanze gratificanti, magari guardando un buonfilm o facendo una passeggiata. Forse, il problema non èsolo quello che nel nostro paese manca la cultura del leg-gere, può darsi piuttosto che non ci sia, invece, l’attitudi-ne o l’abitudine al “buon leggere”. Se la gente sidivertisse di più durante la lettura, la preferirebbe sicura-mente a un film (oltretutto scadente) o al navigare senzameta su internet.

Ecco, allora, che già posso superare i miei dubbi ini-ziali. Di manuali sul buon leggere non ce ne sono poimolti, e quei pochi sono perlopiù obsoleti o non propriopertinenti, in quanto costituiscono una specie di amar-cord di letture individuali di formazione, condite di con-siderazioni aneddotiche che spesso c’entrano poco onulla con una metodica del buon leggere. Ci si scambia-no commenti sulla lettura, si fa esegesi del testo, si criticaquesto e quell’autore, ma non si dice come affinare, invia pratica, lo strumento del leggere.

Ci sono invece molti manuali del “buon scrivere” (unol’ho scritto persino io – Corso di BlogWriting, appunti in te-ma di scrittura creativa per blog letterari), il che confermaquanto ho appena sostenuto: ci sono più trattati di scrit-tura piuttosto che di lettura, come se fosse possibile scri-vere senza aver letto… e anche molto. Questo stato di

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cose evidenzierebbe di per sé anche l’assunto che scrivereè più difficile che leggere. In parte è vero, ma non co-munque nella proporzione che emerge dalla constatazio-ne di quanto poco materiale sia rinvenibilesull’argomento, e non solo nelle biblioteche, ma anchein rete.

È necessario, inoltre, superare il facile equivoco cheleggere sia semplice. In fondo, si dirà, si tratta di un’attivi-tà naturale, appresa fin da piccoli, forse per semplice cu-riosità, se non per necessità. Si impara a riconoscere findall’infanzia le varie lettere dell’alfabeto, a compitarle e,voilà, si sa legge. Che cos’altro ci può essere di più? An-che mangiare o camminare sono attività connaturate. Cisi mette in piedi dalla posizione “a gattoni” e si prova a fa-re i primi passi, sino a che si va spediti senza più sbandareo cadere. Mettere però i piedi correttamente uno davantiall’altro, raggiungere un buon equilibrio ortostatico, farein modo che la postura di tutto il corpo sia giusta, godersiquindi la passeggiata, magari soffermandosi anche aguardare quello che attrae la nostra attenzione, o addirit-tura correre per gioco o per sport, è tutt’altra cosa.

Leggere bene, dunque, può anche non essere compli-cato quanto scrivere, ma certamente la tecnica che sup-porta questa attività può essere migliorata. E il piacereche se ne può trarre essere enormemente accresciuto.

A scuola si leggono più che altro libri imposti (alludoai testi didattici e, soprattutto, a quelli complementari diletteratura) senza avere prima acquisito alcuna tecnica dibase, e non tanto per una lettura meccanica, perché que-sta si apprende pressoché subito, all’asilo o in prima ele-mentare, come sappiamo, quanto per imparare a goderedel contenuto esposto, per andare alla scoperta di quelloche l’autore ha voluto raccontarci. Ancora più sovente la

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lettura di testi, non propriamente scolastici, è lasciata allasollecitazione del singolo, volenteroso, insegnante (o ge-nitore), sempre se, a sua volta, è un appassionato di libri.Ma più spesso i maestri (e i genitori) si limitano a incenti-vare la lettura attraverso le solite formalità: il prestito del-la biblioteca (quando poi all’interno degli istituti ce nesia una) o l’acquisto di volumi da leggere a integrazionedi quelli scolastici. Però, il gusto della lettura in sé, a pre-scindere dalle indicazioni di quello che è meglio leggere,come approccio intimo al testo, non viene trasmesso danessuno, rinviandone l’esperienza alla capacità e all’indi-viduale sensibilità dello studente. Basterebbe, magari, an-che solo l’esempio personale, una sorta di contagio daparte dell’insegnante a sua volta appassionato di lettura.Sarebbe sufficiente comunicare agli allievi (anche attra-verso una semplice lettura ad alta voce) le proprie emo-zioni, il proprio trasporto, il proprio entusiasmo. Infondo si impara per imitazione, soprattutto nella primainfanzia.

E questo perché si dà per scontato che tutti “sappianoleggere”, temendo persino di diventare offensivi metten-dolo in dubbio.

Quasi mai la scuola (ma anche i genitori sono latitantisu queste tematiche) dà indicazioni utili su “come” legge-re per trasmettere il “sale” della lettura, vale a dire la pas-sione o almeno il desiderio. Sicché per molti studenti siviene a verificare fin dall’inizio uno scollamento tra il leg-gere e il piacere di farlo; e la lettura è vissuta come mo-mento impositivo, quindi, come qualcosa in più, che nongli appartiene; quando, invece, dovrebbe essere un mo-mento interiore di svago e di crescita emotiva e intellet-tuale.

Rimane quindi estranea al giovane la preziosa utilitàdel leggere come strumento primario dell’apprendere, al

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fine non tanto e non solo di poter scrivere e parlare be-ne, ma anche in vista della strutturazione del sé attraver-so il confronto e il rapporto con il vissuto, romanzato omeno, di altri. È da questa “distanza intellettuale”, dalpensare a sé in relazione all’altro, che nasce la consapevo-lezza della propria personalità e il suo lento arricchimen-to nel tempo, quale base per costruire il sé di domani.

Se è vero che leggere non dovrebbe mai essere, allora,il risultato di un obbligo eteroindotto, molto può esserefatto sul versante educazionale, sia in famiglia che a scuo-la. Jean Jacques Rousseau, da buon pedagogista, quandosi pose il problema di insegnare a leggere, ben presto ca-pì che non era tanto importante la metodica, quanto latrasmissione dell’amore per la lettura.

Occorre prendere in esame i molteplici aspetti del leg-gere, del come farlo nel migliore dei modi, per trarre daltesto i maggiori vantaggi possibili. Ci sono molte vie perpotere apprezzare una sana lettura, pur essendo e rima-nendo un’attività personale, e una metodica di supportoaffina anche le competenze individuali.

Ecco allora la ragione di questo manuale, un aiuto perandare sotto la superficie del testo, facendo comprende-re che esso (e con lui l’autore) dice molto di più di quel-lo che in apparenza è scritto, perché in realtà il testo è uninsieme di “segni irrelati e vivi”, in collegamento conti-nuo non solo con chi l’ha scritto, ma anche con chi lolegge. Il libro continua a parlarci e a crearci suggestioni(e perché no, a influenzarci) anche molto tempo dopoche è stato scritto e letto, perché non si rivolge solo allanostra mente, ma all’insieme di noi stessi.

Dunque, in questa Guida alla lettura veloce parlerò in-dubbiamente di libri, ma lo farò dalla parte del lettore(side reading piuttosto che side writing), di chi cioè viene a

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contatto con un testo letterario per assolvere le funziona-lità proprie della lettura. Tratterò anche del “perché” leg-gere, del “tempo di qualità” da dedicare alla lettura, del“dove” leggere, persino di come scegliere un libro (perleggerlo meglio e con profitto) e tanto altro.

Tengo a precisare, inoltre, che parlerò in prevalenzadi lettura on page, come si usa dire, e non di lettura online: vale a dire di lettura su testo cartaceo, anziché di let-tura su monitor del computer, come avviene nell’ipotesidella navigazione su internet.

Questo libro, dunque, ha le seguenti finalità: parlaredella lettura, della buona lettura in particolare, e di quan-to si dovrebbe sapere in materia, per renderla più gratifi-cante e utile in sé: saranno proposti metodi, tecniche estrategie per renderla un’attività efficace e creativa a tuttii livelli. Non quindi un libro su cosa leggere o su cosa si èletto, ma di come leggerlo e su come farlo in modo profi-cuo.

Dal punto di vista metodologico il manuale si rivolge,quindi, a tutti i lettori che sentono la necessità di ottene-re di più da quanto leggono. In alcuni casi sono offerticonsigli che potrebbero essere ritenuti banali. Me ne scu-so sin da ora, ma sono dettati dalla mia esperienza perso-nale, maturata sul campo di appassionato lettore, e sonoquindi frutto delle “vittorie” sulle piccole e grandi diffi-coltà incontrate in tutti questi anni.

Infine, ci tengo a ricordare che questo testo non vuoleessere cattedratico e dotto, ma essenzialmente pratico,perché rivolto a chi vuole migliorare le proprie capacità,incrementare la voglia di leggere, e desidera avere un ri-ferimento concreto in questa soddisfacente attività intel-lettiva.

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Storia della lettura

Roland Barthes (Orale e scritto) ha avuto modo di eviden-ziare che l’uomo ha imparato a leggere prima ancora chea scrivere. E questo perché dovette imparare immediata-mente a distinguere i segni: per esempio, selezionare leimpronte delle belve dalle quali scappare da quelle deglianimali di cui si poteva nutrire; apprendere a orientarsicon le stelle e a interpretare tutti i simboli che potevanogarantirgli la sopravvivenza in un mondo all’apparenzaostile.

La lettura non è, dunque, una conseguenza alla scrittu-ra, come si potrebbe intuitivamente credere, ma ne è par-te, la comprende, trovandosi a metà strada tra oralità egrafica. Si legge, quindi, a prescindere dalla scrittura te-stuale, e lo si fa per tanti motivi tra cui, e soprattutto, perdecrittare il mondo, renderlo comprensibile, abitabile e,perché no, simile a noi. La lettura ha una sua valenza indi-pendente, anche se, come lo scrittore non può prescinde-re dal lettore, così il lettore non può fare a meno delloscrittore. Vi è una stretta e continua corrispondenza osmo-tica tra questi due operatori che non si interrompe né conla scrittura, né con la lettura. Tuttavia l’una è ontologica-mente a sé stante dall’altra e ha una sua intrinseca specifi-cità. Pensare quindi alla lettura come a un’attività priva diuna propria autonomia, o meramente complementare allascrittura, è un approccio incompleto oltre che erroneo.

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Pur nella separazione tra le due attività, e tuttavia nel-la reciproca mutualità (non si scrive perché nessuno leg-ga e non si legge se nessuno ha scritto), rimane arduoseguire le tracce della storia della lettura in modo di-sgiunto dal libro o dalle biblioteche.

Succede, per vero, che esiste il libro in sé, come pontetra lo scrittore e il destinatario del libro stesso (il lettore),ma mentre dello scrittore è più facile che resti notizia at-traverso la sua opera, altrettanto non può dirsi del lettoreche rimane una figura indistinta, per di più anonima, co-me un’ombra sullo sfondo della storia della letteratura. Illettore c’è, ma si agita dietro le quinte della scrittura co-me entità indispensabile, non secondaria, tuttavia intan-gibile. Allora, ecco che la storia del libro diventa anche,di riflesso, la storia inscindibile del lettore: vicende so-vrapponibili sino a divenire più variegate e, in epoca piùrecente, sempre più distinguibili.

Intanto, bisogna ricordare che con il termine libro siindica più propriamente la parte interna degli alberi (li-ber), che in alcune piante (platano, tiglio, olmo) può as-sumere la consistenza di una specie di pellicola. Gliantichi, inizialmente, utilizzavano questo materiale essic-cato come supporto per la scrittura, creando così un lega-me indissolubile tra natura e letteratura.

Ai giorni nostri, per libro s’intende, per traslato, laraccolta di fogli (tutti di una unica dimensione al suo in-terno) che recano, a stampa, un’opera dell’ingegno, ov-vero notizie e informazioni su un dato argomento.

L’invenzione della stampa, risalente a Gutenberg conl’adozione dei caratteri mobili, costituisce per la storiadel libro un fondamentale spartiacque: vi è una fase ante-riore all’invenzione stessa – secondo cui il libro potevaavere due forme, il volumen, vale a dire il rotolo, e il codex,

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cioè il codice – e una posteriore, quando la forma diven-ne solo quella del codice, composto da fogli riuniti tra lo-ro in quaderni o quinterni. La stampa consentì non solodi imporre lo standard del codex a detrimento del volumen(quanto meno per la praticità di avere più fogli stampabi-li con la macchina piuttosto che un unico foglio), ma an-che di superare l’unicità dell’esemplare dando lapossibilità di poter tirare più copie di una sola opera, tut-te uguali fra loro.

Il libro, sotto forma di codex stampato, poteva inoltrefare a meno dell’amanuense, l’incaricato della copiatura,operazione che richiedeva tempi lunghi di esecuzione (lamedia era costituita da una dozzina di pagine al giorno,nonostante i monaci amanuensi fossero dispensati da al-cune preghiere giornaliere per non dover interrompereil loro lavoro durante le ore di luce solare). La copiatura,se a regola d’arte, rendeva, da una parte, prezioso il libro(perché, com’è facile comprendere, ogni “copia” era inrealtà un’opera unica), dall’altra ne impediva la duplica-zione (si pensi anche solo all’opera dei miniaturisti cheimpreziosivano le pagine con raffigurazioni riccamentecolorate adornando il capolettera di ogni capitolo) e diconseguenza più difficile la sua diffusione. La lettura astampa diveniva, inoltre, più agevole per la maggiore ri-conoscibilità dei caratteri “oggettivi” rispetto alla grafiapersonale del singolo copiatore, azzerando contempora-neamente gli errori di trascrizione, sempre possibili daparte dell’amanuense.

Infine, il libro stampato ebbe il pregio di abbattere no-tevolmente i costi di produzione oltre che far sì che fossetrasportabile con maggiore facilità, favorendone la veico-lazione e la penetrazione sui mercati, durante i viaggi egli spostamenti dei mercanti, e la divulgazione delle ideein esso contenute.

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E se la stampa più antica (soprattutto quella tedesca) fa-ceva uso di caratteri gotici (con un effetto “impastato” del-le lettere che ne rendevano più faticosa la riconoscibilità,soprattutto a un occhio non allenato), in Italia venivanoprivilegiati i caratteri romani, umanistici, maggiormenterotondi, aggraziati e ben delimitati gli uni dagli altri. ConManuzio, si approdò al corsivo e, in genere, a una maggio-re leggibilità.

Mentre nel XV e XVI secolo le biblioteche erano pre-valentemente ecclesiastiche o di Corte, nel Seicento sor-gono quelle universitarie, dove si fa strada il nuovoconcetto che la biblioteca non è più un luogo di meraconservazione dei libri, ma anche un centro di studi. Di-ventano così importanti, in questo periodo e per queste fi-nalità, l’Ambrosiana a Milano, la Forteguerriana a Pistoia,la Mediceo-Laurenziana, la Riccardiana, la Magliabechia-na e la Marucelliana a Firenze, nonché l’Alessandrina el’Angelica a Roma.

Nel Settecento, l’Illuminismo italiano, segno di rinno-vamento culturale e di preparazione a quel crogiuolo in-tellettuale che sfocerà nel Romanticismo del secolosuccessivo, vede la nascita al centro nord di diverse rivisteletterarie.

È della seconda metà del Settecento la cosiddetta “ri-voluzione della lettura” secondo cui al “lettore intensivo”,cioè a colui che, avendo a disposizione un numero limita-to di libri, riusciva a memorizzarli (e si trattava perlopiùdi testi sacri), si sostituisce il cosiddetto “lettore estensi-vo”, quello che leggeva per il piacere di farlo, dirottando-si su ogni genere letterario, dal romanzo alle riviste, dallibro scientifico alle letture meno impegnate.

Sull’onda di questa “estensività” anche in Italia si sentela necessità di instaurare rapporti comunicativi con il let-tore attraverso i cabinets littéraires il cui fulgido esempio fu

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il Gabinetto Scientifico e Letterario di Giovan PietroVieusseux, Firenze 1819, dove oltre alla lettura dei gior-nali (in particolare di quelli stranieri per soddisfare lamaggior parte dei frequentatori) si praticava la “letturapiacevole”, con prestito di libri di vario genere: narrativo,di attualità o di carattere scientifico.

Occorre però tener conto che nel 1861, anno dell’uni-ficazione italiana, il tasso di analfabetismo era ancoramolto elevato (la media era del 74 per cento con puntequasi del 90 per cento in Sardegna). A questo si deve ag-giungere il problema che la maggior parte degli italiani,il 99 per cento, parlava il proprio dialetto. In altre parole,i libri già non erano tanti né a buon mercato, e se capita-vano in mano, per esempio, a un campano, capace di leg-gere solo meccanicamente, non poteva certo capirlo,proprio perché scritto in italiano. Questi dati negativi co-stituivano un serio ostacolo pressoché insormontabile perla diffusione della lettura. Non ci si deve pertanto meravi-gliare che la frequentazione delle biblioteche fosse scarsao nulla, anche perché erano vissute più come luoghi mu-seali da visitare che come centri culturali cui attingere.Oltretutto, mancavano i fondi per gestire le biblioteche erenderle fruibili – almeno come lo sono oggi –, impie-gandovi personale qualificato che se ne occupasse.

Comunque, dopo l’unità d’Italia si assiste alla nascitadi una nuova forma di biblioteca, la “biblioteca popola-re”, non più rivolta esclusivamente alle élites, ma aperta atutti, pur di promuovere la cultura italiana educando glistrati più bassi della popolazione.

La biblioteca popolare ebbe il grande merito di smitiz-zare il libro, indirizzando l’interesse verso una culturaeterogenea che non fosse solo confessionale, vale a direvolta a un’informazione diversa da quella meramente re-ligiosa. La prima biblioteca popolare, fondata a Prato nel

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1861, è il primo esperimento di una tale struttura natacon finanziamenti privati, quelli delle associazioni di let-tori. Agli inizi del Novecento, dietro impulso di FilippoTurati, il padre del socialismo, che ne assunse la presi-denza, e di Ettore Fabietti (la direzione), la biblioteca po-polare aprì le porte anche alla piccola borghesia, alleclassi operaie, agli studenti.

Lo scoppio del primo conflitto mondiale peggiorò lecose, se mai fosse stato possibile. Anche l’editoria conob-be la profonda stasi del momento. Le aziende solide, conun valido programma, erano poche, mentre la maggiorparte delle imprese si organizzava come poteva.

Con l’avvento del fascismo si avviò un piano di risana-mento delle biblioteche governative, con l’aumento dei fon-di in dotazione. La gestione fu centralizzata e statalizzataper poter meglio perseguire il controllo propagandisticosulla cultura e la società. Ne fu prova il numero dei lettoriche rimase pressoché invariato, poiché i problemi che assil-lavano il funzionamento delle biblioteche rimasero irrisolti.

Il regime cercò in particolare di agire sulle bibliotechepopolari, viste come sistema diretto di propaganda delpartito presso i ceti più bassi. Fu quindi centralizzato an-che in questo campo il controllo avviando un piano peristituire biblioteche anche dove non c’erano.

Negli anni Trenta, cinema e radio (per la televisionebisognerà aspettare il 1954) creano le basi per unificarela lingua italiana, per quanto l’editoria segni ancora ilpasso stampando pochi libri e per di più troppo costosi.

Sempre negli anni Trenta, all’editoria ufficiale si af-fianca e prende vigore un’editoria popolare che riesce asfuggire al controllo del regime. È il momento della pub-blicazione dei “gialli”, dei romanzi “rosa” e dei settimana-li di attualità e varietà. La situazione però precipitanuovamente con il secondo conflitto mondiale.

LA LETTURA VELOCE E CREATIVA

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La seconda guerra mondiale evidenziò, da un lato,una situazione disastrosa per le biblioteche governative,dall’altro si assistette alla rinascita dell’editoria soprattut-to di periodici, quotidiani e di libri stranieri (in particola-re americani). Si registra un nuovo fermento anche infatto di lettura, tanto che le biblioteche circolanti, comu-nali, aziendali o dei dopolavoro, sono notevolmente fre-quentate. In ogni strato della popolazione (dalla mediaborghesia alle classi operaie) c’è un risveglio culturalesensibile (che spazia dalla cultura anglosassone alla fanta-scienza).

Negli anni Cinquanta, viene rilanciata l’idea di crearebiblioteche pubbliche, però sul modello americano, consuperamento di quelle popolari, viste pur sempre comeclassiste o come risposta di rivendicazioni operaie. La bi-blioteca doveva diventare un luogo per tutti, democrati-ca, volta alle necessità culturali di chiunque: un serviziodavvero pubblico piuttosto che un qualcosa che nascessecome esigenza di una determinata classe.

L’iniziativa si scontrò con le resistenze statali accentra-trici, che vivevano con una certa diffidenza questa visionetroppo libera della cultura.

STORIA DELLA LETTURA

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